461 Attualità Recenti Prog Med 2011; 102: 461-467 Attuali concetti sullo sviluppo dell’insufficienza cardiaca nell’ipertensione Francesca Palano1, Francesco Paneni1, Sebastiano Sciarretta1, Giuliano Tocci1, Massimo Volpe1,2 Riassunto. L’ipertensione arteriosa rappresenta il principale fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari e renali. Numerose e solide evidenze sono disponibili a sostegno dei beneficî derivanti dalla riduzione dei valori pressori in termini di riduzione del rischio di sviluppare infarto del miocardio, ictus cerebrale e morte per cause cardiovascolari. È importante sottolineare, tuttavia, come i pazienti affetti da ipertensione arteriosa abbiano anche un rischio aumentato di sviluppare insufficienza cardiaca, indipendentemente dalla presenza di ipertrofia o disfunzione ventricolare sinistra. È stato, inoltre, dimostrato come il controllo dei valori pressori determini una significativa riduzione del rischio di sviluppare questa complicanza. In particolare, studi di meta-analisi condotti nel corso degli ultimi anni hanno consentito di dimostrare come l’impiego di diuretici o di farmaci in grado di antagonizzare il sistema renina-angiotensina sia maggiormente efficace in termini di prevenzione dello sviluppo di insufficienza cardiaca rispetto a strategie basate su calcio-antagonisti e beta-bloccanti. Nel presente articolo verranno discussi ed analizzati i principali aspetti fisiopatologici coinvolti nella progressione dall’ipertensione arteriosa allo scompenso cardiaco e le possibili strategie terapeutiche in grado di ridurre o prevenire tale progressione. The progression from hypertension to congestive heart failure. Parole chiave. Ipertensione arteriosa, prevenzione cardiovascolare, scompenso cardiaco, terapia antiipertensiva. Key words. Antihypertensive treatment, arterial hypertension, cardiovascular prevention, heart failure. Introduzione I dati del Multiple Risk Factor Intervention Trial (MRFIT) avevano mostrato come il rischio relativo di mortalità cardiovascolare a 12 anni, corretto per età, razza, valori di colesterolemia e presenza di diabete, venisse sensibilmente aumentato da incrementi anche minimi della pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica2. Inoltre, dati più recenti confermano come la sola presenza di ipertensione arteriosa risulti associata ad una riduzione media dell’aspettativa di vita di circa 5 anni, indipendentemente dallo sviluppo delle sue complicanze3. La prevalenza di ipertensione arteriosa nella popolazione adulta risulta pari a circa il 26% e stime recenti prospettano un incremento pari a circa il 60% nel 20254. Nei paesi sviluppati le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la causa più frequente di morbilità e mortalità. A tale riguardo, l’ipertensione arteriosa costituisce senza dubbio un potente predittore di mortalità cardiovascolare nella popolazione generale1. Infatti, il tasso di mortalità attribuibile all’ipertensione arteriosa risulta attualmente pari al 35% con un aumento del 9% registrato solo nell’ultimo decennio. Nell’ambito delle strategie per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e renali, l’ipertensione arteriosa costituisce ancora oggi l’elemento con il più alto rischio attribuibile in termini di morbilità e mortalità. Summary. Arterial hypertension still represents one of the major modifiable risk factors for cardiovascular and renal disease. Solid evidences are available demonstrating the large and significant benefits deriving from blood pressure lowering therapies in terms of reduced incidence of major cardiovascular events, including myocardial infarction, ischemic stroke and cardiovascular death. It should be also noted, however, that hypertensive patients are at increased risk of developing congestive heart failure, being this risk substantially independent by the concomitant presence of left ventricular hypertrophy or dysfunction. Indeed, it has been demonstrated that blood pressure reduction and control significantly reduce the risk of developing congestive heart failure. In particular, several recent meta-analyses have demonstrated that the use of diuretics and renin-angiotensin system blockers is superior to calcium-antagonists and betablockers in terms of prevention of new-onset heart failure. The present paper overviews the main pathophysiological aspects of the progression from arterial hypertension to congestive heart failure and the potential therapeutic interventions able to reduce or prevent this progression. 1Cattedra e Struttura Complessa di Cardiologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Sapienza Università di Roma, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma; 2IRCCS Neuromed, Polo Molisano, Sapienza Università di Roma, Pozzilli (Isernia). Pervenuto il 30 luglio 2011. 462 Recenti Progressi in Medicina, 102 (12), dicembre 2011 La prevalenza di questa patologia nei soggetti anziani (età > 65 anni) è maggiore, ed è in media del 64% negli uomini e del 69% nelle donne; in particolare, nei pazienti che hanno avuto un precedente evento cardiovascolare o cerebrovascolare la prevalenza dell’ipertensione arteriosa è addirittura superiore al 65%. Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco essa raggiunge il 75%1. Per molti anni l’attenzione della comunità scientifica si è focalizzata in modo particolare sulla prevenzione della cardiopatia ischemica e dell’ictus cerebrale, da sempre considerate le complicanze più frequenti e temibili dell’ipertensione arteriosa. Una recente analisi del nostro gruppo ha preso in considerazione un grande numero di studi clinici randomizzati, internazionali, multicentrici, dimostrando come l’incidenza di scompenso cardiaco nei pazienti affetti da ipertensione arteriosa sia del tutto comparabile a quella dell’ictus cerebrale, sottolineando come tali complicanze debbano essere considerate alla pari in termini di prevenzione cardiovascolare5. Nonostante la ormai nota relazione tra ipertensione arteriosa e sviluppo di scompenso cardiaco, le strategie di prevenzione a questo scopo non hanno ancora raggiunto il doveroso stato di priorità. Una prima stima effettuata sulla popolazione di Framingham6 sottolineava come la presenza di ipertensione arteriosa di per sé esponesse ad un rischio di sviluppare insufficienza cardiaca due volte maggiore per gli uomini e tre volte per le donne. Stime più recenti confermano che il rischio di sviluppare scompenso cardiaco è direttamente correlato con i valori pressori, dimostrando come i soggetti con valori di pressione arteriosa al di sopra di 160/90 mmHg presentino un rischio doppio di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto ai soggetti con valori di 140/90 mmHg7. In Europa si stima che circa 14 milioni di persone siano affette da scompenso cardiaco8 ed in Italia ogni anno si registrano circa 170.000 nuovi casi. Circa 100.000 pazienti muoiono annualmente per questa patologia e si prevede che entro il 2020 il totale delle morti raggiunga i nove milioni. Il risvolto economico di questa situazione è altrettanto preoccupante, se consideriamo che lo scompenso cardiaco è responsabile di un elevato numero di ricoveri (circa 500 al giorno) e che la spesa del sistema sanitario nazionale a questo scopo ammonta a più di 600 milioni di euro. Inoltre, il progressivo invecchiamento della popolazione e le nuove terapie farmacologiche e non farmacologiche a disposizione (che hanno consentito una sensibile riduzione della mortalità per patologie acute come l’infarto del miocardio) hanno conferito all’insufficienza cardiaca i caratteri di una malattia cronica ed invalidante, con gravità pari (se non peggiore) rispetto alle patologie tumorali. In base a queste premesse, è di primaria importanza porre attenzione su ciò che è possibile attuare a scopo preventivo nei pazienti ipertesi, in particolar modo nei soggetti ad elevato rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Fisiopatologia del danno cardiaco Comprendere i meccanismi alla base della patogenesi del danno cardiaco nell’ipertensione arteriosa è di basilare importanza, in quanto costituisce il presupposto per intuire i possibili terreni fertili per le strategie di prevenzione. Lo sviluppo del danno cardiaco conseguente allo stato ipertensivo riconosce, infatti, modificazioni sia quantitative che qualitative a diversi livelli, a partire dal sistema nervoso simpatico fino a quello bio-umorale. Queste ultime sono in grado di influenzare la geometria e la meccanica cardiaca, portando ad una progressiva riduzione della funzionalità (sistolica o diastolica) propria dello scompenso cardiaco. La progressione dall’ipertensione arteriosa verso l’insufficienza cardiaca segue un continuum cardiovascolare, che può passare attraverso differenti alterazioni dell’efficienza cardiaca, non necessariamente concomitanti. L’ipertensione arteriosa, attraverso un aumentato stress di parete vascolare, l’infiammazione e la disfunzione endoteliale è, infatti, un noto fattore di rischio per l’aterosclerosi e, di conseguenza, per lo sviluppo di cardiopatia ischemica. Questa, a sua volta, può indurre un rimodellamento maladattativo del ventricolo sinistro, il quale è causa di disfunzione ventricolare sinistra e quindi di insufficienza cardiaca. Alternativamente al meccanismo sopra descritto, si può assistere ad un’evoluzione verso una forma di insufficienza cardiaca con conservata funzione sistolica, derivante da modificazioni di elementi funzionali e strutturali che alterano il rilasciamento ed aumentano la rigidità del miocardio9, dando luogo a disfunzione della fase diastolica. L’aumentato stress di parete dovuto al cronico stimolo pressorio determina, infatti, un “reshape” dei miocardiociti in senso ipertrofico. In aggiunta ai segnali stimolatori da parte di neuromodulatori, citochine e fattori di crescita, esso stimola anche la deposizione di matrice extracellulare, che porta a fibrosi ed a progressiva rigidità del muscolo cardiaco10. Inoltre è stato dimostrato in studi di ecocardiografia che la presenza di disfunzione diastolica nei pazienti affetti da ipertensione arteriosa si associa ad una riduzione subclinica delle proprietà sistoliche del ventricolo sinistro11. Tuttavia, come descritto anni fa da Levy12, un paziente che abbia sviluppato ipertrofia ventricolare sinistra potrà anche virare verso la disfunzione ventricolare sinistra attraverso lo sviluppo di cardiopatia ischemica. La fibrosi e l’ipertrofia dei cardiomiociti, infatti, riducono la riserva coronarica sotto sforzo e possono determinare una disfunzione del microcircolo13, condizione che facilita l’instaurarsi di un danno miocardico anche in assenza di aterosclerosi coronarica emodinamicamente significativa. F. Palano et al.: Attuali concetti sullo sviluppo dell’insufficienza cardiaca nell’ipertensione Quali siano i fattori implicati nell’evoluzione di una cardiopatia ipertensiva verso un fenotipo ipertrofico o verso un fenotipo dilatativo è tuttora oggetto di discussione. È noto da molti anni che la dilatazione ventricolare sinistra è più spesso conseguente ad un sovraccarico di volume, mentre lo sviluppo in senso ipertrofico fa seguito ad un sovraccarico di pressione. Esistono, tuttavia, molteplici evidenze contrastanti nell’applicazione di questo paradigma all’evoluzione della cardiopatia ipertensiva. Dai numerosi studi effettuati nell’arco di decenni sono emersi alcuni fattori che sembrano predisporre ad una forma evolutiva piuttosto che all’altra. I soggetti di razza nera sembrano essere più predisposti all’evoluzione in senso ipertrofico, come gli anziani ed i soggetti con elevati livelli di attività reninica plasmatica14,15. Al contrario, i soggetti obesi o i pazienti con cardiopatia ischemica virano più frequentemente verso una forma di tipo dilatativo16. Determinate alterazioni della matrice extracellulare, con una prevalente ridistribuzione del collagene a livello perivascolare piuttosto che pericellulare, sono state associate all’evoluzione verso una forma di tipo dilatativo17. Dati sperimentali suggeriscono inoltre una stretta relazione temporale tra la presenza di ipertrofia e lo sviluppo della dilatazione della camera ventricolare. In modelli animali di ipertensione sviluppati tramite bendaggio aortico è stato infatti dimostrato che la prevenzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra (tramite il blocco selettivo di alcuni pathway cellulari) protegge dallo sviluppo di dilatazione ventricolare sinistra. Tale ipotesi rimane plausibile in termini fisiopatologici, in quanto l’ipertrofia cardiaca sviluppatasi per normalizzare l’aumento dello stress parietale può esaurire nel tempo l’azione di tipo compensatorio evolvendo nella dilatazione della camera ventricolare sinistra. Tuttavia, le evidenze finora disponibili non consentono di trarre conclusioni univoche sulla storia naturale della cardiopatia ipertensiva, la quale rimane influenzata da numerosi aspetti di tipo demografico, genetico, antropometrico ed emodinamico. Come stratificare il rischio di insufficienza cardiaca nel paziente iperteso? Nonostante l’ottimizzazione della terapia medica e l’ausilio dei nuovi approcci non farmacologici, la mortalità correlata allo scompenso cardiaco è ancora oggi molto elevata, prossima al 50% a 5 anni dalla diagnosi ed ancor più elevata per i pazienti in classe funzionale avanzata (classe New York Health Association - NYHA III-IV) e refrattari alla terapia medica massimale. Considerando che l’ipertensione arteriosa detiene il maggior rischio attribuibile di popolazione per lo sviluppo di scompenso cardiaco, è di primaria importanza attuare strategie preventive, in particolare nei pazienti con ipertensione arteriosa a maggiore rischio di sviluppare insufficienza cardiaca. A tale riguardo, è opportuno ricordare come nella classificazione dello scompenso cardiaco proposta negli ultimi anni dalle linee guida dell’American Heart Association, e confermata nell’ultima edizione del 2009, è possibile notare che il soggetto iperteso senza danno d’organo cardiaco e il paziente con ipertrofia ventricolare sinistra rientrano rispettivamente nelle categorie Stage A e Stage B dello scompenso cardiaco, ovvero devono essere già considerati a rischio, sebbene non vi sia evidenza clinica di insufficienza cardiaca. Tuttavia, è lecito supporre che non tutti i pazienti affetti da ipertensione arteriosa abbiano il medesimo rischio di sviluppare scompenso cardiaco o che tutti i pazienti con valori pressori elevati sviluppino nel tempo insufficienza cardiaca. È opportuno sottolineare quali siano ad oggi gli elementi che individuano i pazienti a rischio elevato. Indubbiamente la presenza di cardiopatia ischemica e diabete mellito individua una fascia di soggetti ad alto rischio. La sola presenza di cardiopatia ischemica comporta, infatti, un rischio di 2-3 volte maggiore e la presenza di diabete mellito un rischio fino a 5 volte maggiore. Inoltre, come dimostrato da numerosi studi negli ultimi anni, la presenza di ipertrofia ventricolare espone il paziente iperteso ad un rischio significativamente più elevato, prevalentemente attraverso il progressivo deterioramento della funzione diastolica, che conduce ad una forma di insufficienza cardiaca con funzione sistolica preservata. In questi soggetti, infatti, la ridotta compliance ventricolare sinistra esaurisce la riserva di precarico per cui, in condizioni emodinamiche di aumentato lavoro cardiaco, si verifica un rapido incremento delle pressioni di riempimento con conseguente congestione polmonare18. I dati del New York Heart Failure Registry riportano che la proporzione di soggetti con scompenso cardiaco e frazione d’eiezione preservata varia tra il 20 e il 50% della totalità dei casi di insufficienza cardiaca e che un’elevata percentuale di questi pazienti (82%) mostra ipertrofia ventricolare sinistra19. Dati interessanti derivano inoltre dal Cardiovascular Health Study, che ha arruolato 2671 pazienti al fine di valutare quali fossero i parametri ecocardiografici maggiormente correlati con lo sviluppo di scompenso cardiaco. Tra i pazienti che svilupparono scompenso cardiaco durante il periodo di osservazione (mediamente 5 anni, la durata media di uno studio clinico di intervento), il 57% aveva una frazione di eiezione normale o borderline20. In questa popolazione, lo studio Doppler transmitralico del rapporto E/A mostrava come i pazienti con E/A < 0,7 e quelli con valore > 1,5 fossero i soggetti a maggior rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Inoltre, nell’ambito degli esami di prima linea, recenti studi suggeriscono che la durata del QRS possa costituire elemento rilevante per la stima del rischio di sviluppo di insufficienza cardiaca. 463 464 Recenti Progressi in Medicina, 102 (12), dicembre 2011 Le alterazioni elettrocardiografiche sono, infatti, altamente specifiche nel rivelare gli adattamenti del cuore al sovraccarico pressorio, in particolar modo lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra. Una recente analisi dello studio Losartan Intervention For End-point reduction in hypertension (LIFE) ha, infatti, valutato la relazione tra durata del QRS ed incidenza di scompenso cardiaco in 8945 pazienti con ipertensione arteriosa ed evidenza elettrocardiografica di ipertrofia ventricolare sinistra. Durante un periodo di osservazione medio di 4 anni e mezzo, i pazienti con durata del QRS ≥110 msec mostravano un rischio di sviluppare scompenso cardiaco aumentato del 102% rispetto a quelli con QRS di durata inferiore, indipendentemente dalla presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, dai valori pressori e da altri fattori di rischio per scompenso cardiaco21. Un recente studio ha inoltre dimostrato come i pazienti con ipertensione arteriosa ed elevati valori ematici di troponina T (>0,02 ng/ml ) siano esposti ad un maggior rischio di eventi cardiovascolari, tra cui lo sviluppo di scompenso cardiaco (33% vs 6%)22. Da non trascurare è l’attenzione al profilo metabolico dei pazienti ipertesi. È noto, infatti, come l’obesità porti ad un aumento della massa fluida circolante con aumento cronico del lavoro cardiaco e conseguente aumentato rischio di sviluppare disfunzione ventricolare sinistra, in modo particolare se tale condizione si trova associata ad altri fattori di rischio cardiovascolare. Un recente studio, che ha seguito più di 20.000 soggetti per circa 22 anni, ha esaminato l’impatto di un stile di vita salubre sul rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Tale stile di vita comprendeva l’astensione dal fumo, la pratica di esercizio fisico ≥ 5 volte/settimana, un consumo moderato di alcol (1 bicchiere di vino/giorno) ed una colazione a base di cereali e consumo di frutta e verdura. Veniva assegnato un punteggio da 0 a 4 in base alla presenza o meno di tali fattori. In prima analisi lo studio ha confermato come i pazienti affetti da ipertensione arteriosa fossero a maggior rischio di sviluppare scompenso cardiaco (9% vs 4%). Inoltre, la prevalenza di ipertensione arteriosa risultava più elevata nei pazienti con un punteggio compreso tra 0 e 2 rispetto ai soggetti con punteggio > 2. Dall’analisi emergeva, inoltre, che nell’ambito dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa la presenza di un punteggio pari a 0 correlava con un rischio quoad vitam di scompenso cardiaco molto più elevato rispetto ai pazienti con un punteggio di 3 (20% vs 12%), ad enfatizzare l’importanza delle modificazioni dello stile di vita come obiettivo rilevante in una gestione integrata del profilo di rischio del paziente iperteso23. Intuitivamente, la stratificazione del rischio di insufficienza cardiaca nel paziente con ipertensione arteriosa rimane di facile attuazione nei pazienti che abbiano multipli fattori di rischio o che abbiano già avuto un evento cardiovascolare. Il giudizio unanime delle linee guida su questi soggetti propone un atteggiamento aggressivo in termini terapeutici, soprattutto rivolto alla gestione integrata delle patologie concomitanti, in primo luogo del diabete mellito, dell’insufficienza renale e dei disturbi metabolici. È di primaria importanza, quindi, porre l’attenzione su quella fascia di ipertesi che ancora non abbiano avuto l’esordio clinico della malattia cardiovascolare, in modo da delineare una vera strategia di prevenzione primaria dello scompenso cardiaco. Quali strategie preventive? Malgrado le solide evidenze sul ruolo dell’ipertensione come fattore predisponente per lo sviluppo di scompenso cardiaco, sul piano della prevenzione cardiovascolare tale obiettivo è tuttora considerato di minore importanza rispetto alla cardiopatia ischemica e all’ictus cerebrale. I maggiori studi clinici di intervento condotti nel corso degli ultimi anni hanno, infatti, apportato robusti risultati concernenti l’importanza del controllo pressorio nella prevenzione della coronaropatia e dell’ictus cerebrale, sottolineando come il raggiungimento degli obiettivi pressori raccomandati produca importanti beneficî in termini di riduzione di tali eventi e della morte per cause cardiovascolari24. Una recente meta-analisi di studi clinici, condotta dal nostro gruppo, ha rivelato come, in realtà, nella popolazione di pazienti affetti da ipertensione arteriosa l’incidenza di scompenso cardiaco sia comparabile a quella dell’ictus5 (figura 1 alla pagina seguente), suggerendo, pertanto, di non sottovalutare tale rischio nella gestione clinica dell’ipertensione arteriosa. Considerando, tuttavia, l’insufficienza cardiaca come il termine comune di molteplici condizioni patologiche, una corretta strategia preventiva richiede spesso un intervento più complesso, che vada oltre il semplice raggiungimento dei valori pressori raccomandati. Sebbene numericamente in minoranza, gli studi clinici attualmente disponibili a tale riguardo sottolineano l’importanza del controllo pressorio nel ridurre l’incidenza di scompenso cardiaco. Un’efficace terapia antipertensiva ha infatti dimostrato di ridurre l’incidenza di nuovo scompenso fino al 55%, rispetto al placebo25,26. Nel 2003 l’analisi del Blood Pressure Lowering Treatment Trialists’ Collaboration riassumeva i dati di 28 studi clinici randomizzati con l’intento di verificare l’influenza di differenti strategie antipertensive sull’incidenza di eventi cardiovascolari (ictus cerebrale, coronaropatia, scompenso cardiaco, morte per cause cardiovascolari, mortalità totale). Tale analisi rivelò una sostanziale equivalenza delle diverse classi di farmaci, dimostrando tuttavia come il trattamento con diuretici, calcio-antagonisti e betabloccanti risultasse tendenzialmente più efficace nel prevenire la progressione verso lo scompenso cardiaco27. F. Palano et al.: Attuali concetti sullo sviluppo dell’insufficienza cardiaca nell’ipertensione Prevalenza di eventi cardiovascolari (%) Diversi studi hanno operato analisi di confronto tra le varie classi di farmaci <0.01 50 antipertensivi al fine di 45 41,1 identificare quale fosse 40 quella più efficace nel preNS venire lo scompenso car35 30,0 28,9 diaco. 30 Nell’ultimo decennio, 25 l’introduzione dei farmaci 20 che interferiscono con il sistema renina-angiotensina 15 ha rafforzato ancor più il bi10 sogno di chiarezza su tale 5 argomento. Sia i farmaci inibitori dell’enzima di con0 versione dell’angiotensina Coronaropatia Ictus Insufficienza cardiaca (ACE) sia gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina Figura 1. Incidenza dell’insufficienza cardiaca in 23 studi clinici controllati su pazienti ipertesi (o sartani) hanno, infatti, (1997-2007). dimostrato di produrre imPazienti ipertesi a diverso rischio cardiovascolare n. 193.424; eventi cardiovascolari maggiori – comportanti effetti benefici su 5 presi infarto miocardico, ictus e insufficienza cardiaca – n. 24.837. Modificata da . numerosi endpoint cardiovascolari e molti studi clinici hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche Tale analisi sottolineava, in particolare, la di efficacia che superano il semplice ottenimento stretta relazione esistente tra la riduzione dei vadel controllo pressorio. lori pressori ed il beneficio in termini di prevenzione delle malattie cardiovascolari, tra cui anche Considerato il forte significato prognostico dello scompenso cardiaco. l’ipertrofia ventricolare sinistra, diversi studi clinici hanno, inoltre, preso in esame le diverse clasNonostante tali evidenze, i risultati nella posi di antipertensivi nei confronti della riduzione polazione generale sono ancora deludenti, in della massa ventricolare sinistra, con risultati quanto, mediamente, la percentuale di pazienti contrastanti tra i vari studi. Una meta-analisi ha in terapia che raggiunge (e mantiene) gli obietriassunto i dati derivanti da 80 studi clinici rantivi pressori raccomandati non raggiunge il 50%. domizzati riguardanti la riduzione della massa Dati derivanti dallo studio NHANES dimostraventricolare sinistra a seguito del trattamento anno che solo il 51% degli uomini e il 37% delle tipertensivo ed ha mostrato una sostanziale supedonne ottiene valori ottimali di pressione arteriorità degli antagonisti recettoriali dell’angiotenriosa, nonostante nel tempo si sia registrato un sina, degli ACE-inibitori e dei calcio-antagonisti aumento del livello di consapevolezza della perrispetto alle altre classi di farmaci31. La riduzione 28 centuale dei pazienti trattati . Nello studio di dell’ipertrofia ventricolare sinistra resta, infatti, un valido endpoint intermedio da perseguire, esFramingham solo il 48% dei pazienti arruolati ha raggiunto valori di pressione arteriosa infesendo strettamente correlato con un miglioramento dell’outcome cardiovascolare. Tuttavia, non riori a 140/90 mmHg, con percentuali ancora inferiori (meno del 40%) nei pazienti con età > 75 è ancora noto se tale intervento si traduca specifianni. Nei paesi europei la percentuale di paziencamente in una riduzione dell’incidenza di scomti ipertesi che raggiunge valori pressori <140/90 penso cardiaco. mmHg risulta essere meno del 10%29. Un’analiAl fine di valutare l’influenza delle diverse classi di alcuni studi clinici condotti sul territorio si di farmaci antipertensivi sull’incidenza di insufitaliano mostra come meno della metà dei sogficienza cardiaca, il nostro gruppo ha recentemengetti trattati (46%) raggiunga i target di preste condotto una network meta-analisi di 26 grandi sione arteriosa diastolica, e che solo il 17% ragtrial clinici che hanno paragonato l’efficacia delle giunga valori ottimali di pressione arteriosa sia differenti classi di farmaci sulla prevenzione degli sistolica che diastolica30. Inoltre, la presenza di eventi cardiovascolari maggiori. Tramite un apmolteplici fattori di rischio rende ancor più proproccio di tipo Bayesiano, la network meta-analisi blematico raggiungere un efficace controllo dei è in grado di operare confronti tra classi di farmavalori pressori. Ad esempio, nello studio NHAci che non siano mai state realmente comparate alNES la coesistenza di diabete mellito riduceva l’interno di uno studio clinico randomizzato e perdrammaticamente la percentuale dei pazienti tanto consente di ottenere informazioni aggiuntive, che raggiungevano un controllo pressorio ottisebbene con le dovute limitazioni della tecnica memale (25%). ta-analitica. 465 Recenti Progressi in Medicina, 102 (12), dicembre 2011 I risultati dell’analisi hanno mostrato come tutte Inibitori le classi di farmaci antidel sistema ACE renina Terapia CalcioBetaAlfapertensivi, ad eccezione deDiuretici Inibitori angiotensina convenzionale antagonisti bloccanti bloccanti Placebo gli alfa-bloccanti, siano più 5 1,2 0 efficaci del placebo nel ri0 durre l’incidenza di scom-5 penso cardiaco, come indicato in precedenti studi. -10 Tra le varie classi, i diure-15 -13 tici ed i bloccanti del siste-20 -17 ma renina-angiotensina -25 hanno mostrato una signi-23 -24 ficativa riduzione dei nuo-30 -29 vi casi di scompenso car-35 32 diaco (figura 2). Tali ri-40 sultati non sembrano esse-41 re influenzati dalle minime -45 differenze di valori pressori tra i bracci di trattamenFigura 2. Risultati di una network meta-analisi di 26 trial clinici che hanno paragonato l’efficacia di to esistenti al termine del differenti classi di farmaci antipertensivi sulla prevenzione degli eventi cardiovascolari maggiori. periodo di osservazione, Periodo osservazionale: 1997-2009; numero degli studi: 26; pazienti a diverso profilo di rischio carsuggerendo in tal modo che diovascolare n. 223.313; eventi cardiovascolari maggiori – compresi infarto miocardico, ictus e inla riduzione dell’incidenza sufficienza cardiaca – n. 37.964. Modificata da32. di scompenso cardiaco non debba essere esclusivamente attribuita alla riduzione della pressione arteriosa, ma anche alBibliografia l’azione dei suddetti farmaci sull’equilibrio emo1. Heart disease and stroke statistics 2011 update: a redinamico, sul sistema neurormonale circolante e port from the American Heart Association Hoffman tessutale e sulla protezione del danno d’organo JI. Maximal coronary flow and the concept of coroipertensione-mediato. nary vascular reserve. Circulation 1984 70, 153-159. Possiamo, pertanto, affermare che tali classi di 2. Domanski M, Mitchell G, Pfeffer M, et al.; MRFIT farmaci siano da preferire come terapia antiperResearch Group. Pulse pressure and cardiovascular tensiva di prima linea per la prevenzione dello disease-related mortality: follow-up study of the scompenso cardiaco, tenendo conto in ogni modo Multiple Risk Factor Intervention Trial (MRFIT). JAMA 2002; 287: 2677-83. che i risultati dell’analisi vengono influenzati dal3. Franco OH, Peeters A, Bonneux L, de Laet C. Blood la numerosità degli studi clinici disponibili per pressure in adulthood and life expectancy with carogni classe di farmaco e che tali evidenze andrandiovascular disease in men and women: life course no validate periodicamente con i più recenti studi analysis. Hypertension 2005; 46: 280-6. disponibili. 4. Kearney PM, Whelton M, Reynolds Ki, Muntner P, RRR (95% CI) 466 Conclusioni 5. Sebbene la prevenzione dell’insufficienza cardiaca nel paziente iperteso rimanga ancora oggi un obiettivo sottovalutato e privo di chiare raccomandazioni da parte della comunità scientifica internazionale, disponiamo, tuttavia, di molti elementi utili al fine di stratificare tale rischio nel singolo paziente, molti dei quali identificabili in esami di prima linea come gli esami ematochimici, l’elettrocardiogramma o la valutazione della funzione diastolica all’ecocardiogramma. Ai fini terapeutici è da sottolineare l’importanza del controllo pressorio, rispettando le attuali raccomandazioni internazionali, purché tale strategia sia integrata con la gestione delle differenti comorbilità e dalla considerazione dell’eventuale sviluppo di danno d’organo, al fine di operare una scelta ponderata riguardo la classe di farmaci da utilizzare. 6. 7. 8. 9. 10. Whelton PK, He Jiang. Global burden of hypertension: analysis of worldwide data. Lancet 2005; 365: 217-23. Tocci G, Sciarretta S, Volpe M. Development of heart failure in recent hypertension trials. J Hypertens 2008; 26: 1477-86. Levy D, Larson MG, Vasan RS, Kannel WB, Ho KK. The progression from hypertension to congestive heart failure. JAMA 1996; 275: 1557-62. Lloyd-Jones DM, Larson MG, Leip EP, et al.; Framingham Heart Study. Lifetime risk for developing congestive heart failure: the Framingham Heart Study. Circulation 2002; 106: 3068-72. 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