Beato un mite La vita vera di un chicco di grano

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SICILIA
La vita vera
di un chicco di grano
Beato un mite
Beatificazione di
don Giuseppe Puglisi
Messaggio dei vescovi di Sicilia
«La sua mitezza – hanno scritto i vescovi
siciliani il 23 aprile scorso – e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede, quella dei
mafiosi i quali ostacolarono la sua azione pastorale, con intimidazioni, minacce e percosse fino a giungere alla sua
eliminazione fisica, in odio alla fede», il
15 settembre 1993. Per questo, vent’anni dopo, don Giuseppe Puglisi, parroco a Brancaccio (Palermo), è stato proclamato beato (cf. riquadro a p. 339 e Regno-att. 10,2013,267ss). Il rito di beatificazione si è svolto nel capoluogo siciliano il 25 maggio scorso, presieduto dall’arcivescovo di Palermo, card. Romeo,
che nella sua omelia ha sottolineato:
«Per portare frutto, il chicco di grano
deve morire. “Gesù ha portato molto
frutto quando è morto” spiegava il beato Puglisi ad alcuni giovani in ricerca vocazionale… In ogni sua scelta di discepolo, e nei 33 anni della sua vita sacerdotale, il beato Puglisi fu “chicco” perché ogni giorno accolse di morire poco
alla volta nel quotidiano spendersi al servizio dei fratelli: in tutti i ministeri confidatigli dal vescovo, il suo fu un donarsi senza riserve, “per Cristo a tempo pieno”, come era solito ribadire».
Stampe (10.6.2013) da sito web www.diocesipa.it.
Sottotitoli redazionali.
IL REGNO -
DOCUMENTI
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Il prossimo 25 maggio avrà luogo a Palermo, il rito di
beatificazione del servo di Dio don Giuseppe Puglisi, sacerdote palermitano martire, ucciso dalla mafia in odio alla
fede il 15 settembre 1993. Questo evento gioioso ci fa
guardare a un autentico testimone della fede e dà una
connotazione particolarmente significativa all’Anno della
fede che le nostre Chiese particolari stanno vivendo ricordando il 50° anniversario di inizio del concilio Vaticano II
e il 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica.
Quella di don Pino Puglisi è la vicenda di un sacerdote
totalmente conformato a Cristo che visse il suo ministero
presbiterale come servizio a Dio e all’uomo. Reso forte da
un’intensa vita spirituale, fatta di ascolto della parola di Dio,
di preghiera, di riferimento costante all’eucaristia che celebrava quotidianamente, egli attuò un apostolato di promozione umana avendo come riferimento costante l’annuncio del Vangelo.
Promosse un’azione educativa che contribuiva al cambiamento della mentalità e della visione della vita, favorendo
la maturazione della fede del popolo a lui affidato. Svolse
instancabilmente il suo ministero sacerdotale per l’edificazione del regno di Dio richiamando tutti alla conversione,
al pentimento e all’incontro con la tenerezza di Dio Padre.
Per questo volle che il Centro di accoglienza parrocchiale
da lui fondato fosse chiamato «Padre nostro». La sua mitezza e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente
ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede,
quella dei mafiosi i quali ostacolarono la sua azione pastorale con intimidazioni, minacce e percosse fino a giungere
alla sua eliminazione fisica, in odio alla fede.
Come pastori delle Chiese di Sicilia, ispirandoci alla vita
di don Pino, intendiamo rinnovare il nostro impegno per
l’annuncio del Vangelo e la sua incarnazione nella nostra
amata terra che da due millenni ha dato, e continua a dare,
luminosi esempi di fedeltà a Cristo nei suoi figli migliori, tra
cui i tanti martiri, il cui sangue ha fecondato e fatto crescere
molteplici opere di carità e di promozione umana.
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In quest’ottica desideriamo leggere la vita del servo di
Dio don Pino Puglisi. Il suo ministero sacerdotale, attento
all’uomo e fedele al Vangelo, fu modellato sull’esempio di
Cristo, che venne a portare il lieto annuncio della salvezza
e a liberare l’uomo da ogni forma di costrizione fisica e di
condizionamento morale, restituendogli la dignità di persona e di figlio di Dio. Egli cercò di realizzare quest’opera
difficile con privilegiata sollecitudine verso le giovani generazioni, proponendo un cambiamento di mentalità che
ha la sua forza nella potenza salvifica del Vangelo, convinto
che la parola di Gesù umanizza la società.
Essere segno
La sua azione pastorale nella logica dell’incarnazione
si è svolta nella ferialità di una vita «normale», senza compromessi, senza protagonismi, senza vetrine mediatiche, testimoniando nella quotidianità della vita la fedeltà al suo
ministero sacerdotale e l’amore alle persone a lui affidate.
Questo schietto modo di essere di don Pino Puglisi incoraggia tutti noi, vescovi, presbiteri, diaconi, consacrati e
laici, ad attingere alla parola di Dio e all’Eucaristia il sostegno necessario per la nostra missionarietà nella diffusione del regno di Dio e per la promozione dell’uomo.
Nel fare ciò vogliamo valorizzare soprattutto il dialogo
con cui coinvolgere anche quelli che sembrano più refrattari ad aprirsi alla conversione. Questa fu una delle vie perseguite dal nostro Beato. Diceva infatti don Pino in una sua
omelia: «Mi rivolgo ai protagonisti delle inutili intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci,
vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono a
ostacolare chi cerca di educare i vostri figli al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile».
Consapevole che la cultura mafiosa impera là dove ci
sono bisogni primari ancora da soddisfare e che non ci può
essere liberazione senza promozione umana, don Puglisi
scriveva: «C’è nella parrocchia un buon fermento di persone impegnate in un cammino di fede, nel servizio liturgico, catechistico e caritativo, ma i bisogni della popolazione sono molto superiori delle risorse che abbiamo. Vi
sono nell’ambiente molte famiglie povere, anziani malati e
soli, parecchi handicappati mentali e fisici; ragazzi e giovani
disoccupati, senza valori veri, senza un senso della vita; tanti
fanciulli e bambini quasi abbandonati a sé stessi che, evadendo l’obbligo scolastico, sono preda della strada dove imparano devianza, violenza e scippi».
Le sue parole e soprattutto l’esemplarità della sua vita
siano per tutti noi, uomini e donne di Sicilia, credenti o persone di buona volontà, uno stimolo per un rinnovato impegno sociale, civile e spirituale: «Non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati – scriveva ancora
don Pino –. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà,
coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare,
poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho
fatto del mio meglio. Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Un segno per fornire altri
modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire:
dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa,
allora si può fare molto...».
In questo momento, così critico ma carico di aspettative,
possano le nostre Chiese locali e la Sicilia tutta guardare al
presbitero Pino Puglisi, uomo di fede e di preghiera elevato
agli onori degli altari come testimone autentico di Cristo Signore che diffonde su questa nostra terra tribolata una luce
di speranza. Mente tutti paternamente esortiamo a guardare a lui e a imitarne l’audacia della martirya, confermiamo il nostro impegno per l’annuncio del Vangelo e per
un servizio concreto all’uomo del nostro tempo.
Noto, 23 aprile 2013.
I VESCOVI DI SICILIA
Beato tra due papi
A
cui lo stesso Francesco, il giorno successivo al rito, si è riferito al
martire di Brancaccio.
Con queste lettera apostolica, firmata il 10 maggio 2013 e letta il 25
maggio durante il rito di beatificazione dal card. Salvatore De
Giorgi, papa Francesco ha concesso il titolo di «beato» a don Giuseppe Puglisi, dopo che papa Benedetto XVI, il 28 giugno 2012,
aveva autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a decretarne il martirio in odium fidei. Queste invece le espressioni con
«Cari fratelli e sorelle, ieri, a Palermo, è stato proclamato beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi
è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e
così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui
che ha vinto, con Cristo Risorto. Io penso a tanti dolori di uomini e donne,
anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con
tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli,
schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e
queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!».
ccogliendo la domanda del nostro venerabile fratello il cardinale
di santa romana Chiesa Paolo Romeo, arcivescovo metropolita di
Palermo, di molti altri fratelli vescovi e di moltissimi fedeli, ricevuto il parere della Congregazione per le cause dei santi, con la nostra autorità
apostolica, concediamo che il venerabile servo di Dio Giuseppe Puglisi,
presbitero diocesano, martire, pastore secondo il Cuore di Cristo, insigne testimone del suo Regno di giustizia e pace, seminatore evangelico
di perdono e di riconciliazione, sia d’ora in poi chiamato beato e che si
possa celebrare la sua festa ogni anno il 21 ottobre, nei luoghi e nei modi
stabiliti dal diritto. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
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Per Cristo
a tempo pieno
Omelia del card. Romeo
1. Più guardiamo il volto di don Pino Puglisi, svelato solennemente durante il rito di beatificazione, più
sentiamo che il suo sorriso ci unisce tutti. Sorride ancora don Pino, e questo sorriso ci trasmette adesso
anche la gioia soprannaturale della comunione gloriosa
con Dio e con tutti i santi: finalmente possiamo invocarlo beato!
La Chiesa riconosce nella sua vita, sigillata dal martirio in odium fidei, un modello da imitare perché i credenti di tutti i tempi camminino più speditamente verso
quella Gerusalemme celeste che egli già abita.
2. La similitudine di Gesù sintetizza bene tutta la sua
esistenza: «Se il chicco di grano caduto in terra non
muore, rimane solo; se invece muore, produce molto
frutto». Per portare frutto, il chicco di grano deve morire. «Gesù ha portato molto frutto quando è morto»
spiegava il beato Puglisi ad alcuni giovani in ricerca vocazionale, e spiegava loro come rendere feconde le scelte
della vita: «La logica della scelta – diceva – diventa una
logica di impegno ma anche, qualche volta, di sacrificio
che però dà vera gioia… Chi vuole crescere deve accogliere la logica del chicco di frumento».
In ogni sua scelta di discepolo, e nei 33 anni della
sua vita sacerdotale, il beato Puglisi fu «chicco» perché
ogni giorno accolse di morire poco alla volta nel quotidiano spendersi al servizio dei fratelli: in tutti i ministeri confidatigli dal vescovo, il suo fu un donarsi senza
riserve, «per Cristo a tempo pieno» come era solito ribadire.
Dice Gesù: «Chi ama la propria vita la perde». E
don Pino, beato, lo ricorda ai giovani che si sforzano di
costruire il loro futuro, alle famiglie pressate da tante difficoltà, agli ammalati chiamati a offrire la loro sofferenza, a tutti coloro che vogliono impegnarsi in un
cammino di fede che dia autentico sapore alla vita. Solo
se siamo disposti a donarci per amore, a condividere la
vita spezzandola per gli altri, la ritroveremo moltiplicata. Don Pino parla poi in particolare a noi sacerdoti:
non fu mai «prete per mestiere», ma autentico «pastore
secondo il cuore di Gesù», come ha affermato la lettera
apostolica del santo padre.
La mano mafiosa che, quel 15 settembre 1993, lo ha
barbaramente assassinato, ha liberato la vita vera di
questo «chicco di grano» che, nella ferialità della sua
opera di evangelizzazione, moriva ogni giorno per portare frutto. Quella mano assassina ha amplificato oltre lo
spazio e il tempo la sua delicata voce sacerdotale, e lo ha
donato, martire, non solo a Brancaccio, non solo alla Sicilia o alla nostra bella Italia, ma alla Chiesa tutta e al
mondo intero.
Amò i fratelli da padre
FRATEL
MICHAELDAVIDE
3. «Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io,
là sarà anche il mio servitore». Seguire Gesù è servirlo.
E Cristo si serve nei fratelli. Per don Pino questa fu sempre la rotta sicura. La proponeva soprattutto ai giovani,
perché potessero incontrare Gesù nei loro fratelli, in una
«esperienza esistenziale feriale del servizio – diceva –
nelle azioni, anche le più umili e banali».
In questo amore ai fratelli, ci ha detto san Giovanni,
sta l’unica concreta e verificabile risposta dell’uomo all’amore ricevuto da Dio: «Noi amiamo perché Dio ci ha
amati per primo (…). Chi non ama il proprio fratello
che vede, non può amare Dio che non vede».
E il beato Puglisi servì e amò i fratelli da padre: 3P,
Padre Pino Puglisi.
Fu un continuo generare figli e un continuo prendersi cura di loro. Un padre dalle relazioni semplici e
gioiose, caratterizzate da un’accoglienza che non guardava l’orologio, che sapeva di umano e di soprannaturale insieme: chi lo incontrava si sentiva accolto
dall’amico e dal fratello e, poi anche amato da Dio,
Padre di misericordia.
Un padre discreto, nell’accompagnamento e nell’ascolto generoso: ironizzava spesso sulle sue orecchie
grandi. Un padre che provocava all’amore: amava definirsi un «rompiscatole». Soprattutto un padre sempre
in sapiente attesa dei tempi della fede di ciascuno. Questa paternità dovrebbe marchiare a fuoco ogni pastorale ecclesiale!
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Mi appello a voi, uomini della mafia!
L
asciatevi riconciliare con Dio!». Facendo sua l’esortazione paolina il vescovo di Cosenza-Bisignano, mons. Salvatore Nunnari, si è rivolto lo scorso 8 settembre 2012 ai mafiosi con una dura
riflessione pastorale dal titolo «Mi appello a voi, uomini della mafia» (cf. Regno-att. 18,2012,594). In essa ha ricordato più volte la figura di don Puglisi. Ne riportiamo di seguito ampi passaggi
(www.linkiesta.it).
Mi appello a voi, uomini della mafia,
come figlio di questa terra «grande e amara». Ai suoi mali antichi
si sommano le vostre organizzazioni «di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa» (CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, Se non vi
convertirete, perirete tutti allo stesso modo, 2007). Una presenza
che fa pagare alla nostra terra un prezzo alto a livello sociale, economico e religioso.
Siete però minoranza e non rappresentate la storia e la civiltà millenaria dei nostri padri. Come Caino però portate il segno di Dio per non
essere oggetto dell’odio e della vendetta (…). In lui potete riconoscere
il progenitore. Nel suo cuore perverso, che abbatte il fratello Abele per
avere la supremazia e il dominio sulle cose che Dio aveva messo a disposizione di tutti, il vostro cuore.
I segni che vi distinguono sono l’arroganza del potere, la spregiudicatezza del possedere, l’animosità che acceca e annulla i vincoli di sangue e la mancanza assoluta di rispetto per la vita e la dignità umana.
In questo contesto, avere la presunzione di appellarvi a tradizioni
religiose, come spesso fate anche cercando di prendere parte alla preparazione di feste patronali, è semplicemente assurdo. Non c’è nulla nel
Vangelo di Cristo a cui voi mafiosi potete richiamarvi, anzi la vostra stessa
esistenza fatta di violenza e soprusi è una contro testimonianza allo spirito e alla norma etica della parola di Dio. Non è certo la partecipazione,
anzi peggio l’inserimento subdolo nelle pratiche della pietà popolare, che
vi abilita ad appartenere a una Chiesa che purtroppo, soprattutto nel
passato, non sempre è riuscita a discernere i vostri atteggiamenti a tal
punto da cadere in questo imbroglio. Ciò ha permesso ad alcuni della
vostra poco o per nulla onorata società di far parte di comitati per la realizzazione delle feste. Anche per questo alcune di esse hanno ancora
molto dello spirito pagano. (…)
Basta con la strumentalizzazione della devozione alla Madonna e
ai santi (…). Se Cristo è la vita e la verità, il vostro agire vi mette dalla parte
della morte e della menzogna. Se la Chiesa e l’esempio di santità di tanti
uomini colpiti da voi vi indicavano la luce, voi avete scelto consapevolmente le tenebre. Se Dio è tenerezza, amore infinito e compassione per
tutti gli uomini, un insano ed erroneo senso dell’onore arma la vostra
mano contro i fratelli (…). Voi che seminate morte offendete Dio ogni
giorno opponendovi anche a testimoni, che nelle situazioni difficili
delle nostre città e dei nostri piccoli centri vi richiamavano alla conciliazione: don Pino Puglisi è l’ultimo esempio.
La nostra terra
Se il Mezzogiorno e la Calabria vivono in condizioni di arretratezza socio-economica (…), la vostra colpevolezza è immensa. Quando da
organizzazione criminale locale avete occupato gli spazi spesso lasciati
liberi da uno stato, a volte poco attento ai nostri problemi, avete superato
i vecchi canoni e gli stessi confini nazionali diventando una vera e propria forza imprenditrice del male.
Quello che per voi è stato «un salto di qualità», per il Mezzogiorno ha segnato un ulteriore passo indietro (…). Ciò continua a provocare
la fuga degli investimenti. Non si contano le piccole e medie aziende anche di imprenditori del Nord del paese che sono state costrette a chiudere battenti per le richieste di pizzo.
Accanto a questo fenomeno, inoltre, continua inesorabile quello dell’abbandono dei nostri centri da parte dei giovani scoraggiati verso ogni
tipo di attività commerciale e d’impresa. Molte energie vanno altrove dove
trovano terreno fertile per le per realizzare le loro idee, mentre altre (sempre di meno) resistono coraggiosamente, sfidando ogni giorno ostacoli di
ogni tipo. (…)
Lodevole ed efficace l’azione della cosiddetta società civile e della voglia di riscatto dei nostri giovani. Altrettanto importante il lavoro della magistratura e della forze dell’ordine che individuano e confiscano i
vostri beni. (…) Tuttavia, come l’esperienza insegna, non è l’unica strada
da percorrere, anche perché siete diabolicamente capaci di occultare flussi di denaro e investimenti in ogni campo. Nel nostro territorio, ad esempio, collegato con i mercati internazionali del narcotraffico, famiglie mafiose amministrano una parte considerevole di questo criminoso e sempre più preoccupante commercio che (…) spezza la vita di tanti giovani.
La loro morte grida vendetta al cospetto del Dio della vita e dovrebbe
pesare come un macigno sulla vostra coscienza.
Le lacrime di tanti genitori e sposi in questi anni del mio ministero
pastorale hanno reso arduo considerarvi ancora capaci di accogliere l’appello che nasce dal cuore di un padre. Tuttavia, sono un uomo di speranza che nutre fiducia nell’immensa misericordia di Dio, mai stanco di
amore e di incrociare, magari attendendo, l’essere umano sulle vie tortuose della sua esistenza. (…)
Il male non può essere l’assoluto nella vostra vita, aprite perciò il cuore al messaggio eterno del Vangelo che (…) non ha nulla a che fare con
le false devozioni. La Bibbia che spesso tenete tra le mani deve diventare fonte di vera riflessione e di cambiamento radicale. (…) «Lasciatevi
riconciliare con Dio» (2Cor 5,20), è ancora l’esortazione che Paolo rivolge ai cristiani e che è rivolta anche a voi oggi. Se riscoprirete infatti la grazia del battesimo ricevuto potrete rivivere la gioia di essere ancora figli
di Dio redenti dal sangue di suo Figlio. Il martire della fede don Pino Puglisi, vittima del vostro odio e che oggi è certamente intercessore presso il trono di Dio per chiedere il perdono, vi ricorda che «ogni cuore ha
i suoi tempi che neppure noi riusciamo a comprendere. Il Signore bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto aprirà».
Le Chiese meridionali e calabresi vi hanno rivolto da tempo l’invito alla conversione. I vescovi nei loro interventi sono stati chiari. Illuminanti sono i documenti del 1975, L’episcopato calabro contro la mafia,
disonorante piaga della società e quello più recente del 2007, Se non
vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo. (…) Un chiaro invito a cercare, anzitutto dentro di noi, i segni della complicità con il peccato (…).
Un invito che fa eco al grido del beato Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi in Sicilia: «Convertitevi! Un giorno arriverà il giudizio di Dio»
(Regno-doc. 11,1993,332). Sappiate che anche la società sta cambiando, anzi
è già cambiata e dalle rive del mare e dalle cime dei monti già si intravede un’alba nuova. A voi scegliere da che parte stare!
Cosenza, 8 settembre 2012, festa della Madonna del Pilerio.
SALVATORE NUNNARI
arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano
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Servo, pastore, padre, soprattutto nei confronti dei
piccoli, suoi veri prediletti, dei poveri. Padre ferito per la
povertà di tanti figli lontani da Dio. Padre che si lasciò interpellare dai bisogni del territorio, di quella gente affidata
alle sue cure, spesso lontana dalle devozioni e dalle sacrestie, ma ugualmente bisognosa della salvezza di Gesù.
4. Fu soprattutto a Brancaccio che il beato Puglisi
trovò bambini e giovani quotidianamente esposti ad una
«paternità» falsa e meschina, quella della mafia del quartiere, che rubava dignità e dava morte, in cambio di protezione e di sostegno: «È quello – diceva – che la mafia
chiama “onorabilità”. Per questo bisogna unirsi, dare appoggi esterni al bambino, solidarietà, farlo sentire partecipe di un gruppo alternativo a quello familiare».
La sua azione mirò allora a rendere presente un altro
padre: il «Padre nostro». Di «nostro» – egli intendeva
dire – non ci può essere una «cosa» che si impone a tutti
attraverso un «padrino» onnipresente. Di «nostro» c’è
piuttosto Dio «Padre» che ama tutti, che ama dentro e
fuori la Chiesa: riconoscersi suoi figli non ha costi, conseguenze, pericoli.
Il «Centro Padre nostro», realizzato insieme a parrocchiani e benefattori con grande fiducia nella Provvidenza, doveva rendere visibile questa paternità vera.
Così si esprimeva: «La casa di accoglienza, ponendosi come promanazione di quella che è la nostra identità di cristiani, assume la connotazione di un centro
socio-pastorale». Un centro di pastorale parrocchiale e
di servizio sociale insieme che consentisse di vivere –
come diceva – «la missione al servizio della persona
nella sua totalità», indirizzato soprattutto ai poveri, ai
bambini e ai giovani.
Con questa azione di evangelizzazione e promozione
umana, padre Puglisi sottraeva alla mafia del quartiere
consenso, manovalanza, controllo del territorio.
In odio a questa fede compiuta nella carità, che si faceva missione nel territorio, la mafia tanto devota a parole uccise don Pino. Oggi rendiamo grazie al Signore
perché il suo martirio conferma la verità della parola di
Dio: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un
bugiardo». La verità è che i mafiosi, che spesso pure si
dicono e si mostrano credenti, muovono meccanismi di
sopraffazione e di ingiustizia, di rancore e di odio, di
violenza e di morte.
Ben lo mostrano anche quanti, come costruttori di
pace e di giustizia, sono stati ignobilmente eliminati a
motivo di quella stessa giustizia che hanno coraggiosamente servito. I loro nomi formano una lunghissima
lista di cui abbiamo voluto far memoria nel corso della
veglia di preghiera di ieri sera, ma mi sia permesso di
ricordare oggi, tra gli altri, i magistrati Rosario Livatino,
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: come dimenticare
il loro sacrificio? Come dimenticare il loro impegno per
aprire, nella nostra società, un nuovo orizzonte di speranza libero da ogni predominio malavitoso?
Ogni azione assassina dei mafiosi ne rivela la vera
essenza, che nulla ha che vedere con il Vangelo di Cristo, che è vita e pace, amore e giustizia. Per loro, da
parte di tutta la Chiesa, riecheggi ancora il forte grido
del beato Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: «Nel
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nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è Via, Verità e Vita, lo dico ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!».
Missionario del Vangelo
5. «Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede». Questa fede professata con le labbra e compiuta nella carità ha spinto don Pino a perseverare nella
sua azione pastorale anche quando, insieme con i suoi
collaboratori, subiva minacce e intimidazioni: «Ho creduto anche quando dicevo: “Sono troppo infelice”».
Ma la forza della fede del beato Puglisi ha riposato su
un rapporto unico e costante con la parola di Dio. Fu –
come espresse il cardinale Pappalardo – «missionario del
Vangelo», perché si nutrì del rapporto con Gesù Cristo,
Parola incarnata, vero Dio e vero uomo.
Il Vangelo di don Pino non era diverso dal nostro! La
fede di don Pino non era diversa dalla nostra! Il suo martirio non ammonisce solo chi impasta religiosità esteriore
e accondiscendenza al male, ma ci interpella tutti, come
comunità ecclesiale, a vincere ogni forma di male nel
mondo con questa professione di fede, saldamente fondata sulla Parola e compiuta nella carità. Ci chiama alla
missione perché la nostra fede vincerà il mondo solo se
verrà testimoniata, secondo il binomio che, in Puglisi, sintetizzò insieme evangelizzazione e promozione umana.
6. «Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il
suo popolo». Il salmista ringrazia Dio perché lo ha liberato dalla morte, e testimonia la propria fede nell’assemblea dei credenti, perché tutti possano comprendere
quanto ha fatto per lui il Signore.
Anche in don Pino, oggi beato, tutta la Chiesa riconosce quanto il Signore ha operato in lui, e chiede forza
perché questo stesso divino progetto d’amore, di giustizia,
di pace e di santità possa compiersi in ciascuna delle sue
membra vive, redente dall’amore e chiamate all’amore!
Beato martire Giuseppe, il tuo sangue continuerà a
fecondare questa Chiesa! Tu lo desideri! Perché lo desidera il Dio tuo e Dio nostro! Poni, ti preghiamo, come
un pungolo insistente a questa Chiesa che ti ha generato l’esigenza di continuare il suo cammino di fede e di
carità, per testimoniare ovunque e sempre la liberazione del Vangelo, in una costante compromissione
nella storia degli uomini, promuovendo la cultura della
famiglia e della vita e costruendo la civiltà della giustizia e dell’amore.
I sorrisi di questa Chiesa possano intrecciarsi con il
tuo, o beato martire Giuseppe, e siano segno visibile di
quella santità bella che Dio Padre ha preparato per tutti
i suoi figli, e di quel futuro di speranza che questa nostra terra continua a desiderare e fortemente si impegna
a costruire.
Beato martire Giuseppe Puglisi, prega per noi!
Palermo, Foro italico Umberto I, 25 maggio 2013.
PAOLO card. ROMEO,
arcivescovo metropolita di Palermo
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