750 anni fa il prodigio della Lingua incorrotta

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BASILICA DI SANT’ANTONIO
15 febbraio: festa della Lingua del Santo
750 anni fa il prodigio
della Lingua incorrotta
Lʼ8 aprile del 1263, san Bonaventura, aprendo la cassa lignea in
cui era conservato il corpo del Santo, tra cenere e ossa trovò la
lingua del Santo bella e rubiconda, simile a quella di un vivente.
di Alfredo Pescante
uest’anno abbiamo un motivo in
piú per celebrare con solennità
la festa della Lingua incorrotta
di sant’Antonio. Ricorre infatti
il 750° anniversario del suo rinvenimento da parte di san Bonaventura, generale dell’Ordine dei frati minori,
quell’8 aprile del 1263, domenica in
Albis, che passerà alla storia come una
tappa significativa delle vicende antoniane, vera esaltazione di un Santo la
cui devozione si diffonderà presto nel
mondo intero.
Con le parole della “Raymondina”, una delle prime vite di
sant’Antonio, scritta (1292) da
fra Pietro Raymondi di Saint
Roman, probabilmente spettatore all’avvenimento o che l’aveva
udito raccontare da testi oculari,
è bello ricordare cosa accadde.
San Bonaventura, aprendo la
cassa lignea in cui era conservato il corpo del Santo, tra cenere e
ossa trovò la lingua del Santo
bella e rubiconda quale suole essere quella di un vivente. Un documento di fine ’200 ricorda che
la Lingua era perfino “appuntita”, per sottolinearne la consistenza, e un altro coevo aggiunge che costatarono il miracolo
«non solo i frati, ma anche molti
secolari e specialmente dodici
cittadini degni di fede, eletti dal
Comune padovano, che poi testimoniarono l’avvenimento al
Papa».
La Raymondina racconta: «Il
Generale, presa in mano con
ogni riverenza la Lingua, colmo
di lacrime, cominciò a rivolgerle
parole assai devote davanti a coloro che erano lí convenuti, di-
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cendo: “O Lingua benedetta, che hai
sempre benedetto il Signore e hai fatto
che anche gli altri lo benedicessero
sempre, dalla tua conservazione ben si
comprende quale sia il tuo merito innanzi a Dio”. E colmandola di teneri
baci comandò che, separatamente, fosse posta in un reliquiario».
La storia ricorda che, nel tempo, si
fece a gara perché il reliquiario divenisse sempre piú bello e prezioso. Infatti
fu rinnovato tre volte fino a quello che
oggi ammiriamo, capolavoro d’oreficeria di Giuliano da Firenze (1436), dapprima conservato in sacrestia e dal
1745 nella Cappella del Tesoro (foto a
destra). Al fedele che vi si avvicina appare subito, nella nicchia centrale, incavata nel fondale marmoreo architettato
da Filippo Parodi, la sagoma del meraviglioso contenitore, in un sito preminente sopra quello delle “corde vocali”
e sotto quello del Mento.
Molte personalità di rilievo si recarono a venerare la Reliquia e tra queste i
Papi Pio VI, Pio VII, Giovanni Paolo II
(foto sotto) e, mentre erano cardinali,
Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I e Benedetto XV. Quest’ultimo, il
21 settembre 1914, appena elevato al
sommo pontificato, inviò ai frati un telegramma, ricordando la consolazione
provata, l’anno prima, visitando la Basilica. Giusto 100 anni fa l’avvenimento. Quale migliore occasione al suo attuale successore, che ne ha mutuato il
nome (Benedetto XVI), per rinverdire
la presenza papale?
Perché san Bonaventura venne
a Padova nel 1263
San Bonaventura fu presente a Padova l’8 aprile? Come mai la “festa della
Lingua” viene celebrata il 15
febbraio? È certo che fino al
1350 continuò a essere ricordata
in aprile, ma dal 1351 il capitolo
generale dei frati, svoltosi a Lione, stabilí che la festa della Traslazione, per ricordare la reposizione del Mento del Santo in un
nuovo reliquiario da parte del
cardinale Guido di Boulogne, il
15 febbraio 1350, fosse celebrata da tutto l’Ordine, annualmente, proprio in quest’ultima data.
San Bonaventura non cita mai
nei suoi numerosi scritti il prodigioso avvenimento, ma ne riconosce grande importanza per la
vita della Chiesa, come afferma
Alberto Vecchi dell’Università
di Padova. Bonaventura, docente a Parigi, fu conquiso da forte
ammirazione per Antonio del
quale in Francia si parlava un
gran bene. I frati di Padova,
completato il primo ampliamento della vecchia chiesa di Sancta
Maria Mater Domini, tramutandola in una piú decorosa, pensarono a lui, generale dell’Ordine,
come officiante della traslazione
del corpo di Antonio in un nuovo sito, ai piedi del presbiterio.
Le “lingue incorrotte”
dei santi
Bonaventura accettò l’invito e perché il
Santo non rimanesse puro patrono cittadino e perché la questione antoniana
gli interessava, incaricato com’era stato
di scrivere una nuova vita su san Francesco. In piú il papato, nella persona di
Urbano IV, vive una situazione politica
mediterranea difficile a causa della restaurazione dell’Impero bizantino, nel
1261, da parte di Michele VIII Paleologo. Vede infatti minacciate le sue mire
nell’intessere rapporti con i Tartari e i
Mongoli, validi a contenere la bellicosa
intraprendenza musulmana. Urbano IV
indice la predicazione della Crociata in
Europa e fa riferimento ai francescani
per questo compito. Il rinvenimento
della Lingua assume, cosí, una portata
fondamentale, in un momento d’estrema delicatezza per Chiesa, cristianità e
politica internazionale.
Bonaventura deve aver riferito il
prodigio al Capitolo generale di Pisa
(1263) e al Papa, consegnandogli il
gruppo di teologi che avrebbero potuto
discutere con quelli di Costantinopoli,
vista l’apertura dimostrata dal Paleologo. Antonio si riappropria, in tal modo,
della primitiva sua figura del grande
predicatore.
Sant’Antonio ha ancor oggi
portata ecumenica
La Lingua di sant’Antonio, conclude
il Vecchi, dà voce alle speranze della
Chiesa mediante i miracoli e mediante
la guida celeste: guida della Chiesa che
invia teologi francescani per un incontro ecumenico con quelli di Costantinopoli, indice dell’universale suo patrocinio.
Nel 1963, in occasione del VII centenario del rinvenimento della Lingua del
Santo, papa Giovanni XXIII, terziario
francescano, enucleò l’importanza di
Antonio non solo quale “luminare esimio dell’Ordine”, “validissimo intercessore del popolo cristiano presso
Dio” e “Dottore della Chiesa potentissimo nella parola”, ma anche quale protettore del Concilio Ecumenico Vaticano II, alla cui intercessione egli affidò
lo svolgimento dei lavori. In una lettera
indirizzata ai Frati, Giovanni XXIII paragonò lo zelo di Antonio nel mettere in
pratica i decreti del Concilio Lateranense IV al fervore di preghiera e operosità che doveva caratterizzare il loro
sostegno per il Concilio, di cui ricorre
quest’anno il cinquantesimo d’indizione. Papa Roncalli vede Antonio come
assertore della reale presenza di Gesú
nell’Eucarestia, come promotore della
sua frequenza a riceverla e propagatore
della frequente confessione. Due indicazioni queste che suggeriscono come
la “festa della Lingua” non si esaurisca
in una celebrazione esteriore, una volta
vivacizzata dalla presenza di celebri
musicisti, ma offra linfa alla vita d’ogni
anima cristiana.
Non è un caso che rare siano le rappresentazioni artistiche del “miracolo
della Lingua incorrotta” a tutto vantaggio del messaggio cristiano di conversione. Ricordo solo una tela, presente
nella sacrestia della Basilica, che narra
in modo evidente il miracolo, a opera
del pittore Ferdinando Suman (1847).
Nel campanile sud anche la terza campana per grandezza (800 chili), fusa nel
1963 dalla ditta Colbacchini, dedicata
La lingua di sant’Antonio costituisce un miracolo perenne e carico
di significato religioso, quasi un
suggello divino dell’opera d’evangelizzazione da lui compiuta nella
società del suo tempo. Esistono però
almeno altri due casi simili nella
agiografia, riferentisi ai santi Bonaventura da Bagnoregio e Giovanni
Nepomuceno, le cui lingue rimasero
egualmente incorrotte dopo morte.
San Bonaventura, cardinale e generale dell’Ordine dei frati minori,
lo “scopritore”, l’8 aprile 1263,
della lingua incorrotta di sant’Antonio, mentre partecipava al concilio
di Lione, morí improvvisamente il
15 luglio 1274 e fu sepolto nella locale chiesa di San Francesco. Nel
1450, durante la ricognizione del
suo corpo, ne fu trovata la lingua
«sana, integra, rosea e fresca come
d’uomo vivente» raccontano gli storici. Collocata in un prezioso reliquiario, pochi anni dopo fu fatta
sparire da un maniaco. Ugual sorte
toccarono alle di lui ossa bruciate e
gettate nel Rodano, nel 1562, dai
calvinisti e dagli ugonotti.
San Giovanni Nepomuceno, canonico di Praga, fu fatto annegare
dal re Venceslao nella Moldava, nel
1393, perché non gli aveva voluto
rivelare la confessione fattagli dalla
consorte. Il 15 aprile 1719, giorno
della ricognizione del suo corpo, ne
fu constatata la lingua incorrotta.
Papa Benedetto XIII affermò che il
prodigio era manifestazione della
santità di lui che aveva dato la vita
in difesa del segreto della confessione sacramentale.
alla Lingua del Santo, porta una significativa scritta nel medaglione: «La sua
Lingua è divenuta chiave del cielo».
«Questa Lingua – afferma il prof. Vito Terribile Wiel Marin, che la “protesse” dall’attacco dei funghi nel 1981- è
testimonianza eccezionale d’un miracolo eccezionale accaduto nel 1263». Nel
tempo la sua attuale consistenza fogliacea potrà anche sparire, ma rimarrà per
sempre il messaggio di Antonio «fratello maggiore, giovane e vigoroso padre,
amico cui confidarsi nel quotidiano
●
cammino della vita».
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