Novembre 2012 Newsletter E-Tax – Un monitoraggio delle novità societarie e fiscali di particolare interesse per l’ICT a cura di RSM Tax & Advisory Italy Indice: 1. Flash delle novità fiscali e legali 1.1 IMU – pubblicazione modello di dichiarazione ed ulteriore rinvio del termine di presentazione 1.2 Pagamenti entro 30 gg dalla PA 2. Approfondimenti generali di carattere fiscale e legale 2.1 Conseguenze della mancata iscrizione nell’archivio VIES 2.2 Al via il regime Iva di cassa 3. Approfondimenti specifici per il settore IT di carattere fiscale e legale 3.1 Open data” secondo la definizione fornita dal legislatore (D.L. 179/2012), evoluzione italiana 3.2 Corte di Giustizia Europea –lLa tutela del diritto d'autore on line 3.3 Agevolazioni per le start-up in attesa di definizione 4. Giurisprudenza e prassi 4.1 Detraibilità dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti 4.2 Estinzione di società e rapporti con l’Erario 4.3 Il centro prevalente di interesse economico come criterio per la determinazione della residenza fiscale 4.4 Procedimento di accertamento con adesione e sospensione dei termini per ricorrere 4.5 L’Agenzia che ritarda l’autotutela va condannata alle spese 5. RSM Tax & Advisory Italy 1. Flash delle novità fiscali e legali 1.1 IMU – pubblicazione modello di dichiarazione ed ulteriore rinvio del termine di presentazione Con Decreto dello scorso 30 ottobre è stato pubblicato il modello di dichiarazione ai fini IMU e le relative istruzioni. È attualmente in fase di recepimento una ulteriore proroga del termine di presentazione della dichiarazione IMU valevole per il 2012: dall’attuale scadenza del 30 novembre si dovrebbe infatti passare al termine del 4 febbraio 2013, fatte salve le variazioni avvenute nell’ultima parte dell’anno, per le quali rimane valido il termine di presentazione entro 90 giorni dalla data della variazione. In base alle istruzioni sono da comunicare, in linea di principio, le variazioni intervenute rispetto alle dichiarazioni ICI già presentate per gli anni pregressi, che determinano un diverso carico di imposta e che non risultano conoscibili dal Comune: tra le fattispecie più rilevanti è da segnalare il caso in cui, in base alla delibera dello specifico Comune di interesse, l’immobile gode di una riduzione di aliquota rispetto a quella ordinaria. Tra le casistiche non note ai Comuni ed oggetto, quindi, di dichiarazione, si evidenziano, le seguenti, tipicamente riferite ad imprese: concessione dell’immobile in locazione finanziaria; fabbricato classificabile nel gruppo catastale “D”, non iscritto in Catasto , ovvero iscritto ma senza attribuzione di rendita, interamente posseduto da imprese e distintamente contabilizzato. La dichiarazione deve essere inoltrata al Comune di riferimento mediante consegna diretta, invio di raccomandata senza ricevuta di ritorno ovvero via PEC. 1.2 Pagamenti entro 30 gg dalla PA La direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 rafforza le tutele delle imprese contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Tra le novità, si segnala l’obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni all’interno dell’UE di provvedere ai pagamenti nei confronti delle imprese entro un termine massimo uniforme di 60 giorni. La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 16 marzo 2013 e sostituirà così la direttiva comunitaria 2000/35/CE. Quella dei ritardi nei pagamenti è da sempre un'emergenza nel nostro paese, soprattutto in questa fase in cui le imprese sono a corto di liquidità. In particolare, a essere penalizzate sono le piccole aziende, costrette ad aspettare in media circa 180 - 190 giorni per essere pagate, con punte record al Sud dove si superano anche i 1.500 giorni. Tempi molto lontani rispetto a tutti gli altri paesi comunitari. In quest’ottica il Governo il 31 ottobre 2012 ha approvato lo schema del Decreto Legislativo per l’attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 (2011/7/UE) “relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento delle transazioni commerciali”. In particolare con lo stesso si è voluto dare un impulso più incisivo a quanto già previsto dal D. Lgs. 231/2002. Dal primo gennaio 2013, anticipando quindi il termine previsto a livello comunitario, la pubblica amministrazione dovrà pagare i propri fornitori entro 30 giorni. Al più si potrà arrivare a 60 giorni solo in casi ben individuati. Lo stesso limite riguarderà anche le transazioni azienda-azienda, ma in questo caso il tetto potrà essere superato nel caso ci siano accordi tra le parti. Intese che comunque non dovranno essere inique per il creditore. Per le amministrazioni pubbliche che non rispetteranno i tempi scatterà la "sanzione" degli interessi legali di mora. Quindi, quella del primo gennaio 2013 diventa una data fondamentale, in quanto tutte le pubbliche amministrazioni dovranno pagare i loro fornitori entro 30 giorni dal ricevimento della fattura o, a seconda delle specificità, dalla data di ricevimento delle merci o di esecuzione della prestazione dei servizi. E’ stata prevista una proroga a 60 giorni per ASL e ospedali nonché deroghe a 2 mesi per le imprese pubbliche e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria. Anche le altre PA potranno pagare a 60 giorni in casi eccezionali, giustificati «dalla natura o dall'oggetto del contratto». A differenza delle transazioni tra imprese e PA, nei pagamenti tra aziende, possono anche essere superati i 60 giorni, purché i termini di pagamento non siano “gravemente iniqui per il creditore”, e “pattuiti espressamente”. In caso di pagamento oltre i limiti sopra indicati, gli interessi moratori decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza dei termini. L’applicazione degli interessi moratori (circa l’8% - 7 punti percentuali da aggiungere al tasso della Bce che oggi si aggira intorno all'1%) avverrà in modo automatico senza la richiesta scritta al debitore di adempiere all'obbligo ovvero senza la cd. costituzione in mora. Tra imprese si può concordare un tasso diverso, ma non iniquo per il creditore. Il creditore ha anche diritto al rimborso dei costi che ha sostenuto per il recupero delle somme che non sono state corrisposte in tempo. Anche in questo caso il diritto scatta indipendentemente dalla richiesta scritta al debitore di adempiere all'obbligo. La soglia minima dell'importo è di 40 euro. RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy 2. Approfondimenti generali di carattere fiscale e legale 2.1 Conseguenze della mancata iscrizione nell’archivio VIES È stato introdotto, con il D.L. 78/2010, l’obbligo di dichiarazione di volontà per i soggetti che intendono effettuare operazioni intracomunitarie. Lo scopo è di garantire un monitoraggio continuo dei soggetti che hanno espresso la volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie e che sono stati conseguentemente inseriti nell’archivio dei soggetti autorizzati alle operazioni intracomunitarie (cosiddetto VIES). L’inclusione nell’Archivio VIES costituisce presupposto indispensabile per essere identificati dalle controparti comunitarie come soggetti passivi IVA e, dunque, per qualificare correttamente le cessioni o prestazioni come effettuate o ricevute da contribuente italiano avente lo status di soggetto passivo IVA ai fini degli scambi intracomunitari. L’introduzione del regime con il decreto 78/2010, ha comportato che i soggetti passivi nazionali per effettuare operazioni intracomunitarie tassabili a destinazione, secondo il principio proprio di tali operazioni “b2b”, devono essere iscritti nell’archivio del VIES. Se non si è compresi nell’elenco, secondo la relazione del dl 78/2010, non sussiste soggettività passiva per le operazioni intracomunitarie e di conseguenza, ove fossero effettuate ugualmente, non potrebbero essere assoggettate al regime loro proprio, ma le operazioni attive (cessioni e prestazioni verso soggetti comunitari) sarebbero assoggettate all'Iva in Italia, mentre le operazioni passive (acquisti di beni e servizi fatti da soggetti nazionali presso fornitori comunitari) sarebbero assoggettate all'Iva nel Paese di origine, come se il destinatario fosse un privato consumatore, con la preclusione, tra l’altro, della possibilità di chiedere il rimborso dell’Iva pagata nello stato membro di origine. Preclusione motivata dall’Agenzia delle Entrate, in considerazione della carenza di soggettività passiva nell’operazione intracomunitaria. Con la risoluzione n. 42/E del 27 aprile 2012, l’Agenzia delle Entrate è tornata nuovamente sulla tematica di cui sopra (cfr. circolare n. 39/E del 1° agosto 2011), ribadendo l’assoluta impossibilità per il soggetto che non risulta iscritto al VIES di: effettuare acquisti intracomunitari in Italia procedendo all’applicazione dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile; ricevere prestazioni di servizi generici da parte di fornitori comunitari applicando l’imposta con il medesimo sistema dell’inversione contabile. Sostanzialmente l’acquisto effettuato da una società italiana presso un’azienda con sede in un altro Stato Ue, senza iscrizione al VIES, non si considera una transazione intracomunitaria. Di conseguenza l’operazione è rilevante, ai fini dell’Iva, nel Paese del fornitore e non risulta applicabile il regime dell’inversione contabile. L’Agenzia ha sottolineato altresì il fatto che, nei suddetti casi, non essendo dovuta l’imposta in Italia non è possibile procedere alla sua detrazione, anzi ciò comporta il recupero della stessa con applicazione della sanzione prevista dall’art. 6, comma 6, del D. Lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997, vale a dire per un ammontare pari alla detrazione illegittimamente effettuata In pratica secondo l’Agenzia delle Entrate all’acquisto intracomunitario effettuato da un operatore italiano non iscritto al VIES non risulta applicabile il “reverse charge” ex art. 47, D.L. n. 331/93, pertanto l’operatore italiano, ricevuta la fattura “senza IVA”, non dovrà effettuare la doppia annotazione della stessa nel registro IVA degli acquisti e delle fatture emesse/corrispettivi, con conseguente indetraibilità dell’IVA in acquisto. L’ASSONIME con la circolare n. 21 del 26 luglio 2012 ha esternato la sua non condivisione di tale tesi, in quanto porta a conseguenze gravose per il contribuente. Accadrebbe, infatti, in buona sostanza, che la stessa operazione sarebbe assoggettata a IVA più volte, non rispettando il principio generale di neutralità del tributo, in quanto l’operazione - che, secondo la stessa Agenzia, dovrebbe comunque essere tassata come operazione interna dello Stato del cedente - sarebbe in tal modo assoggettata a imposta anche in Italia alla successiva cessione del bene. Secondo l’ASSONIME la soluzione ottimale sarebbe quella di consentire al soggetto passivo nazionale di operare una variazione in diminuzione dell’IVA a debito, a norma dell’art. 26 del D.P.R. n. 633, evitando così di dover versare l’imposta. Si ricorda infine come l’Agenzia abbia precisato che le sanzioni derivanti dall’effettuazione di operazioni intracomunitarie da soggetti che non sono regolarmente iscritti al VIES, non si applicano a condizione che tali operazioni siano state commesse prima dell’emanazione della circolare n. 39/E del 1° agosto 2011. Ulteriori considerazioni che è possibile evidenziare sono che (i) il regime sanzionatorio richiamato dall’Agenzia delle Entrate (Art. 6, comma 6, del D. Lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997), potrebbe sembrare eccessivo se si considera il fatto che, in molti Stati membri della UE la circostanza che la controparte, cessionario o committente, non sia iscritto al VIES non pregiudica l’applicazione del regime previsto per le operazioni comunitarie; (ii) è lecito domandarsi se l’inadempimento di cui si dibatte non possa farsi rientrare nel novero di quelli disciplinati dalla cd. “remissione in bonis” ovvero da quella particolare procedura (una sorta di “ravvedimento operoso”) con cui è riconosciuto ai contribuenti RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy che non abbiano ottemperato agli obblighi formali di preventiva comunicazione/opzione all’uopo previsti dalle norme disciplinanti specifici istituti, di evitare la decadenza da un beneficio o da un regime fiscale, ponendo in essere, anche se tardivamente, l’adempimento omesso entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile e pagando, contestualmente, la sanzione minimale edittale. 2.2 Al via il regime Iva di cassa Con l’entrata in vigore dell’art. 32-bis del Decreto Legge n. 83/2012 (convertito dalla Legge n. 134/2012) è stata sensibilmente ampliata la portata del regime IVA cd. “di cassa”, modificandone al contempo i tratti caratteristici. La normativa si propone, in buona sostanza, di non fare anticipare il versamento dell’IVA al cedente di beni/prestatore di servizi nell’ipotesi di ritardato pagamento da parte del cessionario o committente che sia a sua volta soggetto passivo IVA. La disposizione introdotta rimandava, per la sua concreta applicazione, all’emanazione di apposito Decreto: quest’ultimo è stato emesso lo scorso 11 ottobre. Di seguito si propone, pertanto, una prima sintesi della disciplina. Cos’è l’IVA di cassa La caratteristica primaria del regime consiste nel definire, quale momento di esigibilità dell’imposta, relativamente alle operazioni attive effettuate da coloro che aderiscono all’IVA di cassa, quello in cui viene ricevuto il pagamento delle relative prestazioni. In modo del tutto speculare per coloro che optano per il regime IVA di cassa il diritto alla detrazione dell’IVA concernente gli acquisti sorge solamente al momento del pagamento del corrispettivo. Non si registrano effetti, invece, su coloro che risultano controparti di transazioni con soggetti che hanno aderito a tale regime ma che non hanno a loro volta, aderito a tale regime: per tali permangono le regole sull’esigibilità dell’IVA. soggetti ordinarie Esempio A opta per il regime IVA di cassa; B non opta (o non può optare) per il regime IVA di cassa; A cede a B beni mobili, consegnando gli stessi il giorno 20 gennaio; B paga A il giorno 20 aprile. Per A l’IVA sulla cessione diviene esigibile all’atto del pagamento di B (mese di aprile o II trimestre), mentre per B l’IVA sull’acquisto diviene esigibile (detraibile) all’atto della consegna dei beni. Nel caso inverso (il cedente A applica le regole generali, e B opta per il regime IVA di cassa), l’IVA sulla cessione diverrà esigibile per A all’atto della consegna dei beni, mentre B non potrà detrarre l’imposta fino al pagamento, da parte sua, della fornitura. Nei confronti di coloro che hanno optato per il regime di cassa eventuali incassi/pagamenti parziali determinano, come conseguenza, l’esigibilità/il diritto alla detrazione dell’imposta nella proporzione tra il corrispettivo incassato/versato ed il corrispettivo complessivo. È da evidenziare che l’operazione rientrante nel regime IVA di cassa diviene comunque esigibile decorso 1 anno dall’effettuazione della stessa, salvo che prima del decorso di tale termine il cessionario o committente sia stato assoggettato a procedure concorsuali. Chi può usufruire del regime IVA di cassa Possono in via generale aderire al regime IVA di cassa coloro (sia imprese che professionisti) che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume di affari non superiore a 2 milioni di euro: in precedenza il limite era fissato a 200.000 euro. In caso di avvio dell’attività in corso d’anno il regime è usufruibile da coloro che prevedono di non superare nell’anno l’anzidetto volume d’affari. Il decreto attuativo precisa che nel computo del volume di affari rilevante rientrano sia le operazioni che vengono assoggettate al regime IVA di cassa che quelle escluse (di cui oltre). Operazioni escluse dal Regime IVA di cassa Rimangono escluse dal regime IVA di cassa le seguenti operazioni attive: cessioni di beni/prestazioni di servizi effettuati nei confronti di consumatori finali; operazioni effettuate nell’ambito di regimi speciali IVA: in tal senso il decreto precisa che il regime IVA di cassa può essere adottato per le operazioni effettuate da coloro che, previa separazione delle attività ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 633/72, applicano sia regimi speciali IVA sia il regime ordinario; operazioni effettuate nei confronti di soggetti che assolvono l’IVA mediante il meccanismo del “reverse charge”; le operazioni soggette al regime dell’IVA “differita” di cui all’art. 6, quinto comma, secondo periodo, del Decreto IVA (cessioni nei confronti di enti pubblici). Sul fronte delle operazioni passive rimangono escluse dal campo di applicazione del regime IVA di cassa le seguenti: gli acquisti di beni/servizi assoggettati ad IVA mediante meccanismo del “reverse charge”; gli acquisti intracomunitari di beni; le importazioni di beni; le estrazioni di beni dai depositi IVA. Adempimenti da osservare Per quanto concerne le operazioni attive, il cedente che opta per il regime IVA di cassa deve innanzitutto annotare sulle fatture RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy emesse che trattasi di operazione con IVA per cassa ai sensi dell’art. 32-bis del Decreto Legge n. 83/2012, convertito dalla Legge n. 134/2012: l’eventuale inosservanza di tale prescrizione costituisce, comunque, un mero errore formale. Ai fini della determinazione del volume di affari e del pro rata di detrazione ex art. 19-bis del Decreto IVA, le operazioni rilevano in base al momento di effettuazione e non di esigibilità dell’imposta. Esempio A opta per il regime IVA di cassa; A cede un bene mobile, consegnandolo in data 20 dicembre 2012; A riceve il pagamento della fornitura a febbraio 2013. In questo esempio l’IVA sulla vendita è esigibile nel mese di febbraio 2013/I trimestre 2013, ma l’operazione concorre a formare il volume di affari del 2012. Modalità di esercizio dell’operazione Il decreto di attuazione rimanda all’Agenzia delle Entrate il compito di disciplinare le modalità di adesione (e quelle di revoca) al regime IVA per cassa. Il recente provvedimento n. 165764 del 21 novembre 2012 prevede che l’opzione per la liquidazione dell’IVA per cassa si desume dal comportamento concludente del contribuente ed è comunicata nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata. Il Decreto Legge n. 83/2012 aveva già stabilito che l’esercizio dell’opzione varrà comunque a partire dal 1° gennaio dell’anno di adesione ovvero, in caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, dalla data di inizio dell’attività, e per espressa previsione del decreto, le operazioni che hanno già partecipato alle liquidazioni periodiche effettuate fino al 31 dicembre precedente non rientrano nel suddetto regime. Al riguardo il provvedimento dell’Agenzia ha precisato che limitatamente all’anno 2012, primo anno di applicazione del nuovo regime, l’opzione, comunicata con la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per l’anno 2012, ha effetto per le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012. In merito alle possibilità di revoca, il provvedimento dispone che l’opzione al regime IVA per cassa vincola il contribuente almeno per un triennio, salvi i casi di superamento della soglia dei due milioni di euro di volume d’affari, che comportano la cessazione del regime. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime prescelto, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, salva la possibilità di revoca espressa, da esercitarsi, con le stesse modalità di esercizio dell’opzione, mediante comunicazione nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto presentata successivamente alla scelta effettuata. Il provvedimento precisa che, ai fini del computo del triennio, se l’opzione è esercitata a partire dal 1° dicembre 2012, l’anno 2012 è considerato primo anno di applicazione del regime. Termine dell’opzione ed effetti Una volta esercitata, l’opzione al regime può venire meno per: revoca del contribuente (in base alle regole che verranno stabilite dal menzionato provvedimento); superamento del limite di volume di affari; in tal caso il soggetto fuoriesce dal regime a partire dal mese successivo a quello in cui è superata la soglia rilevante dei 2 milioni di euro. Nella liquidazione relativa all’ultimo mese in cui si è applicata l’IVA per cassa dovrà essere imputato a debito l’intero ammontare di IVA riferita alle operazioni i cui corrispettivi non risultano essere ancora stati incassati. Specularmente, potrà essere esercitato il diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti per i quali il corrispettivo non è ancora stato incassato. Decorrenza del regime Il regime è applicabile a partire dalla operazioni effettuate dal 1° dicembre 2012: ciò significa che in caso di adesione già a valere per il 2012 rientreranno nel regime le sole operazioni effettuate a partire dalla suddetta data del 1° dicembre. 3. Approfondimenti specifici di carattere fiscale e legale 3.1 “Open data” secondo la definizione fornita dal legislatore (D.L. 179/2012), evoluzione italiana Il 19 ottobre 2012 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n.179/2012 (detto anche Dl Crescita 2.0) in vigore, quindi, dal 20 ottobre 2012. Il testo, composto da dieci sezioni e trentanove articoli, oltre a contenere misure fiscali volte ad agevolare la realizzazione di opere strutturali, favorire la creazione di nuove imprese innovative, attrarre gli investimenti e procedere con le liberalizzazioni di settore (in particolare assicurativo), prevede misure volte a dare impulso alla ricerca ed alle innovazioni tecnologiche, oltre che misure volte a favorire la crescita, lo sviluppo e la cultura digitale mediante l’attuazione dell’Agenda digitale italiana. Il Decreto Legge modifica, infatti, il CAD 1 (Codice dell’Amministrazione Digitale - decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82) fornendo una chiara definizione di “Dati aperti” chiamati più comunemente con la denominazione inglese “Open data”. Con il termine Open data, già a partire dal 2005, si sono individuati 1 Già modificato precedentemente D.lgs.n.32/2010 (Direttiva Inspire), dal D.lgs.n.150/2009 (Riforma Brunetta), dal D.lgs.n.36/2006-Dir.2003/98/CE. RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy tutti quei dati ed informazioni che vengono messi a disposizione in “forma aperta” ovvero che sono liberamente consultabili ed utilizzabili da tutti senza alcuna restrizione (ad esempio di copyright e privacy). Partendo dalla norma sopra citata e dalla definizione di Open data che questa fornisce, si illustra in maniera sintetica l’iniziativa italiana che trova, in Europa e nel mondo, molteplici confronti e spunti2. Definizione L’art.9 del D.L. n.179/2012 sostituisce i precedenti articoli 52 e 68 del D.lgs.n.82/2005 fornendo alcuni importanti concetti: Tutti i dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l'espressa adozione di una licenza 3 , si intendono rilasciati come dati di tipo aperto, sulla base della definizione del Codice. L'eventuale adozione di una licenza è motivata ai sensi delle linee guida nazionali. Un formato di dati è di tipo aperto se è reso pubblico, documentato in maniera esaustiva e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi. Sono dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della 2 In pochi anni si sono sviluppati molteplici portali di dati aperti: il primo, e che ha fatto da modello ai successivi, è stato Data.gov, americano, voluto dal Governo Obama, seguito da Data.gov.Uk, voluto e sponsorizzato da Tim Berners-Lee “l’inventore del World Wide Web”, a loro volta seguiti dal portale australiano Data.gov.au, da quello canadese Data.gc.ca, da quello norvegese Data.norge.no e da quello francese Data.gouv.fr, e così via. 3 di cui all'articolo 2, comma 1, lettera h) del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36. comunicazione in formati aperti (come sopra definiti), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono messi a disposizione gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. L'Agenzia per l'Italia digitale può stabilire, con propria deliberazione, i casi eccezionali in cui essi siano resi disponibili a tariffe superiori ai costi marginali (secondo criteri oggettivi, trasparenti e verificabili) . Giova ricordare che ai contenuti prodotti dal settore pubblico, escluse le eccezioni previste dalla norma, si applica la normativa in materia di diritto d’autore (L.633/1941). In base ai diversi diritti concessi a chi fruisce di un’opera tutelata dal diritto d’autore, nella prassi, si usa distinguere tra due macro tipologie di licenze: le licenze di tipo chiuso e le licenze di tipo aperto. Le licenze di tipo chiuso riservano tutti i diritti utilizzando il simbolo ©, adoperato per indicare il titolare del copyright sull’opera. L’utente potrà fruire del documento ma - senza il consenso di colui che detiene i relativi diritti – non potrà copiare, ripubblicare o modificare i contenuti protetti dalla licenza4. Le licenze open garantiscono una serie di diritti a chi entra in possesso delle informazioni. In base alla “Open Definition”, sopra esposta, è scontato che le Amministrazioni debbano scegliere ed utilizzare licenze di tipo aperto, prestando attenzione alla titolarità delle informazioni che intendono pubblicare (per evitare di ledere i diritti di terzi).5 4 Fonte: Open data: mobile apps & green solutions, Roma, 26/10/2012, Avv. Ernesto Belisario. 5 La licenza “Italian Open Data License” (IODL) è stata sviluppata (da Formez PA) per In Italia, dal 2010 ad oggi, le funzioni assolte dal CNIPA (centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione), sono state attribuite prima alla DigitPa (Ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione) ed ora, con la recente legge n. 134/2012, alla AID (Agenzia per l'Italia Digitale). L’Agenzia per l’Italia Digitale, anticipando le previsioni contenute nel DL 179/2012, ha previsto un’architettura di riferimento per le Comunità Intelligenti e un modello di governance compatibile con quanto previsto nel decreto all’interno di un documento rivolto alle pubbliche amministrazioni. Con riferimento ai dati l’Agenzia ha poi previsto nelle “Linee guida per l’interoperabilità semantica attraverso i linked open data” un modello di riferimento per i dati aperti. Il modello permette, ad esempio, che i dati aperti delle nostre citta d’arte possano essere utilizzati da sviluppatori di altri Paesi interessati a fornire nella propria lingua servizi a visitatori stranieri6. Le iniziative d’apertura del patrimonio informativo avviate in Italia 7 da parte di pubbliche amministrazioni centrali e locali sono molteplici: dati.piemonte.it è stato il primo data store italiano (della Regione Piemonte) all’interno del quale sono catalogati dati aperti riconducibili ai vari enti regionali (comuni, province,…); dati.emilia-romagna.it (della Regione Emilia Romagna) è nato dopo circa un anno dalla nascita del data store piemontese, ad ottobre 2011, e pubblica online il suo catalogo di dataset. dati.gov.it (del Governo), il cui lancio è avvenuto il 18 ottobre 2011, ha aperto una nuova stagione per l’innovazione e la trasparenza nella PA, permettere a tutte le pubbliche amministrazioni italiane di diffondere i propri dati, con lo scopo di promuovere la “liberazione” e valorizzazione dei dati pubblici secondo la linea tracciata dal Codice dell’amministrazione digitale. 6 Fonte: www.digitpa.gov.it 7 Fonte: www.dati.gov.it RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy “asfaltando” la strada verso l’Open Data italiano. L’evoluzione dei modelli di gestione delle informazioni è continuo e per consentire il costante aggiornamento su tutte le iniziative di Open Data avviate in Italia, la redazione di dati.gov.it ha creato un dataset che descrive i dati catalogati e ne facilita l’interpretazione attraverso un’infografica, aggiornando altresì periodicamente il dataset stesso. 3.2 Corte di Giustizia Europea – La tutela del diritto d'autore on line La Corte di Giustizia Europea si è recentemente espressa in relazione alla necessità di protezione del diritto d’autore di opere diffuse nel web e del ruolo assunto nella protezione del diritto d’autore da parte degli Internet Service Provider. Con le sentenze ai casi Scarlet e Netlog, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sul tema della violazione del diritto d’autore on-line; allo stesso tempo con la sentenza Bonnier Audio, la Corte si è espressa sul merito della legittimità della legge di uno Stato membro che impone a un operatore internet di comunicare al titolare del diritto l’identità di quegli abbonati e degli utenti internet che abbiano violato, attraverso sistemi informatici web, il diritto d’autore. Le sentenze Scarlet (8) e Netlog (9) Nella causa intentata presso il Tribunale di prima istanza di Bruxelles, avverso il fornitore di accesso a internet Scarlet, la società belga di gestione dei diritti d’autore (SABAM), al fine di contrastare l’utilizzo di reti peer-topeer per il download senza autorizzazione (e senza il pagamento dei relativi diritti) di opere protette di cui essa risultava gestore, ha contestato la responsabilità del fornitore di 8 Causa C-70/10. 9 Causa C-360/10. accesso a internet chiedendo la condanna a far cessare le infrazioni provvedendo, nella sostanza, al rendere impossibile lo scambio di dati mediante programmi peer-topeer. La società Scarlet, condannata in primo grado, ha proposto appello sostenendo, tra l’altro, che un obbligo di sorveglianza sulle comunicazioni transitanti sulla propria rete avrebbe realizzato una infrazione del diritto riconosciuto a livello comunitario in materia di tutela della privacy e del segreto delle comunicazioni, nonché sarebbe stata incompatibile con le norme disposte dalla direttiva europea sul commercio elettronico. L’organo giudicante, dunque, ha sottoposto la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. La stessa SABAM ha promosso un’azione affinché, ai sensi della legge belga sul diritto d’autore, venisse imposto alla società Netlog, gestore di una piattaforma per il social networking, di cessare qualsiasi messa a disposizione (non autorizzata) di opere musicali o audiovisive del repertorio della dante causa. Netlog ha contestato l’eventuale accoglimento della domanda, sostenendo che avrebbe comportato un obbligo generale di sorveglianza, vietato dalla direttiva europea (recepita a livello nazionale) sul commercio elettronico. Principi normativi Le due cause rinviate al giudizio della Corte di Giustizia Europea pongono questioni pregiudiziali simili concernenti l’attuazione delle direttive sul commercio elettronico e sui diritti di proprietà intellettuale in combinato disposto con le direttive sulla Privacy 10. In particolare la Direttiva sul commercio elettronico impone il bilanciamento tra la protezione contro le violazioni sulla rete web e l’eccessivo onere che tale 10 Direttiva 2000/31/CE (commercio elettronico), Direttiva 95/46/CE e Direttiva 2002/58/CE (privacy), Direttiva 2001/29/CE e Direttiva 2004/48/CE (diritto d’autore e diritti di proprietà intellettuale). protezione comporterebbe in capo ai prestatori di servizi ivi operanti. Si pensi innanzitutto all’articolo 12 della Direttiva del 2000 sul commercio elettronico, ai sensi del quale la società la cui prestazione di servizio consiste nel trasmettere su una rete di comunicazione di dati le informazioni fornite da parte di un beneficiario di tale servizio, ovvero le cui prestazioni consistano nel dare accesso a tale rete di comunicazione, non è ritenuto responsabile del contenuto delle informazioni trasmesse a condizione che non dia origine alla trasmissione, non selezioni il destinatario della stessa e non selezioni o modifichi le informazioni trasmesse11. Il successivo articolo 14 della Direttiva prende in esame la regolamentazione dell’attività di hosting, la cui prestazione consiste nella memorizzazione di informazioni fornite da un committente del servizio. In tale ipotesi il prestatore del servizio non è responsabile per il contenuto delle informazioni memorizzate, purché esso non sia effettivamente al corrente che l’attività o che l’informazione sia illecita e allo stesso tempo non gli siano noti fatti o circostanze che rendano manifesta tale illegalità; inoltre, per vedersi riconosciuta l’esonero da qualsiasi azione di responsabilità, non appena venga al corrente di tali fatti illeciti, il prestatore del servizio è tenuto all’immediata rimozione delle informazioni o alla inibizione dell’accesso, sebbene debba essere sempre tenuto in debita considerazione il rispetto del principio della libertà di espressione. Nella disamina sintetica delle norme della Direttiva sul commercio elettronico, l’articolo 15 demanda ai prestatori di servizi di semplice trasporto, di caching e di hosting un ruolo di garante delle informazioni, 11 Tuttavia l’articolo 12 lascia la possibilità agli Stati membri di prevedere che un organo giurisdizionale possa imporre al prestatore del servizio l’interruzione o l’inibizione di una violazione, anche attraverso la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla stessa. RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy laddove dispone che per essi vi sia l’obbligo generale di sorveglianza delle informazioni, dovendo in linea generale “ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”. Si deve inoltre considerare che tale norma si affianca alla previsione della Direttiva 2001/29/CE che impone agli Stati membri di riconoscere agli autori il diritto esclusivo di autorizzazione o divieto della comunicazione al pubblico delle proprie opere, dovendo le legislazioni nazionali contemplare adeguate sanzioni e mezzi di ricorso avverso le violazioni di tali diritti 12 , sempre tenendo in debita considerazione che le procedure e i mezzi di ricorso devono rispondere a criteri di lealtà ed equità, non sfociando quindi in eccessiva complessità tecnica e burocratica e non dovendo avere un eccessivo onere in termini economici e temporali. Il contesto normativo quivi descritto, tuttavia, deve essere completato, infine, con la più ampia tutela del diritto alla tutela dei dati personali e della vita privata riconosciuta ai cittadini dell’Unione, nonché con il principio della libera circolazione dei dati personali. Orientando l’attenzione dal generale al particolare, la Corte di Giustizia, nel caso Netlog, ha stabilito che laddove un gestore di un social network memorizzi le informazioni fornite dai propri utenti (anche relativamente al profilo personale) deve essere qualificato come gestore di servizi hosting, e pertanto risulta soggetto alla norma di cui all’articolo 14 della Direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, i giudici della Corte di Giustizia Europea, in entrambe le sentenze in rassegna, hanno sostenute che i titolari dei diritti di proprietà intellettuale possono tutelare la propria opera chiedendo 12 La Direttiva 2001/29/CE e la Direttiva 2004/48/CE prevedono, nello specifico, che i titolari dei diritti di proprietà intellettuale possano chiedere un puntuale provvedimento di inibizione nei confronti di quegli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare il diritto d’autore, ovvero altri diritti connessi un provvedimento di inibizione nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per la violazione del diritto degno di protezione. Tuttavia, la Corte ha precisato che la Direttiva sul commercio elettronico vieta la promulgazione da parte dei legislatori nazionali di misure che impongano agli intermediari di servizi web un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni. L’organo giudiziario comunitario ha dato particolare enfasi sul tema con specifico riferimento al divieto di adozione di misure di vigilanza generalizzata dei clienti perviste per i fornitori di accesso a internet e ai prestatori di servizi hosting. Il sistema di filtraggio delle informazioni richiesto dai giudici nazionali nelle due cause, a parere della Corte, richiederebbe una sorveglianza preventiva e attiva sulle comunicazioni elettroniche e sui file memorizzati dagli utenti, imponendo dunque proprio quell’attività di vigilanza generalizzata che sarebbe in contrasto con le norme della Direttiva sul commercio elettronico (articolo 15). Dati gli oneri imponenti che comporterebbe, la previsione di tale sistema di filtraggio, tra le altre cose, causerebbe una grave violazione della libertà di impresa del fornitore di accesso a internet e del prestatore di hosting, andando a ledere anche il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o comunicare informazioni in capo agli utenti, in quanto aprioristicamente e sistematicamente oggetto di analisi relativamente a tutti i contenuti trafficati sulla rete e alle informazioni relative ai profili generati dagli utenti. Il rischio in tale ipotesi sarebbe il blocco delle comunicazioni aventi un contenuto lecito. La massima delle sentenze in commento è quindi la denegazione dell’applicabilità di ingiunzioni che costringano gli intermediari web a predisporre sistemi di filtraggio delle informazioni, che si applichino incondizionatamente a tutti gli utenti, senza limiti di tempo e attraverso un’azione preventiva e interamente a proprie spese, in quanto irrispettosa dell’obbligo di garantire il giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale e, d’altro lato, le libertà d’impresa, di ricevere o di comunicare informazioni, nonché il diritto alla tutela dei dati personali. La sentenza Bonnier Audio (13) La controversia in dettaglio ha visto opporre un gruppo di case editrici titolari dei diritti di riproduzione e edizione di talune opere in forma di audiolibro, tra le quali la società Bonnier Audio, e un operatore internet reo, a detta delle danti causa, di aver concesso la diffusione delle opere protette attraverso un server di file transfer protocol. Le case editrici, rivoltesi al tribunale nazionale competente, hanno proposto una domanda di ingiunzione per poter ottenere dall’operatore internet i dati personali della persona utilizzatrice dell’indirizzo IP dal quale parrebbero essere stati trasmessi i file. Avverso la sentenza di accoglimento della domanda, l’operatore internet ha proposto appello ritenendo l’ingiunzione contraria alla Direttiva 2006/24/CE sulla conservazione dei dati in ambito di fornitura di servizi sulla comunicazione elettronica, ottenendo l’annullamento dell’ingiunzione. Da tale sentenza di appello, le case editrici hanno preso le mosse per promuovere il ricorso alla Corte di Cassazione, la quale ha sottoposto la domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea relativa alla disapplicazione di una norma nazionale, introdotta sulla base della Direttiva 2004/48/CE, che consente al giudice di emettere un’ingiunzione a un operatore internet perché fornisca al titolare del diritto d’autore o all’avente causa di questi informazioni sull’assegnatario dell’indirizzo IP utilizzato ai fini della violazione del diritto. 13 Causa C-461/10. RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy Secondo la Corte, la Direttiva 2006/24/CE risulta considerata fuori della propria sfera di applicazione rispetto alla normativa statale oggetto di domanda pregiudiziale, pertanto il riferimento fatto nel giudizio è alla Direttiva 2002/58/CE e alla Direttiva 2004/48/CE14. L’articolo 15 della Direttiva del 2002 sulla tutela della privacy prevede specifiche deroghe alla protezione dei dati personali e della vita privata in ipotesi in cui il trattamento dei dati è consentito: è dunque consentito agli Stati membri di adottare norme che limitino i diritti e gli obblighi previsti dalle norme sulla riservatezza delle comunicazioni e sul trattamento dei dati sul traffico. La deroga, tuttavia, deve essere giustificata dalla necessità, dalla opportunità e dalla proporzionalità della misura rispetto alla prevenzione, tra le altre cose, dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. L’articolo 8 della Direttiva sul diritto d’autore, invece, prevede che nei procedimenti relativi alla violazione di un diritto di proprietà intellettuale, se il richiedente ha espresso una domanda giustificata e proporzionata, l’organo giudiziario nazionale competente può imporre che vengano fornite le informazioni sull’origine e sulle reti che violano un diritto d’autore. La Corte ha ritenuto che la comunicazione di carattere puntuale al fine di garantire la tutela del diritto d’autore rientra nell’alea di applicazione della Direttiva sui diritti di proprietà intellettuale, in quanto l’obbligo di trasmissione a soggetti privati di dati personali per l’avvio di procedimenti avverso violazioni del diritto d’autore non è escluso dalla potestà legislativa nazionale. 3.3 Agevolazioni per le start-up in attesa di definizione A completamento di quanto riportato nell’articolo “Start-up innovativa ed incubatore di start-up innovative certificato” pubblicato nella precedente Newsletter E-Tax del 14 Cfr. nota 3 mese di ottobre 2012, torniamo a trattare delle start-up con particolare riferimento all’applicabilità delle agevolazioni fiscali. Come già noto, il D.L. 179/2012 (Decreto Sviluppo 2.0), entrato in vigore lo scorso 20 ottobre ma non ancora convertito in legge, disciplina le misure per le cosiddette imprese start-up innovative. Innanzitutto si tratta di novità che, a meno di modifiche al testo in sede di conversione, trovano applicazione limitatamente per un periodo di quattro anni dalla data di costituzione della società start-up15, ovvero per il più limitato periodo previsto dallo stesso per le società già costituite16. Tuttavia un requisito fondamentale, indispensabile per poter beneficiare delle disposizioni (di favore) introdotte dal Decreto, è l’iscrizione 15 Relativamente alle società di nuova costituzione, l’art. 31, comma 4, del D.L. 179/2012 prevede che “[…] in ogni caso, una volta decorsi quattro anni dalla data di costituzione, cessa l'applicazione della disciplina prevista nella presente sezione, incluse le disposizioni di cui all'articolo 28, ferma restando l'efficacia dei contratti a tempo determinato stipulati dalla start-up innovativa sino alla scadenza del relativo termine”. Ne consegue che, decorsi 4 anni dalla data di costituzione della start-up innovativa, non è più possibile avvalersi della disciplina di favore riconosciuta dal D.L. 179/2012 in ambito societario, fiscale e occupazionale. 16 Con riguardo alle società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto (20 ottobre 2012) e in possesso dei requisiti, sono considerate start-up innovative ai fini del presente decreto se entro 60 giorni (ovvero entro il 19 dicembre 2012) depositano presso il registro delle imprese una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti al comma 2 dell’art. 25 del decreto. La disciplina della start-up innovativa trova applicazione dunque anche a favore delle società già costituite, tuttavia, in questo caso, è prevista una durata variabile della disciplina di favore collegata all’anzianità della società. Per tali società la nuova disciplina si applica nei seguenti limiti: … a decorrere dal 20 Se la start-up ottobre 2012 la innovativa è disciplina troverà stata costituita applicazione per un entro … periodo di … i 2 anni 4 anni precedenti i 3 anni 3 anni precedenti I 4 anni 2 anni precedenti delle start-up innovative in un’apposita sezione speciale del Registro delle imprese. Ricordiamo, infatti, che l’articolo 25, comma 8, del DL n. 179/2012 ha previsto espressamente l’istituzione, da parte delle Camere di Commercio, di un’apposita sezione speciale del Registro delle imprese, stabilendo per le start-up innovative e per gli incubatori certificati l’obbligo di iscrizione alla predetta sezione e di successivo aggiornamento delle informazioni con cadenza periodica, a pena di inapplicabilità delle agevolazioni. Pertanto, si sottolinea che, affinché le norme diventino effettivamente operative, sarà necessario attendere ancora. Difatti, le disposizioni di favore di tipo societario (come il differimento di 1 anno degli adempimenti obbligatori rispetto ai termini ordinari – per perdite superiori a 1/3 del capitale che portano il capitale al di sotto del limite legale o meno) e occupazionale (come la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato, per un periodo di 4 anni dalla data di costituzione, derogando al limite generale dei 36 mesi) non sono ancora operative, proprio perché in attesa dell’istituzione dell’apposita sezione nel Registro delle imprese. In aggiunta a quanto specificato, altre disposizioni di favore ad hoc previste per le start-up (come si vedrà più avanti) risultano essere ulteriormente rallentate, poiché in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi. La norma prevede, infatti, anche agevolazioni di carattere fiscale: Detrazione IRPEF del 19% degli investimenti nel capitale della start-up (25% per le start up operanti in ambito sociale o energetico); Deduzione IRES del 20% degli investimenti nel capitale della start-up (27% per le start up in ambito sociale o energetico); Detassazione della remunerazione tramite strumenti finanziari della startup per amministratori, RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy dipendenti e collaboratori continuativi; Non applicabilità della disciplina delle società di comodo; Non applicabilità della disciplina delle società “in perdita sistematica per i tre periodi d’imposta consecutivi”; Esonero dal versamento dei diritti di bollo e di segreteria, nonché del diritto annuale alla CCIAA. In merito alle modalità attuative della disciplina di favore prevista per le start-up innovative, l’art. 29 del D.L. 179/2012, ai commi 8 e 9, prevede che: “Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuate le modalità di attuazione delle agevolazioni previste dal presente articolo. L'efficacia della disposizione del presente articolo è subordinata, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'autorizzazione della Commissione europea , richiesta a cura del Ministero dello sviluppo economico.” Ciò implica che, per quanto riguarda la detrazione IRPEF (19%) e la deduzione IRES (20%), è necessario un apposito decreto, previsto entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. 179/2012 (20 ottobre 2012), recante le modalità attuative delle agevolazioni. L’efficacia della disposizione è peraltro anche subordinata all’autorizzazione della Commissione europea, secondo quanto stabilito dall’articolo 108, comma 3 del Trattato Ue. Il risultato è quindi che le agevolazioni di carattere fiscale di cui ai punti 1) e 2), rimangono, almeno per il momento, in stand-by. 4. Flash delle sentenze e delle prassi 4.1 Detraibilità dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti (Cassazione sentenza n. 18009 del 19 ottobre 2012) “In tema di IVA relativa ad operazioni inesistenti, il committente - cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente-prestatore, che tuttavia ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta ed in particolare se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, non sia in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione.” Questo è quanto è stato sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 18009 depositata il 19 ottobre 2012. In sostanza la sentenza è favorevole al contribuente, al quale viene riconosciuta la detrazione dell’IVA relativa ad acquisti soggettivamente inesistenti, in quanto la Commissione Tributaria Regionale (giudice di merito) aveva già accertato che la società non poteva conoscere la natura di cartiera della emittente essendo quest’ultima dotata di struttura, personale, mezzi di trasporto ed uffici, ed “indipendentemente dalla questione su quale fosse il soggetto cui dovesse essere attribuito l’onere probatorio in proposito”. Ma nella sentenza in commento, su questo specifico tema dell’onere probatorio, la Suprema Corte ha comunque ribadito il principio secondo cui in tema di Iva relativamente ad operazioni soggettivamente inesistenti, il committente al quale sia contestata la detrazione dell’imposta ha diritto alla detrazione se prova che non sapeva o non poteva sapere di partecipare a un’operazione fraudolenta. La Suprema Corte in questa sentenza non ha quindi ancora fatto proprio l’orientamento della Corte di Giustizia, secondo cui, dato che il diniego del diritto alla detrazione è un’eccezione all’applicazione di un principio fondamentale, spetta all’amministrazione dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi. Per completezza segnaliamo che la Corte di Cassazione, con la sentenza 18446 del 26 ottobre 2012, in coerenza con l’orientamento della Corte di Giustizia sopra illustrato, ha sancito che spetta in prima battuta all’amministrazione provare che le operazioni indicate in fattura non sono state poste in essere. Solo se l’Ufficio fornisce validi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per delle operazioni fittizie, allora, a questo punto, tocca al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni. 4.2 Estinzione di rapporti con l’Erario società e (Cassazione sentenza n. 14880 del 5 settembre 2012) Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è tornata sul tema degli effetti della estinzione di una società nei rapporti con l’Erario, con specifico riferimento alla notifica di atti impositivi. L’oggetto del contezioso ruotava, infatti, intorno alla legittimità della notifica di un atto impositivo a mani RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy del liquidatore di una società estinta molti anni prima. La Corte di Cassazione, ribadendo principi espressi nel recente passato, ha evidenziato innanzitutto che la cancellazione dal registro delle imprese di una società determina l'estinzione del soggetto giuridico e la perdita della sua capacità processuale. Nel caso di specie, quindi, l’atto impositivo è stato erroneamente notificato al liquidatore, dato che gli obbligati sono i soci partecipi della comunione dei beni residuati o sopravvenuti alla estinzione: in applicazione di tale principio, la Corte ha chiarito che un contenzioso tra una Agenzia fiscale ed il liquidatore di una società estinta, al quale sia stata erroneamente notificata, come nella specie, una cartella esattoriale per debiti della società, ha ad oggetto una lite sostanzialmente "improponibile", perché la cartella a suo tempo notificata è priva di efficacia a cagione della già avvenuta estinzione del soggetto passivo dell'obbligazione afferente. 4.3 Il centro prevalente di interesse economico come criterio per la determinazione della residenza fiscale (CTR Liguria, Sez. I, sentenza n. 87 del 13 luglio 2012) Con la pronuncia in esame la Commissione regionale ligure si è espressa in merito all’individuazione della residenza fiscale dei soggetti iscritti all’AIRE ed in particolare per coloro che si sono stabiliti in Paesi “a fiscalità privilegiata” (nel caso trattato il Principato di Monaco): un contribuente che ha spostato all’estero il centro dei suoi interessi sociali e personali, oltre che la propria residenza anagrafica, deve comunque considerarsi fiscalmente residente in Italia se vi mantiene interessi economici prevalenti. Il caso all'esame dei giudici regionali scaturisce da un accertamento ex art. 41 bis del DPR 600/72 nei confronti di un contribuente, che, nel 2004, aveva omesso di dichiarare al fisco italiano il reddito di alcuni immobili e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. A seguito dell’accertamento dell’Ufficio, il contribuente ha dapprima proposto ricorso in primo grado. La Commissione tributaria provinciale di Genova ha respinto il ricorso sostenendo che il contribuente non aveva provato in maniera sufficiente la residenza all’estero in relazione all’esistenza di domicilio fiscale in Italia, ove il contribuente risultava intrattenere regolari rapporti, quali la stipula di contratti assicurativi, patrimoniali e di lavoro dipendente. Il contribuente ha successivamente proposto riscorso in appello presso la Commissione tributaria regionale. In quella sede il contribuente sottolineava di aver provato il trasferimento della propria residenza anagrafica nel Principato di Monaco, affermando di essere iscritto all’AIRE e producendo una serie di documenti relativi ad utilizzo di conti correnti, immatricolazione di automobili, utenze, onorificenze ricevute che dimostravano la sua effettiva presenza nel territorio monegasco; ciò al fine di vincere la presunzione ex art. 2 comma 2-bis del TUIR, essendo il Principato inserito nella “Black list” di cui al DM 4 maggio 1999. La Commissione regionale ha, tuttavia, ritenuto non fondati i motivi dell’impugnazione confermando quindi il giudizio di primo grado e respingendo l’appello promosso dal contribuente. In particolare, secondo i Giudici, il contribuente ha effettivamente provato di aver stabilito la residenza anagrafica nel Principato di Monaco. Tuttavia, tale aspetto secondo i Giudici, deve essere valutato in relazione alla presenza di un prevalente centro di interessi in Italia. In altre parole i Giudici ritengono che il contribuente abbia fornito valide prove in ordine alla dimostrazione della residenza all’estero limitatamente ai soli aspetti di carattere sociale e assistenziale; viceversa rimanendo carenti le prove fornite in ordine alla consistenza del centro di interessi all’estero ovvero la presenza di redditi tali da dimostrare la prevalenza del centro di interessi all’estero rispetto a quello esistente in n Italia. Il punto essenziale della sentenza in commento è dunque la distinzione tra gli interessi sociali e personali, che di per sé non sono sufficienti ad escludere la residenza o il domicilio in Italia, da quelli economici, quest’ultimi considerati come quelli rilevanti ai fini fiscali. 4.4 Procedimento di accertamento con adesione e sospensione dei termini per ricorrere (Cassazione sentenza n. 17439 del 12 ottobre 2012) L’instaurazione del procedimento di accertamento con adesione (ex D. Lgs. n. 218/97) determina, in base all’art. 6 del menzionato decreto, la sospensione per 90 giorni dei termini di impugnazione dell’atto di accertamento. Nel recente passato il principio di intangibilità di tale sospensiva è stato confermato anche dalla Corte Costituzionale, che con ordinanza n. 140 del 15 aprile 2011 ha evidenziato come la conclusione negativa del procedimento non incida comunque sul menzionato termine. A tale regola, però, la giurisprudenza ha affiancato alcune pronunce che mirano a disapplicare tale principio in presenza di situazioni nelle quali è ravvisabile un utilizzo “non fisiologico” dell’istituto. Con la sentenza n. 17439 dello scorso 12 ottobre la Corte di Cassazione ha analizzato un procedimento di adesione nel corso del quale, ad un certo punto, il contribuente aveva espressamente rinunciato a proseguire nel tentativo conciliativo. Per i giudici una siffatta rinuncia al contraddittorio fa venire meno la sospensione di 90 giorni in quanto si ricade nell’ambito di applicazione RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. Nothing in this publication may be multiplied without prior consent of RSM Tax & Advisory Italy. © RSM Tax & Advisory Italy dell’art. 6 comma 3 del D. Lgs.218/97, in base al quale l’impugnazione dell’atto comporta rinuncia all’istanza. È quindi da considerarsi tardivo il ricorso laddove la somma dei giorni decorsi prima dell'inizio della procedura di accertamento con adesione e di quelli decorsi dopo la rinuncia alla stessa superi la somma del termine ordinariamente concesso (60 giorni oltre eventuale sospensione feriale) più il periodo tra la proposizione dell’istanza di accertamento con adesione e la data di rinuncia espressa, atteso che la sospensione del termini per ricorrere, connessa alla semplice presentazione della domanda, viene meno allorché in modo espresso o comunque inequivocabilmente quella domanda viene revocata, non essendo più sorretta dalla volontà del contribuente di proseguire le trattative. Sul tema è da segnalare, infine, che con la recente sentenza n. 73 del 18 luglio 2012 la CTP di Treviso ha statuito che la mera presentazione dell’istanza di adesione, senza che ad essa segua alcuna attività da parte del contribuente, manifesta una volontà meramente dilatoria dei termini, e perciò a tale fattispecie non è applicabile la sospensiva di 90 giorni. 4.5 L’Agenzia che ritarda l’autotutela va condannata alle spese (CTR Milano, sentenza 85/30/12 del 26 marzo 2012) Se l’Amministrazione finanziaria ritarda l’emanazione di un provvedimento di autotutela, costringendo nel frattempo il contribuente a difendersi innanzi alle Commissioni Tributarie, deve essere condannata al sostenimento delle spese di giudizio. Tale conclusione, raggiunta dai giudici di II grado della Lombardia, come si vedrà riflette un orientamento giurisprudenziale sempre più consolidato, e si è basata sul seguente caso. Un contribuente riceveva la notifica di un cd. “avviso bonario”, con il quale l’Amministrazione finanziaria pretendeva una somma ingente a titolo di omesso versamento di imposte. Poiché i versamenti erano stati regolarmente eseguiti, il contribuente presentava istanza di autotutela, la quale rimaneva però inevasa, obbligando la parte ad adire il contenzioso. Come spesso accade, solo a ridosso dell’udienza di primo grado l’Agenzia delle Entrate riconosceva l’errore, comunicando l’avvenuto sgravio delle somme richieste: il giudice di prime cure dichiarava estinto il giudizio per cessata materia del contendere, ed al contempo dichiarava compensate le spese di giudizio. La parte appellava con riferimento alla mancata condanna alle spese, eccependo su tale aspetto la mancanza di motivazione nella sentenza di I grado, e sottolineando l’inerzia dell’Amministrazione finanziaria, che aveva colpevolmente ritardato l’emissione del provvedimento di autotutela. I giudici di II grado, accogliendo l’appello della parte, hanno ricordato che la compensazione può essere disposta solo quando vi è soccombenza reciproca o qualora concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione: nel caso di specie, mancando tale motivazione e risultando evidente la negligenza dell’ufficio, “con la conseguente necessità ed aggravio per la società contribuente di instaurare un giudizio per ottenere la declaratoria del proprio diritto”, l’Amministrazione è stata così chiamata a rifondere le spese di giudizio. La sentenza si allinea alle recenti statuizioni della Corte di Cassazione, in base alle quali la compensazione delle spese, nel caso di cessazione della materia del contendere, si traduce in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni e, corrispondentemente, in un ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore (si vedano le sentenze n. 21380/2006 e n. 5120/2011). RSM Tax & Advisory Italy – Milan, Rome, Turin – www.rsmta.it In compiling this publication we have aimed for the utmost reliability and accuracy. Our organization cannot be held liable for any inaccuracies and the consequences hereof. 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