Claudio Cereda - recensioni 1 di 5 Casati - Varzi Semplicità insormontabili Roberto Casati e Achille Varzi di Claudio Cereda Caro Cereda, Se non sbaglio persona, ho due ricordi chiari di lei. Il primo perché ho partecipato alla Sperimentazione nel '77 o '78 e seguivo alcune sue lezioni di filosofia della fisica (io ero in una sezione con un turnover abbastanza frequente di docenti, la L; e la quinta l'ho poi fatta all'Alessi di Perugia perché mio padre si era trasferito li'). Il secondo di averla incontrata mentre correvo sul sentiero che da Chiareggio porta alla Porro, doveva essere l'estate del '79, è possibile? Comunque ho studiato filosofia, prima con Bonomi a Milano (semantica formale), poi con Mulligan a Ginevra (percezione), e ho lavorato molto con Achille Varzi, un logico che adesso è a Columbia. Sono entrato abbastanza presto al CNRS e ci ho fatto praticamente tutta la carriera, lavorando sempre più nelle scienze cognitive (in particolare, sulla percezione delle ombre, utile per ricostruire il 3d delle scene); di recente faccio anche parecchia divulgazione scientifica (soprattutto sul domenicale del Sole). ... PS per una qualche ragione trovo normale che lei mi dia del tu mentre io le do' del lei, mi pare un retaggio interessante dell'asimmetria nel contesto educativo Roberto Casati (9 novembre 1961) ha frequentato il Frisi tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, Direttore di Ricerca del CNRS, insegna all'Università IUAV di Venezia con un contratto quadriennale nel quadro della legge per il "Rientro dei cervelli”. Si è laureato in Filosofia del Linguaggio all’Università degli Studi di Milano nel 1985 con Andrea Bonomi, sotto al cui direzione ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filosofia nel 1991. Nello stesso anno ha anche ottenuto un Dottorato di Ricerca dall’Università di Ginevra, lavorando con Kevin Mulligan su colori e suoni. Entrato al CNRS francese nel 1993, ha lavorato sulla rappresentazione dello spazio e degli oggetti, soprattutto con Achille Varzi della Columbia University, con cui ha pubblicato nel 1994 l’oramai classico Holes (MIT Press, trad. italiana Buchi e altre superficialità, Garzanti 1994) e Parts and Places (MIT Press, 1999), e più recentemente due libri meno tecnici, Semplicità insormontabili (tradotto in otto lingue) e Il pianeta dove scomparivano le cose. Il suo La scoperta dell’ombra è stato tradotto in sette lingue e ha ottenuto il Premio Fiesole, il Premio Castiglioncello e il Premio della Science Se Livre (Parigi). Casati collabora all’inserto culturale del Sole 24 Ore ed è stato responsabile per la parte scientifica dell’esposizione Luce e ombra nell’architettura (DAM Francoforte, 2002) e sul suo lavoro sulle ombre il regista Werner Weick della RTSI ha realizzato il documentario Viaggio nell’ombra. Buchi e altre superficialità, con Achille Varzi, Garzanti, 1994 e 2002 Semplicità insormontabili, 39 storie filosofiche, con Achille Varzi, Laterza, 2004 Il pianeta dove scomparivano le cose, Esercizi di immaginazione filosofica, con Achille Varzi, 11/12/2011 12.42 Claudio Cereda - recensioni 2 di 5 Casati - Varzi Semplicità insormontabili Einaudi 2006 Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici, Laterza, 2006 Achille C. Varzi (Galliate, 8 maggio 1958) è un filosofo italiano di fama internazionale. Esponente della filosofia analitica, in Italia è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, il suo pensiero si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista. Laureatosi all'Università di Trento, ha conseguito il dottorato in filosofia presso la University of Toronto (Canada) sotto la direzione di Hans G. Herzberger. Dal 1995 insegna Logica e Metafisica alla Columbia University di New York (USA). Nel 2007 è stato insignito della Targa Giuseppe Piazzi per la ricerca scientifica. Casati, Roberto - Varzi, Achille, Semplicità insormontabili 39 storie filosofiche. Bari, Laterza, 2006, pp. 194, € 7.50, ISBN - 88-420-7965-0 Recensione di Nicola Balata – 25/09/2006 Logica, Filosofia del linguaggio Indice - Gli autori 1. La riflessione sulla natura del paradosso e le sue origini. La riflessione sulla natura del paradosso ha rappresentato un tema di costante interesse sia nella storia della logica formale – a iniziare dalla riflessione dei filosofi megarici (IV secolo a.C.), ai quali dobbiamo la riformulazione del paradosso di Epimenide – sia nella più recente storia della matematica – si pensi al Bertrand Russel de I principi della matematica. (Un’utile introduzione a questa storia è nel breve saggio di Piergiorgio Odifreddi, Storia apocrifa di un mentitore, pubblicato su Kos, aprile 1999, pp. 50-55, e disponibile all’indirizzo www.vialattea.net/odifreddi/paradossi/paradossi2.htm). È tuttavia noto che l’interesse verso il paradosso nacque nella filosofia delle origini, con i filosofi eleatici, quando questi posero per primi il problema della natura degli enti, del loro essere e delle sue determinazioni. E nacque con preoccupazioni che non erano di carattere formale: nella filosofia eleatica, il paradosso era anzitutto uno strumento euristico, che rendeva visibile ciò che allo sguardo dei più restava celato. L’incapacità del linguaggio di dar conto coerentemente di fenomeni "evidenti" – come la molteplicità degli enti e il loro essere soggetti al mutamento – era la dimostrazione indiretta del loro carattere meramente “apparente”. L’argomentazione paradossale serviva a svelare agli occhi della mente ciò che i sensi non vedevano. L’interesse per la forma del paradosso venne dopo: venne con la sofistica e soprattutto con le scuole socratiche, e venne dopo che era stato abbandonato ogni riferimento alla natura della conoscenza intellettiva, ma anche ogni preoccupazione di carattere etico, e politico. 2. Semplicità insormontabili. La recente pubblicazione per l’economica Laterza del libro di Roberto Casati e Achille C. Varzi, offre al lettore di cose filosofiche un’utile occasione per tornare a riflettere su questo tema. Le “storie” di cui il libro si compone hanno la funzione di “mettere in scena”, semplificandole, situazioni concettuali che, da punti di vista differenti, sembrano rovesciare molti dei “luoghi comuni” legati all’esperienza. Protagonisti di queste storie, narrate in forma di dialoghi, sono personaggi dall’identità sottile, quasi solo verbale (di solito un “Lui” e una “Lei”). E non manca uno strano personaggio, una “ineffabile Ficcanaso” che compare qui e là, di sorpresa, e che sembra divertirsi a complicare le cose. Di essa il lettore scoprirà la reale identità solo alla fine. 11/12/2011 12.42 Claudio Cereda - recensioni 3 di 5 Casati - Varzi Semplicità insormontabili Le 39 “storie” sono raggruppate in otto capitoli (oltre a un’importante “coda” o conclusione), ciascuno dei quali è dedicato a un tema particolare, che merita ogni volta tutta l’attenzione del lettore. Si comincia con i temi della comprensibilità del reale (nel primo capitolo), della soggettività (nel secondo), dell'ordine (nel terzo), del tempo e dello spazio (nel capitolo quarto, dove si invita il lettore ad una prima ricognizione di una strana ma affascinante concezione, non lontana da quella di Einstein, per la quale spazio e tempo, solitamente ben distinti, tali non sarebbero affatto). Si prosegue quindi (nel capitolo quinto) ad analizzare quelle coppie di concetti – come Uno e Molteplice, Identità e Differenza – a cui “la Metafisica” ha sempre fatto riferimento, per poi stringere l’attenzione (nel capitolo sesto) proprio sul linguaggio e (nel capitolo settimo) sulle leggi che regolano la vita associata (dove si mostra come esse richiedano legislatori esperti, “legislatori [che] lavorino da filosofi nel cercare di trovare un Linguaggio che metta in relazione il rigore della Legge e le forme imprecise dell’Intuizione”, p. 152). E si approda infine (nel capitolo ottavo) ad una messa in discussione dei principi della logica (delle “difficoltà assolutamente insormontabili” ad essi legate), a cui segue, a mo’ di conclusione, una importante “coda” a effetto, sorta di “pirotecnico finale” nel quale viene mostrato al lettore l’ultimo, e il più importante, dei paradossi (e dove finalmente si svela l’identità del personaggio “ficcanaso”). 3. Tensioni concettuali e scenari fantastici. Si tratta come si vede di un quadro estremamente ricco e stimolante, che costituisce senza dubbio un interessante e utile strumento per il lettore che voglia cominciare ad addentrarsi entro alcuni dei più importanti momenti della riflessione filosofica, non solo contemporanea. Eppure, qualche perplessità questo testo la suscita. A cominciare dalla scelta stilistica della “narrazione”. Colpirà infatti il lettore il fatto che la paradossalità delle argomentazioni si associ, fin dalle prime pagine, al carattere “fantastico”, talora palesemente inverosimile o forzatamente “concettoso”, degli scenari in cui le storie e i dialoghi “prendono corpo”. Per esempio, il primo capitolo si apre con la storia di un uomo, solo in una camera d’albergo, che scopre il suo doppio attraverso una parete di specchi, che “non è affatto uno specchio”; di un poeta “del secolo scorso” che un bel giorno riceve la visita di uno strano personaggio vissuto nel futuro; di un “Lui” e una “Lei” che riflettono su chi sia l’autentico autore di un gol durante una partita di calcio, e così via… “Casi come questi – notano gli autori – sono sintomi di una tensione concettuale profonda” (p. 18), e “la filosofia nasce spesso da tensioni concettuali, ovvero dalla difficoltà di applicare a situazioni nuove o strane i concetti che sappiamo maneggiare in molte situazioni normali del vivere”. Dunque è necessario “saper saggiare l’elasticità della trama dei concetti, ma per far ciò si debbono a volte inventare scenari fantastici, in cui tali concetti sono portati all’estremo” (p. 21). 4. La logica e il commiato del filosofo. Più interessante è notare come dietro questo gusto quasi compiaciuto per il fantastico e le sue bizzarrie paradossali, dietro questa presa di distanza così netta nei confronti della realtà, vi sia una precisa concezione circa la funzione, il ruolo, l’identità del filosofo, che gli autori accortamente hanno cura di mettere in chiaro. E a più riprese. Per esempio nel terzo capitolo, quando mettono in guardia il lettore su quali debbano essere le domande della filosofia: in un mondo “che sembra ormai alfabetizzato e numerizzato”, ma che “poi tanto alfabetizzato non è”, c’è da temere – scrivono – “che domande strane come quelle sul Senso della Vita continueranno a sembrare le domande filosofiche per eccellenza e a riempire i tomi di illustri toccabodoni della filosofia. Per nostra parte non riusciamo a capire nemmeno quale sia il senso di tali domande” (p. 55). Ma soprattutto nella introduzione alla coda finale, quando osservano come compito della filosofia sia anzi quello di insegnare a porle, le domande, attraverso la pratica di quella scienza delle forme del pensare, che sin dai tempi di Aristotele è stata intesa “come un vero e proprio organon, uno strumento pratico per la formulazione del Ragionamento Corretto, che è poi il ragionamento che ci consente di procedere dal Vero al Vero (o dal Noto al Vero) e giammai al Falso”. Fino al punto di invocare “un sobrio ma meticoloso 11/12/2011 12.42 Claudio Cereda - recensioni 4 di 5 Casati - Varzi Semplicità insormontabili ripasso delle leggi della logica”, che vada a tutto vantaggio dei giovani e della loro educazione (p. 183). È questa identificazione di logica e filosofia che consentirà finalmente alla ficcanaso di rivelare la propria identità: “io faccio solo il mio dovere di filosofa della ditta - dichiara il nostro personaggio -. E la questione che stiamo discutendo non è di scienza e nemmeno di marketing: è una questione di logica” (p. 187). 5. Le domande della filosofia. Ora, questa identificazione di logica e filosofia non è priva di conseguenze. Lo scenario stranamente fantastico entro il quale le parole del filosofo sembrano essersi rifugiate, e quella strana ineffabile veste che egli ha deciso di indossare, nascono da una scelta precisa. Una scelta che egli ci ricorda con nettezza (e non senza una certa solennità): “La Logica, ci sia concesso di dirlo, non è solo una pratica. È anche una teoria: è quella teoria il cui oggetto non coincide col mondo Reale, come nel caso delle altre teorie (la Fisica, ma anche la Psicologia e la Sociologia), bensì si slancia ad abbracciare l’universo di tutti i mondi Possibili” (p. 183). È dunque qui, in questo “slancio ad abbracciare l’universo di tutti i mondi Possibili”, che il filosofo smette di occuparsi della realtà. È qui che hanno origine le tensioni concettuali ed i paradossi dei suoi mondi illusori. Le sue “storie” fantastiche. Non smetta tuttavia il lettore di porre domande, e non si lasci abbagliare dalla solennità delle affermazioni. Davvero spetta al filosofo compiere questo salto ardito? E da dove viene questa strana pretesa? Non s’è forse detto che la filosofia, e anzi la stessa logica, prima ancora di essere una teoria, è una pratica? E che cosa individua la pratica del filosofo? Del logico? Quali strumenti, quale insieme di regole, di accorgimenti? Non è vero infatti che ogni pratica è individuata da una tecnica e dall’insieme delle norme che ne regolano l’uso? E la pratica del filosofo, non deriva forse dalla piena padronanza di quella particolare tecnica di espressione del linguaggio verbale che è l’alfabeto: l’alfabeto greco e gli altri alfabeti e tecniche di “formalizzazione” che ne sono derivati? Non è grazie all’alfabeto che il filosofo ha imparato a ragionare, “a imboccare la corretta via ogni qualvolta i sentieri si biforcano” (p. 183)? E non è vero forse che l’idea stessa che il filosofo ha di una teoria e di un modo di vedere, non avrebbero alcun senso fuori di quel mondo? E che perfino l’ambiziosa questione intorno alla “totalità dei mondi possibili” è nata lì, in quel suo “mondo pienamente alfabetizzato e numerizzato”? Ma se è così, fra quei mondi possibili a cui si rivolge il filosofo, non dovremo porre – come sembra ragionevole – anche quelli in cui la tecnica dell’alfabeto e le sue pratiche, inclusa naturalmente la pratica della logica e le sue audaci questioni sulla totalità dei mondi possibili – sono semplicemente "sconosciuti"? E non vale questo a concludere che la riflessione intorno alla totalità dei mondi possibili ha senso solo e unicamente all’interno di uno di questi mondi: di quel particolare mondo rappresentato dai filosofi, o meglio dai logici alfabetizzati? Mentre è del tutto priva di senso e incapace di dire alcunché negli altri? E dunque di dire alcunché degli altri? Rinchiuso nelle ineffabilità dei suoi mondi fantastici, sembra così che il filosofo abbia perso la capacità non soltanto di raccontarci storie, ma anche di farci vedere la paradossalità più importante. Quella dell’unico mondo in cui pretende di vivere. torna all'inizioIndice Uno Stanza 88 Di un progetto inutile L’artista da giovane La catena che conduce in porta Due Sonnifero Zombie SPA 11/12/2011 12.42 Claudio Cereda - recensioni 5 di 5 Casati - Varzi Semplicità insormontabili Amnesia parziale Trapianto di persona I sapori del gelato Tre Il gioco del Lotto nella città di Rovesci I numeri della fortuna Il disordine invisibile Quattro Missiva sul tempo da Valle finale Bollicine Date di nascita L’Isola delle Quattro Stagioni Un viaggio annullato Hic sunt leones Riflessioni Cinque L’ultimo caso del Presidente delle Amebe La stampa nascosta La credenza fatta a pezzi Holter monitor Fila tredici Treno soppresso I nuovi satelliti Sei Alla lettera Il Dizionario Intelligente Pittolibro per turisti Tracce d’inchiostro Sette Scelta obbligata Che cosa vuole la maggioranza? La regola numero uno Otto Complimenti ai terzi Effetto placebo Interessante! L’autoriferimento si spiega da sé Una visita imprevedibile La torta stregata Coda Acido Universale Postilla 11/12/2011 12.42