Fabrizio De Andrè
di Nicolò Woodward e Francesco Carriere
Fabrizio De André nasce il 18 febbraio 1940 a Genova (Pegli) in Via De Nicolai 12 da Luisa Amerio e
Giuseppe De André, professore in alcuni istituti privati da lui diretti.
Nella primavera del 1941 il professor De André, antifascista, visto l'aggravarsi della situazione a causa della
guerra, si reca nell'Astigiano alla ricerca di un cascinale ove far rifugiare i propri familiari e acquista nei
pressi di Revignano d'Asti, in strada Calunga, la Cascina dell'Orto ove Fabrizio trascorre parte della propria
infanzia con la madre e il fratello Mauro, maggiore di quattro anni.
Qui il piccolo "Bicio" - come viene soprannominato - impara a conoscere tutti gli aspetti della vita
contadina, integrandosi con le persone del luogo e facendosi benvolere dalle stesse. E' proprio in tale
contesto che cominciano a manifestare i primi segni di interesse per la musica: un giorno la madre lo trova
in piedi su una sedia, con la radio accesa, intento a dirigere un brano sinfonico a mò di direttore
d'orchestra. In effetti, la leggenda narra che si trattasse del "Valzer campestre" del celebre direttore
d'orchestra e compositore Gino Marinuzzi, dal quale, oltre venticinque anni dopo, Fabrizio trarrà ispirazione
per la canzone "Valzer per un amore".
Nel 1945 la famiglia De André torna a Genova, stabilendosi nel nuovo appartamento di Via Trieste 8.
Nell'ottobre del 1946 il piccolo Fabrizio viene iscritto alla scuola elementare presso l'Istituto delle suore
Marcelline, dove inizia a manifestare il suo temperamento ribelle e anticonformista. Gli espliciti segnali di
insofferenza alla disciplina da parte del figlio inducono in seguito i coniugi De André a ritirarlo dalla
struttura privata per iscriverlo in una scuola statale, l'Armando Diaz. Nel 1948, constatata la particolare
predisposizione del figlio, i genitori di Fabrizio, estimatori di musica classica, decidono di fargli studiare il
violino affidandolo alle mani del maestro Gatti, il quale individua subito il talento del giovane allievo.
Nel '51 De André inizia la frequentazione della scuola media Giovanni Pascoli ma una sua bocciatura, in
seconda, fa infuriare il padre in maniera tale che lo demanda, per l'educazione, ai
severissimi gesuiti dell'Arecco. Finirà poi le medie al Palazzi. Nel 1954, sul piano musicale, affronta anche lo
studio della chitarra con il maestro colombiano Alex Giraldo.
È dell'anno dopo la prima esibizione in pubblico a uno spettacolo di beneficenza organizzato al Teatro Carlo
Felice dall'Auxilium di Genova. Il suo primo gruppo suona genere country e western, girando per club
privati e feste ma Fabrizio si avvicina poco dopo alla musica jazz e, nel '56, scopre la canzone francese
nonché quella trobadorica medievale.
Di ritorno dalla Francia il padre gli porta in regalo due 78 giri di Georges Brassens del quale il musicista in
erba inizia a tradurne alcuni testi. Seguono gli studi ginnasiali, liceali ed infine universitari (facoltà di
giurisprudenza), interrotti a sei esami dalla fine. Il suo primo disco esce nel '58 (l'ormai dimenticato singolo
"Nuvole barocche"), seguito da altri episodi a 45 giri, ma la svolta artistica matura diversi anni dopo,
quando Mina gli incide "La Canzone di Marinella", che si trasforma in un grande successo.
Tra i suoi amici di allora ci sono Gino Paoli, Luigi Tenco, Paolo Villaggio. Nel 1962 sposa Enrica Rignon e
nasce il figlio Cristiano.
Sono i modelli americani e francesi del tempo a stregare il giovane cantautore che s'accompagna con
la chitarra acustica, che si batte contro l'ipocrisia bigotta e le convenzioni borghesi imperanti, in brani
diventati poi storici come "La Guerra di Piero", "Bocca di Rosa", "Via del Campo". Seguirono altri album,
accolti con entusiasmo da un pugno di cultori ma passati sotto silenzio dalla critica. Così come la stessa
sorte segnò album stupendi come "La buona novella" (del 1970, una rilettura dei vangeli apocrifi), e "Non al
denaro né all'amore né al cielo", l'adattamento dell'Antologia di Spoon River, firmato insieme
con Fernanda Pivano, senza dimenticare "Storia di un impiegato" profondo lavoro di marca pacifista.
Solo dal 1975 De André, schivo e taciturno, accetta di esibirsi in tour. Nel 1977 nasce Luvi, la seconda figlia
dalla compagna Dori Ghezzi. Proprio la bionda cantante e De André vengono rapiti dall'anonima sarda, nella
loro villa di Tempio Pausania nel 1979. Il sequestro dura quattro mesi e porta alla realizzazione
dell'"Indiano" nel 1981 dove la cultura sarda dei pastori viene accostata a quella dei nativi d'America. La
consacrazione internazionale arriva con "Creuza de ma", nel 1984 dove il dialetto ligure e l'atmosfera
sonora mediterranea raccontano odori, personaggi e storie di porto. Il disco segna una pietra miliare per
l'allora nascente world music italiana ed e' premiato dalla critica come miglior album dell'anno e del
decennio.
. Nel 1988 sposa la compagna Dori Ghezzi, e nel 1989 intraprende una collaborazione con Ivano Fossati (da
cui nascono brani come "Questi posti davanti al mare"). Nel 1990 pubblica "Le nuvole", grande successo di
vendite e di critica, che è accompagnato da un tour trionfale. Segue l'album live del '91 e il tour teatrale del
1992, poi un silenzio di quattro anni, interrotto solo nel 1996, quando torna sul mercato discografico con
"Anime Salve", altro disco molto amato dalla critica e dal pubblico.
L'11 gennaio 1999 Fabrizio De André muore a Milano, stroncato da un male incurabile. I suoi funerali si
svolgono il 13 gennaio a Genova alla presenza di oltre diecimila persone.
I temi centrali che emergono dalle canzoni di De André sono:
- il rapporto con la campagna, dove visse a lungo da piccolo e dove volle tornare, con enorme sperpero di
denaro, con la tenuta in Sardegna;
- il conflitto con l'ambiente borghese incarnato soprattutto nella figura del padre e che determina il
ribellismo giovanile, mai superato, almeno ideologicamente, nelle fasi successive;
- la ricerca dell'emarginazione, vista come un'esclusione totale, assoluta dalla società, dalle convenzioni
dominanti. De André non è mai stato interessato al movimento reale che trasformava la realtà, ma
piuttosto alle figure, apparentemente senza tempo, che restano ai margini di questa lotta, spesso
benevolmente, ma che non vi possono proprio partecipare. Per lui il punto sociale più lontano possibile
dalla famiglia e dalla classe dominante non era un partito rivoluzionario ma una bettola o la camera di una
prostituta. Canta delle rivoluzioni a rivoluzioni finite, mostra pietà per gli umili, ma presi uno ad uno; il
marginale è in De André una figura quasi primitiva che sola, conserva la purezza originaria nelle diverse fasi
di sviluppo attraversate dall'uomo;
- il disprezzo per le opinioni dominanti che, negli anni '70, erano spesso opinioni di sinistra persino nei
circoli borghesi frequentati da De André.
Da tutti questi fattori è facile capire perché De André si sia ben presto orientato all'anarchismo
individualista, che si prestava benissimo a non rompere con nessuna delle componenti della propria
esistenza. Da un lato, infatti, il borghese è, nella sua essenza, un anarchico, che concepisce tutto ciò che lo
limita come qualcosa da accettare a malincuore per salvarsi la pelle magari dai suoi operai. Inoltre il padre
era un avversario diretto del Pci. Dall'altro, il sottoproletario è per sua natura sociale anarchico. Tutti questi
soggetti non hanno nessun progetto di trasformazione sociale, al contrario, per ragioni diverse, rimangono
aggrappati all'esistente, per quanto ne riprovino questo o quell'aspetto;
Il rapporto con la religione è molto complesso. La famiglia era senz'altro laica e il padre proprio
anticlericale. Tuttavia De André trova nella figura mitologica di Gesù una fonte, un'autorità morale che
ovviamente la chiesa non ha. Mentre sbeffeggia senza ritegno la morale religiosa, il comportamento dei
preti ecc., Gesù rimane per lui un simbolo fantastico e l'unico sbocco rivoluzionario per la propria poetica.
Sotto il profilo poetico, possiamo evidenziare alcuni aspetti centrali che si riportano di seguito.
La capacità “pittorica” di rappresentare una scena, una situazione con poche parole estremamente precise.
In questo De André non ha davvero rivali e rende le sue composizioni assolutamente riconoscibili e sempre
speciali.
Nelle canzoni c'è sempre una morale, che spesso emerge con sarcasmo, e che si sintetizza in un
rovesciamento dell'ordine costituito o almeno nella sua presa in giro. I rappresentanti di questo ordine
costituito (poliziotti, giudici, nobili, ma anche vecchie di paese) vengono coinvolti in una storia da cui
escono male. Non si tratta mai di cose che mutano a fondo la situazione, sono esplosioni che rientrano
subito.
Il pessimismo: l'atmosfera cupa, la tristezza sono tratti di quasi tutta l'opera di De André. Qualcuno
vorrebbe addossare questi tratti all'alcol. In realtà è proprio il contrario, i decenni in cui De André fu
alcolista derivarono da una situazione psicologica, mentale che c'era prima e che ha causato gli stravizi, non
ne è certo stato l'effetto; comunque il bere lo ha aiutato a scrivere più e meglio. Non si comprende il
contenuto delle sue canzoni senza far riferimento all'alcolismo, che ha prodotto gli aspetti onirici e
metafisici della produzione.
Un uso molto attento della musica. Non c'è niente di più scontato e disarmante della sciatteria con cui la
maggior parte dei cantautori compone o si fa comporre la musica. Il solo fatto di considerarsi dei geni
letterari, di ritenere le proprie parole potenti ed espressive, li dovrebbe esentare, almeno così pensano,
dall'avere della musica decente. Questa sdoppiatura, che in altri generi riguarda invece la parola
(altrettanto sciatta), rovina naturalmente anche la veicolazione della parola. La “Divina Commedia” si può
facilmente mettere in musica, ma si ascolta piacevolmente declamata senza musica perché è stata pensata
per essere indipendente da un tessuto sonoro. Molte canzoni di De André si leggono senza musica e danno
molto lo stesso, ma la musica è sempre strettamente incorporata in esse, sembra emergere dalle parole e
queste da quella. Grazie a questo connubio la musica si è evoluta nel tempo restando sempre
all'avanguardia ed ha permesso diverse varianti (si pensi ai dischi con la PFM).
L'uso della voce. La voce di De André non è solo particolare ma particolarmente connessa con il suo genere
di musica.
Per questo quando qualcuno canta le sue canzoni, al massimo riesce a esprimere un piano poetico laddove
l'autore esprimeva un'intera serie di piani, un mondo intero di sensazioni e di messaggi che vengono
drasticamente ridotti.
Non a caso lo definisce “l'unico vero rivoluzionario della storia”, e poiché non si tratta di una figura storica
ma mitica, se ne desume che non esistono rivoluzionari della storia, chiudendo coerentemente il discorso
ideologico dell'artista. Così De André può dire di ritenersi molto religioso nel senso del più classico e
superficiale panteismo della ragion sufficiente (mi sento parte di un tutto che deve avere una logica).