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LA LEGGE DI FARADAY
In un precedente capitolo abbiamo analizzato l’azione di un campo magnetico
costante su di un circuito percorso da corrente. In questo capitolo, vogliamo
analizzare la possibilità da parte del campo magnetico di generare una corrente.
Abbiamo visto che per generare una corrente occorre porre in un circuito
una batteria (generatore di corrente). E’ la batteria che mediante la sua energia
chimica fornisce l’energia alle cariche per far loro compiere il giro del circuito.
Non a caso abbiamo caratterizzato la batteria mediante una forza elettromotrice
Vf em (energia per unità di carica). Ancora, possiamo dire che è la batteria a
generare il campo elettrico che muove le cariche nei conduttori.
La questione che ora vogliamo analizzare è se, per esempio, un campo magnetico esterno possa generare un campo elettrico in un conduttore e questi a
sua volta possa far muovere i portatori e generare una corrente. In altre parole, vogliamo sapere se oltre alle batterie, esistono dei meccanismi che possano
mettere in moto i portatori di carica nei conduttori. La risposta a questa domanda fu trovata dall’inglese Michael Faraday (1791-1867) che nel 1831 eseguì
e quantificò il seguente esperimento.
Supponiamo di avere un circuito, nel quale inseriamo un galvanometro, ma
in cui non è presente alcun generatore di corrente (figura a sinistra).
Non essendoci alcuna sorgente di energia (forza elettromotrice) non dovremmo
avere alcun passaggio di corrente. Infatti, il galvanometro non segna alcuna corrente. Prendiamo ora un magnete naturale ed avviciniamolo al circuito (figura
a centro): il galvanometro segna il passaggio di una corrente. Allo stesso identico risultato giungiamo se avviciniamo il circuito al magnete (figura a destra).
Possiamo immaginare che il qualche modo si è prodotta nel circuito una forza
elettromotrice, che diremo indotta, la quale causa il passaggio di corrente nel
circuito:
1
Modifichiamo un poco l’esperimento. Supponiamo che inizialmente il circuito ed il magnete siano vicini ma fermi. Nel circuito non passa alcuna corrente,
come conferma il galvanometro. Se ora si allontana o il magnete o il circuito,
finchè vi è un moto relativo tra i due, il galvanometro segna una corrente, ma
di segno opposto alla precedente.
Tutto accade come se vi fosse una forza elettromotrice (indotta) ma di segno
opposto nel circuito.
Il risultato complessivo di tutti gli esperimenti è sintetizzabile dalla seguente
affermazione: Finché il magnete e il circuito sono in moto relativo, nel circuito
appare una forza elettromotrice indotta che genera un passaggio di corrente.
Discutiamo ancora un esperimento. Si abbia un magnete naturale (per esempio, un anello di ferro) a forma di ciambella.
Da un lato(a destra) sia avvolto un circuito, collegato ad una batteria (circuito primario), mentre dall’altro lato (a sinistra) si abbia un circuito (circuito
secondario) senza batteria ma connesso ad un galvanometro. Quando si chiude
il circuito primario appare nel secondario una corrente, che diventa di segno
opposto se si riapre il circuito primario. Poiché nel secondo circuito è cambiato
solo il campo magnetico possiamo concludere dicendo che quando un circuito è
immerso in un campo magnetico variabile, si genera in esso una forza elettromotrice indotta.
La risposta alla domanda di partenza è che un campo magnetico per poter
generare una corrente deve essere variabile. Ma non è la semplice variazione del
campo a generare la corrente indotta. Faraday, per primo, giunse alla seguente
2
conclusione generale (legge di Faraday): la corrente elettrica indotta in un circuito, in presenza di un campo magnetico, è proporzianale al numero di linee di
forza del campo che attraversano il circuito nell’unità di tempo.
Parlare di corrente indotta significa anche parlare di forza elettromotrice
indotta Vfind
em . Infatti, se R è la resistenza del circuito avremo sempre
I ind =
Vfind
em
R
(1)
D’altra parte, il vantaggio di parlare di forza elettromotrice è nel suo legame
diretto con il campo elettrico indotto. Infatti, se indichiamo con l il generico
circuito potremo scrivere
I
Vfind
em =
l
E · dl
(2)
dove E è il campo elettrico indotto. Ed è in termini della forza elettromotrice
indotta che Newmann e Lenz formularono quantitativamente la legge di Faraday.
Tale legge, tradotta in linguaggio matematico, dice che la forza elettromotrice
indotta in un circuito l è uguale alla variazione, col segno cambiato, del flusso
del campo magnetico,concatenato con il circuito:
µZ
¶
I
d
2
E · dl = −
B · ua d a
(3)
dt
l
al
dove al è una qualunque superficie che abbia l per contorno.
La prima considerazione che viene da fare è che non sono i campi magnetici stazionari a generare le correnti ma i campi variabili; inoltre, dobbiamo
aspettarci sempre un’associazione tra campi magnetici variabili (secondo membro) e campi elettrici variabili (primo membro). La legge (3) è la prima legge
esplicita dell’elettromagnetismo.
Dobbiamo usare, per la prima volta la parola ”elettromagnetismo”, e non
elettricità o magnetismo, perché essa collega (per la prima volta) il campo magnetico (attraverso la variazione del suo flusso) alla variazione del campo elettrico
(variazione del campo elettrico lungo un circuito-percorso). In altre parole, per
la prima volta, si evidenzia che una variazione di un campo magnetico genera
una variazione di un campo elettrico. Infine, osserviamo in maniera esplicita,
che il campo elettrico, in generale, non è più conservativo:
I
E · dl 6= 0
La forza elettromotrice indotta è, per quanto riguarda la corrente che percorre un circuito, esattamente uguale alla f.e.m. di una batteria, per cui se
nel circuito è presente anche una batteria, bisognerà sommare algebricamente
le differenti forze elettromotrici. Allora, in generale, il campo elettrico, sarà
costituito di una parte la cui origine è dovuta ad una distribuzione di carica e
di un’altra la cui origine sarà legata a variazioni di flusso di campo magnetico
attraverso la superficie concatenata con il circuito.
3
2
Induzione in un circuito in moto
Nel precedente paragrafo per spiegare il moto degli elettroni in un circuito (corrente) abbiamo fatto ricorso ad un campo elettrico indotto. Ora mostreremo che
la stessa legge può essere spiegata facendo ricorso alla forza di Lorentz, almeno
nel caso particolare in esame.
Supponiamo di avere un circuito giacente nel piano xy (vedi Figura) immerso
in un campo di induzione magnetica B uniforme, diretto lungo la direzione
dell’asse z. Il tratto AB di lunghezza l si può spostare, nel piano xy, senza
attrito.
Supponiamo che nell’intervallo di tempo infinitesimo dt, il tratto compreso
tra A e B si sposti con velocità v verso destra, nella direzione positiva dell’asse y.
Lo spostamento infinitesimo subito dal tratto AB sarà stato dr = vdt. Quando
il tratto AB si sposta, anche gli elettroni di conduzione si spostano con velocità
v e la forza di Lorentz F = qe vB agisce su di loro e li fa muovere nel verso
che va da B ad A (qe = −e) (per convenzione, deve circolare nel circuito una
corrente antioraria, verso ABCD).
Per capire quello che accade facciamo un passo indietro e supponiamo di
considerare il lato del circuito che si sposta come se fosse isolato dal resto del
circuito. La forza di Lorentz tenderebbe ad accumulare nell’estremo A degli
elettroni (e delle cariche positive sull’estremo B). Tra i punti A e B si genera
una differenza di potenziale (forza elettromotrice indotta).
Ciò che è accaduto finora si può sintetizzare nel modo seguente. Abbiamo
spostato un pezzo di metallo (fatto un lavoro). Poiché siamo in un campo magnetico, viene indotta ai capi della barretta una forza elettromotrice. Abbiamo
trasformato, mediante la presenza del campo magnetico un lavoro meccanico in
una differenza di potenziale, quindi in una possibilità di utilizzo elettrico dello
stesso. Infatti, se ora poggiamo il tratto di circuito tra A e B sul resto del
circuito passa una corrente, che in parte dissiperà l’energia in effetto Joule ma
una parte può comunque essere utilizzata (è nato il motore elettrico!).
Riguardiamo quantitativamente quello che sta succedendo. La forza magnetica genera la differenza di potenziale indotta ai capi A e B. Questa differenza
a sua volta genera un campo elettrico indotto E che si opporrà alla forza magnetica, ovvero
4
qe E = qe vB
la differenza di potenziale tra A e B e quindi tra due punti qualunque del
circuito, sarà data da
El = vBl
(4)
Mostriamo, ora, che il secondo membro di quest’ultima indica una variazione
di flusso concatenato con il circuito. La variazione infinitesima del flusso concatenato con il circuito, poiché il campo è uniforme, dipenderà solo dalla variazione infinitesima della superficie, d2 a = lvdt (ovvero, in termini vettoriale,
−d2 auz = dr × dl ), quindi si avrà
dΦ (B) = B · ua d2 a = −Bd2 a = −Blvdt
dove il segno meno deriva dal fatto che l’orientamento della corrente indotta,
verso ABCD, è tale che la superficie spazzata ha una direzione positiva opposta
al campo (usare la regola di percorrenza del bordo). Si può anche dire che la corrente indotta genera un campo magnetico indotto il quale tende di opporsi alla
variazione del flusso (vedi legge di Lenz, più avanti). La variazione, nell’unità
di tempo, del flusso concatenato sarà:
µZ
¶
d
2
B · ua d a = −Blv
(5)
dt
al
Ponendo insieme la (4) e la (5) troviamo
µZ
¶
d
2
El = −
B · ua d a
dt
al
(6)
Poiché il tratto è parte di un circuito, possiamo dire che si è generata una
f.e.m. indotta, Vfind
em data da:
I
Z
d
E · dl = −
B · ua d2 a
(7)
dt
l
al
Abbiamo così mostrato che, nel caso di circuito in moto, la legge di Faraday
è deducibile dalla forza di Lorentz. Tuttavia, siccome è il solo caso in cui ciò
avviene, dobbiamo concludere che comunque la legge di Faraday è una legge
fondamentale dell’elettromagnetismo.
3
La legge di Lenz
Il modo più semplice di determinare la polarità della f.e.m indotta è dedurla
dalla legge di Lenz: la f.e.m. indotta ha una polarità tale da opporsi sempre
alla causa che l’ha prodotta. In termini di corrente, si può dire che la direzione
della corrente indotta è sempre tale da produrre un campo magnetico che si
oppone alla variazione di flusso che l’ha generata (legge di Lenz ).
5
L’esempio dato nel precedente paragrafo è molto significativo e noi ora lo
approfondiremo. Mostriamo che nel caso del circuito in moto, il campo indotto,
genera una forza che tende a frenare il moto del tratto di circuito in movimento, responsabile della corrente indotta stessa. Sappiamo che il tratto AB ha
lunghezza l, ma ora aggiungiamo ad esso una resistenza R ed una massa M . La
corrente indotta, generata quando abbiamo mosso il filo verso destra, è diretta
nel verso che va da A a B (direzione positiva dell’asse x). Il campo magnetico è
nella direzione positiva dell’asse z, quindi la forza di Laplace agente su tale filo
sarà, con le scelte fatte,
F = −I ind lBuy
(a)
La forza è nella direzione opposta al movimento del tratto di filo e quindi tende a
frenare il movimento. Se si trascura l’autoinduzione e l’attrito tra i fili possiamo
scrivere
M v̇ = −I ind lB
e poiché
I ind =
Vfind
Blv
em
=
R
R
troviamo
M v̇ = −
l2 B 2
v
R
da cui
µ 2 2 ¶
l B
t
vx (t) = vx (0) exp −
MR
(b)
La velocità si sarà dimezzata dopo un tempo
µ 2 2 ¶
l B
vx (0)
= vx (0) exp −
t
2
MR
ovvero
t1/2 =
4
MR
ln 2
l2 B 2
Autoinduttanza ed induttanza
Se il flusso di B concatenato con un circuito varia, la legge di Faraday ci dice
che nel circuito si genera un campo elettrico indotto e quindi una f.e.m. indotta
che tende a ridurre l’effetto della variazione del flusso secondo la seguente legge:
µZ
¶
d
2
Vfind
=
−
B
·
u
d
a
(8)
a
em
dt
al
6
Consideriamo ora un singolo circuito (si pensi ad una spira circolare) percorso
da corrente I. Se la corrente subisce una variazione, il flusso del campo B,
generato dalla stessa corrente, concatenato con lo stesso circuito varierà.
Anche in questo caso nel circuito si genererà una f.e.m. indotta (ora detta
autoindotta) che tenterà di ostacolare la variazione del flusso concatenato. Si
dimostra che il flusso di B, concatenato con il circuito, risulta essere sempre
proporzionale alla corrente che circola, ad un dato istante, nel circuito stesso:
Z
B · ua d2 a = LI
(9)
al
dove L è un coefficiente che dipende solo dalla geometria del circuito. Tale
coefficiente è detto induttanza (o autoinduttanza) del circuito. Allora, la legge
di Faraday può assumere una forma differente:
dI
(10)
dt
ovvero, la f.e.m. autoindotta, in un circuito in cui circola una corrente, è
proporzionale alla variazione della corrente che circola nel circuito. L’induttanza
L si misura in henry (H):
Vfind
em = −L
[L] = H = Ωs
L’henry è un valore piuttosto grande di induttanza: i valori delle induttanze
di uso frequente sono compresi tra µH = 10−6 H e mH = 10−3 H.
Si abbiano, ora, due circuiti separati (due spire circolari) percorsi da correnti
I1 e I2 :
7
Se varia la corrente che circola nel circuito 1, il flusso concatenato con il
secondo circuito varierà. Si dimostra che il flusso concatenato con il circuito 2
risulta proporzionale alla corrente I1
Z
B1 · ua d2 a = L21 I1
(11)
a2
dove il coefficiente (detto di mutua induzione), dipende solo dalla natura geometrica dei due circuiti. In maniera analoga, al variare della corrente I2 , nel
circuito 1 varierà il flusso concatenato e si dimostra che
Z
B2 · ua d2 a = L12 I2
(12)
a1
dove il coefficiente di mutua induzione dipende solo dalla geometria dei due
circuiti; anzi si verifica che L21 = L12 . Anche i coefficienti di mutua induzione
si misurano in henry.
5
Esempi
Esempio 1: Determinare l’induttanza di un solenoide rettilineo ideale di lunghezza
l costituito da N spire.
8
Per ciascuna spira del solenoide possiamo assumere che il flusso concatenato
Φ (B) sia lo stesso. Il flusso concatenato con tutto il solenoide sarà N Φ (B) per
cui, se con L indichiamo l’induttanza del solenoide, avremo
N Φl (B) = LI
(E1)
dove I è la corrente che circola nel solenoide. Allora,
L=
N Φ (B)
I
(E2)
Se con a indichiamo la sezione interna del solenoide, il flusso di B (B è costante
ed ortogonale alla sezione) attraverso una spira qualunque sarà
Φ (B) = Ba
(E3)
Il campo magnetico nel solenoide rettilineo indefinito ideale (vedi capitolo sulla
legge di Ampère-Maxwell) è
B = µ0 nI
(E4)
dove n = N/l, è la densità lineare delle spire. Allora, la (E3) diventa
Φ (B) = µ0 nIa
(E5)
e l’induttanza, espressa dalla (E2), divententà
N µ0 nIa
(E6)
= µ0 n2 al
I
L’induttanza è proporzionale al quadrato della densità lineare delle spire (n2 )
ed al suo volume (al) interno.
Esempio 2: Cosa sta succedendo nel circuito?
Il prodotto di R per la corrente che fluisce nel circuito è uguale alla somma
delle f.e.m. presenti nel circuito:
L=
RI = Vf em + Vfind
em
da cui
dI
(E7)
dt
dove Vf em è la f.e.m. del generatore e Vfind
em è quella indotta. La soluzione di
tale equazione (vedi la carica di un condensatore) è
RI = Vf em − L
I (t) =
Vf em
[1 − exp (−t/τ )]
R
9
(E8)
dove abbiamo introdotto il tempo
τ≡
L
R
(E9)
La corrente all’inizio cresce rapidamente, poi rallenta fino a tendere al valore
finale Vf em /R. Arrivati a tale valore, potremmo togliere f.e.m. esterna (generatore) e misurare in quanto tempo il circuito scarica l’energia accumulata.
Il circuito, senza la f.e.m. esterna verifica la seguente equazione
L
dI
+ RI = 0
dt
(E10)
con la condizione iniziale (il valore finale è ora valore iniziale)
I0 =
Vf em
R
(E11)
La soluzione della nostra equazione è
I (t) =
·
¸
Vf em
R
exp − t
R
L
(E12)
L’intensità di corrente si smorza esponenzialmente.
Gli induttori sono costituiti da solenoidi ed il loro simbolo è
6
L’energia magnetica: elementi
La similarità tra il condensatore per il campo elettrico e l’induttore per il campo
magnetico, ci inducono a pensare che anche nell’induttore venga immagazzinata dell’energia magnetica. Sul piano della descrizione qualitativa, possiamo
dire che quando un generatore esterno inizia ad erogare corrente nel circuito,
la f.e.m indotta si oppone all’aumento di corrente e quindi il generatore deve
compiere un lavoro per vincere tale opposizione. Questo lavoro si trasforma in
energia immagazzinata nell’induttore e può essere riutilizzata, quando si scollega
il generatore esterno.
Passiamo al calcolo diretto. Quando la corrente cresce con una rapidità pari
a dI/dt, la f.e.m. indotta, Vfind
em è data
Vfind
em = −L
10
dI
dt
(13)
Se moltiplichiamo per I tale espressione otteniamo il lavoro per unità di tempo
compiuto dall’induttore:
IVfind
em = −IL
dI
dt
quindi, l’energia immagazzinata per unità di tempo è
dU
dI
= IL
dt
dt
(14)
ovvero
dU = ILdI
che, integrata con I (t = 0) = 0, darà
U=
1 2
LI
2
(15)
Una tale espressione può essere usata facilmente per una verifica sperimentale.
Per il condensatore avevamo trovato U = Q2 /2C. Poiché L = Φ (B) /I, avremo
una seconda forma per l’energia magnetica
U=
6.1
1
Φ (B) I
2
(16)
La densità di energia magnetica
L’espressione dell’induttanza di un solenoide rettilineo indefinito ideale verrà
calcolata negli esempi e si troverà:
L = µ0 n2 al
(17)
dove µ0 è la permeabilità magnetica del vuoto, n è la densità lineare delle spire
del solenoide, a la sezione interna del solenoide ed l la sua lunghezza. Sostituendo la (17) nella (15) troviamo
1
(18)
µ n2 I 2 (al)
2 0
Poiché il campo B, all’interno di un solenoide rettilineo indefinito ideale, è
U=
B = µ0 nI
11
(19)
la (18) diventa
U=
B2
al
2µ0
(20)
La (20) suggerisce di interpretare la quantità
uB =
B2
2µ0
(21)
come una densità di energia magnetostatica (energia per unità di volume). Possiamo dire che per ogni volume unitario, interno al solenoide, vi è una quantità
di energia che è proporzionale al quadrato del campo B.
Questo risultato ha una validità generale: in ogni punto dello spazio in cui
è presente un campo di induzione magnetica si può pensare immagazzinata
un’energia per unità di volume espressa dalla (21).
7
Il circuiti LC
Supponiamo di avere in serie un induttore ed una capacità. Se il condensatore
è inizialmente carico, possiamo immaginare che a partire da un certo istante iniziale, inizierà a fluire una corrente. L’equazione di Kirchhoff, in presenza anche
di una resistenza, sarebbe
RI = ∆V − L
dI
dt
(E1)
che, specificando la differenza di potenziale ai capi del condensatore, ∆ϕ = −qC,
diventa
dI
q
+
=0
dt
C
(E2)
d2 q
q
+
=0
2
dt
C
(E3)
L
e ancora, scritta per la carica
L
Se confrontiamo tale equazione con quella di un oscillatore armonico semplice
(particella legata ad una molla, che si muove su di un piano senza attrito)
M
d2 x
+ kx = 0
dt2
(E4)
notiamo delle analogie (x → q; k → 1/C ed M → L) e possiamo subito scrivere
12
la soluzione come segue:
q (t) = q0 cos (ω 0 t + φ)
(E5)
1
ω0 ≡ √
LC
(E6)
dove abbiamo posto
Quello che succede nel circuito è la seguente cosa: Alternativamente, le armature del condensatore si caricano di cariche di segno opposto; ciò avviene fino a
quando la carica di un certo segno non si è trasferita sull’armatura opposta a
quella dove era inizialmente. Dopo di ché, si inverte il processo, che in assenza
di attrito (la resistenza!), "oscillerebbe" per sempre. In particolare, se al tempo
iniziale poniamo q (t = 0) = q0 , la fase (φ) può essere posta uguale a zero, e la
soluzione diventa:
q (t) = q0 cos (ω 0 t)
In tal caso, la corrente si evolve nel tempo secondo la seguente legge:
µ
¶
q0
t
I (t) = − √
sin √
LC
LC
8
(E7)
(E8)
Esempi
Esempio 1: Si abbia una spira quadrata, inizialmente ferma, in un campo
magnetico uniforme variabile nel corso del tempo, secondo la legge
B = B0 sin (ωt)
(1)
La spira sia nel piano xy e la direzione ed il verso del campo siano lungo
l’asse z.
13
Poiché il circuito è fermo, la derivata temporale si può portare dentro l’integrale
ed applicarla solo al campo
I
Z
∂B
E · dl =
(2)
· ua d2 a
−
∂t
l
al
ovvero, esplicitando
I
l
Z
∂
[B0 sin (ωt)] uz · ua d2 a
al ∂t
Z
uz · uz d2 a
= −B0 ω cos (ωt)
E · dl = −
al
= −B0 ω cos (ωt) al
Se la spira non è nel piano xy, ma forma un angolo α con l’asse z, allora
uz · ua = cos α ed il precedente risultato diventa
I
E · dl = −B0 ω cos α cos (ωt) al
(3)
l
Esempio 2: Consideriamo una spira quadrata, inizialmente a riposo, nel
piano xy, ma poi ruotante, intorno all’asse x, con velocità angolare ω 0 . Il campo
B è nella direzione positiva dell’asse z, ed è costante ed uniforme, B = B0 .
L’angolo che la spira, nel suo movimento, forma con il piano xy (o equivalentemente l’angolo che la normale alla superficiesu cui giace la spira forma con
l’asse z) è dato da
α = ω0 t
La legge di Faraday, si scrive
µZ
¶
I
d
E · dl = −
B · ua d2 a
dt
l
al
e il flusso di B, attraverso l’area variabile sarà
14
(1)
Z
per cui
I
l
al
E · dl = −
B · ua d2 a = B0 al cos (ω 0 t)
(2)
d
(B0 al cos (ω 0 t)) = B0 al ω 0 sin (ω 0 t)
dt
(3)
Esempio 3: Si abbia una spira quadrata, inizialmente ferma nel pianoxy.
Successivamente inizi a ruotare intorno all’asse x, con velocità angolare ω 0 , mentre è immersa in un campo magnetico variabile, diretto lungo l’asse z, la cui legge
sia
B (t) = B0 sin (ωt)
(1)
Rispetto al precedente esempio avremo
α = ω0 t
(2)
La legge di Faraday, si scrive
¶
µZ
I
d
2
E · dl = −
B · ua d a
dt
l
al
ed il flusso di B, attraverso l’area variabile sarà
Z
B · ua d2 a = B (t) al cos (ω 0 t)
(3)
al
per cui
I
l
E·dl = −
d
dB (t)
(B (t) al cos (ω 0 t)) = −
al cos (ω 0 t)+B (t) al ω 0 sin (ω 0 t) (4)
dt
dt
che esplicitata diventa
I
E · dl = −B0 ω cos (ωt) al cos (ω 0 t) + B0 sin (ωt) al ω 0 sin (ω 0 t)
l
15
(5)
e se ω = ω 0 , avremo
I
l
E · dl = −B0 ωal [cos (ωt) cos (ωt) − sin (ωt) sin (ωt)]
= −B0 ωal cos (2ωt)
(6)
Esempio 4: Un conduttore di un metro si sposta, nel piano xy, parallelamente all’asse x con velocità V = 2, 50uy m/s. Sapendo che esso si muove in
un campo uniforme e costante, diretto lungo l’asse z, di valore B = 0, 50uz T ,
trovare la forza elettromotrice indotta ai capi del conduttore.
Abbiamo visto che per il circuito in moto
dΦ (B)
= BlV
dt
che, esplicitamente calcolato, diventa
dΦ (B)
= 1, 25V
dt
Esempio 5: Trovare la forza elettromotrice indotta, in un conduttore rettilineo, lungo 2 metri, immerso in un campo magnetico uniforme e costante,
B = 0, 50uy T , che si muove nella direzione dell’asse z, con una velocità
¡
¢
v = 2, 50 × sin 102 t uz m/s,
16
Poiché il circuito è in moto
¡
¢
E = v ∧ B = −1, 25 × sin 102 t ux
Allora
I
l
E · dl =
Z
2
0
¢
¡
¢
¡
−1, 25 × sin 102 t ux · ux dx = −2, 50 × sin 102 t V
Esempio 6: Un conduttore filiforme è posto nel piano xy, e racchiude una
superficie di 0, 50m2 . Trovare la forza elettromotrice indotta se l conduttore è
immerso in un campo uniforme, ma variabile, secondo la seguente legge
¡
¢
B = 0, 02 cos 102 t [uy + uz ]
e
Poiché il circuito è fermo la legge di Faraday si scrive
I
Z
∂B
E · dl =
· ua d2 a
−
∂t
l
al
¢
¡
∂B
= −2 sin 102 t [uy + uz ]
∂t
avremo
I
l
E · dl =
Z
al
ua d2 a = uz d2 a
¡
¢
¡
¢
¡
¢
2 sin 102 t d2 a = 2 sin 102 t al = sin 102 t V
17