ATTESTARE STANCA Trib. Torino, ord. 16 luglio 2014, giud. Macchioni di Federico Baffi Abstract. A circa due anni dall'entrata in vigore della novella che ha introdotto il reato di “Falso in attestazioni e relazioni” con l'art. 236-bis della Legge Fallimentare, giunge la prima pronuncia (edita) sul tema. Si tratta di un'ordinanza interdittiva, emessa in una cornice fattuale da “caso limite” per la macroscopica tipicità delle condotte contestate: i fatti ad oggetto rendono la pronuncia di particolare interesse, specie se letta all'interno della cornice creata dalla giurisprudenza fallimentare sul tema delle attestazioni e delle relazioni del professionista, nonché dalla pubblicazione da parte del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili dei “Principi di attestazione dei piani di risanamento”. Un nuovo “caso Busiello”, di cui ci si è proposto di analizzare dati fattuali, percorsi motivazionali dell'estensore, nonchè possibili termini di applicazione futura dei dicta, specie in materia di prova del dolo. Alla ricerca quindi di un corretto inquadramento sistematico di una norma purtroppo mal scritta, dal contenuto potenzialmente deflagrante per tutto il sistema delle soluzioni concordate della crisi d'impresa. SOMMARIO: 1. Il contesto in cui nasce la norma e quello in cui nasce la pronuncia. – 2. Il fatto storico come ricostruito dall'ordinanza. – 3. La motivazione del provvedimento: certezze, dubbi e possibili torsioni ermeneutiche. – 3.1. Il momento consumativo del reato e le condotte successive. – 3.2. L'elemento psicologico, la automatica deduzione del dolo, l'inconfigurabilità della colpa. – 3.3. Il rapporto tra l'attestatore ed il debitore: le asimmetrie sanzionatorie. – 4. I princìpi CNDCEC: natura, limiti e possibili rischi. – 4.1 Il rispetto dei princìpi CNDCEC e la valutazione da parte del dominus della procedura. – 5. L'indagine sull'elemento psicologico. – 5.1. Dolus in re ipsa? – 5.2. Dolo eventuale? – 5.3. Le possibili soluzioni. – 5.4. La condotta ideale dell'agente modello. – 6. Conclusioni. 1. Il contesto in cui nasce la norma e quello in cui nasce la pronuncia. “Tanto tuonò che piovve”, potrebbe dirsi riferendosi alla prima pronuncia (edita) di un Giudice penale sulla responsabilità del professionista chiamato a rispondere di falso in attestazioni e relazioni ex art. 236-bis l.f.1, una norma nata male, e forse 1Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. – Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa – Art. 236-bis – Falso in attestazioni e relazioni 1. Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, terzo comma, lett. d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. 2. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. 3. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà. Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | Telefono: 0289283000 | Fax: 0292879187 | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo cresciuta peggio. Il problema in questo caso è stabilire da quale cielo provenissero i tuoni: all'alba della redazione della norma, la questione della risposta ordinamentale al falso dell'attestatore era infatti aperta ed attuale, anche a causa della mancata attuazione della delega di cui alla Commissione Trevisanato2 che ha novellato la legge fallimentare da poco più di un paio di lustri, espungendo però il “conato di riforma”3 relativo alla responsabilità del professionista, sull'onda lunga di un irrisolto paradosso del nostro ordinamento: stigmatizzare fino a sanzionare l'eccesso di delega, continuando a ritenerne irrilevante il difetto. Rimasta quindi inattuata la delega del 20014, l'operato del Legislatore del 2012 sul tema è stato diffusamente riconosciuto come il frutto di una doverosa opzione di politica criminale, dettata da necessità duplice: limitare da un lato l'abuso perpetrato per anni dal professionista attestatore, che ha potuto a lungo redigere elaborati in maniera eufemisticamente definibile come disinvolta, confinato com'era in un metacosmo di impunità5. Punire, dall'altro, con una sanzione ad hoc, il professionista che di quei determinati strumenti abusi oggi, ponendo fine all'annosa questione della qualificazione giuridica del suo operato in tale frangente. (Articolo aggiunto dalla lett. l) del co. 1 dell’art. 33, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134). 2Commissione per l'elaborazione di principi direttivi di uno schema di disegno di legge delega al governo, relativo all'emanazione della nuova legge fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi, istituita con D. I. 28 novembre 2001. Sul tema INSOLERA, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi della impresa, in Giurisprudenza Commerciale N. 3/2006, Giuffrè, Milano, 2006, FIORE, Gli orientamenti della commissione Trevisanato per la riforma dei reati fallimentari: una prima (disilludente) lettura – Atti del Convegno, Isernia, 18 ottobre 2003 in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Giuffrè, Milano, 2005, e BRICCHETTI, MUCCIARELLI e SANDRELLI, Disposizioni penali, in Il nuovo diritto fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2007. 3 Così INSOLERA, in op. cit. “La produzione legislativa di riforma del diritto fallimentare si è manifestata in modo disordinato se non bislacco. Ciò riguarda il noto succedersi dei diversi testi legislativi, ma anche la stessa scelta degli strumenti di legiferazione. In questo modo si sono creati i migliori presupposti per la continua insorgenza di problemi interpretativi di difficile soluzione. Questa osservazione, come vedremo, si amplifica a proposito del coordinamento tra disciplina civilistica, ormai completatasi con la pubblicazione del d lgs. 9 gennaio 2006, di attuazione della l. n. 80 del 2005, e norme penali fallimentari che si sono invece volute mantenere invariate, nonostante i molteplici conati di riforma di cui si era avuta notizia negli ultimi anni.” 4 Art. 16 (Disposizioni penali) La disciplina degli illeciti penali nelle materie di cui alla presente legge si ispira ai seguenti criteri direttivi: […] 8. prevedere il delitto di falsa esposizione di dati o di informazioni o altri comportamenti fraudolenti: consistente nella condotta di esposizione di informazioni false o di omissione di informazioni imposte dalla legge per l’apertura della procedura di composizione concordata della crisi al fine di potervi indebitamente accedere, ovvero in successivi atti o nei comportamenti di cui ai commi 1 e 5 compiuti nel corso di essa; ovvero di simulazione di crediti inesistenti o di altri comportamenti di frode, al fine di influire sulla formazione delle maggioranze; prevedere che la stessa pena si applica al creditore che riceve il pagamento o accetta la promessa al fine dell’espressione del proprio voto […]. 5D'ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall.: luci e ombre a seguito del decreto “sviluppo”, in Giurisprudenza commerciale, fasc.1, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 74 e sgg.:“L'abuso, ed è sotto gli occhi di tutti, ha infatti determinato, la nascita di piani del tutto inadeguati, irrealizzabili e spesso fondati su dati non attuali e superati, ed il conseguente loro venire meno nello spazio di pochi mesi. Di qui l'ulteriore fenomeno della — più o meno ravvicinata — “riattestazione” del piano […]. Ben venga, dunque, il tramonto dell'uso disinvolto del piano attestato”. 2 Prima della stesura della previsione ex 236-bis l.f., l'Autorità Giudiziaria non ha infatti avuto un dettato normativo sul quale fondare la natura giuridica del professionista attestatore6, non potendo di conseguenza qualificare con certezza gli atti a questo riconducibili7. In assenza di una norma chiara8 o, in supplenza, di una giurisprudenza univoca sul tema, l'Organo di accusa ha sempre annaspato in funamboliche costruzioni di capi di imputazione9. La conseguenza è stata una diffusa falcidia delle imputazioni, sotto la scure dell'insussumibilità delle condotte contestate nell'alveo degli archetipi normativi individuati10. Spesso senza neanche il bisogno che sul singolo caso dovesse pronunciarsi Giudice di legittimità. Sin dall'intervallo tra la pubblicazione del decreto legge che ha introdotto la norma e la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale in cui è contenuta la legge di conversione del medesimo decreto, la dottrina11 ed i primi commentatori della disposizione di nuovo conio, hanno invece posto l'accento sui lati oscuri di questa fattispecie mal nata12. Si sottolineava infatti il pericolo di interpretazioni che tendessero ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 121. 7sulla ricostruzione della giurisprudenza precedente l'introduzione della figura di reato di cui all'art. 236bis l.f. cfr. BORSARI, Il nuovo reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell’ambito delle soluzioni concordate delle crisi d’ impresa. Una primissima lettura, in Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim., 1, 2013, pag. 85. 8Cfr. INSOLERA, in op. cit. “assume un rilievo decisivo come, nel quadro complessivo della riforma, si sia mantenuta la tradizionale specifica attribuzione della qualifica di Pubblico Ufficiale nei confronti del curatore (art. 30) e del commissario giudiziale (art. 165). Si è così confermata l'adozione, in questo campo, di una chiave di identificazione espressa della qualifica, ma assume significato di argomento a contrario anche la circostanza che non si sia fatto ricorso a tale metodo per inquadrare le nuove figure”. 9A titolo esemplificativo, Trib. Rovereto, GUP Izzo, 12 gennaio 2012, n.5 “La falsa attestazione della cd. veridicità dei dati aziendali operata dal professionista che redige la relazione di cui all’articolo 161, comma 3, l. fall integra il reato di cui all’art. 481 c.p., reato per il quale, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente il dolo generico, senza la necessità di un fine specifico”. 10A titolo esemplificativo Trib. Torino Sez. IV penale, 31 marzo 2010 “il professionista che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161 terzo comma l.f. non può essere considerato pubblico ufficiale ai fini dell’art. 357 c.p. e, di conseguenza, in caso di false attestazioni non risponde del reato di cui all’art. 479 c.p.” 11BRICCHETTI e PISTORELLI, Operazioni di risanamento, professionisti nel mirino, in Guida al Diritto n.29/2012, Gruppo24ore, Milano, 2012, pag. 45, CERQUA, La tutela penale del concordato e dei piani attestati, in Fallimento 10/2014, Ipsoa, Milano, 2014, pag. 1116 e sgg., CONSULICH, Nolo cognoscere – Il diritto penale dell’economia tra nuovi responsabili e antiche forme di responsabilità «paracolpevole»: spunti a partire dal nuovo art. 236 bis l.f., in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 3/2012, CEDAM, Padova, 2012, DEMARCHI ALBENGO, La fattispecie incriminatrice di cui al nuovo articolo 236-bis della legge fall.; la responsabilità penale dell’attestatore, in www.ilcaso.it, GUERINI, La responsabilità penale del professionista attestatore nell’ambito delle soluzioni concordate per le crisi d’impresa, in questa Rivista, 4 giugno 2013, LUPI, Un tentativo di scaricare la responsabilità su altri, in www.ilsole24ore.it, Gruppo24ore, 2012, MEZZETTI, Falso in attestazioni o relazioni, in www.archiviopenale.it, MONTELEONE, La responsabilità penale e civile dell’attestatore nei procedimenti di composizione della crisi di impresa, in www.oci.it, MUCCIARELLI, Il ruolo dell’attestatore e la nuova fattispecie penale di «falso in attestazioni e relazioni», in www.ilfallimentarista.it, SPINOSA, Il c.d. decreto sviluppo nel sistema della legge fallimentare: i rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, in questa Rivista, 1 marzo 2013, TETTO, La (ritrovata) indipendenza del professionista attestatore nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in Il Fallimento 6/2013, Ipsoa, Milano, 2013, ppg. 679 e sgg. 12PISTORELLI E CARCANO, Relazione III/07/2012, Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Servizio Novità e BRICCHETTI E PISTORELLI, op. cit. 6 3 ad avallare una pretesa – di matrice normativa – di omniscienza e volontà, di chiaroveggenza13 o di preveggenza14 dell'attestatore. Gli operatori del settore, infine, edotti della pericolosità delle maglie larghe della fattispecie, hanno in più sedi reso evidente una insofferenza di categoria ed una conseguente preoccupazione per i margini applicativi della norma15. Ironia della sorte, come nelle più scontate tradizioni, è piovuto sul bagnato, e la “pioggia” è arrivata con l'ordinanza interdittiva del GIP di Torino16. Le metafore non appaiano un fuor d'oper: così come accadde con il cd. caso Busiello per l'insider trading17, il fatto di reato divenuto l'apripista per la giurisprudenza sull'art. 236-bis l.f. è infatti relativo ad una condotta macroscopicamente tipica, nonché di lesività moderata, se considerata in ragione della sua grossolanità. Su di un piatto d'argento si è fornita infatti alla giurisprudenza la possibilità di intervenire con una prima pronuncia; al contempo si è fornita al Legislatore la possibilità di affermare che, in fin dei conti, la norma era necessaria proprio per contrastare condotte come quella oggetto dell'ordinanza18. Eppure resta il dubbio, accompagnato da un rammarico: quelle condotte, se precedentemente stigmatizzate e sanzionate in sede disciplinare dagli Ordini Professionali di appartenenza, avrebbero ricevuto un freno istituzionale, forse in grado di limitarne la diffusione. Al contempo, quell'ordinamento che ha progressivamente panprivatizzato taluni segmenti della crisi d'impresa, avrebbe avuto la dimostrazione della superfluità di un intervento sanzionatorio di matrice panpenalistica, o quantomeno la prova della sua necessità come extrema ratio e non certo come panacea. Ancora una volta infatti, lungi dal praticare “l'auspicabile enforcement” della disciplina civilistica di settore19, il Legislatore fa sì che non l'ultima ma l'unica parola sul tema divenga quella del Giudice penale, gravato in questo frangente dall'onere di “un sindacato paradossalmente più esteso rispetto a quello BAFFI, La nuova disciplina del falso in attestazioni e relazioni del professionista nella Legge Fallimentare, in Gazzetta Forense 4/2012 Luglio-Agosto, il Denaro Libri, Napoli, 2012. 14PIVA, Vecchie soluzioni per nuovi problemi nella falsa attestazione del professionista, Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim., 3-4, 2014, pag. 375. 15Cfr. il comunicato stampa dell'Associazione Nazionale Commercialisti ANC del 9 Luglio 2012 a firma del Presidente CUCHEL e del Consigliere delegato al Polo Scientifico C ECCHERINI all'indomani della pubblicazione in G.U. Del DL 83/12 “[...] l’attività del professionista in genere, ed in particolar modo di questo professionista che si trova ad operare in un contesto di “insolvenza” o comunque di “crisi manifesta”, può indurlo in errori che la magistratura penale potrebbe classificare tra quelli oggetto di sanzione. […] Questa norma, così come è stata prevista, impone un sovra-sforzo al professionista al fine di evitare che un errore di superficialità possa costituire un grave reato. [..] Non vorremmo che il nostro ruolo e la nostra attività fatta di sacrifici e studi, ovviamente quando è svolta con diligenza professionalità e correttezza, possano trasformarci in un capro espiatorio, sanzionabile in maniera più pesante di quanto venga sanzionato un bancarottiere professionista”. 16Trib. Torino, Giudice per le indagini preliminari, 16 luglio 2014. Estensore MACCHIONI, edita da www.ilcaso.it. 17Trib. Roma, 15 maggio 1996, in Giurisprudenza Commerciale Vol II, 1997, pag. 207, con nota a sentenza di GALLI, ibidem, Giuffrè, Milano, 1997 pag. 226 e sgg. 18DI AMATO, Sul dolo dell’attestatore nel reato di falsa attestazione – Nota a Tribunale di Rovereto, 12 gennaio 2012, n. 5, in Gazzetta Forense 2/2014, Giapeto Editore, Napoli, 2014, pag. 36. 19Così MUNARI, Crisi di impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione, Giuffrè, Milano, 2012, pag. 236. 13 4 preventivo del giudice della procedura, su condotte di mendacio connotate da un forte margine di discrezionalità”20. 2. Il fatto storico come ricostruito dall'ordinanza. Tornando al caso di specie, il GIP di Torino era chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza dei gravi indizi in capo al professionista attestatore. Quest'ultimo, (nella relazione di cui all’articolo 161, comma 3, L.F.) si esprimeva in termini di certezza sulla fattibilità dell'operazione cardine della proposta di concordato, ossia un'offerta di acquisto della società in liquidazione, offerta garantita da una presunta fideiussione a prima chiamata. Fin qui nulla di particolarmente patologico. Ma val la pena di ripercorrere la questione in fatto nei suoi punti salienti, per poter realmente comprendere la portata della condotta. L'azienda offerente, “in persona del legale rappresentante” formulava su carta non intestata offerta irrevocabile di acquisto dell’azienda proponente il concordato. La medesima offerta recava in calce una sottoscrizione illeggibile ed era priva della sottoscrizione per ricevuta del documento originale da parte del difensore della società in liquidazione L'impegno alla messa a disposizione delle risorse finanziarie necessarie al sostegno del piano concordatario sempre a nome della società offerente, in persona del legale rappresentante, era anch’essa su carta non intestata, recava firma illeggibile ed era anch’essa priva della sottoscrizione per ricevuta dell’originale da parte del difensore della società in liquidazione. Nel sopracitato documento l’offerente si impegnava a costituire sin da quel momento, ed almeno venti giorni prima dell’adunanza dei creditori per esprimere il voto sul concordato, garanzia fideiussoria bancaria, da rilasciarsi a cura di primario istituto bancario senza che vi fosse qualsivoglia riferimento a qualsivoglia istituto di credito. La relazione del professionista era quindi priva di qualunque documento atto ad identificare la società offerente, a comprovare la sua reale esistenza, a verificare la sua operatività, a vagliare la sua affidabilità, a comprovare la provenienza delle dichiarazioni redatte dall'apparente sottoscrittore, ad attestare il ruolo dell’asserito legale rappresentante della società proponente l'acquisto, a dedurre quanto meno l’esistenza di contatti da parte della società offerente volti a saggiare la disponibilità di un qualche istituto di credito, primario o meno, a rilasciarle una fidejussione per un qualunque importo. La difesa della società in liquidazione, con una memoria integrativa, produceva altresì una sorta di visura camerale della società offerente, un “estratto dal quale emerge la qualità di Director” di colui che veniva individuato come legale rappresentante; produceva altresì la carta d’identità di quest’ultimo, senza però allegare un bilancio Così PIVA, in op. cit. 20 5 della società offerente né elementi che consentissero di vagliarne la solvibilità e la consistenza, né una bozza della paventata fidejussione, né indicava l’istituto di credito disposto a rilasciarla. A fronte di una simile relazione, il Tribunale, entro i limiti assegnatigli dalla legge e specificati dalla recente giurisprudenza di Cassazione a Sezioni Unite21, dichiarava inammissibile la proposta, e circa l'asserita fattibilità del piano quindi chiosava “Non si comprende, pertanto su quali basi sia stato formulato, allo stato, il giudizio prognostico di fattibilità, non potendosi, dagli elementi raccolti, in alcun modo prevedere il rispetto degli impegni assunti” (dalla società offerente). Necessario appare, da ultimo, fornire i dati di fatto relativi alla dimensione quantitativa della proposta avanzata della fantomatica acquirente: era – ovviamente – condizionata all’omologa del concordato preventivo, era per un valore di € 7.900.000,00, prevedeva assunzione di obbligazioni relative a leasing correnti per €1.100.000,00, prevedeva inoltre l’apporto di “nuova finanza” per € 5.500.000,00 asservita al buon esito del concordato preventivo, e comunque condizionata all’omologa ed alla cessione dell’azienda, prevedeva che il pagamento dell’importo di € 7.900.000,00, fosse “garantito da una fidejussione bancaria a prima chiamata rilasciata da primario istituto di credito”. Dati quantitativi di una certa rilevanza. 3. La motivazione del provvedimento: certezze, dubbi e possibili torsioni ermeneutiche. È qui che la vicenda va a sovrapporsi alla storia del cd. caso Busiello: se quest’ultimo ha rappresentato infatti la concretizzazione della più classica tra le ipotesi di scuola attraverso cui un docente avrebbe illustrato il reato di insider trading ai suoi discenti, altrettanto si può dire di questo caso, relativamente al reato di cui all'art. 236-bis l.f. Ciò non aiuta nessuno, perché davanti ad una condotta così macroscopicamente tipica, altro non poteva probabilmente fare il GIP di Torino, se non applicare la misura interdittiva. Il vero problema sta però nel fatto che proprio le peculiarità della condotta hanno consentito che il GIP di Torino fosse esentato nella redazione dell'ordinanza da particolare sforzo ermeneutico e motivazionale. Al contempo la macroscopicità di quella condotta ha segnato quella che potrebbe – ad opinione di chi scrive – essere una pericolosissima pietra miliare nella storia della giurisprudenza sul 236-bis l.f. Va a ciò aggiunto che il percorso motivazionale del GIP di Torino lascia degli spiragli inquietanti a possibili torsioni interpretative. Ma su questo si tornerà in seguito. Le motivazioni di irrogazione della misura però, se da un lato a destano una serie di perplessità, offrono al contempo qualche prima certezza. Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente Preden, Relatore Piccininni, infra. 21 6 3.1. Il momento consumativo del reato e le condotte successive. Un primo spunto di riflessione viene infatti posto dal GIP il quale sottolinea che “il reato si deve ritenere consumato all’atto del deposito della relazione, e che pertanto la sia pur parziale integrazione che ha avuto luogo in seguito, a nulla rileva”. Questo inciso – che sia condiviso o meno – mette l'interprete nella condizione di poter quantomeno constatare come l'annosa questione delle condotte lato sensu “riattestative” sia da tale interpretazione totalmente risolta in direzione della inutilità dei cd. supplementi di attestazione, generalmente praticati al sol fine di mettere una toppa. Al contempo però il dictum rafforza la riconoscibilità di alcuni connotati della norma, relativi al suo inquadramento dogmatico, come si vedrà in seguito. Tranchant è poi la prima parte della motivazione, relativa alla condotta: “l’indagato, in buona sostanza, ha fornito una attestazione di fattibilità basata, con riguardo alla proposta di acquisto, sul nulla, perché nulla di serio e concreto, in quanto fonte di impegni giuridicamente rilevanti, dicevano i documenti sui quali egli ha fondato la sua valutazione e perché egli non ha compiuto, al riguardo, nessuna verifica. Egli ha giudicato realizzabile con ragionevole certezza una proposta che obbiettivamente, stando alla documentazione allegata alla relazione, chiunque, anche il meno solvibile, il meno affidabile ed il più incompetente dei soggetti avrebbe potuto formulare”22. Rispetto a ciò, poco c'è da dire anche se l'inciso potrebbe essere foriero di qualche dubbio in materia di grossolanità del fatto. 3.2. L'elemento psicologico, l'automatica deduzione del dolo, l'inconfigurabilità della colpa. Glissando, non senza sforzi, gli spunti sul falso inoffensivo, appare necessario analizzare il passaggio che il GIP fa riguardo all'elemento psicologico del reato, sceverandone il percorso argomentativo. La sua possibile mutuabilità in futuro nasconde probabilmente insidie la cui portata è allo stato celata dalla macroscopicità dei fatti di causa attraverso i quali si è portati a leggere ed interpretare le parole del GIP che seguono: “Non si può peraltro ragionevolmente ipotizzare che quanto sin qui descritto sia stato il frutto di una semplice negligenza, di una mera imperizia, di una banale incompetenza. [...]. è un dottore Per completezza si riporta il seguito “Il fatto ch’egli abbia vincolato, nella sua relazione, la fattibilità dell’operazione alla fidejussione e solo ad essa è doppiamente inaccettabile, perché una garanzia patrimoniale in tanto è affidabile in quanto il soggetto che la propone lo sia e perché comunque una garanzia patrimoniale semplicemente dichiarata in termini del tutto generici, da un soggetto sulla cui affidabilità nulla sia dato di sapere e senza alcuna documentazione di supporto, tutto può essere meno che una condizione capace di costituire, da sola, la base di una offerta che possieda i requisiti della concreta e ragionevole fattibilità. È fuor di dubbio che, oggettivamente, l’attestazione in discorso fosse in grado di incidere in modo determinante sulle valutazioni finali, dal momento che aveva ad oggetto le qualità dell’unica proposta sul tappeto. È evidente che se l’indagato avesse valutato gli elementi a disposizione nell’unico modo ragionevole nel quale avrebbe potuto valutarli – ed il Tribunale fallimentare li ha valutati, non a caso avvertendo il pericolo di uscire dai limiti del potere di controllo che gli competevano ma, al contempo, consapevole della oggettiva pericolosità della proposta con cui aveva a che fare – il suo giudizio di fattibilità sarebbe stato radicalmente diverso“. 22 7 commercialista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma lett. d) l. fall.; nella parte iniziale della sua relazione egli ha esposto fra l’altro, in un apposito capitolo, i criteri ai quali intendeva conformarsi”23 Nell'ottica di una possibile applicazione futura di tale inciso, appare necessario quindi scindere l'inciso stesso dalla cornice fattuale all'interno della quale va ad instaurarsi. In alcuni osservatori questo passaggio ha infatti provocato un barlume di speranza dal momento che è stato interpretato come una possibile apertura alla configurabilità di una alternativa condotta colposa del professionista, non punibile data la struttura del reato di cui all'art. 236-bis l.f. che richiede sia il dolo a sorreggere l'operato dell'agente. In altri osservatori24 – tra cui chi scrive – invece questo passaggio desta più d'una preoccupazione perché in qualche modo certifica la correttezza dell'atteggiamento di commentatori guardinghi nei confronti della norma, i quali chi prima e chi dopo, all'indomani della sua entrata in vigore ne denunciavano la pericolosità. Appare infatti intrinseca la tendenza con cui la norma si presta a torsioni dirette verso la disperata ma facile ricerca di un dolo eventuale più vicino ad un dolus in re ipsa che ad una colpa. Magari specifica, magari con previsione. A ben leggere l'inciso del GIP di Torino, non esiste nel caso di specie un'ipotesi colposa della condotta del professionista. E questo assunto può anche essere astrattamente condivisibile. Ma soprattutto, da quanto scritto nell'ordinanza, emergerebbe che non può esistere un'ipotesi colposa in alcun caso di falso in attestazioni e relazioni. E tale assunto sarebbe invece ben poco condivisibile. Il GIP àncora infatti la sostanziale inconfigurabilità di una condotta colposa su due dati, ovvero il possesso da parte dell'indagato “dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma lett. d) l. fall.”, e l'aver egli “nella parte iniziale della sua relazione [..] esposto fra l’altro, in un apposito capitolo, i criteri ai quali intendeva conformarsi [..]”. In virtù del possesso dei requisiti e del riferimento ai criteri citati, secondo il GIP non è quindi possibile che quanto accaduto “sia stato il frutto di una semplice negligenza, di una mera imperizia, di una banale incompetenza”. Superando lo scontato appunto circa l'apparente assenza di alcun riferimento alla colpa specifica25, che – forse – meglio si attaglierebbe ad un'azione che resta pur sempre regolata da requisiti previsti ex lege e da criteri enucleati dagli Ordini Professionali di riferimento, va sottolineato che tutte le procedure all'interno delle quali Riportava infatti ampi brani delle “Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella composizione negoziale della crisi d’impresa, elaborate dalla commissione di studio crisi e risanamento d’impresa del CNDCEC, dai documenti elaborati dalla Commissione Paritetica per i principi di Revisione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e Consiglio Nazionale dei Ragionieri “. 24CERADINI, L'attestatore, il punto (triste) sulla responsabilità penale, in Euroconference News, 21 gennaio 2015, “La diligenza del comportamento, che sino a ieri costituiva l'elemento discriminante dell'adempimento contrattuale del professionista e della conseguente sua eventuale responsabilità per danni cagionati, assume quindi anche un rilievo penale, nella misura in cui il Tribunale ne tragga la convinzione che l'attestatore abbia fornito un'informazione falsa, (mediante) l'adozione dei principi di controllo, o viceversa, avendoli adottati abbia omesso di utilizzarne gli elementi probativi ottenuti”. 25A meno di non far rientrare nella locuzione “incompetenza” la violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline. 23 8 può concretizzarsi il reato in questione prevedono che il professionista attestatore possieda i requisiti richiamati all’art. 67, terzo comma lett. d) l.f.26. Così per il concordato preventivo ex art. 161 l.f., per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f., per il concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.f., (nonchè per le disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-quinquies l.f.). Queste sono infatti le procedure all'interno delle quali può perfezionarsi il falso in attestazioni e relazioni, ed in ognuna di esse vi è un riferimento ai requisiti che il GIP di Torino fa assurgere a perno intorno al quale far ruotare l'impossibilità di configurare un condotta colposa dell'indagato. Senza quei requisiti, il professionista non è abilitato né titolato alla stesura di relazioni od attestazioni di cui all'art. 236-bis l.f. Certo, altro è commentare la motivazione di irrogazione di una misura interdittiva, ed altro sarà commentare le pronunce che verranno. Così come altro sarà commentare la tenuta di questo compendio probatorio e motivazionale, nonchè verificarne l'eventuale identità con le basi su cui poggerà il provvedimento definitorio di questa specifica vicenda. Resta però l'augurio che gli interpreti futuri non finiscano col mutuare pedissequamente quanto statuito dal GIP di Torino in questa pronuncia, e non perché essa appaia evidentemente forzata o priva di elementi di motivazione, ma perché dagli elementi di fatto a disposizione appare evidente come essa si riferisca ad un caso limite le cui peculiarità sono assolutamente singolari e non utilizzabili omnibus. Il GIP di Torino chiude infatti il provvedimento scrivendo: “Si deve pertanto ritenere che l’indagato abbia consapevolmente formulato le valutazioni in discorso, nella piena consapevolezza del fatto che esse non disponessero di alcuna concreta corrispondenza con affidabili dati di realtà, verosimilmente auspicando che il lettore della relazione potesse accontentarsi di questa [...]”. Non si hanno elementi per discostarsi da questa affermazione, anzi probabilmente ce ne sono a sufficienza per comprenderla – e magari anche per condividerla – ma bisogna restar saldi sul dato della singolarità della vicenda. 3.3. Il rapporto tra l'attestatore ed il debitore: le asimmetrie sanzionatorie È fuor di dubbio che il professionista sia oggi sovraesposto a rischi rilevanti grazie a questa norma. E grazie alla sua assai criticabile formulazione, il professionista lo è ancor di più per tutti quegli aspetti che riguardano la funzione ricognitiva ad egli affidata, a causa non solo di un recente passato contrassegnato dall'impunità dell'attestatore infedele, ma anche – e soprattutto – a cagione del marcato pregiudizio da cui è marcato per il fatto di essere retribuito dal debitore. per un corretto inquadramento sistematico dei requisiti richiesti dalla norma, dei rapporti con l'art. 28, lettere a) e b) l.f. ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile cfr. BERSANI, La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell’art. 236 bis l. f. fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, § 3, da www.ilcaso.it, Crisi d'Impresa e Fallimento, 21 gennaio 2015. 26 9 Tra i tanti limiti di questa norma – alcuni frutto di un sistema legislativo alluvionale27, altri frutto di una concezione panprivatizzante della crisi d'impresa28 – non può infatti non sottolinearsi quello della immunizzazione del debitore imprenditore, rispetto al quale va ricordato, il professionista non ha potere ispettivo autonomo29. Se infatti aggiungiamo a ciò la stigmatizzata previsione normativa in virtù della quale, all'omissione di informazioni rilevanti30 fa da pendant l'esposizione di qualsiasi informazione falsa, i rischi della creazione di una giurisprudenza contrassegnata da tratti di diritto penale dell'autore-attestatore diventano tutt'altro che peregrini. Anche in assenza di una interpretazione illuminata31 della discrasia appena esposta. A fronte di tali biasimevoli e biasimate discrasie32, il Legislatore ha infatti recentemente dimostrato come e quanto sia capace, quando vuole, di tenere presenti le Basti pensare che nel momento in cui si scrive, una nuova delega per la redazione di interventi di riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali è oggetto dei lavori della Commissione Ministeriale diretta dal Presidente RORDORF, insediatasi il 18 febbraio 2015, con termine individuato per i lavori nel 31 dicembre 2015. Tra i punti oggetto della delega vi è una generica valutazione circa la “necessità di ulteriori eventuali interventi di riordino”, nonché la “razionalizzazione della legge e semplificazione dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare”, la ricognizione “per il periodo 20102014, della durata e degli esiti dei procedimenti di concordato preventivo e di fallimento e all’adozione delle conseguenti misure funzionali”, ed infine l'individuazione di “linee generali di riforma della procedure concorsuali”. 28Cfr. sul punto LUPI, op. cit., “Le responsabilità del professionista attestatore si inquadrano in uno schema ricorrente – e forse gattopardesco – di travaso di decisioni dalle autorità pubbliche a soggetti privati. È come se le autorità pubbliche si chiamassero fuori, delegando scelte impegnative e delicate, e poi sanzionando il delegato nell'ipotesi in cui qualcosa, a posteriori, andasse male. In questa cornice pseudo-privatistica le autorità realizzano il proprio sogno proibito di non decidere o decidere sotto copertura, facendo riferimento a valutazioni di altri. [...] Da una simile idea nasce la preoccupazione che, se le cose vanno bene, sia merito della legge e non di chi ha deciso, criticato invece se nasce qualche problema. Ciò provoca sempre crescenti deresponsabilizzazioni nelle autorità chiamate a prendere decisioni di opportunità, non giustificabili con meccanici richiami alla normativa, come può fare la magistratura giudicante e non invece quella fallimentare. Quest'ultima non è infatti nella posizione statica tipica del giudice, ma deve prendere decisioni di opportunità economica prospettica, soggette a potenziali critiche di negligenza, basate sul «senno di poi» se qualcosa dovesse andare male. Tali responsabilità possono essere oggi meglio scaricate sul professionista.” 29LAUDONIA, Il professionista “attestatore infedele” nel concordato preventivo: profili penali, in Gazzetta Forense, Marzo – Aprile 2014, Giapeto Editore, Napoli, pag. 36. 30Sul concetto di rilevanza VITIELLO, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Giuffrè, Milano, 2013 pag. 20. 31BRICCHETTI E PISTORELLI, in op. cit., “[...] se interpretata letteralmente, la norma incriminatrice finisce per rivelare un'asimmetria tra le condotte prese in considerazione, giacché qualsiasi falsità commissiva, ancorché a oggetto dati di scarsa rilevanza, rischia di integrare il reato di nuovo conio a fronte della previsione, invece, di una più restrittiva modulazione della tipicità delle falsità omissive. Distonia questa non facilmente giustificabile e che potrebbe dunque suggerire interpretazioni tese a estendere il requisito di rilevanza anche alla condotta commissiva”. 32Sia tollerata sul punto l'autocitazione: B AFFI, in op. cit., “In realtà il primo comma della norma suscita già a prima lettura un serio interrogativo: la condotta omissiva è, in qualche modo, para-tassativizzata dall’ombrello della rilevanza, mentre per quel che riguarda la condotta commissiva, almeno a giudicare dal tenore letterale, l’esposizione di qualsiasi informazione falsa è bastevole perché il reato sia integrato. I sessanta giorni necessari per la conversione del decreto legge non sono bastati al nostro Parlamento per correggere questa palese disarmonia, introducendo almeno il criterio della rilevanza quale canone di qualificazione delle informazioni che possono esporre del professionista alla contestazione di falso in attestazioni e relazioni. [...] A ben vedere, però, il requisito della rilevanza è in re ipsa un elemento in grado di suscitare dubbi in merito al rispetto dei canoni di tassatività e determinatezza; ce lo testimoniano la storia e l’evoluzione degli articoli 2621 e 2622 C.C., con il lunghissimo dibattito creato da dottrina 27 10 problematiche sottese al rapporto tra il privato che fornisce contenuti documentali ed il professionista destinato ad espletare un incarico di rilevanza lato sensu attestativa. È il caso dell'art. 5-septies della L. 227/90 recentemente introdotto dall'art. 1 della L. 15 dicembre 2014, n. 186 “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonchè per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”. La norma rubricata “Esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero” prevede che “L'autore della violazione [...] che, nell'ambito della procedura di collaborazione volontaria [...] esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni”. Ma soprattutto, al secondo comma stabilisce che “L'autore della violazione […] deve rilasciare al professionista che lo assiste nell'ambito della procedura di collaborazione volontaria una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesta che gli atti o documenti consegnati per l'espletamento dell'incarico non sono falsi e che i dati e notizie forniti sono rispondenti al vero”. In questo delicatissimo frangente, relativo al rapporto triangolare tra il privato aderente alla procedura, il professionista incaricato e l'Agenzia delle Entrate, il Legislatore ha quindi dimostrato particolare attenzione al tema, nonostante l'oggetto del rapporto sia di natura fiscale e quindi di particolare delicatezza ed importanza in termini di interesse per l'esercizio di una potestà statuale. Il risultato è una mirabile asimmetria rispetto a quanto operato con l'art. 236-bis l.f. che – come lucidamente sottolineato a poca distanza dalla sua entrata in vigore – comporta una “poderosa irrazionalità nel trattamento sanzionatorio di due dei soggetti che si muovono nel teatro della crisi di impresa”33. Rispetto a quanto avviene oggi con la cd. Voluntary disclosure, in ambito 236-bis l.f., il professionista viene gravemente sanzionato in caso di attestazione lato sensu infedele34, mentre il vero beneficiario dell'attestazione rimane esente da responsabilità penale35. Anzi, paradosso dei paradossi, salve sul tema le clausole di estensione della e giurisprudenza attorno al concetto di rilevanza, seppur diversamente inteso ed articolato dalle norme sulle false comunicazioni sociali, rispetto a quella sulla falsità delle informazioni attestate dal professionista. [...] Anche a fronte di un indice concreto come la patrimonializzazione delle soglie di rilevanza, ci sono voluti, infatti, anni di confronti e contributi per stabilire, ad esempio, quali fossero il bene giuridico protetto dalla norma, la natura giuridica delle soglie, i margini di sopravvivenza del concetto di “falso qualitativo”. Eppure quella norma dagli orizzonti liquescenti era, in termini di tassatività e determinatezza, ben più precisa di quanto non appaia a prima vista questa”. 33CONSULICH, in op. cit. 34Sul punto FIORELLA E MASUCCI, Gestione dell'impresa e reati fallimentari, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 134, “Vi è la possibilità di concepire la funzione certificativa dell'atto nel senso di farla ricadere sulla veridicità dei dati contabili, patrimoniali e finanziari indicati dall'impresa; dovendo tuttavia chiarirsi in che misura tale costruzione si concilii con i poteri attribuiti al professionista, tra i quali non pare annoverarsi – non emergendo dalla legge – alcuna potestà autonoma accertativa o istruttoria rispetto a quanto dichiarato o riferito dal debitore”. 35Sui possibili correttivi cfr. B RESCIA, Le attestazioni del professionista nella legge fallimentare, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2014, pag. 406, “La valutazione rigorosa della sussistenza dell’elemento psicologico limiterebbe tuttavia di non poco il rischio, oggettivamente ampio e concretamente esistente, di incorrere nel reato, posto che da una parte non è detto che all’attestatore siano fornite tutte le informazioni (essendo invece probabile il contrario) e dall’altra parte bilancerebbe il concetto “eccessivamente soggettivo” di rilevanza dell’informazione. Pertanto in concreto nel tentativo di ricondurre ad unità il modus procedendi dell’attestatore, si potrebbe ipotizzare 11 punibilità ex art. 110 c.p. e sgg.36 il debitore è punibile, esattamente come nel passato, solo nel caso in cui l’attestazione falsa venga predisposta nell’ambito di un concordato preventivo da cui scaturisca un'imputazione ex art. 236 l.f.: lo statuto del debitore e delle sue responsabilità nell'ambito delle procedure, dopo tanto rumore, continua quindi ad atteggiarsi in maniera esattamente identica al pre-riforma del 2012. 4. I princìpi CNDCEC: natura, limiti e possibili rischi. Circa le lacune di formulazione della norma vi è però da sottolineare un dato, indipendente dalla pronuncia ma ad essa collegabile in termini di applicazione futura della disposizione secondo l'orientamento del GIP di Torino: di poche settimane successiva all'ordinanza è infatti l'approvazione dei Principi di attestazione dei piani di risanamento da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili37, pubblicazione ad opera di un gruppo di lavoro composto, tra gli altri, dall'Istituto di ricerca dei Dottori commercialisti ed Esperti Contabili (IRDCEC) e dall'Accademia italiana di economia aziendale (AIDEA). Proprio per sopperire alle carenze di formulazione della norma, sono quindi nati i Principi di attestazione nei piani di risanamento, come espressamente riportato tra i profili generali dei principi di attestazione ove al punto 1.5, voce principi e responsabilità si legge “Con l’introduzione nella legge fallimentare del nuovo art. 236-bis [...], l’Attestatore assume, infatti, nuove responsabilità, tanto più che il legislatore non ha precisato cosa si intenda per informazioni false e informazioni rilevanti, la cui esposizione od omissione rilevano penalmente. Si rende perciò necessario, oggi più che in precedenza, permettere agli Attestatori di svolgere il proprio incarico con una certa sicurezza e tranquillità, ai creditori di esprimere il proprio voto con cognizione di causa e con convinzione e agli organi giudiziari di fare affidamento su norme di comportamento e procedure precise che non si prestino a varie interpretazioni.” Agli occhi di chi scrive, per tecnica di redazione prima ancora che per obiettivo, la pubblicazione tanto somiglia nel contenuto a quelle buone pratiche mediante il rispetto delle quali (insieme alle linee guida) la responsabilità penale per colpa lieve del medico è stata espunta dall'area del penalmente rilevante38. che la relazione sia sempre accompagnata “da una descrizione analitica dei documenti esaminati e delle informazioni ricevute dall’imprenditore”, con relativa sottoscrizione accertativa del debitore, potendo tale condotta essere ritenuta sufficiente a scriminare il reato”. 36 Sul punto BUCCARELLA, I "nuovi" accordi di ristrutturazione dei debiti, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 131. 37Approvati in data 3 settembre 2014, pubblicati in data 11 settembre 2014. Reperibili su www.cndcec.it con lettera di accompagnamento del Presidente CNDCEC recante l'inciso “Il documento vuole formulare principi e soprattutto proporre modelli comportamentali condivisi ed accettati riguardanti le attività che l'Attestatore deve svolgere. [..] i Principi cercano di ridurre le difficoltà che gli Attestatori incontrano ed aumentare le certezze sulle modalità operative da adottare e sui risultati da esporre”. 38ad opera del decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158 convertito in data 8 novembre 2012 dalla L n. 189, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2012, n. 263. Art. 3 - Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie 12 Non appaia un fuor d'opera questa constatazione: le buone prassi insieme alle linee guida spiegano oggi, grazie alla L. 189/12, una funzione di spartiacque tra ciò che è penalmente rilevante e ciò che non lo è. Evidente agli occhi di tutti è che ciò avvenga in una materia come la responsabilità professionale medica, nella quale le contestazioni a titolo di colpa, a differenza di quanto avviene con l'art. 236-bis l.f. punibile solo a titolo di dolo. Meno evidente appare il compendio di rischi connessi al mancato rispetto dei suddetti princìpi in materia di attestazione dei piani di risanamento, alla luce proprio del dictum del GIP di Torino: utilizzando in futuro il percorso motivazionale come quello della pronuncia in oggetto, edificato sui requisiti professionali dell'attestatore, nonché sull'eventuale riferimento ai criteri citati e sui princìpi di attestazione, non è affatto inverosimile prevedere l'apertura di pericolosi varchi nell'insidiosa breccia di un automatico dolo del professionista39. 4.1. Il rispetto dei princìpi CNDCEC e la valutazione da parte del dominus della procedura. Un veloce inciso infatti merita la concreta possibilità che il rispetto dei princìpi divenga oggetto di valutazione del dominus della procedura40, secondo una non peregrina ipotesi di applicazione del dictum delle Sezioni Unite Civili41 che qui si riporta: “Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione […]; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità 1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo. [..] 39Sul punto MARTIELLO, Art. 236-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione per debiti – Commento per articoli, a cura di NIGRO, SANDULLI E SANTORO, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 595. 40Sulla valutazione dell'operato dell'attestatore da parte del Tribunale in sede di omologa, ed il relativo rapporto con il vaglio del Giudice penale, D'ORAZIO, Falso in attestazioni e relazioni, in Le procedure di negoziazione della crisi dell'impresa, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 523. 41Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente P REDEN, Relatore PICCININNI, par. 19 “il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa del detto procedimento nel senso sopra delineato, mentre non può essere esteso ai profili concernenti il merito e la convenienza della proposta; c) agli eventuali difetti di informazione circa le condizioni di fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda. Tuttavia, ove espresso da parte dei creditori un giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano e mutate le condizioni rappresentate rispetto alle previsioni originarie per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni del debitore, soccorre l'intervenuta modifica della L.F., articolo 179, che impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l'eventuale modifica del voto precedentemente espresso”. 13 della causa concreta della procedura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile [..]”. Non appare peregrina a chi scrive la possibilità che tali assunti, letti insieme alla giurisprudenza inaugurata dal GIP di Torino ed ai princìpi CNDCEC, facciano sì che il mancato rispetto di questi ultimi sia ritenuto – anch'esso in re ipsa – motivo di rimessione degli atti in Procura per la contestazione del reato di cui all'art. 236-bis l.f. A ben leggere, l'inciso delle Sezioni Unite Civili sulle funzioni dell'attestatore non è infatti foriero di sonni tranquilli se analizzato oggi, alla luce dei princìpi CNDCEC. Ciò specialmente se si pone l'accento sulla malam partem relativa all'attestatore, rispetto alla bonam partem relativa al vaglio del “giudicante”42. Ed anche rispetto al momento consumativo del reato, la valutazione del giudicante sull'attestazione resta una rivoltella carica, spesso – ma non sempre – puntata in maniera paradossale sulla tempia dell'attestatore più che su quella del debitore. Dalle prime pronunce in ambito concordatario – e paraconcorsuale in genere – sul tema appare infatti evidente come all'interno del contenitore della causa concreta sia possibile inserire valutazioni che prima facie potevano sembrarne escluse, come dimostrato dalla pronuncia del Tribunale di Torino sui temi dello svuotamento della causa concreta del concordato, del vaglio da parte del Tribunale delle argomentazioni dell'attestatore e sulla fattibilità economica del concordato nonché sui rapporti tra la portata dell'art. 236-bis e l'art. 173 l.f.43. sempre Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente Preden, Relatore Piccininni, par. 12.4 “Al detto attestato deve infatti essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall'interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice. Ne consegue dunque che, pur non essendo un consulente del giudice – come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo –, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza [...] e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo. Deve dunque ritenersi che egli svolga funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, [...] circostanza questa che esclude che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni' di un suo ausiliario”. 43Trib. Torino, 20 maggio 2014, “Il punto, che resta in ombra […], è il discrimine tra giudizio di fattibilità economica e verifica da parte del tribunale della “manifesta” mancanza di causa in concreto e il nesso tra quest’ultima e il controllo sulla coerenza e logicità dell’attestazione. Pur senza pretesa di esaurire la materia, si possono svolgere due osservazioni. Primo. Se l’attestazione “espone informazioni false ovvero omette di fornire informazioni rilevanti”, la condotta si qualifica come reato proprio dell’attestatore, procedibile d’ufficio (art. 236-bis l.f.). È coerente con tale qualificazione penalistica che la materia, anche agli effetti della procedura di concordato, ricada nella sfera di controllo del tribunale, ergo non possa ritenersi riservata al solo consenso informato dei creditori; [..] Secondo. Malgrado la pretesa riserva delle questioni inerenti la fattibilità economica al solo consenso informato dei creditori, persiste il controllo del tribunale, se: 1) l’attestazione, pur fornendo una rappresentazione non infedele del nucleo dei fatti sottesi alla prognosi di fattibilità, trae conclusioni manifestamente incoerenti con tali premesse; e 2) lo scostamento tra i dati previsionali dell’attestatore e una ragionevole previsione su quelle premesse di fatto è di tale entità da lasciare presumere ex ante il mancato soddisfacimento anche solo ipotetico e parziale dei creditori. [...] In definitiva, se è vero che di massima le prognosi e valutazioni formulate dall’attestatore attengono alla fattibilità economica (Cass. n. 24970) e che il giudizio di fattibilità economica spetta di massima ai soli creditori, tuttavia appaiono esistere prognosi e valutazioni che il tribunale legittimamente può sottoporre a verifica perché formulate: 1) assumendo dati di fatto falsi; 2) tacendo dati di fatto veri, rilevanti secondo un canone di normalità ai fini del giudizio prognostico; 3) discostandosi in modo manifestamente incoerente da una pur genuina rappresentazione del quadro delle circostanze fattuali. Su queste premesse, la linea di confine tra la manifesta irrealizzabilità, di fronte alla quale 42 14 5. L'indagine sull'elemento psicologico. Chiusa questa invasione di campo, i princìpi potranno spiegare la loro funzione – rectius ambizione – paraordinamentale di eterointegrazione del 236-bis l.f. solo se gli interpreti istituzionali di Procure e Tribunali non si faranno ammaliare dalla concreta possibilità di utilizzare i medesimi come fondamento di contestazioni ad automatico titolo di dolo. Il problema appare di non poco conto, dal momento che se si estende il ragionamento contenuto nell'ordinanza citata, nella qualificazione giuridica data dal Giudice o nella imputazione mossa dal PM, il professionista che violi i princìpi verosimilmente non verserà in una colpa non punibile. E forse, maliziosamente potremmo aggiungere l'inciso “proprio perché non punibile”. Appare invece verosimile che proprio in virtù delle competenze – automaticamente sussistenti in presenza dei requisiti di cui all'art. 67 co.3 lett. D l.f.44 – l'atteggiamento psicologico del professionista verrà facilmente ricondotto nell'alveo del dolo. Qualora infatti si ripercorresse il dictum del GIP di Torino senza adattarlo alle peculiarità dei singoli casi concreti che verranno, quel che nel caso di specie si appalesa come dolo quantomeno generico, in casi meno marchiani potrebbe prestarsi alla truffa delle etichette, ed essere quindi contrassegnato da un dolo di particolare pericolosità. Paradossalmente proprio col contributo dei princìpi CNDCEC. Non esistendo infatti una condotta colposa punibile, la necessaria rigorosa indagine circa l'elemento psicologico del reato de quo rischia di estrinsecarsi lungo un asse passibile di rilevante torsione ermeneutica. L'interprete, posto innanzi all'annosa alternativa tra un forzato dolo in grado di rendere punibile la condotta, ed una evidente colpa – magari specifica, magari con previsione – in grado di rendere il fatto insussumibile nell'archetipo normativo per difetto dell'elemento psicologico, verosimilmente propenderebbe verso la prima ipotesi pur di evitare che la condotta lato sensu infedele resti impunita. 5.1. Dolus in re ipsa? Si è in precedenza speso un inciso sulla pericolosa possibilità di ricondurre la contestazione mossa al professionista nell'alveo dei reati sorretti dalla presenza di un “non c’è da effettuare valutazioni o da assumere rischi di sorta” (Cass. 24970) e il giudizio di fattibilità che “fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un fattore rischio per gli interessati” (Cass. 1513) passa dunque lungo lo spartiacque segnato dalla rappresentazione veritiera, non irrealistica del quadro delle circostanze fattuali e dalla non manifesta incoerenza e irragionevolezza delle conclusioni rispetto alle premesse di fatto”, da www.ilcaso.it. 44Cfr. sul punto la relazione CNDCEC n. 30/IR-2013 pag. 17, “L'espressa menzione di precipui requisiti soggettivi in capo all'attestatore, pertanto induce a concludere che l'attestazione sottoscritta da un soggetto che ne sia privo sia invalida” da www.cndcec.it. 15 elemento psicologico come detto “più vicino ad un dolus in re ipsa che ad una colpa con previsione”, anche grazie allo stigma che contraddistingue un soggetto su cui incombono oneri attestativi rilevanti per la procedura, ma che al contempo resta sempre contrassegnato dal pregiudizio di essere retribuito dal debitore45. Appare quindi il caso da un lato di ripercorrere le critiche e l'inquadramento del dolus in re ipsa e dall'altro analizzare le peculiarità del dolo eventuale nei reati di falso, e ciò per dimostrare che purtroppo il nemico è dietro l'angolo. Ovviamente esigenze di sintesi impediscono qualsiasi forma di esegesi, ed i riferimenti vanno in questa sede considerati senza alcuna pretesa di esaustività46, ma al solo fine di motivare le preoccupazioni legate ad alcune tra le possibili forme utilizzo della norma47. Riportare pedissequamente le parole di Antolisei può in questo caso rappresentare una prima soluzione per affrontare i nodi centrali delle questioni che si pongono oggi con il reato di cui all'art. 236-bis l.f.: “La più cruda espressione del rigorismo dominante è costituita dal principio […] del dolus in re ipsa e cioè del principio secondo cui il dolo è insito nel fatto stesso della falsificazione. [...] La coscienza giuridica moderna ripudia nel modo più reciso il rozzo principio, ed esige perentoriamente che il dolo in quanto requisito essenziale del reato, sia sempre provato, pur riconoscendo che l'indagine relativa deve svolgersi con particolari modalità che la natura delle cose rende inevitabili”48. Richiamare invece il contributo di Bricola può inoltre rappresentare il file rouge lungo il quale iniziare e concludere il passaggio sull'elemento psicologico: “Di dolus in re ipsa nei delitti contro la fede pubblica è lecito parlare solo allorché si restringe il dolo alla «coscienza e volontà dell'immutatio veri», cioè lo si circoscriva ad una nozione inconsistente, il che porta al risultato pratico di far presumere l'elemento psichico nel comportamento materiale”49. Peraltro in un contesto che ha visto l'avvicendarsi di disposizioni normative ed orientamenti della Suprema Corte antitetici in materia di prededucibilità dei compensi spettanti al professionista incaricato di predispone attestazioni e relazioni. Sul punto cfr. DI DIEGO e MICOZZI, La responsabilità civile e penale dell’esperto nelle procedure concorsuali, in Piano industriale e crisi d'impresa, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012, pag. 272. 46insuperato perno scientifico sul tema resta a distanza di più di cinquant'anni l'opera del Maestro dei Maestri BRICOLA, Dolus in re ipsa. Osservazioni in tema di oggetto e di accertamento del dolo, Giuffrè, Milano, 1960. 47Così BRESCIA, in op. cit. “Sul piano dell’elemento psichico del reato ex art. 236 bis l.f. va tenuto conto che, secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di falsità in atti, nonché della dottrina, il dolo non può ritenersi implicito nella materialità del fatto, vale a dire in re ipsa e, quindi, va rigorosamente provato. L’accertamento dell’elemento psichico doloso è particolarmente complesso e delicato, soprattutto nella ipotesi di omissione di informazioni, in cui non è agevole distinguere i casi di falsità consapevole da quelli di falsità dovuta a semplice negligenza o imperizia e quindi riconducibili a mera colpa. La valutazione rigorosa della sussistenza dell’elemento psicologico limiterebbe tuttavia di non poco il rischio, oggettivamente ampio e concretamente esistente, di incorrere nel reato, posto che da una parte non è detto che all’attestatore siano fornite tutte le informazioni (essendo invece probabile il contrario) e dall’altra parte bilancerebbe il concetto “eccessivamente soggettivo” di rilevanza dell’informazione”. 48ANTOLISEI, in Manuale di diritto penale: Parte speciale, Volume 2, Giuffrè, Milano, Ed. 2008, pag. 79. 49BRICOLA, in op. cit. Alcuni casi dottrinali e giurisprudenziali di dolus in re ipsa – Due casi di dolus in re ipsa nei reati formali. Dolus in re ipsa nei reati di falso: necessità di un superamento dell'oggettività giuridica di tali reati, pag. 141. 45 16 I riferimenti precedenti non appaiano superflui: l'indagine sull'elemento psicologico nei reati di falso è storicamente terreno scivoloso, e tutto in salita se percorso lungo vie che siano compatibili con un impianto della responsabilità penale costituzionalmente orientato (e volendo fare un salto nel passato, alla genesi del Codice, da un lato il dolo eventuale nella modalità rappresentativo-centrica non sarebbe compatibile nemmeno col codice stesso, almeno nell'idea di chi lo ha redatto e che sul punto nei lavori preparatori disse testualmente “Dice il commissario Marciano che allora vi è un dolo indiretto, e dice il commissario Ferri che vi è un dolo eventuale. Ma che cosa sono queste distinzioni del dolo? Esse sono finite tutte nel nulla: o l’evento dannoso è voluto, e c’è dolo, o non è voluto e non c’è dolo”)50. Dall'altro però relativamente ai reati di falso, la relazione illustrativa al Codice Rocco recava l'inciso “è sufficiente agire con la coscienza e la volontà di perpetrare il falso, anche se non sussista il proposito di arrecare d altri un danno, o di procurare a sé e ad altri un vantaggio”)51. Evidente quindi che pur di reprimere penalmente la condotta perseguendo il reato, l'interprete istituzionale potrebbe facilmente percorrere le ben più comode strade lastricate dalla progressiva erosione di una effettiva indagine sull'elemento psicologico. Ciò a favore di una discutibile indagine sul dolo che poggi le sue basi sulla concezione normativa del dolo stesso, concezione presa in prestito dalla colpa, con buona pace dell'art. 27 co. 1 Cost. È qui che per un attimo dobbiamo dimenticare la macroscopicità del caso di specie ed immaginare la possibile applicazione futura del dictum del GIP di Torino, perché solo così avremo la prova tangibile della sostanziale applicazione del dolus in re ipsa nel caso in cui il falso di cui all'art. 236-bis l.f. venga contestato senza una scrupolosa indagine sull'elemento psicologico. Adattando il dictum del GIP ad un ideale caso, futuro e meno lapalissiano del presente, contestato a titolo di dolo eventuale o a sostanziale titolo di dolus in re ipsa, avrem(m)o infatti da un lato il modello di comportamento considerato doveroso (quello dei requisiti, dei criteri, dei princìpi) e dall'altro quello concreto tenuto dal professionista, rilevandosi il dolo (eventuale o in re ipsa) di quest'ultimo come fornito dallo iato tra l'azione doverosa e quella tenuta. Con il solo argine quindi di una valutazione del quoad poenam, che non potrebbe non tener conto dell'indice di cui all'art. 133 c.p. in termini di un'intensità di un dolo che in realtà, nei comuni casi di malpractice professionale colposa, non c'è. Ponti d'oro al dolus in re ipsa, non sorretto da alcuna indagine sulla componente volitiva, e desunto solo ed unicamente per presunzione, dall'inosservanza di una regola, con il risultato di far ricadere nel dolo un'assenza di diligenza, che dovrebbe MANGINI, (a cura di), Verbali della Commissione ministeriale, in Codice penale illustrato con i lavori preparatori, Colombo Ed., Roma, 1930, pag. 47. 51ROCCO, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Tipografia delle Mantellate per il Ministero della Giustizia e degli affari di culto, Roma, 1929. 50 17 essere aliena ad esso, e riconducibile alla sola responsabilità colposa (e quindi non punibile)52. 5.2. Dolo eventuale? Terreno scivoloso si diceva, reso ancor più infido dal contenuto delle attestazioni del professionista, perché queste rappresentano spesso il punto di crisi nella distinzione tra dichiarazione di scienza ed espressione di un giudizio ovvero tra giudizi di fatto e giudizi di valore. Come eminentemente sottolineato53 su questioni del tutto sovrapponibili a quella che qui interessa, tale tipo di distinzione comporta – rectius: dovrebbe comportare – l'esclusione della configurabilità dei reati di falso ideologico quando oggetto delle dichiarazioni – come le attestazioni del professionista – sia un giudizio di valore. Va infatti, tenuto presente che le dichiarazioni di giudizio scaturiscono dall'analisi di fattori la cui interpretazione non è inequivocabile, essendo il risultato di valutazioni soggettive e, quindi insuscettibili di verifica secondo il parametro vero/falso, ma, semmai, secondo il parametro corretto/errato. Ne discende l’impossibilità di porre a verifica il giudizio, ossia di controllare se le affermazioni contenute nell’atto siano il frutto delle convinzioni del redattore, oppure siano il risultato di un atteggiamento infedele. Abbandonando per un attimo la teoria più conveniente ovvero quella in virtù della quale sono solo gli atti constatativi o descrittivi a poter essere veri o falsi, e facendo proprio l'orientamento in virtù del quale il falso ha rilevanza anche quando ha ad oggetto valutazioni, “il modello vero/falso, […] potrà applicarsi solamente quando i parametri normativi siano incontrovertibili. Se questi, viceversa, sono dotati di una pur minima duttilità, allora lo schema da adottare non potrà che essere quello del corretto/errato”54. E per quanto attiene ai parametri posti alla base delle attestazioni del professionista, chi scrive non è eufemisticamente certo della loro relativa incontrovertibilità, indipendentemente dai princìpi CNDCEC55. Rectius: se con una fictio volessimo ritenere certi i parametri di cui ai princìpi di attestazione richiamati, ciò sarebbe forse possibile per quanto attiene alla funzione ricognitiva56 del professionista, ma non certo per quella valutativa57. Sugli standard della prova del dolo del professionista, IADECOLA, Attività professionali e reati di falso, relazione al Convegno organizzato dall’associazione Ciceroassogiur, Frosinone, 9 novembre 2007, www.ciceroassogiur.it, anche in Giurisprudenza di Merito, Giuffrè, Milano, 2009, ppg. 863 e sgg. 53CATERINI, Il dolo eventuale e l’errore su norma extrapenale nei reati di falso ideologico, in L'indice penale – n. 1/2007, Cedam, Padova, 2007, ppg. 116 e sgg. 54Così CATERINI, ibidem 55Cfr. sulla questione il punto 1.7 – Portata e limiti naturali dell’attestazione – dei citati princìpi CNDCEC: “Come in ogni altra attività professionale, l’obbligazione dell’Attestatore è una obbligazione di mezzi. [...] L’attestazione implica un giudizio prognostico che talvolta può non trovare conferma nello svilupparsi dei fatti e nei successivi accadimenti. […] Per la natura essenzialmente previsionale del piano di risanamento, l’Attestatore, a differenza del revisore legale, non potrà mai fornire una reasonable assurance, stanti i maggiori rischi che caratterizzano il giudizio di fattibilità del piano e il tempo a disposizione per gli accertamenti”. 52 18 E poiché di questo lungo excursus urge tirare le fila, va rimarcato ancora una volta che l'oggetto materiale delle attestazioni e relazioni di cui all'art. 236-bis l.f. riguarda prettamente giudizi di valore, rispetto ai quali il giudice penale compie sempre una valutazione soggettiva ex post. Peraltro sulla scorta dello schema corretto/errato e non sulla scorta di quello vero/falso. Basti pensare che, paradossalmente, persino le conclusioni dell'attestatore circa la fattibilità dell'iperbolico piano nell'iperbolico caso in oggetto possono ricondursi più facilmente allo schema corretto/errato che allo schema vero/falso. Come visto in precedenza, va inoltre rimarcato che da un lato il reato si perfeziona con l'entrata dell'attestazione nella procedura, e dall'altro la tenuta dell'attestazione rispetto al buon esito della procedura stessa può invece rivelarsi, in positivo come in negativo, anche ad una certa distanza dal momento consumativo. Tenuto presente che lo schema corretto/errato è foriero di una serie di soluzioni intermedie tra le due che ne sono oggetto, anche per quanto attiene la stragrande maggioranza delle valutazioni oggetto delle attestazioni del professionista va condiviso quanto sostenuto dalla dottrina citata: l'ammissione della compatibilità tra il modello corretto/errato ed il concetto di probabilità proprio del dolo eventuale comporterebbe una nuova ed ulteriore dilatazione dell'area del penalmente rilevante attraverso il conio della “probabilità della possibilità”. Ne conseguirebbe un tipo di evento non integrabile in un “dato obiettivamente accertabile”, ma viceversa pericolosamente integrato nella “diversa interpretazione della vicenda data dal giudice e dal discostarsi della condotta dell’agente da quella particolare sfera del doveroso individuata sempre dal giudice”58. 5.3. Le possibili soluzioni. Se il tutto si riduce, come si riduce, alla censura dell'agente che si è discostato dalla condotta doverosa individuata dal giudice ex post, è evidente che la truffa delle etichette è pronta per essere servita, forse sul piatto del dolo eventuale, forse sul piatto del dolus in re ipsa. Inutile dire che entrambe le ipotesi preoccupano: la prima però, se da un lato vede riemergere i problemi sottesi all'individuazione della linea di confine aldilà della Sull'allargamento del “perimetro semantico della nozione di informazioni”, AMBROSINI, Il delitto di falso in attestazioni e relazioni, in Le altre procedure concorsuali – Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da VASSALLI, LUISO, GABRIELLI, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 458. 57Sull'esclusione dall'ambito di applicazione della norma delle attestazioni e delle relazioni del professionista aventi portata interpretativa e quindi di conseguenza valutativa a carattere congetturale, FIORELLA e MASUCCI, La responsabilità penale del professionista incaricato di attestare l'idoneità del piano di pagamenti, del concordato preventivo, o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, in AA. VV., Gli effetti del fallimento, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 973. 58Così CATERINI, in op. cit. 56 19 quale si versa in dolo eventuale nei reati di mera condotta59 come il 236-bis l.f., dall'altro vede un importante contributo della dottrina60 per risolvere tali problemi. Abbandonando per un attimo la condivisibile opinione in virtù della quale “Accettare il rischio della verificazione dell’evento [...] è atteggiamento completamente differente dal volere l’evento oggetto del rischio. Accettare il rischio significa rischiare, ossia un atto soggettivo che rientra nell’imprudenza e nella temerarietà , non nel dolo”61, va sottolineato che secondo la citata dottrina l'atteggiamento psicologico riconducibile al dolo eventuale sarà integrato qualora l’agente, innanzi al dubbio, si rappresenti uno stato di rischio di realizzazione della fattispecie penalmente rilevante, il quale sia da un lato non consentito,e dall'altro, contemporaneamente non considerabile dall'homo eiusdem conditionis et professionis posto nelle stesse condizioni in cui si trovava l’agente al momento dell'azione. Viceversa, qualora il medesimo rischio sia passibile d'esser preso in considerazione dal medesimo agente modello, posto nella medesima condizione di cui alla precedente ipotesi, il dubbio sarà ascrivibile a titolo di colpa. Ribadendo quanto in premessa circa la non esaustività dell'indagine sul tema, si auspica che il precedente passaggio possa però essere considerato sufficiente a chiudere la parentesi del dolo eventuale e (ri)aprire quella del possibile dolus in re ipsa dell'attestatore. A ben vedere, ripercorrendo il dictum del GIP di Torino, del dolo eventuale potrebbe in futuro non esserci nemmeno il bisogno, stante la presunzione assoluta di conoscenza dei princìpi CNDCEC da parte del professionista, dal momento che, secondo l'orientamento inaugurato dal GIP di Torino, proprio tale presunzione comporta che qualsiasi violazione ad essi relativa valga a fondare la prova di un dolo diretto. Anche in questo frangente, nel quale sono possibili le più svariate modalità di condotta del soggetto agente, va forse rimarcata l'assenza di quella terza via ritenuta condivisibilmente fondamentale62, ovvero di una recklessness, di “un titolo di responsabilità intermedio tra dolo e colpa” da poter utilizzare anche per le condotte professionali. E forse vanno rimarcati da un lato le colpe di una categoria che ha per anni messo la testa sotto la sabbia per non vedere né sanzionare disciplinarmente gli scempi compiuti in nome del tentativo di salvataggio dell'impresa in crisi, e dall'altro il Rispetto ai quali purtroppo limitata efficacia ermeneutica spiegano i recenti contributi delle Sezioni Unite su reati dalla diversa struttura, con le sentenze Thyssenkrupp (SS.UU., sentenza 18.09.2014, n. 38343) e Nocera: (SS.UU., sentenza 30.03.2010, n. 12433). 60 CANESTRARI, Dolus eventualis e colpa cosciente nell'ambito delle diverse tipologie dei c.d. reati di pura condotta, in Dolo eventuale e colpa cosciente: ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 206-207. 61FORTE, Ai confini fra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 252 e sgg. 62VIGANÒ, Il dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, in questa Rivista, 31 marzo 2014, precedentemente in Il libro dell’anno del diritto, Treccani, 2013. Contra, CANESTRARI, La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nei contesti a rischio di base «consentito», in questa Rivista, 6 febbraio 2013, già Relazione al Convegno organizzato dall’Associazione Franco Bricola, «Reato colposo e modelli di responsabilità. Le forme attuali di un paradigma classico», Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna, 23-24 marzo 2012. 59 20 pregiudizio che tale condotta “di categoria” ha generato nei confronti del professionista attestatore, che da Procure e Tribunali viene visto con sospetto oggi grazie agli abusi di ieri. Non siano interpretate queste parole come incisi moralizzanti: sono solo e semplicemente constatazioni circa gli elementi che, insieme alla sistematica panprivatizzazione della crisi di impresa – ed alla relativa deresponsabilizzazione dei veri pubblici ufficiali delle procedure – rischiano di orientare negativamente il convincimento di chi valuta l'operato dell'attestatore. Peraltro ex post, chiudendo così definitivamente quel cerchio con cui il sistema della composizione della crisi d'impresa, come novellato, pone in capo all'attestatore funzioni che dovrebbero essere pubblicistiche, sollevando invece i soggetti istituzionali da responsabilità e rischi di cui al contempo invece carica il professionista. La possibile violazione dei princìpi, letta insieme alla disinvoltura ed all'impunità di ieri, potrebbe essere vista oggi con la lente deformata dell'individuazione di un predeterminato tipo d'autore, nei confronti del quale il soggetto che procede, o che giudica un fatto di reato di cui all'art. 236-bis l.f. rischia di avere meno remore del necessario quando si tratti di optare per la forzatura di una categoria di imputazione, al fine di rendere punibile una condotta che senza quella forzatura punibile non sarebbe. A ben vedere, il rischio della forzatura esiste, e la struttura della norma non aiuta ad evitarlo: il 236-bis l.f. come un Giano bifronte si atteggia da un lato come i ben più noti e diffusi reati di falso ideologico codicistici, e dall'altro come un falso in scrittura privata o come false comunicazioni sociali. Ma con orizzonti però ancor più liquescenti63. Ha cornici edittali – nonchè profili rinvenibili nella concezione di immutatio veri – assimilabili al primo, ma non si perfeziona con la sua redazione, bensì con la sua entrata nella procedura, con atteggiamento quindi più proprio dei secondi. Ed a voler dirla tutta, nasconde profili da falso in perizia, almeno nell'interpretazione dell'attestazione che – come dimostrato in precedenza – hanno iniziato a fornire i Giudici delle procedure. Questa natura ibrida ed ambivalente finisce col pregiudicare l'interprete, il quale ad esempio non ha allo stato contezza dei margini di applicabilità in tale ambito di categorie del falso inoffensivo come il falso grossolano ed il falso innocuo64: di tal che la tipicità ancorché apparente sarà sempre tipicità, con buona pace dell'art. 49 c.p., della concezione realistica dell'illecito e del principio di offensività. NAPOLEONI, Gli orizzonti liquescenti delle false comunicazioni sociali: il delitto di cui all’art. 2621 c.c. come reato di pura omissione, in Cassazione Penale, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 295. 64Sul punto AMBROSETTI, voce Art. 236 bis l. fall.: «falso in attestazioni e relazioni», in Addenda a Diritto penale dell’impresa, Zanichelli, Torino, 2014, pag. 14. BRESCIA., in op. cit., pag. 395, CONSULICH, in op. cit., pag. 619, FIORE, Nuove funzioni e vecchie questioni per il diritto penale nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione:dal decreto "crescita"al decreto del "fare", AA.VV., Ipsoa, Milano, 2013, pag. 1193, LAUDONIA, in op. cit., pag. 34, MAPELLI, Il Il reato dell'attestatore, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di CAIAFA E ROMEO, Cedam, Padova, 2014, pag. 956, MONTELEONE, in op. cit., pag. 7. 63 21 Ed allora, tenendo sempre presenti le parole di Rocco in sede di relazione illustrativa65 del codice, va probabilmente revocato in dubbio che si possa correttamente parlare di vero e proprio dolus in re ipsa dell'attestatore, e va chiesto soccorso al prezioso insegnamento del Bricola per giungere alla conclusione di questo discorso sull'elemento psicologico. Affrontando tali temi risuona ancor oggi l'eco delle sue parole in materia di sussistente univocità oggettiva, ed assenza di univocità soggettiva nei reati di falso, dal momento che l'azione del falsificare è sempre “teleologicamente orientata verso un fine che è l'opposto di quello intrinseco all'oggetto su cui essa cade”, ma tale assunto “non importa necessariamente una pregnanza in senso soggettivo dell'azione del falsificatore, tale da dispensare dall'indagine sull'elemento psichico”. Tale assunto fa sì che ci si trovi quindi “al di fuori di ogni presunzione, e nel campo di una semplificazione della prova”, con la naturale conseguenza di porre in capo all'organo dell'accusa la ricerca della prova non solo di coscienza e volontà del fatto, ma anche “dell'atteggiamento psichico del soggetto in rapporto all'offesa”. Anche per quel che riguarda la prova della fattispecie obiettiva, veniva rimarcato come “il passaggio probatorio relativo alla sussistenza dell'offesa dell'interesse specifico” possa essere semplificato dalle “circostanze delle singole fattispecie concrete di falso” a patto che ciò avvenga attraverso lo schema della presunzione semplice e mai attraverso una presunzione juris tantum tale da comportare inversioni dell'onere di prova, onere che resta e deve restare in capo all'accusa. A fortiori fondamentale per l'analisi delle questioni che ci riguardano risulta quindi l'assunto in materia di percorso verso “la prova della consapevolezza (con accettazione del rischio) di offendere l'interesse specifico”, che deve essere di tipo complesso, attraverso “il passaggio dal fatto noto al fatto ignoto, che costituisce il substrato della presunzione semplice, da corredare con un maggior numero di illazioni congetturali criticamente vagliate”66. 5.4. La condotta ideale dell'agente modello. Proprio in tema di illazioni congetturali criticamente vagliate, ecco ritornare quindi alla carica uno dei problemi principali creati da questa norma e dal compendio di ROCCO, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, cit., pag. 257, par. 514 “In ordine all'elemento subbiettivo, non mi sono discostato, nelle falsità in atto pubblico, dal Codice vigente; non ho richiesto cioè, nell'agente – pubblico ufficiale o privato –, alcun fine speciale. È sufficiente agire con la coscienza e volontà di perpetrare un falso, anche se non sussista il proposito di arrecare ad altri un danno o di procurare, a sé o ad altri, un vantaggio. Era qui necessario riaffermare vigorosamente il principio che in tema di atti pubblici in genere non è lecito, qualunque sia il fine, formare ciò che non esiste o alterare il vero. Per le scritture private, invece, ho richiesto il fine di procurare un vantaggio a sé o ad altri, ovvero di recare ad altri un danno. Ho aderito cosi ai voti della più autorevole dottrina, la quale reclamava una maggiore precisazione del dolo in tema di scritture private, inteso come animus nocendi aui sibi locupletandi, il vantaggio e il danno debbono intendersi, non soltanto nel senso di vantaggio o danno patrimoniale, ma di qualsiasi utilità o documento, di carattere politico, morale, ecc.; anche il fine di vendetta, ad es., integrerebbe l'elemento intenzionale. Per la incriminazione del falso in scritture private non si può prescindere dall'effettivo commercio giuridico di esse, e quindi ho mantenuto il principio che, di regola, il momento consumativo del delitto è quello dell'uso che il falsario faccia, o lasci fare ad altra persona, de11a scrittura privata falsa.” 66BRICOLA, in op. cit., pag. 146-151. 65 22 norme della legge fallimentare che regolano la funzione attestatrice del professionista: qual è la condotta ideale dell'agente modello? La domanda apparirebbe abominevole in termini dogmatici e sistematici, dal momento sottende a categorie di imputazione della responsabilità estranee a quella richiesta dalla norma. Ma diviene domanda necessaria alla luce delle considerazioni svolte fin qui, ed alla luce dell'interpretazione del 236-bis l.f. che la giurisprudenza ha dimostrato ritener corretta con l'ordinanza in commento. Le remore a porsi tale domanda possono quindi venir meno se il quesito viene posto alla luce delle fondamentali ricadute che l'individuazione della condotta doverosa può avere nei termini precedentemente illustrati di utilizzazione dei parametri distintivi suggeriti dalla dottrina citata67. La condotta ideale dell'agente modello integra un'ipotesi nella realtà inesigibile68: una sorta di full audit, sulla scorta del controllo che un revisore è tenuto a svolgere per redigere la relazione di revisione69. La condotta ritenuta viceversa adeguata da dottrina e da parte degli operatori del settore prevede invece un tipo di controllo attenuato dalla possibilità per il professionista di utilizzare – rectius riutilizzare – il frutto dell'attività precedentemente svolta da altri organi di controllo. Il punto cruciale è purtroppo semplice. Volendo superare in questa sede il dato relativo alla dimensione media ed alla capacità di spesa media delle aziende in sofferenza, sinceramente perplime il fatto che proprio il Legislatore non vi abbia prestato la dovuta attenzione: le procedure all'interno delle quali il professionista può esplicare la sua opera sono infatti caratterizzate da tempi stringenti e dalla navigazione a vista dell'impresa70, spesso in acque procellose (anche perché in caso di perfetto andamento, difficilmente le imprese avrebbero bisogno delle procedure. Questo sì è certamente in re ipsa). A ciò va aggiunto che il ruolo di attestatore può essere svolto anche da professionisti e associazioni professionali privi delle peculiarità di cui alle società di revisione71: inoltre, rispetto CANESTRARI, in Dolus eventualis, cit. BARACHINI, Il diritto dell'impresa in crisi fra contratto, società e procedure concorsuali, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 54, “La verità è che a questo professionista si chiede di fare dichiarazioni semplicemente impossibili, o perché richiederebbero un'estesa due diligence sull'impresa, che naturalmente non c'è il tempo di fare, o perché coinvolgono giudizi prognostici altamente aleatori. E si pretende faccia tali dichiarazioni sotto minaccia di responsabilità civile, ed oggi anche penale”. 69Sul punto ad esempio Trib. Milano, 18 marzo 2010, Est. Lamanna “Il professionista che, ai sensi dell’art.161, comma 3, legge fallimentare, attesta il piano concordatario, deve svolgere tutte le verifiche che, secondo le regole tecniche della revisione contabile e delle discipline che rilevano in ordine alla concreta articolazione della proposta concordataria, siano necessarie ai fini dell’attestazione richiesta, ossia ai fini della sua idoneità ad assicurare, secondo una valutazione ex ante, la ragionevole certezza dell’attuazione del piano. Non può, quindi, ritenersi ammissibile, in sede di attestazione, l’utilizzo di formule generiche volte a delimitare la portata dell’attestazione stessa, e quindi della responsabilità ad essa connessa, mediante il semplice rinvio ad alcune verifiche, pur concretamente svolte dall’attestatore, ma che omettano qualunque motivazione sulla ritenuta adeguatezza delle stesse in seguito ad un loro vaglio critico e prive di assunzione di responsabilità in ordine al loro recepimento”. 70Sul punto PAPAGNI, Il professionista attestatore, in Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 141 e sgg. 71Sui requisiti di iscrizione, sulla questione relativa a revisori legali e revisori contabili, cfr. la circolare del CNDCEC 30IR/13, www.cndcec.it. 67 68 23 all'attività di revisione, e rispetto ai relativi tempi ed organizzazione, come detto poc'anzi le risorse destinabili al professionista saranno verosimilmente ridotte ogni qual volta l'attività di quest'ultimo venga svolta in pendenza di una procedura. E saranno verosimilmente ridotte in maniera direttamente proporzionale alla dimensione dell'impresa. Per quanto appaia condivisibile l'opinione72 di chi censura l'ipotesi del rinvio asettico alle risultanze di accertamento eseguite dal collegio sindacale e dai revisori del debitore, prediligendo la tesi dei controlli autonomi a campione attraverso la cd. limited review dei dati aziendali, è opinione di chi scrive che ciò potrebbe non bastare qualora la contestazione della condotta fosse ascritta a titolo di dolo eventuale. Perché se l'agente modello è quello che applica un full audit, il professionista che si attiene alla limited review avrà purtroppo svolto il proprio lavoro con un quid minus in grado di integrare lo iato tra condotta doverosa e condotta tenuta potenzialmente sufficiente ad attribuirgli una responsabilità ex 236-bis l.f. a titolo di dolo eventuale. La concreta speranza è che agente modello sia invece ritenuto il soggetto che opera nel rispetto dei principi di attestazione CNDCEC, senza che al professionista siano richiesti standard oggettivamente e soggettivamente inesigibili, ma soprattutto senza che qualsivoglia eventuale violazione dei princìpi integri automaticamente agli occhi della Magistratura condotte delittuose a sfondo doloso73. Ed in tal senso utilizzare la soluzione proposta dalla dottrina per risolvere l'annosa questione del confine del dolo eventuale in tale frangente di mera condotta potrebbe rappresentare una felice quadratura del cerchio. In caso contrario, giungeremmo alla conclusione di ritrovarci in un contesto di responsabilità professionale paradossalmente aggravata in termini sistematici dalla inesistenza di ipotesi colpose punibili. Con il risultato della messa in pericolo dell'intero compendio di soluzioni concordate della crisi d'impresa. 6. Conclusioni. Tutti quei rimedi su cui la norma spiega la propria operatività rischiano purtroppo di essere stritolati dalla morsa di una norma che, seppur col nobile intento di porre necessario freno a condotte deprecabili74, sta lentamente finendo col pregiudicare l'esistenza – e quindi l'apertura stessa – delle procedure, i cui dati numerici lasciano pensare, forse proprio perché allo stato, fatta salva come nel passato l'applicabilità del “vecchio”ma sempre efficace art. 236 l.f., comportano grazie al dettato FISCHETTI, Crisi d’impresa: alcune considerazioni sulla figura dell’attestatore a un anno dal Decreto Sviluppo, in Rivista di diritto bancario, 2013, www.dirittobancario.it. 73Sul punto GIANOGLIO, La responsabilità penale dell'attestatore e cenni sull'art. 217-bis l.f. in L'impresa in crisi: Soluzioni offerte dal nuovo diritto fallimentare, di BADINI, CONFALONIERI, FAROLI, GIANOGLIO e RITEGNO, Giappichelli, Torino, 2014, pagg. 405-406. 74Sul punto Bianchi, D.L. n. 83 del 22.06.2012 (Decreto sviluppo) integrato con la legge di conversione n. 134 del 7 agosto 2012, in Manuale delle società di capitali, CEDAM, Padova, 2012, pag. 71. 72 24 dell’art. 236-bis l.f. l'assunzione di troppi rischi per un unico soggetto: il professionista attestatore. Solo ed unicamente da una corretta applicazione dell'art. 236-bis l.f. da parte dell'Autorità Giudiziaria dipende, nella sostanza, il futuro di tutte le procedure all'interno delle quali l'attestazione del professionista è suscettibile di subire l'operatività della norma. Passerà tempo prima che una giurisprudenza autorevole come quella di legittimità segni netti confini alla portata della norma: inoltre non è certo che ciò avvenga, e non è detto che i confini siano poi riconosciuti come inequivoci ed invalicabili da Procure e Giudici di merito. Rispetto a tutta una serie di criticità segnalate, come quella del falso inoffensivo, è invece immaginabile che in un prossimo futuro possa fungere da argine la previsione normativa di nuovo conio che prevede l'introduzione nel Codice Penale dell'art. 131-bis75 rubricato “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”. Seppur con la rilevante riserva che su condotte del genere pone l'efficacia di giudicato nei giudizi civili76. Nel momento in cui si scrive si è all'alba dell'entrata in vigore della norma, nel cui ambito di applicabilità appare rientrare il reato di cui all'art. 236-bis l.f. Non privo di interesse sarà constatare in futuro l'auspicabile applicazione della disposizione di nuovo conio per quei fatti che per le “modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma,” vedano Art. 131-bis. - Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento e' abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più' reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. (Articolo introdotto dal Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 – Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67.GU n.64 del 18-3-2015 Vigente al: 2-4-2015) 76Sulla responsabilità civile dell'attestatore cfr. BERTI, La responsabilità civile dell'attestatore, in BADINI, CONFALONIERI, FAROLI, GIANOGLIO e RITEGNO, op. cit. pag. 353 e sgg, nonché CARABBA, La responsabilità del professionista, in Il principio di sussidiarietà nel diritto privato: Coordinamento tra imprese. Responsabilità patrimoniale del debitore. Soluzione negoziale delle crisi d'impresa, a cura di NUZZO, Giappichelli, Torino, 2015, pag. 605. 75 25 concretizzarsi un'offesa “di particolare tenuità”, allorquando il comportamento risulti “non abituale”. Ulteriore risposta questa per i casi, seppur rari, ma non per questo trascurabili, di fatti sì tipici, ma di limitata offensività del bene giuridico tutelato. Argomento in più questo ultimo per ribadire come e quanto nelle mani della Magistratura, inquirente da un lato e giudicante dall'altro, sia affidato il futuro degli strumenti di composizione delle crisi d'impresa del concordato preventivo ex art. 161 l.f., degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f., del concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.f., nonchè delle disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-quinquies l.f. All'indomani del conio dell'art. 217-bis l.f.77 si è sottolineato come – finalmente – il tentativo di risanamento condotto attraverso gli strumenti richiamati dalla norma non comporti più responsabilità penale per bancarotta fraudolenta preferenziale o bancarotta semplice, (e relativamente a quest’ultima, soprattutto nel caso che dalla prosecuzione dell’attività d’impresa possa scaturire un aggravamento del dissesto). A tal proposito, da una voce autorevole come quella dell'allora Presidente del Tribunale di Torino ed odierno Presidente della Corte d'Appello di Roma, nel 2011 proveniva questo monito “Il tentativo di risanamento non è un’attività ad esito certo. Se il debitore e coloro che vengono in rapporto con lui nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresa dovessero temere d’incorrere nella responsabilità penale, anche quando il risanamento viene perseguito per il tramite di una delle procedure previste dalla legge, la possibilità stessa di tentare il salvataggio verrebbe seriamente compromessa”78. Si parva licet componere magnis, il tentativo di risanamento resta un’attività ad esito incerto, l'attestazione non è mai il frutto di una chiaroveggenza del professionista per quanto riguarda il futuro e, soprattutto, a causa di fattori che esulano da qualsivoglia forma di dolo, non è sempre il frutto di una omniscienza per quel che attiene il passato dell'impresa in sofferenza. Se l'attestatore che viene in rapporto con il debitore nell’ambito dello svolgimento della crisi d’impresa dovesse temere sempre Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. – Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa. – Art. 217-bis – Esenzioni dai reati di bancarotta Le disposizioni di cui all'articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis o del piano di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'articolo 12 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 182-quinquies. (Articolo inserito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78. La modifica ha effetto dal 31 luglio 2010, data di pubb. sulla Gazzetta Ufficiale, supp. ord. n. 174. L'art. 18 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha sostituito le parole "ovvero del piano di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d)" con le seguenti: "o del piano di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'articolo 12 della legge 27 gennaio 2012, n. 3. La modifica è entrata in vigore il 19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione citata. L'art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 ha inserito l'ultimo paragrafo. La modifica di applica dal 11 settembre 2012). 78 PANZANI, Relazione introduttiva al Convegno Crisi d’impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default, Alba, 19 novembre 2011 – in Il nuovo diritto delle Società, Numero 11, Italia Oggi Editore, 2012 pagg. 17 e sgg. 77 26 d’incorrere nella responsabilità penale a causa di un'attività può essere imperfetta senza che sia per ciò stesso falsa, la possibilità stessa di tentare il salvataggio verrebbe seriamente compromessa. Come già avviene – a detta di più operatori del settore – in un segmento nel quale il risanamento viene perseguito per il tramite di una delle procedure previste dalla legge, la paura che l'Autorità Giudiziaria ritenga falso ciò che è invece imperfetto porterebbe i professionisti titolari dei requisiti di cui all'art. 67 co.3 lett. D l.f. a rifuggire qualsivoglia attività attestativa, a causa degli eccessivi rischi che essa comporterebbe79. Sia consentito chiudere con una considerazione su di un piano più strettamente dogmatico, sul rapporto che politica criminale e sistema di diritto penale hanno in questo frangente. È innegabile che la norma sia nata grazie ad una macroscopica spinta di natura generalpreventiva. Poiché appariva necessario in termini di tenuta del sistema della crisi di impresa trovare una qualificazione giuridica all'operato dell'attestatore, appariva altrettanto necessario disincentivare con una sanzione penale di una certa rilevanza i comportamenti – purtroppo diffusi – di attestatori infedeli. In termini di prevenzione speciale integratrice, a meno che la norma non sia applicata cum grano salis, contestare il falso in attestazioni e relazioni forzando le categorie dell'imputazione soggettiva, perseguendo e condannando un soggetto che ha agito senza rappresentarsi e senza volere alcun illecito, non riuscirà mai a sortire gli effetti cui la pena deve tendere nel nostro assetto costituzionale. Se la norma non verrà correttamente applicata, difficilmente questa sperequazione in direzione generalpreventiva sortirà quindi effetto alcuno sui consociati, se non il progressivo ma ineluttabile abbandono delle soluzioni concordate delle crisi di impresa da parte di professionisti scrupolosi80, laddove viceversa alcun freno imporrà a quelli temerari, ai quali verosimilmente non basterà l'introduzione della norma per temperarne la spregiudicatezza81. Parafrasando dal monaco e teologo francescano Thomas Murner82 la celebre frase contenuta ne “L'Esorcismo de'Pazzi (1512), potremmo dire che, allo stato dell'arte e delle interpretazioni fornite alla norma dalla giurisprudenza, senza un utilizzo accorto e misurato della norma stessa, il risultato prospettabile per le soluzioni concordate Sul punto, CERADINI, in op.cit. “Senza minimamente voler avallare comportamenti men che diligenti nell'adempimento delle funzioni di attestazione, delicatissime e centrali, sempre più, nei progetti di risanamento, non possiamo nasconderci le difficoltà che comportano anche per il più preciso e attento dei professionisti, per tempi ed informazioni disponibili, valutazioni richieste, previsioni necessarie. Il quadro che emerge è quindi opprimente, e fa passare la voglia di attestare, ammesso che a qualcuno fosse rimasta”. 80BARACHINI, in op. cit. “Il rischio che si formi un fenomeno di selezione avversa dove i migliori professionisti si tengono alla larga da incarichi così rischiosi, è tutt'altro che infondato”. 81Sul punto cfr. DI AMATO, in op.cit., pag. 85 “L’esperienza giudiziaria sta, perciò, processando le procedure negoziate e il soggetto su cui si riversa questo giudizio negativo è spesso l’attestatore, ritenuto, a torto o a ragione, colui che con la sua asseverazione ha consentito l’abuso. È una reazione sbagliata, che l’abuso di cui si è detto spiega ma non giustifica. Nel momento in cui si fa di tutta l’erba un fascio, senza distinguere e tutelare l’attività di quei professionisti che elaborano l’attestazione a seguito di un percorso attento di verifiche e di valutazioni, si allontanano dallo svolgimento di una attività tanto delicata proprio i migliori ed i più seri”. 82che “attraverso le sue opere ricondusse tutte le varie manifestazioni del marasma morale del tempo al comune denominatore della stoltezza e le sferzò in una serie di scene proverbiate con versi di popolaresca fluidità”. Voce Murner Thomas, in Enciclopedia Treccani. 79 27 delle crisi d'impresa sarà nella migliore delle ipotesi di “buttare il bambino insieme all'acqua sporca”83. E nella peggiore di tenersi l'acqua sporca buttando via il bambino, laddove nel nostro frangente il ruolo del bambino lo interpreta la soluzione concordata alla crisi d'impresa, e nelle vesti dell'acqua sporca recita lo spregiudicato attestatore infedele. Perché in condizioni così pericolose, forse non è scorretto dire che attestare stanca i professionisti più scrupolosi. MURNER ., Das Kind mit dem Bade ausschütten, in Doktor Murners Narrenbeschwörung, GER. 1512. 83 28