SPEECH/03/509 Romano Prodi Presidente della Commissione europea L’euro, la strategia per l’innovazione dell’UE e l’allargamento dell’Unione europea Economic Club of New York New York, 3 novembre 2003 Signore e Signori, Sono particolarmente felice di rivolgermi a questa platea di eminenti operatori del mondo finanziario ed imprenditoriale. Questa sera voglio soffermarmi sull’economia. Non soltanto perché la materia vi sta - e mi sta - particolarmente a cuore, ma anche perché, come forse saprete, sono stato professore di economia industriale per 25 anni prima di diventare presidente del Consiglio italiano e più tardi presidente della Commissione europea. Quindi, in un certo senso, parlare di economia mi riporta indietro negli anni. In questa occasione, desidero concentrarmi su tre argomenti che hanno avuto e continueranno ad avere grande impatto sull’economia dell’UE, sul futuro delle relazione transatlantiche ed anche sulla nostra vita professionale: l’euro, la strategia dell’UE per l’innovazione nel prossimo decennio e l’imminente allargamento dell’Unione europea a 10 nuovi Stati membri. L’euro Una moneta unica è stata da lungo tempo il sogno di molti Europei -- un sogno cominciato oltre 50 anni fa, al termine della guerra che ebbe inizio in Europa, si diffuse in tutto il mondo e lasciò il nostro continente in uno stato di devastazione. Dalle follie del nazionalismo e del protezionismo che avevano condotto alla guerra si fece strada una nuova determinazione. Gli statisti europei decisero di assicurare il progresso economico e sociale dei loro paesi eliminando le barriere che dividevano il continente. La stessa determinazione di coordinare gli sforzi degli Stati membri nella ricostruzione delle loro economie e delle loro società -- anche grazie al Piano Marshall -- ha portato infine all’istituzione della Comunità europea nel 1958. L’ideale ispiratore era semplice, quanto potente: “pace attraverso la prosperità”. Gli Europei erano fortemente convinti che la prosperità potesse realizzarsi tramite gli scambi tra gli Stati membri. Tuttavia, l’eliminazione delle barriere al commercio non è mai stata considerata una condizione sufficiente per incrementare gli scambi e creare un autentico mercato comune in Europa. Molti hanno sempre ritenuto che anche la stabilità dei tassi di cambio fosse un requisito importante per l’espansione commerciale. Dal 1944 i tassi di cambio erano rimasti piuttosto stabili in Europa ed in altre parti del mondo grazie agli accordi di Bretton Woods. Assieme alla liberalizzazione del commercio, tale situazione ha permesso una rapida espansione del commercio in Europa ed altrove. Fintantoché il sistema di Bretton Woods ha funzionato bene, non si è avvertita la necessità dell’unificazione monetaria in Europa. Tuttavia, alla fine degli anni ‘60, quando il sistema di Bretton Woods cominciò a mostrare le prime crepe, l’idea dell’unione monetaria si rifece strada in Europa. Nel 1971, il sistema sorto dalla conferenza di Bretton Woods crollò e, nel 1978, i governi della CE convenirono di istituire un sistema monetario europeo allo scopo di instaurare una “zona di stabilità monetaria”. In effetti, il Sistema monetario europeo era una specie di sistema di Bretton Woods in scala minore. Il tasso di cambio del franco francese, della lira italiana e di altre valute europee partecipanti al sistema fu fissato essenzialmente in rapporto al marco tedesco, che fluttuava nei confronti del dollaro USA, dello yen e di altre monete mondiali. 2 Tale sistema funzionò a meraviglia per quasi tutti gli anni ‘80, nonostante alcuni gravi periodi di crisi dell’economia europea. Ad ogni modo, quando i diversi mercati nazionali dei beni, dei servizi, dei capitali e della manodopera cominciarono ad integrarsi nel mercato unico nel 1986, il Sistema monetario europeo divenne insostenibile. Infatti, come molti economisti capirono ben presto, l'Europa non poteva avere, allo stesso tempo, tassi di cambio stabili, la libera circolazione dei capitali e politiche monetarie indipendenti. Con la stretta integrazione dei mercati europei dei beni e dei servizi e la piena liberalizzazione dei movimenti dei capitali, non era semplicemente più possibile accettare ampie fluttuazioni dei tassi di cambio. Mantenere la libera circolazione dei capitali richiedeva pertanto una politica monetaria comune. In termini semplici: un mercato unico europeo richiedeva una moneta unica europea stabile. Il programma che avrebbe permesso all'Europa di arrivare ad una moneta unica europea -- il nome “euro” fu deciso soltanto nel dicembre 1995 -- fu tracciato dal trattato di Maastricht del 1992. Tale tracciato era inteso a garantire stabilità di prezzi e finanze pubbliche sane in tutti i paesi dell'Unione che partecipavano all'euro. Dall’entrata in vigore del trattato di Maastricht, la stabilità dei prezzi è costantemente migliorata ed i livelli di inflazione e dei tassi d’interesse sono ora giunti ai minimi storici. Anche le finanze pubbliche hanno registrato considerevoli progressi e la “cultura della stabilità fiscale” è diventata una componente intrinseca dell'economia dell'UE. Il 1° gennaio 1999, 11 paesi dell’UE hanno fissato permanentemente i loro tassi di cambio bilaterali e l'euro è diventato la moneta ufficiale di tali paesi. Il 1º gennaio 2002 il sogno è diventato finalmente realtà e le monete e le banconote in euro sono entrate nelle tasche di 300 milioni di Europei residenti in dodici diversi paesi dell’UE. In un paio d'anni soltanto, l'euro si è imposto sui mercati finanziari mondiali come la seconda moneta più importante dopo il dollaro statunitense. A seguito dell'introduzione della moneta unica, si è registrata una crescita vertiginosa delle emissioni di obbligazioni e di effetti denominati in euro. Alla fine del 1998, le obbligazioni e gli effetti denominati nelle valute esistenti prima dell'euro rappresentavano appena il 28% delle emissioni a livello mondiale, rispetto a una percentuale di obbligazioni ed effetti denominati in dollari statunitensi pari al 45%. Verso la metà del 2003, il divario tra il dollaro e l'euro in questo settore era diventato relativamente modesto: la quota delle emissione in dollari era scesa al 43% mentre la percentuale rappresentata dall'euro era salita al 41%. Sviluppi persino più spettacolari si sono registrati sul mercato monetario. Alla fine del 1998, gli strumenti del mercato monetario denominati nelle valute esistenti prima dell'euro rappresentavano appena il 17% delle emissioni a livello mondiale, rispetto a una percentuale del 58% per gli strumenti denominati in dollari statunitensi. Entro la metà del 2003, la percentuale di emissioni in dollari era scesa al 30%, mentre la quota di emissioni in euro era salita al 46%. Nel complesso, quindi, si è osservato un incremento straordinario delle emissioni obbligazionarie denominate in euro in un lasso di tempo molto breve. La stessa fiducia nell'euro è anche riscontrabile nel settore pubblico, e l’euro viene già ampiamente utilizzato come valuta di ancoraggio o di riferimento dei regimi di cambio dei paesi che non fanno parte dell'Unione europea. Più di 50 paesi dispongono di un regime di cambio con un riferimento all'euro, talvolta in associazione con altre valute di riserva. 3 I regimi adottati dai paesi terzi, situati principalmente in Europa ed in Africa, variano dai cosiddetti currency board ai regimi di fluttuazione gestita. I principali fattori che motivano la scelta dell'euro come valuta di ancoraggio o di riferimento da parte di paesi terzi sono gli ampi legami commerciali e finanziari con l’area economica dell'euro. In qualità di valuta di riserva, l'euro rappresentava nel 2002 quasi il 15% delle riserve mondiali ufficiali. È evidente che la moneta unica ricopre tuttora un ruolo secondario rispetto al dollaro statunitense, la cui percentuale nello stesso periodo era pari al 65%. Il fatto che la stessa Banca centrale europea detenga ampi quantitativi di dollari contribuisce al ruolo dominante della moneta statunitense quale valuta ufficiale di riserva. Personalmente, mi sembra piuttosto chiaro che il sostenuto rafforzamento dell'euro negli ultimi 18 mesi è il riflesso, tra l'altro, della fiducia che gli operatori privati e pubblici pongono nella moneta europea. Crescita, riforme economiche e strategia dell’UE per l'innovazione Benché l'Europa goda attualmente di un'invidiabile stabilità grazie all'euro, esistono settori in cui l'Unione non ha compiuto progressi in misura corrispondente al successo dell'euro. Il principale di tali settori è quello della crescita economica. L'Europa non può essere soddisfatta della crescita che ha registrato negli ultimi anni e deve incrementare la sua crescita potenziale negli anni a venire. La convergenza del reddito pro capite rispetto agli Stati Uniti si è fermata nel 1970. Da allora, il livello del reddito pro capite nell’UE si è attestato al 70% circa di quello statunitense. Nella prima metà degli anni ‘90, la ristrutturazione ha portato ad una pesante perdita di posti di lavoro e ad un forte incremento di produttività nonostante una modesta crescita generale. Nella reazione innescatasi nella seconda metà del decennio il forte aumento dell'occupazione è stato conseguito a detrimento della maggiore produttività del lavoro. Nel frattempo, sull’onda di una riuscita transizione verso l'economia basata sulle conoscenze, gli Stati Uniti hanno registrato negli anni ‘90 un tasso di crescita superiore ai precedenti due decenni. L'offerta di manodopera negli USA è aumentata considerevolmente sia per ragioni demografiche sia grazie a più elevati tassi di partecipazione. Ma la crescita degli USA è stata anche stimolata da un forte aumento della produttività del lavoro. Per la prima volta in 30 anni, la crescita statunitense sotto quest’aspetto ha sorpassato quella dell’UE, una performance straordinaria per un paese che si trova al limite più avanzato della frontiera delle possibilità di produzione. Avverto nella bassa crescita economica dell’UE il sintomo di un malessere economico ed il segnale della necessità di riforme strutturali. In occasione del Consiglio europeo di primavera del marzo 2000 i capi di Stato e di governo dell’UE hanno stabilito un obiettivo per l'Europa: incrementare la competitività ed il dinamismo economico con l'integrazione delle conoscenze e dell'innovazione, pur assicurando la sostenibilità ambientale e sociale a lungo termine. Tale obiettivo richiedeva di sostenere il quadro macroeconomico dell’UE con una strategia coordinata di riforme micro-economiche e sociali e con un monitoraggio regolare della loro effettiva attuazione. 4 La finalità della citata strategia di riforme micro-economiche e sociali consiste nel migliorare il funzionamento dei mercati -- di tutti mercati -- incrementando in tal modo la flessibilità dell'economia della zona dell'euro e aumentandone, di conseguenza, il potenziale di crescita e riducendo la disoccupazione strutturale. Dopo tre anni di crescita deludente, l'economia dell’UE mostra ora segnali di recupero. Confidiamo che tale tendenza sarà confermata nel 2004 e nel 2005, anno in cui ci auguriamo che l’UE sarà nuovamente in grado di conseguire pienamente il suo potenziale di crescita economica. I progressi nelle riforme strutturali rientrano tra i principali fattori che sostengono tale prospettiva positiva. La strategia dell'Unione per l'innovazione - il secondo tema del mio intervento di oggi - è una componente essenziale della strategia per le riforme strutturali. La strategia dell'innovazione dell’UE comprende un'ampia gamma di misure. Mi soffermerò dapprima sul lato dell'offerta di innovazione -- la creazione di conoscenza -- per passare successivamente al lato della domanda di innovazione -la commerciabilità di prodotti innovativi. Creare conoscenza significa investire in primo luogo sul capitale umano. La conoscenza è la chiave dell'innovazione. L'Europa investe attualmente nella ricerca e sviluppo meno degli Stati Uniti. Nel 1999, gli USA hanno destinato complessivamente alla R&S il 2,6% del PIL nazionale, tasso superiore di oltre un terzo alle spese sostenute dall’UE nello stesso settore. Negli Stati Uniti il settore pubblico ha contribuito per un quinto dell’aumento delle spese di R&S tra il 1996 ed il 2000. In Europa, i bilanci destinati alla ricerca pubblica sono diminuiti. Per questo motivo i capi di Stato e di governo dell’UE si sono prefissati l'obiettivo di aumentare gli investimenti europei per la R&S, portandoli entro il 2010 al 3% del PIL, e due terzi dei quali dovrebbero provenire dal settore privato. Lo sviluppo di nuove idee e la ricerca di frontiera traggono il massimo vantaggio dalla concentrazione delle attività di ricerca. Tutti noi beneficeremmo di una situazione in cui i molti scienziati di prim’ordine che lavorano nell'Unione potessero condurre le loro ricerche in “centri di eccellenza” europei. Attualmente, l’assegnazione dei fondi pubblici nazionali per le scienze è tuttora in gran parte determinata dai confini nazionali. Dobbiamo instaurare un autentico spazio europeo della ricerca. Ma possiamo fare anche di più. Potremmo immaginare di istituire una “Agenzia europea per la ricerca”. Un buon esempio in proposito ci viene dalla National Science Foundation degli USA. Le istituzioni dell’UE possono e debbono fare la loro parte per mobilitare le risorse finanziarie disponibili allo scopo di promuovere la crescita e l'innovazione. Ciò può avvenire sia attraverso il bilancio centrale dell’UE sia attraverso prestiti gestiti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Alla Commissione, abbiamo avviato un dibattito sul futuro quadro finanziario del bilancio centrale dell’UE. A nostro avviso il bilancio dell’UE deve rispecchiare meglio le sue priorità -- ad esempio investire di più nella R&S e nell'istruzione -- che i capi di Stato e di governo dell’UE si sono impegnati a realizzare. La Commissione ritiene inoltre che l’affluenza di risparmi ed il top rating dei prestiti BEI dovrebbero essere utilizzati meglio per assicurare la redditività finanziaria degli investimenti orizzontali a lungo termine. In effetti la BEI ha concesso considerevoli prestiti negli ultimi anni a favore delle attività di istruzione e di formazione. 5 Ma tutto questo non è ancora abbastanza. Dobbiamo assicurarci che le imprese europee siano disposte a cogliere le opportunità offerte da una manodopera qualificata. Dobbiamo assicurare che gli imprenditori siano disposti a trasformare la creatività dei ricercatori in eccellenti opportunità di investimento -- cioè in prodotti innovativi e commerciabili. In sintesi, dobbiamo assicurarci che ci sia una domanda di innovazione e che il mercato riceva i giusti incentivi per fornire il finanziamento necessario all'innovazione. Soltanto così la crescita di produttività si tradurrà in crescita occupazionale. Vorrei ora illustrare alcuni esempi delle nostre politiche relative al lato della domanda di idee innovative. In primo luogo, il settore del capitale di rischio nell'Unione sta crescendo. Il divario con gli Stati Uniti sotto questo aspetto è tuttora ampio, ma sta diminuendo. In Europa gli investimenti in capitale di rischio nel 2002 sono stati pari allo 0,1% del PIL, percentuale che negli USA era pari al doppio, ossia dello 0,2%. Tre anni prima, tuttavia, negli USA la quota di capitale di rischio rispetto al PIL era quattro volte superiore alla quota europea. Nell'Unione europea possiamo sostenere il settore del capitale di rischio con alcune misure legislative. Ad esempio, i capi di Stato e di governo hanno invitato la Commissione ad analizzare gli ostacoli che impediscono ai fondi pensione di investire nel mercato del capitale di rischio. In secondo luogo, gli investitori privati in imprese non quotate sono disposti a fornire più capitali se dispongono di buone opportunità di “uscita”. Come saprete, i mercati borsistici europei destinati alle imprese a forte espansione sono più piccoli (e più giovani) della controparte USA, ma spero che a seguito della riorganizzazione di alcune borse europee i valori mobiliari quotati in borsa diverranno uno strumento accettato ed affidabile per finanziare le imprese emergenti in Europa. Inoltre, l’UE ha aggiornato e unificato le sue norme sui prospetti. Ciò faciliterà l'uscita del capitale di rischio. L'approvazione da parte di una singola autorità di regolamentazione in un unico Stato membro sarà ora sufficiente ad immettere valori sul mercato a dimensione europea. Abbiamo denominato tali obblighi iniziali di informazione il “passaporto unico per gli emittenti”. Terzo, la distribuzione operata dal mercato dei fondi ai progetti ad alta crescita non avviene, naturalmente, soltanto attraverso il capitale di rischio e le IPO (Offerte pubbliche iniziali). I mercati finanziari che funzionano correttamente convogliano in genere i fondi verso il loro uso più produttivo e sono pertanto fondamentali ai fini della nostra performance di crescita economica. Superare la frammentazione del mercato dei capitali in Europa rimane una priorità al fine di diminuire il costo del capitale per le imprese europee. Un recente studio condotto per la Commissione europea ha calcolato che, nel lungo periodo, un mercato europeo integrato dei capitali potrebbe innalzare dell’1,1% il livello del PIL nell’UE. Ma l'integrazione dei mercati dei capitali costituisce un enorme compito legislativo e regolamentare. Gli Stati Uniti sono formati da 50 Stati, ciascuno dei quali ha competenza ad adottare le leggi sui valori mobiliari e sulle società. Ma tali Stati hanno tutti la medesima tradizione giuridica e le leggi sono scritte nella stessa lingua. 6 In Europa abbiamo 15 diversi ordinamenti giuridici e undici lingue -- che diverranno ben presto 25 sistemi giuridici in 20 lingue -- e le nostre tradizioni giuridiche sono molto diverse. Naturalmente, tutto ciò si riflette nei diversi sistemi finanziari dell’Europa. La strategia della Commissione non può consistere nella piena unificazione dell'ambiente giuridico e regolamentare dei mercati finanziari in Europa. Piuttosto, essa mira a promuovere la concorrenza al di là dei confini nazionali, consentendo agli investitori di effettuare scelte consapevoli e offrendo loro al contempo protezione dagli abusi. Ciò aumenterà l’ammontare dei fondi che il mercato potrà assegnare alle opportunità di investimento. E consentirà inoltre ai prezzi di mercato di convogliare tali fondi verso i progetti più produttivi. Abbiamo stabilito norme comuni sulla divulgazione e sugli abusi di mercato e stiamo lavorando in materia di compensazione e regolamento, di governo societario e di controllo dei conti. Inoltre abbiamo adottato lo statuto della società europea che offre alle imprese un'alternativa alle disposizioni nazionali. Nel 2005, adotteremo i principi IAS -International Accounting Standard. Stiamo altresì lavorando alla legislazione intesa ad agevolare le riorganizzazioni transfrontaliere. Naturalmente, per ridurre al minimo le frizioni transatlantiche siamo impegnati in un dialogo in materia regolamentare con gli USA. Il quarto esempio della strategia per l’innovazione che vorrei illustrare riguarda le opportunità di mercato dell'innovazione. A questo proposito, le applicazioni basate sul brevetto costituiscono la più importante voce di costo. Da decenni esiste in Europa un Ufficio europeo dei brevetti, con sede a Monaco, ma in tutti questi anni non è stato rilasciato nemmeno un brevetto! Un’impresa che presentava domanda di brevetto all'Ufficio europeo dei brevetti poteva decidere se far valere tale documento in altri Stati europei. Ma per poter beneficiare di tale opzione il brevetto doveva essere tradotto integralmente. Ed in caso di controversia, la causa era di competenza dei giudici nazionali. Per questo motivo, molte imprese non hanno optato per un brevetto valido in tutti i paesi. Quest'anno, i capi di Stato e di governo si sono accordati su un brevetto unico. Esso sarà rilasciato dall'Ufficio europeo dei brevetti e un'eventuale controversia sarà risolta dinanzi ad un collegio giudicante. Il certificato di brevetto sarà tradotto soltanto in parte. Stimiamo che tali adeguamenti ridurranno del 50% il costo di una domanda di brevetto. La mia ultima osservazione potrebbe sembrare ovvia al pubblico statunitense, ma non a quello dell’UE. La competitività è conseguenza di una concorrenza a livello dell'Unione. Quando un prodotto è commercializzato, il primo test di mercato per le imprese europee è il mercato unico a livello dell'Unione. In quel momento, si potrà verificare se le imprese sono in grado di sostenere una concorrenza mondiale. Siamo pertanto fermamente impegnati ad eliminare le rimanenti barriere al mercato unico. Ciò è determinante se vogliamo aumentare il nostro tasso di crescita potenziale ed aumentare i livelli occupazionali dell'Unione. Per questo motivo sono molto importanti le dinamiche generate da un mercato unico composto da 25 paesi. 7 L'allargamento dell'Unione europea Una Unione europea a 25 Stati membri è infatti l'ultimo tema che vorrei affrontare stasera. Il 1º maggio 2004 -- fra meno di sei mesi -- otto paesi dell'Europa orientale e due paesi mediterranei diventeranno membri a tutti gli effetti dell'Unione europea. Si tratta certamente di un avvenimento della massima rilevanza politica, che segna la riunificazione dell'Europa dopo 50 anni di divisione. Ma ho detto che stasera mi sarei attenuto al tema economico. Infatti parlerò dell'economia in relazione all'allargamento dell'Unione europea. In termini economici, l'allargamento significa l'integrazione di due zone che presentano un ampio divario di reddito e di produttività. Gli Stati membri di prossima adesione presentano una distribuzione interna del reddito relativamente simile -- se non ancora più egualitaria -- a quella dei 15 Stati membri attuali. Ma il loro livello di reddito medio è sensibilmente inferiore a quello degli Stati attuali. I nuovi Stati membri rappresentano il 20% della popolazione degli attuali 15 Stati membri, ma soltanto il 5% del loro PIL. Ciò significa che con l'allargamento le disparità tra i paesi aumenteranno di oltre il 20% -- due volte tanto l'aumento di disparità che si ebbe a seguito dell'adesione di Spagna, Portogallo e Grecia negli anni '80. In questo contesto, come fa l’economista che deve valutare opzioni contrapposte, non posso astenermi dall'affermare che l'allargamento rappresenta allo stesso tempo una formidabile sfida ed una opportunità economica senza precedenti. L’enorme sfida consiste nel gestire un mercato unico paneuropeo composto da 25 o più Stati membri e nel far fronte alle acuite disparità che si registreranno all’interno dell’Unione. Per funzionare correttamente, il mercato unico ha bisogno di un insieme di norme e politiche comuni in certo numero di settori. Infatti, uno dei criteri di adesione all’Unione europea è che i nuovi Stati membri adottino e siano in grado di attuare l'intero corpus della normativa comunitaria. Naturalmente tale compito ha comportato un formidabile onere amministrativo per i nuovi Stati membri e la sfida reale si avvertirà pienamente quando l’acquis comunitario sarà pienamente applicabile, ovvero immediatamente all'atto dell'adesione. Ad ogni modo, per quanto grande sia il compito di dare piena attuazione al diritto comunitario, sarà fondamentale che l'integrazione dei nuovi Stati membri nel mercato unico avvenga senza scosse. Essa rassicurerà gli investitori ed i consumatori sul fatto che, anche nell’Unione allargata, potranno fare affidamento, fin dall'inizio, sullo stesso insieme di norme certe e sperimentate. A seguito dell'allargamento, per la prima volta nella storia l'Unione europea presenterà un divario complessivo leggermente maggiore di quello esistente tra gli Stati degli USA. Promuovere la crescita nei nuovi Stati membri e ridurre, nel tempo, le disparità rappresenterà un compito straordinario e impegnativo per l'Europa. Ma la storia dell’integrazione europea contiene molti esempi di straordinaria convergenza economica. L'Italia degli anni ‘60 e ‘70, la Spagna e soprattutto l'Irlanda gli anni ‘90 hanno attraversato un periodo di crescita sostenuta derivante da una combinazione delle forze di mercato e di riforme istituzionali nazionali ed europee. 8 Dall’altro lato, l'opportunità consiste nell'instaurazione di un ampio spazio economico che comprende circa 500 milioni di consumatori. Una volta realizzato l’idoneo quadro giuridico, le opportunità industriali e commerciali derivanti dal mercato unico di circa 500 milioni di persone saranno immense. Soprattutto se sapranno realizzare gli obiettivi d'istruzione e di innovazione che ho poc'anzi illustrato, gli Stati membri presenti e futuri disporranno delle risorse umane e materiali per trarre il massimo beneficio dalle nuove opportunità. Sono convinto, quindi, che l'imminente allargamento produrrà sostanziali vantaggi macroeconomici in tutta l'Europa. I nuovi Stati membri rappresentano soltanto il 5% del PIL degli attuali 15 membri, ma il loro tasso di crescita economica annuale è doppio rispetto a quello degli attuali Stati membri dell'UE. Non sorprende che la maggior parte degli studi economici preveda che la differenza di dimensioni e dinamismo tra le due regioni comporterà vantaggi macroeconomici maggiori nei nuovi Stati membri che negli attuali. Le stime indicano una ripercussione positiva di circa 5-8 punti percentuali del PIL per i nuovi Stati dell’UE, e poco meno di un punto percentuale del PIL per l’insieme degli attuali Stati membri dell'UE. Tuttavia, tali stime partono dal presupposto che le attuali politiche rimarranno costanti. L’allargamento avrà altri -- possibilmente anche più importanti -- effetti micro-economici. Mercati più estesi offriranno ai consumatori maggiori possibilità di scelta e renderanno l'attività di R&S più vantaggiosa. L’allargamento fungerà pertanto da catalizzatore della concorrenza sia tra i consumatori che tra i produttori nella maggior parte dei mercati europei. Una maggiore concorrenza potrebbe apportare lo stimolo necessario alle riforme economiche e promuovere il cambiamento, comportando in ultima analisi una migliore distribuzione delle risorse e quindi una maggiore crescita. Inoltre, l’incremento di investimenti e di produttività derivante dall'allargamento potrebbe portare alla creazione di una organizzazione industriale efficiente a livello dell'intera Europa, alcuni esempi della quale sono già visibili. L’allargamento non soltanto contribuirà a migliorare la distribuzione delle risorse, ma ridurrà anche i rischi e le incertezze. Gli insegnamenti che traiamo dai mercati finanziari sono particolarmente eloquenti. In primo luogo, negli ultimi dieci anni i nuovi Stati membri hanno registrato un costante miglioramento delle loro valutazioni dell'affidabilità creditizia man mano che la prospettiva dell'adesione si avvicinava. In secondo luogo, i nuovi Stati membri e gli altri paesi candidati (Bulgaria e Romania) godono di un “premio di adesione”, giacché le loro obbligazioni si negoziano con spread più ridotti rispetto a paesi con pari rating di altre parti del mondo. Terzo, questo “premio di adesione” è maggiore per i paesi con un’affidabilità creditizia inferiore. Ciò significa, evidentemente, che gli investitori nutrono maggiore fiducia nelle prospettive istituzionali e commerciali di tali paesi a motivo della loro futura adesione. Vorrei fermarmi qui per lasciare tempo alla discussione. Dopo la II Guerra mondiale il nostro obiettivo era di assicurare la pace attraverso la prosperità e l'integrazione economica. E ci siamo riusciti. 9 Ci siamo impegnati ad istituire un mercato unico a livello dell’UE per i beni, i capitali, i servizi e le persone. Questo processo non è ancora del tutto completato, ma si trova in fase avanzata. La moneta unica doveva assicurare stabilità al mercato unico e contemporaneamente rappresentare un progetto politico a sé stante. L'introduzione dell'euro è pienamente riuscita ed ha portato stabilità economica all'Europa. Ma abbiamo ancora del lavoro da fare per rilanciare la crescita. Questa sera ho tracciato due elementi chiave in tal senso: la nostra strategia dell'innovazione è l'allargamento dell’UE nel maggio prossimo. Il processo di riforma e di allargamento dell'Unione europea creerà senza dubbio nuove opportunità di investimento. Un’Europa più dinamica sarà quindi un vantaggio per tutti -- su entrambe le sponde dell’Atlantico. Vi ringrazio per la vostra attenzione. 10