Taccuino 2015 - n. 5 Dall’imprenditore allo speculatore. “Non è esagerato - scrive Massimo Franco sul Corriere della sera (15. 4. 2015) – parlare di partiti in pezzi, divisi e già scissi di fatto, sebbene formalmente si esiti ancora a lacerare l’involucro dell’unità”. Forse il discorso è ancora più complesso e può essere riportato agli effetti prodotti da una economia concentrata sul denaro e sulla sua gestione, che sta riducendo in pezzi le istituzioni e le associazioni politiche. Un’economia che distrugge il legame sociale senza avere la capacità di produrre un progetto politico o un’idea di futuro, che cerca di proteggere un sistema di scambi e di relazioni fondato sulla ragione calcolante e sull’esclusione di qualunque elemento in contrasto con la pretesa razionalità di una pretesa scienza che a sua volta avanza la presunzione di inglobare la vita. Nella storia della modernità l’economia ha avuto un processo progressivo di astrazione e di disumanizzazione, fino a rappresentare l’espressione, come già scriveva Friedrich Lange nel 1866 “del materialismo più puro”. La prima fase di questo processo può esser fatta risalire ad Adam Smith e ai suoi interpreti. Questi hanno ripreso la teoria dell’egoismo benefico avanzata da Smith nel suo libro sulla “Ricchezza delle nazioni” (1776) come fondativa del legame sociale in opposizione alla tesi della naturale benevolenza umana di Shaftesbury, ma hanno finto di ignorare quello che lo stesso autore aveva scritto nel 1755 nella “Teoria dei sentimenti morali” e che cioè la morale rappresenta l’elemento insostituibile dell’unità e dell’azione di gruppo. Una seconda fase del processo di astrazione dell’economia si è avuta quando gli economisti hanno confuso l’”homo oeconomicus”, cioè l’uomo degli interessi, con l’individuo nel suo insieme, eliminando così quell’aspetto del sociale che Pareto chiamava del “non razionale” che invece tanta parte ha nelle azioni umane. Non solo Pareto ma tutti i grandi economisti hanno fatto attenzione a questo aspetto, perché la loro analisi non si è chiusa nell’aspetto economico, ma ha coinvolto anche quello filosofico e sociologico. La terza fase della suddetta astrazione, e la più recente, è quella che ha inglobato nella foresta magica del denaro e del lucro tanto la società quanto la politica. Quella che ha ridotto anche società e politica al loro equivalente monetario, trasformando il denaro da mezzo a fine dell’attività umana, diffondendo una mentalità e una ideologia che hanno emarginato il senso della morale e della politica, riducendolo alla pura materialità dell’utile. Questa fase, tuttora in atto, contrassegna il passaggio dal regime borghese al regime di massa e, se ha ragione Schumpeter, porterà alla distruzione delle stesso capitalismo che, come scrive l’economista austriaco, “morirà per aver reciso le radici romantiche che lo sostenevano”. Questa fase ha una rappresentazione simbolica nella sostituzione dell’imprenditore, figura tipica dell’economia borghese, con lo speculatore, figura che caratterizza l’epoca di una economia globale e monetaria. L’ imprenditore ha sempre svolto una attività pubblica e visibile, criticabile se si vuole, ma indirizzata alla creatività e all’innovazione, in competizione con altri imprenditori, in un mercato aperto e complesso. Promuovendo i propri interessi l’imprenditore ha promosso, in qualche modo, secondo la tesi di Smith, il bene di tutti e lo sviluppo dell’ economia reale. Ha sempre partecipato alla gestione della politica ma all’interno delle regole generali della politica, la quale ha mantenuto la propria supremazia in quanto riferita a valori universali condivisi. Ha conservato anche il rispetto delle basi morali connesse agli ideali che lo Stato rappresentava. Lo speculatore è invece un giocatore che cerca di ottenere per sé i maggiori profitti, impegnando il denaro non in investimenti ma in artifizi di borsa che nulla hanno a che fare con l’economia reale. Ha interesse solo alla conservazione delle regole del gioco e del controllo dell’ordine sociale. Non si interessa delle condizioni sociali e culturali né del progresso della civiltà e vede nella politica solo uno strumento di garanzia a tutela della propria attività. Per molti aspetti condiziona e indirizza la politica economica al di fuori delle regole giuridiche e costituzionali. In pratica la riduce a un sottobosco degli interessi di parte. Lo speculatore è socialmente e economicamente improduttivo. Vede nello Stato e nelle leggi del mondo borghese solo un ostacolo. Cerca di provocare e di mantenere condizioni di livellamento sociale che gli consentano un più facile controllo delle masse e delle istituzioni. L’azione dello speculatore ha un solo difetto: l’incapacità di fare politica perché è tutta concentrata sulla razionalità dell’economico e sulla ragione calcolante. Quando lo speculatore si sente minacciato dalla politica distrugge il sistema in atto, così come avviene ora per il sistema democratico e rappresentativo instaurato dal regime borghese. Per questo utilizza arrivisti politici e ciarlatani privi di scrupoli, facendo leva soprattutto sul suo potere nudo, che non ha bisogno di richiamarsi a formule o valori. L’unica formula è quella antica del “panem et circences”. Lascia cadere briciole di denaro e usa la distrazione dei giochi o dello schermo televisivo. Usa il populismo di una modesta classe politica, dei commentatori di sondaggi e degli “ingegneri costituzionali”. Già Davide Ricardo, uno dei fondatori della scuola classica dell’economia, nella sua analisi economica, aveva notato che l’effetto congiunturale di una politica del denaro priva di fondamenti reali non può mantenersi a lungo. E prima di lui David Hume aveva scritto che la funzione del denaro come unico riferimento dello scambio e della stabilità dei valori distrugge la fiducia sulla quale si fonda l’interazione sociale (v. Michael Köhler, Humes Dilemma – oder: Das Geld und die Verfassung, Berlin, Duncker & Humblot, 2015). Ma erano tempi in cui gli economisti erano anche filosofi e sociologi e viceversa. Oggi sono in gran parte solo i tecnici e gli idraulici di una economia monetaria gestita dal grande capitale.