Capitolo 1 VERONA ALL’EPOCA DI DON NICOLA MAZZA (1790-1865) Gli anni tra il 1790 ed il 1865 rientrano, per Verona, ma in generale per tutta la penisola italica, in un periodo di grande fermento e di importanza storica, che comincia con il sorgere delle moderne teorie illuministe e sfocerà nell’unificazione nazionale. 1.1_Cenni storici La peculiarità della storia veronese, con le sue vicende belliche, con i suoi passaggi sotto diverse dominazioni e con la sua conseguente realtà sociale, trova origine, in gran parte, nella particolare posizione geografica della stessa città. Il suo sito caratterizza Verona, sia da un punto di vista economico2, sia da un punto di vista strategico3. 2 -“La città di Verona, collocata tra le ultime propaggini delle Prealpi, digradanti nelle salubri colline, e la fertile pianura, attraversata dal fiume Adige si trova in una posizione favorevole sia per l’agricoltura, che per gli scambi. I traffici risultavano particolarmente agevoli non solo da Venezia verso Milano, ma ancor più favoriti verso il Trentino ed il centro-Europa”. M. L. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), capitolo 1, p. 5, in AA. VV., Verona e il suo territorio, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, vol. VI, tomo 2, Verona 2003. 3 -“(I) due ambienti marginali, quello Ligure-Piemontese ad occidente, quello Veneto ad oriente, (…), non costituivano il cuore dell’Italia Settentrionale, né assicuravano basi idonee alla penetrazione della penisola: occorreva, per questo, conseguire il possesso della parte centrale della pianura padana, superando appunto le fascie di separazione.” La fascia orientale, la cui capitale è Verona, “a nord comprende i massicci dell’Ortles-Cividale e dell’Adamello-Presanella, che separano nettamente i bacini dell’Adda e del Chiese da quelli dell’Adige e del Sarca, al centro include il lago di Garda (che l’ampiezza e la difficile percorribilità delle sponde nel tratto settentrionale rendono elemento disgiuntore più che di collegamento), la catena del Monte Baldo ed i Lessini, che chiudono lo sbocco della Valle dell’Adige; più a sud è costituita da un complesso di corsi d’acqua, fra i quali emergono il Mincio fino alla confluenza col Po ed il Po stesso fino alla foce, il Tartaro con le sue paludi, l’Adige con le valli Grandi Veronesi, i canali del Polesine. Evidentemente, fra tanti ostacoli, 7 La zona dell’alta pianura veronese risulta essere la via di più agevole percorribilità per ogni movimento da oriente ad occidente, e viceversa, dell’Italia settentrionale. Ma non solo. Essa è anche la più diretta via di comunicazione tra la Germania e la penisola italiana. Per secoli Verona, fin dal periodo goto, ha avuto un ruolo capitale nella regione europea. Il possesso della zona era di grande importanza ed a lungo si lottò per esso4. Nel 1790 Verona si trova ancora sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia5. Venezia è “massicciamente presente con i suoi uomini e le sue leggi (...) Venezia è capitale politica ed economica dello stato (…). I veneziani sono i signori, i dominatori, amati, odiati, invisi, tollerati!”6. Ma, fra le città sottoposte a Venezia, Verona pare essere quella che meno di tutte soffre il vassallaggio alla capitale, almeno dal punto di vista commerciale. Indubbi le vie di facilitazione risultano nettamente delimitate: a parte la zona montana, ove esse si riducono ai passi fra le valli più importanti (Stelvio, Tonale, Bondo in Val Giudicarie), un solo varco abbastanza agevole offre la natura nella fascia in questione, ed è quello costituito dalla zona di alta pianura, stendentesi ai piedi delle Prealpi fino alla linea delle risorgive(…), nella quale i corsi d’acqua, per la permeabilità del suolo, sono in minor numero e meno ricchi”. G. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, p. 7, in AA. VV., Il Quadrilatero nella storia militare, politica, economica e sociale dell’Italia risorgimentale. Atti dal Convegno di Studio tenuto a Verona dal 13 al 16 ottobre 1966, Verona 1967. 4 -“Era dunque fatale che su tale zona venissero a svolgersi le lotte decisive per il possesso dell’Italia durante il periodo napoleonico, che diedero luogo ad operazioni di assedio ed a manovre ammirate nella concezione e nella condotta, e profondamente studiate in seguito”. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., p. 11. 5 -Da lungo tempo Verona ha legami con Venezia. Già nel 1405 i veronesi inviano una rappresentanza dei loro cittadini a Venezia, per presentare al Doge le insegne della loro città e per prestare giuramento di fedeltà alla Serenissima. Nell’arco del periodo veneziano la città di Verona viene governata da due rettori veneti, civilmente da un podestà e militarmente da un capitano. I veneti suddividono il territorio veronese in distretti alla cui direzione sono posti i vicari. Per un approfondimento sul dominio veneto cfr. G. Solinas, Storia di Verona, Centro Rinascita Editore, Verona 1981, pp. 323-370. 6 -AA. VV., Verona e il suo territorio, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, vol. V, tomo 1, Verona 1994, capitolo II, p. 435. 8 sono i vantaggi commerciali dovuti al legame con la Serenissima che è il suo naturale porto, e la consumatrice dei suoi caratteristici prodotti serici e lanieri, che i mercati tedeschi non assorbono. Verona sarà la città suddita in cui meno si diffonderà l’avversione alla capitale7. Nell’ultimo periodo della vita della Repubblica di Venezia, Verona è stata scelta come rifugio da molti francesi in fuga dalla furia rivoluzionaria8 e viene ad essere il punto di riferimento obbligato di tutte le cancellerie del continente. La Repubblica veneta continua a mantenersi fedele alla sua politica immobilistica ma nel 1796 si cominciano a vedere, anche a Verona, i primi esiti concreti della Rivoluzione Francese. Verona non può più cullarsi nella neutralità disarmata di Venezia e neppure nella sua tradizione di città agricola. Napoleone 9, per sconfiggere l’Austria, valica le Alpi con il suo esercito e nel 1796 dodicimila soldati francesi entrano trionfanti a Verona10. 7 -Durante l’ultimo periodo della Repubblica, Verona era retta da due Nobili Consigli composti da membri appartenenti alla nobiltà: “un primo, composto da 50 membri, con potere legislativo; un secondo, di soli 12 membri, con potere esecutivo (…). Il Consiglio si incaricava di eleggere i provveditori agli Alloggi e ai Confini, il capitano del Lago (…), il podestà di peschiera. Eleggeva anche i vicari delle giurisdizioni cittadine e il vicario alla Casa dei Mercati. (V)i erano ben 150 comuni, molti ancora legati da vincoli feudali, vuoi nei confronti del capoluogo, vuoi di privati (…). Non si può insomma parlare di tentativi democratici a Verona, semmai del tentativo, da parte della nobiltà locale, di inserirsi a livello decisionale in ciò che, fino a quel momento, era appannaggio esclusivo del patriziato veneziano”. M. Zangarini, L’oste il nobile il prete. Il primo Ottocento veronese nei diari di tre contemporanei, pp. 20-21, in AA. VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani. II, Casa Editrice Mazziana, Verona 1990. 8 -Tra i vari emigrati francesi si era stabilito a Verona il conte di Lilla, fratello di Luigi XVI re di Francia, che proprio mentre soggiornava nella sua residenza sulle rive dell’Adige, venne salutato come nuovo sovrano Francese. Fatto questo che mosse gli animi, sia quelli dei monarchici che quelli dei repubblicani, di qua e di là delle Alpi. 9 -Napoleone Bonaparte nasce in Corsica nel 1769 e già in giovane età comincia a frequentare le scuole militari di Parigi. Con lo scoppiare della rivoluzione ha la possibilità di mostrare il suo valore e a soli 27 anni viene ad assumere il comando della spedizione in Italia. 10 -“Bonaparte finse di essere sdegnato per l’ospitalità concessa al profugo pretendente borbonico”-il conte di Lilla-“e per la neutralità già rotta dagli Austriaci allorché, sconfitti, si ritirarono attraverso il territorio veneto. Terminò dicendo che il 1° giugno sarebbe entrato in Verona alle ore dieci”. Solinas, Storia di Verona, cit., p. 372. Il primo giugno 1796 le truppe francesi entrano a Verona e vi si stanziano, mantenute e foraggiate dall’erario veneto e dai veronesi. I rappresentanti del governo veneto in carica 9 L’Impero Austriaco non si rassegna all’occupazione della città e la popolazione veronese subisce un continuo andirivieni di truppe, in assetto di guerra, con grave danno alla propria vita ed alle proprie attività, comprese quelle agricole. “Città e provincia subiscono (…) un gravissimo logoramento che esaspera la popolazione ed i suoi responsabili, alimentando il seme dell’antifrancesismo e, come contrappunto, creando consenso verso l’Austria che riscuote simpatie crescenti”11. Di doppia natura è l’esasperazione della popolazione cittadina, in parte derivante dall’obbligo di mantenere e di soddisfare le esigenze di un tanto cospicuo e tanto mobile esercito francese, ed in parte dovuta al problema della convivenza tra le truppe e la popolazione civile12. “A Verona vengono risparmiati gli orrori di una guerra di prima linea. La città si sente comunque nell’occhio del ciclone e soffre per l’inarrestabile e soffocante girandola di uomini in divisa e per l’inesauribile richiesta di contributi in natura e in danaro. Le autorità venete arrancano a fatica incapaci di tenere testa al ritmo impresso da Napoleone alle sue imprese militari”13 che hanno Verona come epicentro. rimangono impotenti. Cfr. L. Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), pp. 3-67, in AA. VV., Verona e il suo territorio, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, vol. VI, tomo 1, Verona 1988. 11 -F. Vecchiato, Verona: una Capitale per l’Europa, p. 675, in AA. VV., Verona e il suo territorio, vol. V, tomo 1, parte seconda, capitolo VI, cit. 12 -“L’insieme delle relazioni ufficiali – quelle perciò tra popolazione e truppa – è profondamente contrassegnato da una situazione di incessante micro-conflittualità che esacerba gli animi e tiene in continua apprensione l’autorità veneto-veronese. In città può accadere anche di assistere al lancio di pietre contro una pattuglia francese, come istintivo gesto da parte di alcuni popolani”. “Verona non regge alle novità napoleoniche, travolta da un turbinio di uomini il cui perpetuo movimento produce affanno ed inquietudine, e trasformata in un barile dal quale i francesi raschiano ricchezze inestimabili. A rendere più intollerabili le ‘novità’ napoleoniche è l’infima qualità dei francesi in circolazione”. Vecchiato, Verona: una Capitale per l’Europa, cit., pp. 678-680. Innumerevoli sono gli atti di vandalismo che Verona ed i suoi abitanti subiscono da parte dei militari francesi. Cfr. Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 375-376. 13 -Vecchiato, Verona: una Capitale per l’Europa, cit., p. 679. 10 I rappresentanti veronesi del governo veneto sono combattuti tra l’ordine impartito da Venezia di mantenere la neutralità e l’esigenza dei veronesi di non piegarsi ai soprusi, esigenza che sempre più si esprime in maniera violenta. L’intera città di Verona, allora, compie un atto di grande dignità: si rivolta. Insorge in difesa dei diritti di un popolo contro un esercito straniero venuto a depredare e saccheggiare14. Le sollevazioni però, non affiancate da uno sperato aiuto armato austriaco15, si risolvono in un armistizio ed in una conseguente resa ai francesi. I rappresentanti del governo veneto fuggono da Verona abbandonandola completamente. In loro vece viene istituita una nuova Municipalità pressoché impotente. La risposta francese alla rivolta non tarda ad arrivare. Gravissime furono le contribuzioni imposte ed innumerevoli le condanne a morte eseguite di fronte a tutta la cittadinanza16. 14 -Le giornate di rivolta (17-24 Aprile 1797) sono conosciute con il nome di Pasque Veronesi e non sono solo insurrezioni popolari, ma anche delle vere e proprie azioni militari nella campagna a sud–ovest della città, capitanate dalle autorità cittadine che intendono cacciare i francesi dai forti occupati. Verona è ancora dichiarata neutrale dal governo legittimo. Cfr. Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), cit., pp. 7-28. “Verona si ribella contro le truppe francesi perché queste rinnegano calpestano quotidianamente gli ideali di libertà e uguaglianza, stampigliati sui loro proclami militari, relegando non solo le autorità di governo venete, ma l’intera popolazione civile, in una condizione di umiliante subalternità, che comunque si mascheri (…) è pura sottomissione alla volontà dispotica di intelligenze straniere”. Vecchiato, Verona: una Capitale per l’Europa, cit., p. 683. 15 -Il 18 aprile 1797, infatti, Francia ed Austria già si erano accordate (preliminari di Leoben) per un armistizio che, il 17 ottobre 1797, sfocia nella firma del trattato di Campoformido. E’ sancita la perdita dell’indipendenza e della libertà per Venezia. La Lombardia diviene parte della Repubblica Cisalpina francese, ed il Veneto dell’impero Austriaco. 16 -“(I) Francesi imposero, attraverso ordinanze della Municipalità, gravissime contribuzioni alla città, requisirono le argenterie delle chiese e delle famiglie patrizie, spogliarono il Monte di Pietà dei depositi che là si trovavano, molti dei quali assai cospicui, in quanto com’è noto, il Monte fungeva da banca per prestiti su pegni anche delle famiglie abbienti (…). Ai primi di maggio poi fu avviato da un tribunale militare francese un processo contro quei veronesi e veneziani, patrizi e non patrizi, che erano stati imprigionati in Castel san Felice”. Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), cit., p. 10. 11 A seguito del Trattato di Campoformido17, il 21 gennaio 1798 i francesi lasciano Verona e vi entrano gli austriaci, un tempo visti come i possibili liberatori18. La speranza veronese di tranquillità viene presto delusa. Già nell’anno successivo ricominciano le ostilità tra Francia ed Austria. Nel 1801 inizia la seconda dominazione napoleonica a Verona, che, ai primordi, risulta parziale ma è destinata a totalizzarsi e a rimanere stabile fino al 181419. “Sebbene l’aspetto militare sia il più appariscente dell’epoca napoleonica, è indubbio che per l’Italia l’aspetto politico sia di gran lunga superiore in quanto il dominio napoleonico costituisce la prova generale dell’unificazione nazionale italiana”20. Si assiste alla trasformazione di Verona, da città di provincia, fino ad allora priva di una qualsiasi autonomia politica, a città-stato, organizzata costituzionalmente come uno stato indipendente. Questa città-stato ha come suo organo politico la Municipalità democratica con le sue varie trasformazioni21. 17 -Il Trattato di Campoformido sancisce la divisione degli stati della Repubblica Veneta tra Austria e Francia. Vedi nota 15 del corrente capitolo. 18 -Per i più consapevoli tra i veronesi la sfiducia nei confronti dello straniero è ormai tanta ed è il germe da cui sorgerà la coscienza della necessità dell’unione nazionale e della libertà da ogni legame straniero. Cfr. Solinas, Storia di Verona, cit., p. 395; e Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), cit., pp. 15. 19 -Il 3 gennaio 1801 le truppe francesi rientrano in Verona. La Pace di Luneville del 9 febbraio 1801 stabilisce il confine tra la Repubblica Cisalpina e l’Impero d’Austria lungo l’esatto corso dell’Adige, la riva destra diventa di occupazione francese, quella sinistra di occupazione austriaca. La città di Verona si trova ad essere letteralmente divisa in due, con gravissime conseguenze sia economiche che gestionali per l’intera popolazione. Finalmente, il 26 dicembre 1805, la Pace di Presburgo sancisce la riunificazione dell’intera città sotto il governo della vecchia Repubblica Cisalpina, ora divenuta Regno d’Italia. Da questo momento, fino al 4 febbraio 1814, c’è per Verona un periodo di pace, almeno militarmente parlando. Cfr. Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 396-400; Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), cit., pp. 16-68; G. Zalin, Storia di Verona, Nelli Pozza, Vicenza 2001, pp. 242-252. 20 -R. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), Istituto per la Storia del Risorgimento, Linotipia veronese di Ghidini e Fiorini, Verona 1966, p. 11. 21 -La prima Municipalità di Verona sorge spontaneamente dopo la repentina fuga dei rettori veneti in seguito alla repressione delle Pasque veronesi. L’esigenza è quella di portare a termine le trattative col comando francese. Tale Municipalità rimane in carica solo due giorni (25-27 aprile 1797). Finite le trattative il Comando francese costituisce una nuova Municipalità con pieni poteri politici e amministrativi. Successivamente (10 giugno 1797), in rapporto alle necessità di governo, l’organo politico-amministrativo unitario viene diviso in 12 “Verona veniva a perdere la sua antica fisionomia comunale conservatale, almeno nell’apparenza, da Venezia, ma acquistava una struttura più unitaria e moderna che indubbiamente rappresentava un superamento sul vecchio mondo medievale”22. Il rinnovamento francese porta alla scomposizione della vecchia classe dirigente ed all’affermarsi della classe borghese che si avvierà a diventare l’asse dominante della storia contemporanea italiana. Viene riformata la vecchia organizzazione censuaria stabilendola sulla stima dei beni immobili, mobili e personali, in base alla quale, vengono suddivisi i gravami tributari di cui lo stato necessita per fronteggiare le spese del bilancio. “Più gli estimi sono esatti, più giusta sarà la ripartizione degli oneri e più lo Stato potrà esigere dai sudditi”23. L’estimo viene ad essere basato sull’effettivo valore dei beni fondiari valutato in base alla moneta corrente (lo scudo). L’estimo viene unificato, e quindi, risulta unico, uguale per tutti: borghesia, clero, patriziato; grande rivoluzione, questa, di natura sociale: i privilegi di classe vengono aboliti24. Viene pure attuata una riforma giudiziaria, anch’essa tendente ad eliminare privilegi ed obblighi ormai stagnanti dall’età medievale25. due parti ben distinte: la Municipalità, con sole funzioni amministrative, e, al di sopra di questa, il Governo Centrale (Governo Centrale Veronese-Legnaghese-Colognese) con funzioni politiche. “Entrambi questi organismi rivestono un’importanza eccezionale in quanto eletti democraticamente con regolari elezioni come da secoli non si era mai visto. In particolare il potere esecutivo già esercitato dai rettori veneti passava al governo centrale e le funzioni amministrative, già esercitate dal Consiglio dei nobili veronesi, passavano alla municipalità democratica”. R. Fasanari, Profilo storico delle riforme napoleoniche a Verona, Istituto per la Storia del Risorgimento, Linotipia veronese di Ghidini e Fiorini, Verona 1966, p. 17. Per un’approfondita trattazione sulla situazione politico-amministrativa di Verona tra il 1797 ed il 1814 cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 33-61; e Castelazzi, La dominazione francese (1797-1814), capitoli I-II, cit., pp. 27-67. 22 -Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., p. 50. 23 -Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., p. 81. 24 -Per un approfondimento cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 81-102. 25 -Per un approfondimento cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 63-79. 13 Le riforme napoleoniche sono la necessaria premessa per la modernizzazione della città ma, al momento della loro attuazione, furono motivo di disagio e scontento nelle varie classi sociali. A creare una forte ostilità sono, in particolar modo, le pesanti imposizioni fiscali, le frequenti leve militari obbligatorie, e non ultime le soppressioni religiose. La riforma colpisce tutti gli organismi religiosi e laici di natura ecclesiastica: gli ordini religiosi, le confraternite laicali di devozione, le corporazioni d’arte e mestiere, e tutte le forme associative che avevano costituito l’unico mezzo di reciproca assistenza e difesa dei comuni interessi anche per le classi più umili26. Fino al 1805 Verona, coi suoi quarantacinquemila abitanti, si articolava ecclesiasticamente in 47 parrocchie, 43 conventi, 53 confraternite e 13 oratori27. Le parrocchie vengono concentrate cominciando da quelle sulla riva destra dell’Adige28 e proseguendo, meno di due anni dopo, con quelle sulla riva sinistra29. 26 -“Prima di Napoleone il clero in Italia costituiva uno stato autonomo non solo per quanto si riferiva alla religione, ma anche come organismo sociale, con privilegi fiscali e giurisdizionali: un vero e proprio stato nello stato, con addentellati in tutti i campi delle vita politica, economica, sociale, culturale e morale. Le riforme napoleoniche trasformano questo corpo autonomo, facente capo al Pontefice, in uno strumento politico, staccato dalla Curia romana, privo di benefici ecclesiastici, stipendiato come gli altri funzionari statali, libero soltanto nella professione di fede, ma esposto a qualsiasi modifica voluta dallo stato (…). L’organismo ecclesiastico provvedeva alle cerimonie e ai riti della fede cattolica, ma svolgeva anche compiti di stato civile, provvedeva all’educazione della gioventù, condizionava la vita economica a causa delle sue enormi ricchezze mobili ed immobili, organizzava i servizi di assistenza a favore degli ospedali, dei ricoveri, dei minorati, stimolava potentemente le arti (…): in una parola esso compendiava la maggior parte della vita umana dalla nascita alla morte”. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (17971814), cit., pp. 103-104. 27 -Per un approfondimento cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 103-106. 28 -Il decreto del 22 giugno 1806 riduce le 37 parrocchie che si trovano sulla riva destra ad un numero di 10. Cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 128136. 29 -Il decreto del 18 dicembre 1807 riduce le 10 parrocchie che si trovano sulla riva sinistra ad un numero di 4. Cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 137146. 14 Lo stato richiama a sè tutti i beni degli ordini possidenti, introducendo le fabbricerie30 come organismo pubblico per l’amministrazione delle chiese e concedendo ai religiosi uno stipendio vitalizio. Presto i monasteri vengono concentrati e vengono lasciati disponibili per uso civile molte chiese e conventi. Quasi simultanea è la soppressione delle varie corporazioni laicali31. Successivamente sono soppressi tutti gli ordini monastici, possidenti e non. Gli edifici divengono dello Stato e i religiosi e le religiose vengono a trovarsi nella condizione laicale; solo i monaci sacerdoti continuano a svolgere il loro compito, ora presso le parrocchie32. “Spariti tutti i conventi, soppressa la grande maggioranza delle chiese, abolite le confraternite laiche, asportate le più belle opere d’arte, confiscata l’argenteria, tolte le campane, venduti gli arredamenti: ben poco rimaneva dell’antico splendore ecclesiastico di Verona”33. Grandi sono le conseguenze sia per la vita religiosa che per quella sociale. Tutte le funzioni di carattere assistenziale rivolte verso la società, in primo luogo scuole ed ospedali, vengono assorbite dallo stato che le rigenera in veste laica. “ Nel quadro complessivo della riforma napoleonica i sudditi dovevano convertirsi in cittadini; le opere di misericordia e le elemosine in tasse, servizio militare e filantropia; i parroci in funzionari dell’amministrazione pubblica per il culto, responsabili di fronte allo stato alla stregua dei maestri e degli ufficiali di polizia. 30 -“Fabbriceria, ente morale composto di ecclesiastici e laici incaricati dell’amministrazione dei beni di una chiesa”. AA. VV., fabbriceria, voce in “Dizionario Garzanti della lingua italiana”, Aldo Garzanti editore, Milano 1978, (1965), p. 645. 31 -Le associazioni laiche di derivazione religiosa erano, a Verona, cinquecentotrentasei, fino a che il decreto del 26 maggio 1806 le condanna alla totale sparizione. Cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 146-166. 32 -Decreto del 25 aprile 1810. Per un approfondimento cfr. Fasanari, Le riforme napoleoniche a Verona (1797-1814), cit., pp. 167-180. 33 -Fasanari, Profilo storico delle riforme napoleoniche a Verona, cit., p. 51. 15 Si avvia un processo di centralizzazione che poneva a fronte l’autorità ecclesiastica a quella statale”34. Tutti questi provvedimenti attuati dalle riforme francesi rispondono ad esigenze di ammodernamento sociale ed economico, oltre che alla voracità del militarismo napoleonico, e si ispirano ad istanze di riformismo ecclesiastico nate e coltivate nel secolo dei lumi. Alla fine di gennaio del 1814 i francesi abbandonano Verona e, nei primi giorni di febbraio, gli austriaci, indisturbati, ne riprendono possesso35. Verona accoglie l’Austria come liberatrice. L’iniziale entusiasmo per l’arrivo degli austriaci si trasforma presto, anche per le masse popolari e contadine, in disagio, rabbia e paura. L’Austria avvia un massiccio e capillare controllo di polizia; la quotidianità sociale viene pesantemente condizionata dall’alta brutalità delle rappresaglie poliziesche. Nel frattempo i prezzi degli immobili continuano a salire per la grande richiesta, non più da parte di semplici ufficiali, ma di intere famiglie venute dall’Austria a cercare fortuna. I commerci risentono fortemente delle misure doganali imposte dal nuovo governo. La fame in città aumenta, tanto più che l’industria della seta, fondamentale per l’economia locale, comincia a manifestare un declino36. 34 -R. Cona, Chiesa e Società a Verona nell’Ottocento, p. 433, in AA. VV., Verona e il suo territorio, vol. VI, tomo 2, cit. 35 -La guerra di Russia porta alla ritirata l’esercito francese. Forti di ciò Inghilterra, Russia, Prussia, Svezia e Austria segnano la disfatta della potenza napoleonica nella seguente guerra di Germania. Napoleone viene sconfitto a Lipsia (ottobre 1813) e la guerra si conclude con l’invasione della Francia. Dopo la caduta dell’impero napoleonico il Congresso di Vienna (4 ottobre 1814 - 9 giugno 1815) riunisce tutti i rappresentanti degli stati europei per stabilire la suddivisione dei territori liberati dal giogo francese e fondare così, in Europa, un equilibrio politico che impedisse nuove guerre. L’Impero Austriaco viene ad avere in possesso tutte le Tre Venezie e la Lombardia. Ha ora il predominio su tutta l’Italia settentrionale. 36 -Per un approfondimento cfr. Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 401-406; e AA.VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani. II, cit., pp. 26-43. 16 Due partiti vengono a coesistere in città: i filo-francesi, cui fanno capo le classi colte e democratiche, quali la borghesia e gli ex funzionari del regno d’Italia; e i filoaustriaci, tra cui si ritrovano la nobiltà terriera ed il clero conservatore, che desiderano il ripristino dei vecchi privilegi aristocratici ed ecclesiastici, non escluso il monopolio politico ed amministrativo37. Effettivamente l’attenzione del governo austriaco non è rivolta alla popolazione od allo sviluppo della città, ma alla sua architettura. Verona è, per gli austriaci, una città fortezza38. Le antiche fortificazioni di Verona erano state quasi interamente smantellate dai francesi e mai più ripristinate. L’impero austriaco non vuole correre il rischio di perdere il possesso della tanto agognata città, né per mano della Francia con le sue idee liberali, né per le idee di indipendenza ed unità che sempre più si stanno diffondendo in territorio italiano39. “Grande «impatto» ebbero le innumerevoli opere militari dalle mura, ai forti alle caserme, alle altre strutture logistiche, che operarono profondi mutamenti nell’assetto urbano e ne fecero una città militarizzata”40. Aumenta “la dicotomia, anche formale, tra la città civile e la città militare”41. 37 -Vedi R. Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), Istituto per la Storia del Risorgimento, Linotipia veronese di Ghidini e Fiorini, Verona 1966, pp. 25-26; e AA. VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani. II, cit., pp. 27-28. 38 -Per quanto riguarda le opere di fortificazione a Verona si possono distinguere tre periodi lavorativi: dal 1830 al 1848, dal 1848 al 1859, dal 1859 al 1866. Procedono a pari passo delle tre guerre di indipendenza che nel 1866 riunirono il Veneto all’Italia. Cfr. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., p. 11. 39 -Tra il 1830 ed il 1848 l’Austria ripristina e rafforza i bastioni della cinta muraria in piano sulla destra dell’Adige; rinvigorisce anche la cinta muraria in collina sulla riva sinistra del fiume; costruisce alcuni forti esterni distaccati ma prossimi alle mura; tutto con i più moderni usi dell’arte militare. Per un approfondimento cfr. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., pp. 20-45. 40 -AA. VV., Verona e il suo territorio, vol. VI, tomo 2, cit., pp. 15-16. 41 -AA. VV., Verona e il suo territorio, vol. VI, tomo 2, cit., p. 20. 17 Nascono, intanto, le cospirazioni contro il governo a causa della sempre più disastrosa situazione economica aggravata dalla politica doganale che danneggia la borghesia nelle sue industrie e commerci. Con essa solidarizzano vari strati sociali: intellettuali, professionisti, artigiani, ex militari napoleonici. Si avverte sempre più l’esigenza di una politica economica di concezione liberale. Di seguito si accresce la vigilanza e la censura austriaca, ora assai attiva anche nell’ambito delle scuole oltre che in quello della stampa. L’odio verso l’Austria dominante cresce di pari passo alle sue misure repressive42. Seguendo l’onda dei moti per l’indipendenza che percorrono tutta l’Europa, e con l’avanzata verso Verona dei piemontesi, anche la popolazione veronese si solleva. Ma il vicerè austriaco quieta i veronesi con false promesse in attesa dell’arrivo di rinforzi armati. I piemontesi, non vedendo disordini in città, peccano di incertezza e non approfittano del momento di difficoltà dell’Austria per sopraffarla. Non riescono ad occupare Verona43. Dopo i sollevamenti si fatica a tornare ad una normalità quotidiana. 42 -Cfr. Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 408-410; e AA. VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani. II, cit., pp. 43-51. 43 -Alla metà di marzo del 1848, la moltitudine si raduna sotto la dimora del Vicerè che governa la città acclamando la Costituzione, la libertà, l’Italia e deplorando l’Austria ed i tedeschi. La Commissione Civica istituitasi, calma il popolo e patteggia con il vicerè che promette un nuovo governo costituzionale e la creazione di una guardia cittadina per mantenere l’ordine e le libertà ottenute. Tradite le promesse ed arrivati i rinforzi, a Verona ci sono più militari che cittadini. La popolazione viene spogliata da qualunque arma, comprese le vanghe per lavorare la terra. Le truppe di Carlo Alberto, re del Piemonte, che giungevano per liberare la città non sono in grado d’approfittare del momento di difficoltà austriaco. Peccano di indecisione. Vengono fermate il 26 aprile 1848 alle soglie del comune di Santa Lucia. Stessa reazione di incertezza ha Carlo Alberto a metà del mese di giugno. Ormai vicino alle porte di Verona si ritira. Termina così, per Verona, la Prima Guerra di Indipendenza. Per un approfondimento cfr. P. Pieri, Come fu visto il problema della guerra nel Quadrilatero nel 1848, nel 1859 e nel 1866, pp. 55-90, in AA. VV., Il Quadrilatero nella storia militare, politica, economica e sociale dell’Italia risorgimentale. Atti dal Convegno di Studio tenuto a Verona dal 13 al 16 ottobre 1966, cit.; e Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 411-444; e F. Vecchiato, Il periodo austriaco, pp. 268-274, in Zalin, Storia di Verona, cit. 18 Le scuole restano chiuse a lungo. “(Il) Governo era stanco di tante scuole che erano il focolare dell’insurrezione e di stipendiare i professori perché allevassero tanti ribelli”44. In breve tempo vengono arrestati tutti i cospiratori45, ma questo non aiuta a placare l’opinione pubblica. Intanto sempre più palese diventa l’importanza militare di Verona e gli austriaci continuano le opere di fortificazione46. Con la ripresa dei lavori salgono le imposte fiscali e le spese necessarie per il mantenimento delle truppe, sempre crescenti, stanziate in città. La sempre più rigida dominazione austriaca non fa che aumentare il desiderio e l’esigenza, nella città di Verona, di liberazione dallo straniero e di riconoscimento in una identità nazionale47. Una nuova speranza di affrancarsi dal giogo della straniera Austria viene a scaldare i cuori dei veronesi durante la seconda guerra di indipendenza. Ancora una volta, però, Verona si deve disilludere48. 44 -Solinas, Storia di Verona, cit., p. 445. -“(I) patrioti furono sottoposti al rigore delle malsane prigioni, della fame, dei duri confronti fra processati, delle minacce di morte”. Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), cit., p. 43. 46 -Vengono costruiti nuovi forti attorno alle mura, distanti dalla cinta per una media di un chilometro e tra loro di circa ottocento metri; collegati uno all’altro tramite passaggi sotterranei. Cfr. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., pp. 20-45. 47 -Cfr. Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), cit., pp. 37-56; e Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 445-454. 48 -Il 18 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II firma un’alleanza militare con Napoleone III di Francia. Il 29 aprile l’Austria marcia contro l’esercito piemontese speranzosa di batterlo prima dell’arrivo degli aiuti francesi. Ritardata però nell’avanzamento, l’Austria si trova ad essere sconfitta e a perdere anche Milano, che sollevatasi, aveva richiesto l’intervento di Vittorio Emanuele per essere liberata. Le armate austriache, attaccate su più fronti si ritirano e fanno blocco sulle rive del Mincio, forti d’avere Verona alle loro spalle quale roccaforte inespugnabile. Enormi furono le perdite da entrambe le parti contendenti e, quando tutto sembrava ben procedere per gli alleati, Napoleone III non vuole rischiare di perdere i successi già ottenuti avanzando verso la fortezza veronese; firma con Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, l’armistizio di Villafranca (8 luglio 1859). Cfr. Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), cit., pp. 51-58; e Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., pp. 20-45; e Pieri, Come fu visto il problema della guerra nel Quadrilatero nel 1848, nel 1859 e nel 1866, cit., pp. 55-90; e Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 455-459; e Vecchiato, Il periodo austriaco, cit., pp. 274-278. 45 19 E di nuovo si avviano in città lavori di fortificazione49. “Ma al subitaneo scoraggiamento subentrava un nuovo atto di fede in quanto lo scopo principale della guerra, consistente nel far divenire l’Italia una nazione, era stato raggiunto e perciò la liberazione del Veneto sarebbe stata soltanto questione di tempo”50. I patrioti veronesi ora non devono più lottare da soli contro l’Austria ma è sufficiente sostengano le iniziative che partono dal nuovo Regno d’Italia51. In un arco di tempo inferiore ad una decina d’anni, infatti, il Regno d’Italia annette a sé il Veneto52. Verona è ora libera da dominazioni; è italiana. 49 -Dal 1859 al 1866 si costruiscono, in tutto, sette nuovi forti e le fortificazioni vengono vivificate da guarnigioni considerevoli e da un gran numero di bocche da fuoco. Cfr. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., pp. 20-45. 50 -Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), cit., p. 57. 51 -Il 18 febbraio 1861 è inaugurato il primo Parlamento italiano ed a marzo Vittorio Emanuele II viene proclamato re d’Italia. Il nuovo regno d’Italia comprende gran parte del territorio nazionale; ne rimangono ancora esclusi il Veneto e lo Stato pontificio. 52 -Nel 1866 l’Italia si allea alla Prussia che vuole togliere all’Austria il predominio in Germania. Scoppia la Terza Guerra di Indipendenza che, inizialmente, vede lo svantaggio dell’esercito Italiano, che per la rivalità tra i suoi generali si trova privo di unità di comando. Solo quando l’Austria si trova costretta a portare il grosso delle sue truppe in difesa di Vienna, sul fronte prussiano, si risollevano le sorti dell’Italia. Il 3 ottobre 1866 viene firmata la Pace di Vienna che segna la cessione del Veneto all’Italia. Il Trentino e la Venezia Giulia restano ancora esclusi dal territorio nazionale. Per un approfondimento sulla Terza Guerra d’Indipendenza in territorio veronese cfr. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, cit., pp. 20-45; e Pieri, Come fu visto il problema della guerra nel Quadrilatero nel 1848, nel 1859 e nel 1866, cit., pp. 73-90; e Solinas, Storia di Verona, cit., pp. 459-473; e Zalin, Storia di Verona, cit., p. 279. 20 Pianta della città di Verona 1819 21 1.2_Aspetti economici e sociali Questo periodo di grande instabilità politica che caratterizza Verona è accompagnato da una pari instabilità economica e sociale. Verona ha un’eccezionale densità di abitanti per chilometro quadrato53 e, con la presenza continua di truppe straniere, il centro urbano si trova sempre più inadatto ad uno sviluppo demografico, ma soprattutto all’affermarsi di attività industriali, in quell’epoca solitamente localizzate nelle città. Infatti “(q)uesto fenomeno della militarizzazione (…è) esplicativo del lento evolversi di Verona verso le attività industriali”54. Per di più l’industria necessita di denaro liquido per potersi sviluppare ma, in un periodo di così grande incertezza, la già scarsa liquidità circolante viene investita con difficoltà. La sola ed economicamente basilare industria veronese è quella serica. La seta è il principale prodotto della sua economia e comprende una serie estremamente articolata di attività: dall’allevamento del baco, alla coltivazione dei gelsi, alle diverse fasi di lavorazione del filato, alla tessitura55. Importante è la fonte d’occupazione che il comparto serico offre, anche se risulta saltuaria, spesso domiciliare, stagionale e di carattere prevalentemente rurale56. Anche il commercio veronese è sensibilmente influenzato dalla attività di produzione della seta. Verona è caratterizzata come forte centro commerciale anche dalla sua particolare posizione geografica. L’Adige risulta una grande arteria di traffico e permette 53 -Cfr. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), cit., pp. 5-23. 54 -G. Barbieri, Monenti economico-sociali nella storia veronese dalla Restaurazione alla Prima Guerra Mondiale, p. 105, in AA. VV., Il Quadrilatero nella storia militare, politica, economica e sociale dell’Italia risorgimentale. Atti dal Convegno di Studio tenuto a Verona dal 13 al 16 ottobre 1966, cit. 55 -Per un approfondimento sull’arte serica veronese cfr. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (18141866), capitolo III, cit., pp. 37-137. 56 -Cfr. Barbieri, Monenti economico-sociali nella storia veronese dalla Restaurazione alla Prima Guerra Mondiale, cit., pp. 105-108. 22 importanti ed abbastanza agevoli trasporti fino a Venezia. Un’organica rete di strade, migliorata ed ampliata sotto il dominio francese, integra il trasporto via acqua. Quando lo svilupparsi della strada ferrata limita l’importanza del trasporto fluviale57 Verona rimane comunque importante come crocevia: militarmente e per il commercio internazionale, diviene il centro di collegamento con le regioni tedesche, per il commercio peninsulare diviene il luogo di smistamento58. E’ verso la prima metà dell’Ottocento che Verona vede l’inizio del suo tracollo commerciale. “Il commercio scaligero risentiva fortemente (…) dell’assoggettamento all’Austria, sia per la presenza di contingenti militari nella città, che ne condizionano significativamente i consumi, sia per l’influenza esercitata dalla politica commerciale della monarchia asburgica, che si espresse essenzialmente attraverso le misure doganali”59. Il rigido proibizionismo imposto dal governo austriaco crea enormi difficoltà a cui si aggiunge, dopo la seconda guerra di indipendenza, la netta separazione tra Veneto e Lombardia, le cui economie erano perfettamente complementari60. 57 -“La città di Verona si trovava, dunque, in un momento significativo di trapasso, il suo tradizionale ruolo (…) veniva sempre più limitato dalla contrazione del commercio fluviale, cui si contrapponevano gli avanzamenti della ferrovia ed il rafforzamento della rete stradale”. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), cit., p. 143. 58 -Per un approfondimento sul commercio veronese dell’epoca cfr. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), cit., pp. 139-205; e G. Zalin, Linee commerciali, nuovi assetti fondiari, piani territoriali e industrializzazione in età contemporanea, pp. 69-82, in AA. VV., Una rete di città. Verona e l’area metropolitana Adige-Garda, a cura di M. Carbognin, E. Turri, G. M. Varanini, Cierre Edizioni, Verona 2004. 59 -Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), cit., p. 149. 60 -Cfr. R. Fasanari, Verona dal 1859 al 1866, p. 129, in AA. VV., Verona nel Risorgimento, Edizioni di Vita Veronese, n. 67, Verona 1966. 23 Verona però è stata essenzialmente una città agricola. “(F)onte primaria della ricchezza (…) è stata, dapprima in maniera preponderante e, in seguito, in misura prevalente, la proprietà e la gestione della terra”61. Non è difficile immaginare quale grave danno alle coltivazioni derivi da un continuo assetto di guerra e da continue battaglie svolte appena al di fuori delle mura cittadine. Tanto più che vengono posti limiti, con diffida alla coltivazione, sui terreni destinati ad essere occupati dalle fortificazioni, a cui si aggiungono espropri ed ulteriori limitazioni62. L’agricoltura, già da tempo in crisi, vede diminuire ulteriormente i suoi raccolti a causa delle carestie a cui si sommano, prima un’epidemia di colera, poi terribili forme parassitarie sulle viti e sui bachi, con conseguente indebolimento anche dell’industria serica. Solo poche culture cerealicole, ed in particolare quella del riso, riescono a mitigare la situazione63. L’importanza agricola di Verona è riconosciuta già sotto il dominio veneziano che, infatti, vi promuove la nascita dell’Accademia di Agricoltura64. Per tutto il diciannovesimo secolo “l’Accademia fu il principale elemento propulsore della ricerca applicata e della divulgazione scientifica per il progresso agricolo e 61 -Zalin, Linee commerciali, nuovi assetti fondiari, piani territoriali e industrializzazione in età contemporanea, cit., p. 82. 62 -Cfr. Barbieri, Monenti economico-sociali nella storia veronese dalla Restaurazione alla Prima Guerra Mondiale, cit., p. 111. 63 -Per un approfondimento sull’agricoltura veronese dell’epoca cfr. Ferrari, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la dominazione asburgica (1814-1866), cit., pp. 237-266; e Zalin, Linee commerciali, nuovi assetti fondiari, piani territoriali e industrializzazione in età contemporanea, cit., pp. 82-93. 64 -L’Accademia di Agricoltura, Commercio ed Arti di Verona (ora denominata Accademia di Scienze e Lettere) vede la sua nascita nel 1768 ed ha come suo scopo quello di favorire lo sviluppo dell’agricoltura. Per una storia sull’Accademia di Verona cfr. G. P. Marchini, Le istituzioni museali e accademiche, pp. 574-585, in AA. VV., Cultura e vita civile a Verona. Uomini e Istituzioni dall’epoca Carolingia al Risorgimento, a cura di G. P. Marchi, Banca Popolare di Verona, Verona 1979; e G. Sandri, Relazione storica sull’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, Verona 1935; e C. Vanzetti, L’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona (1768-1989), Verona 1990. 24 industriale del territorio veronese”65. E’ soprattutto nell’ambito dell’Accademia di Agricoltura, quale “vera palestra culturale della nostra città”66, che, anche a Verona, si sviluppano intensi dibattiti e fermenti culturali illuministici. Si discute di problemi riguardanti l’agricoltura, la liberalizzazione del commercio, l’approvvigionamento alimentare della città, il prosciugamento e la bonifica delle valli, l’ignoranza dei contadini e degli artigiani che si riflette negativamente sulla produttività del lavoro. I membri dell’Accademia appartengono tutti a quello che definiremmo come il ceto elevato della popolazione. C’è da dire, infatti, come già precedentemente accennato, che, nell’epoca da noi presa in esame, Verona si presenta con una ben distinta fisionomia di classi sociali, differenziate negli interessi e nelle aspirazioni. Lo spirito pubblico veronese, quindi, non era affatto una risultante uniforme di tutti i cittadini. Il ceto elevato si trova al vertice rispetto alle altre classi. Esso è formato dai possidenti, dai professionisti e dagli intellettuali che sempre più vengono ad osteggiare i dominatori, di cui si vedono come naturali eredi nella direzione della vita politica e nell’indirizzo dello spirito pubblico. “Questo ceto (…) aveva realmente la forza perché, oltretutto, possedeva il maggior numero dei beni economici ed era dotato di un’intelligenza superiore a quella degli altri cittadini, senza contare l’ascendente che esercitava sulla popolazione”67. Massa di notevole entità è anche quella degli impiegati statali, classe che vede la sua origine ed il suo sviluppo con l’attuazione delle riforme napoleoniche. Essa associa strettamente l’idea di un proprio maggior riconoscimento e benessere con la fine delle dominazioni straniere nella città. 65 -Marchini, Le istituzioni museali e accademiche, cit., p. 574. -F. G. Fulcini, Il periodo napoleonico (1796-1815), p. 248, in Zalin, Storia di Verona, cit. 67 -Fasanari, Verona dal 1859 al 1866, cit., p. 126. 66 25 Per ultime vengono la massa popolare cittadina e la popolazione rurale che più delle altre hanno patito sotto il governo francese e sperano, con l’arrivo austriaco, in un miglioramento delle loro condizioni. Anch’esse però sono travolte dagli eventi e, non vedendo alcun cambiamento nella propria situazione economica, finiscono per manifestare la loro simpatia per la causa di Verona liberata. Tanto più che “automaticamente il popolo era preso dall’onda dell’entusiasmo assecondato dalle classi più evolute, verso le quali, per naturali necessità economiche o sociali o amministrative era logicamente orientato e perciò, in ultima analisi, guidato nelle sue manifestazioni pubbliche”68. La più forte influenza sul popolo ed il maggior peso sulla vita cittadina, dopo la classe elevata, spettava al clero. Naturalmente più portato verso il conservatorismo, il clero si manifesta ostile prima ai francesi ed alle loro riforme, poi al liberalismo piemontese e al radicalismo democratico che minano il potere del papato e della curia romana. Il clero, ciò nonostante, si trova avverso anche al dominio austriaco in più di un’occasione. La sua è una posizione meno scoperta e compromessa ed il suo contegno politico è principalmente passivo in attesa degli eventi, ma comunque tendenzialmente favorevole alle inclinazioni nazionalistiche69. Non di carattere strettamente clericale, ma comunque religioso, è l’eccezionale numero di fondazioni di stampo educativo-assistenziale che nascono in questo periodo a Verona70. 68 -Fasanari, Verona dal 1859 al 1866, cit., p. 128. -Per un approfondimento sulle varie classi sociali veronesi nel periodo risorgimentale cfr. Fasanari, Verona dal 1859 al 1866, cit., pp. 124-128; e Fasanari, Profilo storico del Risorgimento veronese (1797-1866), cit.; e R. Fasanari, Le donne del Risorgimento veronese (1797-1866), Istituto per la Storia del Risorgimento, Linotipia veronese Ghidini e Fiorini, Verona 1966; e Vecchiato, Il periodo austriaco (1814-1866), cit., pp. 279-287. 70 -Notevole è la testimonianza del sacerdote viennese Aloys Schlör che a riguardo ci lascia uno scritto intitolato La Filantropia della Fede nella cui prefazione dice: “E’ la fede, non la filantropia che suscita a Verona tanto di buono e di grande: tutte le opere di carità sono qui opere della fede; da essa derivano il vigoroso inizio, il costante sviluppo, la nobile e pura 69 26 1.2.1_L’Accademia d’Agricoltura e il Conte Giovanni Scopoli Il ceto elevato, a cui prima si è fatto cenno, è un ceto tutto nuovo che opera e si irrobustisce proprio grazie alla situazione incerta ed all’assetto politico-territoriale in continuo movimento. Esso deve la sua fortuna agli acquisti delle proprietà terriere degli enti ecclesiastici soppressi con appalti e forniture pubbliche; diventa ceto dirigente e punta sulla terra come elemento di distinzione sociale. Anche nuclei di professionisti (medici, avvocati etc.) scorgono nel possesso terriero la consacrazione del loro successo nella società71. La dominazione francese, smantellando con gli enti ecclesiastici uno dei pilastri della società d’ancien régime nella sua radice economica, costituisce un idoneo volano per l’ascesa dei ceti nuovi, che non si contrappongono al vecchio ceto patrizio, ma con esso perseguono un compromesso all’insegna di una società dei notabili. L’arrivo poi dell’Austria a Verona nel 1814 e l’aprirsi dell’età della restaurazione72, non determina radicali mutamenti nel corpo sociale veronese. Il compromesso storico tra intenzione (…) il modesto e silenzioso intervento e perciò tanto più efficace nella promozione del progresso spirituale e civile dell’uomo”. E. Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, Casa Editrice Mazziana, Verona 2002, (2001), p. 14.; e cfr. E. Butturini, Le iniziative educative della chiesa a Verona, pp. 441-452, in AA. VV., Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione ed Unificazione, a cura di L. Pazzaglia, Editrice La Scuola, Brescia 1994. 71 -“Lo sfondo cittadino vede evidenziarsi la presenza di una nobiltà aperta al nuovo e di una progredente borghesia (…) le quali prendono coscienza della lontananza fisica e morale del governo asburgico, ormai preoccupato altrettanto di rinforzare il ruolo di caposaldo militare della città nell’ambito del Quadrilatero, quanto di opporsi ad ogni iniziativa che potesse intaccare i privilegi di produttori e commercianti di madrepatria”. D. Romani, Don Mazza e il “Clan Scopoli”. Commemorazione tenuta all’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, il 9 giugno 1991, p. 301, “Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona”, a. a. 1990-91, s.VI-vol. XLII (CLXVII dell’intera collezione). 72 -“Restaurazione, ristabilimento di forme di governo dinastie e sim. In particolare, denominazione del periodo della storia europea iniziato con la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1815), che sancì, in linea di massima, il ripristino della situazione politica precedente alla rivoluzione francese”. AA. VV., restaurazione, voce in “Enciclopedia Zanichelli”, a cura di Epigeo, Zanichelli editore, Bologna 1995, (1992). 27 le forze tradizionali ed i ceti emergenti era infatti già avvenuto con l’età napoleonica durante il Regno italico. La restaurazione ha significato il compimento di quel processo, la sua definitiva istituzionalizzazione, l’integrazione completa tra vecchio e nuovo. Una maggiore apertura culturale mette a contatto queste nuove classi con i progressi economici e di pensiero d’Europa. Esse si trovano ad intervenire in associazioni, circoli, in istituzioni di tipo accademico, luoghi ideali di scambio culturale e di messa a punto di idee, di strumenti, di programmi, di azione economica. L’istituzione che a Verona ben rappresenta questo fenomeno è la già citata Accademia di Agricoltura, Commercio ed Arti. “La funzione dell’Accademia appare in questo contesto il luogo privilegiato della progettualità, delle proposte innovative in tutti i settori dell’economia e della legislazione. Se tanti progetti rimasero tali per carenza di danaro, per pigrizia degli operatori, per sospetto dei governanti o per le vicende belliche degli anni ‘48-’59, se si trasformarono cioè in utopie, restano comunque testimonianza di studio intelligente, di amore al progresso, di fiducia nel processo educativo e nell’iniziativa dei veronesi”73. L’Accademia era nata già in epoca veneta per esplicito invito dei rettori alle città suddite come mezzo utile per incrementare il processo agricolo. “«Lo studio del passato era come una ginnastica intellettuale (…). E vi si sviluppò uno spirito di investigazione, di osservazione, di comparazione, dal quale uscivano naturalmente il dubbio e la discussione. Lo spirito nuovo inseguiva gli eruditi»”74. 73 -Romani, Don Mazza e il “Clan Scopoli”. Commemorazione tenuta all’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, il 9 giugno 1991, cit., pp. 301-302. 74 -G. Borelli, Aspetti tipologici della cultura tra il secolo XVIII e la metà del secolo XIX, p. 677, in AA. VV., Cultura e vita civile a Verona. Uomini e Istituzioni dall’epoca Carolingia al Risorgimento, cit. 28 L’istituzione accademica prende concretamente vita il 23 Dicembre 1768 con l’approvazione del consiglio cittadino che ne nomina i primi soci. I primi accademici, quindi, appartengono per lo più al ramo nobiliare antico veronese. Nel periodo storico da noi considerato la rappresentanza nobiliare accademica si va sempre più assottigliando a favore di quella borghese e degli appartenenti alle professioni più liberali come medici, ingegneri, avvocati, farmacisti ed a tutti i rappresentanti di questo nuovo ceto elevato. Il ruolo accademico è ormai ambito in prevalenza di studiosi e scienziati. La primaria funzione dell’Accademia nel panorama veronese diviene quella di organizzare le diverse forze intellettuali dimostrando subito una vitalità capace di aggregare, in senso operativo, anche elementi e persone che non ne facevano parte. Mai l’Accademia rimane spettatrice inoperosa di fronte alle avventure che si abbattono sul territorio veronese. Sempre interviene compiendo studi e proponendo suggerimenti per superare le difficoltà del momento. Viene sempre chiamata ad esprimere il proprio parere sugli argomenti più disparati75. Per la città di Verona è emblematica, in questo fervido attivismo intellettuale, la figura del conte Giovanni Scopoli (1774-1854) che viene ad avere un notevole influsso sulla città anche sul piano civile. 75 -“Non di sole acque e bonifiche si occupò infatti l’accademia. Ma anche del problema del legname da ardere e da costruzione (…). Così come la mortalità dei gelsi (…), la viabilità (…), la commercializzazione delle sete veronesi (…), i pascoli (…), le pecore (…), le corporazioni (…), il riso (…), l’incremento dei bozzoli (…), i rimedi contro l’ozio”. “(N)umerose le memorie su temi agricoli così come fervido fu l’interesse per il commercio e le manifatture. Non vanno poi taciuti gli interventi di carattere sociale e filantropico. Il problema cui ci si trovava di fronte era l’ignoranza dei contadini e degli artigiani. Il che aveva riflessi negativi sulla produttività del lavoro”. Borelli, Aspetti tipologici della cultura tra il secolo XVIII e la metà del secolo XIX, cit., p. 690 e p. 695. Per approfondimenti cfr. G. P. Marchini, Le istituzioni museali e accademiche, pp. 574-586, in AA. VV., Cultura e vita civile a Verona. Uomini e Istituzioni dall’epoca Carolingia al Risorgimento, cit. 29 Giovanni Scopoli, di nascita ungherese76 ma di origini lombarde, entra in Italia nel 1776 a seguito del padre77 che assume la cattedra di chimica e botanica all’Università di Pavia. Alla morte del padre, Giovanni, quattordicenne, era da poco iscritto come matricola al corso ordinario di filosofia all’I. R. Università di Pavia. Nonostante la miseria economica della famiglia, Giovanni prosegue gli studi ottenendo la laurea in medicina nel 1793, a soli 19 anni. Le vicende della Rivoluzione hanno una gran influenza sul ragazzo78 che, da subito, abbraccia l’ideale napoleonico ed appena possibile si arruola come medico al seguito dell’esercito francese. Al suo rientro in Italia si mette presto in luce per il suo attivismo e per la sua intelligenza lucida e concreta. Il governo francese lo tiene in grande considerazione e lo nomina via via, prima Segretario Generale della Prefettura dell’Adige, quindi Segretario Generale della Provvidenza della Dalmazia, Prefetto del Dipartimento del Basso Po, Ispettore Generale della Pubblica Beneficenza, Uditore presso il Consiglio di Stato italiano, ed infine Direttore Generale della Pubblica Istruzione79; si guadagna anche il titolo nobiliare di Conte del Regno d’Italia. 76 -Giovanni Scopoli nasce dalle seconde nozze del padre con la discendente di una delle più distinte famiglie ungheresi il 02 Agosto 1774. Per la figura dello Scopoli in generale cfr. G. F. Viviani, Il Conte Giovanni Scopoli, a cura di Luigi Simeoni, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, Verona 1966-67; e L. Ambrosoli, Giovanni Scopoli tra Regno Italico e Restaurazione, in AA.VV., Educazione e società tra Rivoluzione e Restaurazione, Libreria Editrice Universitaria, Verona 1987, pp. 115-179. 77 -Il padre, Giovanni Antonio Scopoli, fu insigne medico e naturalista, consigliere imperiale, si trasferì in Ungheria perché chiamato ad occupare la cattedra di mineralogia e metallurgia all’Accademia Montanistica di Chemnitz. 78 -Allo scoppiare della Rivoluzione Francese lo Scopoli aveva appena quindici anni. 79 -Lo Scopoli è “desideroso di lasciare una traccia profonda nel rinnovamento dell’Istruzione e della pubblica assistenza, chiede di poter compiere un viaggio attraverso l’impero francese per visitare le istituzioni che meglio si sono sviluppate in questo settore. Il viaggio di cinque mesi, tra aprile e agosto” del 1812, “lo porta in Austria, Germania, Ungheria, Svizzera, lasciando fuori la Francia”. D. Romani, L’ex Ministro napoleonico ed il Prete. Appunti su Giovanni Scopoli e Nicola Mazza, “Note Mazziane”, XXXIX 2004, p. 204. Egli realizzerà, secondo le esigenze dei tempi nuovi, la riforma della scuola. Sull’opera della Pubblica 30 Una posizione politica rilevante la sua, nella Verona Repubblicana della Municipalità Democratica, che gli schiude in poco tempo anche i circoli culturali e nello stesso istante i migliori salotti nobili di Verona80, in particolar modo quello di Elisabetta Contarini Mosconi, di cui poi sposò la figlia Lauretta. Già nel 1801 era stato eletto socio onorario dell’Accademia di Agricoltura ed incaricato a difenderne le ragioni presso il Governo a fronte della società italiana. Quando nel 1814 gli Austriaci occupano nuovamente Verona, tentano di sostituire il personale anche nei pubblici impieghi, cercando di rimpiazzarlo con persone distanti dalla fede politica francese. Grazie alle benemerenze acquisite, Scopoli riesce a mantenere per qualche tempo la Direzione Generale della Pubblica Istruzione. L’Austria però continua a non fidarsi dei napoleonici e nel 1817 lo esonera da ogni attività pubblica. Ritiratosi a vita privata e libero dai pubblici impegni, trova nell’Accademia di Agricoltura il mezzo per dare un rinnovato contenuto alla sua nuova condizione di vita81. Viene così ad avere il tempo e il luogo per riscoprire la sua importante vocazione di studioso82. La sua attività lo porta nel 1825 ad essere nominato Segretario Perpetuo dell’Accademia. Da subito incomincia a dare ordine, sistematicità e continuità ad Istruzione molti sono i manoscritti esistenti presso la Biblioteca Civica di Verona. Cfr. B. VII. 80 -Cfr. L. Gaiter, Elogio del Conte Cav. Giovanni Scopoli, nelle Memorie Dell’Accademia di Agricoltura di Verona, a. 1856, vol. XXXIII, Verona 1856. 81 -Da socio onorario dell’Accademia ne diviene, nel 1823, socio operativo e quindi membro effettivo. Cfr. Gaiter, Elogio del Conte Cav. Giovanni Scopoli, cit.; e Viviani, Il Conte Giovanni Scopoli, cit. 82 -Solo l’Assessorato nella Congregazione Municipale veronese nel quadriennio 1825-28 e la nomina a membro della Commissione Civica del 1848 interrompono la sua dedizione alla vita di studioso. Ma mai l’Austria dimenticò il suo passato napoleonico e, durante l’attività nella commissione civica, lo sottopone ad un, se pur breve, arresto: esempio delle misure repressive austriache verso ogni aspirazione di libertà, anche intellettuale, cittadina. 31 ogni problema e particolare organizzativo. Questa sua operosità si trasferisce anche su ogni fatto che riguarda l’attività esterna e propositiva dell’Istituto. Grande è l’impegno dello Scopoli come statista ed economo attento della sua epoca ed altrettanto grande è il suo interesse al sociale che si fa forte delle recenti idee democratiche che il vento della Rivoluzione francese aveva portato. “Scopoli è un osservatore acuto di persone e istituzioni”83. Assai innovativo è il suo pensiero riguardante le spese pubbliche, che egli considera produttive nei confronti dell’incremento della ricchezza nazionale. Scopoli, per esempio, vede nella spesa pubblica relativa alla pubblica istruzione un notevole investimento a vantaggio della ricchezza nazionale. I vantaggi di una pubblica istruzione sarebbero una maggior estensione e perfezione dell’insegnamento, un suo più grande profitto dovuto ad un maggior controllo, un conseguente aumento di sicurezza e tranquillità per le famiglie, più certe della morale dei maestri, ed un notevole risparmio economico rispetto ad un’istruzione privata84. Egli denota poi la necessità che la popolazione venga educata a sentimenti di lealtà e fiducia nei riguardi del fisco, al fine di persuadere che i contributi imposti dal governo siano necessari ad assicurare, conservare ed accrescere i beni del paese. Ogni evasione fiscale è di conseguenza da considerare un furto reale ai danni dell’autorità legittimamente costituita85. Fervido dunque il suo impegno “per la diffusione dell’istruzione primaria gratuita e per la promozione della pubblica istruzione in generale, a prescindere dalla nascita e dal censo, secondo la politica napoleonica della «carriera aperta ai talenti» (…) e dell’incoraggiamento offerto a coloro che volessero «lanciarsi fuori dalla propria 83 -Da Romani, L’ex Ministro napoleonico ed il Prete. Appunti su Giovanni Scopoli e Nicola Mazza, cit., p. 204. 84 -Cfr. G. Scopoli, Dell’economia politica, estratto dal vol. XXIV delle Memorie dell’Accademia, Verona 1850. 85 - Cfr. Scopoli, Dell’economia politica, cit. 32 classe». «Quel piano di pubblica istruzione è il più perfetto –ha scritto lo Scopoliche comprende l’istruzione di tutte le classi di cittadini, in modo che ciascuna di esse ottenga dalle scuole quelle cognizioni delle altre, anche le più elevate»”86. Scopoli lotta per una scuola meno preoccupata dello studio dei classici di carattere retorico e maggiormente attenta ai bisogni sociali ed alle scienze positive87. L’istruzione da impartire dovrebbe mirare a far comprendere l’alto valore dell’attività lavorativa quale unico mezzo sicuro e morale per salire ad una migliore condizione sociale. Scopoli, conoscitore delle caratteristiche del territorio veronese e della sua economia, vede la grande necessità di un’educazione tecnica professionale considerata fondamentale per il progresso sociale e lo sviluppo economico di Verona. Essenziale è anche istruire le donne nel leggere e nello scrivere che, in quanto potenziali madri, sono importanti veicoli per la trasmissione della cultura88. Il problema della povertà diventa pericoloso per il progresso civile se, ai poveri, non viene data la possibilità e la speranza di un miglioramento delle proprie condizioni. L’interesse sociale e l’impegno verso una possibilità di un miglioramento delle condizioni umane, rende Scopoli assai sensibile anche alla grave situazione in atto in terre lontane da quelle venete, le cui realtà sono da lui ben conosciute89. La figura del conte Scopoli, con il suo attivismo politico prima ed accademico poi, rappresenta bene il sostrato del mondo dei savi ed il predominio che essi hanno 86 -Da Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., pp. 32-33. -Cfr. E. Butturini, «Mi pareva che la stessa società il dovesse fare». Formazione e personalità di Nicola Mazza, p. 228, in AA. VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani, II, cit. 88 -Scopoli attribuisce “all’educazione una funzione sociale molto vicina a quella messa in atto da don Mazza”. Romani, L’ex Ministro napoleonico ed il Prete. Appunti su Giovanni Scopoli e Nicola Mazza, cit., p. 205. 89 -Ci riferiamo, ad esempio, alle questioni africane ed alla tratta dei neri. Cfr. G. Butturini, Da Verona al “Mondo”, in Cina e Africa Centrale. Risveglio missionario e Piano mazziano, pp. 390-391, in AA. VV., Una Città un Fondatore. Miscellanea di studi mazziani. II, cit.; e Viviani, Il Conte Giovanni Scopoli, cit., pp. 7-13. 87 33 dimostrato grazie alla straordinaria vivacità intellettuale ed all’apertura alle nuove idee che i francesi avevano contribuito a far entrare in Italia. Lo Scopoli è l’esempio dell’apertura ai tempi ed alle idee nuove e del loro graduale concretizzarsi. Egli si può considerare come il prototipo di quel passaggio di poteri e di rilevanza sociale dalla vecchia aristocrazia veneta, stretta attorno agli antichi schemi che garantiscono il possesso di una situazione privilegiata, ad una nuova borghesia che contribuisce a sradicare le fissità dell’ancien régime a favore dell’apertura ad un maggior liberalismo. E’ la figura che ben rappresenta il fieri del periodo storico da noi considerato. 1.2.2_Le istituzioni educative Assai notevole è la fioritura di fondazioni assistenziali-educative tra il 1790 e il 1865 a Verona, soprattutto tenendo presente il fatto che in questa sede si accenna unicamente a quelle fondazioni religiose sopravvissute ai tempi e di cui a tutt’oggi si ritrova una viva traccia90. Le fondazioni religiose sono un fatto sociale. La loro finalità è la carità che diventa espressione religiosa indirizzata all’educazione, al servizio verso l’altro, ad una assistenza pratica e tangibile che si realizza in favore dei bisognosi anche con disegni a lungo termine91. 90 -Per un approfondimento sulle fondazioni veronesi dell’epoca cfr. D. Gallio, Introduzione alla storia delle fondazioni religiose a Verona nel primo Ottocento, pp. 227-292, in AA. VV., Chiesa e Spiritualità nell’Ottocento italiano, Casa Editrice Mazziana, Verona 1971; e Butturini, Le iniziative educative della chiesa a Verona, cit., pp. 452-461; e Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., pp. 43-71 e 86-82; e Cona, Chiesa e società a Verona nell’Ottocento, cit., pp. 427-574. 91 -“(I) fondatori si sentono chiamati ad agire proprio dalla persuasione di dovere ricomporre la vita pubblica mediante il costume religioso. I momenti, le forme, le vibrazioni emotive di questo sforzo riparatore costituiscono gli aspetti indimenticabili d’una vicenda che ha segnato il grado di coscienza religiosa e civile d’una intera società”. Si riconosce “nelle 34 “La vita religiosa trovava doveroso dare nuovo impulso all’attività caritativa, togliendo così alla forma tradizionale di isolamento e di contemplazione il carattere di vertice dello stato di perfezione”92. Nel periodo napoleonico, scompaginate tutte le vecchie istituzioni scolastiche, si rendono evidenti richieste di istruzione più specifiche e, soprattutto, assai più ampie. Non è facile rispondere ai nuovi bisogni, tanto più che, tolti frequentemente di casa i genitori per necessità lavorative, si creano nuovi problemi di assistenza e di educazione dei figli93, di cui le strutture pubbliche hanno difficoltà a farsi carico. “Le nuove congregazioni religiose (…) sono presentate come espressione e testimonianza della sensibilità della chiesa alle necessità sociali. Il secolo XIX ha modificato i tradizionali rapporti di classe, di lavoro e di vita organizzata, mettendo allo scoperto i settori più deboli e indifesi, quali l’infanzia, il proletariato, le vittime delle carestie e delle guerre. La coscienza civile non ha tenuto il passo delle trasformazioni sociali, giungendo in ritardo a contenere gli effetti negativi e provvedendo con molta difficoltà alla codificazione dei diritti sociali. La coscienza religiosa ha continuato a considerare come proprio dovere l’assistenza agli infermi, ai poveri, ai fanciulli, aumentando il numero delle istituzioni, coprendo l’area di bisogni non considerate dallo stato”94. attese dell’ambiente sociale un motivo di sviluppo della carità cristiana, la quale si sarebbe trovata a riempire il momento di passaggio fra l’antica mentalità assistenziale e la nuova coscienza sociale, anche sotto lo stimolo del male da sanare, le cui radici erano per molta parte morali”. Gallio, Introduzione alla storia delle fondazioni religiose a Verona nel primo Ottocento, cit., pp. 227-228 e p. 239. 92 -Gallio, Introduzione alla storia delle fondazioni religiose a Verona nel primo Ottocento, cit., p. 229. 93 -Cfr. A. Orlandi, Scuole ecclesiastiche dall’Umanesimo all’Ottocento, pp. 298-309, in AA. VV., Cultura e vita civile a Verona. Uomini e Istituzioni dall’epoca Carolingia al Risorgimento, cit. 94 -Gallio, Introduzione alla storia delle fondazioni religiose a Verona nel primo Ottocento, cit., p. 231. 35 Il concetto di spiritualità si va ampliando. La spiritualità viene considerata come una sintesi di contemplazione e azione. La più chiara espressione di questa sintesi si materializza nell’opera educativa, forse la sua migliore identificazione. Fonte prima di tutte le istituzioni veronesi95 è considerata la Sacra Fratellanza degli Spedalieri. Fondata da Pietro Leonardi96, essa nasce nel 1796 per essere d’appoggio all’infinità di vite sconvolte dalla guerra andando incontro ai bisogni dei malati ed assicurando loro un’assistenza spirituale. E’ composta da persone laiche ed ecclesiastiche di ambo i sessi. L’estrazione prevalentemente nobiliare dei suoi membri, la sua finalità di coniugare assistenza caritativa e pratica religiosa, e, in particolar modo, la spinta del regime napoleonico a gestire laicamente i settori assistenziale ed educativo, tradizionalmente lasciati alle cure della chiesa, determinano in breve tempo la sua crisi. Alcuni suoi componenti si dedicano così all’approfondimento dell’aspetto assistenziale-ospedaliero, mentre altri si orientano verso il settore educativo. Lo 95 -Il vescovo di Verona Giuseppe Grasser il 15 gennaio 1837 scrive: “Non v’ha dubbio che Leonardi diede, almeno in gran parte, o moto, o vita, o regola a parecchi altri istituti di pubblica e privata beneficenza, di raccoglimento e di educazione giovanile”. Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., p. 43. 96 -Pietro Leonardi (1769-1844) è fondatore di varie pie istituzioni nell’Ottocento veronese. Eminente sacerdote, ordinato a Verona nel 1794, ha come sua speciale vocazione le opere assistenziali e la predicazione al popolo. La sua attività ha grande influsso nell’ambito veronese in generale ed, in particolare, su alcuni fondatori di congregazioni religiose. La sua è una molteplice attività, infatti apre anche oratori interparrocchiali, istituisce scuole per sordomuti e assiste giovani traviate. Molte sono le difficoltà che a lui pone l’autorità civile francese, che non vede in buona luce l’impiego di risorse economiche in tali attività assistenziali. Motivi politici quindi lo portano a subire un processo e un’incarcerazione da cui si libera totalmente solo nel 1812. Per notizie sulla figura di Leopardi cfr. G. Rocca, Leonardi, Pietro, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. V”, Roma 1978, pp. 587589. 36 stesso Leonardi fonda un ritiro privato per ragazzi poveri97 e successivamente un centro di istruzione ed educazione per la gioventù femminile povera 98. Nel quartiere popolare di S. Zeno già esiste una scuola gratuita per fanciulle povere incapaci a procurarsi da vivere99. La scuola è fondata da Maddalena di Canossa100, che inizia a sentire viva la necessità di costituire un gruppo stabile e ben preparato di insegnanti. Non si tratta più dei tradizionali orfanotrofi o collegi per le figlie dei nobili o per le ragazze a rischio. 97 -I Raminghelli del 1799 (di Pietro Leonardi), attivo fino al 1813. Qui si raccolgono ragazzi abbandonati e li si accompagna nell’istruzione e nella scelta di un mestiere in base alla loro inclinazione. Cfr. Rocca, Leonardi, Pietro, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. V”, cit., p. 587. 98 -Le Figlie di Gesù del 1812 (di Pietro Leonardi), con una prima approvazione vescovile nel 1866 e quella pontificia definitiva nel 1956. Per la loro storia cfr. G. Rocca, Figlie di Gesù, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. III”, Roma 1976, pp. 1588-1590. 99 -Le Figlie della Carità del 1808 ( di Maddalena di Canossa), approvate civilmente nel 1819 e apostolicamente nel 1825 e nel 1828. Scopo dell’istituto canossiano è tenere scuole per ragazze povere, nonché assistere le malate nei vari istituti ospedalieri ed essere d’appoggio ai parroci nell’insegnamento della dottrina cristiana. Ai membri sono richiesti i voti di castità, obbedienza e povertà, ma non la clausura, né l’obbligo di rimanere tutta la vita nell’istituto. In determinati periodi dell’anno la sede è aperta alle signore desiderose di fare esercizi spirituali e di animare la stessa opera. Per un approfondimento cfr. A. Serafini, Figlie della Carità, Canossiane, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. III”, cit., pp. 1532-1537. 100 -Maddalena Gabriella marchesa di Canossa (1774-1835) rimane orfana di padre all’età di cinque anni e due anni dopo la madre la abbandona con quattro fratellini. Maddalena si ritrova affidata a un’istitutrice di origine francese con cui non si vengono a creare buoni rapporti. Quando è appena adolescente una grave malattia la porta in fin di vita. A guarigione avvenuta si trova fervida in lei una precoce tendenza alla vita religiosa. Comincia così un periodo di esperienza monastica che viene bruscamente interrotto in quanto non adatto a realizzare soccorso alle anime bisognose. Per la difficile situazione dovuta alle conquiste napoleoniche, nel 1795-96 si ritira a Venezia cercando una maggior sicurezza. Dedicandosi all’orazione ed alla riflessione si trova ad essere spinta sempre più verso opere di carità e comincia a visitare ed assistere i malati negli ospedali con la Sacra Fratellanza degli Spedalieri. Presto si dedica all’istruzione pensando e operando per una scuola di carità (le Figlie della Carità) a cui pone come superiora Leopoldina Naudet che rimane al suo fianco finchè non istituisce le Sorelle della Sacra Famiglia. Come direttore spirituale della comunità viene chiamato don Gaspare Bertoni, poi fondatore dei Preti della Sacre Stimmate. La Canossa si impegna a formare maestre valide e ben preparate non solo per la sua scuola, infatti con tale compito viene chiamata anche a Venezia. In questi anni di fervida attività instaura una forte amicizia con il filosofo roveretano Antonio Rosmini. Negli ultimi anni di vita si dedica ad organizzare un ramo maschile della sua opera che prende avvio a Venezia (i Figli della Carità, Canossiani). Attiva ed operosa fino all’ultimo giorno della sua vita, muore il 10 aprile 1835. Cfr. D.-M. Montagna, Canossa, Maddalena Gabriella, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. II”, Roma 1975, pp. 158-163. 37 Accennato alle fondazioni che nascono nel periodo francese di Verona e passando a considerare quelle che sorgono nel periodo austriaco, notiamo, inizialmente, un’impostazione meno innovativa. Prima fra tutte quella di Gaspare Bertoni101 la cui istituzione si dedica sostanzialmente ai ceti che già erano scolarizzati102. Una congregazione religiosa di vita nascosta nella preghiera e nella formazione, dedicata all’educazione delle classi 101 -Gaspare Luigi Dionigi Bertoni (1777-1853) è l’unico discendente di una agiata famiglia di notai. Molti dei precettori che incontra alle scuole municipali sono appartenuti alla soppressa Compagnia di Gesù e favoriscono in lui il sorgere della vocazione al sacerdozio. A 18 anni si iscrive come alunno esterno ai corsi di teologia del Seminario e nel 1800 viene ordinato sacerdote. Diventa presto membro della Sacra Fratellanza degli Spedalieri. Affidatagli dal suo parroco la cura spirituale di alcuni giovani ammessi alla prima comunione, dà vita ad un innovativo tipo di oratorio o congregazione assai efficace nella salvaguardia della gioventù. Tale sua attività viene soppressa dal regime napoleonico, ma, caduto questo, riprende con ancor maggior successo. Confessore nella sede delle Figlie della Carità viene a conoscere Leopoldina Naudet che prende sotto la sua personale guida. Nella sua dimora istituisce un circolo di studi ecclesiastici per formare il giovane clero. Fin dall’inizio in questi incontri ha come figlio spirituale Nicola Mazza, che poi incoraggia nella fondazione delle sue opere caritative. Dal 1810 è incaricato della formazione spirituale dei chierici del Seminario. Nel 1816 si ritira con dei compagni nella chiesa delle Stimmate di S. Francesco e vi istituisce delle classi gratuite (i Preti delle Sacre Stimmate) come copertura per una congregazione dedita al profondo rinnovamento del ministero ecclesiatico. Per circa vent’anni è grandemente ostacolato e paralizzato nelle sue attività da gravi malattie, durante le quali dimostra la sua proverbiale pazienza. In ogni momento della sua vita e della sua attività si consegna con una fiducia illimitata nelle mani di Dio. Muore il 12 giugno 1853. Per un approfondimento cfr. N. Dalle Vedove, Bertoni, Gaspare Luigi Dionigi, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. I”, Roma 1974, pp. 1404-1407. Bertoni è la più significativa espressione veronese di “«tendenza antiintelletualistica e apologetica», con ferma e insistita fedeltà al «Romano Pontefice» e non senza venature integraliste, come di chi (…) vuole che «si sottometta la tenue fiaccola dell’umano raziocino al Sole chiarissimo della Divina Sapienza»”. Butturini, Le iniziative educative della chiesa a Verona, cit., p. 455. Per un ulteriore approfondimento su Bertoni ed il suo influsso sugli altri fondatori cfr. Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., pp. 49-56. 102 -I Preti delle Sacre Stimmate del 1816 (di Gaspare Bertoni) hanno la funzione di missionari apostolici in aiuto ai vescovi ed hanno l’obiettivo di supplire i Gesuiti fino al loro rientro a Verona. Loro scopo è il rinnovamento del ministero ecclesiastico e si ispirano alla soppressa Compagnia di Gesù. La scuola gratuita per i figli del popolo è una copertura di fronte al governo, in quel tempo ostile agli Ordini religiosi. Per un’analisi della storia della congregazione cfr. N. Dalle Vedove, Stimmatini, Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. IX”, Roma 1997, pp. 246-249. 38 elevate103, viene aperta da Leopoldina Naudet104. Anche Teodora Campostrini105, nonostante avesse scelto per se stessa una vita di stretta clausura, apre una scuola per fanciulle, dedita in particolar modo all’istruzione religiosa106. Grande innovazione porta Antonio Provolo107 con i suoi istituti maschile e femminile per sordomuti, dove viene adottato per l’insegnamento il metodo orale anziché quello 103 -Le Sorelle della Sacra Famiglia del 1816 (di Leopoldina Naudet), approvate sia civilmente che apostolicamente nel 1833. Esse sono dedite al culto e all’imitazione della Sacra Famiglia di Nazareth e votate alla clausura, ritenuta dalla fondatrice assai conveniente per una congregazione femminile. Le convittrici erano esclusivamente di classe nobile. Cfr. N. Dalle Vedove, Sorelle della Sacra Famiglia, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. VIII”, Roma 1988, pp. 1921-1922. 104 -Leopoldina Naudet (1773-1834) nasce a Firenze. I suoi genitori, padre lorenese e madre tedesca, sono addetti alla corte del granduca di Toscana. Riceve un’educazione monastica e diviene istitutrice dei figli minori dell’arciduca. Alla morte dell’arciduca ne segue la moglie alla corte di Praga ed in lei avviene un’ascesa spirituale che la porta sempre più a desiderare la solitudine e la vita di convento. Sempre a seguito della nobildonna, che vuole abbracciare vita religiosa, si trasferisce a Vienna, nella cui corte imperiale si costituisce una piccola comunità monastica con voti religiosi. Nel 1799 Leopoldina si reca a Padova in un ritiro, per essere finemente educata come istitutrice ed imparare a dirigere convitti femminili. L’avanzare delle truppe francesi la porta a numerosi trasferimenti. Mentre è a Venezia riceve l’invito di raggiungere Verona per collaborare con la Canossa, in procinto di fondare le Figlie della Carità, di cui Leopoldina diviene superiora. Ma a differenza della Canossa la Naudet si sente spinta a fondare una congregazione claustrale votata a S. Ignazio e dedita ad educare le signorine delle classi alte tramite collegi. Presso l’istituzione canossiana viene a conoscere don Gaspare Bertoni che sceglie come proprio padre spirituale. E’ nel 1816 che riesce, con alcune compagne mosse dal suo stesso ideale, a staccarsi dalle Figlie della Carità, rimanendone un’apprezzata collaboratrice, e ad avviare le Sorelle della Sacra Famiglia. Per approfondimenti su tale figura cfr. N. Dalle Vedove, Naudet, Leopoldina, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. VI”, Roma 1980, pp. 251-254; e Butturini, Istituzioni educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., pp. 56-58. 105 -Teodora Campostrini (1788-1860) nasce in una famiglia profondamente cattolica e ha una forte spinta ad una convinta religiosità. Viene educata in collegi di monache. Dopo la morte dei genitori entra, per vocazione, nel monastero della visitazione di Salò sul Garda. La sua salute cagionevole la spinge a Verona, dove per due anni viene ospitata dalla Canossa. Grande è il suo senso di democrazia ed uguaglianza dei diritti della persona umana che traspira anche dall’operato del suo istituto (le Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata) e che orienta i suoi principi pedagogici e le sue regole educative verso un moto di giustizia e libertà. Cfr. M. D. Adiamoli, Campostrini, Teodora, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. II”, cit., pp. 13-14. 106 -Le Sorelle minime della carità di Maria Addolorata del 1818 (di Teodora Campostrini), approvate civilmente nel 1829 ed ecclesiasticamente nel 1833 e nel 1848. Presso la loro sede sono attive scuole elementari, scuole di pedagogia e di tirocinio per le allieve maestre, di catechismo, un oratorio e alcuni laboratori. Per la loro storia cfr. M. D. Adiamoli, Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata (Istituto Campostrini), voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. VIII”, cit., pp. 1907-1909. 107 -Antonio Provolo (1801-1842) nasce a Verona e sceglie di compiere gli studi teologici presso il Seminario di questa città. Viene ordinato sacerdote nel 1824 ed un anno dopo decide di dedicarsi interamente all’apostolato nelle parrocchie. Si sente particolarmente 39 mimico, già diffuso in Germania108. La finalità è accrescere “le possibilità dei sordomuti di cogliere il nesso fra parola e oggetto e fra parola e significato, così da consentire la padronanza del linguaggio, che essi avrebbero poi dovuto leggere dal labbro (ma anche dal mento, dalla gola e dal petto dei loro interlocutori, con un apprendimento «vibro-tattile-visivo» della parola)”109. Amante della musica, Provolo, riesce ad avvicinare i sordomuti anche al canto. Scelte culturali e operative più vicine alla storia ed allo sviluppo tecnico-scientifico del suo tempo compie Nicola Mazza110, sia nella sua attività di docente di matematica e storia in Seminario, sia nelle sue stesse fondazioni, sia nei suoi interventi nel settore pubblico: faceva lui parte dell’Accademia di Agricoltura e del Consiglio comunale di Verona. Mazza promuove le sue istituzioni educative per porre rimedio al gran difetto della società a lui contemporanea in cui persiste l’emarginazione del mondo dei lavoratori e la non valorizzazione di persone di grande talento, impossibilitate ad esprimere le loro doti in una società ancora di fatto fondata sul privilegio della nascita e del censo. Tre sono gli istituti educativi da lui fondati: quello femminile del 1828, quello maschile del 1833 e quello per le missioni africane del 1849. Nell’Istituto del Mazza compie la sua istruzione ed educazione dedito alla gioventù. Nel 1830 individua la sua vocazione nell’educazione dei sordomuti che è assai scadente per i metodi usati che non riescono ad inserire efficacemente il sordomuto nella società. Per approfondire cfr. A. Micheloni, Provolo, Antonio, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. VII”, Roma 1983, pp. 1065-1067. 108 -La Compagnia di Maria per l’Educazione dei Sordomuti del 1830 e la Compagnia di Maria per l’Educazione delle Sordomute del 1841 (di Antonio Provolo), con riconoscimento religioso nel 1857. Accanto a tali istituzioni il Provolo apre anche scuole serali gratuite, frequentate generalmente da apprendisti, sempre a beneficio dei ragazzi e delle ragazze sordomuti. 109 -Butturini, Istituzioni Educative a Verona tra ‘800 e ‘900, cit., p 71. 110 -Per Nicola Mazza (1790-1865) ed i suoi Istituti vedi i capitoli successivi del corrente lavoro. 40 anche Zefirino Agostini111 che, a sua volta, crea una piccola comunità per un servizio scolastico e un aiuto all’apostolato parrocchiale112. L’azione di questi fondatori non nasce da progetti organici e ben definiti ma piuttosto dai bisogni che man mano emergono. C’è la percezione dei tempi nuovi. Ci si muove all’interno di nuovi processi di modernizzazione. L’importanza delle fondazioni religiose si trova nel modificato rapporto tra Stato e Chiesa e nella modernizzazione delle strutture istituzionali civili. C’è un cambiamento nella cultura politica cattolica e nella mentalità civile del clero, nella vita religiosa e nelle proposte pedagogicospirituali. Si modernizza la società nel suo complesso e la chiesa stessa deve adeguarsi ai nuovi tempi113. C’è una “comune volontà dei fondatori veronesi di rendere con le loro opere un servizio alla Chiesa e allo Stato, raccogliendo la sfida di quei settori della cultura illuministica e rivoluzionaria che avrebbero voluto estromettere la Chiesa dalla società, attraverso appunto istituzioni che riportassero al centro la Chiesa e proprio «per la sua importanza e utilità sociale prima ancora che per i suoi attributi divini»”114. Nel prendere in esame le fondazioni da noi descritte si può realisticamente individuarne il fine principale dell’opera educativa nell’educazione cristiana. Si deve 111 -Zefirino Agostini (1813-1896) dopo gli studi nel seminario di Verona viene ordinato sacerdote nel 1837. Inizialmente coopera con la sua parrocchia e coadiuva la curia vescovile. Nel 1845 diviene parroco dei Santi Nazario e Celso in Verona, dove apre delle scuole di carità per fanciulle povere fino al momento in cui il vescovo di Verona non lo invita a fondare la compagnia delle Orsoline. Cfr. G. Rocca, Agostini, Zefirino, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. I”, cit., pp. 154-155. 112 -Le Orsoline Figlie di Maria Immacolata del 1860 (di Zefirino Agostini), istituite canonicamente nel 1869. Si occupano della cura spirituale delle ragazze povere del rione popolare di cui l’Agostini è parroco. Cfr. A. Tognetti, Orsoline Figlie di Maria Immacolata, voce in “Dizionario degli Istituti di Perfezione. VI”, cit., pp. 883-885. 113 -Cfr. F. De Giorgi, Le congregazioni religiose dell’Ottocento nei processi di modernizzazione delle strutture statali, pp. 123-142, in AA. VV., Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione ed Unificazione, cit. 114 -Butturini, Le iniziative educative della chiesa a Verona, p. 462, cit. 41 però riconoscere come i fondatori non parlino mai di educazione cristiana senza anche occuparsi, e preoccuparsi, di educare alla vita civile e sociale. “(L)a persona umana, resa consapevole della propria dignità attraverso l’educazione, finisce per imporre i propri diritti in quanto persona”115. Le fondazioni religiose veronesi dell’Ottocento vengono ad essere l’espressione della spiritualità attiva che unisce l’azione alla contemplazione, incidendo così profondamente su tutto il corpo sociale. 115 -F. De Vivo, Spiritualità attiva nell’Ottocento veronese, p. 319, in AA. VV., Chiesa e Spiritualità nell’Ottocento italiano, cit. 42