ha pronunciato la presente sul ricorso numero di registro generale

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N. 01425/2014 REG.RIC.
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N. 02183/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01425/2014 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1425 del 2014, proposto da
Linda Corno, rappresentata e difesa dall’avv. Leonardo Salvemini,
con domicilio eletto presso il suo studio, in Milano, piazza Bertarelli
1;
contro
l’Azienda speciale servizi alla persona dei Comuni di Arconate,
Bernate Ticino, Buscate, Castano Primo, Cuggiono, Inveruno,
Magnago, Nosate, Robecchetto con Induno, Turbigo, Vanzaghello,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e
difeso dall’avv. Alessandro Albè, con domicilio presso la Segreteria
di questo Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia,
Sede di Milano, in Milano, via Filippo Corridoni, 39;
nei confronti di
Valentina Alberti, Monica Denna, Licia Mischiatti, Tania Pagano,
Paolo Guzzi, Cristina Cova, Daniela Bonitta, Simona Zanoni,
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15/10/2015
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Michela Bitetti, Ingrid Bienati, Marco Antonio Castiglioni,
Annamaria
Gentile,
Viviana
Colombo,
Francesca
Bellomo,
Alessandro Clementi, Sara Gaetana Candiani, Michela Tortelli,
Stefania Co’, Nadia Amigoni, Nicola Loconsole, Martina Ferrario,
Daniel Iaia, Elena Partito, Maria Adele Chiodini, Manuela Crespi,
Christian Bonini, Ilaria Genoni, Elisabetta Ferrario, Milena Pisoni,
Lidia Ronga;
per l’annullamento,
previa misura cautelare,
- dell’atto prot. dell’Azienda speciale resistente n. 936 del 04.03.2014,
con cui veniva pubblicata la graduatoria relativa alla selezione
pubblica per la copertura a tempo pieno e indeterminato del posto di
impiegato amministrativo - Ufficio Segreteria di Direzione Cat. 3
contratto UNEBA - 38 ore settimanali;
- dell’avviso di selezione prot. n. 183 del 17.01.2014, con cui veniva
indetta la selezione;
- dei verbali n. 1, 2, e 3 della commissione giudicatrice;
nonchè di ogni altro atto presupposto, conseguente, collegato e
connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda speciale servizi
alla persona dei Comuni di Arconate, Bernate Ticino, Buscate,
Castano Primo, Cuggiono, Inveruno, Magnago, Nosate, Robecchetto
con Induno, Turbigo, Vanzaghello;
Visti gli atti della causa;
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15/10/2015
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Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2015 il dott.
Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte ricorrente, premettendo di aver partecipato alla “Selezione
pubblica per la copertura a tempo pieno ed indeterminato del posto
di impiegato amministrativo – ufficio Segreteria di direzione Cat. 3
contratto UNEBA – 38 ore settimanali”, indetta dall’azienda
resistente, impugna gli atti in epigrafe, affidando il ricorso ai seguenti
motivi.
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 e dell’art. 35 del D. Lgs.
165/2001, dell’art. 39 della legge 449/1997, e dell’art. 18 del DL
112/2008. L’azienda speciale non si sarebbe mai dotata di un
apposito Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, e
non avrebbe adottato un piano annuale e triennale sul fabbisogno di
personale.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 2 bis, del D.
Lgs. 165/2001 e dell’art. 97 della Costituzione. L’azienda speciale
non avrebbe attivato la procedura di mobilità obbligatoria di cui
all’articolo 30, comma 2 bis, del D. Lgs. 165/2001, né avrebbe
motivato sul punto.
3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D. Lgs. 165/2001 e
dell’art. 4 del DPR 487/1994, del principio di pubblicità, par
condicio e partecipazione. L’estratto del bando di concorso non
sarebbe stato pubblicato sulla GURI, come sarebbe previsto
dall’articolo 4 del DPR 487/1994.
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4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 3 e 5, del DPR
487/1994, nonché del principio di pubblicità, trasparenza,
correttezza e imparzialità. Non sarebbe stata data comunicazione, ai
candidati ammessi alla prova orale, del voto conseguito nella seconda
prova, come sarebbe previsto dall’articolo 5 del DPR 487/1994.
5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D. Lgs, 165/2001 e
dell’art. 11 del DPR 487/1994, nonché del principio di pubblicità,
trasparenza e imparzialità. La commissione non avrebbe verbalizzato
una dichiarazione di insussistenza di situazione di incompatibilità tra
essa ed i concorrenti, come sarebbe previsto dall’articolo 11 del DPR
487/1994.
6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D. Lgs. 165/2001 e
dell’art. 12 del DPR 487/1994, nonché del principio di trasparenza,
imparzialità, par condicio e buona amministrazione; difetto di
motivazione. Parte ricorrente articola in questo motivo diversi ordini
di censure: a) nel bando mancherebbero previsioni da applicarsi in
caso di parità di punteggio fra due o più concorrenti, come sarebbe
previsto dall’articolo 3 del DPR 487/1994; b) nel bando non
sarebbero indicati criteri puntuali e specifici di valutazione; inoltre, la
mancata predisposizione di criteri inficierebbe la legittimità del voto
numerico della prova orale e della prova pratica; c) nella prova
pratica sarebbe stato predisposto un unico modello di prova, anziché
più modelli tra i quali sorteggiare il modello da porre a base
dell’esame; d) per la prova scritta e la prova orale sarebbe mancato
ogni adempimento tale da consentire l’anonimato degli elaborati; e)
nel bando non sarebbe stato fatto alcun riferimento alla legge
125/1991, sulla pari opportunità per l’accesso al lavoro.
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7. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D. Lgs. 165/2001 e
dell’art. 12, comma 1, del DPR 487/1994, nonché del principio di
trasparenza, imparzialità e buona amministrazione. Dal verbale
numero 3 del 21 febbraio 2014 non risulterebbe che la commissione,
prima dell’espletamento della prova orale, abbia accertato l’identità
dei candidati.
8. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del DPR 487/1994, del
principio di trasparenza e imparzialità, delle garanzie di originalità del
prodotto intellettuale del concorrente e del rispetto dei principi di
imparzialità, economicità e celerità nello svolgimento della selezione.
Tutti gli elaborati relativi alle prove di concorso sarebbero stati svolti
su fogli privi di timbrature e firma, ciò che implicherebbe la loro
nullità.
9. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D. Lgs. 165/2001 e
dell’art. 13 del DPR 487/1994, nonché del principio di pubblicità,
trasparenza e imparzialità. Le prove orali del 19, 20 e 21 febbraio
2014 si sarebbero svolte in un’aula chiusa ed i concorrenti sarebbero
stati chiamati singolarmente ed interrogati a porte chiuse senza che
nessun altro soggetto potesse assistere.
10. Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del DPR 487/1994 e
del principio di trasparenza, imparzialità e correttezza, delle garanzie
di parità di trattamento dei concorrenti alla selezione. Sarebbero state
violate le norme a presidio dell’anonimato degli elaborati, sui quali
sarebbe anche stato apposto il nominativo di ciascun candidato.
L’azienda intimata si è costituita, spiegando difese in rito e nel
merito.
Con decreto cautelare 8 maggio 2014, n. 599, questa Sez. III ha
accolto la domanda di misure cautelari monocratiche; con ordinanza
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4 giugno 2014, n. 746, questa Sezione III ha ordinato che l’Azienda
resistente fornisse copia conforme delle prove scritte sostenute dai
candidati, nonché documentati chiarimenti in ordine alle modalità
automatizzate di correzione delle prove scritte.
L’Azienda resistente ha adempiuto all’ordinanza depositando in data
12 giugno 2014 quanto ordinatole.
Con ordinanza 2 luglio 2014, n. 910, questa Sezione III – rinviando
alla fase di merito la delibazione della sussistenza della giurisdizione
di questo Giudice Amministrativo sulla procedura selettiva di cui si
tratta, anche con riferimento alla valutazione dell’esatta natura
giuridica dell’Azienda resistente – ha rigettato la domanda cautelare,
sul presupposto che, pur apparendo il ricorso, ove in ipotesi
sussistente la giurisdizione, assistito da consistenti profili di
fondatezza in relazione al decimo motivo, con cui si lamentava che
sull’elaborato di ciascun candidato fosse stato apposto il nominativo,
tuttavia non sussistesse il periculum in mora, anche alla luce della
circostanza che parte ricorrente si era posizionata quinta in
graduatoria e che i motivi di ricorso puntavano al radicale
travolgimento della procedura, la cui eventuale rinnovazione di per
sé non avrebbe dato a parte ricorrente alcuna garanzia di vittoria.
Con la stessa ordinanza 910/2014 la Sezione ha altresì ordinato alla
ricorrente di integrare il contraddittorio in relazione a tutti i candidati
utilmente collocatisi in graduatoria, cui non fosse già stato notificato
il ricorso, ed ha fissato per la trattazione del merito la prima udienza
pubblica del mese di giugno 2015.
Parte ricorrente ha quindi provveduto alla integrazione del
contraddittorio.
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All’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2015 la causa è stata
trattata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, occorre valutare la sussistenza della giurisdizione di
questo Giudice Amministrativo.
Parte ricorrente ha sostenuto dapprima che l’azienda resistente
avrebbe natura di ente pubblico economico, ma che la procedura di
selezione di cui si tratta ricadrebbe nell’ambito della giurisdizione del
Giudice Amministrativo in ragione del mutamento dell’orientamento
giurisprudenziale consolidato in tema di concorsi espletati dagli enti
pubblici economici originato dalla sentenza del Consiglio di Stato,
Sez. V, 20 febbraio 2014, n. 820 (ricorso, pag. 4 e ss);
successivamente, sulla scorta della sentenza del Consiglio di Stato,
Sez. III, 10 aprile 2015, n. 1842, ha dedotto che si tratterebbe di ente
pubblico non economico, cui si applicherebbe la normativa
pubblicistica in tema di concorsi (memoria depositata il 30 aprile
2015, pag. 5; memoria depositata il 21 maggio 2015, pag. 3).
L’azienda resistente, sul presupposto della sua natura di ente
pubblico economico, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per
difetto di giurisdizione, da un lato ritenendo condivisibile il
tradizionale
orientamento
giurisprudenziale
secondo
cui
le
valutazioni compiute in sede di selezione del personale da assumere
da parte di tali enti costituirebbero esercizio di capacità e poteri di
matrice privatistica (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2012,
n. 712; Cass. civ., SU, 6 febbraio 1998, n. 1274).
Dall’altro lato, l’azienda resistente ha dedotto che la citata sentenza
820/2014 si riferirebbe ad una fattispecie diversa da quella oggetto
dell’odierno ricorso (in tale caso, il concorso non sarebbe stato
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bandito da un’azienda speciale, ma direttamente da un Comune), e
che comunque sarebbe sorretta da argomenti non convincenti nella
parte in cui fa riferimento a profili (responsabilità per danno erariale)
che nulla avrebbero a che vedere con la tematica della giurisdizione
in tema di concorsi per il personale delle aziende speciali; con
riferimento alla citata sentenza 1842/2015, ha dedotto che essa si
riferirebbe ad un diverso contesto ordinamentale, prevedendo lo
statuto dell’azienda speciale, nel caso oggetto della relativa
controversia, l’obbligo per l’ente territoriale di ripianare eventuali
debiti dell’azienda, in maniera da assicurare il pareggio di bilancio;
analoga previsione mancherebbe invece nello statuto dell’azienda
odiernamente resistente.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che la presente controversia
ricada
nell’ambito
della
giurisdizione
di
questo
Giudice
Amministrativo.
In proposito, occorre muovere dalla ragione che sta al fondo della
scelta di ritenere che gli enti pubblici economici siano sottratti alle
normative pubblicistiche.
Tale ratio di sistema è ben evidenziata in alcune sentenze, ormai
risalenti nel tempo, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione,
secondo cui «…le aziende municipalizzate, cui sono da assimilare quelle
consortili, costituite a norma del R.D. 2578-1925, rientrano nella più ampia
categoria degli enti pubblici economici; l’inquadramento si fonda sul rilievo che
esse non esercitano poteri di supremazia ed agiscono come privati imprenditori su
un piano paritetico con i soggetti cui vengono in relazione (S.U. 3 dicembre 1996
n.10796; S.U. 2 dicembre 1992 n. 12867)…» (Cass. civ., SU, 6 febbraio
1998, n. 1274); analogamente, Cass. civ., SU, 3 dicembre 1996, n.
10796, secondo cui le controversie inerenti al rapporto di lavoro del
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personale delle aziende municipalizzate, ancorché investano la
legittimità degli atti e dei comportamenti relativi allo status del
dipendente ed alla sua carriera, spettano alla giurisdizione del giudice
ordinario «…in considerazione del carattere privatistico del rapporto stesso e dei
poteri esercitati da dette aziende, analoghi a quelli di qualsiasi altro imprenditore
(Cass., Sez. Un., 13 dicembre 1991, n. 13452)…»; più recentemente,
Cass. civ., SU, Ordinanza 17 aprile 2007, n. 9095, secondo cui «…
l’istituto riveste natura di ente pubblico economico in quanto - mediante una
struttura imprenditoriale e con criteri di gestione a carattere economico - opera nel
settore del credito per il perseguimento di finalità di ordine generale, agendo come
un privato imprenditore posto su piano paritetico con i soggetti con cui viene in
relazione…».
Tale ratio è coerente con gli approdi in tema di riparto della
giurisdizione cui è pervenuta la giurisprudenza amministrativa a
partire dalla sentenza della Corte costituzionale 204/2004 (si rinvia,
in tema di riparto di giurisdizione, a Cons. Stato, Sez. III, 2 settembre
2014, n. 4460), e nel cui solco si colloca la citata sentenza 820/2014.
A fini interpretativi, tale sentenza 820/2014 deve essere letta insieme
con la successiva sentenza, sempre della Sezione V del Consiglio di
Stato, 8 giugno 2015, n. 2794, a cui il Collegio rinvia, anche ai sensi
dell’art. 88, comma 2, lett. d), cpa.
Attraverso una puntuale analisi della precedente sentenza 820/2014,
la sentenza 2794/2015 precisa infatti l’orientamento della Sezione in
tema di procedure selettive per l’individuazione del personale da
assumere da parte di aziende speciali e società partecipate pubbliche,
giungendo ad affermare che «…ciò che è essenziale per radicare la
giurisdizione del giudice amministrativo in materia di procedure concorsuali per
l’assunzione di personale è la riconducibilità dell’atto o del comportamento
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all’esercizio di pubblici poteri…», cosicchè, laddove sia possibile
escludere che l’azienda – indipendentemente dalla circostanza che
abbia veste societaria – svolga funzioni amministrative proprie
dell’ente pubblico che l’abbia istituita, si radichi la giurisdizione del
Giudice Ordinario.
Tale orientamento – secondo cui criterio decisivo ai fini del riparto
di giurisdizione nella materia di cui si tratta è l’esercizio di un potere
pubblicistico – ha una valenza sistematica che il Collegio condivide
pienamente, perché in linea con gli approdi in tema di riparto della
giurisdizione cui è pervenuta la giurisprudenza amministrativa a
partire dalla sentenza della Corte costituzionale 204/2004 (si rinvia,
in tema di riparto di giurisdizione, a Cons. Stato, Sez. III, 2 settembre
2014, n. 4460).
Tale impostazione sistematica appare – tra l’altro – coerente, oltre
che con le normative di stampo pubblicistico citate nelle due
sentenze 820/2014 e 2794/2014, anche con l’art. 409 cpc, laddove
prevede che «…Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie
relative a: (…) 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono
esclusivamente o prevalentemente attività economica…», disposizione
espressamente richiamata in pronunce del Giudice Amministrativo
declinatorie della giurisdizione, sul presupposto che «…gli enti pubblici
economici operano mediante una struttura imprenditoriale e con criteri di gestione
a carattere economico, seppure per il perseguimento di finalità di ordine generale e
quindi, al pari di ogni privato imprenditore, sono posti su piano paritetico con i
soggetti con cui vengono in relazione (ex multis T.A.R. Basilicata 31 luglio
2014 n. 515)…» (TAR Lazio – Latina, Sez. I, 28 novembre 2014, n.
1022).
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Sebbene quindi, in tema di individuazione della qualificazione in
senso pubblicistico o meno di un ente, si sia passati nel tempo da
una concezione sostanzialistica degli elementi sintomatici (quali
l’attribuzione ex lege di poteri amministrativi in senso tecnico o di
compiti specifici di cura di interessi pubblici) ad una concezione che,
senza abbandonare la prima, si presenta più fondata su indici formali
esteriori (individuati nella disciplina organizzativa concernente la
persona giuridica, quali la veste giuridica, il potere di nomina o
revoca degli amministratori, il potere di controllo sul funzionamento
degli organi o sulla legittimità degli atti, la previsione di finanziamenti
stabili, ecc.), il criterio fondamentale su cui basarsi è, ora come allora,
l’esercizio di un potere di matrice pubblicistica, senza che assuma
dignità di criterio autonomo, svincolato da altri, quello della veste
giuridica dell’ente, costituente un indice di per sé solo non decisivo, e
da valutare insieme con altri.
E’ in tale ottica che va quindi letta la giurisprudenza secondo cui
l’indagine rivolta a stabilire se un ente sia o meno un ente pubblico
economico debba essere compiuta avendo riguardo «…alla struttura
giuridica ed al modo in cui l’ente esercita la propria attività finalizzata al
perseguimento degli scopi statutari, senza che assuma all’uopo rilievo decisivo
l’oggetto dell’attività esercitata…» (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2012,
n. 712).
Tale giurisprudenza si limita infatti a puntualizzare, come, ai fini della
individuazione della qualificazione pubblicistica o meno dell’ente (e
della sua sottoposizione alle normative di stampo pubblicistico) sia
irrilevante l’oggetto della attività dell’ente.
In tal senso, può essere ritenuta condivisibile anche la precisazione
del Consiglio di Stato, attinente alla presente controversia perché in
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tema di servizi sociali, secondo cui «…qualsiasi attività, anche quella
istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di
rilevanza economica - attività e servizi, per lo più connotati da significativo rilievo
socioassistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute,
anziché del perseguimento di profitto d’impresa, le cui spese per lo più fanno
carico alla finanza pubblica e la cui disciplina è normalmente diversa da quella
dei servizi a rilevanza economica -, può essere svolta in forma d’impresa, purché
vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli
operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative
prestazioni…» (Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488).
Ciò però non ha alcuna ridondanza sul criterio interpretativo
fondamentale in tema di qualificazione in senso pubblicistico o meno
di un ente che (salvi i casi residuali di norme di rango legislativo che
attribuiscano espressamente funzioni pubbliche a soggetti privati) è,
e resta, quello dell’esercizio di un potere di matrice pubblicistica.
Tanto premesso in termini generali, giovano, ai fini del decidere la
presente controversia, alcune puntualizzazioni in ordine al quadro
normativo regolante la fattispecie.
Lo Statuto dell’azienda resistente recita:
- all’art. 1, comma 1: «…Fra i comuni di (…) ai sensi dell’art. 114 del d.
lgs. 267/2000 è costituita, a seguito di specifica convenzione, un’azienda speciale
per i servizi alla persona…»;
- all’art. 1, comma 2: «…L’azienda é ente strumentale dei Comuni aderenti
indicati al comma 1 ed è dotata di personalità giuridica e di autonomia
gestionale…»;
- all’art. 3, comma 1: «…Scopo dell’azienda é l’esercizio di attività di
programmazione ed erogazione di servizi di natura sociale, socio-assistenziale e
sociosanitaria integrata e - più in generale - di servizi alla persona conferiti dagli
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Enti soci, ivi compresi interventi di formazione consulenza concernenti le attività
dell’azienda o aventi finalità di promozione sociale dei cittadini nel territorio…»;
- all’art. 3, comma 5: «…L’erogazione e la gestione dei servizi e delle attività
sono finalizzate ai seguenti obiettivi: a) Rafforzamento della capacità d’intervento
dei Comuni associati, attraverso la creazione di un nuovo soggetto gestore con
piena autonomia giuridica e gestionale capace di realizzare una Rete Locale
Integrata di servizi e di razionalizzare su base territoriale la loro erogazione…»;
- all’art. 14, rubricato Criteri di partecipazione alla spesa: «…
L’Azienda provvede al proprio finanziamento principalmente a mezzo dei
contratti di servizio che ciascun ente stipula con l’Azienda sulla base dei criteri
definiti dall’Assemblea…»;
- all’art. 15: «…L’Azienda ha facoltà di vendere prestazioni e servizi a soggetti
terzi nella misura in cui la produzione di tali servizi non divenga prevalente
rispetto all’attività istituzionale e nei limiti delle norme vigenti…».
L’articolo 114 del D. Lgs. 267/2000, espressamente richiamato dallo
Statuto quale fonte normativa della costituzione dell’azienda
resistente, prevede, ai primi due commi: «1. L’azienda speciale è ente
strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia
imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o
provinciale (…) 2. L’istituzione è organismo strumentale dell’ente locale per
l’esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale…».
Nel caso di specie, non è in dubbio, attese le chiare disposizioni di
cui agli artt. 3, comma 1, 14, comma 1, e 15 dello Statuto dell’azienda
resistente,
che
l’attività
di
questa
abbia
ad
oggetto
la
“programmazione ed erogazione” di servizi sociali ai cittadini dei
comuni associati, che tale attività sia finanziata mediante versamenti
da parte dei Comuni associati e che tale attività sia prevalente
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rispetto ad una – eventuale – attività di vendita di prestazioni e
servizi a terzi.
Peraltro, ciò appare confermato dalla lettura delle informazioni
contenute nel sito internet dell’azienda resistente, secondo cui
risultano gestiti dalla azienda resistente «…per nome e per conto dei
Comuni…» i servizi: Segretariato sociale, sociale di base, minori e
famiglia, affidi, educativo minori, Progetto Pedagogia, integrazione
lavorativa, Trasporto disabili presso i CDD del territorio, Assistenza
domiciliare anziani e disabili a mezzo voucher sociale, Mediazione
culturale, Sportello stranieri, Sportello Assistenti familiari, Ufficio di
piano (pagina web “Gli interventi di Azienda Sociale e gli standard di
qualità
dei
servizi”,
all’indirizzo
web
http://www.aziendacastano.it/azcastanoportalnew/content/it/interventi).
In particolare, i compiti del servizio denominato “Ufficio di piano”
sono così indicati: «E’ un organo tecnico, composto dai Responsabili di Area
di Azienda Sociale e dai Funzionari dei Servizi Sociali dei Comuni dell’Ambito
del Castanese, che collabora con l’organismo politico (Sindaci dei Comuni di
Arconate, Bernate Ticino, Buscate, Castano, Cuggiono, Inveruno, Magnago,
Nosate, Robecchetto con Induno, Turbigo e Vanzaghello) per elaborare gli
indirizzi e gli obiettivi di politica sociale e curare l’attuazione di quanto previsto
nel Piano di Zona, “il piano regolatore” degli interventi e servizi sociali del
territorio…» (indirizzo web http://www.aziendacastano.it/azcastanoportalnew/content/it/ufficio-di-piano).
Ne risulta che tali servizi sono svolti in luogo dei Comuni, che li
hanno delegati alla azienda resistente; in particolare, risulta che
l’Ufficio di piano dell’azienda resistente svolga funzioni di
programmazione in materia di servizi sociali dei comuni associati.
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Quindi l’azienda resistente:
a) svolge funzioni amministrative proprie dei Comuni associati
(attività delegata dai Comuni ed attività di pianificazione dei servizi),
attività caratterizzata dall’esercizio di poteri amministrativi in quanto
naturalmente
connotata
da
discrezionalità
amministrativa
e
possibilità di incidere unilateralmente ed autoritativamente su
posizioni soggettive dei cittadini;
b) non risulta agire come privato imprenditore su un piano paritetico
con altri soggetti, se non limitatamente alla attività – eventuale e
comunque espressamente prevista, per statuto, come non prevalente
– diversa da quella delegata dai Comuni associati, espressamente (e
significativamente) qualificata dallo statuto come “istituzionale”;
c) trae la parte prevalente delle proprie risorse finanziarie dai
corrispettivi erogati dai Comuni associati per l’espletamento della
funzioni da questi delegate.
Ne consegue che l’azienda resistente non è un ente pubblico
economico, dovendo invece essere inquadrata fra gli enti pubblici
non economici di livello locale di cui all’articolo 1, comma 2, del D.
Lgs. 165/2001, con conseguente sua integrale sottoposizione, in
materia di selezione del personale da assumere, alle normative
pubblicistiche in materia di concorsi, che trovano la loro fonte a
livello primario nell’articolo 97, comma 4, della Costituzione, e
radicamento della giurisdizione del Giudice Amministrativo (Cons.
Stato, Sez. III, 10 aprile 2015, n. 1842).
Tanto premesso in tema di giurisdizione, nel merito, assorbiti ogni
motivo o censura non espressamente delibati, è fondato il decimo
motivo, nella parte in cui viene lamentata violazione del principio di
anonimato.
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Risulta infatti, dalla documentazione inviata dall’azienda resistente in
adempimento dell’istruttoria disposta con la citata ordinanza
746/2014, che le prove scritte consistevano in un quiz a risposta
multipla redatto su un modulo contenente, fra l’altro, una riga in
testa al compito su cui apporre il nome e cognome del candidato ed
una in calce, su cui apporre la firma del candidato; gli elaborati
trasmessi (depositati in data 12 giugno 2014 da n. 21 a n. 85)
riportano tutti, tranne il n. 63, sulla riga in testa al modulo il
nominativo del candidato, e riportano tutti in calce la firma del
candidato.
Ciò risulta violare platealmente il principio di anonimato delle prove,
che costituisce principio generale (e fondante) in tema di selezioni
pubbliche, sì da dover essere osservato, in ragione del disposto
dell’art. 18, commi 1 e 2, del D. Lgs.112/2008, anche nelle selezioni
effettuate dalle società a partecipazione pubblica.
Né a diversa conclusione possono portare le argomentazioni
difensive dell’azienda resistente secondo cui le modalità della prova
(quiz a risposta multipla) escluderebbero qualunque discrezionalità
dell’amministrazione, atteso che tali modalità non consentono di
escludere la possibilità che soggetti diversi dal candidato, resi edotti
del nominativo del candidato apposto in testa all’elaborato, abbiano
provveduto a riempire una o più domande lasciate in bianco.
Sul punto, è il caso di ricordare come l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato abbia, con sentenze 20 novembre 2013, nn. 26, 27
e 28, enunciato il seguente principio di diritto: «Nelle prove scritte dei
pubblici concorsi o delle pubbliche selezioni di stampo comparativo una violazione
non irrilevante della regola dell’anonimato da parte della Commissione determina
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de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare
in concreto l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione».
Nel corpo delle sentenze, peraltro, l’Adunanza Plenaria ha fra l’altro
preso in esame – ritenendolo non condivisibile – l’indirizzo
giurisprudenziale secondo cui la violazione dell’anonimato in un
procedimento amministrativo relativo a un concorso sarebbe
irrilevante ove la prova concorsuale consistesse nella soluzione di
quesiti a risposta multipla e non risultassero, perciò, riconosciuti
all’amministrazione margini di discrezionalità valutativa, qualora non
fosse fornita prova del fatto che l’osservanza della regola
procedimentale dell’anonimato avrebbe determinato un differente
esito procedimentale.
Ciò fa ritenere non condivisibile la giurisprudenza citata dall’azienda
resistente nella memoria del 5 maggio 2015, anteriore alle citate
pronunce della Adunanza Plenaria.
Con riferimento poi alla sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio
2015, n. 315, anch’essa ivi citata e posteriore alle sentenze della AP
26, 27 e 28, il Collegio ritiene che essa riguardi diversa fattispecie.
In tal caso infatti, i candidati erano stati invitati dalla commissione a
deporre il proprio documento di identità in evidenza sul banco, in
modo che potesse essere consultato dai membri della commissione
in ogni momento, sicché i commissari avrebbero potuto venire a
conoscenza dell’abbinamento tra il nominativo del candidato
ricavabile dalla carta d’identità ed il codice segreto leggibile sui fogli
della prova di concorso su cui i candidati dovevano lavorare; il
Consiglio di Stato ha quindi ritenuto non violabile, nemmeno in
astratto, il principio dell’anonimato perché «... in applicazione di
massime di comune esperienza, le complesse caratteristiche grafiche del codice
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segreto assegnato a ciascun candidato (costituito da un codice a barre e da una
serie alfanumerica) rendevano del tutto remota la possibilità di una relativa
memorizzazione in funzione di un successivo abbinamento col nominativo del
candidato, anche tenuto conto dell’elevato numero dei candidati e della circostanza
che la sorveglianza in aula non era eseguita solo dai commissari, ma anche dai
componenti del comitato di vigilanza, aventi la funzione esclusiva di vigilare sul
corretto svolgimento della prova preselettiva ed estranei alla commissione. Peraltro,
nella specie non v’era possibilità alcuna per i commissari né di influire sulla
predisposizione dei quesiti oggetto di prova - predisposti, ai sensi dell’art. 2 d.m.
28 giugno 2012, n. 196, direttamente dal M.i.u.r. -, né di influire sulla
correzione degli elaborati, affidata esclusivamente al consorzio interuniversiatrio
Cineca, con modalità elettroniche, il quale era, altresì, incaricato della
predisposizione dei plichi destinati a ciascun candidato, della stampa dei fogli di
istruzione per la compilazione del modulo-risposte e della determinazione del
punteggio relativo ad ogni modulo-risposte fornito dai candidati, con
comminatoria di nullità della prova, qualora la scheda anagrafica fosse inserita
nella busta destinata al Cineca o la busta contenente il modulo-risposte risultasse
firmata o contrassegnata dal candidato…».
Nel caso di specie, invece, il nominativo dei candidati era indicato
per esteso e in chiaro in testa agli elaborati, ed i quesiti erano stati
predisposti e corretti dalla commissione d’esame.
Da tali motivi l’accoglimento del ricorso ed il conseguente
annullamento della selezione, con la precisazione che l’effetto
conformativo della presente sentenza implica, in caso di riedizione
del potere, l’integrale rispetto delle normative pubblicistiche in tema
di concorsi.
Il Collegio reputa opportuno mandare alla Segreteria per la
trasmissione della presente sentenza alla Procura regionale della
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Corte dei conti della Lombardia per le proprie valutazioni in ordine
alla eventuale sussistenza di ipotesi di responsabilità erariale.
Le spese seguono la soccombenza, venendo liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione
III), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto: a) lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati; b)
manda alla Segreteria per la trasmissione della presente sentenza alla
Procura regionale della Corte dei conti della Lombardia per le
proprie valutazioni in ordine alla eventuale sussistenza di
responsabilità erariale; c) condanna l’azienda speciale resistente al
pagamento, nei confronti di parte ricorrente, delle spese processuali
del presente grado di giudizio, che liquida, in via equitativa, in
complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge,
nonché alla rifusione del contributo unificato corrisposto da parte
ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità
amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio del giorno 11 giugno
2015 e del giorno 24 settembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Antonio De Vita, Primo Referendario
Diego Spampinato, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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