14 ottobre 2012 – Terza lezione QUESTIONI INTRODUTTIVE Definizione di sacramento 1. Il problema e due questioni in gioco a) Sacramentum e Mysterion: le questioni attorno ad una traduzione. Le definizioni che lungo la storia sono state date di sacramento sono numerose quanto i secoli di tradizione che abbiamo alle spalle. Occorre prima di tutto segnalare una questione di fondo: il termine “sacramentum” di origine latina traduce il termine neo-testamentario “mysterion” greco. La nozione di Mysterion è molto complessa: la derivazione è paolina1, ma negli scritti di Paolo non si trova mai il termine riferito né all’Eucaristia e nemmeno al Battesimo: il mysterion è il piano di Dio che, rivelato in Cristo, coinvolge l’uomo; ora, se «per mezzo del battesimo siete stati sepolti insieme con Cristo» (Rm 6,4) e se «ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice voi annunciate la morte del Signore (1Cor 11,26), è legittimo pensare che nella nozione complessa di mysterion trovino spazio anche i due riti fondamentali che sono il Battesimo e l’Eucaristia. Di fatto la tradizione dei padri inizia ad utilizzare il termine “mysterion” per riferirsi alle celebrazioni dei cristiani. In occidente è con Tertulliano che la traduzione di mysterion con sacramentum è definitivamente sancita con Tertulliano: la traduzione latina in mysterium continua ad esistere riferita al piano storico-salvifico, mentre per i riti si utilizza il termine sacramentum, la cui origine è giuridica. Il sacramentum infatti denotava il giuramento militare o comunque un atto pubblico che impegnava la persona. E’ chiaro il passaggio: da una nozione storico-salvifica complessa si passa ad un vocabolario legato alla puntualità del rito e ai suoi “effetti”. Nasce dunque già una prima difficoltà a definire il sacramento: dal punto di vista linguistico la tradizione occidentale attinge ad una semantica “compromessa” dove il termine viene staccato dal suo tessuto storico neotestamentario e inteso in senso puntuale. Inizia già quell’esodo dal regime fondamentale della fede dei riti cristiani che si consumerà con la modernità: la riflessione non si occuperà più di pensare al sacramento nel complesso della storia salvifica, ma si concentrerà sulla puntualità della celebrazione. E così il termine “sacramentum” inizia a definire qualcosa di più limitato rispetto al termine che esso traduce. b) Uso analogico e uso proprio della nozione. Attorno agli anni ’50, un po’ sotto la spinta del Movimento Liturgico che cercava di recuperare una certa centralità della nozione di sacramento per la fede, accade un fenomeno curioso: attorno alla parola “sacramento” alcuni autori riorganizzano tutta la teologia dogmatica. Ad inaugurare il tentativo è O. Semmelroth che estende la nozione di Sacramento alla Chiesa2. Schillebeeckx, istituendo un legame tra la sacramentarietà e la relazionalità, inizia a parlare di Cristo come di “sacramento dell’incontro con Dio”3. Rahner sistematizzerà la proposta: il parallelismo è questa volta con la nozione di “simbolo”. Poiché ogni ente è simbolico, la sacramentalità è la “legge fondamentale dell’ontologia” e la nozione di sacramento si presta per ripensare ad ogni trattato: la cristologia deve condurre all’idea di Cristo come “sacramento primario”, la Chiesa come “sacramento fondamentale” e i sette sacramenti come il modo più proprio di realizzarsi della sacramentalità della Chiesa. 1 RUFFINI E. – LODI E., «Mysterion» e «Sacramentum». La sacramentalità nei Padri e negli scritti liturgici primitivi, EDB, Bologna 1987. 2 O. SEMMELROTH, La Chiesa come sacramento di salvezza, in AA. VV., Mysterium salutis vol. VII, Queriniana, Brescia 1972, 377-437. 3 E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell’incontro con Dio, Paoline, Roma 1966. 1 La nozione di sacramento conosce così una estensione fino ad allora impensata: essa non è più legata ai riti della Chiesa, ma viene utilizzata per analogia per riferirsi ad una molteplicità di realtà. Nasce però il problema, entro l’utilizzo analogico, di quale sia l’analogante e di quale l’analogato. Di per sé, come abbiamo visto, l’idea di “sacramento” si affaccia nel linguaggio teologico legato alle celebrazioni dei riti cristiani. Negli autori citati invece sembra che il sacramento per eccellenza sia la Chiesa, o Cristo e, analogamente, si possa parlare di sacramento per i sette riti della Chiesa. L’estensione della nozione di sacramento e l’uso non sempre chiaro dell’analogia porta L. Boff a parlare di “Sacramenti della vita”4: il mozzicone della sigaretta del padre morente può essere espresso con l’idea di sacramento. Lo spostamento semantico si è quasi totalmente consumato: ai sacramenti propriamente detti si fa precedere una sacramentarietà diffusa, che nei sette riti della Chiesa giunge ad una forma eminente, ma non esclusiva. In questo caso l’analogante non è nemmeno cristo, ma una certa simbolicità diffusa di tutte le cose, in cui rientrerebbero i sacramenti. Se dobbiamo riconoscere che “Non abbiamo altra esperienza di Dio che quella dell’uomo”5, e dunque i riti della Chiesa non avrebbero senso se non entro una cornice antropologica di riferimento che li rende intelligibili, occorre anche riconoscere che l’uso esteso e indiscriminato della nozione di sacramento rende problematica la definizione di cosa ci sia in gioco nei riti cristiani: esiste uno specifico del sacramento cristiano? Oppure sono solo l’appendice di una sacramentalità diffusa? Si parte dall’eucaristia, dalla Chiesa, da Cristo o dalla natura per intendere cosa ci sia in gioco nella nozione di sacramento? 2. Segni efficaci della grazia: una fortunata, quanto problematica definizione Il catechismo della Chiesa cattolica fornisce questa definizione di sacramento: I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina. I riti visibili con i quali i sacramenti sono celebrati significano e realizzano le grazie proprie di ciascun sacramento. Essi portano frutto in coloro che li ricevono con le disposizioni richieste6. La definizione racchiude e restituisce con apprezzabile equilibrio tutti gli elementi che la tradizione teologica ha elaborato. La matrice della definizione è da ricercarsi nel Concilio di Trento, il quale sostiene che i sacramenti conferiscono le grazie che significano (cfr. Denzinger 1605). In gioco ci sono diverse questioni che richiedono di essere analizzate singolarmente: a) Segno. Agostino definisce i sacramenti come “segno sacro” (De civitate Dei, X, 5) che la tradizione agostiniana renderà con “rei sacrae signum”. Da lui in poi si parla di una “sacramentaria in genere signi”, nel senso che la nozione di segno diventa predominante per descrivere la realtà dei sacramenti. Ma cosa è da intendere per segno? Agostino pensa al segno come a una realtà intermedia, che avrebbe lo scopo di “portare a pensare altro”. In gioco abbiamo un significante (il segno) che rimanda ad un certo significato7. Pensare al sacramento come ad un segno significa ritenere che nel sacramento stesso ci sia una scissione tra quanto viene agito (il significante) e il contenuto (il significato). Il problema è la relazione tra i due termini. Agostino specifica come tra il segno sacramentale e ciò di cui il segno è sacramento debba esserci 4 BOFF L., I sacramenti della vita, Borla, Roma 1985. E. FALQUE, Métamorphose de la finitude. Essai philosophique sur la naissance et la résurrection, Cerf, Paris 2004, 37. 6 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1131. 7 «Il segno “porta a pensare”, “fa venire in mente”, e quindi implica quello che oggi definiamo un contenuto mentale, e che a sua volta rimanda a qualcos’altro, ossia a una realtà diversa dal segno stesso. […] L’accostamento delle due definizioni, di segno e di sacramento, implica che quest’ultimo abbia un significato, un “contenuto mentale”, che a sua volta rimanda alle cose divine intese come diverse dal sacramento stesso». G. BONACCORSO, Il dono efficace, 87. 5 2 un certo rapporto di somiglianza8. Tuttavia le due realtà restano distinte e «quando si considera il sacramento come segno, ossia in ordine alla realtà a cui rimanda, la sua qualità sacra sembra dipendere più dal contenuto che dalla forma»9. A ulteriore conferma di questo primato del significato intellettuale, Agostino opera una seconda distinzione: l’elemento (elementum) e la parola (verbum). Egli infatti sostiene: «Se togli la parola, che cosa è l’acqua se non acqua? Se a questo elemento si unisce la parola, si forma il sacramento, che è, a sua volta, come una parola visibile»10. È tematizzato un duplice sbilanciamento sul contenuto del sacramento: il suo essere segno implica che l’azione sensibile faccia da ponte per un contenuto e, nel confronto tra elemento e parola, l’accento sembra cadere su quest’ultima, in quanto più facilmente intelligibile. b) Efficacia. Dobbiamo invece a Tommaso l’introduzione dell’idea di “causalità” (e quindi di efficacia) all’interno della riflessione sacramentale. Egli infatti si domanda quale specificità abbia quel segno particolare che sono i sacramenti: i sacramenti sono segni che causano ciò che significano. Ma Tommaso stesso è consapevole della problematicità della nozione: come può una realtà essere causa di ciò che significa? Il fumo significa il fuoco, ma il significato non può essere causa: ne è l’effetto. Per questa ragione Tommaso ricorre ad una distinzione tra causa strumentale e causa efficiente: Cristo sarebbe la causa efficiente della grazia, di cui i sacramenti sarebbero la causa strumentale. In sé il ragionamento è gravido di spunti: la grazia che i sacramenti conferiscono non sono altra cosa rispetto al volere salvifico di Cristo di cui essi sono strumenti. Il problema è come accostare questa idea di causalità all’aspetto signitivo: in che senso la grazia viene causata nell’atto di significare? La soluzione è risolta nuovamente in una giustapposizione delle dinamiche antropologiche, risolte con troppa facilità in modo intellettualistico: spiegando in che senso la parola rappresenti la forma del sacramento, Tommaso sostiene che «le parole costituiscono la forma sacramentale per il loro significato»11. La parola come significante è dunque secondaria e in funzione del significato mentale a cui essa rimanda. In questo modo «il sacramento, proprio in quanto efficace, è marcatamente dipendente dall’intelletto»12: infatti la nozione generale di sacramento risente di una grossa ipoteca intellettualistica nella sua giustificazione e la struttura del sacramento viene definita attraverso il ricorso alla materia e alla forma con un’evidente propensione per la seconda (intesa a sua volta del tutto in funzione al contenuto mentale). Bonaccorso riassume in questi termini la questione: Lo scollamento tra segno e causa riproduce quello tra significante e referente e più radicalmente quello tra linguaggio e azione. È evidente come tale scollamento sia stato trascritto nella teologia del sacramento. Il sacramento è un segno, ma la sua efficacia è relegata all’unica vera causa che in un modo o nell’altro appartiene all’ordine del pensiero: anzitutto del pensiero o intenzione di Dio e, in seconda battuta del pensiero (intenzione) dell’uomo […]. L’efficacia del segno sacramentale è quindi relegata a un’azione che vale prevalentemente per la sua intenzione […]13. c) Istituzione. La tradizione pone una differenza tra i sacramenti e i sacramentali. Ambedue sono riti che conferiscono una qualche grazia, ma il discriminante sta esattamente nell’idea di istituzione: i sacramenti sono stati istituiti da Cristo, mentre i sacramentali hanno una istituzione ecclesiastica. 8 «Se infatti i sacramenti non avessero una certa somiglianza con quelle cose di cui sono sacramenti, non sarebbero affatto sacramenti». Cfr. AGOSTINO, Epistola 98. 9 G. BONACCORSO, Il dono efficace,Cittadella, Assisi 2010, 87. 10 AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni 80, 3. 11 Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa thaeologiae, p.III, q.60, a.8. 12 G. BONACCORSO, Il sacramento tra azione e linguaggio, in ATI, Sacramento e azione, Glossa, Milano 2006,107-141, qui 116. 13 G. BONACCORSO, Il sacramento tra azione e linguaggio 124-125. 3 Ma come è da intendere questa idea di istituzione? Registriamo nella storia due tendenze: - giuridica. Di fronte alle contestazioni della Riforma, la reazione prima apologetica e poi manualistica è consistita in una ricerca puntuale delle espressioni del NT in cui Cristo avrebbe giuridicamente istituito un sacramento. Per il Battesimo e l’Eucaristia l’operazione presenta una relativa semplicità. Anche per la penitenza tutto sommato è possibile ricavare delle espressioni evangeliche (ancora oggi si parla del “potere delle chiavi” in riferimento alla penitenza). Per l’unzione degli infermi il riferimento è alla lettera di Giacomo. Il sacramento dell’ordine sarebbe stato istituito il giovedì santo nel comando dato agli apostoli di fare memoria di Gesù mediante la cena. Qualche problema in più lo prestano il matrimonio e la cresima. Normalmente per il matrimonio si ricorre all’episodio di Cana e per la cresima all’episodio degli Atti degli apostoli (cap 8) in cui si parla dei Samaritani che, battezzati, non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo. Sono evidenti i limiti di questa impostazione giuridica: a parte il fatto che è difficile sostenere una volontà istitutiva di Cristo in tutti gli episodi citati, si rischia di pensare all’istituzione come ad un atto meramente positivistico. Rimarrebbero inevase una serie di domande: perché proprio questi sette sacramenti? Cosa è la grazia? Perché occorre un rito per averla? Che senso hanno i sacramenti nell’insieme della rivelazione? - ecclesiologica. Di fronte ai limiti della tendenza giuridica, qualcuno ha risposto con un’altra soluzione: è evidente nel NT la volontà istitutiva da parte di Cristo della Chiesa come sacramento fondamentale. E’ poi la Chiesa che si attua nei sacramenti. In sostanza l’istituzione dei sette sacramenti viene risolta nell’istituzione della Chiesa come abilitata ad istituire sacramenti. Ma anche questo modello non è del tutto convincente: si può escludere che nel NT esiste una forma di ritualità che appartiene all’evento cristologico? La cena e il battesimo ad esempio sono ricevuti dalla Chiesa, come qualcosa di cui essa non dispone. Anche su questo tema dell’istituzione urge un pensiero in grado di comprendere come questi sette segni appartengano all’innesco originario della fede. 3. Prospettive Gli elementi in gioco sono molteplici e possono essere riassunti in queste questioni: - occorre ripensare al legame tra mysterion e sacramento. - la sacramentaria deve fornire un’adeguata riflessione sul nesso tra sacramentalità e sacramenti, oltre un uso indiscriminato dell’analogia. La domanda è quale sia il sostrato antropologico dei sette riti della Chiesa. - la definizione tridentina presenta delle ambiguità che andranno chiarite. 4