A12
256
Ivana Vecchio Cairone
Introduzione alla storia
e sistemi dei rapporti
tra Stato e Chiesa
I sistemi unionisti
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
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ISBN
978–88–548–2606-9
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 2009
Indice
Premessa ...........................................................................................................
7
Capitolo I
RELIGIONI CIVILI E CRISTIANESIMO
1.
2.
3.
4.
5.
Il Cristianesimo separa l’uomo nel mondo e dal mondo . .........................
Le religioni nel mondo antico: le ierocrazie orientali e la religione di Stato greco–romana .........................................................................
Impero romano, religioni nazionali e tolleranza religiosa ........................
Dal nazionalismo ebraico all’universalismo cristiano ..............................
La dimensione istituzionale del cristianesimo: le origini .........................
11
13
15
18
21
Capitolo II
DAL PAGANESIMO DI STATO ALL’UNIONE
TRA IMPERO ROMANO E CRISTIANESIMO
1.
2.
3.
4.
Cristianesimo e autorità politica ...............................................................
1.1. Il dualismo cristiano ........................................................................
1.2. Il legittimismo cristiano ..................................................................
Tolleranza pagana, legittimismo cristiano e repressione ..........................
Gli editti imperiali di persecuzione del cristianesimo ..............................
Verso la cristianizzazione dell’impero .....................................................
4.1. La fase di transizione: l’editto di Milano del 313 ...........................
4.2. Dio e Cesare: il cristianesimo e l’impero romano cristiano ............
25
25
27
27
30
33
35
37
Capitolo III
DALL’IMPERO ROMANO CRISTIANO AL SACRO ROMANO IMPERO
1.
2.
3.
I barbari e Roma: la fine dell’Impero Romano d’Occidente ...................
Le risorse istituzionali del cristianesimo e i nuovi signori .......................
2.1. Il processo di evangelizzazione delle stirpi barbariche ..................
2.2. L’incoronazione di Carlo Magno a imperatore dei Romani ............
Il processo di sviluppo del primato pontificio ..........................................
3.1. Espansionismo islamico e Chiesa d’Oriente ...................................
5
43
46
49
52
55
57
6
4.
Indice
Il cesaropapismo d’Occidente: i fondamenti ideologici unitari ...............
4.1. Distinzione strutturale e commistione funzionale
fra autorità temporale e autorità spirituale ....................................
61
63
Capitolo IV
DAL PROCESSO DI FEUDALIZZAZIONE DELLA CHIESA
ALLA RESPUBLICA CHRISTIANA
1.
2.
3.
4.
5.
Monarchia carolingia e cristianesimo: i fini politici ................................
1.1. L’infeudamento dell’organizzazione ecclesiastica .........................
Laicizzazione delle istituzioni ecclesiastiche e decadenza
del Papato nel secolo oscuro ....................................................................
I papi tedeschi. Leone IX e la separazione tra Chiesa di Roma
e Chiesa di Costantinopoli ........................................................................
Verso l’affermazione dell’autonomia del papato: i fondamenti
ideologici e le prime basi istituzionali ......................................................
4.1. Gregorio VII e il primato pontificio ................................................
4.2. Le 27 proposizioni del Dictatus Papae ...........................................
La Respublica Christiana medievale .......................................................
5.1. Primato pontificio e organizzazione ecclesiastica ..........................
5.2. La potestas directa in temporalibus .................................................
67
69
5.2.1. Dualismo cristiano, legittimismo cristiano e scomunica ...................
91
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78
81
84
86
86
89
Capitolo V
TEORIA E PRATICA DELLE ISTANZE EGEMONICHE DEL PAPATO
NELLA RESPUBLICA CHRISTIANA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Gregorio VII e il secolo della riforma ......................................................
1.1. La ripresa economica .....................................................................
1.2. Il risveglio della coscienza religiosa ..............................................
La lotta per le investiture ..........................................................................
2.1. Il Concordato di Worms del 1122 ...................................................
Le istanze egemoniche del papato: i punti di forza ..................................
3.1. L’accumulazione proprietaria ........................................................
3.2. La rete istituzionale .........................................................................
3.3. La dimensione verticale dell’organizzazione ecclesiastica ............
Innocenzo III Vicarius Christi. La plenitudo potestatis ...........................
Intransigenza religiosa e intolleranza politica nella Respublica
Christiana .................................................................................................
Bonifacio VIII e… l’inizio di un’altra storia ............................................
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101
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109
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Premessa
La religione costituisce un’elaborazione concettuale dell’uomo,
funzionale a evocare e coltivare l’interesse sul significato ultimo della
vita umana.
Essa, in sostanza, rappresenta nella storia culturale dell’umanità
uno degli esiti della domanda di conoscenza dell’uomo, di se stesso e
della propria vita. E le risposte che a questa domanda fanno seguito
svolgono una funzione essenziale; esse collocano l’uomo, ogni uomo,
in un grandioso universo di senso, all’interno del quale ogni domanda
può trovare la sua risposta, ogni azione umana una sua giustificazione,
la vita e persino la morte un significato convincente.
La religione contribuisce, quindi, alla costruzione di una visione
del mondo, concedendo a chi vi accede di reperire il senso della propria esistenza, giacché nessuno di noi abita il mondo ma piuttosto la
propria visione del mondo, responsabile del nostro modo di pensare,
di agire, di gioire e di soffrire.
Da questi primi contenuti di significato risulta evidente che le idee
o i sentimenti religiosi sono inseparabili dal più intimo senso di personalità e di destino dell’uomo, ma nello stesso tempo e senza che vi sia
contraddizione, quelle stesse idee e sentimenti tendono a strutturarsi
socialmente in dimensioni collettive, di cui cioè sono partecipi più
uomini, tendenzialmente motivati alla condivisione di una comune esperienza culturale.
La religione si presenta, dunque, storicamente sulla scena sociale
come un fenomeno complesso: intimistico e potenzialmente produttivo di relazioni fra uomini.
Potremmo, anzi, tentare di illustrare il farsi o il divenire dell’esperienza religiosa, da esperienza intimistica ad esperienza comunitaria,
utilizzando altrettante definizioni concettuali della religione, che contribuiscono a meglio scandire i momenti diversi e progressivi attraverso i quali può essere costruita l’esperienza di fede.
Ora, la religione è innanzitutto un fatto personale, un sentimento
sulla base del quale la persona umana elabora una propria concezione
sui fondamenti ultimi ed essenziali della vita.
7
8
Premessa
Quel sentimento religioso può, tuttavia, suggerire all’uomo l’adozione di comportamenti coerenti con l’idea del proprio destino che ha
elaborato, traducendosi in azioni concretamente incidenti nel contesto
sociale in cui vive, e proporsi allora come una esperienza sociale, riferibile all’uomo nel suo entrare in rapporto con altri uomini.
Ancora, come tutte le possibilità di estrinsecazione della personalità
umana, anche quelle connesse all’esperienza religiosa, possono ricercare forme di organizzazione collettiva, dirette alla preservazione delle
idee e delle azioni individuali, attraverso la predisposizione dei valori
da condividersi e dei rapporti interpersonali da intessersi. La religione
potrà, cioè, essere causa e fondamento di un processo di istituzionalizzazione, ovvero della creazione di una comunità organizzata di uomini,
all’interno della quale si elaborano regole dirette a garantire certezza ai
rapporti fra i componenti della comunità e coerenza alle attività ispirate
alla comune concezione della vita unitariamente condivisa.
Quest’ultimo profilo, per altro, assume un rilievo del tutto particolare, tant’è che la storia delle religioni, di tutte le religioni, viene usualmente descritta come un processo dinamico di spinte alla istituzionalizzazione della esperienza sociale religiosa e spinte alla disgregazione degli assetti istituzionali già compiuti e definiti, attraverso la
creazione di nuovi sistemi aggregazionali. E questo perché, ogni identità compiuta è di per sé incline ad irrigidirsi nella codificazione dei
valori e dei rapporti che ne definiscono l’unità, sollecitando la nascita
di processi contrapporti di unificazione in quanti non ritengano di poter più condividere le forme organizzate dell’appartenenza di fede sino
ad allora accettate.
Ed è proprio quest’ultimo profilo della religione che, nella storia
dell’umanità, diviene normalmente oggetto privilegiato di attenzione
da parte dell’organizzazione politica della società di accoglienza, che
gli riserva un proprio settore (tendenzialmente sistematico) di regole.
Ovviamente questi settori regolamentativi cambiano profondamente nella storia e nella geografia del mondo, giacché dovendo razionalizzare la presenza del fatto religioso organizzato nel contesto sociale
di riferimento tendono a modellarsi su due esigenze fondamentali, che
ne condizionano in modo determinante la configurazione: la predisposizione di modelli normativi che siano adeguati a ricomprendere le
forme istituzionali della fenomenologia sociale religiosa per come
Premessa
9
concretamente si presentano; l’uso di quegli schemi regolamentativi
per controllare che le aggregazioni sociali a motivazione religiosa, e
segnatamente le autorità di governo che esse enucleano al loro interno,
non si sottraggano al rispetto dei valori unitari di riferimento della
comunità politica, ma al contrario ne alimentino e sostengano, con i
propri valori e le proprie strutture, i livelli di coesione sociale.
La storia del cristianesimo e dei modelli normativi utilizzati, nella
nostra area culturale e geografica di appartenenza, per razionalizzarne
la presenza nel tessuto connettivo della comunità politica, non sembrano smentire la attendibilità di queste ultime riflessioni: al contrario,
proprio i sistemi unionisti del passato fra imperi e chiesa d’occidente,
decritti in queste pagine, sembrano emblematicamente raffigurarne
l’affidabilità.
Capitolo I
RELIGIONI CIVILI E CRISTIANESIMO
SOMMARIO: 1. Il Cristianesimo separa l’uomo nel mondo e dal mondo. – 2. Le religioni nel
mondo antico: le ierocrazie orientali e la religione di Stato greco–romana. – 3. Impero
romano, religioni nazionali e tolleranza religiosa. – 4. Dal nazionalismo ebraico
all’universalismo cristiano. – 5. La dimensione istituzionale del cristianesimo: le origini.
1.
Il Cristianesimo separa l’uomo nel mondo e dal mondo
È comune, nella letteratura sociologica più autorevole, l’asserzione
secondo la quale «la religione si trova in tutte le società umane conosciute» e «rappresenta una parte centrale della esperienza umana soggettiva e comunitaria”, giacché essa “influenza il modo di percepire e
reagire alla realtà circostante» (A. GIDDENS, Sociologia, Bologna,
1993, 409).
Ma è altrettanto indiscusso che non tutte le comunità sociali professano le stesse credenze, così come non tutte le religioni si fanno interpreti dello stesso messaggio.
In sostanza, ciascun popolo nella storia ha elaborato una propria
credenza di fede e la condivisione nel tempo di questa, da parte dei
membri di una società, l’ha resa sotto il profilo culturale parte inscindibile dell’esistenza e della civiltà della collettività stessa.
Ogni religione, dunque, «in quanto si è espressa in un determinato
contesto storico e ambientale» ha partecipato e partecipa, in un rapporto di reciproca influenza, «del corpo complessivo delle credenze, del
comportamento, della conoscenza, delle sanzioni, dei valori, e degli
obiettivi che contraddistinguono il modo di vita di un popolo» (A. VITALE, Il diritto ecclesiastico, 1978, p. 17).
Tutto ciò, che è vero per ogni religione, è altrettanto vero per il cristianesimo, che ha rappresentato e rappresenta un fatto sociale così
11
12
1 | Religioni civili e Cristianesimo
macroscopico da costituire una dimensione ineliminabile per la retta
comprensione della letteratura, dell’arte, della filosofia e… del diritto
stesso della nostra area geografica e politica di appartenenza.
È indubbio, infatti, che proprio attraverso l’evoluzione della tradizione cristiana si è formata l’idea stessa di Europa, si è venuta plasmando una certa concezione dello Stato, mentre le stesse democrazie
del mondo occidentale devono molto alle diverse espressioni istituzionali del cristianesimo.
Il cristianesimo, in particolare, rappresenta un evento rivoluzionario
nella storia culturale dell’umanità, perché per la prima volta nella storia
dei popoli euro mediterranei si afferma il primato dell’individuo.
Idea questa ignota, sia alla tradizione giudaica all’interno della quale il cristianesimo nasce e si sviluppa, sia all’altra fonte della cultura
occidentale, quella greca, dove l’individuo era subordinato alla città
(polis) e la sua autorealizzazione, nonché la conduzione di una vita
buona e felice non poteva avvenire se non nella relazione con i propri
simili.
Ne seguiva che le leggi della collettività realizzavano non solo il
bene della società nella sua interezza, ma anche il bene individuale,
non essendoci per l’individuo altra dimensione di autorealizzazione
che non fosse quella sulla terra e nella città.
Con l’avvento del cristianesimo, l’individuo si separa dalla comunità perché alla sua anima, in cui viene posto il principio della sua individualità, si prospetta un destino ultraterreno in cui l’individuo, e
non più la società, trova la sua autorealizzazione.
Per questa via, la vita individuale di ciascun uomo si separa dalla
vita collettiva e dalla vita politica, perché la felicità non è più pensata
nel complesso della vita sociale, ma lungo un itinerario personale che
deve approdare al di là della vita terrena. E che è raggiungibile solo
singolarmente e non comunitariamente.
La realizzazione del bene viene, dunque, affidato all’intrapresa di
un percorso di salvezza da parte di ciascun uomo, mentre alla vita collettiva e politica rimane il compito di provvedere a creare le condizioni perché il singolo possa realizzare il proprio cammino spirituale verso Dio.
In questo modo il processo di perfezionamento spirituale del singolo si separa dal processo di organizzazione dell’esperienza collettiva e,
Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
13
in nome della sua interiorità e della sua destinazione ultraterrena, il
cristiano prende a vivere come separato nel mondo, e poi dal mondo.
Si consuma così la prima separazione, nella storia della cultura occidentale, fra individuo e società: all’individuo il compito di conseguire la propria salvezza ultraterrena, alla società e a chi la governa il
compito di non frapporre ostacoli (o di ridurne l’entità) a questa impegnativa opera di costruzione terrena della propria felicità ultraterrena
(U. GALIMBERTI, Cristianesimo e società politica, in “la Repubblica”,
21 febbraio 2007).
2.
Le religioni nel mondo antico: le ierocrazie orientali e la religione di Stato greco–romana
Prima dell’avvento del cristianesimo, dunque, il problema di doversi regolamentare il rapporto fra la dimensione spirituale dell’uomo e la
sua esperienza di vita collettiva, attraverso la determinazione di rispettive sfere di competenza e di reciproci limiti fra governo politico della
società e attività umane di elevazione spirituale, fu assolutamente ignoto al mondo antico.
La società antica era, infatti, caratterizzata dalla totale assenza di
ogni distinzione fra vincolo religioso e vincolo politico.
L’idea che dovessero o potessero essere distinti e realizzarsi per vie
differenti i due istinti naturali dell’uomo, quello sociale e quello religioso,
non era ancora apparsa e assolutamente estranea era la possibilità stessa
di concepire la religione come qualcosa di separato dalla vita politica. Né
tanto meno era immaginabile che la religione potesse essere causa e ragione di un proprio progetto di organizzazione sociale, del tutto autonomo dall’organizzazione politica della collettività nel suo insieme.
Al contrario, la religione si presentava come un fenomeno essenzialmente umano e concreto, visibile, tanto da consentire che organizzazione della vita sociale e organizzazione dell’esperienza religiosa
costituissero due momenti interrelati e interdipendenti della più generale attività politica diretta a garantire il benessere e la felicità di tutta
la comunità sociale.
È questa la comune esperienza della Roma arcaica, delle città greche, delle comunità ebraiche e degli antichi Stati orientali.
14
1 | Religioni civili e Cristianesimo
La società politica antica, pertanto, si presenta fino alla nascita del
cristianesimo come un organismo che oggi definiremmo essenzialmente teocratico, avente cioè al tempo stesso compiti e fini sia di ordine politico, sia di ordine religioso.
Certo, era nota nelle organizzazioni politiche più sviluppate una distinzione fra organi destinati a soddisfare esigenze religiose e organi destinati
a provvedere alle esigenze civili, ma si trattava di una distinzione fra funzioni e organi interni alla stessa organizzazione politica della società.
In sostanza, religione e comunità politica rimangono per tutta l’antichità sostanzialmente interconnesse, confuse e compenetrate in un’unica e unitaria organizzazione, con la sola differenza che là dove la
credenza religiosa ebbe prevalenza sui valori coesivi della società politica si configurò una “ierocrazia”, una società cioè posta al servizio
di una religione retta dalle sue leggi, governata dai suoi sacerdoti;
mentre al contrario, là dove autonomi valori di riferimento della vita
collettiva predominarono sui profili religiosi dell’esperienza sociale, si
costituì una “religione di Stato”, ovvero, una religione concepita come
branca dell’attività politica, subordinata e disciplinata dall’autorità di
governo politico della collettività.
La prima forma organizzativa — ierocrazia — prevale in oriente;
la seconda — religione di Stato — trova la sua realizzazione nella
civiltà greca e in quella romana.
Il sistema ierocratico orientale, pur nelle molteplici varietà ci presenta
un’organizzazione politica nella quale l’elemento religioso informa e
compenetra tutta la vita politica e la struttura giuridica della società.
Ne deriva che:
a)
b)
c)
gli organi, funzionalmente destinati alla svolgimento di attività a carattere religioso, costituiscono l’espressione più elevata
dell’organizzazione politica;
il capo della comunità politica appartiene alla casta sacerdotale;
i principi religiosi, informano lo spirito e il contenuto delle
regole politiche.
L’antitesi di tale assetto organizzativo è offerto dall’esperienza storico–giuridica del sistema greco–romano della religione di Stato.
Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
15
Anche in questa ipotesi l’elemento religioso appare come connaturale alla struttura organica della società politica, ma non come principio ispiratore. Piuttosto, la religione si presenta come un elemento, a
carattere essenzialmente sussidiario, di sostegno alla più generale opera di razionalizzazione politica della società.
In questo caso, appunto, la religione e le attività ad essa collegate,
costituiscono una branca delle attività connesse al governo politico
della comunità sociale. È questo ultimo, dunque, che provvede a realizzare i compiti necessari alla pratica religiosa, considerata come uno
degli elementi fondamentali del vincolo di appartenenza politica.
Ne deriva che:
a)
b)
c)
la casta sacerdotale è ricompresa nei livelli strutturali di grado più elevato dell’organizzazione politica;
a Roma, in epoca imperiale, l’imperatore è non solo il supremo capo politico ma anche il sommo capo religioso;
l’elemento religioso ha accesso agli organi e alle leggi della
comunità politica solo in quanto parte del sistema istituzionale di integrazione politica della società.
In conclusione, fino all’irrompere del cristianesimo, religione ed
organizzazione politica della società si fondono in un organismo unico, sia nel caso in cui l’autorità civile si presenti come a carattere essenzialmente o prevalentemente religioso, sia nel caso in cui, al contrario, l’autorità civile attui sussidiariamente anche compiti di natura
religiosa (P.A. D’AVACK, Trattato di diritto ecclesiastico, Parte generale, Milano, 1978, p. 265 ss.).
3.
Impero romano, religioni nazionali e tolleranza religiosa
Come si è appena visto, la religione nel mondo antico rappresenta
un fenomeno sociale fortemente interconnesso alla vita politica della
società.
Ma non solo.
Se noi consideriamo la religione partendo dalla considerazione della sua naturale attitudine (sotto il profilo culturale) ad espandersi dal-
16
1 | Religioni civili e Cristianesimo
l’esperienza umana del singolo individuo fino all’esperienza collettiva
dell’intera umanità, sicché può presentarsi nella storia:
a)
b)
c)
come sentimento o fatto esclusivamente individuale e personale;
come sentimento o fatto condiviso da una intera comunità sociale;
come sentimento o fatto partecipato universalmente da una
generalità di uomini.
Dobbiamo, allora, rilevare che nell’antichità classica essa rappresentò innanzitutto un fenomeno nazionale. La religione, cioè, si presentava come un fenomeno di tipo comunitario e non individuale, e
per di più come l’esperienza culturale solo ed esclusivamente della
collettività sociale che l’aveva elaborata, senza alcuna pretesa di universalismo.
L’esclusivismo religioso della società antica consisteva in questo:
la religione e le attività ad essa connesse venivano considerate come
patrimonio di una determinata comunità sociale, che la esprimeva innanzitutto nelle forme della vita pubblica, ovvero nella partecipazione
ai riti della religione nazionale.
È assente, quindi, nelle popolazioni antiche, ogni pretesa di proselitismo o proposito di propaganda religiosa.
Da qui, una universale tolleranza in fatto di religione.
Non è un caso, pertanto, che quando Roma ebbe raccolto sotto il
suo dominio i popoli più diversi, non trovò nulla di più naturale che
offrire ospitalità ai loro dei nella capitale dell’Impero, in un tempio
apposito che fu appunto detto Panteon.
Si sviluppò così un singolare fenomeno di sincretismo religioso,
mediante il quale tutte le divinità di tutti i popoli dell’impero furono
messe a disposizione di quanti intendessero invocarne la protezione
esercitandone le pratiche rituali (F. RUFFINI, Relazioni fra Stato e
Chiesa, a cura di F.M. BROGLIO, Bologna, 1974, p. 29).
Il politeismo pagano, nella interpretazione dei romani, è dunque per
sua natura un sistema mitologico aperto, virtualmente senza confini,
atto a recepire e assimilare altre credenze e divinità elaborate e venerate da popoli diversi. Sicché più che una libertà di scelta fra credenze
Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
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diverse, si presenta al singolo una vasta gamma di entità divine preposte alla tutela dello Stato o della vita quotidiana pubblica e privata, o
ancora che rispondono a specifiche utilità individuali (C. CARDIA,
Manuale di Diritto Ecclesiastico, Bologna, 1996, p. 13).
È solo, e propriamente, con la costituzione dell’Impero romano,
quale entità politica superiore ai singoli stati, che l’utilità politica condiziona ulteriormente la dimensione religiosa e viene introdotto gradualmente il culto dell’Imperatore, anche per affermare l’autorità di
chi impersona e guida lo Stato.
Con Ottaviano Augusto si avvia, dunque, la pratica di celebrare la
cerimonia di elevazione dell’imperatore scomparso agli onori divini,
mentre progressivamente si afferma dapprima la consuetudine di venerare l’imperatore durante la sua vita, ed in seguito di compiere sacrifici dinanzi alla sua statua.
Il culto per l’imperatore, tuttavia, per la cui cura vengono nominati
nelle province particolari sacerdoti, non si sostituisce ma si aggiunge
agli altri culti, che non vengono quindi soppressi ma pienamente rispettati, così come via via che le istituzioni imperiali venivano estese
ai vari popoli conquistati, queste non si sostituivano ma sovrapponevano alle istituzioni locali (F. RUFFINI, op. ult. cit., p. 30 ss.).
Il paganesimo, dunque, assolve una funzione eminentemente politica, di razionalizzazione delle diverse identità etniche sottoposte al
dominio di Roma, “di preservazione della identità culturale della storia locale di Roma”, di integrazione in un unitario vincolo politico di
tutte le genti che vivono nell’immenso territorio governato da Roma e
dalle sue istituzioni.
Di qua un sistema di regolamentazione della religione e delle sue
pratiche di elevata complessità e che si specifica nella previsione di
apposite istituzioni che devono presiedere, ad esempio, a garantire
l’osservanza delle leggi religiose e delle prescrizioni rituali (il collegio
dei sacerdotes o pontifices). O ancora, custodire il fuoco sacro, pregare per Roma e presiedere ai riti pubblici sacrificali (le Vestali); occuparsi del culto delle diverse divinità (flamines); interpretare la volontà
degli dei (auguri e aruspici); custodire e interpretare i testi sacri contenenti profezie e oracoli (quindecim viri sacris faciundis) (P.
D’AVACK, op. ult. cit., pp. 266-267).
18
4.
1 | Religioni civili e Cristianesimo
Dal nazionalismo ebraico all’universalismo cristiano
La diffusione del cristianesimo nell’Impero romano introduce una
nuova concezione della religione assolutamente diversa e oppositiva
rispetto a quella sino ad allora coltivata. Dei tre, e diversi, profili esplicativi della religione che abbiamo prima considerato (individualismo, nazionalismo, universalismo) il cristianesimo propone solo i due
estremi: l’individualismo e l’universalismo.
Ora, la spiegazione della forza di penetrazione del messaggio cristiano richiede una riflessione preliminare, se pure sommaria, sulle
sue vicende storiche in rapporto alla sua originaria matrice: la religione d’Israele.
La religione ebraica ebbe le sue prime origini, intorno al XII secolo
a.C., presso un gruppo di nomadi semiti provenienti, probabilmente, dalla città di Ur in Caldea e stabilitisi temporaneamente sul delta del Nilo.
Da qui, dopo lunghe vicissitudini, si trasferirono in Palestina sotto
la guida iniziale di un profeta di nome Mosè, al quale si deve la prima
enunciazione relativa alla verità venerata dal suo popolo.
Il dio del popolo di Israele è, sin dagli inizi, il dio di un solo popolo
che non si propone affatto come il dio unico di tutti gli uomini e di tutti i popoli, tant’è che anche quando l’idea ebraica della divinità risentì
delle nuove istanze universalistiche promosse dal cristianesimo, il
giudaismo non ha mai fatto i conti fino in fondo con il problema del
nesso originario fra etnia e religione, proprio dell’antico testamento,
mentre la comunità degli ebrei resta ripiegata su se stessa nel sentirsi
sempre il popolo eletto dal Signore, in costante attesa del Messia (C.T.
ALTAN, Gli italiani in Europa. Profilo storico comparato delle identità nazionali europee, Bologna, 1999, p.22).
L’ebraismo antico si presenta, quindi, come una religione a carattere ereditario: per essere ebrei bisogna essere nati nella comunità. È ebreo chi nasce da madre ebrea. Un ebreo non è, nella maggior parte
dei casi, qualcuno che crede nell’ebraismo, o è di sangue ebreo o non
lo è, egli è parte di una famiglia; i pochi che si convertono alla fede
non diventano solo membri di una comunità religiosa, ma figli adottivi
di Abramo e Sara.
Le idee della fede ebraica possono essere riassunte in tre concetti:
Dio, la Torah ed Israele, ovvero la divinità, la legge di Dio, il popolo
Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
19
prescelto di Israele. Su queste idee il giudaismo antico si costruisce
come una religione tribale, la cui organizzazione sociale prende la
forma di teocrazia. In sostanza non si da separazione tra momento religioso e momento politico.
È la religione che funge da fondamento della stessa organizzazione
sociale.
Ne deriva che gli elementi distintivi più significativi dell’ebraismo
possono essere individuati: nel suo carattere comunitario ed etnico,
nell’essere, cioè, la religione di un solo popolo e di quel popolo; nel
fatto che, nella tradizione storica, la religione ebraica configura insieme l’identità culturale del popolo d’Israele e la organizzazione politica
dello stesso (L.R. KURTZ, Le religioni nell’era della globalizzazione,
Bologna, 1995, p. 60 ss.).
Le comunità ebraiche in epoca romana erano, dunque, composte da
famiglie professanti da sempre la loro religione tradizionale.
È nel seno di queste comunità che nasce il cristianesimo, che si
configura inizialmente come un movimento ebraico, uno dei tanti movimenti di riforma di quel tempo; esso si colloca quindi nella tradizione dei profeti ebraici con cui Gesù identifica se stesso, mentre gli apostoli costituiscono un gruppo di appassionati predicatori itineranti.
Una delle caratteristiche sociologicamente più significativa del cristianesimo, che lo differenzia profondamente dalla tradizione ebraica,
è costituito dai suoi criteri universalistici di appartenenza.
Diversamente, infatti, dall’ebraismo e dagli altri sistemi di credenze
religiose che sono, normalmente, strettamente legati ad uno specifico
raggruppamento sociale, il primo cristianesimo fu deliberatamente universale nel suo reclutamento.
Se, quindi, l’ebraismo è principalmente una religione ereditata, sicché per essere ebrei bisogna essere nati nella comunità, per essere cristiano invece non si dovevano soddisfare qualificazioni tribali od etniche, semplicemente si doveva dichiarare Gesù è il Signore e sottoporsi
al rito del battesimo per diventare un membro della comunità.
I cristiani ereditano, dunque, dall’Ebraismo l’idea monoteistica,
l’idea cioè di un Dio unico, ma di un Dio che è ora unico per tutti gli
uomini e innanzi al quale tutti gli uomini sono uguali.
Per questa via, la religione si trasforma, da esperienza comunitaria
dell’uomo, in un rapporto intimo ed immediato della coscienza indivi-
20
1 | Religioni civili e Cristianesimo
duale con la divinità, ovvero in una esperienza essenzialmente ed esclusivamente personale.
Da questo momento gli uomini, tutti gli uomini, possono unitariamente sentirsi partecipi di una straordinaria opera divina ultraterrena
che attraverso le sue leggi unifica ed indirizza tutta l’umanità verso un
percorso di salvezza.
E proprio perché l’unico Dio è padre di tutti gli uomini, e unico è il
cammino della salvezza ultraterrena tracciato dal Cristo, quel rapporto
intimo ed immediato fra l’uomo e Dio, deve ora essere in tutti gli uomini, senza distinzione di tempi o di luoghi: esso non può che essere
un fatto eminentemente universale.
Monoteismo, personalismo ed universalismo della fede in Cristo
rappresentano, dunque, i connotati fondamentali della nuova credenza
religiosa, che sono destinati ad innovare profondamente non solo il
rapporto fra l’uomo e la sua dimensione religiosa ma il rapporto fra
l’uomo e gli altri uomini: il rapporto cioè fra l’uomo e la società umana nella quale egli è situato.
Su questi elementi della fede cristiana (monoteismo, personalismo,
universalismo) infatti, si sviluppano due idee assolutamente e radicalmente innovative e solo apparentemente contraddittore l’una nei confronti dell’altra.
Nasce, cioè, l’idea della libertà religiosa dell’uomo e l’idea, a questa diametralmente opposta, dell’intransigenza religiosa.
Ovvero, nasce l’idea che nulla e nessuno, nemmeno l’impero, possa
frapporsi tra l’uomo e Dio, nell’intimo e personale rapporto che li unisce; nessuno può coartare la coscienza di chi crede nell’unico vero dio.
E nasce, ancora, l’idea che se unico è il Dio vero per tutti gli uomini, tutti gli altri dei sono falsi e bugiardi e tutte le religioni professate
dai diversi popoli sono errore e superstizione.
Occorre, allora, che tutti i cristiani si adoperino perché tutti gli uomini conoscano la vera religione e l’unico Dio e perché siano disperse
le false credenze; di qui lo spirito di proselitismo e il fervore della
propaganda religiosa che anima il cristianesimo sin dalle sue origini
(F. RUFFINI, op. ult. cit., pp. 33-34).
Questi passaggi dovrebbero aver contribuito a meglio comprendere
quali siano state le cause in ragione delle quali mentre, storicamente,
le comunità ebraiche hanno gelosamente custodito al loro interno la
Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa
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propria credenza religiosa, ripiegandosi in una situazione di sostanziale autodifesa della propria tradizione, il cristianesimo abbia, al contrario, potuto costituire, veicolato dall’universalismo del suo messaggio,
comunità religiose composte da nuclei sociali delle più varie provenienze etniche e religiose, convertiti alla nuova fede in Cristo (C. T.
ALTAN, Gli italiani in Europa, cit., p. 22).
Diffusosi, sopratutto nei primi decenni, prima nell’ambito
dell’ebraismo e poi fra i ceti popolari, richiamati dalla forza persuasiva di un messaggio di liberazione spirituale rivolto innanzitutto
agli oppressi, il cristianesimo si diffonde rapidamente, grazie anche ai portentosi mezzi di comunicazione e di trasporto dell’epoca:
la straordinaria rete stradale romana che, sviluppatasi nei secoli,
innervava e percorreva l’intero territorio imperiale per circa 90.000
chilometri (G. JOSSA, Dalle origini al concilio di Nicea, in Storia
delle religioni, a cura di G. FILORAMO, Cristianesimo, 4, Bari,
2005, p. 24).
5.
La dimensione istituzionale del cristianesimo: le origini
Il cristianesimo, quindi, si diffonde e si struttura in comunità solidali ed autosufficienti, con una propria embrionale gerarchia sacerdotale, avviandosi verso un irreversibile processo di istituzionalizzazione, le cui premesse sono ragionevolmente da individuare:
a)
b)
c)
d)
nelle istanze universalistiche del nuovo credo religioso;
nell’impegno dei nuovi adepti nelle attività di propaganda e
proselitismo finalizzate a sollecitare la conoscenza e la condivisione, attraverso la conversione e il battesimo, della proposta divina di salvezza ultraterrena delle anime;
nell’essere il cristianesimo una religione che, in quanto priva
di elementi identificativi a carattere tribale o etnico, non può
riconoscersi in alcuna organizzazione sociale e politica particolare ma deve, piuttosto, attraversarle tutte;
nella esigenza di una condivisione comunitaria della fede in
Cristo le cui regole devono necessariamente essere eteroprodotte rispetto alla società di accoglienza, giacché il cristia-
22
1 | Religioni civili e Cristianesimo
e)
nesimo non si identifica con i vincoli collettivi delle popolazioni nelle quali penetra;
nella necessità di salvaguardare l’unità di fede in una religione monoteista e universale, attraverso il controllo unitario dei
dogmi (verità di fede) e della liturgia (i riti religiosi).
Ovviamente, il processo di istituzionalizzazione del cristianesimo,
che si tradurrà nel processo di formazione delle gerarchie ecclesiastiche, è un processo che si sviluppa per gradi e nel tempo.
In particolare, gli storici sembrano essere fondamentalmente d’accordo sul fatto che nel I secolo non si sia configurata una forma unitaria e omogenea di comunità cristiana ma che abbiano coesistito a lungo
due modelli. Quello delle comunità cristiane fondate o legate all’apostolo Paolo, o comunque sorte all’interno del paganesimo, e quello delle
comunità di Gerusalemme e di Palestina, di origine giudaico-cristiana.
Le chiese cristiane provenienti dal paganesimo riflettono una concezione organizzativa di tipo carismatico, legata cioè al ruolo del fondatore della comunità, che non esclude tuttavia una regolamentazione
interna e sviluppi organizzativi più articolati.
Le chiese giudaico-cristiane, invece, ricalcano la propria organizzazione su quella delle comunità ebraiche che sono presiedute da un
presbitero (anziano) che ha il compito di custodire il messaggio cristiano e di guidare la comunità, e la cui funzione è trasmessa, attraverso il rito ebraico della ordinazione consistente nella imposizione delle
mani.
Questi due modelli organizzativi non restano a lungo separati, tanto
che alla fine dell’attività missionaria di Paolo (morto nella seconda
metà del I secolo) si avvia il processo di assimilazione del titolo greco
di episcopo (il sorvegliante in senso profano) delle comunità cristiane
pagane con quello di presbitero delle comunità giudaico-cristiane.
L’evoluzione, invece, verso la figura del vescovo monocratico, che
ancora oggi conosciamo, si svolge attraverso tre fasi.
Innanzitutto, nella prima fase, dopo la scomparsa degli apostoli si
afferma la successione degli episcopi nelle funzioni da loro svolte.
Nella seconda fase, la funzione degli episcopi viene separata dai
servizi religiosi svolti dai presbiteri, che vengono subordinati al vescovo e ne divengono i compagni di servizio.
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Da ultimo, si determina il passaggio degli episcopi dalla presidenza
di una comunità particolare a quella di una diocesi quando, nella seconda metà del II secolo, essendosi diffuso il cristianesimo anche nelle campagne, le chiese rurali vengono affidate ad un presbitero subordinato e collegato alla chiesa-madre.
Agli inizi del II secolo, ogni comunità cristiana appare dotata di
una propria identità istituzionale, mentre il legame fra le singole chiese locali viene mantenuto mediante l’ordinazione del vescovo, alla
quale devono partecipare almeno tre vescovi delle comunità vicine.
Al vescovo, dunque, successore degli apostoli, spetta esercitare una
funzione fondamentale nella comunità cristiana particolare che presiede: custodire la tradizione, ossia l’annuncio della parola di Cristo trasmesso dagli apostoli ai vescovi sotto l’assistenza dello Spirito Santo e
garantire l’ortodossia (la retta dottrina).
Contribuisce, inoltre, a sventare il pericolo che l’unitarietà del messaggio evangelico e l’universalità dello stesso si disperdano
nell’esperienza di fede delle diverse comunità cristiane, la prassi conciliare.
I concili locali e regionali, a partire dalla seconda metà del II secolo, e quelli ecumenici dal IV secolo in poi, costituiscono un evento di
grande importanza per lo sviluppo dell’istituzione ecclesiastica giacché contribuiscono a regolare la vita e il governo delle comunità cristiane ai diversi livelli organizzativi e diventano organi essenziali per
la definizione del patrimonio di fede e la preservazione della sua unità.
Le decisioni conciliari, inoltre, che nei primi secoli venivano portate a conoscenza delle altre chiese attraverso le lettere sinodali, al fine
di riceverne l’accettazione anche tacita, valevano ad assicurare che
non si interrompessero mai le vie della comunicazione fra le comunità
cristiane e che fosse costantemente ed unitariamente vivificato il comune patrimonio di fede (C. FANTAPPIÈ, Introduzione storica al diritto canonico, Bologna 1999, p. 31 ss.).