T1 e T2 mapping: nuove prospettive in risonanza magnetica cardiaca

RASSEGNA
T1 e T2 mapping:
nuove prospettive in risonanza magnetica cardiaca
Carlo Tessa1, Jacopo Del Meglio2, Luca Salvatori1, Giancarlo Casolo2
1
U.O.C. Radiologia Diagnostica ed Interventistica, 2U.O.C. Cardiologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore (LU)
Cardiac magnetic resonance (MR) imaging is currently considered the gold standard for characterizing changes
in myocardial structure, in particular to assess myocardial edema and focal fibrosis. In spite of this potential
capability, the traditional MR sequences usually employed for these purposes have significant limitations and
provide only qualitative information. Recent developments in cardiac MR imaging techniques currently provide clinically-feasible mapping of T1 and T2 relaxation times, thus providing a quantitative assessment of the
parameters of interest. Myocardial edema can be evaluated using T2 mapping techniques. These have shown
a superior performance compared to the traditional T2-weighted and STIR sequences, both in acute inflammatory cardiomyopathies and in acute ischemic injury. T1 mapping techniques, performed both with and
without contrast medium, enable to quantify diffuse myocardial fibrosis and to assess myocardial edema and
infiltration.
This article will review current methodologies for cardiac T1 and T2 parametric mapping and their potential
and limitations in the assessment of myocardial damage.
Key words. Magnetic resonance; T1 mapping; T2 mapping.
G Ital Cardiol 2014;15(11):607-615
INTRODUZIONE
L’intensità del segnale in risonanza magnetica (RM) è il risultato netto dell’influenza di più parametri. Impiegando sequenze d’immagine diverse e/o utilizzando i mezzi di contrasto (mdc) paramagnetici è possibile evidenziare differenze di
segnale all’interno di un organo o di un tessuto sfruttando la
dipendenza pluriparametrica del segnale raccolto. Così, a seconda dell’architettura delle sequenze di acquisizione, è possibile valutare diversi aspetti del rilassamento protonico che
segue la cessazione dell’impulso di radiofrequenza, ottenendo immagini che riflettono prevalentemente il numero dei nuclei di idrogeno risonanti per unità di volume del tessuto (immagini “pesate” in densità protonica), il tempo nel quale viene recuperata la magnetizzazione longitudinale nota come
tempo di rilassamento T1 (immagini T1 “pesate”) o il tempo
di decadimento della magnetizzazione trasversale nota come
tempo di rilassamento T2 (immagini T2 “pesate”). Le immagini pesate in T1 e T2 consentono una differenziazione qualitativa che nelle immagini si traduce in diversi livelli di intensità e contrasto.
Tuttavia, con le sequenze di cardio-RM tradizionali le immagini, pur essendo influenzate dal T1 o dal T2, non permettono una valutazione quantitativa degli stessi. Per questo
© 2014 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 05.06.2014; nuova stesura 30.07.2014; accettato 01.08.2014.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Carlo Tessa U.O.C. Radiologia Diagnostica ed Interventistica,
Ospedale Versilia, AUSL 12 Viareggio, Via Aurelia 335,
55041 Lido di Camaiore (LU)
e-mail: [email protected]
motivo le caratteristiche del segnale RM sono di solito valutate
visivamente, in maniera qualitativa. Ad esempio l’edema provoca una iperintensità del segnale del miocardio nelle sequenze T2 pesate, mentre il tessuto adiposo appare iperintenso nelle sequenze T1 pesate. In alternativa, per una valutazione più oggettiva, si è fatto ricorso a metodiche semiquantitative, rapportando il segnale misurato nella regione
miocardica di interesse a quello del miocardio normale o di
una struttura muscolare scheletrica adiacente (es. il muscolo
dentato).
Per creare mappe parametriche quantitative dei tempi di
rilassamento T1 e T2 così da permettere una distinzione oggettiva dei tessuti in esame è necessario acquisire multiple immagini della regione in esame con diversa sensibilità al parametro di interesse. I lunghi tempi di acquisizione richiesti e la
necessità di una tecnologia sufficientemente robusta ed affidabile hanno a lungo impedito l’applicazione di queste mappe allo studio del cuore, laddove invece da tempo sono disponibili per altri distretti dell’organismo. Recentemente però
sono state introdotte nuove sequenze che hanno reso possibile, in tempi molto brevi e quindi compatibili con l’apnea richiesta per la normale acquisizione delle scansioni in cardioRM, la costruzione di mappe parametriche dei tempi di rilassamento seppure su strato singolo. In queste mappe l’intensità del segnale è direttamente proporzionale al valore assoluto
del parametro da cui è derivato. Così, per conoscere il valore
del T1 o del T2 miocardico, è sufficiente misurare una regione
di interesse della mappa per avere il valore in millisecondi del
parametro di interesse.
In questo articolo presentiamo una rassegna delle prospettive aperte dall’introduzione delle mappe del T1 e del T2 nello
studio del cuore, in particolare per una valutazione quantitativa dell’edema e della fibrosi miocardica diffusa.
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CHIAVE DI LETTURA
Ragionevoli certezze. Le sequenze tradizionali
consentono solo una valutazione qualitativa o
semiquantitativa delle alterazioni del miocardio.
Le mappe del T1 e del T2 sono invece in grado di
fornire una valutazione quantitativa di tali
parametri, ed offrono pertanto nuove prospettive
nella valutazione con risonanza magnetica (RM)
della patologia miocardica, in particolare
dell’edema e della fibrosi miocardica diffusa.
Aspetti controversi. I valori del T1 e del T2 del
miocardio forniti dalle mappe possono variare a
seconda delle sequenze utilizzate e delle
caratteristiche del tomografo di RM impiegato.
Essi sono inoltre influenzati da fattori dipendenti
dal soggetto in esame, come la frequenza
cardiaca. Seppure in misura probabilmente
minore delle sequenze tradizionali, le mappe del
T1 e del T2 non sono esenti da possibili artefatti.
Inoltre gli studi attualmente a disposizione si
riferiscono prevalentemente a confronti tra
gruppi ed i loro risultati non sono pertanto
immediatamente trasferibili sul singolo soggetto.
Prospettive. È ipotizzabile un impiego crescente
dell’imaging parametrico del T1 e del T2 nella
valutazione della patologia miocardica. Le mappe
del T1 e del T2 sembrano infatti presentare
un’elevata sensibilità nell’identificare il danno
miocardico. Per la loro natura quantitativa sono
inoltre potenzialmente in grado di fornire
informazioni prognostiche e potrebbero essere
utilizzate nella valutazione dell’efficacia delle
terapie.
T2 MAPPING
Aspetti metodologici
Nelle sequenze T2 pesate l’intensità del segnale di un tessuto
è determinata principalmente dalla quantità di acqua che esso
contiene. Questo è il principio sul quale si basa l’impiego dell’imaging T2 nella valutazione dell’edema miocardico.
La pesatura in T2 delle immagini è solitamente ottenuta utilizzando sequenze fast spin echo double inversion recovery o
triple inversion recovery (short tau inversion recovery, STIR). In
quest’ultimo caso ai due impulsi di inversione che sopprimono
il segnale del sangue si aggiunge un terzo impulso per la soppressione del segnale del tessuto adiposo.
Queste sequenze, tuttavia, presentano alcune limitazioni.
La soppressione del segnale del sangue può risultare non ottimale, in particolare dove il flusso ematico è più lento, e l’iperintensità del segnale che ne risulta può essere erroneamente
attribuita al miocardio. Questo accade più frequentemente all’interfaccia subendocardica, ed in particolare in sede apicale,
nelle regioni riccamente trabecolate o in prossimità di segmenti
ipocinetici. Inoltre le bobine di superficie phased-array utilizzate causano disomogeneità nell’intensità di segnale tra le varie
regioni in esame, che possono determinare errori nell’interpre-
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tazione delle immagini (Figura 1). Per ovviare a questo problema può essere utilizzata la bobina standard body, a prezzo però di una marcata riduzione del rapporto segnale-rumore, particolarmente critica per le sequenze STIR.
La quantificazione diretta del T2 mediante sequenze specifiche consente la costruzione di mappe parametriche, dove l’intensità del segnale esprime in termini quantitativi il T2 medesimo. La costruzione di queste mappe consente di superare in
gran parte le limitazioni dell’approccio qualitativo.
Esistono diverse sequenze utilizzabili per acquisire e costruire mappe T2 del miocardio. Il metodo più frequentemente impiegato prevede l’utilizzo di una sequenza steady-state
free precession (SSFP) associata a preimpulsi di preparazione
che impartiscono il contrasto T2. Tipicamente vengono acquisite 3 immagini, ognuna con differenti tempi di preparazione T2
(tipicamente 0 ms, 24 ms e 55 ms, scelti sulla base del range dei
valori del T2 del miocardio), le quali vengono elaborate mediante l’applicazione di equazioni matematiche che consentono di stimare pixel a pixel la curva di decadimento T2 e quindi
la creazione delle mappe1 (Figura 2).
Applicazioni cliniche
Cardiopatia ischemica
In cardio-RM l’area di necrosi ischemica irreversibile viene identificata con la porzione di miocardio che presenta captazione
tardiva del mdc. Il razionale dell’impiego dell’imaging T2 nella
valutazione dell’ischemia miocardica nasce dal fatto che l’occlusione coronarica acuta determina un edema miocardico che
si traduce in iperintensità del segnale nelle sequenze T2 pesate. La porzione di miocardio con edema che non capta il mdc
rappresenta l’area a rischio, cioè quella danneggiata in maniera reversibile, che può recuperare la funzione contrattile non
essendo necrotica ma solo transitoriamente disfunzionante2,3.
L’edema miocardico tende nel tempo a risolversi, mentre la captazione tardiva permane; l’imaging T2 consente quindi di differenziare gli infarti acuti dalle aree di necrosi (Figura 3).
Nel lavoro di Verhaert et al.4 le mappe del T2 hanno consentito di identificare l’edema miocardico in 26 di 27 pazienti,
mentre le sequenze STIR (approccio tradizionale qualitativo) sono risultate negative in 7 pazienti e non interpretabili in ulteriori
2 pazienti per la presenza di artefatti. Il T2 è risultato 69 ± 6 ms
nella zona infartuata e 56 ± 3.4 ms nel miocardio remoto, cioè
non affetto da malattia. Le aree di ostruzione microvascolare
sono risultate caratterizzate da valori del T2 più bassi di quelli
delle restanti regioni ischemiche (59 ± 6 vs 71.6 ± 10 ms). La superiorità delle mappe del T2 rispetto alle sequenze T2 pesate
tradizionali nell’identificazione dell’edema miocardico è stata
confermata anche in uno studio su 20 pazienti con infarto miocardico acuto valutati dopo rivascolarizzazione5.
Le mappe del T2 sono state utilizzate per valutare l’evoluzione dell’edema miocardico dopo rivascolarizzazione percutanea
primaria in 62 pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). A 48h ed a 3 settimane dalla
procedura6, il T2 era significativamente più elevato nei segmenti
infartuati che nel miocardio remoto (56.7 vs 43.4 ms e 51.8 vs
39.5 ms, rispettivamente), mentre a 6 mesi non erano più riscontrabili differenze significative. Inoltre il T2 dei segmenti sani a 48h
risultava incrementato rispetto a quello misurato a 3 settimane,
verosimilmente in relazione alla presenza di iperemia diffusa.
In un successivo lavoro dello stesso gruppo7 il T2 nei segmenti infartuati in soggetti con STEMI era più elevato in pazienti diabetici rispetto ai non diabetici (59 vs 50.8 ms).
MAPPE T1 E T2 DEL MIOCARDIO
A
B
Figura 1. Artefatti delle sequenze tradizionali. Iperintensità del segnale nella sequenza STIR in 2 camere (A) in corrispondenza della parete miocardica anteriore in sede apicale (freccia), dovuta alla disomogeneità del segnale causata dall’utilizzo delle bobine phased-array. La corrispondente mappa del T2 (B) dimostra
l’assenza di edema miocardico.
A
T2prep=0 ms
B
T2prep=24 ms
C
T2prep=55 ms
D
Figura 2. Mappa del T2. Vengono acquisite 3 immagini con differenti tempi di preparazione T2 (A-C), ottenute nella stessa fase diastolica e con un gap di 2 intervalli RR per consentire un sufficiente recupero della magnetizzazione longitudinale (T1). Le immagini acquisite vengono quindi processate per generare una mappa del T2 (D). I colori più chiari
nella mappa a colori corrispondono a valori più elevati del T2.
Cardiomiopatie acquisite e secondarie
L’edema miocardico, la captazione precoce del mdc (early
gadolinium enhancement), espressione di iperemia, e la captazione tardiva del mdc (late gadolinum enhancement, LGE)
che riflette la necrosi e la fibrosi sono i tre criteri RM per la
diagnosi di miocardite, dei quali si raccomanda un uso combinato, anche perché non sono sempre presenti contemporaneamente. In particolare, così come nel caso dell’occlusione
coronarica acuta, la presenza di edema in assenza di LGE è
considerata indicativa di lesione miocardica reversibile8. L’edema in corso di miocardite può essere regionale o globale. In
quest’ultimo caso l’interessamento globale del ventricolo sinistro da parte della malattia rende impossibile valutazioni
qualitative comparative e rende indispensabile l’impiego di
tecniche quantitative per la valutazione delle alterazioni di segnale.
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A
B
C
Figura 3. Coesistenza di infarto acuto e cronico. Paziente con infarto acuto senza sopraslivellamento del tratto ST e pregresso infarto in territorio dell’arteria interventricolare. Lo
studio della captazione tardiva del mezzo di contrasto (sequenza PSIR in 4 camere) evidenzia la presenza di captazione subendocardica in corrispondenza della parete laterale
media e distale, dell’apice e del setto distale (A, frecce). La corrispondente immagine con
sequenza TSE T2 pesata (B) è gravata da artefatti da respiro e da flusso lento (frecce) all’interfaccia subendocardica, e non evidenzia chiaro edema. La mappa del T2 (C) evidenzia chiaramente la presenza di edema (freccia) in corrispondenza del setto medio e distale
(T2 = 72 ms vs 47 ms nel miocardio normale), consentendo di differenziare l’evento ischemico acuto da quello cronico.
L’edema miocardico globale con predominanza apicale, insieme alla dilatazione dell’apice con acinesia, è una delle caratteristiche RM della cardiomiopatia takotsubo. In uno studio su
30 pazienti con miocardite e cardiomiopatia takotsubo, un cutoff di 59 ms ha presentato il 94% di sensibilità ed il 97% di specificità nel differenziare il miocardio dei pazienti da quello dei soggetti normali. Le mappe del T2 sono risultate di qualità diagnostica in tutti i pazienti, anche in quelli con aritmie o che presentavano difficoltà a mantenere l’apnea nelle sequenze STIR. Queste ultime sono risultate non interpretabili in 13 pazienti. Non sono state riscontrate significative differenze tra miocardio remoto
e miocardio dei controlli normali. Le mappe del T2 hanno invece
evidenziato la presenza di edema miocardico anche in segmenti
dove non erano riscontrabili LGE o alterazioni della cinetica9.
In un recente studio su 50 soggetti con sarcoidosi sottoposti a cardio-RM nel sospetto di coinvolgimento cardiaco, le
mappe del T2 hanno dimostrato la presenza di edema miocardico nel 54% dei pazienti. Aumentati valori del T2 sono stati
evidenziati in 11 dei 27 pazienti che non presentavano LGE,
mentre 7 dei 23 soggetti con normali valori del T2 presentavano LGE. Questo risultato sembra confermare che le mappe del
T2 e lo studio della captazione tardiva del mdc forniscono informazioni tra loro complementari nella valutazione della patologia infiammatoria del miocardio10.
Trapianto cardiaco
Il rigetto acuto è il fattore principale che condiziona la prognosi nel primo anno dopo trapianto cardiaco, ed i pazienti ven-
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gono quindi sottoposti ad un monitoraggio intensivo, anche
con biopsie miocardiche. Sarebbe quindi auspicabile individuare nuovi marker che consentano di effettuare controlli in maniera non invasiva.
In uno studio pilota11, condotto nel primo anno dopo trapianto, sono state eseguite mappe del T2 su 53 pazienti sottoposti a biopsia miocardica. Negli 8 casi di rigetto riscontrati il T2
è risultato significativamente elevato rispetto a coloro che non
hanno avuto rigetto (60.1 ± 2.1 vs 52.8 ± 2.7 ms), con successiva normalizzazione dopo 2.5 mesi di terapia. Inoltre in 2 pazienti nei quali sono stati riscontrati segni clinici ed emodinamici
di rigetto, regrediti dopo terapia, le mappe del T2 hanno dimostrato la presenza di alterazioni miocardiche benché la biopsia fosse risultata negativa. Nonostante la scarsa numerosità del
campione in esame, questo studio suggerisce il possibile utilizzo delle mappe del T2 come marker precoce di rigetto.
Caratterizzazione delle placche
La tipizzazione delle placche aterosclerotiche carotidee mediante RM è stata validata dall’istologia. Utilizzando in combinazione multiple sequenze di RM (tipicamente sequenze pesate in T1, T2, densità protonica e sequenze time of flight, TOF)
è infatti possibile valutare se la placca possiede un core lipidico, se è prevalentemente fibrotica o calcifica e se si sono verificate emorragie intra-placca. Tuttavia, la natura qualitativa ed
i frequenti artefatti dell’imaging tradizionale, uniti ai lunghi
tempi di acquisizione, hanno sino ad oggi ostacolato l’applicazione clinica della metodica. La valutazione quantitativa forni-
MAPPE T1 E T2 DEL MIOCARDIO
ta dalle mappe del T2 potrebbe rappresentare una valida alternativa alle sequenze tradizionali. In un lavoro di Biasiolli et al.12,
condotto su un tomografo a 3 Tesla, è stato dimostrato un
buon accordo tra mappe T2 ed imaging multiparametrico convenzionale nella classificazione in vivo delle placche carotidee.
T1 MAPPING
Aspetti metodologici
Molteplici patologie determinano l’insorgenza di fibrosi miocardica, che contribuisce a causare scompenso cardiaco, può
rappresentare un fattore prognostico negativo ed incrementa il
rischio di aritmie e morte improvvisa. Lo studio con RM della
captazione tardiva del mdc è attualmente considerato il gold
standard per lo studio non invasivo della fibrosi miocardica focale. Le sequenze utilizzate per la valutazione del LGE hanno
una risoluzione spaziale relativamente bassa e si basano sull’annullamento del segnale del miocardio normale per esaltare
la captazione del tessuto patologico. Esse riescono a rilevare le
alterazioni fibrotiche quando queste sono relativamente marcate, ma non sono in grado di evidenziare la presenza di fibrosi interstiziale diffusa, in particolare se di lieve entità, per la
mancanza di miocardio normale di riferimento. La recente introduzione nella pratica clinica di tecniche che consentono la
creazione di mappe parametriche del T1 ha aperto nuove prospettive per la valutazione della fibrosi miocardica interstiziale
diffusa.
La sequenza di impulsi più frequentemente utilizzata per ottenere mappe del T1 possiede come acronimo quello di MOLLI
(modified Look-Locker), ed è stata introdotta da Messroghli et
al.13. Il suo schema prevede l’acquisizione a respiro trattenuto,
tipicamente in diastole, di 11 immagini di una medesima sezione con differente pesatura in T1, utilizzando circa 17 battiti
cardiaci. Sono state proposte alcune varianti ed ulteriori sequenze per ridurre la durata dell’apnea richiesta e ridurre la dipendenza dalla frequenza cardiaca, oltre ad alcuni accorgimenti
di registrazione per diminuire gli artefatti legati all’acquisizione
di immagini ottenute in differenti cicli cardiaci14-19.
Le mappe del T1 vengono tipicamente acquisite sia prima
che dopo somministrazione di mdc (Figura 4). Il gadolinio è un
A
B
Figura 4. Mappe del T1 pre e post-contrasto. Mappa del T1 in condizioni basali (A) e dopo mezzo di contrasto (B) acquisita in asse corto in sede basale. Il T1 misurato nel setto era di 1005 ms in condizioni
basali e di 474 ms nelle mappe dopo mezzo di contrasto. Misurando il T1 sia prima che dopo mezzo di contrasto e correggendo per
l’ematocrito è possibile calcolare lo spazio interstiziale miocardico.
mdc extracellulare che si distribuisce in sede intravascolare ed
interstiziale, ed accorcia il T1 dei tessuti. Si accumula nelle aree
di fibrosi sia perché l’ampliamento dello spazio interstiziale determina un incremento del suo volume di distribuzione, sia per
un ritardato wash-out causato dalla ridotta densità capillare all’interno del miocardio fibrotico.
La valutazione qualitativa delle mappe del T1 post-contrasto può essere affiancata a quella della captazione tardiva del
mdc con sequenze tradizionali per l’identificazione della fibrosi focale (Figura 5). Questa opportunità è particolarmente utile
quando risulti difficile ottenere un adeguato annullamento del
segnale del miocardio normale, non necessario quando si utilizzano le mappe (Figura 6).
Misurando il T1 prima e dopo somministrazione di gadolinio si può calcolare lo spazio interstiziale miocardico, o volume
extracellulare (extracellular volume, ECV), che viene considerato un marker surrogato di fibrosi20-22. L’ECV viene calcolato mediante l’applicazione dell’equazione:
ECV = λ x (1 − ematocrito)
(λ= ΔR1 del miocardio / ΔR1 del sangue. ΔR1 = 1/T1).
Questa formula è valida con il presupposto che si determini una
condizione di equilibrio tra gadolinio ematico e miocardico, realizzabile con due approcci. Il primo prevede la somministrazione in infusione continua a bassa velocità di gadolinio finché il
T1 nel miocardio e nel sangue non risultino costanti. Questa
tecnica, per i lunghi tempi di esame richiesti, può essere difficile da applicare nella pratica clinica. In alternativa si può somministrare un bolo singolo di mdc, assumendo che gli scambi
tra pool ematico e miocardio siano veloci rispetto alla clearance del gadolinio così da renderne trascurabili gli effetti, con conseguente realizzazione di un equilibrio dinamico tra concentrazione di gadolinio nel miocardio e nel sangue dopo un tempo adeguato dalla somministrazione di mdc22.
Applicazioni cliniche con mezzo di contrasto
Fibrosi interstiziale diffusa
Le mappe del T1 si sono dimostrate un utile strumento per la
valutazione della fibrosi diffusa. In uno studio su 25 pazienti
con scompenso cardiaco20 il T1 miocardico misurato 15 min dopo la somministrazione di mdc risultava significativamente minore di quello dei controlli. Nello stesso lavoro, in un ulteriore
gruppo di 9 pazienti precedentemente sottoposti a trapianto
cardiaco, i valori del T1 dopo mdc correlavano con la fibrosi riscontrata alla biopsia miocardica. In un ulteriore studio su 54
pazienti con scompenso cardiaco il T1 misurato 10 min dopo la
somministrazione di mdc era inversamente correlato con l’entità istologica della fibrosi23.
È bene sottolineare come la misurazione isolata del T1 dopo mdc va considerata con cautela, dal momento che può essere influenzata da vari fattori, come la percentuale di grasso
corporeo, la funzionalità renale e l’ematocrito. Da questo punto di vista risulta più corretto calcolare l’ECV. In un recente lavoro di Chin et al.24, il calcolo dell’ECV è risultato più riproducibile della misurazione del T1 dopo contrasto ed ha dimostrato inoltre una migliore performance nel differenziare soggetti
con stenosi aortica dai controlli sani.
In un lavoro di Flett et al.21, i valori di ECV misurati a livello del setto interventricolare basale in 18 pazienti sottoposti a
sostituzione valvolare aortica e su miomectomia in 8 pazienti
con cardiomiopatia ipertrofica correlavano con la fibrosi istologica nella stessa sede, valutata su biopsia chirurgica. In un
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A
B
Figura 5. Miocardite. Fibrosi intramiocardica in corrispondenza della parete laterale basale
del ventricolo sinistro (frecce) evidenziata dallo studio della captazione tardiva del mezzo
di contrasto con sequenza PSIR in 4 camere (A) e dalla corrispondente mappa del T1 dopo mezzo di contrasto (B).
A
B
Figura 6. Cardiomiopatia ipertrofica. Lo studio della captazione tardiva del mezzo di contrasto con sequenza PSIR in asse corto (A), di
qualità non ottimale per incompleto annullamento del segnale miocardico in relazione a frequente extrasistolia, evidenzia sospetti focolai di captazione al setto (frecce). La mappa del T1 dopo mezzo di
contrasto conferma la presenza di fibrosi intramiocardica (B, frecce).
ulteriore lavoro su 6 pazienti sono state inoltre ottenute mappe del T1 pre-trapianto ed è stata riscontrata, per tutti i segmenti cardiaci, una stretta correlazione tra ECV e frazione di
volume del collagene valutata istologicamente sui cuori espiantati25.
I valori di ECV, utilizzati come marker non invasivo di fibrosi diffusa, sono risultati aumentare con l’età in un lavoro condotto su 1231 soggetti appartenenti alla coorte dello studio
MESA (Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis), includente anche soggetti fumatori, ipertesi e diabetici26. In questa casistica,
i valori di ECV sono inoltre risultati significativamente più elevati nelle donne rispetto agli uomini, e questo dato è stato confermato da altri autori anche su controlli sani27.
In un recente studio su 20 pazienti precedentemente sottoposti a trapianto cardiaco, i valori di ECV ed il T1 misurato
dopo mdc correlavano con gli indici di disfunzione diastolica
misurati invasivamente28.
In uno studio su 793 pazienti consecutivi, che includeva tutti i soggetti adulti inviati per eseguire un’indagine di cardio-RM
nei quali fosse atteso che l’espansione dell’ECV e la prognosi
potessero essere prevalentemente determinate da un’estesa fibrosi miocardica, escludendo i pazienti con amiloidosi e cardiomiopatia ipertrofica, è stata riscontrata una significativa correlazione tra espansione della matrice extracellulare valutata
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con RM e mortalità a breve termine da ogni causa, suggerendo il possibile utilizzo dell’ECV come biomarker nella stratificazione del rischio29.
Oltre la fibrosi diffusa
I processi patologici in grado di determinare modificazioni dello spazio interstiziale sono molteplici. L’ECV infatti può essere
alterato in caso di patologia infiltrativa, di edema o di flogosi e
non deve quindi essere considerato un marker specifico di fibrosi miocardica.
In un lavoro di Sado et al.27, i valori di ECV sono risultati
elevati non solo in soggetti con cardiomiopatia dilatativa, cardiomiopatia ipertrofica, stenosi aortica severa ed infarto miocardico ma anche in pazienti con amiloidosi cardiaca. I valori di
ECV dei pazienti con amiloidosi erano significativamente più
elevati di quelli degli altri pazienti, ad eccezione dei valori rilevati nelle aree infartuate. Questi risultati sono stati confermati
in un lavoro di Mongeon et al.30, nel quale i pazienti con amiloidosi presentavano valori di ECV maggiori di quelli riscontrati in pazienti con cardiomiopatia di altra natura e nei soggetti
di controllo.
In uno studio su 60 pazienti con amiloidosi AL sistemica
l’ECV è risultato significativamente incrementato rispetto ai
controlli normali. I valori dell’ECV erano progressivamente più
elevati nei sottogruppi nei quali l’interessamento cardiaco, stabilito sulla base di criteri convenzionali, era classificato come
assente, probabile e definito e correlavano con gli indici clinici,
strumentali e laboratoristici di attività di malattia e di performance funzionale del paziente31.
T1 mapping senza mezzo di contrasto
Per una valutazione selettiva dello spazio interstiziale è necessario abbinare il mdc alle mappe del T1, cosa che incrementa la
durata dell’esame di RM e può non essere possibile in pazienti
con insufficienza renale. Un crescente interesse sta pertanto suscitando il possibile utilizzo delle mappe ottenute senza somministrazione di mdc (T1 native), che misurano valori del T1 del
complesso miocardio/spazio interstiziale. Infatti l’edema, la flogosi e la fibrosi determinano un allungamento non solo del T2
ma anche del T1 (Figura 7).
In uno studio preliminare su 8 pazienti è stato riscontrato
un incremento del T1 pre-contrasto in corrispondenza delle
aree infartuate, e le alterazioni del T1 sono risultate più estese delle aree che presentavano captazione tardiva del mdc32. In
uno studio su animali le mappe del T1 pre-contrasto e del T2
MAPPE T1 E T2 DEL MIOCARDIO
A
B
Figura 7. Edema miocardico nelle mappe del T2 e del T1. La mappa
del T2 acquisita in asse corto in sede basale (A) evidenzia edema
della parete miocardica laterale ed inferiore in un paziente con miocardite acuta. Il T2 nell’area edematosa era di 70 ms vs 48 ms in corrispondenza del miocardio normale al setto. La presenza di edema
viene evidenziata anche dalla corrispondente mappa del T1 senza
mezzo di contrasto (B). Il T1 era di 1061 ms quando misurato nella
parete laterale e di 944 ms in corrispondenza del miocardio normale al setto.
hanno dimostrato analoga accuratezza nell’identificazione
dell’“area a rischio” dopo occlusione coronarica33, mentre in
un’altra esperienza34 le mappe del T1 hanno presentato una
performance diagnostica più elevata delle sequenze T2 pesate nella rilevazione dell’edema miocardico in pazienti con cardiomiopatia takotsubo o con edema miocardico regionale acuto non ischemico. La migliore performance diagnostica delle
mappe del T1 pre-contrasto rispetto alle sequenze T2 pesate
nell’identificazione dell’edema miocardico, è stata confermata in un successivo lavoro dello stesso gruppo in pazienti con
miocardite35.
In uno studio su 53 pazienti, i soggetti con amiloidosi AL
cardiaca presentavano valori del T1 pre-contrasto significativamente più elevati dei controlli sani, ed un cut-off del T1 di 1020
ms mostrava un’accuratezza del 92% nell’identificare i pazienti con coinvolgimento miocardico definito o possibile36 (Figura
8). L’incremento del T1 pre-contrasto rispetto ai controlli sani ed
a soggetti con cardiomiopatia ipertrofica è stato inoltre confermato anche in pazienti con amiloidosi cardiaca da transtiretina37.
In uno studio su 109 pazienti con stenosi aortica moderata
e severa38 è stata riscontrata una significativa correlazione tra
valori del T1 pre-contrasto e frazione di volume del collagene
valutata istologicamente; inoltre i valori del T1 erano significativamente aumentati nei soggetti con stenosi aortica severa rispetto ai controlli. In un lavoro di Puntmann et al.39 sono stati
valutati 25 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica, 27 pazienti
con cardiomiopatia dilatativa e 30 soggetti sani. Rispetto ai controlli, i pazienti hanno presentato valori del T1 pre-contrasto e
di ECV significativamente maggiori e valori del T1 post-contrasto significativamente minori. Le mappe del T1 hanno discriminato i pazienti dai controlli con una sensibilità del 100%, una
specificità del 96% ed un’accuratezza del 98%, mentre le mappe del T1 post-contrasto ed il calcolo dell’ECV hanno presentato una performance diagnostica inferiore.
La malattia di Anderson-Fabry è una rara patologia caratterizzata dall’accumulo intracellulare di lipidi, che in RM sono
caratterizzati da bassi valori del T1. In questa patologia le map-
A
B
C
D
Figura 8. Amiloidosi cardiaca. La sequenza cine true-fisp in asse corto (A) evidenzia la presenza di ipertrofia miocardica (spessore 18 mm
al setto). La mappa del T1 pre-contrasto (B) dimostra un diffuso incremento dei valori del T1 (1140 ms al setto). Allo studio della captazione tardiva del mezzo di contrasto con sequenza PSIR (C) si dimostra enhancement diffuso, confermato dalla corrispondente mappa del T1 dopo mezzo di contrasto (D).
pe pre-contrasto hanno confermato la riduzione del T1 nei pazienti rispetto ai controlli ed in soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra sono state in grado di discriminare completamente i soggetti con malattia di Anderson-Fabry da quelli con ipertrofia di altra natura40.
La valutazione con RM del sovraccarico miocardico di ferro nelle talassemie viene solitamente effettuato utilizzando sequenze T2*, che valutano il decadimento della magnetizzazione trasversale in presenza di disomogeneità del campo magnetico statico. Tuttavia l’accumulo di ferro nel miocardio, oltre al tempo di rilassamento T2 e T2*, riduce anche il tempo
di rilassamento T1. In un recente lavoro è stata evidenziata
una correlazione lineare tra T1 e T2* miocardici in pazienti con
beta-talassemia major e sovraccarico miocardico di ferro41. La
correlazione tra T1 e T2* miocardici è stata confermata in uno
studio su 53 pazienti con sovraccarico di ferro42. Questi lavori suggeriscono un possibile ruolo complementare delle mappe del T2* e del T1 nella quantificazione della siderosi miocardica.
Il T1 pre-contrasto e l’ECV si sono inoltre dimostrati potenziali marker precoci di rimodellamento cardiaco in pazienti pediatrici sottoposti a chemioterapia con antracicline, riflettendo
probabilmente l’iniziale instaurarsi di alterazioni fibrotiche in
soggetti con funzione cardiaca ancora conservata43.
G ITAL CARDIOL | VOL 15 | NOVEMBRE 2014
613
C TESSA ET AL
ASPETTI CONTROVERSI DEL T1 E T2 MAPPING
Le mappe del T1 e del T2 possono essere soggette ad artefatti
e possono presentare bias nella misurazione del parametro di
interesse, legati sia alla frequenza cardiaca che al disegno stesso delle sequenze. Inoltre le varie sequenze utilizzabili hanno
dimostrato tra loro differenze in termini di accuratezza, precisione e riproducibilità18,19,44. Anche i dati di sensibilità e specificità dell’imaging parametrico del T1 e del T2 rispetto ad altre
metodiche, ed in particolare rispetto alla biopsia endomiocardica, non sono tuttora del tutto noti. Un ulteriore elemento di
variabilità è rappresentato, come per le sequenze tradizionali,
dall’impiego di diverse metodologie di analisi ed in particolare
dalla mancanza di cut-off condivisi per distinguere il miocardio
normale da quello patologico. Infatti il criterio utilizzato per definire le aree di alterato segnale (2DS, vs 3DS vs 5DS rispetto al
miocardio normale) può variare sia a seconda delle sequenze sia
a seconda della patologia in esame, ed anche quando esistono
degli standard generalmente accettati, come nell’infarto miocardico acuto2,3, questi mantengono degli elementi di arbitrarietà45. Inoltre i dati finora prodotti dalla letteratura si riferiscono a confronti fra gruppi e con casistiche generalmente limitate e pertanto occorre cautela nell’applicazione dei risultati alla
valutazione del singolo soggetto.
CONCLUSIONI
L’imaging parametrico del T1 e del T2 sta aprendo nuove prospettive nella valutazione della patologia cardiaca. In particolare, l’edema e la fibrosi diffusa possono essere identificati con
maggiore accuratezza di quanto finora possibile con le sequenze tradizionali. La valutazione qualitativa delle mappe del
T1 post-contrasto si affianca a quella delle sequenze tradizionali
per l’identificazione della captazione tardiva del mdc, utile soprattutto nei casi nei quali la soppressione del segnale miocardico risulti non ottimale. Tuttavia l’impiego della mappe presenta tuttora aspetti controversi. Ulteriori studi saranno necessari per chiarire l’effettivo ruolo diagnostico e prognostico dell’imaging parametrico del T1 e del T2 rispetto alla valutazione
qualitativa delle sequenze tradizionali.
RIASSUNTO
La risonanza magnetica (RM) cardiaca è attualmente considerata il
gold standard per lo studio delle alterazioni strutturali del miocardio, in particolare per la valutazione dell’edema e della fibrosi focale. Tuttavia, le sequenze tradizionali usualmente utilizzate a tale
scopo mostrano importanti limitazioni e forniscono solo informazioni di tipo qualitativo. Recenti progressi nelle tecniche di cardioRM hanno reso possibile l’acquisizione in tempi molto rapidi di
mappe dei tempi di rilassamento T1 e T2 del miocardio. L’intensità
del segnale di queste immagini è direttamente proporzionale al valore assoluto dei tempi di rilassamento. Le mappe forniscono quindi
misure quantitative utilizzabili nella normale pratica clinica. Nello
studio della patologia miocardica acuta, sia ischemica che infiammatoria, l’edema miocardico può essere rilevato utilizzando mappe
del T2. Queste hanno dimostrato una performance migliore delle
tradizionali sequenze T2-pesate e STIR. Analogamente le mappe del
T1, ottenute sia in condizioni basali che dopo somministrazione di
mezzo di contrasto, consentono una precisa quantificazione della
fibrosi miocardica sia focale che diffusa così come dell’edema e delle
patologie infiltrative del miocardio.
Questo articolo intende fornire una breve rassegna delle tecniche
attualmente utilizzabili per costruire le mappe dei tempi di rilassamento T1 e T2 del miocardio e discute delle loro potenzialità e limitazioni nella valutazione della patologia miocardica.
Parole chiave. Mappe del T1; Mappe del T2; Risonanza magnetica.
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