PDF - Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio

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RIFL / SFL 2013
DOI 10.4396/sfl1322
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Dal denaro alla moneta. Oggetti sociali e linguaggio
Maria Grazia Turri
Università degli Studi di Torino
[email protected]
Abstract There is a close link between money and language, but there are two
acceptations of money. The first is a social object, the second is a concept. In the
absence of this distinction, John Searle’s theory on social object is weak. It’s
necessary to go back to Kant and Hegel to search for the key of this dissimilarity.
Space and time can be the parameters that allow to distinguish the social object
“money” from the concept “money”, and it’s essential to separate the historic origin
from logic origin of money. The social object “money” owns two characteristics: a
specific sign and the social intentionality. Furthermore, concepts such as money,
currency, debt, financial products, and derivatives seem to belong to the same field,
whereas on the contrary the economic crises that succeed one another are prompting
us to reflect on the kind of anthropology and cultural horizon within which such
concepts have emerged and solidified. Whereas economy is a set of social relations
that unfolds in the three fields of production, circulation, and distribution of goods,
the definition of finance and the nature and typology of financial products are less
clear.
Keywords: social objects, money, debt, sign, intentionality
1. Ambiguità della parola “money”
In qualsiasi conversazione a tavola se provo a chiedere ai commensali se c’è una
qualche dissomiglianza fra moneta e denaro, dopo una prima perplessità e una certa
sorpresa per il quesito, quasi tutti rispondono affermativamente, ma poi trovano
problematico illustrare in che cosa questa consista. Suppongo che la risposta positiva
derivi dal fatto che a due termini non possono che corrispondere due significati e così
tutti sembrano presumere che una qualche differenza fra moneta e denaro sussista.
Un secondo interrogativo potrebbe essere invece posto da chi intraprende
un’indagine per comprendere le caratteristiche e la natura di tale diversità: perché è
importante conoscere questa distinzione?
Il quesito è più che legittimo poiché la difformità fra “moneta” e “denaro” è tutt’altro
che secondaria e l’uso sinonimico dei due termini ha condotto a specifiche
interpretazioni di eventi sociali e a fallimentari proposte di politica economica, anche
se indubbiamente i due vocaboli hanno un legame, ma non si identificano in quanto a
natura. Essi operano nella realtà in modo convergente ma con modalità differenti. In
comune hanno, in primo luogo, che entrambi sono correlati all’agire pratico degli
uomini e che la loro genesi è a noi tutti ascrivibile.
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Obiettivo di questo contributo è di evidenziare sia la rilevanza filosofica di questa
distinzione, sia il fatto che proprio questa mancata differenziazione è alla radice di
alcuni problemi irrisolti nella teoria degli oggetti sociali di John Searle, dato che
l’intera sua elaborazione ruota intorno a questa problematica ontologica e metafisica
e si fonda sull’esempio cardine del “money” (SEARLE 1995). Per Searle, “money” è
la quintessenza degli oggetti sociali e illustra al meglio la legge “X conta come Y in
C”, ossia l’oggetto fisico X (metallo, carta) conta come l’oggetto sociale Y (moneta
metallica, banconota) nel contesto C (in Italia nel 2014)). Infine, si intende mostrare
che esiste un nesso fra la natura della moneta e la tematica dell’intenzionalità sociale.
Anche quest’ultimo è infatti un concetto particolarmente problematico nella teoria
del filosofo americano e che qui viene brevemente descritto, consapevoli che esso
richiederebbe un approfondimento appropriato, tentato tuttavia in altra sede (TURRI
2011, 2012, 2014).
L’insieme delle argomentazioni presentate si inseriscono nel dibattito in corso da
alcuni anni sugli oggetti sociali, incentrato soprattutto sulla loro dimensione
ontologica e metafisica. Le posizioni espresse in questa sede si distanziano da quelle
che si rifanno a un realismo che sottovaluta la rilevanza e l’influenza della
dimensione sociale e culturale e che trascura il ruolo chiave del linguaggio
(FERRARIS 2009).
Un esempio, fra i tanti, che possiamo richiamare sullo stretto nesso fra posizioni
filosofiche e politiche economiche e che evidenzia la necessità di una chiarificazione
concettuale fra denaro e moneta è quello rappresentato dalle politiche della Banca
Mondiale nei confronti dei paesi in via di sviluppo, sostenute per alcuni anni sulla
base delle tesi formulate da Hernando De Soto ne Il mistero del capitale (DE SOTO
2001) e attuate in forma fallimentare dal governo Lula in Brasile. Quello di De Soto
è un testo che ha avuto successo sia sul versante economico sia in ambito filosofico,
in quanto è alla base delle riflessioni teoriche di almeno due filosofi che in questi
anni si sono esercitati intorno agli oggetti che popolano il mondo sociale: Barry
Smith (2003a) e Maurizio Ferraris (2009).
Nel libro di De Soto si ritrovano almeno tre definizioni esplicite di capitale
(“simbolo”, “potenza”, “risparmio”) che egli stesso vorrebbe ricondurre a un unicum,
pur non chiarendo i possibili nessi fra le varie categorie prese in esame (“risparmio”,
“capitale”, “ricchezza”, “denaro” e “moneta”); una mancata chiarificazione che fra
l’altro è riconducibile proprio all’ambiguità terminologica oggetto delle riflessioni
qui sviluppate.
La lingua inglese ha indubbiamente contribuito a far sì che moneta e denaro fossero
considerati sinonimi, poiché nell’uso corrente entrambe le parole sono generalmente
espresse dal vocabolo “money”.
Lo zibaldone che ha caratterizzato i due termini trova in parte ragione nel fatto che
sino alla metà del XIX secolo filosofi ed economisti appartenevano a un medesimo
ambito di studio, la filosofia morale, ed è anche per questo che moneta e denaro sono
stati considerati per lo più equivalenti. Con il diversificarsi degli ambiti disciplinari,
gli economisti si sono interessati prevalentemente della moneta, per contro è rimasto
ai filosofi di occuparsi del denaro.
Essi rappresentano il trade union fra economia reale e finanza, dal momento che i
sistemi economici sono fondati sulla produzione e sullo scambio e necessitano per il
loro funzionamento di uno specifico oggetto che assuma alcune funzioni (la moneta):
in primo luogo la funzione di “numerario”, cioè di misura del valore delle merci e dei
servizi, della ricchezza, dei debiti e dei crediti, del valore dei prodotti finanziari; in
seconda istanza la funzione di “mezzo o strumento di circolazione” e quindi di
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“scambio”; in terzo luogo la funzione di “mezzo di pagamento” – da cui poi si
sviluppa il sistema del credito e da questo la finanza –; e infine, quella di “riserva di
valore”.
Ciò che è indubbio è che economia reale e finanza siano due ambiti che hanno preso
vita dalla stessa esistenza degli esseri umani e che quindi dipendano da noi e dal
nostro agire. Di conseguenza, le categorie ontologiche in gioco – gli oggetti, i
concetti e i metaconcetti – sono definite dalle relazioni fra soggetti e fra questi e gli
oggetti, all’interno di un contesto che varia e si evolve nel tempo.
Dal punto di vista filosofico non si può comunque trascurare il fatto che siamo di
fronte ad una povertà di categorie ontologiche e ad una carenza di analisi su segni,
simboli e senso, legate all’economia reale, alla finanza e agli effetti del loro
funzionamento; inoltre, e soprattutto, è necessario tenere presente che è complesso
stabilire che cosa siano gli oggetti, i concetti e i linguaggi che popolano questi ambiti
della vita sociale e che sono tuttavia necessari per discernere quali siano i fattori
rilevanti per definire metodo, criteri e contenuti delle azioni e dei comportamenti
afferenti a questa pratica sociale.
2. La distinzione fra moneta e denaro
La distinzione di cui stiamo parlando affonda le sue radici in Kant e in Hegel.
La riflessione hegeliana sul denaro prende avvio sia dalle tesi esposte da Johann G.
Fichte in Der geschlossene Handelsstaat (FICHTE 1800), in merito alla relazione fra
produzione materiale e sistema monetario e finanziario; sia dalla distinzione kantiana
fra reale e ideale; sia dalle analisi puntuali dei processi economici dell’epoca,
elaborate da Adam Smith e David Ricardo.
Questi tre punti di riferimento teorici hanno consentono a Hegel di pervenire al
denaro come concetto ontologico, di cui evidenzia i caratteri simbolici, le
determinazioni concrete, l’intrinseca natura al contempo ideale e reale, e la struttura
di fattore alienante delle relazioni economico-sociali. Inoltre, egli disgiunge il ruolo
che il denaro assume nella sfera della produzione da quello che esso svolge nella
sfera della circolazione. Distinzione che si rivelerà assai feconda negli studi di Marx
e che consente a quest’ultimo una raffinata scomposizione di ciò che è denaro e di
ciò che è moneta nonché dei diversi ruoli messi in atto da entrambi, rispettivamente
nelle sfere della produzione il primo e della circolazione delle merci la seconda.
Nell’elaborazione hegeliana sono rilevanti soprattutto tre scritti di Kant. Il primo è il
Versuch den Begriff der negativen Grössen in die Weltweisheit einzu führen, nel
quale Kant illustra la nozione di soppressione – il procedimento dialettico di
annullamento – recuperandolo dall’economia oltre che dalla fisica newtoniana.
Kant, come è noto, prende in esame due generi di opposizione, quella logica e quella
reale. La prima è la contraddizione, che consiste nell’affermare e nel negare qualcosa
in relazione allo stesso soggetto, la seconda sorge quando nello stesso soggetto si
hanno due predicati in opposizione, ma non in contraddizione logica. L’opposizione
reale si verifica sul piano fisico dei corpi o delle grandezze numeriche. L’esempio
utilizzato da Kant, che è di interesse in questa sede, è quello legato al concetto di
negatività; un concetto preso dall’economia fondata sul credito, l’Aufhebung, e che
indica la mutua soppressione fra credito e debito.
Aufhebung è un termine usato per denotare grandezze che si riducono reciprocamente
a zero opponendosi, o che si sopprimono l’un l’altra, e quindi divengono non
differenziate alla loro equazione e questo perché nel Settecento il titolo di credito
aufgehoben, un’obbligazione a tutti gli effetti, aveva ancora un valore positivo come
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quietanza o ricevuta di pagamento di un debito. Siffatto valore positivo in un
biglietto annullato diventa esplicito nella filosofia di Hegel, dove lo zero ha un valore
positivo e negativo insieme, alla stregua dei titoli obbligazionari del tempo, tant’è
che negli scritti hegeliani annullare assume un senso sia logico che finanziario.
Il secondo testo kantiano rilevante per Hegel è Der einzig mögliche Beweisgrund zu
einer Demonstration des Daseins Gottes. Si tratta dello scritto nel quale Kant
respinge l’argomentazione ontologica di Anselmo d’Aosta – il mercante è la figura
cardine di Kant – , e che a Hegel è utile per suffragare le argomentazioni circa la
natura ideale e reale del concetto di denaro e dal quale assume la metafora del denaro
come “dio”.
Il terzo è la Die Metaphysik der Sitten, e in particolare il paragrafo espressamente
dedicato al denaro, a cui Hegel si rifà in modo indubbio quando argomenta nei suoi
scritti che il denaro è tale quando viene alienato e che il lavoro è l’origine del valore
di una merce. Ma la prima formulazione strutturata del concetto di denaro compare
nel frammento 22 della Filosofia dello spirito, raccolto in Schriften zur Politik und
Rechtsphilosophie (HEGEL 1802), al paragrafo dedicato allo Spirito del popolo,
dove Hegel argomenta che è nel mondo dell’economia che si esprime appieno
l’alienazione, per cui l’economia domina l’uomo e l’uomo si rimette pienamente a
questa sudditanza, ed è il denaro che assolve al compito di sancire questa
sussunzione, ne è il vero protagonista e, come il linguaggio, muta in concetti gli
elementi antitetici e autonomi della concretezza, sostanzialmente incomprensibili
senza di esso. Viene così definita l’essenza stessa del denaro: da un lato è oggetto,
nelle sue determinazioni concrete, e dall’altro è essenza stessa della vita umana, ciò
che la determina, è l’eidos dell’esistenza.
In Marx, oltre allo studio articolato e sistematico di Hegel, assumono un ruolo
decisivo gli sviluppi teorici sia del pensiero di Moses Hess – dal quale acquisisce la
consapevolezza che i termini “alienazione” e “feticismo” sono connessi ma non
possiedono un valore sinonimico –, sia le tesi di Ludwig Feuerbach – dal quale trova
conforto nel procedimento di rovesciamento dell’idealismo in realismo –, il che gli
consente di giungere a un concetto reale e non ideale di denaro e di analizzare in
modo articolato funzioni e ruolo della moneta.
I testi nei quali Marx affronta le tematiche indicate si possono suddividere in tre
periodi: 1) 1844-58, 2) 1859, 3) 1863-67. Questa periodizzazione riflette tappe
differenti nell’elaborazione e nell’esposizione della teoria del denaro, del credito e
delle crisi. La teorizzazione marxiana procede infatti per approssimazione
successiva, si chiarifica col tempo, e così non sempre ci si trova di fronte a un
pensiero lineare, facilmente e univocamente descrivibile.
È nei Grundrisse (1839-41) che egli descrive le forme nelle quali il denaro è moneta
e afferma che la moneta è una delle forme del denaro, centrando così pienamente
l’obiettivo di cogliere in modo contestuale il fatto che il denaro è un metaconcetto
ontologico che ha una natura al contempo ideale e reale, simbolica e concreta, e che
la moneta è un oggetto sociale in quanto forma monetaria del denaro, essendo riserva
di valore. Sarà in alcuni passi dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, quando
commenta Shakespeare, che il denaro nella società capitalistica viene descritto come
il potere di disposizione sulle cose e di comando nei rapporti sociali, grazie
all’acquisizione di un livello di autonomizzazione, progressivamente, ma
inesorabilmente, crescente.
È sulla base della concezione della dialettica che per Marx il denaro è un
metaconcetto ontologico, ed è tramite lo strumento dialettico che viene spiegato il
movimento di M-D-M e di D-M-D', dove M sta per merce, D per denaro e D' per
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denaro incrementato. Tale rappresentazione esprime in modo efficace più aspetti: la
natura reale e simbolica del denaro, il processo di creazione della ricchezza, il ruolo
del lavoro come creatore di valore e di valore incrementato, il denaro in quanto
capitale, e infine la natura monetaria del denaro.
Nello studio delle funzioni assegnate da Marx al denaro vanno infine distinte le
funzioni svolte nel processo di riproduzione da quelle svolte nella fase della
circolazione. Nella riproduzione del capitale “opera” il denaro, mentre nel processo
di circolazione “agisce” la moneta.
3. Oggetti sociali e linguaggio
Per Searle gli oggetti sociali godono di funzioni agentive, cioè delle funzioni “stare
per”; si tratta di funzioni di status la cui struttura si intravede quando si dice che un
oggetto sta per qualche altro oggetto (una linea gialla sta per un muro come segno
dell’invalicabilità). È un’intenzionalità imposta intenzionalmente su un oggetto o su
stati di cose che non sono intrinsecamente intenzionali, e questo perché egli
considera la differenza fra i segni sulla carta, che stanno per parole (funzione “stare
per”), e il bicchiere (semplice funzione agentiva). Questo è il livello dove per Searle
interviene il simbolismo, tanto che il linguaggio ne è l’esempio cardine, poiché suoni
o segni sono significanti di qualcosa che è da questi indipendente.
Dentro al quadro teorico searleano la funzione di status rende possibile comprendere
uno degli elementi più rilevanti della realtà sociale: le regole. Sono queste che
consentono di effettuare la distinzione fra fatti bruti e fatti istituzionali.
Esempi di marcatori di status possono essere la carta di identità o il certificato di
laurea, i quali indicano, rispettivamente, che una determinata persona ha lo status di
“cittadino” o di “dottore in…” e questi gli conferiscono determinati poteri deontici,
ovvero delle possibilità di compiere un certo tipo di azioni (come per esempio votare
o partecipare a specifici concorsi). Analogamente la moneta può essere utilizzata
come numerario, pagamento, scambio, riserva di valore, essendo queste le sue
funzioni di status.
I concetti di regole costitutive, intenzionalità e fatti istituzionali concorrono così a
fornire una spiegazione molto peculiare del potere, cui sono comunque strettamente
connessi. Dal coordinamento di sistemi di regole, che possono essere costitutive o
regolative, scaturisce un particolare tipo di oggetti: le istituzioni. Le regole
costitutive non regolano, mentre le regole regolative sono norme che disciplinano
quelle attività che esistono indipendentemente dalle norme stesse. Per Searle le
istituzioni non sono dunque altro che sistemi di regole costitutive. Niente nella teoria
del filosofo americano impedisce asserire che una regola regolativa di un certo
fenomeno sia anche costitutiva di un altro fenomeno, tanto che ci sono fatti e oggetti
sociali non istituzionali o istituzionali, cioè la cui costituzione definisce regole e
potere su altri fatti e oggetti, come nel caso della relazione fra promessa e
matrimonio.
La tesi proposta da Searle, secondo cui alla base di un oggetto sociale sta sempre un
oggetto fisico, un fatto bruto, non è del tutto applicabile all’oggetto sociale “moneta”,
e tanto meno al denaro, dato che quest’ultimo è un concetto, o meglio un
metaconcetto, e non un oggetto. Inoltre, Searle ha modificato la sua posizione poiché
non è stato in grado di rispondere all’obiezione di Barry Smith (2003b; SEARLE
2003b) che un debito è un buco di bilancio, un vuoto che non è riconducibile a un
fatto bruto (SEARLE 1998, 2003b).
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In questa sede – apportando alcune variazioni alla tesi di Searle – per oggetto sociale
si intende lo status che un oggetto fisico può assumere grazie a un processo attuato
da almeno due esseri umani: a un dato tempo si può, tramite un’azione intenzionale,
attribuire a un oggetto fisico (carta, metallo, parola ecc.) una certa funzione, che a
sua volta viene codificata grazie a un segno, che è l’elemento proprio di
quell’oggetto fisico perché esso possa venire riconosciuto come oggetto sociale. In
seguito a ciò l’oggetto fisico perde il proprio specifico significato, anche
polifunzionale, per assumere completamente il valore delle funzioni attribuitegli;
contestualmente si rende autonomo rispetto all’atto costitutivo originario, ed è grazie
a questa autonomizzazione che esso è a tutti gli effetti un oggetto sociale in grado di
agire in un ambiente determinato in cui gli individui divengono destinatari dei suoi
effetti: tale oggetto ha infatti vita autonoma rispetto al singolo soggetto, anche se non
può prescindere dalla socialità dell’ambiente di riferimento. Infine, l’uso improprio
di un oggetto sociale comporta una sanzione (DURKHEIM 1895). Sottostanno a
questi criteri diversi tipi di oggetti: dalla moneta alla promessa, dal matrimonio al
cellulare, dalle opere d’arte ai romanzi, ai film.
L’oggetto sociale costituito definisce le attività che può esercitare, incluso l’atto
costitutivo, che deve essere riconosciuto come lecito. In realtà, per la valida
costituzione degli oggetti sociali non è necessario individuare in maniera esplicita un
archetipo già previsto dalle leggi e norme in essere. Le Corporations, per esempio,
esistono non semplicemente grazie a un atto dichiarativo, espresso in opportune
circostanze, ma per effetto di un’intenzionalità mossa da una finalità che richiede
l’utilizzo di oggetti come le parole scritte o le parole verbali. E se il linguaggio
avviene con suoni, si tratta di veri e propri atti performativi, come nel caso di
“Dichiaro guerra”, “Vi dichiaro marito e moglie”, “La dichiaro Dottore in Filosofia”
a cui fanno seguito doveri e diritti che si sostanziano in ulteriori atti che trovano
legittimazione in questi oggetti sociali, che quindi a loro volta promanano vincoli e
opportunità comportamentali e condizionano le relazioni fra oggetti e fra soggetti
(per esempio, un matrimonio determina assi ereditari di cui un altro oggetto sociale,
il testamento, deve tener conto).
Gli oggetti sociali, come gli altri oggetti, agiscono in un ambito sia interoggettivo sia
intersoggettivo, visto che condizionano le relazioni fra oggetti e fra soggetti. Agli
oggetti sociali sono attribuiti particolari poteri deontici che valgono all’interno dei
contesti di riferimento, gli stessi che hanno dato vita all’oggetto istituzionale. Il loro
dispiegamento produce effetti che vanno al di là delle intenzioni originarie e nel
tempo richiedono la loro modifica e/o la costituzione di nuovi oggetti sociali.
Se le regole costitutive non sono seguite nella prassi sociale, l’oggetto sociale
corrispondente cessa di esistere, come nel caso del franco leggero francese. Questa è
la dimostrazione più evidente che è necessario non solo il segno, ma anche una
consonanza intenzionale per dare vita agli oggetti sociali. Si tratta di due condizioni
co-costitutive.
L’oggetto sociale sottostà quindi a un processo enattivo e relazionale fra le due
condizioni necessarie che ne definiscono la natura. In tutte le funzioni agentive – di
status o meno – vi è un riferimento a un fine e a un soggetto potenzialmente agente.
Nel caso delle funzioni non di status, le proprietà fisiche dell’oggetto sono per il
resto sufficienti ad assolvere la funzione, mentre nel caso delle funzioni di status tali
proprietà sono necessarie ma non sufficienti. In questo modo la distinzione ritorna a
essere una distinzione di genere, che fa emergere il tipo di rapporto, delineato anche
dall’impianto di Searle, fra realtà fisico-biologica e le funzioni sociali, delineando
così un’ontologia, apparentemente invisibile, del mondo economico e sociopolitico.
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4. Moneta, segni monetari, linguaggio, scambio
Per essere tali, gli oggetti sociali devono dunque rispettare alcune condizioni: a un
dato tempo, tramite un’azione intenzionale, viene attribuito a un oggetto fisico (carta,
metallo, parola ecc.) – anche una semplice traccia o segno minimale o iscrizione –
una certa funzione (o funzioni); nel caso della moneta la traccia conferisce
all’oggetto una riconosciuta validità/legalità. Tant’è che in alcune società primitive,
la merce utilizzata come moneta veniva “segnata”, in modo da inibirne l’uso
originario (conchiglie, sale, e attualmente la firma del governatore della Banca
Centrale Europea).
In seguito a ciò, l’oggetto fisico “moneta”, cioè il supporto materiale, perde il proprio
specifico e unico significato, anche polifunzionale, per assumere in toto il valore
delle funzioni attribuitegli; contestualmente essa si autonomizza dall’atto costitutivo
originario ed è grazie a questa autonomizzazione che essa è a tutti gli effetti un
oggetto sociale che agisce in un ambiente determinato in cui gli individui divengono
destinatari dei suoi effetti. La moneta guadagna così vita autonoma rispetto al singolo
soggetto senza prescindere dalla socialità dell’ambiente di riferimento (tant’è che
abbiamo monete differenti a diverse latitudini). La moneta è pertanto un oggetto
sociale in quanto vive indipendentemente dalle singole volontà, dall’attribuzione di
funzioni da parte di singoli specifici esseri umani. E questo è il caso anche della
promessa, delle Corporations, dello Stato, delle opere d’arte.
L’oggetto sociale moneta per essere tale deve rispettare le due condizioni
precedentemente indicate: una finalità (funzionalità) che include l’intenzionalità
sociale e il supporto segnato, cioè l’iscrizione che gli conferisce una riconosciuta
validità-legalità. Solo il segno distintivo permette che la merce sia accettata come
moneta e svolga le funzioni assegnatele. Il nome stesso della moneta – libbra, dirham
ecc. – è il segno della sua identità, della sua autonomia e della sua garanzia; cosicché
la moneta rappresenta la prima “pubblicazione” ampiamente circolante, creata per
opera umana, in specifici luoghi e in dati tempi.
Ciò che accomuna, rende validi e accettati i “beni moneta”, le monete metalliche e i
biglietti di banca, è quindi il segno grafico, un segno distintivo come un disegno, una
scritta o una firma apposta sul supporto materiale (metallico, cartaceo o magnetico:
sul retro della carta di credito dobbiamo apporre la nostra firma e ciò che segna un
nostro pagamento per via elettronica sono i bit o un chip o un codice a barre).
Unicamente il segno distintivo permette che la merce sia accettata come moneta e
svolga le funzioni assegnatele. Vi sono oggetti che hanno perduto sia
geograficamente sia cronologicamente il significato di moneta (sale, conchiglie) e
altri che dagli stessi punti di vista l’hanno assunto (carte di credito).
L’attuale processo di smaterializzazione della moneta trova un suo limite oggettivo
nell’iscrizione telematica nella memoria di un computer; nonostante ciò il segno
grafico permane ed è la garanzia della sua validità legale, risultando centrale nelle
quattro funzioni proprie di questo oggetto, le quali si avvicendano a seconda del
contesto di riferimento: 1) nella sua funzione propria di unità di conto, la moneta
deve trovare espressione in un segno grafico, un numero; 2) nella sua funzione
propria di sistema di pagamento, essa, per essere tale, dev’essere supportata da un
segno grafico rappresentato dal marchio distintivo (in caso sia di metallo), la firma
(in caso sia cartacea), i codici a barre o i numeri PIN quali codici di identificazione
personale (nel caso si tratti di badges); 3) nella sua funzione propria di mezzo di
scambio, la moneta deve essere supportata dagli stessi segni che sono necessari nella
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funzione di mezzo di pagamento. 4) Infine, nella sua funzione di riserva di valore, sia
nella sua forma liquida (monete e banconote sotto il materasso o nel portafoglio,
depositi bancari) sia nella sua forma mobiliare (titoli, prodotti finanziari), necessita
sempre di una firma di convalida, ed è in quest’ultima accezione che assume il
connotato di denaro. Ciò fa sì che il denaro sia un concetto non teoretico ma
ontologico. L’essere “riserva di valore” consente alla moneta di essere riconosciuta
in quanto forma del denaro e ne rappresenta il legame.
Qualsiasi oggetto sociale non solo si rende indipendente dai soggetti che lo
costituiscono, ma questa sua autonomia è tale che esso procede in virtù di leggi sue
proprie. Le leggi autonome degli oggetti sociali sono l’espressione di
un’intenzionalità sociale, di un “noi” che si relaziona a un “noi”. Io, in quanto
singolo, non posso per esempio decidere funzioni e ruoli della moneta. Uso la
moneta per le funzioni che la società le ha intenzionalmente attribuito, e io stesso
rappresento il tramite delle funzioni che definiscono l’esistenza stessa della moneta.
Se non usiamo gli oggetti sociali nella loro funzione, il contesto ci sanziona: se non
usiamo monete (siano esse metalliche, cartacee o elettroniche) per entrare in
possesso di un bene o se non manteniamo una promessa veniamo sanzionati,
materialmente o moralmente; se andiamo in un bar e paghiamo una birra con una
moneta “privata”, essa non verrà accettata in quanto mancante del necessario
riconoscimento sociale; se vendiamo un’opera d’arte non certificata originale
compiamo un reato o se proviamo a vendere un monumento ci troviamo nella
situazione rappresentata nel film Tototruffa ’62.
Ciò che definisce la natura di un oggetto, compresi quelli sociali, è sia la funzione
propria, cioè la potenzialità operativa che questo genera, sia il contesto in cui uno
specifico oggetto è in grado di svolgere una funzione puntuale. Questa relazione fa sì
che funzione e attribuzione di intenzionalità siano connesse, il che implica anche il
riferimento a un fine determinato. L’essenza della moneta risulta essere strettamente
correlata alla funzione propria da essa svolta nel sistema economico-sociale, cioè con
l’azione che essa vi compie, indipendentemente dalla sua fase costitutiva.
Secondo la dottrina economica mainstream – la teoria sulla cui base la gran parte
delle istituzioni prende decisioni di politica economica – la moneta è stata in origine,
e tale permane, una merce prodotta e scambiata alle medesime condizioni a cui sono
prodotte e scambiate tutte le altre merci. Il ragionamento procede sia dalla
constatazione che conchiglie, bestiame o metalli hanno essi stessi un valore, e
conseguentemente un prezzo, sia dall’osservazione che esiste una stretta
interdipendenza fra i prezzi delle merci all’interno del sistema economico e la
moneta. In quanto merce, la moneta non potrebbe svolgere la funzione di misura del
valore se non essendo direttamente partecipe anch’essa del sistema economico e
possedendo essa stessa un valore e un prezzo in quanto merce. In questa visione,
storia e teoria della moneta coincidono e la teoria della moneta collima con la storia
dei materiali che l’hanno rappresentata, senza che ne venga riconosciuto il suo ruolo
peculiare .
In ambito economico ci si è divisi a lungo fra coloro che considerano la moneta come
una merce qualsiasi – la maggioranza – e altri che sostengono che non lo è, ma fanno
difficoltà a indicarne con precisione la natura. Se la moneta fosse una merce come le
altre, il processo apparirebbe capovolto, dato che per produrre merci è necessario
utilizzare moneta per acquisire materie prime, beni strumentali e impiegare
lavoratori, ma visto che questa non è ancora stata prodotta, non si comprende come
sarebbe possibile avviare il processo produttivo. Se fosse vera la tesi che la moneta è
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una merce qualunque rimarrebbe irrisolto il problema della determinazione
dell’origine della moneta stessa.
Molti aspetti della dottrina monetaria mainstream legati alla moneta sono stati messi
in discussione da economisti e da studiosi di antropologia sociale, determinati a
individuare sul piano dell’indagine elementi assai più convincenti: le analisi
antropologiche sugli scambi asimmetrici, come il dono, evidenziano per esempio il
ruolo qualitativo e simbolico che i singoli beni assumono nelle relazioni individuali e
sociali. Su questa base la storia della moneta non può pertanto coincidere con la
storia dei materiali da cui è costituita.
Da un lato, Marcel Mauss (MAUSS 1923-24) ha evidenziato la serie dei materiali
che, in forma generalmente diversa da quella assunta nelle società moderne, hanno
inizialmente espresso la qualità di denaro, e ha ragionato di moneta in termini di
realtà relativa nella direzione poi sviluppata dall’economista Francois Simiand
(SIMIAND 1903), che definirà con pertinenza la natura di oggetto sociale della
moneta. Dall’altro, Louis Gernet (GERNET 1955, 1968) si è servito nelle sue
ricerche del termine ‘segni premonetari’ e ha messo in luce che simboli e segni
possono essere tenuti distinti, perché al simbolo appartengono significati immediati
ed effettivi, mentre il segno si esaurisce sostanzialmente nella sua stessa funzione e
così riconosce l’origine della moneta nel passaggio dal simbolo al segno. I tratti
fondamentali della sua ricerca prendono avvio da presupposti simili a quelli di
Marcel Mauss, a cui fa esplicito riferimento nei suoi testi, arricchendoli degli
elementi emersi dal dibattito sulla funzione sociale della moneta, svoltosi all’Istituto
francese di sociologia, nei primi anni del XX secolo, con particolare riferimento alle
posizioni espresse appunto da Francois Simiand.
Particolarmente interessanti sono le argomentazioni di Marcel Mauss, dalle quali si
evince una priorità logico-temporale del concetto di denaro rispetto all’oggetto
moneta, e un’intuizione già articolata della moneta quale oggetto sociale. Per Mauss
il segno grafico è ciò che rende tale la moneta. Questa sua essenza non è andata
perduta nel corso del tempo, anzi si è potenziata, tant’è che il significante monetario
ha subito un’evoluzione storica per cui alla progressiva riduzione della sua
materialità fa da contrappeso una sempre maggiore importanza dell’elemento
scritturale. Una tesi che fa sì che si possa accogliere solo in parte quanto ha sostenuto
l’economista tedesco Georg Friedrich Knapp (KNAPP 1955) e cioè che la moneta
nasce unicamente per convenzione, per decisione di un’autorità riconosciuta dai
singoli individui che compongono una comunità, poiché per essere tale la moneta
necessita anche di una dimensione scritturale.
Il modo in cui è stata concepita la motivazione cardine dell’agire umano è ciò che ha
anche condizionato la possibilità di venire a capo della vera sostanza del denaro e
della moneta, dei loro punti di contatto e delle loro differenze.
Fondamentalmente, e molto schematicamente, si sono contrapposte due visioni; l’una
sostiene che ciò che è intrinseco alla natura umana e che ne determina l’agire è il
bisogno; l’altra afferma che nell’essere umano è riscontrabile un’intrinseca natura di
scambista. Lo scambio assurge così a elemento caratterizzante la sua natura e
rappresenterebbe ciò che distingue l’animale dall’uomo. Economisti come Adam
Smith, sociologi come Mark Spencer e filosofi come Georg Simmel, solo per citare
alcuni importanti pensatori, hanno fatto dipendere la divisione del lavoro e le
relazioni fra soggetti dalla propensione allo scambio e hanno esplicitamente o
implicitamente assunto che il linguaggio umano rappresenti l’indicatore di
un’essenza votata allo scambio. Da questa concezione sulla struttura intrinseca
dell’uomo al definire la moneta prevalentemente come mezzo di scambio il passo è
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stato breve. Un passaggio compiuto anche da alcuni antropologi che lo hanno esteso
a società anteriori all’introduzione della scrittura, cosicché sarebbe avvenuto prima lo
scambio e poi la scrittura. In questo sfondo è la natura di scambista dell’essere
umano ad aver generato bisogni non colmabili da comportamenti autarchici e ad aver
creato le condizioni perché fosse necessaria una merce in grado di fungere da mezzo
di scambio.
Si spiega così ulteriormente perché nella storia del pensiero economico e del
pensiero filosofico la moneta, quale mezzo di scambio, abbia spesso rappresentato
l’esclusivo oggetto di un’analisi che individuava nella caratteristica di facilitatore
degli scambi l’unica funzione ad essa attribuibile o che, nella migliore delle ipotesi,
la considerava come la funzione primaria rispetto alle funzioni di numerario e di
mezzo di pagamento; ciò spiegherebbe anche perché si arriva soltanto molto tardi (e
solamente da parte di alcuni economisti come Karl Marx, Knut Wicksell, Joseph
Schumpeter, John Maynard Keynes) ad attribuire alla moneta la sua quarta funzione,
quella di riserva di valore.
5. Denaro come metaconcetto ontologico
Quando immaginiamo il denaro di Leonardo Del Vecchio o di Mark Zuckerberg non
abbiamo davanti agli occhi la stanza delle monete di Paperon de’ Paperoni.
Presumibilmente immaginiamo una diversificazione della loro ricchezza: case,
terreni, titoli, aerei, imbarcazioni, mobili, gioielli e quadri di pregio e, forse, anche
moneta sotto forma di conti correnti, di liquidità o di moneta elettronica, come le
carte prepagate. Il denaro, potendo assumere la forma di qualsiasi merce, è un
concetto che, pur incarnando un processo di astrazione, non comporta assenza di
ontologia, esiste a tutti gli effetti, poiché si rifà a cose che hanno consistenza
materiale. Il denaro inoltre è un metaconcetto condiviso, che va al di là delle
frontiere linguistiche e geografico-territoriali: in qualsiasi luogo del mondo l’elenco
degli oggetti sopra citati rappresenta ricchezza che può essere convertita in moneta
corrente e può conferire prestigio e potere.
Il denaro è correlato al tempo, ma, diversamente dalla moneta, è atemporale, non ha
una nascita precisa, e prescinde dallo spazio, è aspaziale, poiché ciò che
consideriamo denaro in Italia, anche qui diversamente dalla moneta, è denaro anche
in Groenlandia o in Burundi.
Per la moneta è invece possibile ricostruire, anche se a volte solo in modo
approssimativo, la nascita; essa ha una validità circoscritta a precisi ambiti
territoriali, ed è quindi definita temporalmente e spazialmente. Il progressivo
processo di smaterializzazione della moneta (assegni, bonifici, carte di credito,
bancomat ecc.) non deve quindi essere confuso con il concetto di denaro. Se
togliamo molecole a un oggetto, non per questo esso diventa un concetto.
Il denaro vive nel tempo, perché ha origine con gli esseri umani ed è connesso con il
loro agire pratico, ma è a temporale, in quanto convertitore generale della ricchezza,
sebbene assuma temporalmente forme diverse. Sono queste forme che hanno un
inizio e una fine: moneta, prodotti finanziari, immobili, barche, e così via sono
identificabili in una scansione temporale.
La moneta intesa come mezzo di scambio sorge logicamente, non storicamente,
ovvero segue dall’osservazione che è difficile ottenere la quantità desiderata di una
merce con una quantità dello stesso valore di un’altra merce disponibile.
Inevitabilmente una contabilizzazione quale misura del valore avviene anche senza
riferirsi a una particolare unità di conto. Quindi, paradossalmente, il baratto può fare
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a meno della moneta, ma non del denaro, in quanto quest’ultimo è riserva e simbolo
del valore.
Non c’è un’altra istituzione umana o realtà naturale che si avvicini al modo d’essere
e di agire della moneta nella sua forma idealizzata. La moneta è una delle forme del
denaro e nel contempo il denaro è la forma idealizzata della moneta. Il denaro agisce
senza essere un oggetto fisico e senza essere costituito direttamente da materia, ma
come simbolo. È per questo che possiamo sostenere che il denaro ha una natura
anche ideale, ma non è un oggetto ideale.
La materialità sociale del significante della moneta può essere apparentemente
evanescente, man mano che il processo di smaterializzazione procede. Si pensi per
esempio all’evoluzione subita dall’inscrizione dei valori borsistici, divenuta un
riferimento quasi simbolico dei valori monetari delle azioni che rimanda all’insieme
informatizzato di tutti valori, ma di cui permane ugualmente una materialità: la loro
forma scritturale. Questo esempio suffraga la tesi per cui il concetto di denaro non
può essere confuso con il processo di smaterializzazione della moneta o di
finanziarizzazione del sistema economico; il concetto di denaro non converge con la
progressiva lontananza da un supporto materiale qualsiasi e non coincide pertanto
con un segno fisico – grafico, metallico, cartaceo, mentale, verbale, computazionale
– o con un numero, con uno specifico valore quantitativo. Il denaro non è né un
oggetto fisico, né un oggetto ideale.
La ragione principe della confusione perpetuata fra denaro e moneta e la difficoltà di
individuare la natura della moneta consiste proprio nel confondere l’origine storica
della moneta con la sua natura logica, che è invece del tutto indipendente dal
carattere di merce del materiale scelto come moneta. Ad esempio, dal punto di vista
logico non è indispensabile che la moneta debba essere convertibile in una o più
merci, il cui valore di scambio, in quanto merce, rappresenta la base del valore che
consente lo scambio tra beni. La confusione tra origine storica e natura logica è un
abbaglio comune alla sfera delle scienze sociali, perché in esse si tende a presupporre
che le forme primitive delle istituzioni sociali non possano essere state più complesse
di quelle contemporanee e che esse possano nascondere e non rivelare gli aspetti
logici essenziali.
Si tratta, da un lato, di depurare il concetto di denaro da ogni confusione con un
supporto materiale e ciò risulta semplice quando esso è misura del valore, perché è
un numero. Ma il fatto stesso che sia un numero fa sì che esso possa essere scambiato
per un oggetto ideale, alla stregua di un postulato o di un teorema matematico,
sottovalutandone la natura di metaconcetto ontologico. Il riferimento a una
materialità che vi soggiace rimuove questo possibile equivoco. Dall’altra, per contro,
quando, si fa riferimento al ruolo assunto dal denaro come riserva di valore nel
processo di circolazione, nello scambio, allora esso può essere omologato all’oggetto
sociale moneta, poiché, in quanto moneta, mantiene una sua fisicità, seppur leggera:
quella scritturale.
Ma il denaro è moneta solo nella sua forma ideale, in quanto riserva di valore, e può
assumere forme diverse dalla moneta stessa. Proprio il riconoscimento della funzione
di riserva di valore, unitamente all’elemento della validità-legalità riconosciuta
tramite un’iscrizione, il segno, permette il passaggio della moneta dall’essere oggetto
fisico al divenire oggetto sociale, contestualmente l’essere riserva di valore consente
alla moneta di essere riconosciuta in quanto forma del denaro e ne rappresenta il
legame.
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6. Dalla moneta al debito
È indubbio che il processo economico abbia inizio con un finanziamento che
consente l’avvio del processo produttivo – si tratta di capitale in forma finanziaria –,
avvio che prende corpo grazie a un debito.
Sicché ciò che consente di far funzionare l’economia reale nello spazio e nel tempo
genera un ambito nel quale ciò che diventa centrale è offrire denaro per ricevere
denaro accresciuto, in un tempo differito.
L’atto di credito (di finanziamento) consiste quindi in una dilazione di pagamento,
ovvero nell’accettazione della promessa di un pagherò, che si fonda nel credere che
questo credito, che questo atto di fiducia, sia ben riposto e ricompensato. E il debito,
la contromarca del credito e del finanziamento, necessita di poter essere denominato
e misurato, cioè di essere monetariamente quantificabile, e quindi riportato a una
misura del suo valore. Successivamente, per poter essere effettivamente onorato, esso
necessita di un mezzo di pagamento. Ma laddove le due funzioni di “moneta che
conta” e di “moneta che paga” non sono opportunamente regolate, i “luoghi” dove
avviene la regolazione della relazione debito-credito si costituiscono non come spazi
di regolazione ma come spazi per la procrastinazione del debito. Questi luoghi sono i
“mercati finanziari”, cioè gli spazi in cui vengono concessi i crediti e pagati i debiti e
dove è istituzionalizzata la loro dilazione.
Ed è alle Banche – gli Istituti di credito – che è stato attribuito in primo luogo il
compito di offrire credito per l’avvio del processo produttivo e ciò che il banchiere
può fare con la moneta non può essere compiuto con alcuna altra merce, poiché non
c’è alcuna altra merce la cui quantità o velocità possa essere variata nella stessa
misura e con modalità così peculiari. La moneta non ha merci con le quali può essere
sostituita e non ha succedanei.
È la moneta che scioglie la promessa del “pagherò”, ed è qui che si fonda
l’architettura del sistema finanziario, poiché rientra nell’ambito finanziario e delle
sue relazioni qualunque atto di anticipazione di un potere d’acquisto, con il patto
della sua restituzione, a tempo debito e secondo modalità convenute. Cosicché
qualunque soggetto desidera e al contempo non può sottrarsi al mondo della finanza,
nemmeno lo Stato.
Ai soggetti ai quali è stato conferito il compito di concedere e valutare il
finanziamento necessario per dare avvio al ciclo produttivo sono gli Istituti di
credito, ed è rilevante ricordare che questi sono sorti e si sono sviluppati negli Stati
dove erano presenti forme istituzionali di garanzia per i creditori, creando così le
condizioni per una situazione nella quale le Banche sono soggetti di diritto privato (e
creditori) nei confronti dello Stato, mentre sono soggetti pubblici nei confronti dei
debitori. Questa ambivalenza dell’istituzione “Banca” ha determinato una nuova
posizione dello Stato nei confronti della moneta; da una parte esso è debitore nei
confronti di un soggetto privato, dall’altra è chiamato a farsi garante della
circolazione monetaria. Lo Stato, come debitore pubblico, impone la creazione di un
creditore altrettanto pubblico. La Banca è dunque al contempo creditore e Istituto di
emissione e lo Stato è contestualmente debitore e garante dell’emissione monetaria.
Allo Stato moderno viene attribuita la funzione propria di amministrare la vita
pubblica, e la funzione stessa genera un fabbisogno pubblico, che fa sì che esso sia
spenditore di denaro che non ha, e quindi sia debitore, in quanto motore strutturale
del potenziamento delle strutture statali e dei sistemi economici.
Ed è per questa ragione che gli Stati sono, da un lato, debitori strutturali, forzati a
cercare costantemente credito e dall’altra non possono permettersi di indebolire la
posizione strutturale dei detentori di moneta, in particolare di moneta non spesa, in
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quanto loro potenziali finanziatori. Debito pubblico e credito privato si trovano così
strutturalmente confusi e nel tempo hanno dato vita a un mercato secondario, stabile
e soprattutto gestibile attraverso il tasso di sconto e le operazioni sul mercato aperto.
Ne consegue che il debito pubblico e/o privato è un vortice di potenza nella
creazione di denaro per il denaro.
Lo Stato rende possibile un prezzo intertemporale per il prestito di moneta a
ricompensa di un capitale tendenzialmente mai restituito, generando per questa via la
produzione simbolica della certezza all’interno del mercato finanziario, che si scontra
però con la costituzione, sui mercati finanziari, di aspettative circa il comportamento
del regolatore, sulla base di un giudizio, costantemente riformulato dai mercati stessi,
circa la sua solvibilità, pratica e simbolica, cioè circa la sua capacità di restituire a
scadenza o di rinnovare indefinitamente la scadenza del debito.
Lo Stato garantisce con la moneta che questa sia la misura per i mercati
dell’economia reale e che essa sia al contempo la merce di un mercato, quello
finanziario.
Oggi siamo di fronte a debiti privati e a debiti pubblici; debiti che in senso proprio
non possono né devono essere pagati, ma solo essere messi in circolazione, a
condizioni determinate dal mercato, come mezzi di pagamento di tutti gli altri debiti
contratti, e contratti, sul mercato.
Possiamo così affermare che il debito non è una “cosa” ma un rapporto sociale o
meglio è un oggetto sociale, derivante del fatto che esso prende corpo
dall’intenzionalità relazionale fra creditore e debitore e per ragioni oggettive è
inscritto su un supporto (sia esso cartaceo o cerebrale) che fa direttamente
riferimento alla moneta. Ciò è tanto più vero laddove si consideri che il debito è un
oggetto sociale che se non viene pagato comporta una sanzione, mentre nella sua
genesi si rinviene sia il segno contabile che l’intenzionalità collettiva.
Da ciò si può concludere che le obiezioni di Barry Smith a Searle si dimostrano
infondate, ed è l’assenza della mancata distinzione fra moneta e denaro che non ha
consentito a quest’ultimo di rigettare le obiezioni del primo intorno a una presunta
materialità del debito, poiché unicamente il riconoscimento che l’oggetto sociale
moneta è il generatore dell’oggetto sociale debito consente di affermare che il debito
ha una natura ontologica e metafisica e che l’intertemporalità fra la contrazione del
debito e la sua restituzione è generatore di denaro.
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