Marco Aime Condividere offline e condividere online

Marco Aime
Condividere offline e condividere online. Quali relazioni?
Introduzione al tema della quinta edizione dei Dialoghi:
“Condividere il mondo. Per un’ecologia dei beni comuni”
Incontro con gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado
lunedì 31 marzo 2014 ore 11.00 - Teatro Manzoni, Pistoia
Marco Aime insegna Antropologia culturale presso l’Università di Genova. È consulente
del programma di Pistoia - Dialoghi sull’uomo, festival di antropologia e sociologia del
contemporaneo. Ha condotto ricerche sulle Alpi e in Africa Occidentale (Benin, Burkina
Faso, Camerun, Mali, Togo). Collabora con La Stampa. Oltre a numerosi articoli scientifici,
ha pubblicato saggi, testi di narrativa e favole per ragazzi, tra i quali: Le radici nella sabbia
(EDT, 1999 e maggio 2013); La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009); Eccessi di
culture (2004), Il primo libro di antropologia (2008), Il dono al tempo di Internet (con A.
Cossetta, 2010), L’altro e l’altrove (con D. Papotti, 2012) per Einaudi; Verdi tribù del Nord
(Laterza, 2012); African graffiti (Stampa alternativa, 2012); Diario Dogon (2000), La casa
di nessuno (2002), L’incontro mancato (2005), Gli specchi di Gulliver (2006), Timbuctu
(2008), Il diverso come icona del male (con E. Severino, 2009), Gli uccelli della solitudine
(2010), Cultura (2013) per Bollati Boringhieri; All’Avogadro si cominciava a ottobre.
Autobiografia di un quinquennio (Agenzia X, 2014).
L’idea di fondo al tema della quinta edizione dei Dialoghi è che viviamo un tempo in cui, un
po’ per necessità, un po’ per virtù, il “condividere” torna a essere una pratica e un’idea
molto diffusa, dopo decenni di idealizzazione del consumo e del possesso individuale. La
società occidentale moderna ha via via estromesso dalle categorie giuridiche e politiche i
beni comuni, riducendo a due le parti in causa: la proprietà privata e quella pubblica. In
realtà i beni comuni sono stati per lungo tempo, per quanto riguarda l’Europa, uno dei
pilastri delle società agro-pastorali. Così come continuano a essere fondamentali nella vita
di moltissime comunità di interesse etnografico. Beni comuni come entità tangibili, ma
anche immateriali, che possono definire il senso di appartenenza a un territorio o a una
comunità. Beni comuni o meglio condivisi che nel dibattito più attuale sono ritornati a
essere centrali, nell’ottica di una nuova forma di economia e di democrazia, oggi infatti le
pratiche di condivisione sono molte e di fortissima attualità.
“Condivisione” (sharing) è una delle parole più diffuse quando si parla di web 2.0. Un
termine entrato a far parte del lessico della rete, grazie alle importanti innovazioni portate
da questo strumento di comunicazione a partire dagli albori del terzo millennio. Si possono
condividere file musicali, libri, informazioni, ma anche sapere, come nel caso di Wikipedia.
Partiamo da quest’ultimo caso: condividere la conoscenza con il maggior numero di
persone possibile è stato il sogno di moltissime persone, spinte dall’anelito di voler
innalzare il livello spirituale e conoscitivo della comunità umana. Tra questi anche
l’imprenditore statunitense Jimmy Wales che nel 2001, grazie alla collaborazione
dell’esperto di comunicazione in rete Larry Sanger, lancia l’idea di una enciclopedia online, multilingue, redatta da milioni di volontari sparsi in tutto il mondo, senza fini di lucro. È
nata Wikipedia, il cui nome prende spunto dalla parola hawaiana wiki, che significa
“rapido” e che nel linguaggio informatico indica una tecnologia di facile uso, grazie alla
quale, senza particolari conoscenze specifiche, è possibile intervenire e modificare i
contenuti in una pagina pubblicata in rete.
La principale caratteristica di Wikipedia è che chiunque può collaborare alla stesura delle
voci, al loro aggiornamento e alla loro correzione, grazie a un sistema di modifica e di
correzione aperto, la ormai celeberrima piattaforma wiki.
«Wikipedia è praticamente nata come una comunità» ha affermato in più interviste il suo
ideatore, che con questo modello di organizzazione ha spostato le attività di redazione e di
verifica da un centro organizzato alla rete formata da chi voleva collaborare. In questo
modo si è dato vita a una comunità di persone che credono in Wikipedia e che per questo
spendono parte del loro tempo e delle loro competenze per arricchirla e migliorarla. Una
operazione fondata quindi su un diverso approccio politico, che prevede un
capovolgimento dei ruoli, nel senso che si è in qualche modo strappata di mano alle élite
intellettuali l’esclusiva del sapere.
Internet ha rivoluzionato il modo di condividere i file, consentendo una trasmissione rapida
degli stessi senza la necessità di avere particolari conoscenze tecniche. Condividere un
file significa metterlo a disposizione di altri, senza peraltro rinunciare al possesso di quella
canzone, di quel film, o anche di quel libro, di quel software. Si possono scambiare tutti i
tipi di file, ma possiamo affermare con una certa sicurezza che la maggior parte dei file
condivisi è costituita da file musicali o video. L’Italia, in questa pratica, risulta al quarto
posto in Europa, il che significa che siamo un paese di “scaricatori” di file.
Lo scambio di file è molto spesso illegale, ma le motivazioni che spingono le persone a
praticarlo sono diverse: da chi lo fa per il semplice motivo di risparmiare a chi è spinto da
motivazione ideologica e vuole pertanto colpire le grandi multinazionali o, infine, chi lo fa
senza nessun motivo particolare, per curiosità, per sentire una canzone che non avrebbe
comunque mai acquistato, ignorando talvolta anche il fatto che la cosa è proibita dalla
legge.
La parola chiave di queste reti è, appunto, condivisione, un termine che connota in modo
particolare la tipologia di scambio. Infatti, lo scambio tradizionale implica un passaggio di
beni da un soggetto all’altro, con una perdita e un guadagno reciproci. Nello scambiare si
cede qualcosa, in cambio di qualcos’altro. In questo caso, grazie alla riproducibilità
dell’oggetto di scambio, se ne mette a disposizione la proprietà e l’utilizzo, senza venirne
meno. In cambio si ottiene una disponibilità analoga da parte di migliaia di altri membri del
“club”. Inoltre, nello scambio vero e proprio esistono delle equivalenze tra i beni scambiati
e delle regole condivise: lo scambio deve essere chiuso secondo certe modalità e in tempi
stabiliti. Nel caso del peer to peer non esistono invece regole di equivalenza: posso
prendere tutto ciò che è a disposizione e non so quanto verrà condiviso dei miei file. Non
si tratta di transazioni tra due soggetti, ma tra tutti i soggetti, indistintamente, senza che se
ne conosca l’identità. Una sorta di lavoro di gruppo tra sconosciuti, che però sanno di
cooperare in un ambito comune e condiviso.
La condivisione tradizionalmente prevede conoscenza reciproca e solidarietà: la domanda
che possiamo porci, di fronte a queste nuove forme di condivisione, è se danno anch’esse
vita a nuove forme di comunità oppure creano solo legami deboli.