Lettera di uno studente al Preside (Giugno 2007).

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Questa è la lettera che uno studente del corso di Statistica di base (CLEA, CLEAIF), che per
comodità chiameremo “Ciro”, ha inviato al Preside dopo l’appello di Giugno e che il Preside,
correttamente, mi ha girato per informarmi della situazione e per discuterne. Trovo giusto che,
oltre agli studenti del Corso di Statistica di base, anche gli studenti degli altri miei Corsi ne siano
a conoscenza.
Dico subito che Ciro ha fatto benissimo a scrivere. Chiunque ritiene di avere subito un torto o
un’ingiustizia deve protestare, nei modi e con le persone giuste, e mi sembra che, almeno
formalmente, Ciro abbia scelto il modo (la lettera) e la persona (il Preside) appropriati.
Per quanto riguarda la sostanza degli argomenti, mi sento invece di dire qualcosa che possa
essere anche di chiarimento su quello che io penso dell’Università, dello Studio (e lo scrivo non a
caso con la lettera maiuscola), del mio lavoro.
Prima di entrare nel merito, vorrei solo rilevare come Ciro, questo studente “prossimo alla
laurea”, scriva “un’esame” con l’apostrofo… Forse è l’emozione di scrivere al Preside, forse la
rabbia che aveva contro di me, forse solo superficialità, la stessa con cui probabilmente affronterà
anche la preparazione ad un esame, ma è veramente triste (e lo dico con affetto e senza alcuna
ironia) che un futuro dottore in Economia non riesca a scrivere dieci righe senza accorgersi di un
errore così grossolano, è triste che scriva ad un Preside di Facoltà come se stesse scrivendo
all’amico di bevute (ke, nn, …), ma forse anche su questo sono io ad essere troppo severo…
Venendo quindi al cuore del problema, queste sono le considerazioni che vorrei sottoporre a
tutti e sulle quali avrei piacere di avere, da parte di chi ne ha voglia, qualche riscontro, favorevole
o contrario purché motivato, di persona o per e-mail ([email protected]).
Considerazione 1:
Effettivamente gli esercizi che io do all'esame non si trovano nei libri di testo. L'ho sempre
detto, chi segue il corso già lo sa, e non nascondo che quello che per Ciro è un’accusa, per me è
invece motivo di orgoglio. Sarebbe per me molto più facile prendere un libro che magari nessuno
conosce, oppure fare una ricerca su Internet e fare un bel “copia e incolla” per risparmiarmi la
fatica. Non lo faccio, cerco di “costruire” degli esempi su cui gli studenti debbano ragionare, mi
costa tempo e fatica ma lo ritengo un mio dovere perché, come dico decine di volte durante il
corso e agli studenti che vengono negli orari di ricevimento (e anche oltre…), il mio obiettivo non
è che voi impariate a risolvere degli esercizi ma che cominciate ad abituarvi ad affrontare dei
problemi. E’ esattamente il motivo per cui continuo a ripetere che non serve a nulla fare centinaia
di esercizi, basta farne molti di meno ma con criterio, ragionandoci, dopo avere studiato la teoria.
Invece tanti pensano di imparare la teoria a partire dall’esercizio, e questo rende tutto più
difficile perché lega lo studente a degli automatismi che non aiutano a capire l’argomento.
Considerazione 2:
Che si debbano fare “calcoli mostruosi”, beh, non so quali calcoli mostruosi io possa chiedere
ad un esame di Statistica di base... Ma anche questa accusa rivela una triste realtà, di cui Ciro è
vittima e non responsabile, ed è che molti studenti non sanno più fare gli esercizi, non hanno la
minima sensibilità ed abitudine al calcolo ragionato; per moltissimi una probabilità può venire
anche 2,7, se io glielo contesto mi dicono che è “un errore di calcolo”, e se dico che per me
potrebbe invece essere un buon motivo per terminare la correzione e scrivere “Insufficiente”
(anche se, ovviamente, non lo faccio) perché è forte il sospetto che chi ha scritto una cosa del
genere non abbia capito granché della probabilità e/o dell’esame, pensano che io sia un pazzo.
E' vero, d'altra parte, che io considero, ad un esame di Statistica e non di Diritto comparato, il
calcolo come parte fondamentale dell'esercizio, lo sapete, ve lo ripeto continuamente a lezione,
non mi basta che “impostiate bene” la formula, voglio che i calcoli siano fatti bene e in modo
corretto, perché se sulla base di un vostro risultato qualcuno dovrà poi prendere una decisione,
poco importa se quel risultato sbagliato sia frutto di una errata impostazione o di un calcolo fatto
in modo superficiale, comunque farà prendere la decisione sbagliata; e, secondo me, chi non
acquisisce ora questa sensibilità, questa diligenza, non l’acquisirà mai più.
Considerazione 3:
Sul tempo a disposizione. Non ho mai dato un esercizio che io non abbia prima risolto su carta,
facendo esattamente tutti i passaggi che ritengo debba fare lo studente all’esame. Un compito per
il quale io do un'ora e mezza è un compito che uno studente bravo fa in non più di mezz'ora, questi
sono i miei parametri, tre volte il tempo che io credo sia quello necessario ad uno studente bravo.
Ma anche qui, se andiamo a guardare i compiti di quelli che hanno avuto “Insufficiente”, non
troverete mai pagine e pagine di calcoli bruscamente interrotti perché il tempo era scaduto, per
cui non è un problema di tempo... Troverete il più delle volte fogli bianchi, che sarebbero rimasti
tali anche se avessi dato 6 ore, perché sono i fogli di quelli che non hanno capito l'esercizio. E
molti di quelli che non hanno capito l'esercizio spesso poi mi dicono candidamente che... non
avevano letto la traccia (!), perché un esercizio, per molti, non si risolve cercando di capire che
cosa viene chiesto, leggendo il testo, individuando il problema, bensì cercando di interpretare a
quale argomento del programma si riferisce (“se è il primo esercizio, saranno le statistiche
descrittive, se è l’ultimo, sarà la probabilità, in mezzo c’è sempre quello sulla Normale”, e così
via…), immagino cercando delle analogie con gli esercizi già fatti (e da qui la frenesia di farne il
più possibile), ancora una volta con una superficialità che mi lascia completamente allibito.
Considerazione 4:
Il fatto di considerare un esame una “perdita di tempo” la dice lunga sulla considerazione che,
purtroppo, Ciro e tanti altri hanno di questo momento che è, invece, un’occasione fondamentale
di verifica, un riscontro imprescindibile di quanto e, soprattutto, di come si è studiato. Un esame
non si va a “tentare”, non lo si fa tre, quattro, cinque volte, nella speranza che tanto, prima o poi,
il compito facile capiterà. L’esame si fa una volta, convinti della propria preparazione, e se va
male (perché può andare male o, comunque, in modo non soddisfacente), lo si ripete e, se si sono
capiti gli errori, la seconda volta andrà benissimo.
Se tu, caro Ciro, non ti fermi un attimo a considerare in modo onesto il livello della tua
preparazione, a vedere se il problema è davvero l’esercizio o il tempo a disposizione e non, invece,
il modo in cui tu hai studiato quegli argomenti, questo esame non lo supererai mai, oppure lo
supererai perché sarai riuscito a copiare o perché capiterà un appello in cui metterò degli esercizi
presi da qualche libro che tu certamente avrai svolto e che quindi ri-farai. Ma è davvero questo il
ruolo che tu pensi debba avere l’Università?
Considerazioni conclusive:
Non posso dire che questa lettera sia completamente inattesa. Prima o poi, mi aspettavo
qualcosa del genere e, per quanto mi lasci ovviamente amareggiato, ringrazio comunque Ciro del
tono civile che ha usato (avrebbe anche potuto decidere di tagliarmi le ruote dello scooter…) e del
fatto che, comunque, ha tenuto a precisare che non nutre nei miei confronti sentimenti di
disistima.
Se quello che lui pensa è opinione diffusa, è certamente possibile che io stia sbagliando
qualcosa, e vi assicuro che non passa giorno in cui non me lo chieda. Vorrei però che fosse chiaro
a tutti che per me l’Università non è un obbligo per nessuno ma una libera scelta che tutti devono
poter fare, nella consapevolezza però di avere intrapreso un percorso difficile di crescita, di
maturazione, di apprendimento. Tutti devono avere le stesse opportunità per affrontarlo ma
nessuno deve pensare di avere acquisito il diritto di arrivare alla fine solo per il fatto di averlo
iniziato. E’ quindi giusto che voi pretendiate che chi vi chiede molto vi dia anche molto, in termini
di impegno didattico, di preparazione, di disponibilità, di strutture. Sinceramente, per quello che
mi compete, io credo di farlo e, almeno su questo, posso dire di sentirmi sereno.
In bocca al lupo a tutti (anche a Ciro).
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