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Scientifica Acta 3, Special issue, 179 – 189 (2009)
Scienze della Natura
Mineralogia, Petrologia, Geochimica
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia, e CNR-Istituto di Geoscienze e Georisorse,
via Ferrata 1, 27100 Pavia, Italy
Presenta: Riccardo Vannucci, [email protected]
In questo articolo vengono sinteticamente presentate le principali ricerche a carattere mineralogico, petrologico e geochimico svolte dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pavia
e della Sezione di Pavia dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del CNR, e le relative finalità. Le
ricerche si basano su un approccio integrato, fortemente interdisciplinare che consenta una caratterizzazione
completa dei materiali geologici alla microscala. Le informazioni chimiche ottenute sia su campioni naturali
(rocce, minerali, vetri) che sui loro equivalenti sintetici prodotti in laboratorio per simulare sperimentalmente le condizioni P-T-X che caratterizzano le parti interne del sistema Terra vengono quindi impiegate per
la comprensione e la modellizzazione dei processi geologici alla mesoscala. Le conoscenze di base e le
metodologie d’indagine sviluppate, unitamente alle tecniche analitiche, oltre a migliorare la comprensione
del sistema Terra, hanno ricadute importanti in campi più applicativi quali le Scienze Ambientali, le Scienze
dei Materiali e i Beni Culturali.
The manuscript presents a brief outline of the main research topics in mineralogy, petrology and geochemistry at the Department of Earth Sciences of the University of Pavia and the Pavia Unit of the CNR-Institute
of Geosciences and Earth Resources. The common strategy is a strongly multi-disciplinary and fully integrated approach that allows us to characterise geological materials at the micro-scale. Reliable chemical
information is then used to constrain and model geological processes at the meso-scale. Actually, the fallouts of this work are not constrained to the study of the evolution of the Earth and of Earth materials. They
are potentially useful also for Material and Environmental Sciences.
1 Introduzione
Le scale dimensionali e temporali degli eventi geologici superano di molti ordini di grandezza quelle
tipiche dell’esistenza e dell’attività umana. Si pensi agli effetti della collisione tra placche che possono
essere osservati per centinaia e migliaia di km, alle pressioni (GPa) cui ampi settori di crosta continentale
possono essere sottoposti nelle zone di subduzione e all’energia rilasciata dai terremoti associati, ai volumi
di lava (104 Km3 ) e alle quantità di gas (106 t di CO2 e SO2 ) emessi dalle eruzioni vulcaniche, tutti processi
la cui durata si può protrarre per milioni di anni.
Nonostante la scala e la complessità dei processi geologici, numerosi indizi rilevabili alla scala atomica,
millimetrica o centimetrica ci consentono la loro ricostruzione, interpretazione e modellizzazione numerica; allo stesso modo, il tempo geologico è fornito dalla misura degli isotopi radiogenici accumulati nei
minerali dal momento del loro raffreddamento al di sotto della temperatura di chiusura e può essere ricordato alla microscala in particolare da quei minerali, come lo zircone, che preservano traccia della dimensione
tempo nelle diverse posizioni strutturali.
Per ricostruire i processi all’interno della Terra si ricorre a metodi d’indagine indiretti. Un formidabile
archivio d’informazioni è contenuto nei minerali che costituiscono il sistema roccia. Le loro trasformazioni
in risposta ai cambiamenti P, T e della composizione chimica sono la chiave per comprendere i processi
chimici e fisici che hanno luogo all’interno della Terra in funzione dei diversi contesti geodinamici. Molti
processi naturali possono essere pertanto adeguatamente interpretati attraverso lo studio della distribuzione
dei costituenti chimici (maggiori, minori e in tracce) rilevati alla microscala e delle caratteristiche strutturali
del sistema (roccia) investigato. In un sistema naturale la composizione chimica delle fasi (minerali e vetri)
è il prodotto delle ridistribuzioni degli elementi che si verificano durante le reazioni minerale-minerale
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(reazioni di sub-solidus), minerale-fuso (cristallizzazione di fusi, interazioni fuso-roccia) e minerale-fluido
(eventi metasomatici).
Le ricerche a carattere mineralogico, petrologico e geochimico svolte dai ricercatori del Dipartimento
di Scienze della Terra e dell’ Unità di Pavia dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del CNR, da più
di quarant’anni attiva presso il Dipartimento, contribuiscono all’interpretazione geologica alla mesoscala
mediante:
1) lo studio dei complessi meccanismi cristallochimici che governano l’incorporazione dei diversi costituenti chimici nelle diverse fasi mineralogiche e il loro ordinamento tra i siti strutturali disponibili; queste
informazioni, interpretate attraverso modelli adeguati, forniscono indicazioni sulla pressione (geobarometri) sulla temperatura (geotermometri) e sulle velocità di raffreddamento (geospeedometri) di formazione
delle rocce;
2) lo studio sperimentale delle variazioni di ordinamento cationico, di espansione termica e di transizione di fase e delle proprietà elastiche di diversi minerali, operando in condizioni di P e T non ambientali;
3) lo studio dei meccanismi di incorporazione degli elementi in tracce nei principali minerali e le modalità della loro distribuzione a microscala durante le reazioni minerale-minerale (reazioni di subsolidus)
e minerale-fuso (fusione, cristallizzazione ed interazione fuso/roccia) in funzione delle principali variabili
(P, T, X, fO2 e XH2O )
4) la caratterizzazione geochimica elementare ed isotopica di minerali e rocce, ma anche di inclusioni
vetrose e fluide, per ottenere informazioni sulla genesi ed evoluzione dei magmi nei vari contesti geodinamici e definire i cicli degli elementi nel Sistema Terra (con particolare riferimento alla crosta profonda e al
mantello litosferico) e i principali reservoir geochimici.
Le indagini hanno per oggetto sia campioni naturali (rocce, minerali, vetri) che i loro equivalenti sintetici
prodotti in laboratorio per simulare sperimentalmente le condizioni P-T-X che caratterizzano le parti interne
del sistema Terra. Caratteristica unica della sede pavese nel panorama nazionale delle Scienze della Terra è
la contemporanea disponibilità di strumentazioni e competenze avanzate per la caratterizzazione strutturale
dei minerali (diffrattometria X e raffinamento strutturale) e della loro composizione chimica nel range
in massa da H a U. La determinazione di tali elementi, anche a livello di ultratracce, alla scala del µm
e delle decine di µm è resa possibile dall’impiego della tecnica SIMS (Spettrometria di Massa a Ioni
Secondari) e di due microsonde ad ablazione laser (LA, con sorgenti a eccimeri e Nd-YAG) accoppiate a
spettrometri di massa con sorgente a plasma ad accoppiamento induttivo (ICPMS), sia a settore magnetico
che a quadrupolo. Mediante tecnica LA-ICPMS è inoltre possibile determinare l’età geologica con il
metodo U-Pb in zirconi e monaziti.
Le conoscenze di base e le metodologie d’indagine sviluppate, unitamente alle tecniche analitiche, sono
peraltro trasferite a campi più applicativi sia nell’ambito delle stesse Scienze della Terra che in settori affini,
come:
- le Scienze Ambientali; studio dell’interazione acqua-roccia e caratterizzazione geochimica dei suoli per la definizione dei livelli naturali di riferimento, la quantificazione dei processi che li controllano
e l’individuazione delle perturbazioni e degli inquinanti antropici, anche mediante impiego di traccianti
isotopici, quali gli isotopi stabili di H, C, O, N;
- le Scienze dei Materiali; caratterizzazione delle relazioni fra struttura e proprietà di prodotti naturali e
analoghi sintetici da utilizzarsi per un efficace smaltimento e inertizzazione di sostanze inquinanti, tossiche
e radioattive, di minerali strategici e high-tech, caratterizzazione e valorizzazione di geomateriali a dominante argillosa, utilizzati come risorsa naturale disponibile, con particolare riguardo al campo medicale e
cosmetico, minerali di interesse gemmologico;
- i Beni Culturali; caratterizzazione di materiali lapidei naturali, di prodotti ceramici e vetri impiegati
in manufatti di interesse storico-artistico, caratteristiche tecnologiche di materiali lapidei da impiegare in
edilizia e architettura.
In questa nota vengono brevemente descritti i principali temi delle ricerche condotte in ambito
mineralogico-petrografico-geochimico, e vengono fornite schede illustrative della composizione dei vari
gruppi di ricerca e delle tecniche utilizzate.
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2 Mineralogia, chimica-fisica dei minerali e gemmologia
Lo studio dei materiali terrestri ed extraterrestri mira a chiarire ogni aspetto della loro complessità strutturale e cristallochimica, ad individuarne i campi di stabilità e i rapporti tra ordinamento cationico, composizione, struttura e condizioni chimico fisiche di formazione, e a caratterizzare le variazioni delle proprietà
elastiche e i meccanismi atomici delle transizioni di fase che avvengono al variare della pressione e della
temperatura. Su queste basi si forniscono strumenti quantitativi e modelli affidabili per la ricostruzione
dei processi geologici, ma anche per l’uso dei geomateriali in chiave di recupero ambientale, di restauro di
beni culturali, di avanzamento tecnologico, e di nuove opportunità per il benessere e la salute del genere
umano.
Il gruppo attivo presso il Dipartimento di Scienze della Terra ha radici lontane, che partono dai primi anni 60, e conta su una collaborazione fortemente integrata tra personale universitario e personale
CNR (attualmente afferente all’Istituto di Geoscienze e Georisorse) con competenze sia cristallochimiche
e mineralogiche sia analitiche e geochimiche.
Uno dei punti di forza del gruppo è stato ed è tuttora lo sviluppo metodologico nel campo dell’analisi
cristallochimica e strutturale, in condizioni ambientali e non, e nel campo dell’analisi comparativa di grandi
popolazioni di composizioni rappresentative della variabilità cristallochimica (cioè composizionale e di ordinamento cationico, quest’ultimo fortemente dipendente dalle condizioni petrogenetiche) di ogni famiglia
di minerali. Negli anni sono state messe a punto notevoli banche dati cristallochimiche, praticamente uniche al mondo, che vengono tuttora usate per una migliore e più veloce caratterizzazione dei nuovi campioni
in studio. Un altro punto di forza è la continua integrazione dei risultati dell’analisi cristallochimica con
gli sviluppi dell’analisi chimica mediante microsonda ionica (SIMS) e LA-ICPMS (soprattutto per quanto
riguarda gli elementi leggeri e volatili, le terre rare e gli elementi in tracce) e con metodologie diverse per
scala e proprietà indagate (ad esempio spettroscopie Mössbauer, Raman, FTIR, NMR e XAS, microscopia
elettronica a trasmissione). Il confronto continuo ha anche portato a un notevole miglioramento nella capacità di ottenere accurati dati analitici in matrici complesse e di interpretare correttamente i risultati delle
analisi spettroscopiche dei minerali. Attraverso questo approccio sistematico e multidisciplinare sono stati messi a punto modelli predittivi chimica-struttura-condizioni di formazione-provenienza-reattività per i
più importanti minerali delle rocce. Agli studi su campioni naturali si affiancano spesso quelli su campioni sintetici a composizione semplificata od ottimizzata per risolvere particolari problemi od ottimizzare
particolari proprietà.
Le famiglie di minerali delle rocce più studiate nei dettagli sono anfiboli, clino ed orto pirosseni, granati,
hellanditi, titaniti, titanosilicati, arrojaditi, columbiti e tapioliti. L’ottica fortemente sistematica e comparativa delle ricerche ha portato a una intensa collaborazione con la Commission on New Minerals and
Mineral Classification della International Mineralogical Association per il riconoscimento di nuove specie
mineralogiche e per la rivisitazione della nomenclatura di alcune famiglie di minerali su affidabili basi
cristallochimiche . Di particolare importanza i recenti studi sulla sistematica degli anfiboli a Li (che hanno
portato all’identificazione di uno spazio composizionale prima sconosciuto), e dei diversi meccanismi di
incorporazione del Li e degli elementi in tracce, e dei meccanismi di deidrogenazione negli anfiboli. Questi
ultimi studi sono stati effettuati in stretta collaborazione con il gruppo di geochimica del Dipartimento e di
CNR-IGG.
Agli studi sistematici si affiancano le analisi cristallografiche di dettaglio di minerali e materiali con
strutture rare o particolarmente complesse, di geminati e di strutture caratterizzate da modulazioni o politipismo, per studiare le quali sono stati anche sviluppati in proprio appositi programmi di calcolo. Il
gruppo effettua anche un servizio di riconoscimento di minerali per via diffrattometrica in collaborazione
con collezionisti o associazioni amatoriali. Questa attività ha spesso portato alla scoperta di specie o varietà sconosciute, talvolta con strutture davvero insolite e rilevanti per la sistematica cristallochimica, poi
riconosciute ufficialmente dalla IMA-CNMMC e depositate nel Museo di Mineralogia del Dipartimento.
Oltre ad aumentare le conoscenze sulla sistematica mineralogica, si migliorano quindi le conoscenze sulla
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distribuzione dei minerali rari, e si legano le variazioni chimiche a quelle petrogenetiche, contribuendo a
chiarire i campi di stabilità.
Un ulteriore importante filone di ricerca concerne lo studio delle proprietà di minerali e materiali in
condizioni non ambientali (cioè ad alta o bassa temperatura ed alta pressione). Lo scopo è quello di caratterizzare le variazioni strutturali (volume di cella, simmetria, ordinamento cationico) per ottenere modelli
quantitativi delle proprietà termoelastiche e termodinamiche, anche in presenza di transizioni di fase. La
caratterizzazione strutturale viene effettuata in situ, cioè alle diverse temperature e pressioni, e in atmosfera controllata. Vengono studiati sia campioni naturali che analoghi sintetici, e vengono monitorizzati
anche gli effetti delle variazioni composizionali, per ottenere modelli quantitativi da applicare alle diverse
situazioni geologiche.
Lo scopo ultimo è infatti quello di contribuire ad ottenere modelli adeguati per descrivere le proprietà
fisiche e i campi di stabilità dei geomateriali anche alle condizioni presenti all’interno della Terra. I dati
sperimentali ottenuti da analisi diffrattometriche su cristallo singolo vengono poi elaborati secondo modelli
termodinamici. Nel caso delle transizioni di fase, attraverso la teoria di Landau si definiscono il carattere
della transizione, la temperatura critica, e le componenti dello strain elastico. In particolare, il paragone
tra raffinamenti strutturali effettuati a diverse T o P permette di ricostruire a livello atomico i meccanismi
attraverso i quali avvengono le transizioni di fase, e di conseguenza i fattori che le possono influenzare.
Questi risultati vengono poi confrontati con quelli ottenuti mediante metodi spettroscopici (tipicamente
FTIR, Raman e NMR) i quali, essendo sensibili ai diversi intorni atomici, danno una visione cosiddetta a
corto raggio del fenomeno. L’interpretazione delle eventuali differenze tra il modello a corto raggio e quello
a lungo raggio ottenuto dalla diffrazione permette di caratterizzare ulteriormente le transizioni di fase.
Inoltre, studi paralleli effettuati in microscopia a trasmissione permettono di monitorizzare la presenza e la
trasformazione di microstrutture, e di valutarne gli effetti sulla transizione. Sono stati studiate in dettaglio
le transizioni di fasi in clinopirosseni e anfiboli di diversa composizione, ottenendo modelli affidabili dei
processi e delle loro variazioni in funzione della composizione cristallochimica (composizione chimica e
ordinamento cationico).
Studiando le variazioni del grado di ordine in ortopirosseni e applicando il metodo di Müller-Ganguly sono state calcolate le velocità di raffreddamento di campioni di origine terrestre ed extraterrestre (meteoriti),
contribuendo alla ricostruzione della storia termica della roccia ospite.
Lo stesso approccio viene applicato anche a geomateriali ed analoghi sintetici con proprietà di potenziale interesse tecnologico, come columbiti e spinelli, allo scopo di verificare il meccanismo strutturale o
l’intervallo termico e composizionale in cui si instaurano le proprietà di interesse.
L’esperienza del gruppo di ricerca nel campo degli studi ad alte temperature (fino a circa 1100˚C), raggiunte con riscaldamenti in situ ed ex situ in condizioni controllate, è ormai di lunga data ed è maturata
nell’ambito di progetti nazionali (PRIN 97, 99, 01, 04 e 06, FIRB 01-03) e dalla Comunità Europea (Network TMR “Mineral Transformations” 97-01); quella nel campo delle alte pressioni, ottenute in situ con
celle ad incudini di diamante (fino a 9.4 GPa), è stata acquisita in tempi più recenti, nell’ambito di un
programma PRIN 06.
Nel laboratorio di Gemmologia si studiano molte classi di minerali in qualità gemma, con particolare
attenzione allo studio degli effetti del riscaldamento sulla struttura e sul colore (attraverso disattivazione
dei centri di colore o fenomeni di charge transfer) e quindi della individuazione di trattamenti termici in
campioni commerciali. Il protocollo analitico prevede analisi gemmologiche, strutturali e LA-ICPMS per
gli elementi in tracce. Ad esempio, si è potuto ricondurre il colore del quarzo rosa alla presenza di un centro
di colore da lacuna, e non ai meccanismi proposti in precedenza. Inoltre, si è dimostrato che la tonalità
verde della acquamarina è dovuta alla presenza di tracce di Fe3+ negli ottaedri, e a charge transfer tra Fe3+
e il Fe2+ sempre presente nei canali, quest’ultimo invece responsabile di una colorazione blu che non varia
col riscaldamento. Il trattamento termico provoca la riduzione del Fe, rinforzando la tonalità azzurra, ora
più apprezzata commercialmente. Sono state pubblicate diversi articoli e monografie riguardanti materiali
gemmologici, anche in un’ottica collezionistica e museale.
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Il gruppo di ricerca è composto da personale universitario (Fiorenzo Mazzi, professore emerito, Maria
Chiara Domeneghetti e Vittorio Tazzoli, professori ordinari, Franca Caucia, professore associato, Athos
Callegari, Serena Tarantino e Michele Zema, ricercatori, Massimo Boiocchi, tecnico del Centro Grandi Strumenti) e da personale CNR-IGG (Roberta Oberti, dirigente di ricerca, Fernando Camára, primo
ricercatore), oltre ad una unità di personale universitario non strutturato (Matteo Alvaro).
3 Petrologia e geochimica
3.1 Evoluzione della litosfera
Le ricerche hanno lo scopo di definire le caratteristiche composizionali della litosfera profonda e proporre
dei modelli che ne descrivano l’evoluzione nel tempo. In particolare costituiscono oggetto di studio le
sequenze di mantello litosferico e le successioni femiche-ultrafemiche di origine magmatica localizzate
all’interno della crosta. Le ricerche prendono attualmente in esame alcuni importanti casi di studio riferibili
a diversi ambienti tettonici per comprendere: (i) le modificazioni petrochimiche del mantello litosferico
determinate dalla migrazione dei fusi di origine astenosferica (processi di interazione fuso/peridotite), e (ii)
i processi petrogenetici associati alla messa in posto dei fusi mantellici in porzioni profonde e intermedie
della crosta. La ricerca si avvale anche di esperimenti condotti su sistemi sintetici atti a simulare i processi
chimico-fisici che avvengono all’interno della crosta e del mantello litosferico.
L’interpretazione dei processi petrogenetici registrati dalle associazioni femiche-ultrafemiche si basa
comunemente su un approccio multidisciplinare. Le metodologie utilizzate spaziano dall’analisi delle
relazioni microstrutturali (mediante microscopia sia ottica che elettronica) e di terreno, alla determinazione della concentrazione degli elementi maggiori e in tracce nelle rocce e nei minerali mediante SIMS e
LA-ICPMS, fino alla definizione delle composizioni isotopiche di Nd, Sr, Hf e O e delle età mediante
metodi radiometrici. Alcune determinazioni di rapporti isotopici effettuate in situ sono condotte mediante
l’utilizzo della microsonda laser accoppiata a ICPMS. Questa tecnica analitica consente di: (i) valutare
le variazioni degli elementi in traccia nei minerali in funzione delle loro caratteristiche microstrutturali,
e (ii) definire la cronologia assoluta delle rocce, mediante determinazioni isotopiche U-Pb su minerali
comunemente presenti in quantità accessorie, come zircone, monazite, baddeleyite e titanite.
Le ricerche prendono in esame le modificazioni del mantello litosferico nel corso dei processi di rifting
e oceanizzazione, considerando le sequenze mantelliche e crostali riferibili al bacino oceanico “LigurePiemontese”, la cui apertura data al Giurassico Medio. Queste sequenze “ofiolitiche” sono attualmente
esposte nelle Alpi Occidentali-Centrali, Appennino e Corsica. Gli studi hanno mostrato come gran parte
di queste associazioni “ofiolitiche” siano riferibili a domini pericontinentali del bacino, simili all’attuale
zona di transizione oceano-continente del Margine Iberico occidentale. I settori intra-oceanici di questo
bacino potrebbero essere rappresentati dalle sequenze “ofiolitiche” affioranti nella Liguria orientale. Queste sequenze mostrano caratteri litostratigrafici, strutturali, petrologici e geochimici del tutto simili a quelli
delle moderne dorsali medio-oceaniche a bassa velocità di espansione, come la dorsale Medio-Atlantica.
Queste ricerche hanno consentito di formulare un modello geodinamico per l’apertura del bacino oceanico
“Ligure-Piemontese”.
Oltre agli analoghi fossili, le ricerche prendono in esame le attuali Dorsali Medio-Oceaniche al fine
di: i) comprendere le eterogeneità nella struttura termica e nella composizione del mantello sottostante;
ii) chiarire i processi di fusione parziale del mantello e l’accoppiamento geochimico tra mantello e crosta
in porzioni di dorsali con caratteristiche contrastanti, cioè dorsali “calde” (Dorsale Medio-Atlantica meridionale) e dorsali “fredde” (Dorsale Medio-Atlantica equatoriale); iii) valutare l’importanza del contenuto
di H2 O nei processi di fusione parziale del mantello suboceanico e nella formazione della crosta, particolarmente nelle aree influenzate da mantle plumes; iv) identificare le variazioni temporali nei processi di
formazione della litosfera in un singolo segmento di dorsale.
Ulteriori ricerche hanno per oggetto la composizione e le modalità di migrazione dei fusi e fluidi che
interagiscono con settori di mantle wedge e la dinamica dei processi di erosione termochimica del mantello
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litosferico continentale in sistemi distensivi e/o per interazione con mantle plumes. Lo studio dei processi
di mantello in contesti soprasubduttivi prende in esame alcune aree e situazioni chiave: i) il vasto areale
della Patagonia, ove tre differenti zolle di litosfera oceanica del Pacifico Meridionale sprofondano al di sotto della litosfera continentale sudamericana; ii) la subduzione intra-oceanica descritta dal sistema di fosse
e archi insulari Izu-Bonin-Marianne, e iii) il caso del mantello litosferico del Bacino Carpato-Pannonico,
attualmente in fase distensiva, ma posto in contesto di soprasubduzione durante il Cenozoico. La dinamica
dei processi di erosione termochimica del mantello litosferico viene invece ricostruita grazie alle informazioni microstrutturali e chimiche ottenute dallo studio di xenoliti mantellici inclusi in lave alcaline di
diversa provenienza (Atlante Medio, Isole Svalbard, Nord-Est del Brasile).
Altre indagini hanno per oggetto le sequenze gabbriche di età Tardo Paleozoica che si sono messe in
posto nella crosta continentale in estensione in seguito al collasso dell’orogene Varisico e che affiorano
attualmente nelle Alpi Occidentali-Centrali, nell’Appennino settentrionale e in Corsica. Queste sequenze
sono correlate agli stadi tardivi di un ciclo orogenico, successivi alla collisione continentale. Gli studi effettuati hanno permesso di stabilire che tali sequenze gabbriche derivano da fusi genitori di origine
astenosferica, analoghi per composizione chimica ai basalti che delle attuali dorsali medio-oceaniche.
Tra i temi di ricerca affrontati figura anche la Terra Vittoria Settentrionale (Antartide), ed in particolare
le sequenze femiche-ultrafemiche riferibili al margine continentale attivo d’età Cambriana, campionate
nel corso di una spedizione finanziata dal Progetto Nazionale Ricerche in Antartide. Le ricerche hanno
permesso di riferirne la genesi all’intrusione di fusi a composizione andesitica durante lo sviluppo di un
bacino embrionale di retro-arco.
Parte delle ricerche è stata volta alla comprensione della petrogenesi delle sequenze femiche ed ultrafemiche legate all’orogenesi alpina al fine di meglio comprendere l’evoluzione geodinamica Eocenica/Oligocenica dell’area Mediterranea. Sono state studiate le rocce gabbriche ricche in anfibolo appartenenti a due dei maggiori corpi intrusivi affioranti lungo il Lineamento Periadriatico: il batolite dell’Adamello ed il plutone del Valmasino Bregaglia. I risultati della ricerca hanno evidenziato come le sorgenti
mantelliche dei magmi prodotti durante le prime fasi della subduzione alpina siano state contaminate da
fusi con una forte componente sedimentaria proveniente dalla litosfera subdotta. La geocronologia U-Pb
su zircone ha confermato le età di 40 Ma presenti in letteratura per i corpi intrusivi dell’Adamello meridionale, consentendo peraltro di stabilire come i fusi femici di origine mantellica abbiano assimilato
intrusioni precedenti sempre di età alpina, ma significativamente più vecchi (> 50 Ma). Questo studio ha
di fatto dimostrato l’esistenza di una attività magmatica coeva alla subduzione di litosfera oceanica durante
l’Orogenesi Alpina di cui fino ad ora non si erano osservate le tracce.
3.2 Petrologia dei processi metamorfici di alta pressione
Questa linea di ricerca si propone di determinare i percorsi P-T-t (pressione-temperatura-tempo) di alcune
porzioni di unità tettoniche delle Alpi, utilizzando e integrando gli strumenti della geologia strutturale e
della petrologia. La determinazione di percorsi P-T affidabili permette infatti la comprensione dei meccanismi che hanno portato alla formazione delle grandi strutture geologiche. L’interesse è soprattutto rivolto
allo studio di porzioni di alcune unità delle Alpi (Austroalpino, Pennidico), che preservano evidenze dell’evoluzione Alpina di alta pressione. Queste unità sono sia di origine continentale (zona Sesia-Lanzo)
che oceanica (Gruppo di Voltri, Monviso, Zona Zermatt-Saas). Lo studio dell’evoluzione metamorfica
di queste rocce e dei meccanismi che hanno portato alla formazione delle paragenesi di alta pressione,
permette di valutare i processi che agiscono nelle zone di subduzione. Tali ricerche si avvalgono delle
metodologie di indagine proprie della geologia strutturale per l’interpretazione di unità polimetamorfiche
complesse, di tecniche petrologiche “classiche” (studio delle microstrutture mediante microscopio ottico e
SEM, e di analisi chimiche per determinare la composizione di rocce e minerali. Si fa inoltre ricorso ad una
modellizzazione termodinamica (THERMOCALC) delle associazioni mineralogiche metamorfiche all’equilibrio che permette, attraverso il calcolo di griglie petrogenetiche, una maggiore precisione e versatilità
nel determinare l’evoluzione delle rocce metamorfiche. Unitamente ai metodi della petrologia classica, tale
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approccio ha consentito di valutare il ruolo svolto dai fluidi nel preservare le diverse associazioni mineralogiche durante evoluzioni metamorfiche complesse. Casi specifici di applicazione comprendono le Alpi,
il Massiccio Armoricano, il Namaqualand e la catena del Limpopo (sud Africa).
Nell’ambito di questo tema di ricerca vengono inoltre presi in esame i problemi legati alla rappresentazione cartografica di unità polimetamorfiche per giungere alla formulazione di nuove soluzioni che
consentano un aggiornamento della cartografia geologica, avvalendosi di un approccio multidisciplinare
che consideri i risultati di studi geologico-strutturali e petrografici, sia alla meso che alla micro scala.
3.3 Determinazione sperimentale dei coefficienti di distribuzione solido/liquido
Gli studi condotti su sistemi sperimentali hanno principalmente preso in esame i meccanismi che controllano l’incorporazione degli elementi in tracce (LILE, REE, HFSE, U, Th e Pb) nei principali minerali
di interesse petrogenetico, quali olivine, clinopirosseni, anfiboli, oltre ad alcune fasi accessorie (rutilo,
titanite) di interesse per l’incorporazione selettiva di alcuni traccianti geochimici (ad es. HFSE) o di elementi impiegati a fini geocronologici (U, Th). Studi analoghi sono stati eseguiti su campioni naturali per
definire il partizionamento degli elementi in tracce tra clinopirosseni e lave di composizione trachiticatrachifonolitica. I coefficienti di distribuzione ottenuti sperimentalmente o su sistemi naturali sono trattati
secondo i recenti modelli di deformazione elastica, e discussi sulla base dei dati cristallografici ottenuti sui
singoli minerali mediante raffinamento a raggi X.
3.4 Sistemi vulcanici attivi: genesi ed evoluzione dei magmi e monitoraggio dell’attività
Lo studio di inclusioni vetrose intrappolate nei fenocristalli e di ceneri emesse durante l’attività piroclastica
fornisce preziose informazioni sull’origine dei magmi e sulla loro evoluzione nei sistemi di alimentazione.
I traccianti geochimici (elementi in tracce e rapporti isotopici), ottenuti in situ mediante tecniche SIMS e
LA-ICPMS, consentono di formulare modelli della dinamica eruttiva, costituendo di fatto un importante
sistema di monitoraggio petrologico-geochimico dell’attività vulcanica. Studi di dettaglio sono attualmente
in corso sulle inclusioni vetrose e sui prodotti piroclastici delle principali strutture vulcaniche dell’area sudtirrenica (Campi Flegrei, Vesuvio, Vulcano, Stromboli, Etna). Ulteriori ricerche hanno per oggetto la crosta
oceanica islandese nel campo geotermico di Reykjanes (Islanda Sud Occidentale).
Il gruppo di ricerca comprende personale strutturato universitario (Riccardo Vannucci, professore ordinario, Riccardo Tribuzio, professore associato, Gisella Rebay, ricercatore confermato) e personale CNRIGG (Luisa Ottolini e Alberto Zanetti, primi ricercatori, Massimo Tiepolo, ricercatore), oltre a personale non strutturato universitario (Maria Rosaria Renna, assegnista, Fabio Garzetti e Alessio Sanfilippo,
dottorandi) e CNR-IGG (Antonio Langone e Nicola Raffone, assegnisti).
4 Geochimica applicata
La geochimica applicata si propone di valutare e quantificare, utilizzando traccianti chimici ed isotopici
naturali, gli scambi tra fasi solide, liquide e gassose. L’obiettivo è quello di giungere alla formulazione di
modelli che descrivano adeguatamente il comportamento geochimico ed idrogeologico dei sistemi esaminati, in modo da differenziare l’evoluzione geochimica naturale dalla sua perturbazione antropica, fornendo
altresì una valutazione quantitativa degli effetti ormai largamente diffusi dell’inquinamento ambientale. Le
ricerche riguardano essenzialmente i processi che avvengono nella zona non satura, in ambiente acquatico
superficiale e nelle acque sotterranee. Oggetto di indagine sono pertanto i comparti ambientali del suolo,
le acque e la vegetazione, nonché gli scambi che tra questi intercorrono, con particolare riferimento alla
dinamica degli inquinanti inorganici. I principali temi di ricerca sono qui di seguito brevemente illustrati:
a) Idrogeochimica degli acquiferi padani, rapporti acque superficiali-acque profonde, vulnerabilità e
fenomeni di contaminazione; ricorrendo a tecniche geochimiche ed isotopiche, vengono valutati i rapporti
tra falde superficiali e profonde, i meccanismi di movimento, mescolamento e risalita, anche al fine di
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evidenziare i fenomeni di “inquinamento naturale”. In particolare viene affrontata la tematica della risalita
delle salamoie di base in relazione all’assetto tettonico del fronte appenninico padano. L’idrogeochimica e
la geochimica isotopica sono proposti come strumenti di gestione della risorsa idrica sotterranea. Tramite
tecniche isotopiche viene indagata l’origine e la distribuzione dei composti azotati per la messa in evidenza
di fenomeni di inquinamento puntuale o diffuso e dei fenomeni di denitrificazione.
b) Eutrofizzazione e tasso di sedimentazione nei laghi; tramite il monitoraggio chimico ed isotopico
delle acque e dei sedimenti lacustri si ottiene la descrizione dell’evoluzione stagionale e la valutazione del
bilancio di massa dell’acqua e dei nutrienti. Inoltre, con la datazione dei sedimenti lacustri, è possibile determinare i tassi di sedimentazione ed ottenere la ricostruzione cronologica degli eventi di contaminazione
antropica (metalli e nutrienti).
c) Studio delle acque a chimismo anomalo e modellizzazione dell’interazione acqua-roccia; questa tematica riguarda l’origine del chimismo anomalo di alcune acque sotterranee (Valle Orco, Monferrato, Monte
Argentario, Sardegna, Appennino romagnolo e centrale) e la loro circolazione in relazione alla sismicità
ed all’assetto tettonico-strutturale dell’area. In quest’ambito vengono esaminati i problemi connessi allo
stoccaggio dei rifiuti radioattivi in rocce granitiche ed argillose.
d) Analisi delle contaminazioni da metalli pesanti nei suoli; ha per oggetto la contaminazione da metalli
a livello regionale e i fattori geologici e di uso del suolo che ne influenzano la distribuzione territoriale.
Si avvale di metodi statistici avanzati e di sistemi informativi territoriali (GIS) per evidenziare le sorgenti
di inquinamento. Prende inoltre in esame le forme chimiche dei metalli in suoli ed acque per valutarne la
velocità di migrazione, di trasferimento verso le acque superficiali e sotterranee e di uptake da parte della
vegetazione.
Le metodologie analitiche utilizzate sono quelle che permettono la caratterizzazione chimica ed isotopica delle diverse matrici indagate. Si fa in particolare ricorso a: i) cromatografia ionica, spettrofotometria ad
assorbimento atomico, colorimetria, titolazioni complessometriche e spettrometria di emissione mediante
sorgente a plasma ad accoppiamento induttivo (ICP-OES) per l’analisi dei costituenti maggiori ed in traccia nella fase liquida ed in quella solida (previa messa in soluzione), ii) diffrattometria a raggi X su polveri,
microscopia ottica (anche per l’osservazione di inclusioni fluide) e microscopia elettronica (SEM-EDS)
per la caratterizzazione chimico-fisica e mineralogica di campioni solidi (suoli e rocce), iii) spettrometria
di massa per le analisi isotopiche di 2 H, 18 O, 13 C, 15 N su fasi solide, liquide, composti in soluzione, materia organica. Viene inoltre impiegata la tecnica LA-ICPMS per il monitoraggio ambientale e per l’analisi
elementare del tenore di metalli negli anelli di accrescimento degli alberi.
I risultati recentemente ottenuti nell’ambito dei progetti di ricerca finanziati hanno consentito di:
- individuare l’origine dei nitrati disciolti nelle acque sotterranee delle province di Novara, Alessandria e
Pavia, provenienti non dall’applicazione di reflui zootecnici; come generalmente ritenuto, ma dall’utilizzo
eccessivo di fertilizzanti minerali;
- determinare il tenore di fondo naturale di metalli pesanti nei suoli agricoli lombardi, individuando le
aree caratterizzate da concentrazioni anomale e definendo l’origine naturale o antropica (in particolare uso
di pesticidi, traffico veicolare ed impiego di fanghi di depurazione) di queste ultime;
- elaborare una proposta per la realizzazione di una cartografia geochimica nazionale, in particolare per
quanto riguarda i tenori in metalli pesanti dei suoli, sia in aree naturali che minerarie o agricole, e la loro
biodisponibilità;
- valutare l’origine, la dinamica stagionale e la ricostruzione cronologica dell’apporto di nutrienti e
metalli pesanti in un piccolo lago alpino piemontese (lago Sirio), anche al fine di proporre interventi di
ripristino ambientale della qualità delle acque;
- valutare gli effetti della pratica agricola di sommersione dei terreni sulla qualità delle acque della falda superficiale nel settore lomellino della Provincia di Pavia, in particolare per quanto riguarda la
contaminazione da nitrati e metalli pesanti delle acque.
Al momento il gruppo di ricerca consta di una unità di personale universitario strutturato (Elisa Sacchi,
ricercatore) oltre a personale non strutturato sia universitario (Cecilia Danesino, dottoranda) che del CNR
(Carlo Andrea Delconte, assegnista CNR-IGG); si avvale inoltre di consolidate collaborazioni con studiosi
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di altri settori (idrogeologi, agronomi, biologi), altri Enti di Ricerca (CNR-IGG, CNR-IRSA, Università
di Torino, ERSAF Lombardia, IPLA) ed altre figure professionali o societarie (ISO4 s.s., BPB Italia, SEA
Consult).
5 Laboratori analitici di particolare rilevanza
5.1 Laboratorio di diffrattometria a raggi X
Il laboratorio conta su diversi strumenti per l’analisi diffrattometrica a raggi X, in gran parte proprietà di
CNR-IGG, oltre che su attrezzature per la preparazione dei campioni di roccia, la selezione dei cristalli e il
controllo della loro qualità (microscopia ottica in luce polarizzata). Inoltre, due forni dotati di supporto a
L per utilizzo sia in orizzontale che in verticale permettono la sintesi (o il riscaldamento di campioni) fino
a 1500 ˚C anche in atmosfera controllata mediante flusso di gas.
Un diffrattometro Bruker-AXS SMART-APEX consente la raccolta veloce di dati di diffrazione mediante un rivelatore ad area tipo CCD. La sorgente di raggi X è un tubo sigillato di 2kW con anodo di molibdeno. Il rivelatore ad area permette inoltre lo studio 3D degli effetti di diffrazione, rilevante per identificare e
risolvere problemi cristallografici particolari come ad esempio le geminazioni e le modulazioni.
Tre diffrattometri automatici a cristallo-singolo Philips PW1100, guidati da un software (FEBO) sviluppato in casa per rendere più veloci e accurate le procedure di analisi diffrattometrica e di raccolta dati,
ed equipaggiati con tubi sigillati di 2 KW con anodo di molibdeno, vengono utilizzati per le raccolte di
routine e la misura precisa dei parametri di cella. Un diffrattometro per polveri Philips PW1800, che ha
come sorgente un tubo sigillato con anodo di rame, viene utilizzato per attività di ricerca e di servizio, quali
l’analisi dei calcoli urinari e l’identificazione delle fasi e dei polimorfi in sostanze organiche di sintesi di
interesse farmacologico.
Gli studi in condizioni non ambientali su cristallo singolo possono venire effettuati ex situ mediante
2 forni verticali che permettono di raggiungere temperature fino a 1100˚C e di raffreddare velocemente il
cristallo (quenching) per bloccare l’ordinamento cationico alla temperatura di lavoro. Per gli studi in situ, si
utilizza un dispositivo di riscaldamento disegnato per i goniometri Philips PW1100, e guidato da un sistema
che permette il riscaldamento per tempi e temperature controllate fino a 1100˚C, e l’analisi diffrattometrica
con risoluzione angolare fino a 2 θ = 58˚. Peculiarità del laboratorio è la capacità di accoppiare alla misure
di espansività (variazione dei lati della cella elementare in funzione di T) l’analisi cristallochimica basata
su raffinamenti strutturali condotti ad alta temperatura. In questo modo si ottengono modelli dettagliati
delle variazioni di ordinamento cationico e dei meccanismi strutturali che determinano o permettono la
dilatazione preferenziale, le transizioni di fase, e i processi di deidrogenazione nei minerali idrati.
Gli studi ad alta pressione vengono effettuati utilizzando due celle ad incudine di diamante (DAC) tipo
ETH, con Pmax ca. 10 GPa, o una cella ad incudine di diamante a membrana, che può essere utilizzata
anche per misure spettroscopiche (Pmax ca. 30 GPa). Per la misura in situ della pressione raggiunta
all’interno delle celle DAC o MDAC viene usato uno spettrometro che sfrutta la fluorescenza del rubino.
Il laboratorio effettua sia un servizio a livello nazionale di ripresa di dati di diffrazione sia attività di
sviluppo metodologico per l’ottimizzazione delle procedure di raccolta ed elaborazione dei dati e per il
raffinamento strutturale di minerali complessi. Un altro punto di forza è la disponibilità di banche dati
cristallochimiche per le principali famiglie di minerali delle rocce, banche dati che vengono al momento
utilizzate per ottenere modelli quantitativi e predittivi delle variazioni strutturali in funzione di chimismo
e temperatura e pressione di cristallizzazione.
Responsabile del laboratorio è Roberta Oberti, coadiuvata da personale tecnico sia CNR-IGG (Roberto
Gastoni) che universitario (Luigi Marinoni). Ulteriori informazioni possono essere assunte al link:
http://www_crystal.unipv.it/labcrist/xrd.HTM.
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5.2 Laboratorio di Spettrometria di Massa a Ioni Secondari (SIMS)
Nato nel 1988 nell’ambito del progetto strategico nazionale “La microsonda ionica per ricerche avanzate
nelle Scienze della Terra” il laboratorio SIMS ubicato nel Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pavia costituisce una delle facilities dell’Unità di Pavia dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse
(IGG) del CNR. La microsonda ionica, del tipo IMS 4f Cameca, è attualmente l’unica in Italia dedicata
alle Scienze della Terra.
+
Nella tecnica SIMS il campione solido è bombardato con un fascio di ioni primari (O− , O+
2 , Cs , ..),
tipicamente nel range 5-20 keV, per produrre lo sputtering di ioni secondari dal campione. Questi ultimi
sono estratti, focalizzati, discriminati in termini di energia e rapporto massa/carica, e rivelati da un moltiplicatore di elettroni o su una Faraday cup. Tale tecnica consente l’analisi di tutti gli elementi della tavola
periodica (da H a U) e la creazione di immagini ioniche. Quest’ultima caratteristica, peculiare nella spettrometria di massa, deriva dalla combinazione di metodi spettrometrici con quelli della microscopia ionica
ad emissione. I limiti di rivelazione della tecnica SIMS, generalmente nel range ppm-ppb, sono risultati di
estremo interesse nelle Scienze della Terra, rivoluzionando di fatto le conoscenze sulla distribuzione degli
elementi in tracce. La tecnica SIMS ha inoltre aperto nuove prospettive nella rivelazione e quantificazione di elementi a basso numero atomico (H, Li, Be, B, C, F, Cl), alcuni dei quali inaccessibili a tecniche
micro-analitiche tradizionali.
La microsonda ionica ha eliminato le lunghe procedure di separazione dei minerali e i trattamenti chimici richiesti dall’analisi con metodi di bulk. Le concentrazioni di molti elementi possono essere determinate
simultaneamente in un unico spot. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di avere informazioni chimiche
sotto stretto controllo petrografico e microstrutturale. La sensibilità della microsonda ionica generalmente
consente di apprezzare i livelli di concentrazione rinvenuti in natura per la maggior parte degli elementi
di interesse geochimico e petrologico. La presenza di effetti di matrice (influenza della composizione e
struttura della matrice sul segnale ionico secondario), nonché la presenza di interferenze negli spettri in
massa a ioni secondari è stata superata con un’attenta opera di calibrazione su matrici diverse.
I principali temi di ricerca del laboratorio possono essere così riassunti:
a) Studio dei meccanismi di ionizzazione e degli effetti di matrice: influenza della composizione chimica, struttura ed orientazione del campione (rispetto al fascio primario) sul prodotto ionico, in una varietà.
Di matrici silicatiche e non. Messa a punto della tecnica per la determinazione quantitativa di elementi a
livello di tracce ed ultratracce (ppm-ppb): Terre Rare (REE), Sc, Ti, V, Cr, Sr, Zr, Y, Ba, Cs, Nb, Rb, Hf,
U, Th, elementi leggeri (Li, Be e B) e volatili (H, F, Cl) in minerali naturali e vetri. Sviluppo di campioni
di riferimento per la micro-analisi (standard di calibrazione).
b) Sviluppo di procedure SIMS per misure quantitative accurate di REE, attinidi, elementi leggeri e
volatili in matrici complesse di interesse nelle Scienze della Terra e dei Materiali (minerali di Terre Rare,
borati,..), dotate di una composizione chimica peculiare per la coesistenza di elevate concentrazioni di Terre
Rare Leggere (LREE), U, Th, e contenuti variabili di H, Li, Be, B e F. Tale contributo è stato fondamentale
nella ridefinizione, nomenclatura e cristallochimica di numerosi minerali.
c) Impiego dei dati analitici SIMS nell’interpretazione geochimica e petrogenetica.
Le applicazioni della tecnica SIMS sono state inoltre estese alla Fisica dello Stato Solido, nell’ambito di
progetti in collaborazione con il Gruppo Nazionale di Struttura della Materia (GNSM) del CNR operante
presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pavia. Attualmente il laboratorio SIMS è impegnato
nello sviluppo di metodologie analitiche per la determinazione di elementi in tracce/minori (in particolare,
H, Li, C) in matrici non silicatiche e di bassissime concentrazioni di H in minerali nominalmente anidri ed
in meteoriti.
Responsabile del laboratorio microsonda ionica è Luisa Ottolini, che si avvale della collaborazione
tecnica di Marco Palenzona e di una unità di personale non strutturato (Nicola Raffone). Dettagliate informazioni sul laboratorio e la sua produzione scientifica sono disponibili al link:
http://www_crystal.unipv.it/sims/Simslab/simslab.HTM.
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5.3 Laboratorio Laser Ablation (LA-ICPMS)
Il laboratorio di microanalisi in ablazione laser – ICPMS si avvale di uno spettrometro di massa a settore
magnetico tipo “Element” (ThermoFisher) associato ad una microsonda laser ad eccimeri (ArF) a 193 nm
e di uno spettrometro di massa con analizzatore a quadrupolo tipo “DRCe” (PerkinElmer) associato ad una
microsonda laser Nd:YAG a 266 nm. Le due strumentazioni, acquisite e installate con fondi provenienti
da CNR, Università e Progetto Nazionale Ricerche in Antartide (PNRA), sono in prevalenza dedicate,
rispettivamente, alla geochronologia U-Th-Pb e alla determinazione di elementi in tracce. Parte integrante
del laboratorio è anche un microscopio elettronico a scansione Jeol JXA840 equipaggiato con un rilevatore
di catodoluminescenza ed un rilevatore EDS per la mappatura e la caratterizzazione dei campioni per le
analisi geocronologiche. Il laboratorio dispone inoltre fornito di un locale adibito alla preparazione dei
campioni (mappatura e lucidatura).
Dall’anno di installazione del primo strumento (1997) ad oggi il laboratorio LA-ICPMS del CNR-IGGPavia ha messo a punto diverse routine analitiche per la determinazione di elementi in tracce e rapporti
U-Th-Pb a fini geocronologici in minerali ricchi in U. La geocronologia U-Th-Pb su zirconi e monaziti è
attualmente l’attività principale del laboratorio e viene applicata a problemi di petrologia ignea e metamorfica in contesti prevalentemente orogenici e di arco (Massiccio Sardo-Corso, Orogene di Ross, Orogene
Alpino). La caratterizzazione geocronologica degli zirconi è stata di recente impiegata con successo unitamente alla petrologia classica per le grandi potenzialità nello studio della genesi ed evoluzione dei magmi
in un più ampio contesto geodinamico. Una parte rilevante dell’attività è dedicata allo svolgimento di un
servizio analitico per la comunità scientifica nazionale ed internazionale. Per la sola comunità scientifica
italiana delle Scienze della Terra il laboratorio produce in media circa 7000 dati all’anno. Recentemente è
stata sviluppata anche una metodologia per la determinazione in situ di elementi leggeri (Li, Be e B) a livello di tracce su matrici silicatiche. Il laboratorio partecipa anche a “round robin” per la caratterizzazione
di materiali di riferimento a livello internazionale.
Presso il laboratorio sono attualmente in corso studi di fattibilità per esplorare le potenzialità dello
strumento nel determinare rapporti isotopici di interesse nell’interpretazione petrogenetica e nelle indagini ambientali. Le prime ricerche sono state condotte sulla sistematica dello Sr determinando rapporti
isotopici 87 Sr/86 Sr su un guscio di bivalve marino recente, caratterizzato in precedenza mediante tecnica
TIMS. La strumentazione consente una buona accuratezza sul rapporto isotopico (circa 0.02%), a fronte
di una precisione (0.1%) che non consente di impiegare il dato nell’interpretazione geologica. La bassa
precisione interna causata dall’acquisizione sequenziale dei segnali viene migliorata filtrando matematicamente il segnale per diminuirne il rumore di fondo. Questo approccio, sebbene consenta un significativo
miglioramento della precisione interna (fino a 0.01%), rende peraltro il dato affetto da una rielaborazione
matematica. I buoni risultati (in termini di accuratezza) ottenuti sul bivalve marino e i promettenti dati
ottenuti su plagioclasi confermano la sostanziale bontà del metodo sviluppato e dell’approccio impiegato
per la correzione delle interferenze del Rb; le ricerche condotte indicano inoltre che risultati eccellenti potrebbero essere ottenuti impiegando una strumentazione di nuova generazione dotata di collettore multiplo,
più specificamente concepita per la determinazione di rapporti isotopici. Attualmente vengono effettuati
test per valutare l’impiego della strumentazione nella determinazione dei rapporti isotopici del Pb in vetri
vulcanici e dell’Hf in zirconi.
Responsabile del laboratorio LA-ICPMS è Massimo Tiepolo, coadiuvato da una unità di personale non
strutturato (Antonio Langone) e da una unità di personale tecnico (Marco Palenzona, tecnico elettronico,
CNR-IGG). Ulteriori informazioni sul laboratorio possono essere assunte al link:
http://www_crystal.unipv.it/Home Page.HTM.
Ringraziamenti Un caloroso ringraziamento va a tutti i colleghi della macroarea, sia universitari che CNR, per
aver gentilmente fornito materiale e informazioni utili alla stesura del presente manoscritto. Le ricerche descritte nel
presente lavoro non sarebbero state possibili senza i contributi finanziari erogati a vario titolo dal MIUR, dal CNR, dal
PNRA e dall’Università di Pavia.
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