Questa è la lettera che uno studente del corso di Statistica di base (CLEA, CLEAIF), che per comodità chiameremo “Ciro”, ha inviato al Preside dopo l’appello di Giugno e che il Preside, correttamente, mi ha girato per informarmi della situazione e per discuterne. Trovo giusto che, oltre agli studenti del Corso di Statistica di base, anche gli studenti degli altri miei Corsi ne siano a conoscenza. Dico subito che Ciro ha fatto benissimo a scrivere. Chiunque ritiene di avere subito un torto o un’ingiustizia deve protestare, nei modi e con le persone giuste, e mi sembra che, almeno formalmente, Ciro abbia scelto il modo (la lettera) e la persona (il Preside) appropriati. Per quanto riguarda la sostanza degli argomenti, mi sento invece di dire qualcosa che possa essere anche di chiarimento su quello che io penso dell’Università, dello Studio (e lo scrivo non a caso con la lettera maiuscola), del mio lavoro. Prima di entrare nel merito, vorrei solo rilevare come Ciro, questo studente “prossimo alla laurea”, scriva “un’esame” con l’apostrofo… Forse è l’emozione di scrivere al Preside, forse la rabbia che aveva contro di me, forse solo superficialità, la stessa con cui probabilmente affronterà anche la preparazione ad un esame, ma è veramente triste (e lo dico con affetto e senza alcuna ironia) che un futuro dottore in Economia non riesca a scrivere dieci righe senza accorgersi di un errore così grossolano, è triste che scriva ad un Preside di Facoltà come se stesse scrivendo all’amico di bevute (ke, nn, …), ma forse anche su questo sono io ad essere troppo severo… Venendo quindi al cuore del problema, queste sono le considerazioni che vorrei sottoporre a tutti e sulle quali avrei piacere di avere, da parte di chi ne ha voglia, qualche riscontro, favorevole o contrario purché motivato, di persona o per e-mail ([email protected]). Considerazione 1: Effettivamente gli esercizi che io do all'esame non si trovano nei libri di testo. L'ho sempre detto, chi segue il corso già lo sa, e non nascondo che quello che per Ciro è un’accusa, per me è invece motivo di orgoglio. Sarebbe per me molto più facile prendere un libro che magari nessuno conosce, oppure fare una ricerca su Internet e fare un bel “copia e incolla” per risparmiarmi la fatica. Non lo faccio, cerco di “costruire” degli esempi su cui gli studenti debbano ragionare, mi costa tempo e fatica ma lo ritengo un mio dovere perché, come dico decine di volte durante il corso e agli studenti che vengono negli orari di ricevimento (e anche oltre…), il mio obiettivo non è che voi impariate a risolvere degli esercizi ma che cominciate ad abituarvi ad affrontare dei problemi. E’ esattamente il motivo per cui continuo a ripetere che non serve a nulla fare centinaia di esercizi, basta farne molti di meno ma con criterio, ragionandoci, dopo avere studiato la teoria. Invece tanti pensano di imparare la teoria a partire dall’esercizio, e questo rende tutto più difficile perché lega lo studente a degli automatismi che non aiutano a capire l’argomento. Considerazione 2: Che si debbano fare “calcoli mostruosi”, beh, non so quali calcoli mostruosi io possa chiedere ad un esame di Statistica di base... Ma anche questa accusa rivela una triste realtà, di cui Ciro è vittima e non responsabile, ed è che molti studenti non sanno più fare gli esercizi, non hanno la minima sensibilità ed abitudine al calcolo ragionato; per moltissimi una probabilità può venire anche 2,7, se io glielo contesto mi dicono che è “un errore di calcolo”, e se dico che per me potrebbe invece essere un buon motivo per terminare la correzione e scrivere “Insufficiente” (anche se, ovviamente, non lo faccio) perché è forte il sospetto che chi ha scritto una cosa del genere non abbia capito granché della probabilità e/o dell’esame, pensano che io sia un pazzo. E' vero, d'altra parte, che io considero, ad un esame di Statistica e non di Diritto comparato, il calcolo come parte fondamentale dell'esercizio, lo sapete, ve lo ripeto continuamente a lezione, non mi basta che “impostiate bene” la formula, voglio che i calcoli siano fatti bene e in modo corretto, perché se sulla base di un vostro risultato qualcuno dovrà poi prendere una decisione, poco importa se quel risultato sbagliato sia frutto di una errata impostazione o di un calcolo fatto in modo superficiale, comunque farà prendere la decisione sbagliata; e, secondo me, chi non acquisisce ora questa sensibilità, questa diligenza, non l’acquisirà mai più. Considerazione 3: Sul tempo a disposizione. Non ho mai dato un esercizio che io non abbia prima risolto su carta, facendo esattamente tutti i passaggi che ritengo debba fare lo studente all’esame. Un compito per il quale io do un'ora e mezza è un compito che uno studente bravo fa in non più di mezz'ora, questi sono i miei parametri, tre volte il tempo che io credo sia quello necessario ad uno studente bravo. Ma anche qui, se andiamo a guardare i compiti di quelli che hanno avuto “Insufficiente”, non troverete mai pagine e pagine di calcoli bruscamente interrotti perché il tempo era scaduto, per cui non è un problema di tempo... Troverete il più delle volte fogli bianchi, che sarebbero rimasti tali anche se avessi dato 6 ore, perché sono i fogli di quelli che non hanno capito l'esercizio. E molti di quelli che non hanno capito l'esercizio spesso poi mi dicono candidamente che... non avevano letto la traccia (!), perché un esercizio, per molti, non si risolve cercando di capire che cosa viene chiesto, leggendo il testo, individuando il problema, bensì cercando di interpretare a quale argomento del programma si riferisce (“se è il primo esercizio, saranno le statistiche descrittive, se è l’ultimo, sarà la probabilità, in mezzo c’è sempre quello sulla Normale”, e così via…), immagino cercando delle analogie con gli esercizi già fatti (e da qui la frenesia di farne il più possibile), ancora una volta con una superficialità che mi lascia completamente allibito. Considerazione 4: Il fatto di considerare un esame una “perdita di tempo” la dice lunga sulla considerazione che, purtroppo, Ciro e tanti altri hanno di questo momento che è, invece, un’occasione fondamentale di verifica, un riscontro imprescindibile di quanto e, soprattutto, di come si è studiato. Un esame non si va a “tentare”, non lo si fa tre, quattro, cinque volte, nella speranza che tanto, prima o poi, il compito facile capiterà. L’esame si fa una volta, convinti della propria preparazione, e se va male (perché può andare male o, comunque, in modo non soddisfacente), lo si ripete e, se si sono capiti gli errori, la seconda volta andrà benissimo. Se tu, caro Ciro, non ti fermi un attimo a considerare in modo onesto il livello della tua preparazione, a vedere se il problema è davvero l’esercizio o il tempo a disposizione e non, invece, il modo in cui tu hai studiato quegli argomenti, questo esame non lo supererai mai, oppure lo supererai perché sarai riuscito a copiare o perché capiterà un appello in cui metterò degli esercizi presi da qualche libro che tu certamente avrai svolto e che quindi ri-farai. Ma è davvero questo il ruolo che tu pensi debba avere l’Università? Considerazioni conclusive: Non posso dire che questa lettera sia completamente inattesa. Prima o poi, mi aspettavo qualcosa del genere e, per quanto mi lasci ovviamente amareggiato, ringrazio comunque Ciro del tono civile che ha usato (avrebbe anche potuto decidere di tagliarmi le ruote dello scooter…) e del fatto che, comunque, ha tenuto a precisare che non nutre nei miei confronti sentimenti di disistima. Se quello che lui pensa è opinione diffusa, è certamente possibile che io stia sbagliando qualcosa, e vi assicuro che non passa giorno in cui non me lo chieda. Vorrei però che fosse chiaro a tutti che per me l’Università non è un obbligo per nessuno ma una libera scelta che tutti devono poter fare, nella consapevolezza però di avere intrapreso un percorso difficile di crescita, di maturazione, di apprendimento. Tutti devono avere le stesse opportunità per affrontarlo ma nessuno deve pensare di avere acquisito il diritto di arrivare alla fine solo per il fatto di averlo iniziato. E’ quindi giusto che voi pretendiate che chi vi chiede molto vi dia anche molto, in termini di impegno didattico, di preparazione, di disponibilità, di strutture. Sinceramente, per quello che mi compete, io credo di farlo e, almeno su questo, posso dire di sentirmi sereno. In bocca al lupo a tutti (anche a Ciro).