spunti per un dibattito ancora attuale sulla testimonianza anonima

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ATTESTARE STANCA
Trib. Torino, ord. 16 luglio 2014, giud. Macchioni
di Federico Baffi
Abstract. A circa due anni dall'entrata in vigore della novella che ha introdotto il reato di
“Falso in attestazioni e relazioni” con l'art. 236-bis della Legge Fallimentare, giunge la
prima pronuncia (edita) sul tema. Si tratta di un'ordinanza interdittiva, emessa in una
cornice fattuale da “caso limite” per la macroscopica tipicità delle condotte contestate: i fatti
ad oggetto rendono la pronuncia di particolare interesse, specie se letta all'interno della
cornice creata dalla giurisprudenza fallimentare sul tema delle attestazioni e delle relazioni
del professionista, nonché dalla pubblicazione da parte del Consiglio nazionale dei Dottori
commercialisti e degli Esperti contabili dei “Principi di attestazione dei piani di
risanamento”. Un nuovo “caso Busiello”, di cui ci si è proposto di analizzare dati fattuali,
percorsi motivazionali dell'estensore, nonchè possibili termini di applicazione futura dei
dicta, specie in materia di prova del dolo. Alla ricerca quindi di un corretto inquadramento
sistematico di una norma purtroppo mal scritta, dal contenuto potenzialmente deflagrante
per tutto il sistema delle soluzioni concordate della crisi d'impresa.
SOMMARIO: 1. Il contesto in cui nasce la norma e quello in cui nasce la pronuncia. – 2. Il fatto storico come
ricostruito dall'ordinanza. – 3. La motivazione del provvedimento: certezze, dubbi e possibili torsioni
ermeneutiche. – 3.1. Il momento consumativo del reato e le condotte successive. – 3.2. L'elemento
psicologico, la automatica deduzione del dolo, l'inconfigurabilità della colpa. – 3.3. Il rapporto tra
l'attestatore ed il debitore: le asimmetrie sanzionatorie. – 4. I princìpi CNDCEC: natura, limiti e possibili
rischi. – 4.1 Il rispetto dei princìpi CNDCEC e la valutazione da parte del dominus della procedura. – 5.
L'indagine sull'elemento psicologico. – 5.1. Dolus in re ipsa? – 5.2. Dolo eventuale? – 5.3. Le possibili
soluzioni. – 5.4. La condotta ideale dell'agente modello. – 6. Conclusioni.
1. Il contesto in cui nasce la norma e quello in cui nasce la pronuncia.
“Tanto tuonò che piovve”, potrebbe dirsi riferendosi alla prima pronuncia (edita)
di un Giudice penale sulla responsabilità del professionista chiamato a rispondere di
falso in attestazioni e relazioni ex art. 236-bis l.f.1, una norma nata male, e forse
1Regio
Decreto 16 marzo 1942, n. 267. – Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione
coatta amministrativa – Art. 236-bis – Falso in attestazioni e relazioni
1. Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, terzo comma, lett. d), 161, terzo
comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni
rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro.
2. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata.
3. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà.
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2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo
cresciuta peggio. Il problema in questo caso è stabilire da quale cielo provenissero i
tuoni: all'alba della redazione della norma, la questione della risposta ordinamentale al
falso dell'attestatore era infatti aperta ed attuale, anche a causa della mancata
attuazione della delega di cui alla Commissione Trevisanato2 che ha novellato la legge
fallimentare da poco più di un paio di lustri, espungendo però il “conato di riforma”3
relativo alla responsabilità del professionista, sull'onda lunga di un irrisolto paradosso
del nostro ordinamento: stigmatizzare fino a sanzionare l'eccesso di delega,
continuando a ritenerne irrilevante il difetto. Rimasta quindi inattuata la delega del
20014, l'operato del Legislatore del 2012 sul tema è stato diffusamente riconosciuto
come il frutto di una doverosa opzione di politica criminale, dettata da necessità
duplice: limitare da un lato l'abuso perpetrato per anni dal professionista attestatore,
che ha potuto a lungo redigere elaborati in maniera eufemisticamente definibile come
disinvolta, confinato com'era in un metacosmo di impunità5. Punire, dall'altro, con una
sanzione ad hoc, il professionista che di quei determinati strumenti abusi oggi, ponendo
fine all'annosa questione della qualificazione giuridica del suo operato in tale
frangente.
(Articolo aggiunto dalla lett. l) del co. 1 dell’art. 33, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, nel testo integrato dalla legge di
conversione 7 agosto 2012, n. 134).
2Commissione per l'elaborazione di principi direttivi di uno schema di disegno di legge delega al governo, relativo
all'emanazione della nuova legge fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi, istituita
con D. I. 28 novembre 2001. Sul tema INSOLERA, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato
preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi della impresa, in Giurisprudenza Commerciale N. 3/2006,
Giuffrè, Milano, 2006, FIORE, Gli orientamenti della commissione Trevisanato per la riforma dei reati fallimentari:
una prima (disilludente) lettura – Atti del Convegno, Isernia, 18 ottobre 2003 in Quaderni di giurisprudenza
commerciale, Giuffrè, Milano, 2005, e BRICCHETTI, MUCCIARELLI e SANDRELLI, Disposizioni penali, in Il nuovo
diritto fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2007.
3
Così INSOLERA, in op. cit. “La produzione legislativa di riforma del diritto fallimentare si è manifestata in modo
disordinato se non bislacco. Ciò riguarda il noto succedersi dei diversi testi legislativi, ma anche la stessa scelta degli
strumenti di legiferazione. In questo modo si sono creati i migliori presupposti per la continua insorgenza di problemi
interpretativi di difficile soluzione. Questa osservazione, come vedremo, si amplifica a proposito del coordinamento
tra disciplina civilistica, ormai completatasi con la pubblicazione del d lgs. 9 gennaio 2006, di attuazione della l. n. 80
del 2005, e norme penali fallimentari che si sono invece volute mantenere invariate, nonostante i molteplici conati di
riforma di cui si era avuta notizia negli ultimi anni.”
4 Art. 16 (Disposizioni penali)
La disciplina degli illeciti penali nelle materie di cui alla presente legge si ispira ai seguenti criteri direttivi:
[…] 8. prevedere il delitto di falsa esposizione di dati o di informazioni o altri comportamenti fraudolenti:
consistente nella condotta di esposizione di informazioni false o di omissione di informazioni imposte
dalla legge per l’apertura della procedura di composizione concordata della crisi al fine di potervi
indebitamente accedere, ovvero in successivi atti o nei comportamenti di cui ai commi 1 e 5 compiuti nel
corso di essa; ovvero di simulazione di crediti inesistenti o di altri comportamenti di frode, al fine di
influire sulla formazione delle maggioranze; prevedere che la stessa pena si applica al creditore che riceve
il pagamento o accetta la promessa al fine dell’espressione del proprio voto […].
5D'ANGELO, I piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d, l. fall.: luci e ombre a seguito del decreto “sviluppo”, in
Giurisprudenza commerciale, fasc.1, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 74 e sgg.:“L'abuso, ed è sotto gli occhi di tutti, ha
infatti determinato, la nascita di piani del tutto inadeguati, irrealizzabili e spesso fondati su dati non attuali e
superati, ed il conseguente loro venire meno nello spazio di pochi mesi. Di qui l'ulteriore fenomeno della — più o
meno ravvicinata — “riattestazione” del piano […]. Ben venga, dunque, il tramonto dell'uso disinvolto del piano
attestato”.
2
Prima della stesura della previsione ex 236-bis l.f., l'Autorità Giudiziaria non ha
infatti avuto un dettato normativo sul quale fondare la natura giuridica del
professionista attestatore6, non potendo di conseguenza qualificare con certezza gli atti
a questo riconducibili7. In assenza di una norma chiara8 o, in supplenza, di una
giurisprudenza univoca sul tema, l'Organo di accusa ha sempre annaspato in
funamboliche costruzioni di capi di imputazione9. La conseguenza è stata una diffusa
falcidia delle imputazioni, sotto la scure dell'insussumibilità delle condotte contestate
nell'alveo degli archetipi normativi individuati10. Spesso senza neanche il bisogno che
sul singolo caso dovesse pronunciarsi Giudice di legittimità.
Sin dall'intervallo tra la pubblicazione del decreto legge che ha introdotto la
norma e la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale in cui è contenuta la legge di
conversione del medesimo decreto, la dottrina11 ed i primi commentatori della
disposizione di nuovo conio, hanno invece posto l'accento sui lati oscuri di questa
fattispecie mal nata12. Si sottolineava infatti il pericolo di interpretazioni che tendessero
ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Rivista
Italiana di Diritto e Procedura Penale, Giuffrè, Milano, 2006, pag. 121.
7sulla ricostruzione della giurisprudenza precedente l'introduzione della figura di reato di cui all'art. 236bis l.f. cfr. BORSARI, Il nuovo reato di falso in attestazioni e relazioni del professionista nell’ambito delle soluzioni
concordate delle crisi d’ impresa. Una primissima lettura, in Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim., 1, 2013, pag. 85.
8Cfr. INSOLERA, in op. cit. “assume un rilievo decisivo come, nel quadro complessivo della riforma, si sia mantenuta
la tradizionale specifica attribuzione della qualifica di Pubblico Ufficiale nei confronti del curatore (art. 30) e del
commissario giudiziale (art. 165). Si è così confermata l'adozione, in questo campo, di una chiave di identificazione
espressa della qualifica, ma assume significato di argomento a contrario anche la circostanza che non si sia fatto
ricorso a tale metodo per inquadrare le nuove figure”.
9A titolo esemplificativo, Trib. Rovereto, GUP Izzo, 12 gennaio 2012, n.5 “La falsa attestazione della cd.
veridicità dei dati aziendali operata dal professionista che redige la relazione di cui all’articolo 161, comma 3, l. fall
integra il reato di cui all’art. 481 c.p., reato per il quale, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente il dolo generico, senza
la necessità di un fine specifico”.
10A titolo esemplificativo Trib. Torino Sez. IV penale, 31 marzo 2010 “il professionista che attesta la veridicità
dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161 terzo comma l.f. non può essere considerato pubblico
ufficiale ai fini dell’art. 357 c.p. e, di conseguenza, in caso di false attestazioni non risponde del reato di cui all’art.
479 c.p.”
11BRICCHETTI e PISTORELLI, Operazioni di risanamento, professionisti nel mirino, in Guida al Diritto n.29/2012,
Gruppo24ore, Milano, 2012, pag. 45, CERQUA, La tutela penale del concordato e dei piani attestati, in Fallimento
10/2014, Ipsoa, Milano, 2014, pag. 1116 e sgg., CONSULICH, Nolo cognoscere – Il diritto penale dell’economia tra
nuovi responsabili e antiche forme di responsabilità «paracolpevole»: spunti a partire dal nuovo art. 236 bis l.f., in
Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 3/2012, CEDAM, Padova, 2012, DEMARCHI ALBENGO, La
fattispecie incriminatrice di cui al nuovo articolo 236-bis della legge fall.; la responsabilità penale dell’attestatore, in
www.ilcaso.it, GUERINI, La responsabilità penale del professionista attestatore nell’ambito delle soluzioni concordate
per le crisi d’impresa, in questa Rivista, 4 giugno 2013, LUPI, Un tentativo di scaricare la responsabilità su altri, in
www.ilsole24ore.it, Gruppo24ore, 2012, MEZZETTI, Falso in attestazioni o relazioni, in www.archiviopenale.it,
MONTELEONE, La responsabilità penale e civile dell’attestatore nei procedimenti di composizione della crisi di
impresa, in www.oci.it, MUCCIARELLI, Il ruolo dell’attestatore e la nuova fattispecie penale di «falso in attestazioni e
relazioni», in www.ilfallimentarista.it, SPINOSA, Il c.d. decreto sviluppo nel sistema della legge fallimentare: i
rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, in questa Rivista, 1 marzo 2013, TETTO,
La (ritrovata) indipendenza del professionista attestatore nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in Il
Fallimento 6/2013, Ipsoa, Milano, 2013, ppg. 679 e sgg.
12PISTORELLI E CARCANO, Relazione III/07/2012, Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Servizio Novità e
BRICCHETTI E PISTORELLI, op. cit.
6
3
ad avallare una pretesa – di matrice normativa – di omniscienza e volontà, di
chiaroveggenza13 o di preveggenza14 dell'attestatore.
Gli operatori del settore, infine, edotti della pericolosità delle maglie larghe
della fattispecie, hanno in più sedi reso evidente una insofferenza di categoria ed una
conseguente preoccupazione per i margini applicativi della norma15.
Ironia della sorte, come nelle più scontate tradizioni, è piovuto sul bagnato, e la
“pioggia” è arrivata con l'ordinanza interdittiva del GIP di Torino16. Le metafore non
appaiano un fuor d'oper: così come accadde con il cd. caso Busiello per l'insider trading17,
il fatto di reato divenuto l'apripista per la giurisprudenza sull'art. 236-bis l.f. è infatti
relativo ad una condotta macroscopicamente tipica, nonché di lesività moderata, se
considerata in ragione della sua grossolanità.
Su di un piatto d'argento si è fornita infatti alla giurisprudenza la possibilità di
intervenire con una prima pronuncia; al contempo si è fornita al Legislatore la
possibilità di affermare che, in fin dei conti, la norma era necessaria proprio per
contrastare condotte come quella oggetto dell'ordinanza18. Eppure resta il dubbio,
accompagnato da un rammarico: quelle condotte, se precedentemente stigmatizzate e
sanzionate in sede disciplinare dagli Ordini Professionali di appartenenza, avrebbero
ricevuto un freno istituzionale, forse in grado di limitarne la diffusione. Al contempo,
quell'ordinamento che ha progressivamente panprivatizzato taluni segmenti della crisi
d'impresa, avrebbe avuto la dimostrazione della superfluità di un intervento
sanzionatorio di matrice panpenalistica, o quantomeno la prova della sua necessità come
extrema ratio e non certo come panacea. Ancora una volta infatti, lungi dal praticare
“l'auspicabile enforcement” della disciplina civilistica di settore19, il Legislatore fa sì che
non l'ultima ma l'unica parola sul tema divenga quella del Giudice penale, gravato in
questo frangente dall'onere di “un sindacato paradossalmente più esteso rispetto a quello
BAFFI, La nuova disciplina del falso in attestazioni e relazioni del professionista nella Legge Fallimentare, in
Gazzetta Forense 4/2012 Luglio-Agosto, il Denaro Libri, Napoli, 2012.
14PIVA, Vecchie soluzioni per nuovi problemi nella falsa attestazione del professionista, Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim.,
3-4, 2014, pag. 375.
15Cfr. il comunicato stampa dell'Associazione Nazionale Commercialisti ANC del 9 Luglio 2012 a firma del
Presidente CUCHEL e del Consigliere delegato al Polo Scientifico C ECCHERINI all'indomani della
pubblicazione in G.U. Del DL 83/12 “[...] l’attività del professionista in genere, ed in particolar modo di questo
professionista che si trova ad operare in un contesto di “insolvenza” o comunque di “crisi manifesta”, può indurlo in
errori che la magistratura penale potrebbe classificare tra quelli oggetto di sanzione. […] Questa norma, così come è
stata prevista, impone un sovra-sforzo al professionista al fine di evitare che un errore di superficialità possa
costituire un grave reato. [..] Non vorremmo che il nostro ruolo e la nostra attività fatta di sacrifici e studi,
ovviamente quando è svolta con diligenza professionalità e correttezza, possano trasformarci in un capro espiatorio,
sanzionabile in maniera più pesante di quanto venga sanzionato un bancarottiere professionista”.
16Trib. Torino, Giudice per le indagini preliminari, 16 luglio 2014. Estensore MACCHIONI, edita da
www.ilcaso.it.
17Trib. Roma, 15 maggio 1996, in Giurisprudenza Commerciale Vol II, 1997, pag. 207, con nota a sentenza di
GALLI, ibidem, Giuffrè, Milano, 1997 pag. 226 e sgg.
18DI AMATO, Sul dolo dell’attestatore nel reato di falsa attestazione – Nota a Tribunale di Rovereto, 12 gennaio 2012,
n. 5, in Gazzetta Forense 2/2014, Giapeto Editore, Napoli, 2014, pag. 36.
19Così MUNARI, Crisi di impresa e autonomia contrattuale nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione,
Giuffrè, Milano, 2012, pag. 236.
13
4
preventivo del giudice della procedura, su condotte di mendacio connotate da un forte margine
di discrezionalità”20.
2. Il fatto storico come ricostruito dall'ordinanza.
Tornando al caso di specie, il GIP di Torino era chiamato a pronunciarsi sulla
sussistenza dei gravi indizi in capo al professionista attestatore. Quest'ultimo, (nella
relazione di cui all’articolo 161, comma 3, L.F.) si esprimeva in termini di certezza sulla
fattibilità dell'operazione cardine della proposta di concordato, ossia un'offerta di
acquisto della società in liquidazione, offerta garantita da una presunta fideiussione a
prima chiamata.
Fin qui nulla di particolarmente patologico. Ma val la pena di ripercorrere la
questione in fatto nei suoi punti salienti, per poter realmente comprendere la portata
della condotta.
L'azienda offerente, “in persona del legale rappresentante” formulava su carta non
intestata offerta irrevocabile di acquisto dell’azienda proponente il concordato.
La medesima offerta recava in calce una sottoscrizione illeggibile ed era priva
della sottoscrizione per ricevuta del documento originale da parte del difensore della
società in liquidazione
L'impegno alla messa a disposizione delle risorse finanziarie necessarie al
sostegno del piano concordatario sempre a nome della società offerente, in persona del
legale rappresentante, era anch’essa su carta non intestata, recava firma illeggibile ed
era anch’essa priva della sottoscrizione per ricevuta dell’originale da parte del
difensore della società in liquidazione.
Nel sopracitato documento l’offerente si impegnava a costituire sin da quel
momento, ed almeno venti giorni prima dell’adunanza dei creditori per esprimere il
voto sul concordato, garanzia fideiussoria bancaria, da rilasciarsi a cura di primario
istituto bancario senza che vi fosse qualsivoglia riferimento a qualsivoglia istituto di
credito.
La relazione del professionista era quindi priva di qualunque documento atto
ad identificare la società offerente, a comprovare la sua reale esistenza, a verificare la
sua operatività, a vagliare la sua affidabilità, a comprovare la provenienza delle
dichiarazioni redatte dall'apparente sottoscrittore, ad attestare il ruolo dell’asserito
legale rappresentante della società proponente l'acquisto, a dedurre quanto meno
l’esistenza di contatti da parte della società offerente volti a saggiare la disponibilità di
un qualche istituto di credito, primario o meno, a rilasciarle una fidejussione per un
qualunque importo.
La difesa della società in liquidazione, con una memoria integrativa, produceva
altresì una sorta di visura camerale della società offerente, un “estratto dal quale emerge
la qualità di Director” di colui che veniva individuato come legale rappresentante;
produceva altresì la carta d’identità di quest’ultimo, senza però allegare un bilancio
Così PIVA, in op. cit.
20
5
della società offerente né elementi che consentissero di vagliarne la solvibilità e la
consistenza, né una bozza della paventata fidejussione, né indicava l’istituto di credito
disposto a rilasciarla.
A fronte di una simile relazione, il Tribunale, entro i limiti assegnatigli dalla
legge e specificati dalla recente giurisprudenza di Cassazione a Sezioni Unite21,
dichiarava inammissibile la proposta, e circa l'asserita fattibilità del piano quindi
chiosava “Non si comprende, pertanto su quali basi sia stato formulato, allo stato, il giudizio
prognostico di fattibilità, non potendosi, dagli elementi raccolti, in alcun modo prevedere il
rispetto degli impegni assunti” (dalla società offerente).
Necessario appare, da ultimo, fornire i dati di fatto relativi alla dimensione
quantitativa della proposta avanzata della fantomatica acquirente: era – ovviamente –
condizionata all’omologa del concordato preventivo, era per un valore di
€ 7.900.000,00, prevedeva assunzione di obbligazioni relative a leasing correnti per
€1.100.000,00, prevedeva inoltre l’apporto di “nuova finanza” per € 5.500.000,00
asservita al buon esito del concordato preventivo, e comunque condizionata
all’omologa ed alla cessione dell’azienda, prevedeva che il pagamento dell’importo di
€ 7.900.000,00, fosse “garantito da una fidejussione bancaria a prima chiamata rilasciata da
primario istituto di credito”. Dati quantitativi di una certa rilevanza.
3. La motivazione del provvedimento: certezze, dubbi e possibili torsioni
ermeneutiche.
È qui che la vicenda va a sovrapporsi alla storia del cd. caso Busiello:
se quest’ultimo ha rappresentato infatti la concretizzazione della più classica tra le
ipotesi di scuola attraverso cui un docente avrebbe illustrato il reato di insider trading ai
suoi discenti, altrettanto si può dire di questo caso, relativamente al reato di cui all'art.
236-bis l.f. Ciò non aiuta nessuno, perché davanti ad una condotta così
macroscopicamente tipica, altro non poteva probabilmente fare il GIP di Torino, se non
applicare la misura interdittiva.
Il vero problema sta però nel fatto che proprio le peculiarità della condotta
hanno consentito che il GIP di Torino fosse esentato nella redazione dell'ordinanza da
particolare sforzo ermeneutico e motivazionale. Al contempo la macroscopicità di
quella condotta ha segnato quella che potrebbe – ad opinione di chi scrive – essere una
pericolosissima pietra miliare nella storia della giurisprudenza sul 236-bis l.f.
Va a ciò aggiunto che il percorso motivazionale del GIP di Torino lascia degli
spiragli inquietanti a possibili torsioni interpretative. Ma su questo si tornerà in
seguito.
Le motivazioni di irrogazione della misura però, se da un lato a destano una
serie di perplessità, offrono al contempo qualche prima certezza.
Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente Preden, Relatore
Piccininni, infra.
21
6
3.1. Il momento consumativo del reato e le condotte successive.
Un primo spunto di riflessione viene infatti posto dal GIP il quale sottolinea che
“il reato si deve ritenere consumato all’atto del deposito della relazione, e che pertanto la sia pur
parziale integrazione che ha avuto luogo in seguito, a nulla rileva”. Questo inciso – che sia
condiviso o meno – mette l'interprete nella condizione di poter quantomeno constatare
come l'annosa questione delle condotte lato sensu “riattestative” sia da tale
interpretazione totalmente risolta in direzione della inutilità dei cd. supplementi di
attestazione, generalmente praticati al sol fine di mettere una toppa. Al contempo però il
dictum rafforza la riconoscibilità di alcuni connotati della norma, relativi al suo
inquadramento dogmatico, come si vedrà in seguito.
Tranchant è poi la prima parte della motivazione, relativa alla condotta:
“l’indagato, in buona sostanza, ha fornito una attestazione di fattibilità basata, con riguardo
alla proposta di acquisto, sul nulla, perché nulla di serio e concreto, in quanto fonte di impegni
giuridicamente rilevanti, dicevano i documenti sui quali egli ha fondato la sua valutazione e
perché egli non ha compiuto, al riguardo, nessuna verifica. Egli ha giudicato realizzabile con
ragionevole certezza una proposta che obbiettivamente, stando alla documentazione allegata alla
relazione, chiunque, anche il meno solvibile, il meno affidabile ed il più incompetente dei
soggetti avrebbe potuto formulare”22. Rispetto a ciò, poco c'è da dire anche se l'inciso
potrebbe essere foriero di qualche dubbio in materia di grossolanità del fatto.
3.2. L'elemento psicologico, l'automatica deduzione del dolo, l'inconfigurabilità della colpa.
Glissando, non senza sforzi, gli spunti sul falso inoffensivo, appare necessario
analizzare il passaggio che il GIP fa riguardo all'elemento psicologico del reato,
sceverandone il percorso argomentativo.
La sua possibile mutuabilità in futuro nasconde probabilmente insidie la cui
portata è allo stato celata dalla macroscopicità dei fatti di causa attraverso i quali si è
portati a leggere ed interpretare le parole del GIP che seguono: “Non si può peraltro
ragionevolmente ipotizzare che quanto sin qui descritto sia stato il frutto di una semplice
negligenza, di una mera imperizia, di una banale incompetenza. [...]. è un dottore
Per completezza si riporta il seguito “Il fatto ch’egli abbia vincolato, nella sua relazione, la fattibilità
dell’operazione alla fidejussione e solo ad essa è doppiamente inaccettabile, perché una garanzia patrimoniale in tanto
è affidabile in quanto il soggetto che la propone lo sia e perché comunque una garanzia patrimoniale semplicemente
dichiarata in termini del tutto generici, da un soggetto sulla cui affidabilità nulla sia dato di sapere e senza alcuna
documentazione di supporto, tutto può essere meno che una condizione capace di costituire, da sola, la base di una
offerta che possieda i requisiti della concreta e ragionevole fattibilità. È fuor di dubbio che, oggettivamente,
l’attestazione in discorso fosse in grado di incidere in modo determinante sulle valutazioni finali, dal momento che
aveva ad oggetto le qualità dell’unica proposta sul tappeto. È evidente che se l’indagato avesse valutato gli elementi a
disposizione nell’unico modo ragionevole nel quale avrebbe potuto valutarli – ed il Tribunale fallimentare li ha
valutati, non a caso avvertendo il pericolo di uscire dai limiti del potere di controllo che gli competevano ma, al
contempo, consapevole della oggettiva pericolosità della proposta con cui aveva a che fare – il suo giudizio di
fattibilità sarebbe stato radicalmente diverso“.
22
7
commercialista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma lett. d) l. fall.; nella parte
iniziale della sua relazione egli ha esposto fra l’altro, in un apposito capitolo, i criteri ai quali
intendeva conformarsi”23
Nell'ottica di una possibile applicazione futura di tale inciso, appare necessario
quindi scindere l'inciso stesso dalla cornice fattuale all'interno della quale va ad
instaurarsi.
In alcuni osservatori questo passaggio ha infatti provocato un barlume di
speranza dal momento che è stato interpretato come una possibile apertura alla
configurabilità di una alternativa condotta colposa del professionista, non punibile data
la struttura del reato di cui all'art. 236-bis l.f. che richiede sia il dolo a sorreggere
l'operato dell'agente. In altri osservatori24 – tra cui chi scrive – invece questo passaggio
desta più d'una preoccupazione perché in qualche modo certifica la correttezza
dell'atteggiamento di commentatori guardinghi nei confronti della norma, i quali chi
prima e chi dopo, all'indomani della sua entrata in vigore ne denunciavano la
pericolosità. Appare infatti intrinseca la tendenza con cui la norma si presta a torsioni
dirette verso la disperata ma facile ricerca di un dolo eventuale più vicino ad un dolus
in re ipsa che ad una colpa. Magari specifica, magari con previsione.
A ben leggere l'inciso del GIP di Torino, non esiste nel caso di specie un'ipotesi
colposa della condotta del professionista. E questo assunto può anche essere
astrattamente condivisibile. Ma soprattutto, da quanto scritto nell'ordinanza,
emergerebbe che non può esistere un'ipotesi colposa in alcun caso di falso in
attestazioni e relazioni. E tale assunto sarebbe invece ben poco condivisibile.
Il GIP àncora infatti la sostanziale inconfigurabilità di una condotta colposa su
due dati, ovvero il possesso da parte dell'indagato “dei requisiti di cui all’art. 67, terzo
comma lett. d) l. fall.”, e l'aver egli “nella parte iniziale della sua relazione [..] esposto fra
l’altro, in un apposito capitolo, i criteri ai quali intendeva conformarsi [..]”.
In virtù del possesso dei requisiti e del riferimento ai criteri citati, secondo il
GIP non è quindi possibile che quanto accaduto “sia stato il frutto di una semplice
negligenza, di una mera imperizia, di una banale incompetenza”.
Superando lo scontato appunto circa l'apparente assenza di alcun riferimento
alla colpa specifica25, che – forse – meglio si attaglierebbe ad un'azione che resta pur
sempre regolata da requisiti previsti ex lege e da criteri enucleati dagli Ordini
Professionali di riferimento, va sottolineato che tutte le procedure all'interno delle quali
Riportava infatti ampi brani delle “Osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella
composizione negoziale della crisi d’impresa, elaborate dalla commissione di studio crisi e risanamento d’impresa del
CNDCEC, dai documenti elaborati dalla Commissione Paritetica per i principi di Revisione del Consiglio Nazionale
dei Dottori Commercialisti e Consiglio Nazionale dei Ragionieri “.
24CERADINI, L'attestatore, il punto (triste) sulla responsabilità penale, in Euroconference News, 21 gennaio 2015,
“La diligenza del comportamento, che sino a ieri costituiva l'elemento discriminante dell'adempimento contrattuale
del professionista e della conseguente sua eventuale responsabilità per danni cagionati, assume quindi anche un
rilievo penale, nella misura in cui il Tribunale ne tragga la convinzione che l'attestatore abbia fornito
un'informazione falsa, (mediante) l'adozione dei principi di controllo, o viceversa, avendoli adottati abbia omesso di
utilizzarne gli elementi probativi ottenuti”.
25A meno di non far rientrare nella locuzione “incompetenza” la violazione di leggi, regolamenti, ordini o
discipline.
23
8
può concretizzarsi il reato in questione prevedono che il professionista attestatore
possieda i requisiti richiamati all’art. 67, terzo comma lett. d) l.f.26.
Così per il concordato preventivo ex art. 161 l.f., per gli accordi di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f., per il concordato con continuità aziendale
ex art. 186-bis l.f., (nonchè per le disposizioni in tema di finanziamento e di continuità
aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art.
182-quinquies l.f.). Queste sono infatti le procedure all'interno delle quali può
perfezionarsi il falso in attestazioni e relazioni, ed in ognuna di esse vi è un riferimento
ai requisiti che il GIP di Torino fa assurgere a perno intorno al quale far ruotare
l'impossibilità di configurare un condotta colposa dell'indagato.
Senza quei requisiti, il professionista non è abilitato né titolato alla stesura di
relazioni od attestazioni di cui all'art. 236-bis l.f.
Certo, altro è commentare la motivazione di irrogazione di una misura
interdittiva, ed altro sarà commentare le pronunce che verranno. Così come altro sarà
commentare la tenuta di questo compendio probatorio e motivazionale, nonchè
verificarne l'eventuale identità con le basi su cui poggerà il provvedimento definitorio
di questa specifica vicenda. Resta però l'augurio che gli interpreti futuri non finiscano
col mutuare pedissequamente quanto statuito dal GIP di Torino in questa pronuncia, e
non perché essa appaia evidentemente forzata o priva di elementi di motivazione, ma
perché dagli elementi di fatto a disposizione appare evidente come essa si riferisca ad
un caso limite le cui peculiarità sono assolutamente singolari e non utilizzabili omnibus.
Il GIP di Torino chiude infatti il provvedimento scrivendo: “Si deve pertanto
ritenere che l’indagato abbia consapevolmente formulato le valutazioni in discorso, nella piena
consapevolezza del fatto che esse non disponessero di alcuna concreta corrispondenza con
affidabili dati di realtà, verosimilmente auspicando che il lettore della relazione potesse
accontentarsi di questa [...]”. Non si hanno elementi per discostarsi da questa
affermazione, anzi probabilmente ce ne sono a sufficienza per comprenderla – e magari
anche per condividerla – ma bisogna restar saldi sul dato della singolarità della
vicenda.
3.3. Il rapporto tra l'attestatore ed il debitore: le asimmetrie sanzionatorie
È fuor di dubbio che il professionista sia oggi sovraesposto a rischi rilevanti
grazie a questa norma. E grazie alla sua assai criticabile formulazione, il professionista
lo è ancor di più per tutti quegli aspetti che riguardano la funzione ricognitiva ad egli
affidata, a causa non solo di un recente passato contrassegnato dall'impunità
dell'attestatore infedele, ma anche – e soprattutto – a cagione del marcato pregiudizio
da cui è marcato per il fatto di essere retribuito dal debitore.
per un corretto inquadramento sistematico dei requisiti richiesti dalla norma, dei rapporti con l'art. 28,
lettere a) e b) l.f. ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile cfr. BERSANI,
La responsabilità penale del professionista attestatore ai sensi dell’art. 236 bis l. f. fra analisi dottrinali e prime
applicazioni giurisprudenziali, § 3, da www.ilcaso.it, Crisi d'Impresa e Fallimento, 21 gennaio 2015.
26
9
Tra i tanti limiti di questa norma – alcuni frutto di un sistema legislativo
alluvionale27, altri frutto di una concezione panprivatizzante della crisi d'impresa28 – non
può infatti non sottolinearsi quello della immunizzazione del debitore imprenditore,
rispetto al quale va ricordato, il professionista non ha potere ispettivo autonomo29.
Se infatti aggiungiamo a ciò la stigmatizzata previsione normativa in virtù della
quale, all'omissione di informazioni rilevanti30 fa da pendant l'esposizione di qualsiasi
informazione falsa, i rischi della creazione di una giurisprudenza contrassegnata da
tratti di diritto penale dell'autore-attestatore diventano tutt'altro che peregrini. Anche in
assenza di una interpretazione illuminata31 della discrasia appena esposta.
A fronte di tali biasimevoli e biasimate discrasie32, il Legislatore ha infatti
recentemente dimostrato come e quanto sia capace, quando vuole, di tenere presenti le
Basti pensare che nel momento in cui si scrive, una nuova delega per la redazione di interventi di
riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali è oggetto dei lavori della
Commissione Ministeriale diretta dal Presidente RORDORF, insediatasi il 18 febbraio 2015, con termine
individuato per i lavori nel 31 dicembre 2015. Tra i punti oggetto della delega vi è una generica
valutazione circa la “necessità di ulteriori eventuali interventi di riordino”, nonché la “razionalizzazione della
legge e semplificazione dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare”, la ricognizione “per il periodo 20102014, della durata e degli esiti dei procedimenti di concordato preventivo e di fallimento e all’adozione delle
conseguenti misure funzionali”, ed infine l'individuazione di “linee generali di riforma della procedure
concorsuali”.
28Cfr. sul punto LUPI, op. cit., “Le responsabilità del professionista attestatore si inquadrano in uno schema
ricorrente – e forse gattopardesco – di travaso di decisioni dalle autorità pubbliche a soggetti privati. È come se le
autorità pubbliche si chiamassero fuori, delegando scelte impegnative e delicate, e poi sanzionando il delegato
nell'ipotesi in cui qualcosa, a posteriori, andasse male. In questa cornice pseudo-privatistica le autorità realizzano il
proprio sogno proibito di non decidere o decidere sotto copertura, facendo riferimento a valutazioni di altri. [...]
Da una simile idea nasce la preoccupazione che, se le cose vanno bene, sia merito della legge e non di chi ha deciso,
criticato invece se nasce qualche problema. Ciò provoca sempre crescenti deresponsabilizzazioni nelle autorità
chiamate a prendere decisioni di opportunità, non giustificabili con meccanici richiami alla normativa, come può fare
la magistratura giudicante e non invece quella fallimentare. Quest'ultima non è infatti nella posizione statica tipica
del giudice, ma deve prendere decisioni di opportunità economica prospettica, soggette a potenziali critiche di
negligenza, basate sul «senno di poi» se qualcosa dovesse andare male. Tali responsabilità possono essere oggi meglio
scaricate sul professionista.”
29LAUDONIA, Il professionista “attestatore infedele” nel concordato preventivo: profili penali, in Gazzetta Forense,
Marzo – Aprile 2014, Giapeto Editore, Napoli, pag. 36.
30Sul concetto di rilevanza VITIELLO, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Giuffrè, Milano, 2013 pag.
20.
31BRICCHETTI E PISTORELLI, in op. cit., “[...] se interpretata letteralmente, la norma incriminatrice finisce per rivelare
un'asimmetria tra le condotte prese in considerazione, giacché qualsiasi falsità commissiva, ancorché a oggetto dati di
scarsa rilevanza, rischia di integrare il reato di nuovo conio a fronte della previsione, invece, di una più restrittiva
modulazione della tipicità delle falsità omissive. Distonia questa non facilmente giustificabile e che potrebbe dunque
suggerire interpretazioni tese a estendere il requisito di rilevanza anche alla condotta commissiva”.
32Sia tollerata sul punto l'autocitazione: B AFFI, in op. cit., “In realtà il primo comma della norma suscita già a
prima lettura un serio interrogativo: la condotta omissiva è, in qualche modo, para-tassativizzata dall’ombrello della
rilevanza, mentre per quel che riguarda la condotta commissiva, almeno a giudicare dal tenore letterale, l’esposizione
di qualsiasi informazione falsa è bastevole perché il reato sia integrato. I sessanta giorni necessari per la conversione
del decreto legge non sono bastati al nostro Parlamento per correggere questa palese disarmonia, introducendo
almeno il criterio della rilevanza quale canone di qualificazione delle informazioni che possono esporre del
professionista alla contestazione di falso in attestazioni e relazioni. [...] A ben vedere, però, il requisito della rilevanza
è in re ipsa un elemento in grado di suscitare dubbi in merito al rispetto dei canoni di tassatività e determinatezza; ce
lo testimoniano la storia e l’evoluzione degli articoli 2621 e 2622 C.C., con il lunghissimo dibattito creato da dottrina
27
10
problematiche sottese al rapporto tra il privato che fornisce contenuti documentali ed il
professionista destinato ad espletare un incarico di rilevanza lato sensu attestativa. È il
caso dell'art. 5-septies della L. 227/90 recentemente introdotto dall'art. 1 della L. 15
dicembre 2014, n. 186 “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti
all'estero nonchè per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di
autoriciclaggio”.
La norma rubricata “Esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al
vero” prevede che “L'autore della violazione [...] che, nell'ambito della procedura di
collaborazione volontaria [...] esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte,
ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei
mesi a sei anni”. Ma soprattutto, al secondo comma stabilisce che “L'autore della
violazione […] deve rilasciare al professionista che lo assiste nell'ambito della procedura di
collaborazione volontaria una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesta
che gli atti o documenti consegnati per l'espletamento dell'incarico non sono falsi e che i dati e
notizie forniti sono rispondenti al vero”.
In questo delicatissimo frangente, relativo al rapporto triangolare tra il privato
aderente alla procedura, il professionista incaricato e l'Agenzia delle Entrate, il
Legislatore ha quindi dimostrato particolare attenzione al tema, nonostante l'oggetto
del rapporto sia di natura fiscale e quindi di particolare delicatezza ed importanza in
termini di interesse per l'esercizio di una potestà statuale. Il risultato è una mirabile
asimmetria rispetto a quanto operato con l'art. 236-bis l.f. che – come lucidamente
sottolineato a poca distanza dalla sua entrata in vigore – comporta una “poderosa
irrazionalità nel trattamento sanzionatorio di due dei soggetti che si muovono nel teatro della
crisi di impresa”33.
Rispetto a quanto avviene oggi con la cd. Voluntary disclosure, in ambito 236-bis
l.f., il professionista viene gravemente sanzionato in caso di attestazione lato sensu
infedele34, mentre il vero beneficiario dell'attestazione rimane esente da responsabilità
penale35. Anzi, paradosso dei paradossi, salve sul tema le clausole di estensione della
e giurisprudenza attorno al concetto di rilevanza, seppur diversamente inteso ed articolato dalle norme sulle false
comunicazioni sociali, rispetto a quella sulla falsità delle informazioni attestate dal professionista. [...] Anche a fronte
di un indice concreto come la patrimonializzazione delle soglie di rilevanza, ci sono voluti, infatti, anni di confronti e
contributi per stabilire, ad esempio, quali fossero il bene giuridico protetto dalla norma, la natura giuridica delle
soglie, i margini di sopravvivenza del concetto di “falso qualitativo”. Eppure quella norma dagli orizzonti liquescenti
era, in termini di tassatività e determinatezza, ben più precisa di quanto non appaia a prima vista questa”.
33CONSULICH, in op. cit.
34Sul punto FIORELLA E MASUCCI, Gestione dell'impresa e reati fallimentari, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 134,
“Vi è la possibilità di concepire la funzione certificativa dell'atto nel senso di farla ricadere sulla veridicità dei dati
contabili, patrimoniali e finanziari indicati dall'impresa; dovendo tuttavia chiarirsi in che misura tale costruzione si
concilii con i poteri attribuiti al professionista, tra i quali non pare annoverarsi – non emergendo dalla legge – alcuna
potestà autonoma accertativa o istruttoria rispetto a quanto dichiarato o riferito dal debitore”.
35Sui possibili correttivi cfr. B RESCIA, Le attestazioni del professionista nella legge fallimentare, Maggioli,
Santarcangelo di Romagna, 2014, pag. 406, “La valutazione rigorosa della sussistenza dell’elemento psicologico
limiterebbe tuttavia di non poco il rischio, oggettivamente ampio e concretamente esistente, di incorrere nel reato,
posto che da una parte non è detto che all’attestatore siano fornite tutte le informazioni (essendo invece probabile il
contrario) e dall’altra parte bilancerebbe il concetto “eccessivamente soggettivo” di rilevanza dell’informazione.
Pertanto in concreto nel tentativo di ricondurre ad unità il modus procedendi dell’attestatore, si potrebbe ipotizzare
11
punibilità ex art. 110 c.p. e sgg.36 il debitore è punibile, esattamente come nel passato,
solo nel caso in cui l’attestazione falsa venga predisposta nell’ambito di un concordato
preventivo da cui scaturisca un'imputazione ex art. 236 l.f.: lo statuto del debitore e
delle sue responsabilità nell'ambito delle procedure, dopo tanto rumore, continua
quindi ad atteggiarsi in maniera esattamente identica al pre-riforma del 2012.
4. I princìpi CNDCEC: natura, limiti e possibili rischi.
Circa le lacune di formulazione della norma vi è però da sottolineare un dato,
indipendente dalla pronuncia ma ad essa collegabile in termini di applicazione futura
della disposizione secondo l'orientamento del GIP di Torino: di poche settimane
successiva all'ordinanza è infatti l'approvazione dei Principi di attestazione dei piani di
risanamento da parte del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili37, pubblicazione ad opera di un gruppo di lavoro composto, tra gli altri,
dall'Istituto di ricerca dei Dottori commercialisti ed Esperti Contabili (IRDCEC) e
dall'Accademia italiana di economia aziendale (AIDEA).
Proprio per sopperire alle carenze di formulazione della norma, sono quindi
nati i Principi di attestazione nei piani di risanamento, come espressamente riportato tra i
profili generali dei principi di attestazione ove al punto 1.5, voce principi e responsabilità si
legge “Con l’introduzione nella legge fallimentare del nuovo art. 236-bis [...], l’Attestatore
assume, infatti, nuove responsabilità, tanto più che il legislatore non ha precisato cosa si intenda
per informazioni false e informazioni rilevanti, la cui esposizione od omissione rilevano
penalmente. Si rende perciò necessario, oggi più che in precedenza, permettere agli Attestatori
di svolgere il proprio incarico con una certa sicurezza e tranquillità, ai creditori di esprimere il
proprio voto con cognizione di causa e con convinzione e agli organi giudiziari di fare
affidamento su norme di comportamento e procedure precise che non si prestino a varie
interpretazioni.”
Agli occhi di chi scrive, per tecnica di redazione prima ancora che per obiettivo,
la pubblicazione tanto somiglia nel contenuto a quelle buone pratiche mediante il
rispetto delle quali (insieme alle linee guida) la responsabilità penale per colpa lieve del
medico è stata espunta dall'area del penalmente rilevante38.
che la relazione sia sempre accompagnata “da una descrizione analitica dei documenti esaminati e delle informazioni
ricevute dall’imprenditore”, con relativa sottoscrizione accertativa del debitore, potendo tale condotta essere ritenuta
sufficiente a scriminare il reato”.
36 Sul punto BUCCARELLA, I "nuovi" accordi di ristrutturazione dei debiti, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 131.
37Approvati
in data 3 settembre 2014, pubblicati in data 11 settembre 2014. Reperibili su
www.cndcec.it con lettera di accompagnamento del Presidente CNDCEC recante l'inciso “Il documento vuole
formulare principi e soprattutto proporre modelli comportamentali condivisi ed accettati riguardanti le attività che
l'Attestatore deve svolgere. [..] i Principi cercano di ridurre le difficoltà che gli Attestatori incontrano ed aumentare
le certezze sulle modalità operative da adottare e sui risultati da esporre”.
38ad opera del decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158 convertito in data 8 novembre 2012 dalla L n. 189,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 2012, n. 263.
Art. 3 - Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie
12
Non appaia un fuor d'opera questa constatazione: le buone prassi insieme alle
linee guida spiegano oggi, grazie alla L. 189/12, una funzione di spartiacque tra ciò che è
penalmente rilevante e ciò che non lo è. Evidente agli occhi di tutti è che ciò avvenga in
una materia come la responsabilità professionale medica, nella quale le contestazioni a
titolo di colpa, a differenza di quanto avviene con l'art. 236-bis l.f. punibile solo a titolo
di dolo.
Meno evidente appare il compendio di rischi connessi al mancato rispetto dei
suddetti princìpi in materia di attestazione dei piani di risanamento, alla luce proprio del
dictum del GIP di Torino: utilizzando in futuro il percorso motivazionale come quello
della pronuncia in oggetto, edificato sui requisiti professionali dell'attestatore, nonché
sull'eventuale riferimento ai criteri citati e sui princìpi di attestazione, non è affatto
inverosimile prevedere l'apertura di pericolosi varchi nell'insidiosa breccia di un
automatico dolo del professionista39.
4.1. Il rispetto dei princìpi CNDCEC e la valutazione da parte del dominus della procedura.
Un veloce inciso infatti merita la concreta possibilità che il rispetto dei princìpi
divenga oggetto di valutazione del dominus della procedura40, secondo una non
peregrina ipotesi di applicazione del dictum delle Sezioni Unite Civili41 che qui si
riporta: “Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità
della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione […]; il controllo di
legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle
diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di
concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità
1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e
buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi
resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella
determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo
periodo. [..]
39Sul punto MARTIELLO, Art. 236-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione per debiti –
Commento per articoli, a cura di NIGRO, SANDULLI E SANTORO, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 595.
40Sulla valutazione dell'operato dell'attestatore da parte del Tribunale in sede di omologa, ed il relativo
rapporto con il vaglio del Giudice penale, D'ORAZIO, Falso in attestazioni e relazioni, in Le procedure di
negoziazione della crisi dell'impresa, Giuffrè, Milano, 2013, pag. 523.
41Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente P REDEN, Relatore
PICCININNI, par. 19 “il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere
esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica
della loro rispondenza alla causa del detto procedimento nel senso sopra delineato, mentre non può essere esteso ai
profili concernenti il merito e la convenienza della proposta; c) agli eventuali difetti di informazione circa le
condizioni di fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda. Tuttavia, ove espresso da parte dei creditori un
giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano e mutate le condizioni rappresentate rispetto alle previsioni
originarie per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni del debitore, soccorre l'intervenuta modifica della
L.F., articolo 179, che impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di
una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l'eventuale modifica del voto precedentemente espresso”.
13
della causa concreta della procedura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo
specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile [..]”.
Non appare peregrina a chi scrive la possibilità che tali assunti, letti insieme alla
giurisprudenza inaugurata dal GIP di Torino ed ai princìpi CNDCEC, facciano sì che il
mancato rispetto di questi ultimi sia ritenuto – anch'esso in re ipsa – motivo di
rimessione degli atti in Procura per la contestazione del reato di cui all'art. 236-bis l.f. A
ben leggere, l'inciso delle Sezioni Unite Civili sulle funzioni dell'attestatore non è infatti
foriero di sonni tranquilli se analizzato oggi, alla luce dei princìpi CNDCEC. Ciò
specialmente se si pone l'accento sulla malam partem relativa all'attestatore, rispetto alla
bonam partem relativa al vaglio del “giudicante”42. Ed anche rispetto al momento
consumativo del reato, la valutazione del giudicante sull'attestazione resta una rivoltella
carica, spesso – ma non sempre – puntata in maniera paradossale sulla tempia
dell'attestatore più che su quella del debitore.
Dalle prime pronunce in ambito concordatario – e paraconcorsuale in genere –
sul tema appare infatti evidente come all'interno del contenitore della causa concreta sia
possibile inserire valutazioni che prima facie potevano sembrarne escluse, come
dimostrato dalla pronuncia del Tribunale di Torino sui temi dello svuotamento della
causa concreta del concordato, del vaglio da parte del Tribunale delle argomentazioni
dell'attestatore e sulla fattibilità economica del concordato nonché sui rapporti tra la
portata dell'art. 236-bis e l'art. 173 l.f.43.
sempre Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili – Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, Presidente Preden,
Relatore Piccininni, par. 12.4 “Al detto attestato deve infatti essere attribuita la funzione di fornire dati,
informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall'interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti
acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice. Ne consegue dunque che, pur
non essendo un consulente del giudice – come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo –, il professionista
attestatore ha le caratteristiche di indipendenza [...] e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del
dettato normativo. Deve dunque ritenersi che egli svolga funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice,
[...] circostanza questa che esclude che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e
viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non
condivise valutazioni' di un suo ausiliario”.
43Trib. Torino, 20 maggio 2014, “Il punto, che resta in ombra […], è il discrimine tra giudizio di fattibilità
economica e verifica da parte del tribunale della “manifesta” mancanza di causa in concreto e il nesso tra
quest’ultima e il controllo sulla coerenza e logicità dell’attestazione. Pur senza pretesa di esaurire la materia, si
possono svolgere due osservazioni. Primo. Se l’attestazione “espone informazioni false ovvero omette di fornire
informazioni rilevanti”, la condotta si qualifica come reato proprio dell’attestatore, procedibile d’ufficio (art. 236-bis
l.f.). È coerente con tale qualificazione penalistica che la materia, anche agli effetti della procedura di concordato,
ricada nella sfera di controllo del tribunale, ergo non possa ritenersi riservata al solo consenso informato dei creditori;
[..] Secondo. Malgrado la pretesa riserva delle questioni inerenti la fattibilità economica al solo consenso informato dei
creditori, persiste il controllo del tribunale, se: 1) l’attestazione, pur fornendo una rappresentazione non infedele del
nucleo dei fatti sottesi alla prognosi di fattibilità, trae conclusioni manifestamente incoerenti con tali premesse; e 2) lo
scostamento tra i dati previsionali dell’attestatore e una ragionevole previsione su quelle premesse di fatto è di tale
entità da lasciare presumere ex ante il mancato soddisfacimento anche solo ipotetico e parziale dei creditori. [...] In
definitiva, se è vero che di massima le prognosi e valutazioni formulate dall’attestatore attengono alla fattibilità
economica (Cass. n. 24970) e che il giudizio di fattibilità economica spetta di massima ai soli creditori, tuttavia
appaiono esistere prognosi e valutazioni che il tribunale legittimamente può sottoporre a verifica perché formulate: 1)
assumendo dati di fatto falsi; 2) tacendo dati di fatto veri, rilevanti secondo un canone di normalità ai fini del giudizio
prognostico; 3) discostandosi in modo manifestamente incoerente da una pur genuina rappresentazione del quadro
delle circostanze fattuali. Su queste premesse, la linea di confine tra la manifesta irrealizzabilità, di fronte alla quale
42
14
5. L'indagine sull'elemento psicologico.
Chiusa questa invasione di campo, i princìpi potranno spiegare la loro funzione
– rectius ambizione – paraordinamentale di eterointegrazione del 236-bis l.f. solo se gli
interpreti istituzionali di Procure e Tribunali non si faranno ammaliare dalla concreta
possibilità di utilizzare i medesimi come fondamento di contestazioni ad automatico
titolo di dolo.
Il problema appare di non poco conto, dal momento che se si estende il
ragionamento contenuto nell'ordinanza citata, nella qualificazione giuridica data dal
Giudice o nella imputazione mossa dal PM, il professionista che violi i princìpi
verosimilmente non verserà in una colpa non punibile. E forse, maliziosamente
potremmo aggiungere l'inciso “proprio perché non punibile”.
Appare invece verosimile che proprio in virtù delle competenze
– automaticamente sussistenti in presenza dei requisiti di cui all'art. 67 co.3 lett. D l.f.44
– l'atteggiamento psicologico del professionista verrà facilmente ricondotto nell'alveo
del dolo. Qualora infatti si ripercorresse il dictum del GIP di Torino senza adattarlo alle
peculiarità dei singoli casi concreti che verranno, quel che nel caso di specie si appalesa
come dolo quantomeno generico, in casi meno marchiani potrebbe prestarsi alla truffa
delle etichette, ed essere quindi contrassegnato da un dolo di particolare pericolosità.
Paradossalmente proprio col contributo dei princìpi CNDCEC.
Non esistendo infatti una condotta colposa punibile, la necessaria rigorosa
indagine circa l'elemento psicologico del reato de quo rischia di estrinsecarsi lungo un
asse passibile di rilevante torsione ermeneutica. L'interprete, posto innanzi all'annosa
alternativa tra un forzato dolo in grado di rendere punibile la condotta, ed una evidente
colpa – magari specifica, magari con previsione – in grado di rendere il fatto
insussumibile nell'archetipo normativo per difetto dell'elemento psicologico,
verosimilmente propenderebbe verso la prima ipotesi pur di evitare che la condotta
lato sensu infedele resti impunita.
5.1. Dolus in re ipsa?
Si è in precedenza speso un inciso sulla pericolosa possibilità di ricondurre la
contestazione mossa al professionista nell'alveo dei reati sorretti dalla presenza di un
“non c’è da effettuare valutazioni o da assumere rischi di sorta” (Cass. 24970) e il giudizio di fattibilità che
“fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un
fattore rischio per gli interessati” (Cass. 1513) passa dunque lungo lo spartiacque segnato dalla rappresentazione
veritiera, non irrealistica del quadro delle circostanze fattuali e dalla non manifesta incoerenza e irragionevolezza
delle conclusioni rispetto alle premesse di fatto”, da www.ilcaso.it.
44Cfr. sul punto la relazione CNDCEC n. 30/IR-2013 pag. 17, “L'espressa menzione di precipui requisiti
soggettivi in capo all'attestatore, pertanto induce a concludere che l'attestazione sottoscritta da un soggetto che ne sia
privo sia invalida” da www.cndcec.it.
15
elemento psicologico come detto “più vicino ad un dolus in re ipsa che ad una colpa con
previsione”, anche grazie allo stigma che contraddistingue un soggetto su cui
incombono oneri attestativi rilevanti per la procedura, ma che al contempo resta
sempre contrassegnato dal pregiudizio di essere retribuito dal debitore45. Appare
quindi il caso da un lato di ripercorrere le critiche e l'inquadramento del dolus in re ipsa
e dall'altro analizzare le peculiarità del dolo eventuale nei reati di falso, e ciò per
dimostrare che purtroppo il nemico è dietro l'angolo. Ovviamente esigenze di sintesi
impediscono qualsiasi forma di esegesi, ed i riferimenti vanno in questa sede
considerati senza alcuna pretesa di esaustività46, ma al solo fine di motivare le
preoccupazioni legate ad alcune tra le possibili forme utilizzo della norma47.
Riportare pedissequamente le parole di Antolisei può in questo caso
rappresentare una prima soluzione per affrontare i nodi centrali delle questioni che si
pongono oggi con il reato di cui all'art. 236-bis l.f.: “La più cruda espressione del rigorismo
dominante è costituita dal principio […] del dolus in re ipsa e cioè del principio secondo cui il
dolo è insito nel fatto stesso della falsificazione. [...] La coscienza giuridica moderna ripudia nel
modo più reciso il rozzo principio, ed esige perentoriamente che il dolo in quanto requisito
essenziale del reato, sia sempre provato, pur riconoscendo che l'indagine relativa deve svolgersi
con particolari modalità che la natura delle cose rende inevitabili”48.
Richiamare invece il contributo di Bricola può inoltre rappresentare il file rouge
lungo il quale iniziare e concludere il passaggio sull'elemento psicologico: “Di dolus in
re ipsa nei delitti contro la fede pubblica è lecito parlare solo allorché si restringe il dolo alla
«coscienza e volontà dell'immutatio veri», cioè lo si circoscriva ad una nozione inconsistente, il
che porta al risultato pratico di far presumere l'elemento psichico nel comportamento
materiale”49.
Peraltro in un contesto che ha visto l'avvicendarsi di disposizioni normative ed orientamenti della
Suprema Corte antitetici in materia di prededucibilità dei compensi spettanti al professionista incaricato di
predispone attestazioni e relazioni. Sul punto cfr. DI DIEGO e MICOZZI, La responsabilità civile e penale
dell’esperto nelle procedure concorsuali, in Piano industriale e crisi d'impresa, Maggioli, Santarcangelo di
Romagna, 2012, pag. 272.
46insuperato perno scientifico sul tema resta a distanza di più di cinquant'anni l'opera del Maestro dei
Maestri BRICOLA, Dolus in re ipsa. Osservazioni in tema di oggetto e di accertamento del dolo, Giuffrè, Milano,
1960.
47Così BRESCIA, in op. cit. “Sul piano dell’elemento psichico del reato ex art. 236 bis l.f. va tenuto conto che, secondo
il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di falsità in atti, nonché della dottrina, il dolo
non può ritenersi implicito nella materialità del fatto, vale a dire in re ipsa e, quindi, va rigorosamente provato.
L’accertamento dell’elemento psichico doloso è particolarmente complesso e delicato, soprattutto nella ipotesi di
omissione di informazioni, in cui non è agevole distinguere i casi di falsità consapevole da quelli di falsità dovuta a
semplice negligenza o imperizia e quindi riconducibili a mera colpa. La valutazione rigorosa della sussistenza
dell’elemento psicologico limiterebbe tuttavia di non poco il rischio, oggettivamente ampio e concretamente esistente,
di incorrere nel reato, posto che da una parte non è detto che all’attestatore siano fornite tutte le informazioni
(essendo invece probabile il contrario) e dall’altra parte bilancerebbe il concetto “eccessivamente soggettivo” di
rilevanza dell’informazione”.
48ANTOLISEI, in Manuale di diritto penale: Parte speciale, Volume 2, Giuffrè, Milano, Ed. 2008, pag. 79.
49BRICOLA, in op. cit. Alcuni casi dottrinali e giurisprudenziali di dolus in re ipsa – Due casi di dolus in re ipsa
nei reati formali. Dolus in re ipsa nei reati di falso: necessità di un superamento dell'oggettività giuridica di
tali reati, pag. 141.
45
16
I riferimenti precedenti non appaiano superflui: l'indagine sull'elemento
psicologico nei reati di falso è storicamente terreno scivoloso, e tutto in salita se
percorso lungo vie che siano compatibili con un impianto della responsabilità penale
costituzionalmente orientato (e volendo fare un salto nel passato, alla genesi del Codice,
da un lato il dolo eventuale nella modalità rappresentativo-centrica non sarebbe
compatibile nemmeno col codice stesso, almeno nell'idea di chi lo ha redatto e che sul
punto nei lavori preparatori disse testualmente “Dice il commissario Marciano che allora
vi è un dolo indiretto, e dice il commissario Ferri che vi è un dolo eventuale. Ma che cosa sono
queste distinzioni del dolo? Esse sono finite tutte nel nulla: o l’evento dannoso è voluto, e c’è
dolo, o non è voluto e non c’è dolo”)50. Dall'altro però relativamente ai reati di falso, la
relazione illustrativa al Codice Rocco recava l'inciso “è sufficiente agire con la coscienza e
la volontà di perpetrare il falso, anche se non sussista il proposito di arrecare d altri un danno, o
di procurare a sé e ad altri un vantaggio”)51.
Evidente quindi che pur di reprimere penalmente la condotta perseguendo il
reato, l'interprete istituzionale potrebbe facilmente percorrere le ben più comode strade
lastricate dalla progressiva erosione di una effettiva indagine sull'elemento psicologico.
Ciò a favore di una discutibile indagine sul dolo che poggi le sue basi sulla
concezione normativa del dolo stesso, concezione presa in prestito dalla colpa, con
buona pace dell'art. 27 co. 1 Cost.
È qui che per un attimo dobbiamo dimenticare la macroscopicità del caso di
specie ed immaginare la possibile applicazione futura del dictum del GIP di Torino,
perché solo così avremo la prova tangibile della sostanziale applicazione del dolus in re
ipsa nel caso in cui il falso di cui all'art. 236-bis l.f. venga contestato senza una
scrupolosa indagine sull'elemento psicologico.
Adattando il dictum del GIP ad un ideale caso, futuro e meno lapalissiano del
presente, contestato a titolo di dolo eventuale o a sostanziale titolo di dolus in re ipsa,
avrem(m)o infatti da un lato il modello di comportamento considerato doveroso
(quello dei requisiti, dei criteri, dei princìpi) e dall'altro quello concreto tenuto dal
professionista, rilevandosi il dolo (eventuale o in re ipsa) di quest'ultimo come fornito
dallo iato tra l'azione doverosa e quella tenuta. Con il solo argine quindi di una
valutazione del quoad poenam, che non potrebbe non tener conto dell'indice di cui
all'art. 133 c.p. in termini di un'intensità di un dolo che in realtà, nei comuni casi di
malpractice professionale colposa, non c'è.
Ponti d'oro al dolus in re ipsa, non sorretto da alcuna indagine sulla componente
volitiva, e desunto solo ed unicamente per presunzione, dall'inosservanza di una
regola, con il risultato di far ricadere nel dolo un'assenza di diligenza, che dovrebbe
MANGINI, (a cura di), Verbali della Commissione ministeriale, in Codice penale illustrato con i lavori preparatori,
Colombo Ed., Roma, 1930, pag. 47.
51ROCCO, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Tipografia delle Mantellate per il
Ministero della Giustizia e degli affari di culto, Roma, 1929.
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17
essere aliena ad esso, e riconducibile alla sola responsabilità colposa (e quindi non
punibile)52.
5.2. Dolo eventuale?
Terreno scivoloso si diceva, reso ancor più infido dal contenuto delle
attestazioni del professionista, perché queste rappresentano spesso il punto di crisi
nella distinzione tra dichiarazione di scienza ed espressione di un giudizio ovvero tra giudizi
di fatto e giudizi di valore. Come eminentemente sottolineato53 su questioni del tutto
sovrapponibili a quella che qui interessa, tale tipo di distinzione comporta – rectius:
dovrebbe comportare – l'esclusione della configurabilità dei reati di falso ideologico
quando oggetto delle dichiarazioni – come le attestazioni del professionista – sia un
giudizio di valore.
Va infatti, tenuto presente che le dichiarazioni di giudizio scaturiscono
dall'analisi di fattori la cui interpretazione non è inequivocabile, essendo il risultato di
valutazioni soggettive e, quindi insuscettibili di verifica secondo il parametro vero/falso,
ma, semmai, secondo il parametro corretto/errato. Ne discende l’impossibilità di porre a
verifica il giudizio, ossia di controllare se le affermazioni contenute nell’atto siano il
frutto delle convinzioni del redattore, oppure siano il risultato di un atteggiamento
infedele. Abbandonando per un attimo la teoria più conveniente ovvero quella in virtù
della quale sono solo gli atti constatativi o descrittivi a poter essere veri o falsi, e
facendo proprio l'orientamento in virtù del quale il falso ha rilevanza anche quando ha
ad oggetto valutazioni, “il modello vero/falso, […] potrà applicarsi solamente quando i
parametri normativi siano incontrovertibili. Se questi, viceversa, sono dotati di una pur minima
duttilità, allora lo schema da adottare non potrà che essere quello del corretto/errato”54.
E per quanto attiene ai parametri posti alla base delle attestazioni del
professionista, chi scrive non è eufemisticamente certo della loro relativa
incontrovertibilità, indipendentemente dai princìpi CNDCEC55.
Rectius: se con una fictio volessimo ritenere certi i parametri di cui ai princìpi di
attestazione richiamati, ciò sarebbe forse possibile per quanto attiene alla funzione
ricognitiva56 del professionista, ma non certo per quella valutativa57.
Sugli standard della prova del dolo del professionista, IADECOLA, Attività professionali e reati di falso,
relazione al Convegno organizzato dall’associazione Ciceroassogiur, Frosinone, 9 novembre 2007,
www.ciceroassogiur.it, anche in Giurisprudenza di Merito, Giuffrè, Milano, 2009, ppg. 863 e sgg.
53CATERINI, Il dolo eventuale e l’errore su norma extrapenale nei reati di falso ideologico, in L'indice penale – n.
1/2007, Cedam, Padova, 2007, ppg. 116 e sgg.
54Così CATERINI, ibidem
55Cfr. sulla questione il punto 1.7 – Portata e limiti naturali dell’attestazione – dei citati princìpi CNDCEC:
“Come in ogni altra attività professionale, l’obbligazione dell’Attestatore è una obbligazione di mezzi. [...]
L’attestazione implica un giudizio prognostico che talvolta può non trovare conferma nello svilupparsi dei fatti e nei
successivi accadimenti. […] Per la natura essenzialmente previsionale del piano di risanamento, l’Attestatore, a
differenza del revisore legale, non potrà mai fornire una reasonable assurance, stanti i maggiori rischi che
caratterizzano il giudizio di fattibilità del piano e il tempo a disposizione per gli accertamenti”.
52
18
E poiché di questo lungo excursus urge tirare le fila, va rimarcato ancora una
volta che l'oggetto materiale delle attestazioni e relazioni di cui all'art. 236-bis l.f.
riguarda prettamente giudizi di valore, rispetto ai quali il giudice penale compie sempre
una valutazione soggettiva ex post. Peraltro sulla scorta dello schema corretto/errato e
non sulla scorta di quello vero/falso. Basti pensare che, paradossalmente, persino le
conclusioni dell'attestatore circa la fattibilità dell'iperbolico piano nell'iperbolico caso in
oggetto possono ricondursi più facilmente allo schema corretto/errato che allo schema
vero/falso. Come visto in precedenza, va inoltre rimarcato che da un lato il reato si
perfeziona con l'entrata dell'attestazione nella procedura, e dall'altro la tenuta
dell'attestazione rispetto al buon esito della procedura stessa può invece rivelarsi, in
positivo come in negativo, anche ad una certa distanza dal momento consumativo.
Tenuto presente che lo schema corretto/errato è foriero di una serie di soluzioni
intermedie tra le due che ne sono oggetto, anche per quanto attiene la stragrande
maggioranza delle valutazioni oggetto delle attestazioni del professionista va
condiviso quanto sostenuto dalla dottrina citata: l'ammissione della compatibilità tra il
modello corretto/errato ed il concetto di probabilità proprio del dolo eventuale
comporterebbe una nuova ed ulteriore dilatazione dell'area del penalmente rilevante
attraverso il conio della “probabilità della possibilità”. Ne conseguirebbe un tipo di evento
non integrabile in un “dato obiettivamente accertabile”, ma viceversa pericolosamente
integrato nella “diversa interpretazione della vicenda data dal giudice e dal discostarsi della
condotta dell’agente da quella particolare sfera del doveroso individuata sempre dal giudice”58.
5.3. Le possibili soluzioni.
Se il tutto si riduce, come si riduce, alla censura dell'agente che si è discostato
dalla condotta doverosa individuata dal giudice ex post, è evidente che la truffa delle
etichette è pronta per essere servita, forse sul piatto del dolo eventuale, forse sul piatto del
dolus in re ipsa.
Inutile dire che entrambe le ipotesi preoccupano: la prima però, se da un lato
vede riemergere i problemi sottesi all'individuazione della linea di confine aldilà della
Sull'allargamento del “perimetro semantico della nozione di informazioni”, AMBROSINI, Il delitto di falso in
attestazioni e relazioni, in Le altre procedure concorsuali – Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure
concorsuali, diretto da VASSALLI, LUISO, GABRIELLI, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 458.
57Sull'esclusione dall'ambito di applicazione della norma delle attestazioni e delle relazioni del
professionista aventi portata interpretativa e quindi di conseguenza valutativa a carattere congetturale,
FIORELLA e MASUCCI, La responsabilità penale del professionista incaricato di attestare l'idoneità del piano di
pagamenti, del concordato preventivo, o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, in AA. VV., Gli effetti del
fallimento, Giappichelli, Torino, 2014, pag. 973.
58Così CATERINI, in op. cit.
56
19
quale si versa in dolo eventuale nei reati di mera condotta59 come il 236-bis l.f.,
dall'altro vede un importante contributo della dottrina60 per risolvere tali problemi.
Abbandonando per un attimo la condivisibile opinione in virtù della quale
“Accettare il rischio della verificazione dell’evento [...] è atteggiamento completamente
differente dal volere l’evento oggetto del rischio. Accettare il rischio significa rischiare, ossia un
atto soggettivo che rientra nell’imprudenza e nella temerarietà , non nel dolo”61, va
sottolineato che secondo la citata dottrina l'atteggiamento psicologico riconducibile al
dolo eventuale sarà integrato qualora l’agente, innanzi al dubbio, si rappresenti uno
stato di rischio di realizzazione della fattispecie penalmente rilevante, il quale sia da un
lato non consentito,e dall'altro, contemporaneamente non considerabile dall'homo
eiusdem conditionis et professionis posto nelle stesse condizioni in cui si trovava l’agente
al momento dell'azione. Viceversa, qualora il medesimo rischio sia passibile d'esser
preso in considerazione dal medesimo agente modello, posto nella medesima
condizione di cui alla precedente ipotesi, il dubbio sarà ascrivibile a titolo di colpa.
Ribadendo quanto in premessa circa la non esaustività dell'indagine sul tema, si
auspica che il precedente passaggio possa però essere considerato sufficiente a
chiudere la parentesi del dolo eventuale e (ri)aprire quella del possibile dolus in re ipsa
dell'attestatore.
A ben vedere, ripercorrendo il dictum del GIP di Torino, del dolo eventuale
potrebbe in futuro non esserci nemmeno il bisogno, stante la presunzione assoluta di
conoscenza dei princìpi CNDCEC da parte del professionista, dal momento che,
secondo l'orientamento inaugurato dal GIP di Torino, proprio tale presunzione
comporta che qualsiasi violazione ad essi relativa valga a fondare la prova di un dolo
diretto.
Anche in questo frangente, nel quale sono possibili le più svariate modalità di
condotta del soggetto agente, va forse rimarcata l'assenza di quella terza via ritenuta
condivisibilmente fondamentale62, ovvero di una recklessness, di “un titolo di
responsabilità intermedio tra dolo e colpa” da poter utilizzare anche per le condotte
professionali.
E forse vanno rimarcati da un lato le colpe di una categoria che ha per anni
messo la testa sotto la sabbia per non vedere né sanzionare disciplinarmente gli scempi
compiuti in nome del tentativo di salvataggio dell'impresa in crisi, e dall'altro il
Rispetto ai quali purtroppo limitata efficacia ermeneutica spiegano i recenti contributi delle Sezioni Unite
su reati dalla diversa struttura, con le sentenze Thyssenkrupp (SS.UU., sentenza 18.09.2014, n. 38343) e
Nocera: (SS.UU., sentenza 30.03.2010, n. 12433).
60 CANESTRARI, Dolus eventualis e colpa cosciente nell'ambito delle diverse tipologie dei c.d. reati di pura condotta,
in Dolo eventuale e colpa cosciente: ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Giuffrè,
Milano, 1999, pag. 206-207.
61FORTE, Ai confini fra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura
Penale, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 252 e sgg.
62VIGANÒ, Il dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, in questa Rivista, 31 marzo 2014, precedentemente
in Il libro dell’anno del diritto, Treccani, 2013. Contra, CANESTRARI, La distinzione tra dolo eventuale e colpa
cosciente nei contesti a rischio di base «consentito», in questa Rivista, 6 febbraio 2013, già Relazione al Convegno
organizzato dall’Associazione Franco Bricola, «Reato colposo e modelli di responsabilità. Le forme attuali di un
paradigma classico», Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna, 23-24 marzo 2012.
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20
pregiudizio che tale condotta “di categoria” ha generato nei confronti del professionista
attestatore, che da Procure e Tribunali viene visto con sospetto oggi grazie agli abusi di
ieri. Non siano interpretate queste parole come incisi moralizzanti: sono solo e
semplicemente constatazioni circa gli elementi che, insieme alla sistematica
panprivatizzazione della crisi di impresa – ed alla relativa deresponsabilizzazione dei veri
pubblici ufficiali delle procedure – rischiano di orientare negativamente il
convincimento di chi valuta l'operato dell'attestatore. Peraltro ex post, chiudendo così
definitivamente quel cerchio con cui il sistema della composizione della crisi
d'impresa, come novellato, pone in capo all'attestatore funzioni che dovrebbero essere
pubblicistiche, sollevando invece i soggetti istituzionali da responsabilità e rischi di cui
al contempo invece carica il professionista.
La possibile violazione dei princìpi, letta insieme alla disinvoltura ed all'impunità
di ieri, potrebbe essere vista oggi con la lente deformata dell'individuazione di un
predeterminato tipo d'autore, nei confronti del quale il soggetto che procede, o che
giudica un fatto di reato di cui all'art. 236-bis l.f. rischia di avere meno remore del
necessario quando si tratti di optare per la forzatura di una categoria di imputazione,
al fine di rendere punibile una condotta che senza quella forzatura punibile non
sarebbe.
A ben vedere, il rischio della forzatura esiste, e la struttura della norma non
aiuta ad evitarlo: il 236-bis l.f. come un Giano bifronte si atteggia da un lato come i ben
più noti e diffusi reati di falso ideologico codicistici, e dall'altro come un falso in
scrittura privata o come false comunicazioni sociali. Ma con orizzonti però ancor più
liquescenti63. Ha cornici edittali – nonchè profili rinvenibili nella concezione di immutatio
veri – assimilabili al primo, ma non si perfeziona con la sua redazione, bensì con la sua
entrata nella procedura, con atteggiamento quindi più proprio dei secondi.
Ed a voler dirla tutta, nasconde profili da falso in perizia, almeno
nell'interpretazione dell'attestazione che – come dimostrato in precedenza – hanno
iniziato a fornire i Giudici delle procedure.
Questa natura ibrida ed ambivalente finisce col pregiudicare l'interprete, il
quale ad esempio non ha allo stato contezza dei margini di applicabilità in tale ambito
di categorie del falso inoffensivo come il falso grossolano ed il falso innocuo64: di tal
che la tipicità ancorché apparente sarà sempre tipicità, con buona pace dell'art. 49 c.p.,
della concezione realistica dell'illecito e del principio di offensività.
NAPOLEONI, Gli orizzonti liquescenti delle false comunicazioni sociali: il delitto di cui all’art. 2621 c.c. come reato
di pura omissione, in Cassazione Penale, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 295.
64Sul punto AMBROSETTI, voce Art. 236 bis l. fall.: «falso in attestazioni e relazioni», in Addenda a Diritto penale
dell’impresa, Zanichelli, Torino, 2014, pag. 14. BRESCIA., in op. cit., pag. 395, CONSULICH, in op. cit., pag. 619,
FIORE, Nuove funzioni e vecchie questioni per il diritto penale nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in
Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione:dal decreto "crescita"al decreto del "fare", AA.VV., Ipsoa,
Milano, 2013, pag. 1193, LAUDONIA, in op. cit., pag. 34, MAPELLI, Il Il reato dell'attestatore, in Il fallimento e le
altre procedure concorsuali, a cura di CAIAFA E ROMEO, Cedam, Padova, 2014, pag. 956, MONTELEONE, in op.
cit., pag. 7.
63
21
Ed allora, tenendo sempre presenti le parole di Rocco in sede di relazione
illustrativa65 del codice, va probabilmente revocato in dubbio che si possa
correttamente parlare di vero e proprio dolus in re ipsa dell'attestatore, e va chiesto
soccorso al prezioso insegnamento del Bricola per giungere alla conclusione di questo
discorso sull'elemento psicologico. Affrontando tali temi risuona ancor oggi l'eco delle
sue parole in materia di sussistente univocità oggettiva, ed assenza di univocità
soggettiva nei reati di falso, dal momento che l'azione del falsificare è sempre
“teleologicamente orientata verso un fine che è l'opposto di quello intrinseco all'oggetto su cui
essa cade”, ma tale assunto “non importa necessariamente una pregnanza in senso soggettivo
dell'azione del falsificatore, tale da dispensare dall'indagine sull'elemento psichico”.
Tale assunto fa sì che ci si trovi quindi “al di fuori di ogni presunzione, e nel campo
di una semplificazione della prova”, con la naturale conseguenza di porre in capo
all'organo dell'accusa la ricerca della prova non solo di coscienza e volontà del fatto,
ma anche “dell'atteggiamento psichico del soggetto in rapporto all'offesa”.
Anche per quel che riguarda la prova della fattispecie obiettiva, veniva
rimarcato come “il passaggio probatorio relativo alla sussistenza dell'offesa dell'interesse
specifico” possa essere semplificato dalle “circostanze delle singole fattispecie concrete di
falso” a patto che ciò avvenga attraverso lo schema della presunzione semplice e mai
attraverso una presunzione juris tantum tale da comportare inversioni dell'onere di
prova, onere che resta e deve restare in capo all'accusa. A fortiori fondamentale per
l'analisi delle questioni che ci riguardano risulta quindi l'assunto in materia di percorso
verso “la prova della consapevolezza (con accettazione del rischio) di offendere l'interesse
specifico”, che deve essere di tipo complesso, attraverso “il passaggio dal fatto noto al fatto
ignoto, che costituisce il substrato della presunzione semplice, da corredare con un maggior
numero di illazioni congetturali criticamente vagliate”66.
5.4. La condotta ideale dell'agente modello.
Proprio in tema di illazioni congetturali criticamente vagliate, ecco ritornare quindi
alla carica uno dei problemi principali creati da questa norma e dal compendio di
ROCCO, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, cit., pag. 257, par. 514 “In ordine
all'elemento subbiettivo, non mi sono discostato, nelle falsità in atto pubblico, dal Codice vigente; non ho richiesto
cioè, nell'agente – pubblico ufficiale o privato –, alcun fine speciale. È sufficiente agire con la coscienza e volontà di
perpetrare un falso, anche se non sussista il proposito di arrecare ad altri un danno o di procurare, a sé o ad altri, un
vantaggio. Era qui necessario riaffermare vigorosamente il principio che in tema di atti pubblici in genere non è
lecito, qualunque sia il fine, formare ciò che non esiste o alterare il vero. Per le scritture private, invece, ho richiesto il
fine di procurare un vantaggio a sé o ad altri, ovvero di recare ad altri un danno. Ho aderito cosi ai voti della più
autorevole dottrina, la quale reclamava una maggiore precisazione del dolo in tema di scritture private, inteso come
animus nocendi aui sibi locupletandi, il vantaggio e il danno debbono intendersi, non soltanto nel senso di
vantaggio o danno patrimoniale, ma di qualsiasi utilità o documento, di carattere politico, morale, ecc.; anche il fine di
vendetta, ad es., integrerebbe l'elemento intenzionale. Per la incriminazione del falso in scritture private non si può
prescindere dall'effettivo commercio giuridico di esse, e quindi ho mantenuto il principio che, di regola, il momento
consumativo del delitto è quello dell'uso che il falsario faccia, o lasci fare ad altra persona, de11a scrittura privata
falsa.”
66BRICOLA, in op. cit., pag. 146-151.
65
22
norme della legge fallimentare che regolano la funzione attestatrice del professionista:
qual è la condotta ideale dell'agente modello? La domanda apparirebbe abominevole
in termini dogmatici e sistematici, dal momento sottende a categorie di imputazione
della responsabilità estranee a quella richiesta dalla norma. Ma diviene domanda
necessaria alla luce delle considerazioni svolte fin qui, ed alla luce dell'interpretazione
del 236-bis l.f. che la giurisprudenza ha dimostrato ritener corretta con l'ordinanza in
commento.
Le remore a porsi tale domanda possono quindi venir meno se il quesito viene
posto alla luce delle fondamentali ricadute che l'individuazione della condotta doverosa
può avere nei termini precedentemente illustrati di utilizzazione dei parametri
distintivi suggeriti dalla dottrina citata67.
La condotta ideale dell'agente modello integra un'ipotesi nella realtà
inesigibile68: una sorta di full audit, sulla scorta del controllo che un revisore è tenuto a
svolgere per redigere la relazione di revisione69. La condotta ritenuta viceversa
adeguata da dottrina e da parte degli operatori del settore prevede invece un tipo di
controllo attenuato dalla possibilità per il professionista di utilizzare – rectius
riutilizzare – il frutto dell'attività precedentemente svolta da altri organi di controllo.
Il punto cruciale è purtroppo semplice.
Volendo superare in questa sede il dato relativo alla dimensione media ed alla
capacità di spesa media delle aziende in sofferenza, sinceramente perplime il fatto che
proprio il Legislatore non vi abbia prestato la dovuta attenzione: le procedure all'interno
delle quali il professionista può esplicare la sua opera sono infatti caratterizzate da
tempi stringenti e dalla navigazione a vista dell'impresa70, spesso in acque procellose
(anche perché in caso di perfetto andamento, difficilmente le imprese avrebbero
bisogno delle procedure. Questo sì è certamente in re ipsa). A ciò va aggiunto che il
ruolo di attestatore può essere svolto anche da professionisti e associazioni
professionali privi delle peculiarità di cui alle società di revisione71: inoltre, rispetto
CANESTRARI, in Dolus eventualis, cit.
BARACHINI, Il diritto dell'impresa in crisi fra contratto, società e procedure concorsuali, Giappichelli, Torino,
2014, pag. 54, “La verità è che a questo professionista si chiede di fare dichiarazioni semplicemente impossibili, o
perché richiederebbero un'estesa due diligence sull'impresa, che naturalmente non c'è il tempo di fare, o perché
coinvolgono giudizi prognostici altamente aleatori. E si pretende faccia tali dichiarazioni sotto minaccia di
responsabilità civile, ed oggi anche penale”.
69Sul punto ad esempio Trib. Milano, 18 marzo 2010, Est. Lamanna “Il professionista che, ai sensi dell’art.161,
comma 3, legge fallimentare, attesta il piano concordatario, deve svolgere tutte le verifiche che, secondo le regole
tecniche della revisione contabile e delle discipline che rilevano in ordine alla concreta articolazione della proposta
concordataria, siano necessarie ai fini dell’attestazione richiesta, ossia ai fini della sua idoneità ad assicurare, secondo
una valutazione ex ante, la ragionevole certezza dell’attuazione del piano. Non può, quindi, ritenersi ammissibile, in
sede di attestazione, l’utilizzo di formule generiche volte a delimitare la portata dell’attestazione stessa, e quindi della
responsabilità ad essa connessa, mediante il semplice rinvio ad alcune verifiche, pur concretamente svolte
dall’attestatore, ma che omettano qualunque motivazione sulla ritenuta adeguatezza delle stesse in seguito ad un loro
vaglio critico e prive di assunzione di responsabilità in ordine al loro recepimento”.
70Sul punto PAPAGNI, Il professionista attestatore, in Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Giuffrè,
Milano, 2013, pag. 141 e sgg.
71Sui requisiti di iscrizione, sulla questione relativa a revisori legali e revisori contabili, cfr. la circolare del
CNDCEC 30IR/13, www.cndcec.it.
67
68
23
all'attività di revisione, e rispetto ai relativi tempi ed organizzazione, come detto
poc'anzi le risorse destinabili al professionista saranno verosimilmente ridotte ogni
qual volta l'attività di quest'ultimo venga svolta in pendenza di una procedura. E
saranno verosimilmente ridotte in maniera direttamente proporzionale alla dimensione
dell'impresa.
Per quanto appaia condivisibile l'opinione72 di chi censura l'ipotesi del rinvio
asettico alle risultanze di accertamento eseguite dal collegio sindacale e dai revisori del
debitore, prediligendo la tesi dei controlli autonomi a campione attraverso la cd. limited
review dei dati aziendali, è opinione di chi scrive che ciò potrebbe non bastare qualora
la contestazione della condotta fosse ascritta a titolo di dolo eventuale. Perché se
l'agente modello è quello che applica un full audit, il professionista che si attiene alla
limited review avrà purtroppo svolto il proprio lavoro con un quid minus in grado di
integrare lo iato tra condotta doverosa e condotta tenuta potenzialmente sufficiente ad
attribuirgli una responsabilità ex 236-bis l.f. a titolo di dolo eventuale.
La concreta speranza è che agente modello sia invece ritenuto il soggetto che
opera nel rispetto dei principi di attestazione CNDCEC, senza che al professionista siano
richiesti standard oggettivamente e soggettivamente inesigibili, ma soprattutto senza
che qualsivoglia eventuale violazione dei princìpi integri automaticamente agli occhi
della Magistratura condotte delittuose a sfondo doloso73. Ed in tal senso utilizzare la
soluzione proposta dalla dottrina per risolvere l'annosa questione del confine del dolo
eventuale in tale frangente di mera condotta potrebbe rappresentare una felice
quadratura del cerchio.
In caso contrario, giungeremmo alla conclusione di ritrovarci in un contesto di
responsabilità professionale paradossalmente aggravata in termini sistematici dalla
inesistenza di ipotesi colpose punibili. Con il risultato della messa in pericolo
dell'intero compendio di soluzioni concordate della crisi d'impresa.
6. Conclusioni.
Tutti quei rimedi su cui la norma spiega la propria operatività rischiano
purtroppo di essere stritolati dalla morsa di una norma che, seppur col nobile intento
di porre necessario freno a condotte deprecabili74, sta lentamente finendo col
pregiudicare l'esistenza – e quindi l'apertura stessa – delle procedure, i cui dati
numerici lasciano pensare, forse proprio perché allo stato, fatta salva come nel passato
l'applicabilità del “vecchio”ma sempre efficace art. 236 l.f., comportano grazie al dettato
FISCHETTI, Crisi d’impresa: alcune considerazioni sulla figura dell’attestatore a un anno dal Decreto Sviluppo, in
Rivista di diritto bancario, 2013, www.dirittobancario.it.
73Sul punto GIANOGLIO, La responsabilità penale dell'attestatore e cenni sull'art. 217-bis l.f. in L'impresa in
crisi: Soluzioni offerte dal nuovo diritto fallimentare, di BADINI, CONFALONIERI, FAROLI, GIANOGLIO e RITEGNO,
Giappichelli, Torino, 2014, pagg. 405-406.
74Sul punto Bianchi, D.L. n. 83 del 22.06.2012 (Decreto sviluppo) integrato con la legge di conversione n. 134 del 7
agosto 2012, in Manuale delle società di capitali, CEDAM, Padova, 2012, pag. 71.
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dell’art. 236-bis l.f. l'assunzione di troppi rischi per un unico soggetto: il professionista
attestatore.
Solo ed unicamente da una corretta applicazione dell'art. 236-bis l.f. da parte
dell'Autorità Giudiziaria dipende, nella sostanza, il futuro di tutte le procedure
all'interno delle quali l'attestazione del professionista è suscettibile di subire
l'operatività della norma.
Passerà tempo prima che una giurisprudenza autorevole come quella di
legittimità segni netti confini alla portata della norma: inoltre non è certo che ciò
avvenga, e non è detto che i confini siano poi riconosciuti come inequivoci ed
invalicabili da Procure e Giudici di merito. Rispetto a tutta una serie di criticità
segnalate, come quella del falso inoffensivo, è invece immaginabile che in un prossimo
futuro possa fungere da argine la previsione normativa di nuovo conio che prevede
l'introduzione nel Codice Penale dell'art. 131-bis75 rubricato “Esclusione della punibilità
per particolare tenuità del fatto”. Seppur con la rilevante riserva che su condotte del
genere pone l'efficacia di giudicato nei giudizi civili76.
Nel momento in cui si scrive si è all'alba dell'entrata in vigore della norma, nel
cui ambito di applicabilità appare rientrare il reato di cui all'art. 236-bis l.f.
Non privo di interesse sarà constatare in futuro l'auspicabile applicazione della
disposizione di nuovo conio per quei fatti che per le “modalità della condotta e per
l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma,” vedano
Art. 131-bis. - Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena
pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della
condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa
è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito
per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha
profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero
quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le
lesioni gravissime di una persona.
Il comportamento e' abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale
o per tendenza ovvero abbia commesso più' reati della stessa indole, anche se ciascun
fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che
abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle
circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella
ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo
comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del
danno o del pericolo come circostanza attenuante.
(Articolo introdotto dal Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 – Disposizioni in materia di non punibilità per
particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67.GU n.64
del 18-3-2015 Vigente al: 2-4-2015)
76Sulla responsabilità civile dell'attestatore cfr. BERTI, La responsabilità civile dell'attestatore, in BADINI,
CONFALONIERI, FAROLI, GIANOGLIO e RITEGNO, op. cit. pag. 353 e sgg, nonché CARABBA, La responsabilità del
professionista, in Il principio di sussidiarietà nel diritto privato: Coordinamento tra imprese. Responsabilità
patrimoniale del debitore. Soluzione negoziale delle crisi d'impresa, a cura di NUZZO, Giappichelli, Torino, 2015,
pag. 605.
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concretizzarsi un'offesa “di particolare tenuità”, allorquando il comportamento risulti
“non abituale”. Ulteriore risposta questa per i casi, seppur rari, ma non per questo
trascurabili, di fatti sì tipici, ma di limitata offensività del bene giuridico tutelato.
Argomento in più questo ultimo per ribadire come e quanto nelle mani della
Magistratura, inquirente da un lato e giudicante dall'altro, sia affidato il futuro degli
strumenti di composizione delle crisi d'impresa del concordato preventivo ex art. 161
l.f., degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f., del concordato con
continuità aziendale ex art. 186-bis l.f., nonchè delle disposizioni in tema di
finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-quinquies l.f.
All'indomani del conio dell'art. 217-bis l.f.77 si è sottolineato come – finalmente –
il tentativo di risanamento condotto attraverso gli strumenti richiamati dalla norma
non comporti più responsabilità penale per bancarotta fraudolenta preferenziale o
bancarotta semplice, (e relativamente a quest’ultima, soprattutto nel caso che dalla
prosecuzione dell’attività d’impresa possa scaturire un aggravamento del dissesto).
A tal proposito, da una voce autorevole come quella dell'allora Presidente del
Tribunale di Torino ed odierno Presidente della Corte d'Appello di Roma, nel 2011
proveniva questo monito “Il tentativo di risanamento non è un’attività ad esito certo. Se il
debitore e coloro che vengono in rapporto con lui nell’ambito dello svolgimento dell’attività
d’impresa dovessero temere d’incorrere nella responsabilità penale, anche quando il risanamento
viene perseguito per il tramite di una delle procedure previste dalla legge, la possibilità stessa di
tentare il salvataggio verrebbe seriamente compromessa”78.
Si parva licet componere magnis, il tentativo di risanamento resta un’attività ad
esito incerto, l'attestazione non è mai il frutto di una chiaroveggenza del professionista
per quanto riguarda il futuro e, soprattutto, a causa di fattori che esulano da
qualsivoglia forma di dolo, non è sempre il frutto di una omniscienza per quel che
attiene il passato dell'impresa in sofferenza. Se l'attestatore che viene in rapporto con il
debitore nell’ambito dello svolgimento della crisi d’impresa dovesse temere sempre
Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. – Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione
coatta amministrativa. – Art. 217-bis – Esenzioni dai reati di bancarotta
Le disposizioni di cui all'articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni
compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 160 o di un accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis o del piano di cui all'articolo 67, terzo
comma, lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'articolo 12
della legge 27 gennaio 2012, n. 3, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal
giudice a norma dell'articolo 182-quinquies.
(Articolo inserito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 31 maggio 2010, n.
78. La modifica ha effetto dal 31 luglio 2010, data di pubb. sulla Gazzetta Ufficiale, supp. ord. n. 174. L'art. 18 del
D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha sostituito le parole "ovvero del
piano di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d)" con le seguenti: "o del piano di cui all'articolo 67, terzo comma,
lettera d), ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'articolo 12 della legge 27 gennaio
2012, n. 3. La modifica è entrata in vigore il 19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione
citata. L'art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134
ha inserito l'ultimo paragrafo. La modifica di applica dal 11 settembre 2012).
78 PANZANI, Relazione introduttiva al Convegno Crisi d’impresa e risanamento: le responsabilità in caso di default,
Alba, 19 novembre 2011 – in Il nuovo diritto delle Società, Numero 11, Italia Oggi Editore, 2012 pagg. 17 e sgg.
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d’incorrere nella responsabilità penale a causa di un'attività può essere imperfetta senza
che sia per ciò stesso falsa, la possibilità stessa di tentare il salvataggio verrebbe
seriamente compromessa. Come già avviene – a detta di più operatori del settore – in
un segmento nel quale il risanamento viene perseguito per il tramite di una delle
procedure previste dalla legge, la paura che l'Autorità Giudiziaria ritenga falso ciò che è
invece imperfetto porterebbe i professionisti titolari dei requisiti di cui all'art. 67 co.3
lett. D l.f. a rifuggire qualsivoglia attività attestativa, a causa degli eccessivi rischi che
essa comporterebbe79.
Sia consentito chiudere con una considerazione su di un piano più strettamente
dogmatico, sul rapporto che politica criminale e sistema di diritto penale hanno in
questo frangente. È innegabile che la norma sia nata grazie ad una macroscopica spinta
di natura generalpreventiva. Poiché appariva necessario in termini di tenuta del
sistema della crisi di impresa trovare una qualificazione giuridica all'operato
dell'attestatore, appariva altrettanto necessario disincentivare con una sanzione penale
di una certa rilevanza i comportamenti – purtroppo diffusi – di attestatori infedeli. In
termini di prevenzione speciale integratrice, a meno che la norma non sia applicata
cum grano salis, contestare il falso in attestazioni e relazioni forzando le categorie
dell'imputazione soggettiva, perseguendo e condannando un soggetto che ha agito
senza rappresentarsi e senza volere alcun illecito, non riuscirà mai a sortire gli effetti
cui la pena deve tendere nel nostro assetto costituzionale.
Se la norma non verrà correttamente applicata, difficilmente questa
sperequazione in direzione generalpreventiva sortirà quindi effetto alcuno sui
consociati, se non il progressivo ma ineluttabile abbandono delle soluzioni concordate
delle crisi di impresa da parte di professionisti scrupolosi80, laddove viceversa alcun
freno imporrà a quelli temerari, ai quali verosimilmente non basterà l'introduzione della
norma per temperarne la spregiudicatezza81.
Parafrasando dal monaco e teologo francescano Thomas Murner82 la celebre
frase contenuta ne “L'Esorcismo de'Pazzi (1512), potremmo dire che, allo stato dell'arte e
delle interpretazioni fornite alla norma dalla giurisprudenza, senza un utilizzo accorto
e misurato della norma stessa, il risultato prospettabile per le soluzioni concordate
Sul punto, CERADINI, in op.cit. “Senza minimamente voler avallare comportamenti men che diligenti
nell'adempimento delle funzioni di attestazione, delicatissime e centrali, sempre più, nei progetti di risanamento, non
possiamo nasconderci le difficoltà che comportano anche per il più preciso e attento dei professionisti, per tempi ed
informazioni disponibili, valutazioni richieste, previsioni necessarie. Il quadro che emerge è quindi opprimente, e fa
passare la voglia di attestare, ammesso che a qualcuno fosse rimasta”.
80BARACHINI, in op. cit. “Il rischio che si formi un fenomeno di selezione avversa dove i migliori professionisti si
tengono alla larga da incarichi così rischiosi, è tutt'altro che infondato”.
81Sul punto cfr. DI AMATO, in op.cit., pag. 85 “L’esperienza giudiziaria sta, perciò, processando le procedure
negoziate e il soggetto su cui si riversa questo giudizio negativo è spesso l’attestatore, ritenuto, a torto o a ragione,
colui che con la sua asseverazione ha consentito l’abuso. È una reazione sbagliata, che l’abuso di cui si è detto spiega
ma non giustifica. Nel momento in cui si fa di tutta l’erba un fascio, senza distinguere e tutelare l’attività di quei
professionisti che elaborano l’attestazione a seguito di un percorso attento di verifiche e di valutazioni, si allontanano
dallo svolgimento di una attività tanto delicata proprio i migliori ed i più seri”.
82che “attraverso le sue opere ricondusse tutte le varie manifestazioni del marasma morale del tempo al comune
denominatore della stoltezza e le sferzò in una serie di scene proverbiate con versi di popolaresca fluidità”.
Voce Murner Thomas, in Enciclopedia Treccani.
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delle crisi d'impresa sarà nella migliore delle ipotesi di “buttare il bambino insieme
all'acqua sporca”83. E nella peggiore di tenersi l'acqua sporca buttando via il bambino,
laddove nel nostro frangente il ruolo del bambino lo interpreta la soluzione concordata
alla crisi d'impresa, e nelle vesti dell'acqua sporca recita lo spregiudicato attestatore
infedele.
Perché in condizioni così pericolose, forse non è scorretto dire che
attestare stanca i professionisti più scrupolosi.
MURNER ., Das Kind mit dem Bade ausschütten, in Doktor Murners Narrenbeschwörung, GER. 1512.
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