LAVORANDO SULLE CARTE
Autrici e autori della Svizzera italiana nel secondo Novecento
Giornate di studio, 16-17 gennaio 2013
Biblioteca nazionale, Hallwylstrasse 15, 3003 Berna
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Riassunti delle comunicazioni
Mercoledì, 16 gennaio 2013
Ragioni e modi di una revisione: Il fondo del sacco tra prima e seconda edizione
Matteo Ferrari (Università di Friburgo)
Quella del Fondo del sacco, il romanzo che ha reso celebre lo scrittore valmaggese Plinio Martini,
è sin dall’inizio la storia di un successo. La prima edizione, uscita a Bellinzona da Casagrande nel
settembre 1970, andò infatti esaurita in breve tempo. Subito l’editore propose una ristampa e
Martini, che al libro aveva già dedicato gli anni tra il ’65 e il ’70, approfittò della circostanza per
ritornare sul testo. Ne risultò nel maggio 1973 una seconda edizione riveduta che, pur
conservando come base il testo della prima, introduceva nell’opera numerose varianti.
Questo contributo si prefigge per prima cosa di ricostruire la storia editoriale del libro e il clima,
culturale ma anche ideologico, che lo accolse all’uscita. Il tutto grazie a fonti d’archivio,
recensioni, articoli di giornale ma anche alle numerose lettere che l’autore ricevette all’epoca dai
lettori più vari. In seguito, attraverso lo studio delle varianti e della loro ripartizione all’interno
dell’opera, s’intende chiarire la dinamica correttoria che sta alla base della seconda edizione. Il
recente ritrovamento, nell’ex-casa di Martini a Cavergno, dell’esemplare su cui egli effettuò le
modifiche, offre un’occasione in più per capire come, fisicamente, lo scrittore sia intervenuto sul
testo e soprattutto perché abbia deciso di farlo. Con che intenti Martini torna a lavorare al
romanzo? Sono in qualche modo implicate le reazioni dei lettori? O semplicemente il debito con
la pagina non era stato del tutto esaurito con la prima edizione? Rispondendo a queste e ad altre
domande ci si porrà l’obiettivo di tracciare un profilo inedito dell’opera e dell’autore: la storia di
un libro che ha, a sua volta, fatto la storia.
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La solidità del buio.
L’evoluzione della poetica di Giovanni Orelli negli avantesti de L’anno della valanga.
Francesca Puddu (Università di Zurigo)
“I prati, le case, le piante e la montagna sono coperti di neve, e uno stormo di corvi segna altra
neve. In cima a una casa, proprio sotto il colmo, si apre una finestra, ma non si può vedere chi è,
l'antro resta nero”.
La voce narrante de L’anno della valanga possiede una rara forza espressiva. Per provare a
descriverla Vittorio Sereni, già nel 1966, aveva parlato di un sistema di antitesi e ambivalenze
(temporalità e atemporalità - accoramento e rancore – unità e molteplicità – bellezza e distruzione
– morte e sopravvivenza).
La ricerca stilistica di Giovanni Orelli consiste nel creare una lingua che traduca il conflitto
individuale e collettivo alla base della narrazione conservandone la veridicità e, allo stesso tempo,
trasformandolo in fatto letterario. L’autore opta per un registro scarno in cui la parola e la frase,
riportate ad una purezza inabituale rivelano, nella loro nudità, la vividezza delle sensazioni e dei
sentimenti.
La scelta poetica di Orelli, ancor più che la scelta tematica, anch’essa fortemente conflittuale
rappresenta, nel contesto della narrativa ticinese degli anni ’60, una rottura con la tradizione.
L’intervento si prefigge lo scopo di raccontare, attraverso più esempi avantestuali, alcune tappe
significative del percorso di elaborazione di questa complessa semplicità.
A quattro mani.
Il romanzo e la sua traduzione negli avantesti di Tra dove piove e non piove
Roberta Deambrosi (Università di Zurigo)
Tra dove piove e non piove (Locarno, Pedrazzini, 1972), romanzo d'esordio di Anna Felder,
appartiene alla singolare casistica dei libri che prima ancora di essere pubblicati in lingua
originale, vengono proposti al pubblico in traduzione. Nell'ottica di una ricostruzione e di una
problematizzazione della genesi del romanzo, si vorrebbero esemplificare e discutere le tracce di
questa tappa verificabili a livello avantestuale.
Il dattiloscritto denominato Fin che c'era, che delle carte del Fondo Anna Felder è il più vicino
cronologicamente alla prima pubblicazione del romanzo (nel 1970 nella traduzione tedesca a cura
di Federico Hindermann con il titolo Quasi Heimweh), non presenta una estesa campagna di
correzioni autoriali, ma piuttosto delle revisioni puntuali riguardanti minime porzioni della
redazione.
Attira però l'attenzione la presenza di una seconda mano che, come quella dell'autrice, interviene a
matita nel testo e a margine. È quella del traduttore che segna il dattiloscritto di Felder e prende
appunti per il proprio lavoro di resa in tedesco. Le osservazioni reperite sui testimoni precedenti
così come sui testi a stampa, sembrano indicare che, pur mantenendo la loro autonomia, autrice e
traduttore interagiscono scambiandosi materiale avantestuale utile ai rispettivi lavori.
Alla luce di questa duplice attività e del momento in cui essa ha luogo, ci sembra possibile non
solo delineare una funzione più precisa delle correzioni dell'autrice, ma pure di ricollocare due
diverse tappe genetiche, la revisione pre-editoriale e la traduzione tedesca del romanzo di Anna
Felder, in un discorso più ampio che si riallaccia ai più recenti studi della traduttologia. ll testo,
infatti, a questa confluenza, incontra l'altra lingua; incontro che non è più solo tema da trattare (il
romanzo tocca infatti la questione del confronto fra lingue), o dato linguistico che plasma
l'impianto espressivo, ma è anche segnale prefigurante l'orizzonte di lettura del quale sia Felder,
sia Hindermann, dovranno tener conto prima di dare alle stampe il romanzo.
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Giovedì, 17 gennaio 2013
L’edizione delle Poesie di Remo Fasani
Maria Pertile (Centro Studi Famiglia Capponi, Firenze)
L’intervento è dedicato alla storia dell’edizione dell’Opera omnia del grande poeta svizzero
italiano Remo Fasani, recentemente scomparso. Fasani accarezzò a lungo il sogno di riunire tutte
le sue poesie, edite ed inedite, cercando a lungo la soluzione metodologica ed editoriale migliore.
Dai primissimi anni Cinquanta, ragioni di studio e ragioni di amicizia legarono per sempre il
giovane Fasani alla città di Firenze, ove ebbe amici tra i massimi poeti e scrittori del Novecento
italiano; tale nesso è stato valorizzato dal Centro Studi Famiglia Capponi nel sostenere la ricerca
attorno all’illustre poeta e dantista. L’Opera Omnia finalmente pubblicata merita di essere
raccontata come avventura umana e come meta artistica altissima, come esempio di filologia
applicata e come grata memoria della fedeltà alla parola data.
La valorizzazione del Fondo Grytzko Mascioni
Katarina Dalmatin (Università di Spalato, Croazia)
Nella mia tesi di dottorato intitolata: „L'io autobiografico nelle opere di Enzo Bettiza e Grytzko
Mascioni, messo a confronto con l'Altro“ che è discussa nel novembre 2011 all'Università di
Zagabria, l'obiettivo principale della ricerca era analizzare vari aspetti della creazione del soggetto
autobiografico a livello dell'autore, del narratore e del personaggio nelle opere di G. Mascioni ed
E. Bettiza e il suo rapporto dialettico con le varie costruzioni dell'Altro. La maggior attenzione
nella seconda parte della tesi è dedicata alle analisi del romanzo autobiografico Puck e del
racconto Insula , mentre le interpretazioni degli altri testi sono limitate agli elementi che rientrano
nel campo specifico della ricerca. Si analizzano vari modelli intertestuali, psicoanalitici, letterari e
filosofici, che partecipano alla creazione narrativa del soggetto autobiografico. Visto che si tratta
degli scrittori di „confine“, con un'identità molto complessa dal punto di vista nazionale e
culturale, nelle loro opere si riflette quasi ossessivamente sulla tematica dell'identità e alterità
nella società europea postmoderna. La tematizzazione dell'identità croata nelle opere di Mascioni
svela un distacco radicale dalla tradizione discorsiva „semiorientalistica“, che è il modello
dominante della rappresentazione della Croazia e dei Croati nella letteratura italiana
dall'Ottocento ad oggi, ma anche dal discorso „balcanistico“, definito ed elaborato nelle opere di
M. Todorova. In Puck la guerra in Croazia diventa un luogo privilegiato della riflessione sulle
debolezze del pensiero politico europeo verso la fine del Novecento. La mia ricerca è stata
completata da vari testi depositati nell'archivio letterario della Biblioteca Nazionale a Berna. Nel
mio intervento tratterò in maniera più dettagliata fonti principali che hanno facilitato le mie
interpretazioni e le conclusioni ultime della mia tesi.
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Lavorando sulle carte di Enrico Filippini
Marino Fuchs (Università di Losanna)
L’Archivio Enrico Filippini alla Biblioteca cantonale di Locarno conserva un patrimonio
documentario importante per il Ticino, l'Italia e l'Europa. Lo studio di queste carte non solo
permette di comprendere meglio il clima editoriale italiano nel trentennio 1958-1988, ma apre
anche interessanti scorci sul panorama culturale internazionale. Sono anni in cui l'industria
culturale acquisisce un ruolo di primo piano nella diffusione della letteratura a un pubblico in
continua espansione. Inoltre, sempre più intellettuali ricoprono posizioni di responsabilità
all'interno delle case editrici e hanno così la possibilità di condizionare il dibattito letterario con le
loro scelte.
È il caso di Enrico Filippini (Cevio, Svizzera 1932 – Roma, 1988) che durante gli anni '60 si
ritrova al centro del dibattito culturale italiano. Ticinese di nascita si trasferisce a Milano, prima
per gli studi, poi per lavorare come consulente editoriale e traduttore presso Feltrinelli, Mondadori
e Bompiani.
La mia ricerca di dottorato si propone di valorizzare il ruolo che Filippini ebbe nella mediazione
culturale tra Italia, Svizzera ed Europa. Nel periodo in cui lavorò alla Feltrinelli tradusse e
importò nella penisola le opere degli svizzeri Friedrich Dürrenmatt e Max Frisch, fece conoscere
la "nuova letteratura tedesca" del Gruppo 47 e ancora l'emergente letteratura dell’America latina.
Partecipò all'esperienza della neoavanguardia italiana co-fondando il Gruppo 63, e dialogò con i
maggiori interpreti della letteratura contemporanea internazionale.
Nella mia comunicazione mi concentrerò su alcuni esempi concreti e alcune letture trasversali che
permetteranno di ricostruire la genesi e l’elaborazione di un testo letterario negli anni della
nascente industria culturale, nonché di capire il modus operandi degli scrittori della
neoavanguardia, e le strategie editoriali messe in atto per veicolare una nuova idea di letteratura
legata allo sperimentalismo.
Lavorando sulle carte di Alice Ceresa. La trilogia inesistente
Monika Schüpbach (Università di Zurigo)
In una prima parte generale presento la mia tesi di dottorato col titolo «L'assoluta necessità di
scrivere. Alice Ceresa (1923-2001)», conclusa e discussa nell'autunno 2010 sotto la guida della
Prof. Tatiana Crivelli, Università di Zurigo. Il lavoro di tipo monografico si occupa della scrittrice
ticinese che a venticinque anni lascia la Svizzera per andare a vivere fino alla sua morte a Roma.
Punto di partenza e di riferimento sono i materiali del Fondo Ceresa (ASL) che custodisce i
manoscritti delle opere edite e inedite, il carteggio, una documentazione stampa, delle fotografie e
singoli documenti audio. Chi è questa donna che fa dire ad uno dei suoi personaggi (i quali non
per caso sono senza eccezione di sesso femminile): «Io non sono nulla… Sono solo qualcuno che
cerca…»? Come si riflette la sua attrazione ossessiva per la questione femminile nei suoi testi?
Tale sintesi mi permetterà di parlare delle scelte che si sono dovute fare nel corso del lavoro il
quale si basa in maniera fondamentale sui materiali presenti all'ASL.
A fine di presentare il metodo scelto nella tesi, e volendo parlare anche di difficoltà, esperienze e
conclusioni, proseguirei con tre problemi che mi si sono posti lavorando sulle carte di Alice
Ceresa.
1. Il testo inesistente. Come parlare di un testo letterario che "esiste" solo attraverso commenti
metanarrativi dell'autrice? Nel Fondo Ceresa troviamo il cosiddetto «Giornale del Tristano», una
specie di diario letterario che si riferisce ad un testo di cui non si è conservata, purtroppo, nessuna
traccia.
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2. La trilogia. Alice Ceresa esprime più volte la propria intenzione di voler scrivere una trilogia
sulla situazione della donna in società. Ma poche sono le informazioni concrete cosicché risulta
difficile capire quali siano i tre testi. «La figlia prodiga», il primo romanzo pubblicato, doveva,
come dichiara l'autrice in varie lettere e interviste, rappresentarne il primo. È stato difficile
definire (fra scritti editi e inediti) i testi che potrebbero costituire le altre due parti, e questo anche
perché sembra che l'autrice stessa abbia cambiato idea più volte.
3. «Credo» o «Crediamo»? L'istanza narrativa nell'ultimo romanzo pubblicato, «Bambine», è un
noi narrante. Il lascito rivela però che esiste anche un dattiloscritto integrale dov'è un io narrante a
parlare. Quanto uno studio comparativo può rivelare sull'intenzione di chi scrive?
Nel laboratorio di Alice Ceresa.
Percorsi genetici e storia editoriale di La figlia prodiga
Giovanna Cordibella (Università di Berna)
Progettato come primo tassello di una trilogia, poi mai portata a compimento, La figlia prodiga
(Torino, Einaudi, 1967) è il romanzo d’esordio di Alice Ceresa, che si è notoriamente segnalato
nella cultura italiana e svizzera dei tardi anni Sessanta come una delle prove narrative più
sperimentali e innovative del decennio, insignita pochi mesi dopo la sua uscita di un importante
riconoscimento come il Premio Viareggio per l’Opera Prima. Il processo di elaborazione del
romanzo, come testimoniano le carte conservate nel lascito Alice Ceresa presso l’Archivio
svizzero di letteratura, è consistito in una complessa ricerca formale che si è protratta per anni,
parallelamente – nella sua più tarda fase – ai contatti stabiliti da Alice Ceresa con diversi editori
italiani e non solo (Einaudi, Mondadori, Feltrinelli e Gallimard), al fine di trovare una
collocazione editoriale per la propria opera. Il progettato intervento al convegno si propone di
sottoporre a riesame il processo compositivo di La figlia prodiga, tramite uno studio dei materiali
avantestuali a noi pervenuti, congiuntamente a quello della documentazione extratestuale relativa
al romanzo (la corrispondenza con i referenti editoriali, alcuni dei quali forieri di suggerimenti di
modifiche dell’opera, pagine di diario con informazioni relative alla sua elaborazione, ecc.). Si
tratterà quindi di formulare ipotesi critiche sui percorsi genetici di La figlia prodiga, con
attenzione al processo di definizione della sua struttura ‘narrativa’, così come delle sue peculiarità
linguistiche e stilistiche. Particolare attenzione sarà riservata, nel corso di questi puntuali
accertamenti filologici, al processo di elaborazione degli aspetti più sperimentali della prosa e
della struttura diegetica dell’opera, che – nella sua redazione definitiva – s’inscrive a pieno titolo
nel clima delle coeve sperimentazioni europee della forma romanzo, in Italia capeggiate in quella
congiuntura dal Gruppo 63. Previsto è infine anche un riesame della tradizione stampa, in tutto il
suo arco diacronico: dalle anticipazioni apparse in rivista, come i brani editi nel 1965 sul
«Menabò» (dei quali sono conservate le bozze di stampa presso lo ASL), sino alla riedizione
postuma nel 2004 nel volume La figlia prodiga e altre storie (Roma, La Tartaruga), dove l’opera è
apparsa in una redazione sensibilmente differente – a detta di qualche recensore «più tradizionale»
– rispetto a quella licenziata dall’autrice nel 1967. L’indagine, così impostata, si propone di dare
un apporto all’interpretazione di La figlia prodiga e alla discussione di aspetti editoriali a tutt’oggi
aperti, nonché di contribuire, più in generale, allo studio del modus operandi di Alice Ceresa.
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Giorgio Orelli traduttore di Goethe
Alice Spinelli (Università di Pavia)
In occasione del convegno “Lavorando sulle carte” previsto a Berna per il 16 e 17 gennaio 2013,
ho pensato di occuparmi della perlustrazione quanto più possibile organica del corpus di
traduzioni goethiane pubblicato da Giorgio Orelli in duplice edizione, nel 1957 e nel 1974.
Interessanti movimenti variantistici determinano talvolta incisive modifiche nella silloge
recenziore: sarebbe dunque stimolante ricercare l’eventuale ratio omogenea ad esse sottesa,
verificarne cioè la sistematicità e la rilevanza stilistica, in rapporto con la contemporanea
maturazione della poesia “in proprio” di Orelli. Tale scavo analitico potrebbe poggiare, oltre che
sul confronto tra le due raccolte apparse a stampa, sullo scandaglio di alcune redazioni inedite: i
primi abbozzi autografi (spesso fittamente corretti) delle versioni goethiane che il poeta conserva
tuttora nel suo archivio privato, a Bellinzona.
Alla ricostruzione dell’iter testuale si dovrebbe poi intrecciare l’identificazione delle modalità
“traspositive” predilette dal poeta-traduttore. Poiché il cantiere delle traduzioni goethiane
accompagna per decenni, quasi come un pungolante controcanto “interdiscorsivo”, l’itinerario
poetico di Giorgio Orelli, vi si potranno rintracciare degli agganci autoallusivi. Vale però anche,
naturalmente, il percorso inverso: occorrerà perciò setacciare l’opera letteraria di Orelli alla
ricerca di echi della poesia goethiana (precise memorie testuali o più sfumate evocazioni
tematico-stilistiche) che ne attestino l’avvenuta assimilazione e il reimpianto ricreativo nel terreno
lirico del traduttore.
«Chi è questo che viene»? Su un incipit di Giorgio Orelli
Yari Bernasconi (Università di Friburgo)
Il collo dell’anitra (Garzanti, 2001), dopo Sinopie e Spiracoli (Mondadori, 1977 e 1989), per
Giorgio Orelli può senz’altro considerarsi come il «terzo pannello di un trittico della maturità e
della vecchiaia» (Pietro De Marchi). Sulla salita di Ravecchia è la prima poesia di questa raccolta
e affida la sua apertura a un celebre incipit cavalcantiano, come lo stesso Orelli non manca di
indicare in una nota. Cavalcantiano e – di riflesso – biblico, da un passo del Libro di Isaia già
segnalato da Gianfranco Contini nei Poeti del Duecento.
Questo intervento intende (di)mostrare come la fonte biblica sia tutt’altro che casuale, e come essa
ci permetta anzi di risalire il tempo fino alla Linea lombarda di Luciano Anceschi (Magenta,
1952) e sottolineare una volta di più la coerenza di un’opera in cui, come si ama ripetere, «tout se
tient». Indipendentemente dal tempo e dal genere letterario.
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