4. Sorgenti di Rumore Elettromagnetico ed Ottico 4.1 Luce e Rumore La luce è una emissione elettromagnetica prodotta da un decadimento elettronico. Si consideri un sistema atomico molto semplice, in cui sia identificabile un orbitale elettronico che si presenti in due stati etichettati solo dalla loro energia: uno stato fondamentale E1 (o stato di “ground”) ed uno stato eccitato E2, caratterizzato da una energia più alta. La differenza fra le due energie sia DE. Se, per qualche meccanismo, lo stato elettronico, che si trova al livello fondamentale, viene “eccitato”, questo tende naturalmente a “decadere” nello stato fondamentale: in questo processo può accadere che venga emessa l’unità fondamentale di energia di eccitazione, DE, nella natura di una radiazione elettromagnetica. Questa radiazione che possiede/trasporta una quantità “fondamentale” di energia pari a DE è l’unità “fondamentale” di luce, ovvero il fotone. Il fotone è quindi una “quantità” elementare (o “quanto”) di energia elettromagnetica emessa durante un singolo decadimento elettronico. Siccome l’energia è trasportata da una radiazione elettromagnetica, ad essa è associata una frequenza, normalmente chiamata n. La conversione frequenza > energia è fatta utilizzando la semplice espressione "E = h# ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 1 dove h è una costante di proporzionalità chiamata costante di Planck che vale 6.6624 10-34 Joule Hz. La modellizzazione del fenomeno sopra-descritto di emissione luminosa ha impegnato i fisici per più di mezzo secolo ed ha portato alla consapevolezza che i modelli “classici” elettromagnetici non potevano dare ragione compiuta dello stesso: la soluzione del problema della emissione luminosa, e quindi della natura della luce, trova il suo compimento solo con l’introduzione della meccanica quantistica ( che viene formalizzata nel 1930 con la pubblicazione del libro “I principi della meccanica quantistica” di P.A.M. Dirac ). Essa prevede che il modo più efficace di modellizzare il semplice sistema sopra-descritto sia quello di immaginarlo come un oscillatore armonico, ovvero un sistema che conserva la sua energia e che la trasforma in continuazione da energia potenziale a energia cinetica con una velocità di “scambio” che viene a coincidere con la frequenza n della emissione luminosa stessa. L’introduzione di questo modello rende inutile approfondire il meccanismo elettromagnetico-atomico di questo fenomeno, comunque non classicamente spiegabile, e lo riporta a modelli astratti del tipo massa-molla o induttore-capacitore. Questi modelli sono quindi “risolti” con le tecniche della meccanica quantistica e della meccanica statistica e la loro soluzione produce i valori aspettati di energia luminosa ed anche la descrizione più corretta della luce e delle sorgenti luminose. Questi modelli rappresentano quindi la trattazione più rigorosa dei problemi di emissione ed assorbimento della luce: normalmente, siccome i due modelli sono equivalenti, si preferisce fare riferimento al modello massamolla piuttosto che a quello induttore-capacitore. Per il primo, chiamando q la coordinata della massa m e k la costante di molla, la somma della Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 2 energia potenziale (quella accumulata dalla molla) e della energia cinetica vale Kq 2 p 2 Etotale = + 2 2m ! dove p rappresenta la quantità di moto. Dalla relazione classica che lega la frequenza di oscillazione del sistema n ai parametri k ed m " = 2#$ = k m si ottiene l’equazione fondamentale che dell’oscillatore armonico alle quantità p e q, ! E totale = ! lega l’energia totale 1 2 2 (" q + p2 ) 2 Questa equazione è molto importante perché le tre quantità E, q e p possiedono una descrizione equivalente in meccanica quantistica (sono cioè “misurabili” in senso stretto): la loro trasposizione nel formalismo della meccanica quantistica genera quindi una equazione agli autovalori le cui soluzioni sono i livelli quantizzati di energia che l’oscillatore armonico può possedere e le cui autosoluzioni sono i modi di oscillazione dello stesso. In particolare si ottiene che i livelli di energia che l’oscillatore armonico può possedere sono discreti (quantizzati) secondo l’espressione: " 1% E totale = $ n + ' h( # 2& ! come appaiono anche nella figura seguente. L’introduzione del concetto di “oscillatore armonico” è fondamentale in tutte le descrizioni dei fenomeni luminosi e permette di ricavare le proprietà di tutte le sorgenti di luce conosciute ed anche del “rumore” luminoso. Nelle comunicazioni ottiche si ha a che fare con tre tipi di ”luce”: la “luce segnale” che è tipicamente una sorgente laser; la “luce termica” naturale che è assunta a “rumore ambientale” e la “luce termica” originata da emissione spontanea che caratterizza il rumore degli amplificatori ottici. Conoscere le caratteristiche delle diverse “luci” segnale e rumore che concorrono allo studio del sistema di comunicazioni ottiche è molto importante al fine di stabilire i limiti di funzionamento del sistema stesso, la corretta valutazione del rapporto segnale/rumore, la valutazione della Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 3 qualità della trasmissione, il tipo di sorgenti di rumore, ecc. Esse possono essere descritte sulla base di tre parametri misurabili: - la modalità temporale - la modalità spaziale - la statistica di insieme Modalità temporale. Un oscillatore armonico è caratterizzato da una sola frequenza di oscillazione: esso presenta quindi solo un modo temporale ed il suo spettro è strettamente mono-modale. La luce su un solo modo temporale è quindi monocromatica. Questa è la caratteristica più tipica della luce laser. Possono esserci emissioni luminose che coinvolgono insiemi di oscillatori armonici di diversa frequenza di oscillazione, in questo caso ottengo luce con spettro ampio, discreto o continuo. Questa è la caratteristica tipica della luce delle lampade o luce termica, ma anche sorgenti laser possono avere spettri ampi. La modalità temporale della luce è quindi legata alle sue caratteristiche di purezza spettrale. Modalità spaziale. La radiazione elettromagnetica è per sua natura propagante ed in quanto tale è quindi caratterizzata da un vettore d’onda k= ! 2" # Il vettore k occupa uno spazio tre-dimensionale e quindi per ogni frequenza n vi possono essere una molteplicità di modi spaziali, ognuno dei quali etichettato da un diverso valore di k. In uno spazio illimitato di propagazione omogeneo ed isotropo, questi modi occupano la superficie di una sfera di raggio |k|: tutte le direzioni ed i versi sono permessi e per uno stessa frequenza sono permesse infinite realizzazioni spazio-modali. Questo non è vero in uno spazio limitato (ad esempio di lunghezza L) ed Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 4 anisotropo. In questo caso i “modi” sono autosoluzioni discrete della coordinata spaziale, in altri termini il vettore d’onda non può assumere qualsiasi lunghezza ma il suo modulo deve essere un multiplo del vettore d’onda più piccolo, questo essendo p/L. Se poi lo spazio è anisotropo ( come ad esempio succede per le lunghezze d’onda ottiche in un mesacristallo o photonic-band-gap material) alcune direzioni spaziali sono proibite o risulta una densità di modi variabile a seconda della frequenza considerata. Può essere utile stimare quanti modi spaziali vi siano in un intervallo di vettori d’onda assegnato dk e nel corrispondente intervallo di pulsazioni dw. Immaginiamo che la radiazione sia contenuta in un cubo di lato L. I “modi” (cioè le realizzazioni stazionarie del campo) si adageranno nella scatola come onde sinusoidali i cui nodi coincideranno con le pareti: quindi la massima lunghezza d’onda ospitata nella scatola sarà 2L ed il massimo vettore d’onda sarà: kM = ! 2" " = 2L L Se consideriamo uno spazio omogeneo ed isotropo quale spazio di propagazione della luce, i modi occuperanno una corteccia di un quadrante di sfera di raggio k spessa dk e cioè 1 4 "k 2 dk ) ( 8 in questa corteccia di sfera vi saranno quindi ! ! 1 (4"k 2dk ) 8 2 # " &3 % ( $L' modi spaziali (il fattore 2 in alcune trattazioni si omette: esso in questa trattazione tiene conto dei due stati di polarizzazione che ciascun modo può possedere). Il numero di modi per unità di volume nell’intervallo dk definisce la densità di modi rkdk e vale quindi " k dk = k 2 dk / # 2 ovvero in termine di frequenza ! ! "# d# = # 2 d$ / % 2c 3 Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 5 Le comunicazioni ottiche prevedono normalmente l’impiego di luce monomodale, perché la propagazione che si considera è solitamente quella in fibre ottiche monomodali ed anche le sorgenti laser vengono spazialmente filtrate per renderle monomodali. La luce ambiente e molta luce considerata “rumore” si presenta naturalmente multimodale. Se si considerano solo i parametri modi temporali e modi spaziali il quadro complessivo delle diverse “luci” possibili si presenta come nello specchietto seguente Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 6 Statistica di insieme. Le collezioni di oscillatori armonici elementari che costituiscono le sorgenti luminose si possono presentare con diverso grado di energia di eccitazione: si dice in altri termini che gli stati degli oscillatori armonici sono diversamente occupati, il numero di occupazione essendo il numero n di fotoni che occupa lo stato. La distribuzione di energia di eccitazione (ovvero dell’n) dell’insieme di oscillatori armonici della sorgente luminosa genera delle statistiche che caratterizzano in modo particolare i diversi tipi di sorgenti luminose. In particolare, si può dimostrare che la luce di origine termica è caratterizzata da una distribuzione di Bose-Einstein (questo tipo di statistica è quello che caratterizza la luce detta anche “caotica”, che rappresenta la luce “rumore” tipica dei sistemi di comunicazione ottica) mentre la luce ottenuta con una inversione dell’equilibrio termodinamico, la luce laser, presenta una distribuzione di Poisson (questo tipo di statistica è quello che caratterizza la luce detta anche “ordinata” , che rappresenta la luce “segnale” tipica dei sistemi di comunicazione ottica) . Se si considerano solo i parametri statistica di insieme e modi spaziali il quadro complessivo delle diverse “luci” possibili si presenta come nello specchietto seguente Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 7 4.2 La funzione di Planck Che tipo di “rumore” influenza i sistemi di comunicazione ottica? Se consideriamo i segnali ottici un particolare tipo di segnali elettromagnetici, questa domanda è riportabile alla più generale domanda: che tipo di rumore elettromagnetico influenza i sistemi di comunicazione ? la trattazione del “rumore” è di fondamentale importanza per tutti i sistemi di comunicazione (sia alle frequenze radio che alle frequenze delle micro-onde) perché in ultima analisi quello che l’ingegnere delle comunicazioni deve affrontare è sempre un problema di segnale/rumore: deve quindi conoscere da dove proviene e che di natura è il rumore che compete al suo sistema. La trattazione del rumore elettromagnetico più condivisa considera una situazione di emissione elettromagnetica proveniente da un insieme di oscillatori armonici contenuti in un bagno termico, cioè in equilibrio termico con l’ambiente circostante caratterizzato solo dalla sua temperatura. La presenza di energia termica eccita e dis-eccita gli oscillatori armonici secondo leggi generali di assorbimento ed emissione che vedremo più avanti nella trattazione. (vedi figura) Questa continua eccitazione e dis-ecittazione produce una radiazione Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 8 elettromagnetica nel mio contenitore (che supponiamo isolato rispetto all’ambiente esterno e per questo chiamiamo “corpo nero”) che va all’equilibrio con gli stati degli oscillatori locali. La domanda che ci poniamo è : qual è il livello spettrale medio ( in W/Hz) che investe il mio ricevitore elettromagnetico/ottico quando esso è posto in un ambiente a temperatura T ? In altri termini, qual è l’energia elettromagnetica che investe il mio ricevitore ? occorre intanto chiarire che non esiste la possibilità di “isolare” il mio ricevitore dall’ambiente elettromagnetico che origina il rumore perchè il ricevitore è “immerso” in un ambiente caldo dotato di oscillatori armonici (gli stati elettronici della materia) e quindi è illusorio pensare di potersi isolare da questa fonte primaria di rumore. Inoltre il ricevitore dispone sempre di una “antenna” per ricevere il segnale e da questa “antenna entra inevitabilmente anche il “rumore” esterno che si trova alle stesse frequenze del segnale. Per rispondere a questa domanda occorre “semplificare” il problema, considerare cioè solo un sotto-insieme dei parametri che caratterizzano la emissione elettromagnetica che, in generale, abbiamo visto essere multimodale spaziale e temporale. Consideriamo ad esempio una situazione monomodale sia spaziale che temporale. Il problema si affronta ipotizzando che gli elementi emettitori di radiazione elettromagnetica sino alle frequenze ottiche siano una collezione di oscillatori armonici tutti uguali posti in un ambiente “caldo” per un tempo sufficientemente lungo per essere considerati in uno stato stazionario. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 9 L’agitazione termica degli oscillatori porta pian piano ad un equilibrio fra la radiazione emessa e quella assorbita dagli stessi ed, all’equilibrio, la probabilità di trovarli alla energia E n va come il fattore di Boltzmann pn = e"E n / kT / # e"E n / kT n ! ! dove k è la costante di Boltzmann = 1.3810 "23 JK "1, T la temperatura assoluta ed En E n = ( n + 1/2) h" ! ! Se faccio per il momeno l’approssimazione di trascurare il termine 1/2 (per facilitare il calcolo), e quindi di lavorare nell’ipotesi E n = nh" siccome deve anche essere "p n "e =1 #nh$ / kT ! = n 1 1# e #h$ / kT e quindi ! ! pn = e"nh# / kT [1" e"h# / kT ] Conoscendo pn posso valutare il valore medio di n (ovvero n o “valore di aspettazione” di n) ovvero quanti oscillatori armonici sono eccitati alla energia En ! ! n = " n pn = ! % ( "nh# / kT "h# / kT '$ ne *(1" e ) &n ) % + ( , / + 1 =' e"nh# / kT *(1" e"h# / kT ) = 1" e"h# / kT ) . $ h# / kT 1( 0 + h # /kT + h # /kT 1" e & ) n = e"h# / kT (1" e "h# / kT ) "h# / kT )= 2 (1" e e"h# / kT 1" e"h# / kT ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 10 e quindi moltiplicando sopra e sotto per e h" / kT ottengo che n = ! 1 e h" / kT #1 ! Questa funzione è chiamata Funzione di Planck o anche Fattore BoseEinstein ed è molto importante in tutta la teoria elettromagnetica. Essa è riportata in figura. Esso ci dice in modo sintetico che per temperature “ambiente” dove l’ascissa ha un valore molto alto, la probabilità di trovare oscillatori armonici di alta frequenza eccitati tende a zero. Ad esempio, tipicamente ho che a 23 °C kT = 1,3810"23 • 296 = 408,410"23 joule ! equivalente a 255 10-4 eV ovvero circa 25 meV. Alle lunghezzed ‘onda tipiche delle comunicazioni ottiche, dove h" è dell’ordine di 0,8 eV, significa che l’ascissa vale 32 ed n è pari a circa 1,26 10-14. Questo risultato non appare tale a frequenze non-ottiche, ad esempio alle frequenze delle micro-onde, dove invece la ! radiazione di “corpo nero” è ben presente: alle lunghezze d’onda delle micro-onde la ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 11 probabilità di occupazione degli stati risulta dell’ordine di 102/103. Nella tabella sottostante sono riportati i valori di n alle diverse lunghezze d’onda delle telecomunicazioni. E’ importante ricordare cosa rappresenta ! n . Esso - è il numero medio di oscillatori armonici elementari eccitati: secondo questa visione esso ! è il numero medio di fotoni che trovo nel mio “contenitore” alla temperatura T o il numero medio di fotoni che popola il mio campo elettromagnetico quantizzato: questa è una visione corpuscolare della luce; - sommato ad ½ e moltiplicato per h" rappresenta l’energia a cui si porta l’oscillatore armonico eccitato dalla temperatura T: questa è una visione ondulatoria della luce. ! Le due visioni coesistono in tutta la trattazione rigorosa della luce. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 12 Valutiamo ora quanto è la varianza di n , cioè (Dn)2. Debbo ricavare n2 ! ! ) & n 2 = # "n n 2 = (1$ e$h% / kT )'# n 2e nh% / kT * (n + n & ,2 ) = (1$ e$h% / kT )' 2 e$nh% / kT * # ( , h% /kT n + e dopo una serie di passaggi algebrici ottengo che ! n2 = n + 2 n 2 da cui ! ("n) ! 2 ( = n2 # n 2 )= 2 n +2 n # n 2 = n + n 2 cioè le fluttuazioni di n sono sempre più grandi del suo valore medio: questo ci autorizza a considerare nelle comunicazioni ottiche l’emissione di corpo nero come “rumore”. ! Dalla conoscenza del numero di fotoni eccitati alla temperatura T, n , si può ricavare una utile espressione della distribuzione di probabilità pn. Infatti essendo n = 1 ! e h" / kT #1 si ottiene che ! (e h" / kT #1) n = 1 da cui ! e h" / kT n # n = 1 e h" / kT = ! 1+ n n Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 13 e quindi e"h# / kT = n 1+ n e quindi siccome per definizione ! pn = e"nh# / kT (1" e"h# / kT ) sostituendo termine a termine ottengo ! " n %n " n % n pn = $ ' $1( '= #1+ n & # 1+ n & pn = ! n (n n (1+ n ( n ) n +1 ( n + 1) n + 1) n +1 Questa distribuzione di probabilità pn in funzione del valor medio di n, è molto importante, ricorre spesso nella trattazione del rumore in teoria delle comunicazioni ed è conosciuta in diversi modi a secondo del contesto in cui si ricava: Distribuzione di Probabilità di Planck oppure Distribuzione Termica oppure Distribuzione Geometrica oppure distribuzione di Bose-Einstein. Essa è la distribuzione di probabilità che caratterizza la “luce rumore” o “luce caotica” ed è tipica delle “sorgenti termiche”, sorgenti luminose cioè in cui l’emissione di luce è ottenuta per riscaldamento. Tipiche di stribuzioni di Bose-Einstein sono riportate nella figura successiva. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 14 Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 15 4.3 La sorgente luminosa di tipo termico Se supponiamo ora che il “corpo nero” possa emettere la radiazione elettromagnetica in esso contenuta (attraverso una apertura che non perturba le condizioni di equilibrio raggiunte), la radiazione così emessa alle lunghezze d’onda tipiche dell’ottica si chiamerà “luce termica”. Questo tipo di luce è molto comune nell’ottica: è la luce di tutte le sorgenti che emettono in quanto portate a temperatura alta. La lampadina, così come quasi tutte le sorgenti luminose non-laser, sono chiamate “termiche” per segnalare l’origine del meccanismo che porta alla emissione luminosa: un meccanismo di riscaldamento. Altre sorgenti termiche importanti per le comunicazioni ottiche sono il sole (che condiziona le comunicazioni ottiche cosidette “wireless” che impiegano cioè fasci laser in propagazione libera), la luce delle stelle (che condizionano le comunicazioni ottiche astronomiche), la luce delle lampade ad arco ed a scarica di gas incandescente (i “neon” e le lampade di tipo alogeno) che condizionano le comunicazioni ottiche “indoor” (cioè quelle che avvengono all’interno di una stanza come il protocollo Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 16 IrDE) ecc. Che caratteristiche di intensità I avrà questa luce? Per ricavarlo facciamo l’ipotesi che la sua intensità sia direttamente proporzionale al numero di fotoni in equilibrio dentro la cavità, cioè pI " pn si avrà allora ! pI " pn = n (n n + 1) n +1 1 = n n (n n +1 + 1) n +1 n +1 1 # n & = % ( n $ n + 1' eseguo ora un cambio di variabile ponendo n + 1 " n # ed ottengo ! n n 1 % n # $1( 1 % 1 ( pI " pn = ' * = '1$ * n # $1 & n # ) n # $1 & n# ) ! # # dalla relazione (1" x ) = 1" nx ottengo n ! ! 1 % '1$ (n #) $1 & #! 1 1 % n = 1 %1" 1 n $ n " n# ( * ovvero per n " grandi n# ) & ( ( ! ' "x e ricordando lo sviluppo in serie di e ! pn = 1 n/ n e n ! e conseguentemente ! 1 " pI = e I ! I I Questa espressione ci dice che se osserviamo la radiazione emessa da una sorgente “termica”, posto I la sua intensità media, il valore più probabile osservato è zero e l’andamento per le altre intensità va come un esponenziale negativo. L’andamento nel tempo dell’intensità di questa sorgente si presenterebbe come in figura. ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 17 Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 18 4.4 La densità spettrale di potenza del rumore elettromagnetico ed ottico: la legge di Planck Abbiamo già visto come i dispositivi per telecomunicazione siano sempre immersi in un “rumore elettromagnetico” presente a qualsiasi frequenza dello spettro: è la cosidetta “radiazione di fondo”, presente per il solo fatto di operare a temperature diverse dallo zero assoluto. La cattura di questo rumore e quindi la sua influenza sul funzionamento del ricevitore dipende dalle caratteristiche dei dispositivi: dipoli, antenne, resistenze e fotodiodi catturano comunque un rumore, anche se a frequenze dello spettro diverso. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 19 Vogliamo ora usare l’espressione di Planck per determinare il valore della densità spettrale eletttromagnetica W(w) (in W/Hz m-2 ovvero J/m2) che costituisce la sorgente di rumore per il mio ricevitore. Ho che: W (" ) = numero di fotoni energia modi • • modo fotone metro 2 e quindi ! W (" ) = n • h" • "2 # 2c 2 che è conosciuta anche come legge di Planck. Questa legge, il cui ! andamento in funzione del parametro h" è riportato nella successiva kT figura stabilisce quanto “rumore” mi debbo aspettare alle diverse frequenze dello spettro elettromagnetico in funzione della sola temperatura T del corpo nero. !E’ una delle leggi più importanti della fisica conosciuta anche prima dello sviluppo della meccanica quantistica. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 20 Abbiamo visto precedentemente che alle energie tipiche della luce ed alla temperatura ambiente, il parametro considerato vale circa 32: dalla legge di Planck emerge quindi che alle frequenze ottiche io non dovrei avere assolutamente rumore di origine ottica che entra nel sistema di comunicazione. Solo a temperature molto più alte la legge di Planck prevede una emissione “ottica” dal corpo nero. Infatti se valuto per quali valori di frequenza elettromagnetica ho il massimo della funzione prefissato un certo valore di temperatura, ottengo la cosidetta legge di Wien che stabilisce una relazione fra le lunghezze d’onda l a cui ho il massimo della funzione di Planck e la temperatura stessa "= ! [m] (questa espressione della legge di Wien è stata ricavata da una legge di Planck espressa in funzione della lunghezza d’onda, non quella riportata precedentemente). Secondo la legge di Wien, per avere fotoni alla " di 1.5 µm, debbo avere sorgenti con temperatura pari a T= ! 2,897 #10$3 T 2,897 "10#3 = 1930°K 1,5 "10#6 ! L’andamento della legge di Planck in funzione della temperatura del “corpo nero” ed in funzione delle lunghezze d’onda della radiazione emessa è illustrato nelle seguenti figure. Come si osserva, più voglio ottenere una composizione spettrale di “colori” alti (cioè colori che tendono al blu-violetto) più debbo innalzare la temperatura della sorgente: per questo motivo la temperatura T sino ad ora considerata viene anche chiamata “temperatura di colore”. Il sole, sorgente di luce per eccellenza, ha una temperatura di colore circa 5700 °K: a questa temperatura la emissione elettromagnetica ha un suo massimo nel range di frequenze del visibile. Le lampade incandescenti hanno di solito temperature di colore più basee (dai 3000 ai 2000 K) ed il cielo azzurro è caratterizzato da una temperatura equivalente di colore molto alta, sopra i 7000 °K (non perché sia così caldo ma perché solo le componenti spettrali a frequenze alte si salvano, le lunghezze d’onda rosse essendo rimosse per diffusione). Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 21 Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 22 4.5 L’introduzione dello stato vuoto e la legge di CallenWelton Il risultato al paragrafo precedente è sempre stato visto con sospetto dai fisici ed ha costituito un esempio chiaro di come la fisica elettromagnetica classica non potesse spiegare compiutamente la teoria del fotone e del campo ottico. Abbiamo visto al primo paragrafo come all’oscillatore armonico veniva attribuita l’ energia totale " 1% E totale = $ n + ' h( # 2& ! Il termine ½, trascurato nel ricavare la funzione e la legge di Planck, deve essere ri-introdotto per dare ragione del “rumore” che si osserva inevitabilmente alle frequenze ottiche. Esso rappresenta l’energia dello stato vuoto ovvero l’energia posseduta dall’oscillatore armonico anche in assenza di eccitazione, in condizione di quiete. Questa energia è una fluttuazione ineliminabile del “campo ottico” (del campo cioè formato dall’insieme dei fotoni che costituiscono la luce) sempre presente a qualsiasi frequenza e quindi spettralmente piatta. La presenza dello stato vuoto e della sua energia giocano un ruolo fondamentale in tutta la teoria delle comunicazioni ottiche. E’ quindi 1 E stato vuoto = h" 2 e la precedente espressione della legge di Planck ! W (" ) = 1 e h# / kT $1 • h" • "2 % 2c 2 si dovrà ora scrivere ! ! % 1 1( "2 W (" ) = ' h# / kT + * • h" • 2 2 &e $1 2 ) + c Questa espressione viene ulteriormente semplificata se supponiamo la radiazione emessa dal “corpo nero” sia vista da un “ricevitore” spazialmente monomodale, che osserva il “corpo nero” dalla più piccola area di coerenza possibile, cioè " #2 /2 , e che osserva una sola polarizzazione (cade quindi il fattore 2 precedentemente introdotto) la Comunicazioni Ottiche, Capitolo ! 4, Edizione Ottobre 2007 23 Densità Spettrale di Potenza Nob(n) (in Joule o W/Hz) in funzione della frequenza n sarà allora $ 1 1' Nob(" ) = & h" / kT + ) • h" %e #1 2 ( ! espressione proposta da Callen e Welton nel 1951. La potenza elettromagnetica vista dal ricevitore nella banda Dn sarà quindi % 1 1( Pob = Nob(" )#" = ' h" / kT + * • h" • #" &e $1 2 ) e questa funzione è rappresentata nella figura seguente ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 24 A partire dalla espressione di Callen-Welton posso avere due situazioni di rumore distinte (nella ipotesi di operare in condizioni di temperatura ambiente e quindi con kT dell’ordine di 25 meV): 1) h" / kT << 1. Sto considerando cioè frequenze elettromagnetiche, non ottiche, che interessano quindi i componenti elettrici ed in particolare le resistenze di carico dei circuiti. L’espressione precedente diventerà ! $ kT ' N ob (" ) # h" & ) # kT % h" ( Questa espressione rappresenta l’energia media che “entra” nel mio sistema attraverso la resistenza di carico RL , provocando una fluttuazione 2 ("i) di corrente che introduce rumore elettronico nel segnale fotorivelato. ! ! ! 2) h" / kT >> 1: Questo è il caso delle frequenze ottiche che, come si vede dal precedente grafico, dominano con l’energia dello “stato vuoto” lo spettro di potenza alle frequenze sopra i 1013 Hz. E’ allora ! 1 N ob (" ) # h" 2 ! Come si osserva, il rumore che entra nel ricevitore corrisponde esattamente a quello originato dalla energia di stato vuoto: questo risulta quindi essere il “rumore limite” del processo di fotorivelazione: è come se un campo ottico a media zero ma varianza non nulla interagisse con il campo segnale di arrivo provocando una “incertezza” inevitabile nella distribuzione di probabilità dei fotoni: la “traccia” di questa “incertezza” si trova in diversi fenomeni di interesse del sistema di comunicazione ottica, ad esempio: a) nel segnale fotoelettrico come spettro di potenza a banda piatta che costituisce lo “shot-noise” della luce di segnale; b) nel rumore associato alla “emissione spontanea” presente in tutti gli Amplificatori Ottici e dovuta al battimento fra lo stato vuoto ed il momento di dipolo elettrico della transizione in esame. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 25 La legge di Callen-Walton unisce una funzione “classica” (l’espressione di Planck) con un comportamento quantistico. Bisogna fare attenzione nella interpretazione di questo diagramma perché mentre l’energia elettromagnetica di origine termica viene effettivamente prodotta e quindi anche “catturata” dall’antenna o dai componenti del ricevitore, l’energia dello “stato vuoto”, non viene mai direttamente ricevuta e quindi “misurata”. Essa si manifesta tramite il “quantum noise” che si rileva quando un “altro” segnale ottico è presente. Si suole affermare che “l’energia dello stato vuoto non si estrae”. L’ultima espressione dello spettro di potenza residuo quanto il solo rumore ottico sia considerato, consente di fare una stima del rapporto Segnale/Rumore aspettato in un ideale ricevitore ottico. SNRottico = potenza di segnale Ps = potenza di rumore 1 h"B 2 dove B rappresenta la banda della rivelazione. Sapendo poi che ! Ps = n ( t ) h" ho che ! quantum lim ited SNRottico = ! ovvero considerando una banda bi-laterale pari a 2B (come ottengo con la rivelazione coerente) quantum lim ited SNRottico = ! 2n ( t ) B n( t ) =n B Questo rapporto segnale/rumore è il più alto ottenibile in comunicazione ottica ed è pari semplicemente al numero di fotoni misurato nel tempo di osservazione: esso si chiama SNR quantum-limited. Nel caso di un ricevitore “radio” la stessa stima porterebbe al valore di SNRradio = potenza di segnale Ps = potenza di rumore kTB A temperatura ambiente, secondo la legge di Wien, avrei una emissione ! Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 26 dominante alla lunghezza d’onda di 2,897 #10$3 "= = 9,8 #10$6 m 296 ! cioè a frequenze dell’ordine di 300 GHz. La potenza di segnale è invece costituita da “fotoni” radio, con frequenze dell’ordine dei GHz: non posso quindi eseguire la “semplificazione” che ho fatto nella espressione del SNR ottico, anzi mi occorrono molti “fotoni” radio (cioè molta potenza radio) per sovrastare il rumore del kT. Comunicazioni Ottiche, Capitolo 4, Edizione Ottobre 2007 27