Il Potenziale elettrostatico 3.1 Distribuzione della carica in eccesso sui conduttori metallici Consideriamo un conduttore metallico neutro, posto in una regione di spazio dove sia assente qualunque campo elettrico esterno. A causa dell’ agitazione termica, gli ioni positivi, e gli elettroni degli strati atomici più profondi che costituiscono il reticolo cristallino, oscilleranno attorno alle loro posizioni di equilibrio. Nel contempo, ciascuno degli elettroni del mare di conduzione, in stato di agitazione termica e quindi animato da velocità con direzioni distribuite in modo del tutto casuale nello spazio, sarà sottoposto ai campi generati dagli ioni del reticolo e dagli altri elettroni. Su di una scala grande rispetto alle dimensioni atomiche, questi campi microscopici hanno un valore medio nullo, e sono in grado di produrre solo un moto del tutto caotico, da cui risultano orientazioni casuali delle velocità. L’assenza di una direzione di spostamento privilegiata comporta che, qualunque superficie possiamo immaginare internamente al conduttore, essa verrà attraversata, nello stesso intervallo di tempo, da un uguale numero di elettroni tanto in un verso quanto nel verso opposto. Sebbene questo movimento caotico su scala atomica, già a temperatura ambiente, abbia velocità quadratica media dell’ordine delle centinaia di migliaia di metri al secondo, esso risulta compatibile con uno stato di neutralità del conduttore in ogni sua regione. Infatti dal punto di vista dell’effetto del campo elettrico dovuto al mare di elettroni, su di una particella carica interna al conduttore, tutto va come se gli elettroni di conduzione fossero fermi. L’assenza di moti ordinati d’insieme, fa sì che non si abbia addensamento di carica in nessuna zona del conduttore, ed il risultato è una distribuzione omogenea, costante nel tempo, tanto di carica positiva quanto di carica negativa, anche se per quest’ultima l’omogeneità e la costanza vanno intese in senso statistico. Quando si verifica una situazione del tipo appena descritto, quando cioè la densità di carica del conduttore, entro volumi molto più grandi delle dimensioni atomiche, non dipende dal tempo, diremo che il conduttore si trova in equilibrio elettrostatico. La condizione di equilibrio elettrostatico richiede che sia assente qualsiasi moto ordinato d’insieme del mare di elettroni e che quindi sia nullo il campo elettrico complessivo su scala macroscopica dentro al conduttore. 1 Pertanto, quando un conduttore distribuzione delle sue si porta in equilibrio elettrostatico, la cariche dovrà sempre essere tale da annullare qualunque campo elettrico macroscopico al suo interno.Vediamo alcuni esempi. Un conduttore carico Poniamo che il conduttore, lontano da altre sorgenti di campo elettrico, contenga un eccesso di cariche positive o negative: la densità media di carica non sarà zero come nel caso in cui è neutro, tuttavia, dopo una fase temporanea in cui si assiste ad una loro risistemazione per effetto della ? reciproca interazione, il conduttore si porterà in equilibrio elettrostatico. La configurazione stabile in cui queste cariche in eccesso si dispongono è S intuitiva: la repulsione fa si che esse si allontanino quanto più è loro consentito e quindi andranno a posizionarsi entro uno strato superficiale profondo pochi diametri atomici. Ci riferiremo ad esso come alla superficie del conduttore , e disegneremo le sue cariche a contorno del corpo stesso. Questa localizzazione delle cariche in eccesso sulla superficie è, in effetti, l’unica compatibile con la condizione di equilibrio elettrostatico, che come si è visto richiede che internamente al conduttore risulti nullo il campo elettrico. Si consideri, infatti, una superficie chiusa come la S in figura, che sia tutta G G interna al conduttore: il fatto che ovunque dentro debba essere E = 0 comporta che il flusso del campo elettrico attraverso S sia zero anch’esso. Applicando poi il teorema di Gauss risulta che: G Q φS ( E ) = ∑ interne = 0 ε0 Zona neutra Ammanco di elettroni e quindi la somma totale delle cariche dentro S deve essere zero. Ripetendo il ragionamento per qualunque superficie analoga, se ne ricava che non può esservi in alcun punto interno un addensamento di carica, e quindi quelle in eccesso dovranno localizzarsi sulla superficie esterna, lasciando neutro tutto lo spazio occupato dal conduttore. Zona neutra Un conduttore metallico carico negativamente presenta, quindi, uno strato superficiale dove si raccolgono gli elettroni in eccesso ed una zona neutra interna; un conduttore metallico carico positivamente avrà invece la zona neutra interna avvolta da uno strato superficiale svuotato degli elettroni di conduzione in modo che la carica positiva degli ioni del reticolo risulti esposta. Un conduttore carico cavo Poniamo adesso il caso in cui il conduttore presenti al suo interno una cavità che non contenga cariche elettriche. Anche in questo caso potremo 2 Eccesso di elettroni immaginare una superficie chiusa opportuna, come la S1 in figura, che avvolga la cavità e concludere che al suo interno risulta ∑Qi S1 = 0. i S2 In questa situazione, tuttavia, potremmo pensare che la condizione di equilibrio elettrostatico sia soddisfatta anche qualora sulla superficie interna della cavità si trovasse un eguale ammontare di cariche positive e negative. Così sarebbe ancora zero il flusso attraverso qualunque superficie chiusa che avvolga la cavità, sarebbe zero il campo elettrico nella regione G occupata dal conduttore, ma non sarebbe ovviamente zero il campo E all’ interno della cavità. E nemmeno sarebbe possibile pensare di racchiudere tali cariche con una superficie chiusa come la S2 , perché in questo caso G non si potrebbe concludere che φS2 ( E ) = 0 essendo S2 parzialmente esterna al conduttore, cioè interna alla cavità: proprio dove non sappiamo a priori se il campo è nullo. G Le linee di forza di E sarebbero in tal caso dirette dalla regione di localizzazione della carica positiva verso quella di localizzazione della carica negativa. Ma una tale eventualità è da escludere: lo si vede calcolando la G circuitazione del campo E attraverso una curva chiusa come quella che A I passa per i punti A e B in figura. Essa ha la porzione I interna alla cavità (e quindi esterna al conduttore), e la porzione II interna al conduttore. Poiché sappiamo che la circuitazione del campo elettrostatico deve essere G zero, dovrà essere zero la somma del lavoro svolto da E relativamente allo spostamento che, partendo da A, porta in B lungo il tratto I della curva, e del lavoro lungo il tratto II che partendo da B riporta in A. G G Ma essendo E = 0 dentro al conduttore, il lavoro lungo II sarà necessariamente nullo. Di conseguenza, affinché la somma dei due lavori G faccia zero, dovrà risultare zero anche il lavoro di E lungo il tratto I. Dato che ciò deve valere per qualunque tratto di curva avente forma e lunghezza arbitrarie, purché unisca A con B dentro alla cavità, l’unico modo in cui ciò sia possibile è che anche internamente alla cavità sia G G E = 0. Si può giungere alla stessa conclusione anche con un ragionamento meno formale: immaginiamo un conduttore carico in equilibrio, con dentro un tarlo metallico che vada man mano divorando l’interno del conduttore stesso. Come si è visto, in condizioni di equilibrio, tale regione è neutra e pertanto il nostro tarlo può mangiarne a piacimento senza che si violi la legge di conservazione della carica. Ma la sua neutralità comporta anche che essa non contribuisce al campo che complessivamente generano le cariche poste sul conduttore, e, pertanto, la sua rimozione non può alterare G il valore di E . Il campo elettrico, quindi, continuerà ad essere nullo anche 3 II B nelle regioni vuote che il tarlo va scavando, così come era nullo quando esse erano riempite di materiale metallico. G E G G E =0 Un conduttore neutro in un campo elettrico Se è presente un campo elettrico esterno, anche se il conduttore è neutro, durante una prima fase transitoria le cariche libere di muoversi andranno a disporsi sulla superficie. Quando si sarà raggiunto l’equilibrio elettrostatico, il campo da esse generato annullerà quello esterno sovrapponendosi ad esso nella regione occupata dal conduttore. Affinché ciò accada dovremo però avere cariche di segno diverso sullo strato superficiale del conduttore, come si vede in figura. 3.2 Il teorema di Coulomb ? G E G En Si è visto che in un conduttore metallico in equilibrio elettrostatico, la G Et carica in eccesso si dispone su di uno strato superficiale in modo che risulti nullo il campo elettrico nella regione neutra interna. Il campo elettrico avrà invece valore diverso da zero sia nello strato di carica che nello spazio circostante il conduttore: ci proponiamo ora di calcolarne l’ intensità e la direzione sulla superficie. G In generale dovremo supporre che E possa essere orientato in qualunque G modo, e che quindi abbia tanto una componente tangenziale E t che una G G G G normale E n rispetto alla superficie, in modo che risulti E = E t + E n . G E Tuttavia, la condizione di equilibrio porta a concludere che la componente tangenziale alla superficie deve essere nulla. In caso contrario, infatti, gli elettroni di conduzione sarebbero sottoposti ad un campo elettrico con valore medio non nullo su una scala molto più grande di quella atomica ed in grado, pertanto, di produrre un moto ordinato d’insieme. Si avrebbe così uno scorrimento degli elettroni di conduzione parallelamente alla superficie, cosa non compatibile con lo stato di equilibrio che abbiamo supposto. Il campo elettrico sulla superficie del conduttore avrà pertanto direzione normale: uscente – come vedremo - se l’eccesso di carica è positivo, entrante se tale eccesso è negativo. Prendiamo ora una porzione della superficie esterna del conduttore, così piccola da potersi considerare piana. Si immagini una superficie cilindrica che abbia le basi, di area ∆S , a cavallo del bordo del conduttore e parallele alla porzione di superficie scelta, come si vede in figura. La direzione normale alla superficie sarà quindi perpendicolare al piano G contenente ∆S , ed il flusso del vettore E attraverso il cilindro sarà dato G soltanto dal prodotto dell’intensità di E per l’area della ∆S esterna. Infatti, essendo nullo il campo dentro al conduttore, sarà nullo il suo flusso 4 G E ∆S attraverso la superficie di base interna, ed essendo la normale alla superficie laterale del cilindro perpendicolare al campo elettrico, sarà nullo anche il flusso attraverso di essa, pertanto: G G φCilindro (E ) = E ∆S G Applicando ora il teorema di Gauss si ha che φCilindro (E ) = Qinterna ε0 , dove la carica interna è quella localizzata sulla porzione superficiale di conduttore intercettata dal cilindro ed evidenziata in figura. Per calcolare l’ammontare di Qinterna è necessario conoscere la carica σ che si dispone su ogni unità di superficie del conduttore. In generale σ non è un valore costante su tutta la superficie del conduttore, ma anzi, come vedremo, è legata alla sua curvatura. Avendo però scelto per le basi del cilindro un’estensione ∆S così piccola da poter considerare piano il conduttore in quella regione, possiamo ritenere costante σ al suo interno e pari al valore medio che assume in quella zona, e così scriveremo semplicemente: Qinterna = σ∆S . Di conseguenza: G G σ ∆S φCilindro (E ) = E ∆S = ε0 da cui: G σ E = ε0 risultato noto come teorema di Coulomb, che fornisce l’intensità del campo elettrostatico in prossimità di un conduttore carico. Se il conduttore è G carico positivamente avremo σ > 0 e quindi φCilindro (E ) > 0 : il campo elettrico dà luogo ad un flusso positivo attraverso una superficie chiusa e quindi la sua direzione è uscente da essa e dal conduttore. Analogamente G concludiamo che E entra nel conduttore se σ < 0 . Chiaramente nulla cambia se immaginiamo la base esterna del cilindro molto vicina a quella del conduttore ed al limite appoggiata su di esso. In questo modo possiamo affermare che il teorema di Coulomb fornisce il G valore di E proprio sulla superficie. Se poi, addirittura, facciamo rientrare la superficie esterna ∆S nel conduttore, avremo che la carica racchiusa dal cilindro andrà man mano diminuendo, di modo che il campo elettrostatico, avente sempre direzione normale, va diminuendo anch’esso in intensità dentro allo strato superficiale occupato dalle cariche, fino ad annullarsi entro pochi spessori atomici. 5 3.3 Il potenziale elettrostatico Come abbiamo visto, affermare che la forza elettrica è conservativa G significa dire che, in una regione dello spazio sede di un campo elettrico E , fissata una posizione di riferimento, per una carica puntiforme QA risulta univocamente determinato il lavoro che la forza elettrica compie qualora QA si sposti dalla sua posizione a quella di riferimento. Tale grandezza prende il nome di energia potenziale della carica QA G relativamente al campo E . L’univocità della definizione risiede nel fatto che il lavoro in esame è del tutto indipendente dalla traiettoria che QA segue per portarsi nella QB posizione di riferimento. Se la sorgente che origina il campo è un’altra carica puntiforme QB, e se la posizione di riferimento viene scelta come quella nella quale le due cariche QA e QB si portano l’una a distanza infinita dall’altra, abbiamo anche visto rAB QA che per l’energia potenziale si può ottenere l’espressione matematica: U = 1 QAQB 4πε0 rAB dove rAB indica la distanza fra le due cariche. In questo caso, tuttavia, dato che vi è completa simmetria fra il ruolo svolto dalla carica A e quello della carica B, si parla di energia potenziale del sistema di cariche. Portando all’infinito una delle due cariche, infatti, automaticamente anche l’altra si verrà a trovare infinitamente distante da essa. Essendo l’energia una grandezza additiva1, la formula è facilmente generalizzabile al caso in cui le cariche siano più di due semplicemente sommando le energie potenziali di tutte le coppie di particelle coinvolte. Per tre cariche QA, QB, QC l’energia potenziale del sistema si scriverà allora: QB U = 1 ⎡⎢QAQB QAQC QBQC ⎤⎥ + + 4πε0 ⎢⎣ rAB rAC rBC ⎥⎦ rAB rBC e nel caso generale di N cariche assumerà la forma: QA U = 1 Si dice anche grandezza estensiva 6 1 1 QiQ j ∑ 2 i ≠ j 4πε0 rij rAC QC dove gli indici di sommatoria i e j scorrono da 1 fino ad N purché si tengano solo i termini con i ≠ j , ed il fattore ½ compare perché ciascuno degli addendi viene contato due volte all’interno della sommatoria, sia quando figura come ij che quando figura come ji. Lo si vede chiaramente scrivendo i primi termini della sommatoria: U = ⎤ 1 1 ⎡⎢ Q1Q2 Q1Q3 Q1Q4 Q2Q1 Q2Q3 ⎥ + + + ... + + + ... ⎥ r13 r14 r23 2 4πε0 ⎢⎢ r12 r21 ⎥⎦ ⎣ dove è stato evidenziato il primo degli addendi che compare due volte. L’energia potenziale di un sistema rappresenta il lavoro che le forze del campo compirebbero qualora il sistema stesso venisse smembrato portando a distanza infinita una carica alla volta, mentre le altre rimangono congelate nella loro posizione originaria. Se, durante lo smembramento, le forze del campo compiono lavoro motore, vale a dire positivo, e quindi favoriscono il processo, il sistema ha energia potenziale positiva. Viceversa se compiono lavoro resistente, vale a dire negativo, e quindi per smembrare la distribuzione delle cariche occorre lavorare dall’esterno, allora l’energia potenziale è negativa. Quindi un sistema elettrico con U < 0 è tenuto insieme dalle sue stesse forze2 e per smembrarlo bisogna faticare: si pensi ad esempio ad un elettrone che orbita attorno ad un nucleo atomico costituito solo da un protone, cioè un atomo di idrogeno. Si tratta di un sistema ad energia potenziale negativa: per energia potenziale elettrostatica < 0 sottrarre l’elettrone al nucleo bisogna esercitare una forza esterna e durante il procedimento di estrazione ed allontanamento il sistema stesso lavora in modo resistente. Viceversa per tenere accostate due cariche dello stesso segno dobbiamo intervenire con un vincolo contro la repulsione elettrica, e, non appena il vincolo viene meno, il sistema si smembra da solo portando le cariche a n n distanza reciproca infinita: la sua energia potenziale elettrica è positiva. Un n esempio di questo secondo caso può essere il nucleo di un atomo, dove l’energia potenziale elettrica è positiva: sono le interazioni nucleari attrattive fra i protoni, la cosiddetta forza forte, a tenere insieme delle particelle con carica di segno concorde: in assenza di queste il nucleo si smembrerebbe. Ricordiamo ora che si è definito campo elettrico il rapporto fra la forza elettrica che in un punto dello spazio si esercita su di una carica di prova, e G G F la carica stessa (in maniera rigorosa E = lim ). Ciò allo scopo di ottenere q →0 q 2 Un tale sistema non potrà mai essere stabile solo sotto l’azione delle forze elettrostatiche: per spiegare la struttura atomica della materia si deve infatti fare ricorso a modelli dinamici. Il motivo è che un equilibrio rappresenta un punto di massimo o minimo del potenziale, e questi non possono trovarsi nello spazio fra le cariche. 7 n n n energia potenziale elettrostatica > 0 una descrizione dei fenomeni elettrici che non usufruisse del concetto di azione a distanza, ma piuttosto assegnasse delle proprietà allo spazio stesso. Ci proponiamo ora di definire una grandezza fisica, il potenziale, che rivesta un ruolo analogo rispetto all’energia potenziale. Parlare di energia potenziale associata ad una carica QA posta fra tante cariche Qi e non, invece, di energia potenziale associata a tutto il sistema, significa interpretare le cariche rimanenti come sorgenti di un campo elettrico nella regione di spazio dove la carica QA si trova. Supponiamo ad esempio di avere N cariche Qi vincolate ad occupare delle posizioni nello spazio oppure su di un corpo: daranno origine ad un campo elettrico. L’energia potenziale di una carica QA che si trovasse nella regione sede di tale campo elettrico sarà, in accordo con le formule precedenti e con lo stesso significato dei simboli: U = Dato che ci stiamo riferendo 1 N Qi ∑ QA 4πε0 i =1 riA all’energia potenziale della sola QA, nella sommatoria compaiono adesso unicamente i termini di interazione fra ciascuna delle Qi e QA. Se ad esempio le cariche Qi si trovano localizzate su di un corpo, e su di esso viene posta anche la carica QA, questa grandezza rappresenta il lavoro che le forze del campo elettrico, dovuto a tutte le Qi diverse da QA compirebbero qualora QA venisse prelevata dalla sua posizione e portata a distanza infinita dal corpo stesso mentre le altre rimangono congelate nella loro posizione3. Considerando le cose da un differente punto di vista, possiamo affermare che un corpo carico possiede la proprietà di conferire energia potenziale ad ogni nuova carica che viene posta su di esso o nelle sue vicinanze. Per meglio comprendere immaginiamo una collina, ed una pietra che viene portata sulla sua cima. Assumendo come posizione di riferimento quella in cui la pietra si trova al livello del suolo, le forze del campo gravitazionale compiono, durante lo spostamento, un lavoro resistente. Nel momento in 3 Oppure, che è lo stesso, si può immaginare un corpo carico con tutte le Qi distribuite su di esso, congelate nelle loro posizioni e la carica QA ferma a distanza infinita dal corpo. Il lavoro che le forze del campo generato dalle Qi compiono agevolando o contrastando lo spostamento di QA che partendo dall’infinito giunge ferma sul corpo stesso, è allora pari all’ energia potenziale di QA cambiata di segno. Un tale spostamento è tuttavia possibile solo se assieme alle forze elettriche agisce anche una forza esterna, che sposti materialmente la carica sul corpo qualora le forze elettriche si opponessero, e che freni la carica per farla giungere ferma qualora le forze elettriche agevolassero lo spostamento. Solo se QA è ferma sia all’inizio che al termine dello spostamento, il lavoro della forza elettrica è uguale e contrario a quello della forza esterna. Se la velocità di QA è nulla (oppure se è la stessa sia all’inizio che alla fine), infatti l’energia cinetica non varia, e si ha : W(elettrico)+W(esterno)= variazione di energia cinetica = 0. In queste condizioni l’energia potenziale è pari anche al lavoro svolto dalla forza esterna che rende possibile lo spostamento. 8 cui decidessimo di smembrare il sistema riportando la pietra nella posizione di riferimento, le forze del campo gravitazionale ci agevolerebbero, e, quindi, secondo la definizione data, la pietra in cima alla collina ha una energia potenziale gravitazionale positiva. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che vi si porti la pietra sopra, la collina si trova già là, ed ogni oggetto che vi viene posto acquisisce una proprietà che prima non aveva, proprietà a cui si dà il nome di energia potenziale gravitazionale. Essa, in base alla nostra definizione, risulta positiva rispetto al livello del suolo, e tanto maggiore quanto più alta è la collina. In modo figurato, possiamo identificare con la collina le proprietà elettriche di un corpo (od una regione dello spazio) dove sono localizzate delle cariche Qi , e la carica QA che vi viene deposta, con la pietra. Guardiamo di nuovo l’espressione matematica dell’energia potenziale di QA: U = 1 N Qi ∑ QA , 4πε0 i =1 riA G la cui posizione è individuata dal vettore rA , come in figura. L’esempio raffigura un corpo – non conduttore - dove sono localizzate Q1 3 cariche solamente, ciascuna delle quali è individuata dal G proprio vettore ri . Il simbolo riA che figura nell’espressione di U indica la distanza di ciascuna delle Qi da QA, distanza che si ottiene facendo il modulo dei vari vettori che collegano la posizione G G riA =| rA − r1 | . di ciascuna delle cariche Qi , con QA: Come si può vedere, il rapporto fra l’energia potenziale che la QA assume, G se posta in rA , e la carica stessa, è indipendente da QA. Esso indica la G proprietà che ha il corpo nel suo punto rA di conferire energia potenziale ad una carica ivi posta. Tale rapporto è un po’ l’analogo dell’altezza della G collina elettrica nel punto rA e prende il nome di potenziale elettrostatico G V (rA ) in tale punto: G U (QA ) 1 = V (rA ) ≡ 4πε0 QA N Qi ∑r i =1 iA Se carichiamo un corpo generico, il valore del potenziale in un suo punto o in un punto dello spazio ad esso circostante permette di sapere subito quale sarà l’energia potenziale di una carica QA posta in quel punto, in quanto, G ribaltando la formula si ha U (QA ) = QAV (rA ) . Il potenziale è quindi una funzione definita in tutti i punti dello spazio, e consente il calcolo dell’energia potenziale elettrostatica analogamente a come il campo elettrico consente il calcolo della forza elettrica. Si noti, infatti, l’analogia: G U (QA ) = QAV (rA ) G G G G F (rA ) = QAE (rA ) con la differenza che, mentre il campo elettrico è un vettore, il potenziale elettrostatico è uno scalare. Per tale motivo si dice anche che il potenziale elettrostatico è un campo scalare, mentre il campo elettrico è un campo 9 G G G r1A = r1 − rA QA G r1 G rA Q2 Q3 vettoriale: il primo definisce un numero in ogni punto dello spazio, il secondo definisce un vettore in ogni punto dello spazio. Anche il potenziale elettrostatico, come del resto l’energia potenziale elettrostatica, è relativo ad una posizione di riferimento. Come prima, la scelta più naturale in caso di distribuzioni di estensione finita, è quella di riferirsi ad una distanza infinita. L’unità di misura del potenziale è il Volt [V], vale a dire che una carica di 1C posta in un punto dello spazio che si trovi al potenziale di 1V rispetto all’infinito, acquista un’energia potenziale di 1J rispetto all’infinito: [J ] [V] = [C] 3.4 Direzione delle linee di forza Se ora, in una regione sede di campo elettrico, una carica unitaria si porta G da un punto A ad un punto B, sappiamo che E compie un lavoro: ∆W = VA − VB = −∆V JJG Nel caso in cui lo spostamento ∆l che congiunge A con B sia elementare, α=0 JJG ∆l cioè rettilineo e piccolo rispetto alla scala su cui variano le grandezze in G JJG gioco, allora ∆W è esprimibile anche come: ∆W = E ∆l cos α , dove α JJG è l’angolo fra il campo elettrico e la direzione di ∆l . JJG ∆l Nel caso particolare in cui ci si stia movendo lungo una linea di forza G seguendone il verso, E sarà sempre tangente alla traiettoria e quindi risulterà cos α = 1 , da cui G JJG ∆V = − | E | ∆l Se ∆l lo si misura a partire dalla superficie di un conduttore dove fanno capo le linee di forza, (positivo quando ci si sposta concordemente ad esse), possiamo concludere che, seguendo le linee di forza, si ha ∆V < 0 , cioè si sta procedendo verso potenziali decrescenti: LE LINEE DI FORZA DEL CAMPO ELETTRICO SONO ORIENTATE VERSO VALORI DECRESCENTI DEL POTENZIALE Massimi e minimi del potenziale Ricordando che le linee di forza sgorgano dai punti dove sono le cariche positive, e confluiscono in quelli dove si trovano le cariche negative, avremo che i primi saranno punti di massimo del potenziale ed i secondi punti di 10 V1 G E α V2 < V1 V3 < V2 minimo. Difatti l’unico caso in cui le linee di forza possono uscire da un punto andando in qualunque direzione si ha quando tutt’intorno il potenziale è minore. Analogamente se entrano tutte in un punto si avrà che intorno ad esso il potenziale assume sempre valori maggiori che non nel punto Superfici equipotenziali Movendo una carica lungo una traiettoria sempre perpendicolare alle linee di forza, il campo elettrico non compie lavoro. In questo modo, essendo WAB = VA − VB = 0 , risulta costante il potenziale lungo tutto il tragitto. Spostandosi nello spazio, per ogni fissato valore di V si individua quindi una superficie i cui punti sono tutti allo stesso potenziale, che viene detta superficie equipotenziale. In figura vediamo l’ esempio di alcune superfici equipotenziali per un sistema di due cariche uguali ed opposte. 3.5 Il potenziale dei conduttori In generale, se carichiamo un corpo, il suo potenziale V varierà da punto a punto. Questo sia sopra di esso che nello spazio circostante, come indica G nella formula: V (rA ) = 1 N Qi ∑ , la presenza delle distanze riA , che 4πε0 i =1 riA dipendono, ovviamente, dalla posizione A dove si desidera conoscere V. Tuttavia, se tale corpo è un conduttore metallico, sappiamo del teorema di Gauss che le cariche in eccesso ivi poste si disporranno in modo da occupare la sola superficie, lasciando neutra la regione interna. Adducendo motivi di equilibrio delle cariche, abbiamo anche mostrato che il campo elettrico su tale superficie non può che essere perpendicolare ad essa. Ora, se si pone una piccola carica QA sulla superficie del conduttore, e la si sposta ovunque sempre seguendo la superficie, le forze elettriche non compiono alcun lavoro in relazione a tale spostamento. Infatti, esse in ogni punto sono perpendicolari alla traiettoria. Da questa considerazione si deduce che l’energia potenziale di QA, dovunque la si ponga sulla superficie, 11 rimane la stessa. La superficie esterna di un conduttore si troverà quindi tutta allo stesso potenziale: è come, si dice, una superficie equipotenziale. Ha quindi senso parlare di potenziale di un conduttore, intendendo con ciò il valore che V assume sulla sua superficie quando sul conduttore viene disposta una carica di valore complessivo Q. Anche lo spazio interno ad un conduttore metallico in equilibrio è equipotenziale: lo si intuisce considerando il risultato precedente per cui il campo elettrico interno deve essere nullo. Spostando una carica G mantenendola dentro al conduttore, il lavoro di E sarà necessariamente sempre nullo, cioè WAB = VA − VB = 0 . Se ora si considera il valore del potenziale interno dovuto solo alle cariche in eccesso, questo sarà esattamente lo stesso della superficie. Se infatti non fosse così, avrei due possibilità: un valore all’interno più alto di quello sulla superficie, e cioè un massimo del potenziale, oppure un valore più basso, e cioè un minimo. Ma come si è visto, massimi e minimi comportano una localizzazione di carica da cui le linee di campo devono sgorgare, e ciò all’interno non è possibile. Quindi l’intero spazio occupato dal conduttore risulta allo stesso potenziale. Tuttavia, si osserva che il valore del potenziale interno è in genere di alcuni volt superiore al potenziale della superficie, a seconda del tipo di metallo. Questo perché deve esistere un campo elettrico diretto sempre dalla superficie verso l’esterno, dovuto al fatto che il reticolo ionico termina, e l’azione elettrica degli ioni più esterni non è più controbilanciata da quelli limitrofi. Questo campo ha un verso tale da confinare gli elettroni di conduzione sul conduttore impedendogli di fuoriuscire. Il suo valore è molto più intenso di quello del campo dovuto ad un eccesso di carica elettrica eventualmente presente, tuttavia esso agisce su di uno strato molto meno profondo, praticamente solo su scala microscopica. Tale campo non è quindi in grado di produrre moti ordinati d’insieme, e costituisce solo quella che viene detta una barriera di potenziale per gli elettroni di conduzione. Questa differenza di potenziale fra superficie ed interno è presente anche se il conduttore è neutro, e rimane praticamente inalterata per l’effetto del piccolo disturbo dovuto all’eventuale presenza di uno strato di carica in eccesso. Nel seguito però, parlando di potenziale di un conduttore, ci riferiremo al valore del potenziale dovuto alle sole cariche in eccesso ivi presenti. In tale senso diremo che tutto il conduttore, superficie ed interno, si trova allo stesso valore, costante, del potenziale. V = costante Direzione delle linee di forza in prossimità di un conduttore All’interno del conduttore il campo elettrico è nullo e quindi non vi sono linee di forza. All’esterno, invece, il campo sarà individuato da linee di Impossibile 12 forza che si dipartono dalla superficie, perpendicolarmente ad essa ed orientate in verso uscente se questa è carica positivamente, entrante se negativamente. Una stessa linea di forza non può uscire da un conduttore per poi tornarvi, perché in tale caso il punto di rientro sarebbe a potenziale più basso di quello d’uscita, cosa non compatibile col fatto che la superficie deve essere equipotenziale. Per motivi analoghi, quando si ha un insieme di conduttori con estensione finita, una linea di forza non può giungere dall’infinito, dove si ha V∞ = 0 , su di un conduttore, e poi ripartire da esso verso l’infinito. Quello che accade invece è che le linee di forza vanno da un conduttore ad un altro conduttore a potenziale inferiore, oppure da un conduttore all’infinito o viceversa. Se poi il conduttore si trova immerso in un dielettrico ove sono localizzate delle cariche, le linee di campo andranno dalle cariche al conduttore o viceversa a seconda del G E segno di queste. G G E =0 Primo esempio: si abbia un conduttore carico positivamente, isolato nello spazio e di estensione finita. In questo caso, le linee di forza non potranno che partire dal conduttore per giungere all’infinito (o partire dall’infinito per entrarvi se il conduttore fosse carico negativamente). Inoltre, le superfici equipotenziali sono, per così dire, ”parallele” alla superficie del conduttore, nel senso che ne riproducono la forma almeno nelle immediate vicinanze. Secondo esempio: due conduttori affacciati carichi dello stesso segno ma a potenziale diverso, VA > VB . Il conduttore a potenziale minore subisce un fenomeno di induzione più marcato per la presenza del primo, come in figura. Le linee di forza vanno da quello a potenziale maggiore verso quello a potenziale inferiore nella regione di affaccio, mentre esternamente andranno verso verso V∞ = 0 VA infinito dove il potenziale è nullo. Va sottolineato che i conduttori sono entrambi equipotenziali, sebbene la densità di carica che si raccoglie sulle superfici sia di segno diverso in differenti punti, e le linee di forza che fanno capo ad essi in parte escono ed in parte entrano. 13 VB < VA verso V∞ = 0 Terzo esempio: poniamo un conduttore C nella regione di spazio ove abbia sede il campo elettrico generato da altri due conduttori A e B, questo subirà il fenomeno VC = costante VA dell’induzione elettrostatica. Le cariche al suo interno VB raggiungeranno presto una configurazione di equilibrio per cui il potenziale di C sia costante, anche in questo caso con linee di forza che sono sia entranti che uscenti. Il gradiente Come si è visto, movendosi lungo una linea di forza seguendone il verso, si G JJG ha ∆V = − | E | ∆l . Possiamo scrivere allora: ∆V ∆l Da tale risultato si vede che l’intensità del campo elettrico, in un dato E =− punto, è pari alla variazione di potenziale, cambiata di segno, (−∆V ) che si ha per ogni unità di lunghezza di cui ci si sposta lungo la linea di forza N che passa per quel punto. Di conseguenza, oltre che , per il campo C V elettrico si rivelano appropriate le unità di misura di Volt al metro: . m ∆V non dipende Questa definizione non presenta ambiguità solo quando ∆l da quanto lungo è il tratto ∆l di spostamento, altrimenti avremmo, nello G stesso punto, un differente valore di E per ogni diverso ∆l . ∆V Un definizione rigorosa si ha se al rapporto si può sostituire una ∆l misura che non dipende da come si sceglie lo spostamento ∆l , e ciò avviene solo quando si passa al limite per ∆l → 0 : ⎛ ∆V E = lim ⎜⎜ − ∆l → 0 ⎝ ∆l G −∇V ∂V ⎞⎟ =− ⎠⎟ ∂l Così l’intensità del campo elettrico è pari all’opposto della derivata del potenziale rispetto alla coordinata l lungo la linea di forza4. Se invece lo spostamento ∆l segue una direzione qualunque, il ragionamento si può ripetere, solo che la derivata lungo la traiettoria non 4 Il simbolo ∂V ∂l indica la derivata parziale, ed ha lo stesso significato di dV dl : si usa quando la funzione dipende da più d’una variabile. Significa solo che la derivata è effettuata considerando costanti tutte le altre variabili presenti. Es. ∂V = 8xy ∂x 14 ; ∂V = 4x 2 − 3y 2 ∂y V (x , y ) = 4x 2y − y 3 , V1 V2 < V1 ma la componente del campo elettrico lungo lo ∂V spostamento, cioè E cos α = − . ∂l Decomponendo lo spostamento nelle tre direzioni x, y e z otteniamo allora: ∂V ∂V ∂V Ex = − Ey = − Ez = − ∂x ∂y ∂z G In questo modo è possibile costruire il vettore E derivando la funzione dà il campo elettrico V (x , y, z ) rispetto alle tre coordinate e cambiando loro di segno. Il risultato di tale operazione produce quindi un vettore perpendicolare alle superficie equipotenziale, che prende il nome di gradiente della funzione potenziale: G G ∂V ∂V ⎞⎟ ⎛ ∂V E = ⎜⎜ − ,− ,− ≡ −∇V ⎟ ⎟ ⎝ ∂x ∂y ∂z ⎠ ed è diretto nel verso in cui il potenziale ha il massimo tasso di decrescita. Da questo risultato si ricava anche che il vettore gradiente di un campo scalare V (x , y, z ) è perpendicolare alle superfici equipotenziali, cioè alle regioni dello spazio dove V (x , y, z ) = costante , ed orientato nel verso in cui V ha il massimo tasso di crescita. Esempio: Calcolare l’espressione in coordinate cartesiane del campo elettrico generato G 1 Q da una carica Q partendo dall’espressione del potenziale V (r ) = 4πε0 r G G applicando la definizione E = −∇V . G Il vettore che individua un punto nello spazio si scrive: r = (x , y, z ) da cui: G r = r = x 2 + y2 + z 2 e quindi: G 1 Q 1 Q = V (r ) = 4πε0 r 4πε0 x 2 + y 2 + z 2 Applicando la definizione abbiamo: Ex = − Q ∂V ∂ ⎛ 1 = − ⎜⎜⎜ 2 ∂x ∂x ⎝ 4πε0 x + y 2 + z 2 ⎞⎟ Q ∂ ⎛⎜ 1 ⎟⎟⎟ = − 4πε ∂x ⎜⎜ 2 2 2 ⎠ 0 ⎝ x + y + z ( )( x 1 1 Q ∂ 2 Q − − ( x + y2 + z 2 ) 2 = − 4πε0 ∂x 4πε0 2 Q x Q x = = 4πε0 ( x 2 + y 2 + z 2 )3 4πε0 r 3 =− 2 − + y2 + z 2 ) 3 2 ⎞⎟ ⎟⎟ ⎠⎟ 2x = e analogamente: Q y Q y ∂V Ey = − = = 3 4πε0 ( x 2 + y 2 + z 2 ) 4πε0 r 3 ∂y Ez = − Q z Q z ∂V = = 4πε0 ( x 2 + y 2 + z 2 )3 4πε0 r 3 ∂z Si verificano poi i risultati già noti: G E = Ex2 + Ey2 + Ez2 = Q x 2 + y2 + z 2 Q r Q 1 = = 4πε0 ( x 2 + y 2 + z 2 )3 4πε0 r 3 2 4πε0 r 2 ed anche che in forma vettoriale: 15 G ⎛ Q x Q y Q z ⎞⎟ Q 1 , , (x , y, z ) = E = ⎜⎜ = ⎝ 4πε0 r 3 4πε0 r 3 4πε0 r 3 ⎠⎟⎟ 4πε0 r 3 G Q r Q 1 rˆ = = 4πε0 r 3 4πε0 r 2 Dove ricordiamo che per il versore la definizione è rˆ = G r , in modo che sia r rˆ = 1 . Proprietà del tubo di forza Seguiamo ora un tubo di forza, cioè l’insieme di tutte le linee di forza individuate partendo da un contorno chiuso che giace sulla superficie di un conduttore, e giunge sulla superficie di un secondo a delimitare un altro contorno chiuso. S1 S2 Avremo che, all’ interno del secondo contorno, sarà localizzata una carica uguale ed opposta a quella racchiusa dal primo. Per convincersene basta applicare il teorema di Gauss alla superficie chiusa ottenuta completando il tubo di flusso con delle calotte come le S1 e S 2 , tutte interne ai conduttori. Il flusso del campo elettrico attraverso la superficie complessiva è nullo, perché lungo la superficie laterale del tubo la normale è sempre perpendicolare al campo elettrico, mentre su S1 ed S 2 , tutte interne ai conduttori, il campo vale zero. Se ne conclude che la somma delle cariche interne fa zero anch’essa e che quindi le regioni racchiuse dai due contorni originari, evidenziate in verde in figura, contengono un quantitativo di carica uguale ed opposto. Lo schermo elettrostatico Già sappiamo che il campo elettrico nella cavità di un A conduttore A, quando questa è vuota, deve essere nullo indipendentemente dalla carica posta su di esso. Se ora all’interno della cavità si viene a trovare un altro conduttore B, dotato di carica complessiva pari a Q , sulla superficie interna della cavità, per induzione, si localizza una certa quantità di carica: dimostriamo ora che, nel caso di questa geometria, la carica indotta è −Q , cioè esattamente uguale ed opposta a quella inducente. Prendendo una superficie immaginaria come la S in figura, tutta interna al conduttore A in modo che essa, a sua volta, contenga la cavità, abbiamo G G G che φS (E ) = 0 , essendo E = 0 nello spazio occupato dal conduttore. G Q +Q Per il teorema di Gauss, inoltre, è φS (E ) = indotta = 0 , da cui ε0 necessariamente segue: Qindotta = −Q . Si giunge alla stessa conclusione anche osservando che tutti i tubi di flusso come quello evidenziato in giallo, contengono una carica complessivamente uguale a zero. 16 B S Poiché l’induzione non può alterare la carica complessiva sul conduttore cavo, avremo poi che sulla superficie più esterna si andrà a disporre una carica uguale ed opposta a −Q , e cioè all’esterno si riproduce Q . Questo risultato è noto come fenomeno dell’induzione completa e trova applicazione in dispositivi analoghi al pozzo di Faraday utilizzato per l’elettroscopio. Facciamo ora alcune considerazioni. a) Per la particolare sovrapposizione degli effetti che questa configurazione geometrica produce, la carica interna complessiva, data da Q distribuita su B e da −Q indotta sulla parete di A, genera un campo elettrico che risulta diverso da zero solo all’interno della cavità. La loro azione combinata, nello spazio fuori di A, è nulla: all’esterno si percepisce unicamente la carica Q distribuita sulla superficie. E se anche si disperde Q esterna ad esempio collegando A con la terra, l’azione delle cariche interne continua a non essere percepibile all’esterno. Infatti, dovendo essere nullo il loro campo complessivo nella regione metallica, esso dovrebbe ripartire improvvisamente fuori di essa dopo la brusca interruzione. Ma come sappiamo, le linee di campo nascono dove sono localizzate le cariche, e questa ripresa del campo interno fuori di A non è quindi possibile. b) Se si sposta B movendolo all’interno della cavità, oppure lo si porta a contatto con essa in modo che si scarichi, la carica Q sull’esterno di A non muta il suo valore, ma anzi si va sempre a distribuire sulla superficie nell’unico modo in cui questa risulta equipotenziale. c) Una carica q’, ad esempio positiva, posta in prossimità di A, interagisce con le cariche presenti sulla superficie esterna e con quelle che vi induce, ma non risente della presenza e dei movimenti di B. In maniera del tutto simmetrica, B non risente degli spostamenti di q’. Ciò che accade è che il campo complessivamente generato da q’ e dalla carica da essa indotta sulla superficie esterna di A, è diverso da zero solo all’esterno del conduttore. Nello spazio da esso occupato, il campo è nullo per le proprietà elettrostatiche dei conduttori, e dentro alla cavità, come si è già osservato, non potrebbe ripartire dato che non vi sono cariche localizzate legate ad esso. d) Le differenze di potenziale nello spazio occupato dal conduttore ed in quello racchiuso non possono essere alterate da q’, la cui presenza può avere l’unico effetto di sommarvi o sottrarvi un valore costante V0 . Alterare il potenziale in modo più complesso comporterebbe la comparsa di nuovi punti di massimo e di minimo. Se q’ potesse creare nuovi massimi o nuovi minimi, ed mezzo interposto è il vuoto, questi potrebbero stare solo dove si trovano i conduttori, e sarebbe come dire che nuove cariche si sono create su di essi violando la legge di conservazione della carica. 17 POSSIAMO INTERPRETARE QUESTO COMPLESSO DI FENOMENI DICENDO CHE TUTTO VA COME SE IL CONDUTTORE CAVO SCHERMASSE LE AZIONI DELLE CARICHE CHE RACCHIUDE, SCHERMATURA È SOLO L’ MA VA RICORDATO CHE CIÒ CHE CHIAMIAMO EFFETTO DEL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE NEL CASO DI QUESTA PARTICOLARE GEOMETRIA 3.6 La capacità dei conduttori Le superfici di conduttori di materiale diverso, ed aventi diversa geometria, anche se caricati con la medesima Q, si porteranno, in generale, a valori di potenziale molto diversi fra loro. Difatti, sebbene vi sia deposto lo stesso ammontare complessivo di carica, questa sarà costituita da un certo numero di particelle elementari, che si distribuiranno opportunamente sulla superficie in un modo che dipende da quanto è esteso il conduttore e dalla forma che ha. Volendo calcolare V in un qualunque punto A della superficie dovremo G V (rA ) = quindi inserire, nel denominatore della formula N 1 Qi , valori molto diversi ∑ 4πε0 i =1 riA per le distanze riA delle cariche da A. Per motivi analoghi, anche la superficie del medesimo conduttore, carico della stessa quantità Q, può portarsi a valori del potenziale molto diversi. Per effetto dell’ induzione, infatti, la disposizione delle cariche su di essa può variare sensibilmente se, nelle sue vicinanze, vi sono cariche od altri conduttori, anche neutri. Un conduttore che, invece, si trovi isolato nello spazio e lontano da influenze esterne, è caratterizzato da una grandezza costante, detta capacità. Essa fornisce il rapporto fra la carica che si pone sul conduttore, ed il potenziale a cui la sua superficie si porta quando è isolato, nel vuoto, e lontano da qualunque altro oggetto: C = Q V L’unità di misura che così ne risulta, il Farad: 1Farad = 1Coulomb 1 Volt , è alquanto inappropriata per trattare l’ordine di grandezza delle capacità dei conduttori di uso corrente. Si pensi che un conduttore sferico grande quanto la Terra, avrebbe una capacità di meno di un millesimo di Farad. In genere, quindi, si ha a che fare con i suoi sottomultipli: il microfarad ( 1 µF = 10-6 F ), ( 1pF = 10-12 F ). 18 il nanofarad ( 1nF = 10-9 F ) ed il picofarad Come esempio calcoliamo la capacità di un conduttore sferico di raggio R. La formula per il potenziale non è semplice da applicare se si prende in considerazione un punto A sulla superficie: dovremmo determinare i valori di tutte le distanze riA . Ma sfruttando il fatto che il potenziale dovuto alle cariche in eccesso è costante su tutto lo spazio occupato dal conduttore, possiamo calcolare V del conduttore ponendo A nel centro della sfera, sicuri di ottenere lo stesso risultato. In questo modo si ha che ogni carica dista da A sempre R, cioè riA = R , da cui: V = VA = dove Q = ∑Qi 1 N Qi 1 N Qi ∑Qi = Q = = ∑ ∑ 4πε0 i =1 riA 4πε0 i =1 R 4πε0R 4πε0R è la carica complessivamente presente sulla sfera. A i questo punto, dalla definizione di capacità, si ha immediatamente: C = Q 4πε0R =Q = 4πε0R V Q Ad esempio, nel caso di cui si è detto in precedenza, di un conduttore sferico grande quanto la Terra ( RT = 6.378 × 106 m ), risulta: ⎛ C2 ⎞⎟ C = 12.56 × ⎜⎜ 8.854 × 10-12 × ( 6.378 × 106 m ) = 0.709 × 10-3 F 2⎟ ⎟ ⎜⎝ Nm ⎠ Il potere delle punte Nel caso generico di un conduttore dal contorno superficiale irregolare, dovremo supporre che le cariche in eccesso si distribuiscano con una densità σ che varia da punto a punto. Anche il campo elettrico varierà di G σ conseguenza: E = a norma del teorema di Coulomb. Possiamo ε0 R1 ottenere una indicazione quantitativa dell’andamento di σ (e quindi di G E ), immaginando che la superficie del conduttore sia approssimabile con una serie di sfere di differente raggio. Esaminiamo il caso semplice di un conduttore con una punta, come quello in figura, schematizzabile come costituito da due sfere di raggio R1 ed R2 . Si è soliti parlare anche di raggio di curvatura del conduttore, intendendo il raggio della sfera che meglio rappresenta la sua superficie in prossimità di un dato punto5. Le due sfere conduttrici, essendo a contatto, è come fossero un unico conduttore, si porteranno pertanto allo stesso potenziale: V1 = V2 . Indicando con Q1 e Q2 le porzioni di carica totale che si localizzano su 5 In prossimità delle regioni che rivolgono la concavità verso l’esterno, avremo un raggio di curvatura negativo, e la sfera che meglio approssima la superficie è in tal caso solo una superficie matematica esterna al conduttore 19 R2 ciascuna di esse ( Q1 + Q1 = Q ), dalla formula che dà il potenziale di una sfera abbiamo: Q1 Q2 = 4πε0 R1 4πε0 R2 e cioè la carica si distribuisce proporzionalmente ai raggi delle sfere: Q1 R1 Q2 = R2 . Dal teorema di Coulomb segue che il rapporto fra i campi elettrici in prossimità delle superfici sarà dato da: σ1 G E1 R1 R22 ε0 R σ Q1 4π R22 = 2 = G = σ = 1 = 2 2 2 R2 R1 R1 σ2 4π R1 Q2 E2 ε0 Ed essendo R2 < R1 sarà G G E2 > E1 : il campo in prossimità della superficie di un conduttore è quindi più intenso in prossimità delle regioni con raggio di curvatura minore. Si dimostra poi, con analoghi procedimenti, che in regioni che rivolgono la concavità verso l’esterno, il campo, invece, cresce con il modulo del raggio di curvatura della sfera, in quel caso, esterna. L’elevato valore del campo elettrico in prossimità delle regioni appuntite, è il principio per cui, un parafulmine, oppure un albero isolato su di una collina, costituiscono una via preferenziale verso terra per le scariche elettriche che accompagnano un temporale. Le nubi, che si caricano tramite un processo alquanto complesso6, producono, per induzione (oppure polarizzazione), una localizzazione di carica positiva sulla superficie terrestre. Rispetto al suolo, parafulmini o cime di alberi possono essere schematizzate come delle punte che si ergono sopra ad una regione piatta7. 6 Nelle nubi si ha separazione di carica (positiva in alto e negativa in basso, a 3-4 Km da terra) per effetto del campo elettrico terrestre (circa 20 V/m verso il basso) e della differente interazione delle gocce d’acqua con gli ioni lenti positivi e negativi, che sono sempre presenti nell’atmosfera. 7 Il fenomeno del fulmine, decisamente vario e complesso, comporta una prima scarica guida in cui le particelle negative sulla nube, scendendo, vanno costruendo una sorta di filo conduttore nell’aria. Attraverso di esso passa la cosiddetta scarica di ritorno, per cui, a partire dalle particelle cariche nella parte più vicina a terra, si ha una violenta discesa verso il basso che, lasciando sopra di essa tratti carichi positivamente auto alimenta il processo. L’intesa emissione luminosa che accompagna la scarica parte quindi dal basso verso l’alto, ed un fulmine scarica a terra mediamente una ventina di Coulomb. 20 Va menzionato anche un altro fenomeno, noto come potere delle punte. Per effetto dell’elevato campo in prossimità di una punta carica, le cariche libere di entrambi i segni, sempre presenti in aria, accelerano, causando una sorta di effetto valanga per cui esse urtando altre particelle neutre le ionizzano a loro volta. In questo modo gli ioni di segno opposto vengono attratti dal conduttore e lo vanno progressivamente scaricando. Contemporaneamente, gli ioni dello stesso segno del conduttore vanno creando una sorta di vento d’aria ionizzata, ben visibile se si pone la punta vicino alla fiamma di una candela, che si piegherà da un lato fino a spegnersi del tutto. 3.7 L’energia potenziale dei conduttori Dalla definizione di potenziale ricaviamo che l’energia potenziale U di una carica Q, in un punto dello spazio dove il potenziale abbia valore V, si scrive: U = QV Se si vuole valutare l’espressione dell’ energia potenziale di un sistema di cariche, dovremo allora sommare tutti i termini di interazione della forma Uij=QiVij dove, ancora una volta Vij indica il potenziale dovuto alla carica j nel punto dove sta la carica i: U = 1 1 U ij = ∑ Qi ∑Vij ∑ ∑ 2 i j ¹i 2 i j ¹i Qui abbiamo esplicitato la sommatoria doppia per far veder bene che devo sommare, per ogni carica, tanti termini di interazione quante sono le altre cariche. Nella somma devo includere tutti i valore degli indici tranne il caso in cui i=j visto che una carica non interagisce con sé stessa. Il fattore ½, come prima, occorre perché la formula così scritta include nel conto, ad esempio, sia il termine V12Q1 che V21Q2 che sono uguali. Poniamo ora che parte delle cariche del sistema, che diremo Qic , si trovino su di un conduttore mentre le rimanenti altre Qiext , fuori di esso, generano un campo esterno a cui il conduttore viene ad essere soggetto: U = La 1 1 1 (Qiext + Qic ) ∑Vij = ∑Qiext ∑Vij + ∑ Qic ∑Vij ∑ 2 i 2 i 2 i j ≠i j ≠i j ≠i sommatoria ∑V ij , che rappresenta la somma di tutti i potenziali j ≠i dovuti alle interazioni di Qic con le altre cariche, interne ed esterne, nel punto dove essa si trova, dà come risultato sempre lo stesso valore V per 21 tutte le cariche interne al conduttore. Infatti, ovunque la carica Qic sia, sulla superficie del conduttore, il potenziale deve essere lo stesso per le 8 proprietà statiche dei conduttori . Indicando con V il valore del potenziale del conduttore, cioè V = ∑V abbiamo: ij j ≠i 1 1 U = U ext + V ∑ Qi = U ext + QV 2 i 2 avendo indicato con Q = ∑Q la carica complessivamente presente sul i i conduttore. La formula ricavata fornisce l’energia potenziale di un conduttore: 1 U = QV 2 e si noti che il potenziale V che vi figura è dovuto sia alle (eventuali) cariche esterne che alla stessa carica interna Q che lo va a moltiplicare. Anche in questo caso, l’energia potenziale elettrostatica rappresenta il G lavoro svolto dalle forze del campo E mentre smembriamo il sistema e portiamo le cariche che lo compongono nella posizione di riferimento - in genere all’infinito. Vista la libertà di movimento delle cariche sul conduttore, effettuare materialmente lo volta spostamento di una carica alla comporta un continuo riaggiustamento, sulla superficie, delle posizioni di quelle che rimangono. Ciò è ascrivibile sia all’induzione da parte della carica che si allontana, sia alla tendenza a disporsi nella nuova G configurazione di equilibrio con una carica in meno. La conservatività di E ci garantisce, tuttavia, che sono solo le configurazioni iniziale e finale a giocare un ruolo nel valore dell’energia potenziale. G Quindi, il lavoro che E avrà svolto al termine di questa procedura di smontaggio del sistema, è lo stesso che svolgerebbe se “congelassimo” le cariche, costringendole ad occupare sempre le loro posizioni iniziali durante l’intero smembramento. 8 In un conduttore contenente N cariche, nei punti non occupati da cariche, tutte ed N contribuiscono a far si che il potenziale valga V. In un punto dove c’è una carica, sono solo i contributi delle restanti N-1 a far si che il potenziale valga V 22