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Mercoledì 22 gennaio 2014
1512-1516
Roma, tra Giulio II e Leone X: Michelangelo e Sebastiano del Piombo
Elisabetta Bianchi
Negli ultimi mesi del 1512 Michelangelo ha concluso gli affreschi della volta della Sistina, voluti da papa
Giulio II. Per dipingere la volta della Cappella, il Buonarroti era stato costretto, suo malgrado, a interrompere
i lavori al monumento funebre papale, commissionatogli da Giulio II nel 1505. Il 13 maggio 1513,
Michelangelo sottoscrive con gli eredi del papa (morto nel febbraio di quell’anno; gli succede Giovanni de’
Medici, con il nome di Leone X) un nuovo contratto per la sepoltura monumentale. Il progetto, che pure resta
grandioso e che continua a prevedere una selva di sculture di notevoli dimensioni, subisce un drastico
ridimensionamento: da un edificio a sé stante, libero su tutti i lati e dotato di camera funeraria accessibile, si
passa al modello della tomba a parete, di tradizione quattrocentesca. Risale a questi anni l’esecuzione del
Mosè e dei due Prigioni (lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente) del Louvre, destinati alla tomba di Giulio
II (il patriarca biblico avrebbe dovuto occupare uno degli angoli in alto del complesso monumentale, mentre
i due Schiavi il registro più in basso). L’ammirazione dei contemporanei per il potente Mosè è tale che la
scultura, da sola, è ritenuta “bastante a fare onore alla sepoltura di papa Giulio”. Mentre i due Prigioni sono
successivamente scartati dalla sistemazione definitiva del monumento, il Mosè sarà sistemato al centro della
tomba papale, eretta nel 1545 non in San Pietro in Vaticano ma nella chiesa di San Pietro in Vincoli. Più o
meno negli stessi anni, nella bottega romana di Michelangelo, in Macel de’ Corvi (nella zona di piazza
Venezia), si trovava in lavorazione anche la prima versione del Cristo Risorto destinato alla chiesa di Santa
Maria sopra Minerva: una commissione ricevuta da un’importante famiglia romana, i Porcari Vari. Dopo
avere sbozzato e impostato il corpo nudo del Redentore, il Buonarroti deve abbandonare il lavoro, essendo
emersa nel marmo una vistosa vena scura, proprio in corrispondenza del volto di Cristo. Consegnata nel
1521 la seconda versione dell’opera (che è quella che ancora si ammira nella chiesa della Minerva),
Michelangelo si lascia convincere da Metello Vari a cedergli anche la prima prova, per la quale, nel 2000, è
stata avanzata una proposta di identificazione con il Cristo di Resurrezione della chiesa di San Vincenzo a
Bassano Romano (Viterbo). L’amicizia con il pittore Sebastiano Luciani (detto del Piombo dal 1531, anno in
cui è incaricato dell’ufficio della piombatura apostolica) contribuisce ad alleggerire un poco le difficoltà di
questo periodo: un sodalizio di affetti, oltre che di lavoro, che accompagna il Buonarroti per molti anni e che
gli fornisce un valido sostegno nel paragone con Raffaello, che andava contendendo a Michelangelo il
primato sulla scena artistica romana. La Pietà dei Musei Civici di Viterbo è la prima opera di collaborazione
tra Michelangelo e Sebastiano del Piombo. Richiesto a Sebastiano da monsignor Giovanni Botonti per la
chiesa di San Francesco a Viterbo, il dipinto è eseguito su cartone (perduto) del Buonarroti. Si è però
conservato uno studio a sanguigna di Michelangelo, per la figura della Vergine. Nel 1516 il cardinale Giulio
de’ Medici (cugino di Leone X e futuro papa Clemente VII) mette in aperta concorrenza Raffaello e
Sebastiano del Piombo, chiedendo a entrambi di eseguire la pala d’altare per la cattedrale di Narbonne, sua
sede episcopale. Raffaello dipinge la Trasfigurazione; Sebastiano del Piombo la Resurrezione di Lazzaro.
Dietro l’enorme tavola del Luciani c’è ancora Michelangelo, che fornisce all’amico il modello per Lazzaro e
probabilmente anche per la figura del Cristo. Alla morte improvvisa e prematura di Raffaello, nel 1520, i due
dipinti sono esposti l’uno accanto all’altro in Vaticano, suscitando grandi lodi da parte dell’intera corte
papale.
Prossima lezione: mercoledì 29 gennaio 2014
LEZIONE TRASVERSALE
Michelangelo costruttore: pietra e architettura
Vitale Zanchettin
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