questioni centrali alla psicologia dell` educazione

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Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
QUESTIONI CENTRALI ALLA PSICOLOGIA DELL’ EDUCAZIONE
La psicologia dell'educazione è una disciplina scientifica che si occupa di comprendere come
l’individuo acquisisce una serie di capacità attraverso l'istruzione scolastica. E il compito primario
dell'istituzione scolastica è certamente quello di sollecitare la dimensione dell'apprendimento.
Tuttavia, apprendere a scuola è qualcosa di diverso dalla semplice acquisizione controllata di nuove
informazioni o di nuove regole di comportamento; processi, questi, di cui la psicologia di base e la
ricerca sperimentale possono agevolmente dare ragione. Se le cose stessero in questo modo, se cioè
i modelli proposti dalla psicologia di base per controllare le condizioni dell'apprendimento
potessero essere trasferiti semplicemente dal laboratorio alla classe, allora l'insegnante non
riporterebbe che vittorie, poiché conoscerebbe in anticipo i metodi cui fare riferimento e quelli da
scartare. La conoscenza che si realizza nella classe procede, invece, da livelli complessi: essa insiste
su più piani ed è il prodotto visibile di un'organizzazione articolata di molti fattori.
Per chiunque voglia interessarsi di psicologia ed educazione, ciò significa prestare attenzione al
gioco intrecciato e complementare di differenti parametri che determinano il risultato dell'azione
educativa. Ausubel (1968) definisce l'apprendimento scolastico un “apprendimento guidato da certi
contenuti in un contesto sociale”.
Bisogna allora tenere conto: dei contenuti della comunicazione, cioè il sapere elaborato
socialmente e storicamente; della significatività dei contenuti dell'apprendimento i quali devono
essere rilevanti per il discente, cioè situarsi all'interno di una cornice logica e strutturale in cui le
nozioni già possedute possono collegarsi con quelle che derivano dalla pratica educativa; del
contesto sociale in cui si genera l’apprendimento scolastico, cioè la pluralità dei rapporti in classe –
tra pari e tra insegnanti e allievi - che incide sulla costruzione della conoscenza e sui risultati
dell'apprendimento stesso.
La tematica centrale della psicologia dell’educazione è ancora oggi quella della dinamica
apprendimento-insegnamento. Questo significa focalizzare l’attenzione non solo sulle materie
scolastiche e sui processi di apprendimento, ma anche sui processi cognitivi e affettivi che
influenzano l'apprendimento, sul concetto di sé, sulle conoscenze pregresse ed il background
culturale, sullo sviluppo della personalità, sullo sviluppo intellettuale.
La psicologia dell'educazione contemporanea cerca di comprendere meglio come l’individuo
apprende, perché apprende, come i processi evolutivi si verificano, come le differenze individuali
influenzano l’apprendimento e lo sviluppo, come i diversi esiti dell’apprendimento possono essere
misurati accuratamente.
Se la psicologia vuole contribuire alla spiegazione dei fatti educativi, deve prendere le mosse dai
punti appena detti e immergersi nella vita in classe, focalizzandosi sul cerchio insegnante-allievo1
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classe-apprendimento-conoscenza. E’ molto importante focalizzare l’attenzione sui problemi e sui
fenomeni psicologici peculiari delle situazioni educative.
Il primo problema è quello di definire o meglio delimitare il campo compreso sotto il termine di
situazione educativa: l’interesse è generalmente rivolto alla scuola come istituzione caratterizzata
dal fatto di porsi in modo esplicito la finalità di trasmettere alle nuove generazioni gli aspetti
essenziali del patrimonio culturale del gruppo sociale. E’ quindi fondamentale analizzare che cosa e
come si insegna, che cosa e come si apprende, nelle interazioni complesse che si stabiliscono tra
insegnamento e apprendimento: non solo per quei fattori che dipendono dalla comunicazione
dell'insegnante, cioè da tutte le variabili relative all'interazione verbale e non verbale che è capace
di stabilire con gli allievi, ma anche per quei fattori che più da vicino riguardano la costruzione e
l'acquisizione della conoscenza da parte degli allievi.
Il focus è quindi lo studio dei modi in cui il bambino-scolaro costruisce le sue conoscenze in
funzione delle sollecitazioni cognitive, culturali e sociali offerte dall’insegnamento scolastico.
Questo studio implica e presuppone una conoscenza dello sviluppo cognitivo e affettivo del
bambino, ma non solo, altrimenti si potrebbe ridurre buona parte della psicologia dell'educazione
alla psicologia dello sviluppo e, inoltre, la stessa prassi educativa sarebbe destituita di qualsiasi
rilievo psicologico se non si ritenesse che essa influenzi i processi mentali e le abilità dell'allievo.
L'ambito di interesse riguarda l'area di interazione e di interconnessione che esiste tra lo studio
psicologico della cognizione e gli obiettivi di trasmissione culturale propri dell'istruzione scolastica,
in cui avviene l'incontro tra cognizione, intesa come insieme di modalità generali e specifiche dei
soggetti di costruire ed elaborare le proprie conoscenze, e conoscenza, intesa come contenuto
scientifico culturale di cui l'allievo si va progressivamente appropriando.
La psicologia dell'educazione richiede quindi di prendere in carico (a) le modalità di
organizzazione e di elaborazione delle conoscenze, cioè di apprendimento e di pensiero, che si
trovano nei soggetti a diversi livelli di sviluppo cognitivo e affettivo e in funzione di variabili
individuali di stile cognitivo, (b) le richieste cognitive poste dal contenuto di apprendimento,
derivate, se necessario, da un’analisi puntuale dei caratteri dell’area di studio insieme alle diverse
strategie con cui si possono affrontare; (c) il carattere “sociale” e di oggetto culturale che comunque
proviene da ciò che si insegna.
La teoria e la pratica dell'educazione sono interessate a trovare e ad organizzare quel tipo di
ambiente - inteso in senso lato - che influenza positivamente l'allievo e che gli rende possibile dare
un nuovo ordine alla sua esperienza.
L’educazione non riguarda solo problemi scolastici tradizionali quali possono essere il
curriculum, i voti e le verifiche. Quello che decidiamo di fare nella scuola ha senso solo all'interno
del contesto più ampio degli obiettivi che si propone di raggiungere la società attraverso
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l'investimento nell'educazione dei giovani. L’educazione e l'apprendimento scolastico devono
essere considerati nel loro particolare contesto culturale.
L'apprendimento e il pensiero sono sempre situati in un contesto culturale e dipendono sempre
dalla utilizzazione di risorse culturali.
Un enigma che occupa da sempre gli studiosi è quello dell'applicazione della conoscenza teorica
ai problemi pratici. L'applicazione della teoria psicologica alla pratica educativa non costituisce
un'eccezione. La sfida è sempre quella di situare la nostra conoscenza nel contesto reale in cui si
presenta il problema. E questo contesto di vita reale, quando si tratta di educazione, è l'aula
scolastica. Quando ci occupiamo di insegnamento e apprendimento c'è un problema che non ci
abbandona mai, cioè il problema di come avviene l'incontro tra due menti, cioè quella
dell'insegnante e quella del bambino. Le nostre interazioni con gli altri sono profondamente
influenzate dalle teorie intuitive correnti sul funzionamento della mente degli altri. Queste teorie,
raramente esplicitate, sono onnipresenti. Nel teorizzare sulla pratica dell'educazione come si svolge
nell'aula scolastica è consigliabile tener conto delle teorie popolari già possedute dalle persone che
sono impegnate nell'insegnamento e nell'apprendimento, perché qualsiasi innovazione si voglia
introdurre, essa dovrà scontrarsi, sostituire o modificare in qualche modo le teorie popolari che già
guidano insegnanti e allievi. Alla base dei tentativi di insegnamento ci sono degli assunti sulla
mente di chi apprende.
La realtà scolastica non è mai legata ad un unico modello di discente o ad un unico modello di
insegnamento. Perlopiù l'educazione quotidiana nelle scuole si propone di coltivare competenze e
abilità, di impartire una conoscenza di fatti e di teorie e di stimolare la comprensione delle
convinzioni e delle intenzioni. La pedagogia moderna è sempre più dell'idea che il bambino debba
essere consapevole dei suoi processi di pensiero e che sia essenziale che il teorico dell’educazione e
l'insegnante lo aiutino a diventare più metacognitivo, consapevole, cioè, non solo del contenuto che
sta studiando ma anche del suo stesso modo di procedere nell'apprendere e nel pensare
Ricapitolando, quali sono gli argomenti di cui la psicologia dell’educazione si occupa? Quale
formazione è necessaria per gli insegnanti?
Un primo aspetto è quello della conoscenza delle teorie dell’apprendimento. E’ importante che
l’insegnante espliciti a quale idea di apprendimento si ispira nella sua attività quotidiana, a quali
prospettive teoriche si riferiscono le sue scelte educative.
Un secondo aspetto riguarda le questioni con cui l’insegnante deve confrontarsi nel momento in
cui costruisce gli ambiente dell’apprendimento per e con i propri studenti. A questo riguardo è di
cruciale importanza la motivazione ad apprendere.
Un terzo aspetto concerne l’organizzazione della classe: l’insegnante deve tener presente il
contesto di gruppo all’interno del quale si svolgono le attività di insegnamento-apprendimento.
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Primi scambi tra psicologia ed educazione
Fino al XVIII secolo, è bene ricordarlo, la tradizione considerava l'infanzia e la fanciullezza uno
stato di adulto incompleto. Il modello educativo che ne discendeva consisteva prevalentemente
nell'indirizzare qualsiasi intervento verso lo standard di comportamento dell'adulto. Grande
importanza era così assegnata alla conoscenza delle norme del buon vivere sociale, all'esercizio
della disciplina, a quello della speculazione e del pensiero astratto tramite lo studio della logica e
del latino.
La prima psicologia tuttavia lasciava intravedere la possibilità di accostarsi in maniera diversa al
dominio del comportamento, una maniera non guidata da punti di vista religioso e filosofici, ma
dall'osservazione dei dati di fatto in un assetto sperimentale e controllato.
La psicologia degli inizi costituì il suo nucleo di interesse attorno ai temi dell'apprendimento e
delle leggi che lo governano; essa mise a punto indagini sperimentali allo scopo di studiare
l'intelligenza e le attitudini; focalizzò inoltre la sua attenzione sui sistemi di misura e sulle
procedure in grado di dare ragione delle capacità e delle differenze individuali che determinano il
risultato dei singoli individui in vari compiti, dalle performance più semplici a quelle più
complesse.
La centralità di queste problematiche era comune anche all'educazione. Alla scuola era affidato il
compito primario di creare le condizioni per apprendere, verificare il funzionamento delle capacità
intellettive e i livelli attitudinali, dare una valutazione oggettiva del rendimento dell'allievo.
Due esempi possono rendere chiaro il legame esistente tra la ricerca psicologica e il campo
educativo.
Il primo è l'organizzazione, in Europa, della prima ricerca scientifica sull'educazione grazie a
Binet (1905) il quale mette a punto, insieme a Simon, una Scala di misura dell'Intelligenza le cui
finalità sono dichiaratamente applicative: discriminare con accuratezza i bambini normodotati da
quelli con disturbi o lacune, così da articolare programmi di recupero mirati all'educazione di questi
ultimi che tengano conto delle differenze individuali. La speranza di Binet è quella di poter
rettificare o smentire, attraverso uno strumento esatto, i giudizi spesso affrettati e superficiali degli
insegnanti quando definiscono gli allievi poco intelligenti e di conseguenza poco educabili,
spingendoli a ricercare in altre direzioni le vere ragioni del profitto insufficiente. La pedagogia, egli
afferma, richiede preliminarmente uno studio psicologico individuale proprio perché esso può
indirizzarla a canalizzare meglio i suoi interventi. A questo scopo è necessario fare un bilancio il
più possibile esatto di ciò che l'allievo sa o non sa. Questo però, da solo, non basta: si dovrà altresì
tenere conto dei suoi gusti, dei suoi interessi, della sua capacità di giudizio e di apprendimento e del
rapporto di simpatia che s'instaura tra maestro e alunno, dalla cui assenza o presenza può dipendere
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l'esito scolastico. Secondo Binet, ciò che è importante non è tanto tenere il conto dei successi o
degli insuccessi nelle varie prove, quanto cercare di cogliere l'individualità dei bambini partendo da
un'attenta analisi delle prove fallite e di quelle riuscite, proprio per mettere in rilievo i tratti originali
di ognuno, tratti che determinano vie diverse allo sviluppo.
Tuttavia, la Scala d’Intelligenza di Binet e Simon (e le ulteriori revisioni americane) finì col
diventare uno strumento per verificare il possesso di capacità intellettive e non per fissare gli
obiettivi educativi di recupero e di sostegno e per adeguare i programmi alle esigenze dei diversi
alunni. Piuttosto che garantire la flessibilità in funzione delle differenze, la Scala finì con
l’immobilizzare ogni singolo soggetto in una gerarchia di valutazione metrica e con il far risalire
eventuali disuguaglianze sociali ad una presunta disuguaglianza psicologica e intellettiva, avallando
di fatto pregiudizi sociali, economici ed etnici.
Quasi negli stessi anni, Thorndike (1910) negli Stati Uniti pubblica un famoso articolo in cui
dimostra l'importanza di tradurre in applicazioni educative il sapere della psicologia del tempo. Il
sapere cui l'autore si riferisce riguarda le indagini sull'apprendimento. Egli sostiene che la forma più
caratteristica di apprendimento sia quella per prove ed errori o apprendimento per selezione e
connessione specifica tra stimoli e risposte. L'apprendimento sarebbe dovuto a legami specifici che
si stabiliscono tra gli stimoli e la risposta per effetto delle conseguenze della risposta stessa. In tal
senso, ciò di cui si ha bisogno è stabilire gli obiettivi dell'educazione in termini di abilità specifiche,
di atteggiamenti di cui gli studenti desiderino impadronirsi e di ricorrere ad una preparazione che
sia in grado di favorire l'acquisizione delle conoscenze desiderate. L'insegnante dovrebbe
individuare i legami da formare o da spezzare; identificare le circostanze soddisfacenti e non
soddisfacenti che hanno effetto sull'attività del discente; conoscere le caratteristiche di buona
prestazione per predisporre gli accorgimenti necessari alla realizzazione delle acquisizioni in gioco.
Sebbene il sistema di Thorndike sia una raccolta piuttosto slegata di norme, consigli,
enunciazioni, pure ha generato un'importante conseguenza: ha contributo a creare il settore che
avrebbe portato a sviluppare il campo d'indagine della psicologia dell'educazione come coincidente
con quello dell'apprendimento.
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