LA TEOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II

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LA TEOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
Intervista alla teologa Christine Anne Mugridge
di Carrie Gress
La teologia della comunicazione non porta solo alla cristianizzazione delle tecnologie mediatiche o delle tecniche scientifiche, ma ad un incontro con il Cristo vivo, secondo la teologa
Christine Anne Mugridge.
Mugridge, membro laico della Società di Nostra Signora della Trinità, è coautrice del libro
“John Paul II: Development of a Theology of Communication”. Marie Gannon, suora salesiana e professoressa presso la Pontificia Università Salesiana e la Facoltà di scienze
dell’educazione “Auxilium”, ha contribuito alla stesura di questo volume.
Il testo è stato pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana in occasione del terzo anniversario
della morte di Papa Giovanni Paolo II.
In questa intervista Mugridge parla dei semi di una teologia della comunicazione
sparsi lungo tutto il pontificato di Giovanni Paolo II.
Nel suo libro lei si concentra su Giovanni Paolo II per scorgere nel suo pontificato una teologia della comunicazione. Lui ha mai parlato esplicitamente di una tale teologia, o si tratta di un qualcosa che lei ha scoperto nell’ambito delle numerose omelie, lettere, udienze, ecc?
Mugridge: Giovanni Paolo II parlava in termini propriamente teologici sul tema
delle comunicazioni sociali e dei mezzi di comunicazione, e nel corso del suo pontificato di quasi 27 anni ci ha lasciato un grande patrimonio di commenti e testi
sull’argomento.
Sebbene lui stesso non abbia mai esplicitato di voler elaborare una specifica teologia, da una raccolta del lavoro teologico di Giovanni Paolo II è risultato evidente,
sia dallo sviluppo organico, sia da un impiego strategico di una teologia della comunicazione, che grazie al suo lavoro è emersa - ovvero è stata formulata, attuata e
vissuta - una nuova teologia.
Questi sviluppi rappresentano il fulcro del testo in cui illustriamo questo argomento ed evidenziamo gli elementi teologici che rivelano una teologia della comunicazione in divenire.
La teologia della comunicazione si limita ad usare le tecniche di comunicazione
sociale per diffondere il messaggio cristiano o va oltre questo?
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Mugridge: Comprendere e applicare la teologia della comunicazione di Giovanni
Paolo II significa andare oltre; non è la mera cristianizzazione delle tecnologie mediatiche o delle tecniche scientifiche.
Anzitutto, Giovanni Paolo II ha riconosciuto che la coscienza etica dell’uomo di oggi è disorientata. La teologia della comunicazione recupera la comunicazione sociale proprio nel punto in cui la comprensione e l’attività di comunicazione si unisce
alla vita morale dei credenti.
Giovanni Paolo II ci insegna, attraverso una teologia della comunicazione, che dobbiamo prima incontrare Gesù Cristo vivo, per poter entrare nella missione di Cristo.
Dio si è rivelato attraverso una terminologia di comunicazione - “la Parola vivente”
- non solo per descrivere nella sua Rivelazione ciò che egli fa, ma - cosa più importante - chi egli, Dio, è.
Quando incontriamo Gesù Cristo siamo illuminati nella nostra comprensione non
solo di ciò che stiamo facendo, ma di chi siamo come persone che comunicano, ovvero, come persone umane in comunicazione fra loro e con il nostro Dio uno e trino. La struttura fondante di questa teologia della comunicazione inizia con il dono
della presenza di Gesù Cristo e con “l’incontro con il Verbo incarnato”. Un incontro
che si compie personalmente nella presenza eucaristica.
Pertanto, la teologia della comunicazione è uno strumento elaborato in modo del
tutto interdisciplinare, in grado di aiutare il comunicatore religioso o laico nel suo
dialogo con la cultura dei media e con le culture mediate del mondo di oggi. In
questo senso, non si tratta di uno studio meramente accademico. Applicando il metodo teologico evidenziato, possiamo viverlo come uno strumento teologico organico per meglio comprendere le comunicazioni interpersonali e sociali in relazione alla comunicazione di Cristo, sia all’interno che all’esterno della comunità cristiana.
Questo importante sviluppo consente di migliorare l’utilizzo della tecnologia dei
media e di rafforzare il legame fondamentale tra la prospettiva morale ed etica delle comunicazioni sociali, e le scienze sia secolari che teologiche. In questo modo la
Chiesa ha la possibilità di svolgere la sua missione e di comunicare il suo messaggio in maniera più efficace.
Tutti noi nella Chiesa, in virtù del nostro battesimo, siamo chiamati alla missione di
comunicare il Vangelo, di comunicare Cristo. In realtà, non si tratta solo di applicare le tecniche, ma anche e anzitutto di contemplare la Rivelazione di Dio nel Verbo
incarnato.
Lei considera “Ecclesia in America” un documento importante per comprendere
questa nuova teologia. Cosa cerca di insegnare Giovanni Paolo II al mondo e in
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particolare all’America - all’intero continente americano - attraverso questa esortazione apostolica?
Mugridge: “Ecclesia in America” è un esempio per dimostrare la presenza di una
teologia della comunicazione all’opera nel pontificato di Giovanni Paolo II.
“Ecclesia in America”, in questo senso, è entusiasmante perché Giovanni Paolo II
approfondisce e rende concreta la visione di come sia possibile vivere più profondamente la natura e la missione della Chiesa attraverso questa sua strategia comunicativa della Nuova evangelizzazione, definita come “l’incontro con Gesù Cristo
vivo”.
Giovanni Paolo II cerca di far vedere al mondo che la natura della Chiesa può essere vista come la comunione vivente dell’uomo con la Santissima Trinità, mentre la
sua missione è quella di portare questa comunione all’intera umanità dentro e fuori
la Chiesa.
Questo mandato missionario riceve un nuovo impulso nel nostro tempo, attraverso
l’insegnamento del Santo Padre sulla missione di comunicare Cristo, formulato nella Nuova evangelizzazione. In particolare Giovanni Paolo II parla dell’intero continente americano come di un unico popolo del Nord e del Sud, e lo affida alla protezione di Nostra Signora di Guadalupe, Stella della Nuova evangelizzazione e Madre della Speranza.
Infine, in “Ecclesia in America” Giovanni Paolo II chiede al popolo americano di
abbracciare la chiamata alla Nuova evangelizzazione con cuore aperto. Il Papa Benedetto XVI, nel suo recente viaggio apostolico, ha provvidenzialmente esortato
l’America a vivere in modo più profondo questa realtà, ed ha incoraggiato i cattolici
a vivere la loro fede in unione fra loro e con “Cristo nostra Speranza”.
In che modo la comprensione della teologia della comunicazione può cambiare
la visione degli operatori dei media sul proprio lavoro e su se stessi, con riferimento a Cristo e alla missione della Chiesa?
Mugridge: La comprensione della teologia della comunicazione porta con sé il dono della trasformazione, così come avviene per ogni studio teologico applicato. In
questo caso, consente di comprendere maggiormente la provvidenzialità del suo
potenziale comunicativo e la profonda verità sulla natura della comunicazione umana.
La semplice formula dell’“incontro con Gesù Cristo vivo”, che Giovanni Paolo II ha
elaborato nella sua strategia comunicativa per la missione della Chiesa, è un dono
di facile comprensione e applicazione per l’esperienza comunicativa personale e so3
ciale, secolare ed ecclesiale, capace di trasformare i membri della Chiesa, sia individualmente, sia come corpo.
Comprendere questa teologia dona agli operatori dei media sociali e a quelli interni
alla missione della Chiesa, l’opportunità di vivere una continua conversione personale, in cui Cristo diventa la presenza viva che rivela il modello di eccellenza proprio di ogni attività di comunicazione umana.
La conoscenza e l’applicazione di questa prospettiva teologica dell’essere, necessariamente si riflette sulla nostra vita quotidiana. Questa consapevolezza teologica
costituisce la piattaforma fondamentale su cui è possibile vivere l’eccellenza nei
principi, nella metodologia, nella teoria e nella pratica delle scienze della comunicazione in ogni nostra attività di comunicazione.
In concreto, come si può applicare la “teologia della comunicazione” agli uffici
diocesani, ai seminari o alle emittenti?
Mugridge: La Chiesa, come abbiamo visto, ha un vivo interesse per le scienze della
comunicazione. Il ruolo delle pubbliche relazioni e della comunicazione è così essenziale che la Chiesa ha richiesto formalmente che ogni diocesi si dotasse di un ufficio dedicato a tali attività, allo sviluppo di un programma di comunicazione e
all’approfondimento della teologia della comunicazione.
Da questo studio interdisciplinare emergono nuove prospettive di piattaforme convergenti per la formazione della persona, il dialogo interdisciplinare e le iniziative
pastorali, che costituiscono un terreno d’incontro fra la Chiesa e i media: ciò che
Papa Benedetto XVI ha definito come “info-etica” (così come esiste la bio-etica nel
campo della medicina e della ricerca scientifica legata alla vita).
Le applicazioni pratiche della teologia della comunicazione nell’ambito della Chiesa sono numerose e ricche: la formazione dei sacerdoti per la propria crescita personale e pastorale; lo sviluppo dei programmi di comunicazione nelle diocesi; la
crescita continua del personale delle emittenti, per una comprensione più profonda
e integrata del proprio potenziale comunicativo; eccetera. Noi offriamo continuamente seminari per aiutare i leader nella Chiesa a comprendere questo sviluppo
teologico e per usare al meglio il testo nel loro particolare ambiente.
Infine, perché secondo lei questa nuova teologia è arrivata proprio adesso,
all’inizio del terzo millennio?
Mugridge: In realtà la struttura fondamentale di questa teologia non è nuova: essa è
parte integrante del patrimonio già esistente nella Chiesa.
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La novità di oggi è la nuova consapevolezza della necessità e della presenza di una
teologia della comunicazione, e del ruolo fondamentale che i media svolgono nel
rispondere alla “questione antropologica, che emerge come sfida cruciale del terzo
millennio”, a cui accenna il Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio per la XlII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2008.
“L’umanità – spiega il Pontefice – si trova oggi di fronte a un bivio. [...] Anche nel
settore delle comunicazioni sociali sono in gioco dimensioni costitutive dell’uomo e
della sua verità. [...] Ecco perché è indispensabile che le comunicazioni sociali difendano gelosamente la persona e ne rispettino appieno la dignità. […] I nuovi media […] stanno modificando il volto stesso della comunicazione e, forse, è questa
un’occasione preziosa per ridisegnarlo, per rendere meglio visibili, come ebbe a dire il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità sulla persona umana”.
Secondo Giovanni Paolo II, i mezzi di comunicazione sociale devono diventare uno
strumento per comunicare la pienezza e la verità dell’uomo come rivelata in Cristo,
perché è questo l’unico autentico fondamento per la solidarietà e per la realizzazione di uno sviluppo integrale di tutta l’umanità, secondo il potenziale divinamente
ordinato e la dignità della persona umana.
L’applicazione di questa teologia come strategia di comunicazione per la missione
della Chiesa costituisce la via maestra verso quella “info-etica” di cui si ha tanto bisogno ai giorni nostri.
Fonte: http://www.zenit.org
F:\Rivista (luglio 2008)\07 - Interviste.doc
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