LDB Nel mondo contemporaneo l’area della non credenza si allarga ogni giorno di più e, anche nell’ambito di coloro che si dicono credenti, si stanno diffondendo i comportamentitipicidell’ateo pratico.L’ateismosipresenta comel’elementounificantedi culture e concezioni filosofiche spesso profondamente diverse tra loroedèriuscitoainsinuarsi in alcune teologie, come quelledellamortediDio. In una rivisitazione complessiva dell’ateismo nella sua evoluzione storica, Roberto Timossi analizza il pensiero dei principali negatori dell’esistenza di Dio e della religione (da D’Holbach a Feuerbach, da Nietzsche a Heidegger, da Sartre a Foucault, da Meslier a Proudhon, da Stirner a Marx, da Bloch ad Adorno, da Sade a Freud, da Schopenhauer a Leopardi e Camus,daRussellaCarnape Ayer), dedicando un’attenzione particolare agli atei «scientifici» e ai cosiddetti atei moderni, perchénegliultimidecennisi è diffusa una forma di ateismo che vede come protagonisti molti celebri uomini di scienza, quali Steven Weinberg, Richard DawkinseStephenHawking. Nel segno del nulla offre dunque una visione completa dell’orizzonte ateo e un’interpretazione delle direttrici principali dell’ateismo alla luce dell’attuale condizione umana, perché di fronte a ogni singolo uomo si pone semprelaquestionedelsenso dell’esistenza, del confronto con il rischio dell’assurdo e delnulla. ROBERTO GIOVANNI TIMOSSI è un filosofo da tempo impegnato principalmente sulle «questioni di frontiera» e quindi a sviluppare il confrontointerdisciplinaretra filosofia,teologia,religionee scienza.ViveaGenovaesiè dedicato in particolare ai problemi dell’esistenza di Dio, della razionalità della fede e dell’ateismo nel loro rapporto con le moderne conoscenze scientifiche. Collabora con diversi quotidiani e fa parte del ComitatoscientificodiSISRI (Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare). Ha pubblicatoDioèpossibile?Il problema dell’esistenza di un’Entitàsuperiore;Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa; Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel; L’illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio; Imparare a ragionare. Un manuale di logica; Decidere di credere. Ragionevolezza dellafede. Biblioteca Incopertina:KazimirMalevič,Black Circle,1915,MuseodiStatoRusso, SanPietroburgo ©2015Lindaus.r.l. corsoReUmberto37-10128Torino Primaedizione:gennaio2015 ISBN978-88-6708-378-7 RobertoGiovanni Timossi NELSEGNO DELNULLA Criticadell’ateismo moderno NELSEGNODEL NULLA Contro ogni Dio, l’ateismo asserisce e fonda la sua causa con sicurezza incrollabile e trionfale. Negare l’ateismo è cadere nell’allucinazione, nella pazzia, nella mentalità corpuscolare dei bambini e dei selvaggi. GiuseppeRensi,Apologia dell’ateismo Prefazione Uno spettro si aggira per il mondo globalizzato: lo spettro dell’ateismo. Parafrasando un famoso incipit di Marx ed Engels, si puòdescriveresinteticamente così l’estensione crescente nella nostra epoca della non credenza, che le ricerche più accreditate stimano ormai intorno al miliardo di persone. L’ateismo appare sempre più come la caratteristica unificante di diverse culture e concezioni filosofiche perché sembra costituire l’unico terreno comune di indirizzi di pensiero e di azione distanti tra loro, se non addirittura contrapposti, che possono andare dalle filosofie analitiche a quelle continentali, dal neopositivismo all’ermeneutica, dallo strutturalismoallostoricismo, dall’esistenzialismo al pragmatismo,dalnaturalismo alla fenomenologia, per giungereainteressareperfino alcune teologie come quelle dellamortediDio. Nelloscenarioquantomai incerto seguito alla fine delle grandi ideologie laiche sorte dall’Illuminismo e più di recente dominato dalla «condizione postmoderna», l’elemento accomunante consiste infatti spesso nel dichiararsiateiononcredenti e nel considerare indifferente o superfluo il problema di Dio.Nell’etàdelpluralismoe del relativismo dei punti di vista e delle idee, l’ateismo cercadiimporsicomel’unico postulatodiordinegeneraleo perlomeno come una delle poche convinzioni umane davverotrasversali. Essendo oggi la scienza moderna un faro di riferimento obbligato per il progresso della conoscenza umana, non manca chi pretendediassumereilsapere e i metodi scientifici quali sistemi interpretativi universali, capaci cioè di spiegare e risolvere questioni esistenziali come quella del significato della vita e questioni etiche come l’originedelbeneedelmale, rendendo metodologicamente inutile l’ipotesi dell’esistenza diDio.SièaffermatanelXX secolo una maniera di essere atei strettamente collegata con la ricerca scientifica e con la filosofia della scienza, che ha trovato in molti scienziati e filosofi dei convinti e autorevoli teorici, per altro anche piuttosto aggressivi e motivati, come Steven Weinberg, Richard DawkinseDanielC.Dennett. L’ateismo moderno è tuttavia in primo luogo una manifestazionepratica,valea dire un modo concreto di vivere nel quotidiano etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse), magari talvolta dichiarandosi ancora credenti e perfino appartenenti a una specifica confessione religiosa. L’attuale diffuso atteggiamento ateo è sicuramente uno dei prodotti della secolarizzazione e degli effetti di uno stile di vita disincantato rispetto al trascendente, nonché predisposto dai progressi della tecnologia e dalle banalizzazioni del consumismo a cogliere maggiormente o preferibilmente le esigenze pratiche piuttosto che quelle teoretiche o di valenza superiore. Sia pure con posizioninonsempretraloro convergenti, tale processo è stato a suo tempo colto nel suo generarsi e nei suoi riflessi filosofici da due pensatori italiani come Cornelio Fabro e Augusto DelNoce.Partendodalleloro analisi e spingendoci oltre, possiamo oggi vedere bene come l’ateismo contemporaneoiniziatoconil pensiero moderno abbia percorso una parabola che dall’esaltazionedell’uomofin quasi alla divinizzazione l’ha condotto a esiti oggettivamentenichilistici. Da un simile angolo visuale l’ateismo attuale può essere interpretato come il segno della crisi della modernità e della postmodernità, come la condizione in cui l’essere umanoallafinesiritrovasolo a tu per tu con la prospettiva del nulla. È evidentemente difficile rassegnarsi a questa conclusione;maseesisteuna via di uscita, siamo convinti possa essere conseguita soltanto dopo un’indagine critica delle ragioni dell’ateismo. RobertoGiovanniTimossi 1 Lasfidadello«stolto» 1.«Deusnonest!» A molti credenti l’esistenza di Dio appare come un fatto scontato che non ha bisogno di essere dimostrato. Il loro rapporto con il divino è talmente interiore e profondo da non sentireneppurelanecessitàdi acquisire delle prove per ciò in cui credono, ma semplicemente lo vivono con trasporto e partecipazione. Nel caso dei mistici poi, la relazione con Dio è tanto direttadafarlorosembraredi percepirne fisicamente la presenza, di averne in estasi unachiaravisione,disentirlo dentro di sé e di diventare addirittura una cosa sola con Lui. Così predicava ad esempio Meister Johannes Eckhart (1260-1328), un grandemisticocristianoperil quale Dio e il singolo uomo credente diventano un’unica realtà:«L’uomodevecogliere Dioinognicosaeabituareil proprio spirito ad aver Dio sempre presente in sé. […] Ma l’uomo in cui Dio non abita veramente, e che deve cercare Dio all’esterno, in questa cosa e in quest’altra, […] non possiede Dio»1. In espressioni come queste qualcuno ha voluto leggere perfino una forma di panteismo, ma forse è eccessivo; di certo siamo in presenza di un misticismo fortemente speculativo, che nega ogni intromissione tra l’anima umana e il divino («Qualsiasi mediazione è estranea a Dio»)2 e dà per acquisita la presenza di Dio con la stessa spontaneità con cui ciascuno di noi ritiene certa l’esistenza del mondo esterno. Se analizziamo con un minimo di attenzione questo mododicredereneldivino,ci rendiamo facilmente conto che si tratta di una manifestazione a carattere soggettivo, estremamente importante per chi l’esperisce, ma palesemente inadeguata ad avvalorare in manieraobiettivaeuniversale l’effettiva esistenza di Dio; a fornire cioè punti di confronto intersoggettivi ancheacolorochenonhanno la fortuna di viverla direttamenteepersonalmente. Pur meritando il nostro massimo rispetto, siamo infatti al cospetto di vicende del tutto peculiari e individuali, che risultano spesso inesprimibili col linguaggio umano e quindi difficilmente comunicabili al prossimo,speciesesitrattadi intuizioni; e non a caso quanto accomuna i mistici di qualsiasireligioneocredenza è la convinzione della ineffabilità della loro personale esperienza, tanto essarisultatotalmentediversa dalle normali esperienze umane. Al di fuori di queste forme soggettive o personali dicredenzainunEntedivino, l’esistenza di Dio è tutt’altro cheimmediatamenteevidente allaragioneumana.Essanon puòinfattiritenersiunaverità intuitiva per il sapere umano allo stesso modo della necessaria presenza di due genitori naturali per ciascun individuo della nostra specie o del fatto che siamo tutti mortali; esige pertanto di venire adeguatamente dimostrata con l’ausilio indispensabiledellaragionee dell’esperienza. È pur vero checisonostatideipensatori che hanno razionalmente teorizzato la percezione immediata di Dio da parte dell’uomo e la conseguente inutilitàdicercaredelleprove o di inseguire delle dimostrazioni, come ad esempio il filosofo ontologista Nicolas Malebranche (1638-1715). Per quest’ultimo «solo Dio è conosciuto per se stesso»3 e possedere nella mente l’idea di un Ente soprannaturale è come vedere Dio vis-à-vis, ossia per percezione diretta e senza bisogno dell’intermediazione del ragionamento. Ma la dottrina ontologista, così come qualsiasi altro tentativo di proclamare l’esistenza di Dio comeautoevidente,siscontra sempre con due dati oggettivi: la presenza nel mondo di persone che non credono in Dio e i diversi modi di concepire il divino. Se da un lato le differenti maniere di intendere e raffigurare un’entità divina dimostrano che non tutte le menti la descrivono allo stesso modo, come dovrebbe invecenormalmenteaccadere qualora la conoscessero direttamente, dall’altro bisogna pragmaticamente prendere atto che gli atei costituisconolaprovavivente del fatto che la realtà di Dio non risulta per nulla scontata ointuitivamenteprovata,non foss’altroperchémolteforme di ateismo rifiutano perfino l’ideastessadiunEntedivino odiunCreatore. Come lo scettico, dubitando radicalmente della possibilità di conoscere le cosequaliesseeffettivamente sono e quindi di conseguire certezza in ordine alla verità, rende indispensabile porsi il problema di fondare in qualche modo la nostra conoscenza del mondo che il senso comune dà spontaneamenteperassodata, alla stessa maniera la semplice presenza dell’ateo metteindiscussionequalsiasi pretesa di conoscenza immediata dell’esistenza di Dio e impone alla ragione di interrogarsicriticamentesudi essa. Né vale a depotenziare la sfida dell’ateismo nei confronti del credente sostenere, come faceva il filosofo spiritualista francese Jules Lagneau (1851-1894)4, che non esistono autentici atei, ma semplicemente degli individui che non riescono a vedere nell’immagine di Dio proposta dalle diverse religioni il senso del divino che tutti gli uomini portano dentro di sé. La questione dellapresenzaedelcrescente vigore dell’ateismo non può certo essere aggirata cooptando gli atei tra i credenti per disconoscerne l’esistenza, ma va invece analizzata con attenzione, senza sottovalutazioni e perfino con intelligente rispetto, se gli argomenti presentati contro la realtà di Dio manifestano un’intrinseca dignità teoretica. L’accostamento tra lo scetticismo e l’ateismo non è casuale,dalmomentocheuno scettico integrale è spesso ancheunateoocomeminimo unagnostico(seinfattidubita di tutto, come fa a non dubitare di Dio o perlomeno dellapossibilitàdistabilirese esisteveramente?);mentregli atei e gli agnostici che non sono degli scettici radicali aderisconoquantomenoauna forma di scetticismo metodologico rispetto alle possibilità della conoscenza umanadispingersitantooltre ildatoempirico.Ladifficoltà di considerare intuitiva l’esistenza di Dio, specie nei confronti del dubbio scettico, eraparticolarmentepresentea una mente analitica come quelladiTommasod’Aquino (1225-1274): egli dedica infatti il primo articolo della seconda questione (intitolata significativamente An Deus sit – «Se Dio esista») della Summa Theologiae al problema «Se sia di per sé evidente che Dio esiste». Partendo dall’affermazione del teologo arabo-cristiano Giovanni Damasceno (675749 ca) secondo cui «la conoscenza dell’esistenza di Dio è in tutti naturalmente insita»5, Tommaso osserva come per confutare una similetesisiasufficientefare ricorso proprio all’argomento dellapresenzadell’ateo,ossia dello «stolto» che secondo il Salmo 52 «dice in cuor suo Dio non esiste» (Dixit insipiens in corde suo: non est Deus), per concludere: «DunquecheDioesistanonè diperséevidente»6. Chi nega l’esistenza di Diopuòancheesserereputato dal credente ebraico-cristiano un «insipiente», perché nelle Sacre Scritture l’ateismo è contrassegnato come un nonsenso, ma resta a ogni modo il fatto che l’ateismo rappresenta una posizione razionalmente ammissibile, poiché il divino non è spontaneamente evidente alla ragione; fatto quest’ultimo che prospetta al credente una sfida radicale. Una sfida iniziata probabilmente nel momento stesso in cui di fronteallacredenzadiffusain qualche entità religiosa misteriosaosoprannaturalesi è presentato qualcuno a metterla risolutamente in discussione, a negare recisamentel’esistenzadiDio o degli dei. E se all’inizio della vicenda umana sulla Terra i «negatori del divino» erano probabilmente un’esigua minoranza, col passare dei secoli essi sono aumentati costantemente di numero, fino a rappresentare in età contemporanea una massa di individui considerevolmente ampia e difficile da calcolare (i movimenti dell’ateismo militante parlano di oltre un miliardo di persone). Del resto l’ateismo è sempre più un protagonista della nostra epocaeilconfrontodialettico serrato tra atei, agnostici e teisti è il fulcro di molti convegni, articoli e dibattiti anche intellettualmente elevati. Perfino l’autorevole teologo Karl Rahner (1904- 1984), che con la sua tesi teologica dell’«esistenziale soprannaturale» sosteneva che anche i non credenti e coloro che non conoscono la Rivelazionesonocomunquea priori sotto la volontà salvifica di Dio, ha dovuto a suotempoprendereattoche l’ateismoconcuinoioggi abbiamo a che fare, al di là di alcune corrispondenze innegabili, non è l’ateismo dell’Illuminismo e neppure l’ateismo che la critica della religione dell’800, soprattutto di Feuerbach e Marx, dava per scontato oppure propagandava. […] Dappertutto troviamo un ateismo condizionato dall’odierna società razionalisticaetecnica.7 Purnellacontinuitàconla tradizione illuministica e ottocentesca, l’ateismo contemporaneo presenta alcune peculiarità, la prima delle quali consiste nel cercare spesso i propri fondamenti o la propria giustificazione nella scienza moderna, in particolare nelle scienze naturali, e la seconda è la sua estensione capillare su tutto il pianeta. «C’è oggi – ha ancora affermato Karl Rahner – ciò che mai ci fu nella Storia: un ateismo mondiale dovunque diffuso, chenonèpiùaffaredisingoli uomini, ma un fenomeno sociale dovunque riconosciuto come legittimo».8 Le parole del teologo tedesco sono state pronunciate nel corso di un congresso su Evangelizzazione e ateismo del lontano 1980 e da allora la situazione si è ulteriormente evoluta nella direzione di un’ulteriore proliferazione globale del fenomeno dell’ateismo, che non sembra demordere neppure nelle fasi del cosiddetto«ritornodelsacro» o«riscopertadelreligioso». Dovremo certamente affrontare il problema della legittimità del ricorso al sapere scientifico al fine di dimostrare la razionalità e la veridicità dell’ateismo; ma comunque la si pensi, è fuori discussione che la nascita della scienza moderna ha rappresentato un cambiamentoculturalediuna tale portata che non poteva e non può non avere avuto ripercussionisianeiconfronti del problema razionale dell’esistenzadiDio,siadella mentalità religiosa in senso lato e di quella cristiana in particolare.Nelmondoantico quantonelMedioevol’ideadi Dio e del soprannaturale apparivanononsoltantocome armonicamente compatibili con l’«immagine scientifica delmondo»diquelleepoche, ma addirittura come presupposti imprescindibili, senzaiqualilascienzastessa rischiavadirimanereprivadi un principio esplicativo e quindi sospesa nel vuoto. È sufficiente menzionare il passaggio dal modello tolemaico a quello copernicano del cosmo, accompagnato dal quasi contestualesuperamentodella fisica aristotelica da parte della nuova fisica galileianonewtoniana, per capire l’impatto che la cosiddetta «rivoluzione scientifica» ha avutosullacredenzainDioe sulla fede religiosa. Il paradigma scientifico aristotelico-tolemaico, con la suaesigenzadiunsistemadi cause o «motori» culminante inunaCausaprimaincausata o Motore immobile e nello stesso tempo di un naturale finalismo, non solo ammetteva la presenza di un Ente soprannaturale come principioefinedell’universo, maloindicavacomel’Essere necessario senza il quale nullasarebbeesistitoeniente si sarebbe potuto spiegare scientificamente. Il nuovo paradigma scientifico che prende forma tra il XVI e il XVII secolo non concepisce invecenessunacausaprimae tantomeno nessuna causa finale, non pone l’uomo al centro del cosmo, ma spiega l’ordine fisico del mondo ricorrendosemplicementealle leggi della natura, al moto meccanico e alle caratteristiche intrinseche della materia; quindi senza dover ricorrere – secondo la famosa risposta dell’astronomo e matematico Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) a Napoleone – all’«ipotesidiDio». Da questa conclusione di Laplaceall’ateismoilpassoè evidentementedavverobreve, poiché facile risulta il passaggio dalla convinzione che l’idea di Dio è superflua perlaspiegazionedell’ordine cosmico alla conclusione che allora è totalmente priva di significato, come peraltro si sono incaricate di dimostrare le vicende storiche e filosofiche successive all’avvento della scienza moderna. Ciò accade ad esempio con la filosofia neopositivistaeinparticolare conillogicoefilosofoRudolf Carnap (1891-1970), il quale riferendosi alla parola «Dio» sostiene che «nell’uso linguisticometafisicodesigna qualcosa di extraempirico» e che,senonlesiattribuisceun significato nuovo, «essa diventa priva di significato»; infatti, «una cosa per principio posta al di là dell’esperibile non potrebbe esserenédetta,népensata,né indagata».9 Insomma, solamente assegnando al termine «Dio» un significato referenzialediversodaquello di ente incorporeo o metaempiricochenormalmentegli viene attribuito esso diventa sensato, altrimenti le proposizioni in cui viene inserito (per esempio «Dio esiste», «Dio è onnipotente», «Dio è buono») non dicono nulla, non comunicano nessunaverainformazione,al punto che il soggetto «Dio» non può neppure essere pensato e quindi tantomeno indagato. È poi evidente che se alla parola «Dio» così comevienelargamenteintesa nella cultura occidentale associamo un significato diverso da quello di essere trascendente, non esprimerà più il contenuto concettuale che le vogliamo attribuire e quindi finirà per risultare affatto inutile tanto sotto l’aspetto filosofico-teologico quanto sotto quello del linguaggio quotidiano. Si tratta in altri termini di un non-cognitivismo teologico, in base al quale alcuni vocaboliinusonelledottrine religiose, nei ragionamenti teologici e nelle espressioni mistiche sono in tutto e per tutto privi di un reale significato, salvo ovviamente in un contesto mitologico o fantastico.10 Un analogo processo che dal piano scientifico transita piùomenoimpropriamentea quello filosofico si è verificato a partire dal 1859, data di pubblicazione dell’Origene delle specie di Charles Darwin (1809-1882), allorché pure i fenomeni biologici iniziarono a essere interpretati come il risultato di meri accadimenti selettivi naturali, con la conseguenza che tutti i viventi (essere umani inclusi) divennero il risultato non di un atto creativo divino, bensì di «caso e necessità»11. Fu così che alla fine i processi normatidellescienzenaturali sostituirono definitivamente la divina provvidenza: «Storicamente, si può considerare l’idea del determinismo “scientifico” come il risultato della sostituzione dell’idea di Dio con l’idea di natura, e dell’idea di legge divina con quelladileggenaturale»12.A conti fatti, appare perciò evidente come al legittimo superamento nelle moderne conoscenze scientifiche dell’ipotesi Dio quale spiegazione dei fenomeni naturali abbia fatto seguito il tentativo da parte di alcuni scienziati atei di obliterare completamente la nozione di Dio da tutti i contesti della vitaumana,inquantoinutile, insensataeperfinodannosa. Per altro anche quella parte della filosofia contemporanea che non è direttamenteinfluenzatadalla storia della scienza moderna, e anzi in alcuni casi si pronunciaapertamentecontro di essa, appare seguire una linea parabolica che conduce progressivamente a considerare quantomeno superfluo o comunque insignificante il discorso intornoaDiopostoalungoal centro dell’indagine filosofica, quando non è giunta perfino a negarne con vigore la consistenza come nel caso del nichilismo, oppure a ritenerlo un fenomeno pericoloso per la libertà umana, come nel caso dell’esistenzialismo sartriano e dell’anarchismo. E se il problemadelsensodellavita ancora talvolta assilla i filosofi, nell’epoca della filosofia postmetafisica e postmoderna si tenta di risolverlo trovando una risposta all’interno del mondano ordine naturale, cioèinciòcheperlascienza non ha alcun fine teleologico o scopo ultimo, in quella Natura naturans del filosofo panteista Baruch Spinoza (1632-1677), che per il pensatore tedesco e storico della filosofia Karl Löwith (1897-1973) rappresenta l’autentico «fondamento di tuttochenontendeanulla»13. Insieme con la modernizzazione tecnologica, tanto il sapere scientifico quanto la propensione antimetafisica e antireligiosa di molta filosofia contemporanea hanno avuto rilevantiriflessisuicostumie sugli stili di vita occidentali, dove l’espansione del consumismo accompagnato daunacertadosediegoismo edonistico ha contribuito all’affermarsidiquellachedi recente il filosofo cattolico canadese Charles Taylor ha chiamato«etàsecolare»;vale a dire una rappresentazione dell’esistenzasostanzialmente immanentistica, che fa dell’istanza religiosa una questione secondaria o addirittura indifferente rispetto alla dimensione dei valori e dei comportamenti individuali, con gli spazi pubblici«svuotatidiDioodi qualsiasi riferimento alla realtà ultima». «La secolarizzazione – sostiene ancora Taylor in quella che chiama “Grande narrazione della Riforma” (GNR) – nasce all’interno dell’Occidente cristiano soprattutto con la Riforma, che afferma una concezione antropocentrica della religione,unavisioneavversa al magico e attenta ai diritti individuali. È questo il terreno fertile per l’emergere del mondo secolarizzato».14 A porre le basi del pensiero secolarizzato,liberaleelaico, contribuisce inoltre in maniera decisiva il Tractatus theologico-politicus, pubblicato nel 1670 da Baruch Spinoza in forma anonimaperchévisiafferma condoviziadiparticolariche la Bibbia non sarebbe parola di Dio, ma una mera creazione dell’ingegno umano.15 Èrisultatocosìpossibilee perfino necessario concepire «un’etica senza Dio»,16 una morale tanto individuale quanto pubblica capace di fondare la distinzione tra bene e male su postulati esclusivamente mondani e quindi in fin dei conti relativisticieutilitaristici.Del resto, nell’attuale società multietnicaemulticulturalein cui confluiscono e si confrontanocostumidiversie differenti credenze confessionali, la concezione stessa del divino rischia di smarrire la propria identità, fino al punto di diffondere l’idea che poiché ci sono tantereligionichepretendono tutte di essere l’unica vera religione,forsealloranessuna religione è vera; ovvero che poiché sussistono tante immagini differenti di Dio, forse allora esistono più divinità (neopaganesimo)17 o più semplicemente Dio non esiste (ateismo), oppure se esiste non è conoscibile (agnosticismo). Nonostante i ricorrenti proclami di una rivalsa del sacro, sembra che l’attuale contesto storicosocialerendanonsoltantopiù facile la scelta di dirsi atei o agnostici, ma modifichi pure profondamente il modo di esserlorispettoalpassato. Reputiamocorrettotenere qui conto della tradizionale distinzionetraagnosticismoe ateismo, anche per rispetto intellettuale nei confronti di tutti coloro che motivatamente si dicono agnostici; tuttavia dobbiamo essere contemporaneamente consapevolichenonsempreè facile effettuare una netta separazionedalpuntodivista dei comportamenti pratici. È comunque teoricamente vero che nei confronti dell’esistenza o della credenza in Dio si possono contrapporre due differenti posizioni: • si può affermare con certezza,equindidimostrare, cheDiononesiste(ateismo); • si può sostenere che Dio nonpuòesserenédimostrato né confutato con la ragione (agnosticismo). Risulta però ugualmente certo che, posti in modo incalzante di fronte all’interrogativo sulla realtà di Dio, pressoché tutti gli agnostici faticano a restare completamenteasettici,anon manifestare quantomeno un sentimento o una predisposizione prevalente a favore o contro il teismo; tantoèverocheunapproccio agnostico integrale, ossia effettivamente equidistante traleposizionideicredentie degliatei,siriscontraassaidi rado sia nella storia del pensiero filosofico sia nella nostra esperienza quotidiana: infatti in molti casi in un agnostico dichiarato si palesano comportamenti non dissimilidaunateopratico. 2.QualeDio? Il termine «ateo» deriva dal greco ἄϑεος (átheos) e significa «senza Dio» (la á è l’alfa privativo che esprime l’assenza o la negazione del theós, della divinità); e da esso dipende pure la parola greca ἀϑεότης(atheótes)ossia «ateismo». In breve, sotto il profiloetimologicol’ateopuò essere identificato con colui che non ha dei, che non riconosce nessuna divinità, chenegaDio.Ilvocaboloera già in uso nella Grecia classica e compare in poeti come Bacchilide (516-451 a.C.), Pindaro (518-438 a.C. ca) e Sofocle (496-406 a.C.) perindicaredisolitolafollia quale condizione di chi è stato abbandonato dagli dei. Si trova inoltre al plurale nella Lettera agli Efesini attribuita a Paolo di Tarso (5/10-65/67 d.C.), laddove parlando ai «pagani nella carne»sidice:«Eravatesenza Cristo […], senza speranza e senzaDio[ἄϑεοι(atheoi)]»18. Per altro nella Bibbia l’ateismo è considerato nel suo aspetto pratico o etico, piuttosto che teoretico: l’ateo non è colui che nega teoricamente Dio tramite precise argomentazioni razionali,quantochiviveesi comporta come se non ci fosse(comeappuntolostolto in Sal 14,1 e 53,2) o non si curasse delle azioni umane, buone o cattive che siano (comeinIs29,15-16).L’ateo insomma, secondo le parole di Clemente di Alessandria (150-215 ca), è semplicemente «chi afferma che non esiste Dio»19; di conseguenza l’ateismo è l’atteggiamento o il punto di vistadichinegaapertamente Dio oppure vive e si comporta come se non esistesse. Detto così, definire chi è l’ateo e che cos’è l’ateismo sembra facile, ma in realtà risulta piuttosto complesso per il banale motivo che la nozione di Dio nelle diverse concezioni o espressioni umane non appare sempre univoca e manifesta numerose variazioni di significato. Anche se ci sembraesageratalaposizione dichisièspintoadichiarare ambiguo il termine «Dio»20, poiché riteniamo che all’interno di un determinato contesto linguistico-culturale è certamente possibile una sua disambiguazione o chiarificazione, appare tuttaviafuordidubbiochenel corso della Storia e nelle diverseciviltàessohaassunto e tuttora assume significati quantomeno articolati. Basta in proposito interrogare a fondo un certo numero di individuidiambienticulturali diversioppuredidiversearee geografiche per rendersi conto di quanti svariati modi di concepire Dio sussistano frailgenereumano. Unconfrontodialetticodi questo tipo ha provato a immaginarlo il filosofo illuminista Francois-Marie Arouet, meglio noto come Voltaire(1694-1778),ilquale proprio alla celebre voce «Dieu» del suo Dizionario filosofico (1764) racconta che, ai tempi dell’imperatore bizantino Arcadio (395-408), un teologo di nome Logomacosiimbattéaipiedi del Caucaso in un allevatore di ovini di origine scita e di nome Dondinac. Logomaco, dall’alto della sua spocchiosa formazione teologica e dopo aver dato dell’idolatra al pastore, incomincia a chiedergli:«Cheideahaitudi Dio?». Dondinac gli risponde: «Che è il mio creatore, il mio signore, che mi ricompenserà se farò il bene, mi punirà se farò il male». Il teologo allora replica: «Bagattelle, miserie. Veniamoall’essenziale.Dioè infinito secundum quid o secondo l’essenza?». Il malcapitato allevatore ovviamente risponde: «Non capiscoquelchevoletedire». LoincalzaancoraLogomaco: «Che cos’è Dio? […] È corporeo o spirituale?». E Dondinac: «E come volete chelosappiaio?».«Come!– ribatte ancora il teologo bizantino – Tu non sai cos’è uno spirito?». «Neanche un po’ – risponde lo scita – A che mi servirebbe [saperlo]? Quando lo saprò, sarò forse piùgiusto[…]?».21 Voltaire fa emergere qui chiaramente come per alcuni (per esempio Logomaco) sia necessario attribuire significati profondi o metafisici a Dio (è infinito secundum quid ossia relativamente a qualcosa oppure per essenza? È corporeo, ossia in qualche modo immanente, oppure è spirituale? E via dicendo), come per altri (come Dondinac) sia sufficiente pensare che è il nostro creatoreecheèlafontedella giustiziaedell’eticaperchéci premiaocipuniscesullabase delle nostre azioni buone o malvagie.Peraltroinuntesto sistematico come il Trattato dimetafisica(1734),Voltaire avevaespressochiaramentela sua teoria: «Gli uomini continuano spesso a pronunziarepertuttalavitala parola“Dio”senzaassociarvi nessunaideabendefinita.Voi sapete, d’altronde, che tra gli uomini i modi di concepire Dio differiscono quanto le religioni e le leggi»22. In effetti, il modo di concepire Dio degli illuministi come Voltaire raffrontato al modo con cui lo concepiscono i credenti di una delle tre grandireligionimonoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islamismo) risulta piuttosto differente. Se ci soffermiamo in maniera comparativa sulla storia della filosofia e della religione in Occidente, secondo il filosofo italiano Cornelio Fabro si possono distinguerealmenotrestadio livelli evolutivi connessi con ilconcettodiDio: 1.popolare-mitico; 2.filosofico-speculativo; 3.rivelato-personale. Nel primo stadio possiamo identificare soprattutto la concezione del divino desumibile dalla religione greco-romana e quindi dai culti pagani nelle loro svariate forme. Il secondolivelloèquellodella speculazione filosofica e quindi del cosiddetto «Dio dei filosofi». Il terzo stadio infinerichiamalanozionedel Dio personale delle religioni rivelate, in particolare quelle dell’ebraismo e del cristianesimo.23 Procedendo da questi tre livelli, nella tradizione teologico-filosofica occidentaleintornoall’ideadi Dioèpossibilerintracciaretre posizioni fondamentali: il teismo, il deismo e il panteismo. Queste tre concezioni di Dio interpretano in diversa maniera alcuni concetti ricorrenti e centrali nel dibattito sulla natura del divino o della divinità, che sono essenzialmente i seguenti: immanenza, trascendenza, onnipotenza, onniscienza, bene supremo, causa prima o fondante, creatore, ordinatore cosmico (demiurgo), primo motore, essere necessario, principio primo, artefice intelligente, provvidenza. Con essi si è tentato di affrontare e risolvere due questioni immediatamente aperte dalla semplice ipotesi dell’esistenza di Dio: la sua relazione col mondo; la sua interazioneconl’uomo.Sotto questo profilo, il teismo e il deismo si distinguono principalmente per un differente punto di vista sull’intervento dell’Ente divino nelle cose mondane, sulla sua natura provvidente nei confronti degli esseri umani e sul fatto che costituisca o meno un fondamento per l’etica. Il panteismo si pone invece in un’otticadeltuttodivaricante rispetto sia al deismo sia al teismo, in quanto tende a identificare Dio e la natura o ilmondo. Per chiarire la distinzione tra teismo e deismo è impensabilenonprocedereda ciò che Immanuel Kant (1724-1804) ha scritto nella Critica della ragion pura (1781): Chi ammette esclusivamente una teologia trascendentale [ossia fondata sulla pura ragione] è definito «deista», chi ammette anche unateologianaturale«teista». Secondo il primo noi possiamo in ogni caso conoscere l’esistenza di un essere originario esclusivamente per mezzo della ragione […], un essere che ha ogni realtà, ma non è ulteriormente determinabile. Il secondo ritiene che la ragione sia in grado di poter determinare più strettamente l’oggetto in base all’analogia con la natura, definendolo come l’essere che racchiude insé,invirtùdell’intellettoe della volontà, il principio di tutte le cose. Il primo vede dunque in un tale essere una causa del mondo (lasciando indeciso se per la necessità dellasuanaturaoperlibertà), il secondo un creatore del mondo.[…]Ildeistacredein unDio,mentreilteistacrede in un Dio vivente (summa intelligentia).24 Non entriamo qui nel complesso dibattito sul modo più corretto di definire la posizionediKantinrapporto all’esistenza di Dio, ma ci limitiamo a ricordare che sono presenti tra gli studiosi tutteleposizionipossibili:c’è chiloconsideraunagnostico, chi un deista e chi un teista cristiano. Karl Löwith parla addirittura di una duplice soluzione: «ateismo attenuato» nella Critica della ragion pura e «fideismo» nella Critica della ragion pratica.25Tornandoinveceal testocitato,purdalladifficile prosa del filosofo di Königsbergsievincecomeil teismo e il deismo siano accomunatidallaconvinzione dell’esistenza di un Essere trascendente od originario artefice dell’ordine cosmico, mentre divergono sulla sua naturadicreatore«personale» (quindi libero e non necessitato) e sulla sua relazione col mondo dopo la creazione. Detto altrimenti, il teista concepisce un Dio personale,creatoreenonsolo ordinatore, positivamente presente nel divenire cosmico, garante dell’ordine morale e talvolta artefice di una rivelazione. Il deista è dispostoinveceadammettere soltanto un Ente supremo qualespiegazionedell’origine e dell’ordine dell’universo, ossia una specie di «Architetto divino» od «Orologiaio cosmico», spingendosi talvolta a postularloqualegarantediun supremo e perfetto ordine moraleosommobene,anche se non necessariamente realizzabilesuquestaTerra.26 Il deista rifiuta però con decisione la perdurante ingerenzadiDioneldivenire del mondo, perché in tal modosiviolerebberolestesse leggi naturali da lui imposte; o comunque ritiene impossibile conoscere qualcosa di certo su questo aspettodellanaturadivina.In epocacontemporaneaetragli scienziati sembra rappresentare bene la posizionedeldeistailpremio Nobel per la fisica Arno Allan Penzias – scopritore con Robert Wilson della radiazionecosmicadifondo– quando afferma «non posso credere in un Dio antropomorfo», ma contestualmentenonnegache l’origine dell’universo possa rinviare «all’esistenza di un’entità trascendente», anche se si tratterebbe di un ordinedelcosmo«incuiDio noninterviene».27 Per il deista è dunque impossibile con la sola ragione teorizzare o sapere alcunché di più sulla realtà specifica di Dio ricorrendo alle conoscenze naturali, ivi compresi eventuali speciali rapporti con gli esseri umani propri di un «Dio vivente»; motivo per cui di solito non aderisce a nessuna religione positivaostoricaetantomeno aunareligionerivelata,maal massimo professa una «religione naturale». Il Dio deista è insomma come quello del filosofo Epicuro (341-270 a.C.) che «non fa nulla, non è coinvolto in nessuna attività»28, e quindi tantomeno gli si può attribuireunruolonell’ordine dell’universooneimotidegli astri: «In nessun caso deve essere addotta per una spiegazione del genere la natura divina, che invece deve essere conservata libera da ogni compito».29 Il teista per contro assegna a Dio un ruolo attivo e partecipe nel mondo,nonnefauncreatore lontanoodistaccatodallasua creatura cosmica, anzi lo descrive come un essere provvidentechesioccupaesi preoccupa della condizione degli esseri umani con rivelazioni, miracoli e atti salvifici.L’esempioditeismo piùnoto,eprobabilmentepiù paradossale, è quello del Dio cristiano che arriva a incarnarsi nella figura di Gesù Cristo e a sacrificarsi sulla croce per salvare l’umanitàintera. Restaovviamentecomune tanto al teismo quanto al deismo il rifiuto e la critica dell’ateismo, sebbene i deisti dell’epocadell’Illuminismosi sianocontestualmenteopposti con convinzione all’intolleranza di certi teisti, in particolare cristiani. Il già menzionato Voltaire per esempio, mentre stigmatizza le feroci persecuzioni nei confronti di non credenti come il filosofo e naturalista libertino Giulio Cesare Vanini30, prende pure le distanzedagliateiconsiderati «studiosi audaci e fuorviati, che ragionan male e che non potendo spiegare la creazione, […] ricorrono all’ipotesi dell’eternità delle cose e della necessità». Voltaire non vorrebbe mai «averdafareconunprincipe ateo», perché considererebbe di non dover rispondere a nessuno per le azioni compiute nell’esercizio del potere, e in perfetto spirito deista conclude che per il benetantodeiprincipiquanto dei popoli è assolutamente necessaria «l’idea di un Essere supremo, creatore, reggitore, remuneratore e vendicatore».31 Se pertanto il deismo e il teismodivergonosullanatura «personale»diDioesullasua presenza attiva nel cosmo, concordano tuttavia sul fatto che si tratti di un ente totalmente trascendente e distinto dal mondo; ed è propriosuquestopuntochesi differenziano entrambi dalla terza concezione filosoficoteologica menzionata: il panteismo. Quest’ultima, com’èrisaputo,èlaposizione di chi tende a identificare il mondo con Dio o Dio col mondo, di chi crede che il divino compenetri tutte le cose unificando causalità divinaecausalitànaturale.Al dualismo Dio-natura si sostituisce un monismo, da cui discende palesemente l’improponibilità di associare questa concezione del divino conquellateisticadicreatore personale, anche se non è mancato chi ha provato a farlo. Il termine «panteismo» deriva da due parole greche (πάν [pan] = «tutto» e ϑεóς [théos] = Dio) e significa «tutto [è] Dio». Esso affonda probabilmente le sue origini nell’Illuminismo del libero pensatore irlandese John Toland (1670-1722), che si definì«panteista»proprioper distinguere il suo punto di vista sia dal «teismo» sia dall’«ateismo».32 Nonostante il significato etimologico del termine sia piuttosto chiaro e altrettanto esplicito risulti il motivo per cui è stato coniato, la tradizionepanteisticaèmolto più antica e si è manifestata inunamolteplicitàdiformee di dottrine. Possiamo infatti riconoscere almeno quattro tipidipanteismo: – spiritualistico o emanazionistico; – sostanzialistico o spinoziano; – immanentistico o naturalistico; – panenteistico o panteismo delprocesso. Per il panteismo spiritualistico o emanazionistico (detto talvolta «acosmistico» o «anicosmico») il mondo è una pura manifestazione del divino come in molte religioniorientaliqualiquelle vediche, induistiche e buddhistiche, oppure è una sua emanazione come nella filosofianeoplatonica.Perchi ad esempio considera quella di Plotino una filosofia emanazionistica, il cosmo e ogni altra entità procedono spontaneamente dall’Uno (l’unità perfetta, semplice e infinita), sono cioè una sua emanazione e quindi una forma di panteismo acosmistico;33 infatti, «l’Uno ètuttelecoseenonènessuna di esse».34 Può definirsi panteismo spiritualistico anchequellodialcunifilosofi idealisti per i quali lo Spirito (Geist), come infinita attività creatrice,èDiocheoperanel mondo. Secondo il panteismo sostanzialistico o spinoziano, invece, Dio e il mondo sono riconducibiliaunamedesima essenza. Per Baruch Spinoza l’unica sostanza è Dio, a cui perciò appartengono necessariamente tutte le cose esistenti: «Nella natura delle cose non c’è niente di contingente, ma tutte le cose sono determinate dalla necessitàdelladivinanaturaa esistereeaoperareinqualche modo. Tutto ciò che è, è in Dio;Diononsipuòdirecosa contingente».35 Sulla stessa strada del celebre e chiaro assunto Deus sive Natura (Dio ossia la Natura) si porranno poi molti filosofi successivi ispirati dallo spinozismo. Nel panteismo immanentistico o naturalistico il divino è di fatto ridotto a una speciale forma di energia o di finalismo all’interno della materia ed è per questo comprensibile che sia propugnato da molti uomini di scienza, tra i quali si possono collocare anche alcuni sostenitori del cosiddetto principio antropico. La sua più antica fonte può essere fatta risalire alla filosofia stoica, nella quale Dio e il mondo sembrano pressoché la stessa cosa: «“Cosmo” ha per gli stoici un triplice significato: primo, Dio stesso la cui singola qualità è identica a quella di tutta la sostanza dell’universo; egli è perciò incorruttibile e ingenerato, creatore dell’ordine universale, che […] assorbe in sé tutt’intera la sostanza dell’universo e a sua volta la generadasé».36 Il panenteismo è infine una forma molto peculiare di panteismo,collocabileforsea metà strada tra quello naturalistico e quello spinoziano; mentre qualche suo esponente è giunto addirittura a riconoscere al divino così concepito una natura «personale». Del resto la parola «panenteismo» etimologicamente significa «tutto in Dio» (dal greco πάν [pan]=«tutto»,ἐν[en]=«in» e ϑεóς [théos] = Dio). In questa dottrina il mondo è come incastonato nell’essere stessodiDio:essiprocedono insieme, si sviluppano insieme, perché il divino non è immutabile, bensì in evoluzione(Deusevolutor).37 Unesempiodipanteismodel processo lo troviamo in Alfred North Whitehead (1861-1947), pensatore particolarmente impegnato nel campo della logica matematica e della filosofia della scienza, il quale in una dellesueoperepiùimportanti afferma: «È vero sia che il mondo è immanente in Dio, sia che Dio è immanente nel mondo. È vero sia che Dio trascendeilmondo,siacheil mondotrascendeDio.Èvero siacheDiocreailmondo,sia che il mondo crea Dio»38. Come ha poi spiegato alcuni anni dopo, pensava «che l’universo avesse un lato che è intellettivo e permanente, che è quel primo sforzo concettuale che si chiama la natura primordiale di Dio. […] D’altra parte tale realtà permanente si trasforma ed è immanente nell’aspetto mutevole».39 Questa visione del divino come processo connesso con quello della natura,dalqualesigeneranel cosmo una specie di polarità traDioemondo,apparteneva probabilmente anche ad AlbertEinstein. Queste quattro manifestazioni panteistiche sono tutte caratterizzate dalla risoluzione della pluralità dei fenomeni naturali o delle forme divine nel monismo, del molteplice nell’Uno; difatti,«perchépossaparlarsi di panteismo debbono sussistere quelle condizioni mentalie/oteologichepercui le eventuali, molte divinità cosmiche risultino sempre e comunque riconducibili alla Divinità Una».40 In definitiva, ogni forma di panteismo è una concezione antidualistica, con due variabiliprincipali:oilTutto siidentificaconlospiritoela natura risulta una sua manifestazione, oppure il Tuttosiriduceallanaturaelo spirito diventa un suo epifenomeno. Come si può notare le ideesuDiodeifilosofi,anche se sono tutte riconducibili ad alcuni filoni fondamentali, risultano perlomeno plurime o plurali. Tuttavia la nozione di Dio o del divino ha avuto sicuramenteorigineinambito religioso. Sulla provenienza religiosa del nostro concetto diDioomegliodi«divinità» sonod’accordotuttiglistorici della religione e quasi tutti i filosofi. Étienne Gilson (1884-1978) in particolare, polemizzandoconunfilologo e storico della filosofia del calibrodiJohnBurnet(18631928)41, ha sostenuto che «poche parole hanno una connotazionepiùchiaramente religiosa della parola “dio”».42 Maunavoltaammessala provenienza della nozione di Dio dalla religione, occorre contestualmente riconoscere che all’interno delle svariate forme della religiosità umana l’idea del divino assume connotazioni non univoche, se non financo divaricanti. «Quando diciamo che Dio è l’oggetto dell’esperienza religiosavissuta–hascrittoil fenomenologo delle religioni Gerardus van der Leeuw (1890-1950) – dobbiamo tener presente che “Dio” è spesso una nozione assai poco precisa».43 È però la dimensione del sacro inteso come «alterità soprannaturale» o come «realtà ulteriore» rispetto a quellanaturaledegliuominia prevalere; dimensione che esprime il senso di incompiutezza, di transitorietà, di finitudine tipicodellacondizioneumana ditutteleepochestoricheedi tutte le regioni geografiche. Sicuramente da qui inizia il processo che conduce successivamente a concepire lapresenzadiunoopiùesseri trascendenti o di una dimensione fondamentale assoluta da cui l’universo dipende e in cui gli esseri umani possono trovare un significato per la loro esistenza. La credenza religiosa tenta di rispondere al nostro bisogno di senso globale e lo fa con una struttura verticale, che divide prima la realtà in sacro e profano e poi in un secondo tempo in assoluto e contingente, per cercare sempre alla fine un punto di raccordotraloro,unaviaper superare la dimensione della mutevole contingenza verso l’Incondizionato. Guardando alla storia delle religioni, notiamo nelle credenzeorientalilatendenza a esaurire o dissolvere progressivamenteilmomento contingente e fenomenico nella realtà assoluta fondamentale. Infatti, pur nella sua varietà di dottrine, l’induismo e la tradizione vedica individuano nel concettocentraledi Brahman (l’Assoluto) il principio e il fondamento trascendente del mutevole divenire delle cose, alqualecorrispondelafigura di una sorta di demiurgo posto all’apice del pantheon induista e chiamato Brahma. Nell’induismo,comeperaltro nelbuddhismo,ricorrepurela nozione di Dharma, che esprime l’ordine eterno, la rettitudine, la legge: tutti elementi questi che presiedono all’armonia cosmica e alla struttura dell’universo, ma soprattutto attribuiscono senso all’esistenza degli uomini e dellecose. Più difficile per gli occidentali rintracciare nella dottrina del Buddha un’idea precisa del divino, tanto che possiamo registrare tra gli studiosi opinioni discordanti: c’è chi la definisce un «ateismo religioso»44 e chi una forma di ideologia eticopolitica. Certamente nel buddhismo non c’è traccia di un dio personale e di un principio assoluto che gli assomigli, ma lo spazio del divino sussiste ed è totale, onnicomprensivo, perché racchiude ogni realtà esistente, ossia il Tutto. Anche l’essere umano fa parte di questo Tutto, come delrestoilmondo;einquesta unità che assorbe qualsiasi singola identità perdono valore e non sono applicabili le classiche dicotomie di immanenza-trascendenza e di naturale-soprannaturale, perché il Tutto è al tempo stesso immanentetrascendente, naturalesoprannaturale. Non a caso il dalai lama Tenzin Gyatso, trattando del rapporto tra l’insegnamentobuddhistache invita a superare l’individualità, ovvero a sbarazzarsidel«Sé»,eilDio personale del monoteismo occidentale ha concluso: «Se Dio viene considerato una realtà o una verità definitiva, alloralamancanzadiidentità può essere considerata come Dio».45 Ciononostante, la religione buddhista riconosce un gran numero di divinità, consentendone l’adorazione, e questo impedisce di ritenerla a tutti gli effetti una credenzaatea. Decisamente più facile per noi è invece definire il percorso verso l’assoluto nelle tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Siamo infatti qui al cospetto di un Dio unico e trascendente,creatoreditutte le cose, di natura personale e latore di una Rivelazione; quindi chiaramente distinto dal mondo da lui creato, ma profondamente interessato a esso e in particolare a quel vivente fatto a sua immagine e somiglianza che è l’essere umano. Un altro importante elementocomunealletrefedi monoteiste è il fatto di dirsi fondate su sacre scritture direttamente rivelate. Il particolare rapporto di Dio congliuominiassumecosìla veste e il vigore di quella facoltà della specie umana che la distingue nettamente dagli altri esseri viventi: il linguaggio. La parola divina secondo gli ebrei viene tramandata dai profeti, che parlano come fossero la «bocca di Dio», e ha il suo centro nella Torah, la legge mosaica. Per i cristiani il verbo divino, oltre che nella tradizione profetica e scritturistica ebraica, è presente nell’annuncio evangelico, nella Buona Novella che Dio stesso, incarnatosiinGesùCristo,ha comunicatoaidiscepolieche poi è stata tramandata nel Nuovo Testamento. Per i musulmani la rivelazione proviene direttamente da Allahedèstatacomunicataa Maometto (570 ca-632), loro sommo profeta e fondatore religioso, tramite l’angelo Gabriele e infine depositata nelCorano. In conclusione, sotto l’apparente eterogeneità delle dottrine religiose d’Oriente e d’Occidente, sotto il velo di un concetto non univoco di Dio che proviene da queste duegranditradizionireligiose risiede una medesima propensione: attribuire un senso unitario ed eterno al mondo e fornire una rappresentazione non ordinaria o non «naturalistica» del destino umano. La via scelta in Oriente per rispondere a tale scopo è quella monista; un monismo a carattere non riduzionista, bensì olistico: il tuttoèsemprequalcosadipiù dellasommadellesuepartie non si può mai ridurre totalmente a esse. Le tre religionimonoteistichehanno invece preferito la strada del dualismo, che le ha condotte adistinguerelanaturadiDio da quella delle cose da lui create, ma non a fare di tale distinzione un ostacolo all’azione del divino nel cosmo,comepretendeinvece ildeismo,esoprattuttoanon trasformarla in fattore di completaincomunicabilitàtra l’umanoeildivino. 3.L’ateismoclassico Abbiamo detto che l’ateo è colui che nega, rifiuta o pensadipoterfareamenodi Dio. Dopo aver però verificato i tanti e diversi significatiriferitieriferibilial termine «Dio», viene spontaneo chiedersi quale sia la nozione prevalente di ente divino a cui si contrappone l’ateismo teoretico. Potremmo cavarcela facilmente dicendo che gli atei negano qualsiasi idea di divinità o del divino, ma sarebbe una soluzione tanto banale quanto vaga. Ci pare invece più corretto assumere un atteggiamento simile a quello che il filosofo tedesco Wilhelm Weischedel (19051975) ha utilizzato per delineare il concetto di ϑεός nel momento in cui si è trovato di fronte al fatto che, non appena si cerca una definizione univoca, «ci si imbatte in una confusione di nozioni differenti, se non spesso opposte» per la sempliceragionechecomesi è spiegato «nel corso della Storiataleterminehaassunto una molteplicità di significati». Egli si è così rassegnato a «lasciare un posto vuoto»46, a non formulare cioè una definizione preventiva della parola «Dio», ma a connotarla di volta in volta sulla base del contesto e del periodo storico in cui viene concretamenteutilizzata.Allo stesso modo noi possiamo attribuire un’identità all’ateo riferendoci all’ambiente storico-culturaleincuieglisi trova o si è trovato inserito, quindi all’idea storicamente determinata di Dio da lui negata, riconoscendo in tale maniera il carattere relazionale o referenziale della nozione di «ateismo», ossia che essa si struttura in rapporto all’idea del divino a cui si contrappone e con riferimento specifico a una tipologia storico-teoretica di noncredenti. Applicando il criterio della contestualizzazione storico-culturale, possiamo facilmentecomprenderecome nell’alveo delle religioni orientali l’ateo sia da sempre colui che rifiuta un culto e unadottrinareligiosapiùche una nozione teoretica di Dio, cheineffettiquinonsussiste; sia insomma colui che nella cultura occidentale si definirebbe un «miscredente». Diverso è inveceilcasodell’Occidente, dove a partire dall’antica Grecia è iniziata una riflessione razionale sul concettodidivinitàodiEnte supremo.Peraltrolenotiziea noipervenutesull’ateismonel mondo greco ci dicono che venivano considerati «empi» coloro che osavano negare l’esistenza degli dei o comunque rifiutare il culto della religione olimpica e le tradizioni che orbitavano intorno a essa. Il filosofo Anassagora di Clazomene (500-428 a.C. ca) per esempio, dal momento che dal 432 a.C. (o secondo alcuni dal 438 a.C.) un decreto proposto da un indovino di nome Diopite consentiva il deferimento a giudizio con procedura d’urgenzadi«colorochenon credevano negli dei o insegnavano dottrine sui fenomeni celesti»47, fu accusato in Atene di empietà (ἀσέβεια – asébeia) dagli avversari di Pericle (495-429 a.C.), suo allievo e protettore politico. Si trattava di un’accusapiuttostogenericae quindi di estensione potenzialmente ampia; essa veniva formulata contro coloro che non praticavano o insegnavano a non praticare lareligionericonosciutadallo Stato oppure che promulgavano strane concezioni sui fenomeni astronomici (per esempio «Il Sole è una massa incandescente»).48 In breve, contro chi non si dimostrava sufficientemente rispettoso verso le divinità pubbliche o le tradizioni religiose unanimemente riconosciute. In realtà non si può dire se Anassagora abbia negato o menol’esistenzadiDioodel divinocomeliintendiamonoi oggi, anche perché «non possedeva il concetto dell’immateriale così come nonpossedevailconcettodel materiale», non fosse altro per il fatto che «l’orizzonte speculativo dei Presocratici ignora le due categorie di materiaespirito».49 Unaltronotopersonaggio attivo ad Atene nel periodo pericleo e verso il quale venne formulata l’imputazionediempietàfuil sofista Protagora di Abdera (486-411 a.C. ca). Questi peròpiùcheunateodovrebbe essere considerato un agnostico,seèverochenella suaoperaintitolataSuglideie andata perduta avrebbe scritto: «Riguardo agli dei, non sono in grado di sapere néchesononéchenonsono, né che natura abbiano: molti infatti sono i fattori che impediscono di saperlo, sia l’oscurità della questione sia la brevità della vita umana»50. Si spinse invece ben oltre il quasi coetaneo Euripide (480-406 a.C.) in una tragedia in gran parte perduta (ne restano infatti solo 90 versi) intitolata Bellerofonte, facendo in essa porre in dubbio tanto la credenza positiva nel divino quanto l’esistenza degli dei: «Chi può affermare che esistonodeilassù?Nonvene sono,no,nonvenesono!».51 In maniera pressoché analoga a quella di AnassagoraediProtagora,fu accusato di asébeia anche Socrate,inquanto«colpevole –secondolatestimonianzadi Senofonte(430/425-355a.C.) – di non credere negli dei in cui la città crede»52. Questa affermazione sembrerebbe dipingerlo ai nostri occhi come un ateo, specie se la si collega a quanto Platone (427-347 a.C.) nella sua Apologia fa sostenere all’accusatore Meleto: «Dico questo: che tu [Socrate] assolutamentenoncredinegli dei»53. Senofonte aggiunge che a Socrate sarebbe stato inoltre contestato il reato di «introdurre altre nuove divinità»54,motivoinbaseal quale lo stesso maestro ateniese nel citato dialogo platonicoavrebbeevidenziato come l’accusa nei suoi confronti risultasse contraddittoria, dal momento che di fatto suonava così: «Socrate ha la colpa di non credereneglidei[quellidello Stato ateniese], ma anche di credere negli dei [le sue nuove e personali divinità]»55. Èevidentecometuttociò noncorrispondapernullaalla nostra attuale nozione correntediateismo.L’ideadi empietà degli antichi greci è bendiversadaquellaodierna di ateismo, perché non implica la negazione tout court di Dio o del divino; e sotto questo profilo perfino i pensatori atomisti come Democrito (460-360 a.C.) ed Epicuro, classificabili con linguaggio moderno tra i «materialisti», non possono dirsi stricto sensu atei: non rifiutavano infatti espressamente la presenza degli dei, anche se magari li concepivano come fatti di atomi alla stregua di tutte le altre cose. Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), ad esempio, testimonia chiaramente che Epicuro «è convinto che gli dei esistano, perché deve necessariamente esistere una natura eccellente a cui nulla è superiore»; ma siccome«nullaèsuperioreal mondo […], questo ragionamento porta alla conclusione che il mondo è dio»,56 cosa che – aggiungiamo noi – ricorda tanto una posizione panteista57. Comunque sia, gli epicurei respingevano gli aspettinegatividellareligione per salvaguardare la libertà e la dignità umane, come deve aver fatto anche Filodemo di Gadara (110-35 a.C. ca), divulgatore dell’epicureismo inItaliaapartiredal75a.C.e amico di uomini dell’entourage di Cesare. Ancor più dura nei confronti della religione e dei mali prodotti dalla superstizione religiosa fu la versione dell’epicureismo di Tito Lucrezio Caro (98-55 a.C. ca): Tantum religio – si dice nel De rerum natura a proposito del sacrificio umanodellamiticaIfigenia– potuit suadere malorum (a tali mali poté indurre la religione).58 Tuttavia una negazione esplicita dell’esistenza degli dei non viene avanzata neppure da lui;ementreesaltailmaestro Epicuroperlasualottacontro la paura delle divinità olimpiche,silimitaaribadire che esse non hanno creato il mondo e si disinteressano della condizione umana.59 Nemmeno la dottrina del cinismofilosoficosipuòdire per principio atea, anche se certamente è contraria alla superstizione che genera un timore sconsiderato per il divino e compromette la piena libertà umana o l’autarchia dell’uomo saggio. Così pare la pensasse Diogene di Sinope (412-323 a.C. ca), uno degli iniziatori della scuola cinica, che mettevainguardiadallefalse credenzesuglidei,manonne negava apertamente l’esistenza: «Tutto appartiene agli dei […]. Andava gridando [Diogene] ripetutamente che gli dei hanno concesso agli uomini facilimezzidivita,maanche tuttavia li hanno tolti dalla vistaumana».60 Sulle difficoltà razionali di accettare l’esistenza degli deisisonopronunciatianche gliscettici,almenoastarealla testimonianza di Sesto Empirico (180-220 d.C. ca) che ricorda come Carneade (214-129 a.C.) e altri della scuola scettica avessero sviluppato un’argomentazione logica di questo genere: «Se davvero gli dei esistono, essi sono esseri viventi e […] si potrà sostenerecheancheDioèun vivente qualsiasi. […] Ma se le cose stanno così, egli è corruttibile. Di conseguenza, se davvero esistono dei, questi sono corruttibili. Perciò gli dei non esistono».61 Ci imbattiamo qui in qualcosa di simile a quello che Antonio Rosmini Serbati (1797-1855) ha definitoil«sofismadell’ateo» echesarebbecosìstrutturato: Glideiseesistonodevono averelevirtù[tipicamente umane]; Ma non possono avere le virtùumane; Dunque:nonesistono.62 Come nel caso dell’argomento di Carneade, la falsità di questo ragionamentorisiedenelfatto che si vuole attribuire necessariamenteaDio(oagli dei) delle caratteristiche umane o simili a quelle umane, mentre non si vuole «confessare di ignorare quale sia la virtù propria della divinità».63 Il cinismo pirroniano fondato sull’ἐποχή (epoché), sulla sospensione del giudizio, è tuttavia più vicino all’agnosticismo che all’ateismo, ossia alla posizione di chi ritiene che non si possa né affermare né negare l’esistenza di Dio: «Non si può comprendere se la divinità esista».64 D’altronde davanti alle credenze religiose, perfino uno scettico moderno dichiaratamente non pirronianocomeDavidHume (1711-1776) concludeva da agnostico la sua Storia naturale della religione: «Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l’unico risultato della nostra più accurata indagineinproposito».65 In ultima analisi, resta incerta la presenza in Grecia di pensatori integralmente «atei» secondo il senso moderno del termine. È probabile che se in quel tempo degli atei dichiarati ci sono effettivamente stati, si sia trattato comunque di pochi casi; e a ogni modo le nostre fonti sono talmente scarse che non possiamo spingerci oltre questa sommaria valutazione.66 A questo giudizio si può forse fare qualche modesta eccezioneperinomidifigure tradizionalmente annoverate nelle storie dell’ateismo e definiti già in antico ἄϑεοι (atheoi), di cui ci parla espressamente Sesto Empirico. Essi sono: Evemero di Messina (340260a.C.ca),DiagoradiMelo (465-410 a.C. ca), Prodico di Ceo (460-380 a.C. ca), Teodoro di Cirene (340-250 a.C. ca) e Crizia il Giovane (460-403a.C.).67 Mentre di Evemero si dice che reputasse gli dei uomini deificati, il sofista Prodico avrebbe invece ricondotto il culto delle divinità a scopi utilitaristici, ossia«perilvantaggiochene traevano» gli umani personificando tutte le cose («Sole e Luna e fiume e fonti»)68 al fine di dominare la natura. Crizia, un altro sofista, sosteneva a sua volta che l’idea di un dio che tutto vede e punisce fosse un’invenzione politica degli «antichi legislatori […] affinché nessuno di nascosto commettesse ingiustizia».69 Teodoro fu apertamente soprannominato «l’Ateo» e tra i componenti della scuola cirenaica greca è stato indicato come colui che «eliminò radicalmente le comunicredenzeneglidei».70 Notizia quest’ultima confermata anche da Cicerone ed estesa pure al poeta Diagora di Melo, poiché entrambi «ritennero che gli dei non esistono per niente» e «negarono apertamente la natura divina».71PerTeodoro,come per Diagora, tutti i discorsi sulla divinità sono dunque chiacchiere inutili e fondate sulnulla.Pareinoltrecheegli si sia sbilanciato nella direzione del relativismo etico, per cui il saggio in assenza degli dei poteva fare al momento opportuno tutto quello che riteneva: perfino rubare,dichiarareilfalso,non rispettare i doveri verso la patria e quant’altro ancora (è la cosiddetta ἀναίδεια anáideia, la sfrontata libertà cinica). D’altronde il fine etico dell’uomo per Teodoro non risiedeva tanto nel piacere immediato, quanto in uno stato d’animo di piacevolezzaodi«gioia»che si può appunto raggiungere soltantoconlasaggezza. Che in epoca grecoromanalanozionediateismo fosse piuttosto diversa dalla nostralodimostralacondotta tenuta dai romani nei confronti dei primi cristiani, reputati atei in quanto non seguivano il culto degli dei pagani e non facevano sacrifici all’imperatore. Qualcosadianalogodevedel resto essere accaduto per i giudei, se è vera la testimonianza dello storico FlavioGiuseppe(37-100d.C. ca) secondo cui sarebbero stati considerati «atei e misantropi» dai pagani.72 Contro l’accusa di ateismo rivolta ai credenti in Cristo sentì il dovere di difendersi con vigore un padre apologista della Chiesa come Giustino (100-165 d.C.), il qualesedaunlatononaveva difficoltà ad ammettere che i cristiani «sono atei rispetto a queste sedicenti divinità» pagane, dall’altro negava che potesserodirsitali«rispettoal Dio della somma verità» e concludeva: «Pertanto non siamoatei,datocheadoriamo ilCreatorediquestouniverso, di cui diciamo, secondo quel che ci è stato insegnato, che non ha bisogno né di sangue sacrificale,nédilibagioni,né diincensi».73 Per altro anche nella filosofia contemporanea è tornata l’idea di un cristianesimo permeato da un certo tipo di ateismo e in particolare ciò si è verificato col pensatore filomarxista ErnstBloch,chehacompiuto nella nostra epoca una sorta di secolarizzazione della speranza.Eglihainnanzitutto rammentatocomecoltermine atheoi «vennero per la prima volta denominati i martiri cristianiallacortediNerone» e come il messaggio evangelicoapraunpotenziale percorso di liberazione dalla oppressiva teocrazia del DioJahvè dell’Antico Testamento,mentrelaBuona Novella di Gesù si caratterizzerebbe come una «mossacontrariaaltimoredi Dio».Pertanto,«solounateo puòessereunbuoncristianoe anche solo un cristiano può essere un buon ateo», perché solamente negando la concezione jahvista della divinità «il figlio dell’uomo» ha potuto dirsi «identico a Dio».74 Se l’ebreo Filone di Alessandria (20/10 a.C-45/50 d.C. ca) considerava atei i pagani,75 alcuni dei primi cristiani considereranno atei tantoipaganiquantoigiudei perché entrambi rifiutavano CristoqualefigliodiDio: Atei – scrive il Padre della Chiesa Clemente Alessandrino (150-215 d.C. ca) – giustamente io chiamo costoro che non hanno conosciuto Colui cheèveramenteDio[…]. Duplice è la forma di ateismo di cui essi sono affetti, la prima consistente nel fatto che ignorano Dio, in quanto non riconoscono come Dio quegli che è veramente Dio; l’altra, la seconda, di credere che esistano coloro che non esistonoedichiamaredei questi […] che non sono chesemplicinomi.76 Secondo Clemente sono perciòdapreferireaipaganie agli ebrei gli atei come «Evemero di Agrigento e NicanorediCiproeDiagorae Ippone,tuttieduediMelo,e inoltre quello di Cirene chiamato Teodoro [l’Ateo]», perché hanno smascherato le falsedivinitàsiagrechesiadi ogni altra parte della Terra, mentre non hanno potuto rifiutareCristoinquantonon l’hanno conosciuto: «Essi, è vero,nonhannoconosciutola verità stessa [Gesù Cristo], ma almeno hanno sospettato l’errore, il che non è piccola scintilladisaggezza,laquale cresce, come seme, verso la verità».77 Sebbene nel corso del Medioevo l’ateismo sembri quasi scomparso o venga al più relegato tra le ipotesi logiche per assurdo, perché secondo Giovanni Duns Scoto (1266-1308) della non esistenza di Dio si può trattare solo «per impossibile»,78 in effetti il fenomenonellarealtàdoveva permanere quantomeno sotto traccia. Ce lo conferma indirettamente Anselmo d’Aosta(1033-1109),quando nel suo famoso Proslogion (1077-1078) tira in ballo qualesuointerlocutorecritico un’insipiente che nega l’esistenza di Dio: «Ora – scriveilteologoaostano–noi crediamo che tu [Dio] sia qualcosa di cui non si possa pensarenulladipiùgrande.O forsenonvièunatalenatura, perché disse l’insipiente in cuor suo: Dio non esiste? [Dixitinsipiensincordesuo: non est deus]».79 E qualcuno ha voluto intravedere tanto nella ricerca anselmiana di una prova inconfutabile dell’esistenza di Dio, di «un unico argomento [unum argumentum] che si provasse da se stesso»80 e quindi logicamenteincontrovertibile, il segno di una insicurezza forse determinata dal permanere dell’insidiosa presenza degli atei.81 Noi invece preferiamo pensare che certamente il rifiuto di Dio, in questo caso di quello cristiano, non fosse certo totalmente sparito, cosa questa impensabile per qualsiasi epoca storica, ma risultasse piuttosto confinato adalcuniintellettuali,sultipo di quelli che poi frequenteranno la corte di Federico II di Svevia (11941250) in Sicilia. Come ha infatti acutamente rilevato lo storico francese Jean Delumeau trattando della controversa questione sul successo o il fallimento della cristianità medievale, dopo l’anno1000sièverificatoun «disimpegno progressivo di un’élite cristiana»82 e quindi una crescente laicizzazione degli stessi teologi e uomini di cultura cristiani del Medioevo. 4.L’ateismomoderno Dalle nuove riflessioni teologico-filosofico degli intellettuali cattolici medievali prenderanno forma prima il Rinascimento e poi l’epocamodernaconifilosofi razionalisti ed empiristi seicenteschi, la rivoluzione scientifica e infine la grande stagione dell’Illuminismo. È in questi movimenti culturali che si collocano la fine dell’ateismo classico e l’origine del concetto moderno di ateismo, quello a cui noi qui facciamo riferimento e nel quale si riconosce normalmente chi oggisiproclamaateo.Gliatei delnostrotemposonocoloro che innanzitutto rifiutano l’idea ebraico-cristiana di Dio, vale a dire di una divinità creatrice e provvidente, e in seconda battuta il teismo sotto qualsiasiforma.Illororifiuto tuttavia non si ferma qui, ma si estende anche al Dio dei deisti,ossiaallafiguradivina di un Grande Architetto o di un Orologiaio cosmico che avrebbe se non creato, quantomeno progettato e messo in moto l’universo, mentre una certa tolleranza viene riservata al panteismo, perlomeno nella sua versione non spiritualista o emanazionistica. Sel’ateismoclassiconelle sue manifestazioni più radicali non accettava l’esistenza di Dio essenzialmente per motivi cosmologici o di filosofia della natura, in quanto concepiva il cosmo o come autosussistente (i filosofi naturalisti e gli atomisti) oppure come coincidente col divino (gli stoici), l’ateismo modernonegaDiopermotivi prevalentemente antropologici o umanistici, vale a dire per una concezione autarchica dell’uomo, in special modo della sua ragione e della sua libertà. Prima con la svolta razionalistica di René Descartes (1596-1650) e poi successivamente con la rivoluzione copernicana di Immanuel Kant si afferma infatti una concezione filosofica dell’essere umano che da un lato esalta le sue facoltà razionali fino a renderlo autonomo da Dio o comunque in grado di vivere come se non ci fosse (etsi Deus non daretur)83 e dall’altro pone dei limiti alla capacità della ragione di conoscere con certezza l’esistenza del trascendente, di ciò che va oltre l’esperienzapossibile. Dal punto di vista filosofico l’ateo moderno è pertanto colui che nega l’esistenza di un Ente trascendente quale origine e fondamento di tutto quanto esiste, che crede nella sola esistenza del nostro mondo, dove gli uomini sono esseri finiti come tutti gli altri viventi, ma che possono gestire in assoluta autonomia buona parte del loro destino. La migliore definizione dell’ateismo nel solco della filosofia occidentale ce l’ha ancora una volta tramandata Étienne Gilson, il quale ha chiarito che l’ateo propriamente detto deve negare un concetto di Dio inteso come «ente trascendente, vale a dire un essere che esiste indipendentemente» da noi e dal mondo, come «ente necessario, tale che dopo averlo trovato non se ne debba cercare la causa» essendo la prima «causa di tutto quanto esiste».84 È qui esplicito il riferimento a una nozione monoteistica di Dio tipica della filosofia aristotelico-cristiana e in particolaretomista. Da un’altra ottica il filosofo di origini russe e importante studioso dell’hegelismo Alexandre Kojève (1902-1968), dopo aver precisato che non basta dire che l’ateismo è la negazione di Dio senza chiarire«qualeDioneghiamo e che tipo di negazione è la nostra»85, ha proposto un’interpretazione filosofica dell’ateismo quale rifiuto di una divinità concepita come «un qualcosa d’altro» dal mondo e «dall’uomo nel mondo»,86ocomunquediciò che appartiene alla realtà mondana: «Dio è qualcosa e questo qualcosa è, esiste, ma in modo suo peculiare, diverso dagli altri qualcosa [le entità mondane], ed è proprio questo suo “essere” chel’ateononconosce»87.In una simile prospettiva, il deista e il teista sono coloro chepropugnanol’esistenzadi un «qualcosa d’altro» oltre il mondo e l’uomo, i panteisti quelli che pensano a una identità tra il qualcosa che è la natura e il «qualcosa d’altro»cheèDio,mentregli ateiaffermanochenonesiste niente al di fuori degli esseri mondani così come li conosciamo nella loro dimensione naturale e contingente, quindi negano «che Dio sia qualcosa di diversodalnulla».88 Ma a questo punto l’ateismo, se non vuole risolversi nel puro nichilismo (evento che Kojève respingeva), deve meglio precisare il principio e il fondamento degli enti mondani; in breve, deve spiegare da dove scaturiscono,dichecosasono fatti e qual è il loro esito finale. Le ragioni addotte per rifiutare Dio da parte degli atei sono state molteplici e talvolta degne della più strabiliante creatività della mente umana: per alcuni è una mera proiezione della vera essenza dell’uomo (Feuerbach); per altri è il prodottodiunasovrastruttura di potere e l’oppio per gli oppressi (Marx ed Engels); perqualcunoèunconcettoin contraddizione con la libera capacità umana di progettare la propria esistenza (Sartre); per qualcun altro è un nonsenso linguistico (i neopositivisti); e probabilmente per tutti è semplicemente inconcepibile di fronte allo scandalo della sofferenza degli innocenti e ingeneraledellapresenzadel male nel mondo. Ma qualunque sia il motivo o l’argomento con cui si respingel’esistenzadiDio,si devono comunque affrontare gli interrogativi metafisici sulla struttura ontologica della realtà e sull’origine di tuttoquantoesiste. Inrispostaataliquestioni metafisiche viene di solito posto in primo piano dagli ateimoderniun«principiodi immanenza» per cui ogni spiegazione o giustificazione va cercata all’interno del mondo stesso così come lo conosciamo e giammai fuori di esso. Nell’ambito del principio di immanenza coniugato nella forma dell’ateismo, nella maggioranza dei casi ci si imbatte in un monismo materialistico, ossia in una filosofia radicalmente materialistica, oppure in una concezione scientifica che fa della materia in senso fisico l’unica realtà esistente. Ciò vuol dire che tutto ciò che esiste nel cosmo è fatto esclusivamente di materia e inoltre esiste necessariamente, perché la materia non ha bisogno di cause esterne per giustificare la propria esistenza (è causa sui) e neppure le occorrono principi trascendenti per spiegareilproprioessere,ma si fonda da sé ossia è autofondata. Allo stesso modo il problema del senso dellecose,quandononrisulta apertamente ricusato in quanto privo di significato o di valore, viene ridotto dagli atei al perenne divenire della materia e al dispiegarsi delle leggi naturali, all’interno dellequaliognisingolouomo deve ritagliarsi una propria personale e immanente «ragioneesistenziale». Questa diretta connessione tra visione materialistica del mondo e ateismomodernovenneposta in rilievo dal filosofo e vescovo irlandese George Berkeley (1685-1753), il quale anche per tale motivo scelse la via di una filosofia anticipatrice dell’idealismo e da lui definita «immaterialista». Berkeley infatti scrive: «La dottrina della materia o sostanza corporea è stata la principale colonna, il principale sostegno dello scetticismo, ma sulle stesse fondamenta sono stati innalzati in modo analogo gli empi programmi dell’ateismo e dell’irreligione». Tutti i «sistemi mostruosi» dell’ateismo hanno dunque per lui come pietra angolare una teoria materialista che esclude dalla realtà qualsiasi ente immateriale o trascendente, a iniziare ovviamente da Dio. Per confutare il materialismo occorre pertanto contrapporgli una concezione della realtà non materialista, scalzando così dalle fondamenta la non credenza, percuiaquelpunto«nonsarà più necessario considerare in dettaglio le assurdità di ogni disgraziatasettadiatei».89 La nostra attuale conoscenza storica tanto del materialismo filosofico quanto dell’ateismo nelle sue diversemanifestazionienelle diverse culture, ci consente oggi di concludere correttamente che se tutte le concezioni materialistiche moderne implicano per consequenzialità logica l’ateismo, non fosse altro perché chi interpreta il reale nell’ottica della pura materialità o della sola fisica della materia non ha certo bisogno di ricorrere all’ipotesiDio(èquellocheè stato definito «ateismo di conseguenza»)90,nontuttigli atei sono tuttavia necessariamente dei materialisti radicali, come dimostranoperesempiocerte filosofieorientaliqualequella dellascuolainduistaSāṃkhya. IltermineSāṃkhyaèsanscrito e il suo significato letterale equivale a «(sapere) dell’enumerazione» riferito a una scienza catalogatrice dei principi cosmici e individuali del reale. Gli appartenenti a questa scuola filosoficoreligiosaseguonounadottrina dualistica (esistono i Sé spirituali o puruṣa e la materia/natura o prākṛti) e nonteistica.Sitrattapertanto diunaposizioneateistica,ma non irreligiosa e materialista. La questione si presenta ancora diversamente qualora si faccia riferimento a certe formeantichedimaterialismo come quella dell’atomismo greco: come accennato, tanto Democrito quanto Epicuro non negavano la presenza deglidei,maliconsideravano costituiti di atomi «più sottili». In un panorama così complesso,nelqualeastretto rigore storico-critico non è possibile ritenere sempre coincidentilefiguredell’ateo edelmaterialista,risultaforse utile per mettere meglio a fuocol’ateismomodernofare ricorso a una descrizione «insiemistica», ovvero definendolo come l’insieme di tutte le persone che non credono nell’esistenza di Dio o del divino o comunque di entità, principi e dimensioni meta-naturali, siano essi trascendenti (come nel deismo e nel teismo) o immanenti (come nel panteismo); quindi l’uomo è solo con i limiti e le potenzialità che gli sono propripernatura. Nella nostra epoca dominatadallascienzaedalla tecnologia, al paradigma antropologico o umanistico dell’ateismo si è aggiunto quelloscientificooscientista. Pur mantenendo l’impostazione di fondo materialista, ammantata tutt’alpiùdiunanuovaforma di naturalismo evoluzionistico, col paradigma scientista gli atei teoricihannoritenutodipoter dare una veste «scientifica» alle loro tesi. Tuttavia, l’ateismo di gran lunga prevalente nell’attuale civiltà secolarizzata resta quello «pratico» e comunque in generale quello dell’indifferenza o di un’incredulità di fondo nei confronti del problema dell’esistenza di Dio e della religione.Sucosarappresenti la secolarizzazione nel contesto dell’ateismo si è discusso molto sia dal punto di vista teologico sia dal punto di vista sociologico. Per un sociologo e al tempo stesso teologo come l’austriaco Peter Ludwig Bergerèdaintendersicomeil «processo attraverso il quale settori della società e della cultura diventano estranei al dominiodelleistituzioniedei simboli religiosi»91. Tale processo, considerato sotto il profilo individuale, si presenta come uno stile di vita delle persone che neppure percepiscono il bisogno di credere nella presenza di un Ente trascendente o di cercare il proprio senso in una risposta religiosa, come uno spontaneo e abitudinario distacco dalle grandi questioni metafisiche ed esistenziali (Chi siamo? Perché esistiamo? Che significato hanno la nostra vita e l’universo? Perché c’è l’essere piuttosto che il nulla?). L’ateismo pratico non ha normalmente dietro di sé un particolare approfondimento delle motivazioni del rifiuto di Dio e non si fonda nemmeno su precise argomentazioni razionali, ma si caratterizza come un atteggiamento individuale, una forma di comportamento quotidiano che esclude di fatto l’idea stessa del divino, «senzapreoccuparsidellasua esistenza e organizzando la propriavitaprivataepubblica prescindendodall’esistenzadi qualsiasi Principio assoluto»92. Per questo talvolta viene anche definito «apateismo», sincrasi di «apatia» e «ateismo», per segnalare come l’ateo pratico si dimostri apatico nei confrontidelproblemadiDio e reputi irrilevante qualsiasi discussione sull’esistenza del divino o di un Creatore. Come emblema di questo mododiessereateièrimasta celebre un’osservazione dell’illuminista francese Denis Diderot (1713-1784) all’amicodeistaVoltaire,che recita così: «È molto importante non prendere la cicuta per il prezzemolo, ma nonloèaffattocredereinDio o non crederci».93 Quello dell’ateo pratico, secondo il cattolico convertito André Frossard (1915-1995), si può definire «ateismo perfetto» perché viene vissuto come fosse uno stato del tutto naturale, come una tranquilla e scontata abitudine: «Mia nonna era ebrea, mia madre protestante, mio padre non era battezzato. […] In casa nostranonsisfioravaneppure per sbaglio l’argomento “religione”. […] Eravamo degli atei perfetti, di quelli che non si pongono più interrogativi sul loro ateismo».94 Per altro può succedere chel’ateopraticosidichiarie si ritenga ufficialmente un credente, magari perché si sposa in Chiesa e apprezza il fascino di certe ricorrenze o cerimoniereligiose,mentrein effetti si comporta nella vita quotidiana come un non credente, visto che agisce e pensa etsi Deus non daretur, comeseDiononcifosse.Di recente è poi entrata in auge la stramba categoria dei cosiddetti«ateidevoti»,ossia dei laici non credenti che tuttavia ritengono la ragione moderna strettamente imparentata col cristianesimo e vedono nella Chiesa una difesa dell’identità dell’Occidente, che in sostanza non credono in Dio, ma fanno propri i valori cristiani. Gli ultimi sviluppi in Italia del cosiddetto «pensiero debole» di Gianni Vattimo sono una buona esemplificazione di questo fenomeno, dove una ragione indebolitaingradosoltantodi «credere di credere» concepisce addirittura un astratto «cristianesimo non religioso», il quale a conti fatti rappresenta un modo pratico di negare non solo l’esistenza di Dio, ma anche qualsiasi discorso sensato sul trascendente.95 L’individuo secolarizzato è in definitiva un «uomo pratico» che non dà ascolto alle ideologie di nessun genere, tantomeno a quelle politiche, ma neppure alle religioni e alle spiegazioni metafisiche. È un «uomo autarchico», che pensa di poter decidere da solo e in autonomia ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giustoeciòcheèsbagliato.È un «uomo disincantato», che non crede a nessuna visione del mondo, ma ripone nel contempo nella scienza e nella tecnica una fiducia pressoché sconfinata. Questo «uomo pratico» spesso assume pregiudizialmente una posizione contraria al problema di Dio, perché lo ritiene fondato su un’ipotesi inutile, quindi una questione irrilevante rispetto al proprio lifestyle. Conlamodernitàprimae la postmodernità dopo l’ateo è passato progressivamente dal banco dell’imputato su cui l’aveva posto il Medioevo, incolpandolo di essere un insipiente o un folle,albancodell’accusadal quale si scaglia soprattutto contro i credenti e i rappresentanti istituzionali delle diverse religioni, a iniziaredaquellacristiana.La traduzione di questo ateismo militante in campo politicosociale si è concretizzata in un primo momento con alcune terribili vicende della Rivoluzione francese, dove il deismo di facciata si confondeva facilmente con l’intolleranza antireligiosa e antiteista, a tal punto che il romanziereHonorédeBalzac (1799-1850)giunseascrivere che «il deista è un ateo col beneficio d’inventario»96. La sua seconda fase è stata invece quella dell’avvento al potere del comunismo in Russia, nei paesi dell’Est Europa,aCuba,inCina,nella CoreadelNordenelSud-est asiatico; Paesi quest’ultimi dove si è assistito o alla proclamazione ufficiale dell’ateismo di Stato oppure allacreazionediunsistemadi ateismo governativo basato sulla persecuzione strisciante e l’emarginazione dei credenti. In ultima istanza, queste esperienze storiche dimostrano che l’ateo non soltantoritienedipoterfarea meno di Dio, ma spesso reputa anche di diventare migliore e più libero se gli riesce di eliminarne la credenzadallamentedeisuoi similiedallasocietàumana. 1 Meister Eckhart, Istruzioni spirituali, in Dell’uomo nobile. Trattati, Adelphi, Milano1999,pp.64-65. 2MeisterEckhart,Trattati,inTrattatie prediche, Rusconi, Milano 1982, p. 163.Eckhartèstatovalidamentedifeso dall’accusa di panteismo dal filosofo e umanista Nicolò Cusano, il quale trae daluidiversispuntiperilsuoDedocta ignorantia (vedi N. Cusano, La dotta ignoranza,Rusconi,Milano1988). 3 N. Malebranche, La ricerca della verità, Laterza, Bari 1983, p. 329. Sull’ontologismo vedi R.G. Timossi, Dio è possibile? Il problema dell’esistenza di un’Entità superiore, Muzzio, Padova 1995, pp. 9-13, e Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici, Marietti, Genova-Milano 2005, pp. 2327. 4 Vedi J. Lagneau, De l’existence de Dieu,FelixAlcan,Paris1925. 5 Giovanni Damasceno, De fide orthodoxaI,c.1,3. 6 Tommaso d’Aquino, Summa TheologiaeI,q.2,a.2.,ESD,Bologna 1996. Nelle versioni delle Sacre ScritturecheseguonolaBibbiaebraica ilsalmo52corrispondeinrealtàal53. 7 K. Rahner, Chiesa e ateismo, in AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, Massimo,Milano1981,pp.165-66. 8Ivi,p.166. 9 R. Carnap, Il superamento della metafisicamediantel’analisilogicadel linguaggio, in Il neoempirismo, Utet, Torino1969,pp.512e525. 10 Simile a questa posizione è quella del cosiddetto «ignosticismo». Il termine è stato coniato dal rabbino statunitense Sherwin T. Wine (19282007), fondatore dell’ebraismo laico umanista, per indicare il punto di vista dichireputalaquestionedell’esistenza diDioprivadisignificatoinquantonon prospettaconseguenzeverificabili. 11 Vedi J. Monod, Il caso e la necessità,Mondadori,Milano1997. 12 K.R. Popper, Poscritto alla logica dellascopertascientifica,IlSaggiatore, vol.II,p.25. 13K.Löwith,HegelunddieAufhebung derPhilosophieim19.Jahrhundert, in Sämtliche Schriften, J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 19811988, vol. V, p. 196. L’espressione Natura naturans è traducibile con «natura naturante» e si riferisce alla naturacomegeneratricedellacosiddetta Natura naturata, la natura in quanto generata. 14 Le citazioni da Ch. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 12 sgg. Per Taylor l’inizio della «Grande narrazione della Riforma» va fatto risalire a ben prima di Lutero, forse addirittura a papa Gregorio VII (1073-1085). 15VediB.Spinoza,Trattatoteologicopolitico, ETS, Pisa 2011. Sugli influssi secolarizzanti del Tractatus spinoziano vedi S. Nadler, Un libro forgiato all’inferno,Einaudi,Torino2013. 16 Vedi E. Lecaldano, Un’etica senza Dio,Laterza,Bari2006. 17SulneopaganesimovediJ.R.Lewis, TheOxfordHandbookofNewReligious Movements, Oxford University Press, London-New York 2004; P. Gilbert (a cura di), La terra e l’istante. Filosofi italiani e neopaganesimo, Rubbettino, SoveriaMannelli2005. 18 Lettera agli Efesini 2,11-12. Salvo diversa indicazione, l’edizione dei testi bibliciutilizzataèLaBibbia.Via,verità e vita, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009,contenentelanuovaversioneCEI del2008. 19ClementeAlessandrino,Glistromati. Note di vera filosofia, VII, 1,4,3, Paoline,CiniselloBalsamo2006. 20VediD.Morin, L’ateismo moderno, Queriniana,Brescia1996,p.11. 21 Voltaire, Dizionario filosofico, in Scritti filosofici, Laterza, Bari 1972, vol. II, pp. 212-13. «Logomaco», il nomedelteologobizantino,rappresenta un chiaro riferimento polemico alla «logomachia», ossia a una disputa inconcludente. 22 Voltaire, Trattato di metafisica in Scrittifilosoficicit.,vol.I,p.134. 23 Vedi C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, Studium, Roma 1969,p.86. 24I.Kant,Criticadellaragionpura,B 659/A631eB661/A633,Utet,Torino 1967,pp.501-02. 25VediK.Löwith,Dio,uomoemondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Donzelli, Roma 2000, pp. 53-67. 26I.Kant,Criticadellaragionpratica, A223-237,Utet,Torino1970,pp.27180. 27 Le citazioni di Penzias in R. Chiaberge, La variabile Dio, Longanesi,Milano2008,pp.35-36. 28M.T.Cicerone,Denaturadeorum,I, 19,51,Rizzoli,Milano1992,p.87. 29DiogeneLaerzio,Vitedeifilosofi,X, 97,Laterza,Bari2000,vol.II,p.432. 30 Considerato ateo, a Giulio Cesare Vaninivennetagliatalalinguaefupoi giustiziatoperstrangolamentoaTolosa. Il suo cadavere venne infine arso sul rogo.VediG.C.Vanini,Tutteleopere, Bompiani,Milano2010. 31 «Athée-Athéisme» in Voltaire, Dizionariofilosofico,inScrittifilosofici cit.,vol.II,pp.58-59. 32 Vedi J. Toland, Pantheisticon, in Opere, Utet, Torino 2002. Toland si è tuttavia definito per la prima volta «panteista»nel1705,inunbrevescritto intitolatoSocinianismTrulyStatedbya Pantheist. L’epiteto di freethinker (liberopensatore)glifupolemicamente attribuito dal vescovo e connazionale GeorgeBerkeley(1685-1753). 33 Vedi S. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia 1962, vol. I,p.14. 34 Plotino, Enneadi, V, 2, 1, Rusconi, Milano 1992, p. 815. A contestare il carattere emanazionistico e panteistico del pensiero plotiniano è stato ad esempiolostoricodellafilosofiaantica Giovanni Reale, per il quale «quando Plotinoaffermachetuttelecosesonoin Dio, intende dire non che coincidono conlasostanzadiDio,machederivano o dipendono tutte dalla sua potenza» (G.Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano 1989, vol. IV, p. 608). Per motivi analoghi, il grande storico tedesco della filosofia greca Eduard Zeller (1814-1908) non reputava il sistema plotiniano un emanazionismoetuttavialodefinivaun «panteismo dinamico» (E. Zeller, Compendio di storia della filosofia greca,LaNuovaItalia,Firenze1975,p. 256). 35 B. Spinoza, Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, Bollati Boringhieri,Torino1971,p.49. 36 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII,137,ed.cit.,vol.I,p.290. 37 Vedi J.F. Haught, Un Dio evoluto. La teologia dopo le teorie di Darwin, Levespe,Milano2002. 38 A.N. Whitehead, A.N. Griffin, D. Ray, D.W. Sherburne, Process and Reality. An Essay in Cosmology, Free Press,NewYork1979,p.528. 39A.N.Whitehead,Scienzaefilosofia, IlSaggiatore,Milano1966,p.126. 40 A.C. Ambesi, Il panteismo, Xenia, Milano2000,p.4. 41VediJ.Burnet,Iprimifilosofigreci, Mimesis,Milano2013. 42 É. Gilson, Dio e la filosofia, Massimo,Milano1990,p.27. 43 G. van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Bollati Boringhieri, Torino1975,p.7. 44VediR.Schröder,Liquidazionedella religione? Il fanatismo scientifico e le sue conseguenze, Queriniana, Brescia 2011,pp.193-95. 45 Tenzin Gyatso (Dalai Lama), I sentieri della sapienza e dell’incanto. Lezioni all’Università di Harvard, Mondadori,Milano2011,pp.142-44. 46 Vedi W. Weischedel, Il Dio dei filosofi. Fondamenti di una teologia filosofica nell’epoca del nichilismo, Il Melangolo,Genova1988,vol.I,pp.36 e39. 47 Plutarco, «Vita di Pericle», 32,2, in ViteParallele,Rizzoli,Milano2009,p. 599. 48 I Presocratici. Testimonianze e frammenti,DK59,A1(12),Bompiani, Milano2006,p.1005. 49 G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano 1975, vol.I.p.169. 50 I Presocratici. Testimonianze e frammenti,DK80,B4,ed.cit.,p.1577. 51 Euripide, Bellerofonte, fr. n. 286. Vedi M. Curnis, Il «Bellerofonte» di Euripide, Edizioni dell’Orso, Alessandria2003. 52 Senofonte, Memorabili, I, 1, in Socrate.Tutteletestimonianze,Laterza, Bari1986,p.77. 53 Platone, Apologia di Socrate, 26 C, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano 1991,p.32. 54Senofonte,Memorabili,I,1,ed.cit., p.77. 55 Platone, Apologia di Socrate, 27 A, inTuttigliscritticit.,p.33. 56Cicerone, Denaturadeorum,II,17, 46-47,ed.cit.,p.191. 57 Sulla «teologia» di Epicuro vedi G. Reale, Storia della filosofia greca e romana, Bompiani, Milano 2008, vol. 5,pp.195sgg. 58 Lucrezio, De rerum natura, I, 101. Vedi Lucrezio, La natura delle cose, Mondadori,Milano1992. 59 Vedi Lucrezio, De rerum natura, I, 62-101e III, 1,93. Chi invece ha convintamente considerato atei tanto Epicuro quanto Lucrezio è stato Karl Marx e con lui tutta la successiva tradizionedelpensierocomunista(vedi ad esempio la voce «Ateismo» della Grande enciclopedia sovietica, terza edizionedel1978). 60 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VI, 37 e 44, ed. cit., vol. I, pp. 216 e 219. 61 Sesto Empirico, Contro i fisici I, 138-141,Laterza,Bari1990,pp.52-53. 62 A. Rosmini, Logica, Città Nuova, Roma1984,p.289. 63Ivi. 64 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani III, 11, Laterza, Bari 1988, p. 124. Lo scetticismo pirroniano è detto così perché ispirato all’insegnamento del filosofo scettico greco Pirrone di Elide (360-270 a.C. ca), il quale pare però abbia preferito al termine epoché il termine ἀδοξία (adoxìa), che significa assenza di opinione e quindi indirettamente rinuncia a esprimere giudizi. 65 D. Hume, Storia naturale della religione,inOpere,Laterza,Bari1971, vol.I,p.753. 66 Dell’opinione che non si potesse parlare in senso proprio di ateismo per il pensiero antico era ad esempio AugustodelNoce.VediA.DelNoce,Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna1990,p.17. 67 Sesto Empirico, Adversus dogmaticos, III, 51-54. Vedi Sesto Empirico, Contro i fisici, I, 51-54, ed. cit.,pp.30-31. 68Ivi,I,18,p.23. 69Ivi,I,54,p.31. 70DiogeneLaerzio,Vitedeifilosofi,II, 97,ed.cit.,vol.I,p.81. 71Cicerone,Denaturadeorum,I,1,2, eI,23,63,ed.cit.,pp.42-43e95. 72 Flavio Giuseppe, Contra Apionem, II,148,Marietti,Milano2007. 73Giustino,Primaapologia,6,1e13,1, inApologie,Rusconi,Milano1995,pp. 45e57. 74E.Bloch,Ateismonelcristianesimo, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 32, 169 sgg.SuBlochvediinfra,cap.4,par.5. 75 Vedi Filone di Alessandria, La creazionedelmondosecondoMosè,1- 12, in Tutti i trattati del commentario allegoricoallaBibbia,Rusconi,Milano 1994,pp.11-12. 76 Clemente Alessandrino, Protreptikos,II,23,CittàNuova,Roma 2004. 77Ivi. 78G.DunsScoto,Ordinatio,I,dist.43, q. unica, in Opera Omnia, vol. II, Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1950. 79 Anselmo d’Aosta, Proslogion, in Anselmo d’Aosta, Monologio e Proslogio, Bompiani, Milano 2002, p. 317. 80Ivi,p.305. 81VediG.Minois,Storiadell’ateismo, EditoriRiuniti,Roma2003,pp.82-86. 82J.Delumeau,Ilcristianesimostaper morire?,SEI,Torino1978,p.88. 83L’espressioneetsiDeusnondaretur, definita poi «ateismo metodico» o «metodologico», è attribuita al giurista Ugo Grozio (1583-1645): nell’ambito del giusnaturalismo, sosteneva infatti unaragionenaturalebasatasuenunciati validi indipendentemente dall’esistenza diDio. 84 É. Gilson, L’athéisme difficile, Vin, Paris1979,p.12. 85 A. Kojève, L’ateismo, Quodlibet, Macerata2008,p.21. 86Ivi,p.44. 87Ivi,p.39. 88Ivi,p.23. 89 G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana, par. 92, Laterza,Bari1991,pp.93-94. 90 G. Cottier, Definizione e tipologia dell’ateismo, in AA.VV., L’ateismo. Naturaecause,Massimo,Milano1981, p.22. 91 P.L. Berger, The Social Reality of Religion, Allen Lane, London 1973, p. 113. 92C.Fabro,L’uomoeilrischiodiDio, Studium,Roma1967,p.33. 93 Vedi D. Diderot, Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono, La Nuova Italia,Firenze1999.Com’ènoto,pergli inesperti è facile confondere la cicuta conilprezzemolooppureconl’anice. 94 A. Frossard, Dio esiste, io l’ho incontrato, SEI, Torino 2002, pp. 17 e 30. 95 Vedi G. Vattimo, Credere di credere,Garzanti,Milano1996,eDopo lacristianità.Peruncristianesimonon religioso,Garzanti,Milano2002. 96 Vedi H. de Balzac, Orsola Mirouet, Corbaccio,Milano1932. 2 Fedeeateismo 1.Interpretazioni dell’ateismo Molti psicologi e molti neurobiologi condividono la convinzione secondo cui gli esseriumanisonopredisposti per natura a essere religiosi. Per sostenerlo si fondano sulla tesi evoluzionistica che identifica nella religione una risposta alla pressione selettiva dell’ambiente esterno; risposta che servirebbe appunto a contrastare gli effetti psicologicinegativideirischi dellacompetizioneperlavita nei singoli individui umani e quindi a fare della religiosità unasortadiantidotoall’ansia quotidiana. E del resto, l’appartenenza religiosa e la credenza in entità sovrannaturali svolgerebbe pure una funzione sociale adattativa rendendo gli individui più rispettosi delle regolemoralidiunacomunità e più predisposti alla cooperazione coi propri simili; comportamenti da cui discenderebbe una maggiore coesione collettiva e quindi unaforzastrutturalemaggiore della compagine sociale. Detto altrimenti, dal punto di vista della selezione naturale gli esseri umani religiosi hanno un chiaro vantaggio competitivo rispetto ai non credenti,inquantonellalotta per la sopravvivenza la fede religiosainfondeloroenergia psicologica, propensione alla solidarietàdigruppoefiducia nei propri mezzi. Stando inoltreadalcunistudirecenti, i credenti godrebbero individualmente di un benessere psico-fisico maggiore, di una salute migliore e quindi di una vita più lunga rispetto ai non credenti.1 Chi sostiene questa teoria si è spinto perfino a prefigurare una nuova disciplina scientifica, denominata«neuroteologia».2 Per il neurobiologo e genetista Dean Hamer, per esempio, esisterebbe addiritturaungeneumano(il VMAT2) responsabile di questa propensione alla religiositàoallacredenzanel divino, che ha incredibilmente denominato «gene di Dio».3 Ma senza arrivareatalicongettureadir poco azzardate e non corroborate scientificamente, alcuni scienziati cognitivi hanno constatato che i bambiniconsideranodeltutto plausibile e «indipendentemente dall’opinione degli adulti che stanno intorno a loro, l’idea diuncreatorenonumanodel mondo, un creatore che possiederebbe super-poteri».4 Eanchechitraquestistudiosi mette in discussione che le credenzereligioseabbianoun valore adattativo diretto, mantiene comunque la convinzione che rappresentino l’effetto di predisposizioni cognitive secondarie evolutivamente vantaggiose.5 In generale i cognitivisti hanno concluso che le credenze religiose e quelle nel sovrannaturale esprimono una caratteristica specifica o un’inclinazione naturale della nostra mente, quindi in ultima analisi un’«architettura cognitiva dellanostraspecie».6 Quanto risulta comunque storicamente certo è che fino a oggi non si conosce una popolazione passata e presente della Terra nella quale non siano attive delle manifestazioni di ordine religioso. Alla luce di tutto ciò e se si tiene conto che anche per molti filosofi atei (per esempio Feuerbach, Sartre e Bloch) gli uomini sarebbero spontaneamente religiosi, viene necessariamentedachiedersi: «Perché un individuo naturalmente religioso e predisposto al soprannaturale diventa ateo?». Più in generale, perché si sceglie di essere atei? A queste domande si è tentato in tutte leepochedidareunarisposta adeguatamenteargomentatae a provarci sono stati soprattutto i credenti, forse perché per i non credenti il problema delle cause dell’ateismo sembra apparentemente poco significativo o quantomeno sembrano aver già trovato una risposta nelle loro personali motivazioni esistenziali. Con l’esplosione nell’età contemporanea degli ateismi teorici e pratici, che trova per altro riscontro in tutte le statistiche mondiali,7 le analisi del fenomeno sono decisamenteaumentateecosì pure i tentativi di una sua spiegazione che hanno visto come principali protagonisti le Chiese cristiane e i pensatoriattentiallequestioni del senso religioso dell’esistenza. Di recente perfino le scienze cognitive, dopo essersi dedicate quasi esclusivamente a indagare la credenza religiosa o teistica, hanno iniziato a occuparsi dell’ateismo.8 In ambito cristiano già Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, si interroga sulle ragioni dell’ateismo e le condensa sostanzialmenteinduefattori: la realtà del male e il riduzionismo naturalistico. Per l’Aquinate gli atei ragionanocosì: Se Dio esistesse non dovrebbe esserci il male. Viceversa nel mondo c’è il male. Quindi Dio non esiste. […] Tutti i fenomeni che avvengono nel mondo potrebbero essere prodotti da altre cause, nella supposizione che Dio non esistesse: quelli naturali si riportano, come a loro principio, alla natura, quelli volontari invece alla ragione umana o alla volontà. Nessuna necessità, quindi, dell’esistenzadiDio.9 AquesteobiezioniDoctor Angelicus replica com’è noto con le sue illustri cinque vie perprovarel’esistenzadiDio, quindi in termini del tutto razionali e con dimostrazioni a posteriori, ossia fondate sull’esperienza.10 Il male e il naturalismo filosofico sono indubbiamente da annoverare traidueprincipaliargomenti dell’ateismo teoretico, coi quali da un lato si ritiene inconciliabile l’idea positiva diDiocomebeneinfinitocon la presenza dell’iniquità nel mondo (il cosiddetto Mysterium iniquitatis) e dall’altro si considera la naturaautosufficiente,cioèin grado di spiegare da sola se stessa ovvero di esistere senza la necessità di una causaesterna,diunCreatore. Nel contesto contemporaneo, tuttavia, la teologia cristiana ha sentito l’esigenza di andare più a fondo nell’indagine delle caratteristiche e dei presupposti dell’ateismo moderno. Tra i primi cristiani del XX secolo che prendono posizione sull’ateismo nella sua forma moderna incontriamoJacquesMaritain (1882-1973), il quale è senza dubbio un intellettuale credente particolarmente sensibileaglisviluppiateistici dellaculturadall’Illuminismo a oggi; perciò assiste con angoscia e forsanche con disperazione all’eclissi nichilistica di Dio nella contemporaneità:«Provaiuna sorta di orrore – scrive nei suoi ricordi di fronte alla prospettiva esistenziale del nulla – come quando si ha pauranelbuiopiùprofondoe non si ha il coraggio di gridare, un orrore della vita, della mia vita che avanza»11. Per questo motivo nel saggio del 1949 intitolato La signification de l’athéisme contemporain si propone di «scoprire il senso spirituale nascosto della presente agonia del mondo»12, anche perché lui non è d’accordo conchi,essendoconvintoche ciascunuomohaquantomeno una conoscenza implicita di Dio, nega pregiudizialmente la possibilità psicologica ed etica dell’ateismo, trasformandolointalmaniera in una mera colpa morale dell’individuo ateo.13 L’ateismo è infatti psicologicamente possibile perché Dio non è immediatamenteevidentealla ragione (come affermava già san Tommaso) e, in quanto tale, può essere oggetto di negazione razionale o di rifiuto pratico; mentre la responsabilità etica dell’ateismo è attenuata, se non annullata, dal fatto che nellanostraetàsecolaremolti individuinonsonoingradodi formarsi un’adeguata consapevolezza della realtà deltrascendente. Se Dio nell’epoca presente diventa un mistero totale, una specie di sconosciuto per l’uomo, allora per Maritain è corretto distinguere tra gli «atei veri» che consapevolmente lo negano,ossianerespingonoil concetto con cognizione di causa e sono pertanto moralmente responsabili del proprio atto, e gli «pseudoatei» che non sanno a cosa effettivamente si oppongono, come nel caso di «un fanciullo allevato nell’ateismo» e diventato adulto senza avere una conoscenzaprecisadiciòche rigetta.Visonoinsommadue specie di atei: coloro che credonodiesserlo,manonlo sono, e coloro che lo sono effettivamente. «Non è facile –scriveilfilosofofrancese– essere veramente atei […]. Diremo che lo “pseudo-ateo” negando l’esistenza di Dio negal’esistenzadiunentedi ragione che lui chiama Dio, ma che non è Dio […]. E diremo che il “vero ateo” negando l’esistenza di Dio, nega realmente […] l’esistenza di quel Dio che è l’oggetto autentico della ragioneedellafedeecheegli concepisce nella sua esatta nozione».14 In sintesi, secondo Jacques Maritain per conoscere e capire bene l’ateismo del nostro tempo non ci si può limitare a osservarlo dall’alto della filosofia o della teologia cristiane, ma è necessario immergersi nella storia contemporaneaequindinella condizioneattualedell’uomo. In questo contesto l’ateismo odierno risulta l’espressione dell’umanesimo contemporaneo, il quale poi altro non sarebbe se non l’ultimo prodotto dell’umanesimo antropocentrico sorto col Rinascimento e con la Riformaprotestante,inchiara contrapposizione all’umanesimo teocentrico cristiano, e che ha finito col dominare per un lungo periodostoricotuttalacultura moderna. Nel XX secolo, ossia nel pieno della fase materialisticadell’umanesimo antropocentrico, «per regnare sulla natura senza tenere conto delle leggi intrinseche della sua natura, l’uomo […] è costretto in realtà a subordinarsi sempre più a necessità non umane, ma tecniche, a energie d’ordine materiale […]. Dio muore; l’uomo materializzato pensa che può essere uomo, o superuomo,soloseDiononè Dio».15 Unaltroillustreinterprete cattolico dell’ateismo è stato Cornelio Fabro (1911-1995). Meritorio divulgatore delle opere di Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855) in Italia,eglihadedicatodiverse riflessioni alla questione filosofica e religiosa della non credenza in Dio, culminate nel suo testo fondamentale e ormai classico intitolato Introduzione all’ateismo moderno,pubblicatoinprima edizione nel 1964 (seconda edizioneaumentatanel1969). Si tratta di un’opera monumentale,chetuttoranon ha paragoni per chiarezza e completezza nel panorama bibliograficoitaliano,emada considerarsipureunpuntodi riferimento nel dibattito internazionale sull’argomento; infatti gli studiosi del suo pensiero la consideranoindiscutibilmente «l’opus maius fabriano»16. Nellaprefazionevisiafferma senza mezzi termini che nell’evoluzione del pensiero moderno la libertà intellettuale umana «ha percorso ormai l’intero arco delle sue contrastanti possibilità» culminate nell’«oblio dell’essere», con la conseguente «perdita dell’Assoluto per cadenza inarrestabile» e il dissolversi del senso dell’esistenza umana; perciò «l’uomo erra ramingo nel mondo che ne definisce i limiti e il suo percorso mortale». In breve, il pensiero contemporaneo «ha fatto del nulla il fondamento dell’essere» e ha reso l’uomo autoreferenziale saldando «il cerchio della coscienzainsestessa».17 Per Fabro l’ateismo è già implicito nel cogito cartesianoenelsuoprincipio di immanenza, che prosegue perunalineaininterrottafino al nichilismo di Nietzsche, passando attraverso altri grandi«apostoli»delpensiero ateo quali Spinoza, Voltaire, Rousseau, gli idealisti tedeschi, Feuerbach, Marx, Schopenhauer, per approdare infine agli esistenzialisti Sartre, Camus, Jaspers e Heidegger. Ne consegue che Fabro come Maritain qualifica l’ateismo come «umanistico», al quale termine però aggiunge l’aggettivo «radicale» perché lo concepisce come un umanesimo ateo che fa dell’uomo il valore supremo, il quale inevitabilmente «esige, postula come sua condizione la negazione di Dio» o, ancor meglio, «il rifiuto di Dio».18 L’oblio dell’essere avviato dal cogito altro dunque non è se non la separazione netta della gnoseologia dall’ontologia, percuinonèpiùl’essereche fonda e legittima il pensiero, bensì la mente umana che si scopreassoluta. Cornelio Fabro si spinge tuttavia ancora più avanti e scandaglia nel profondo la situazione esistenziale di noi moderni per concludere che nonostante la nostra vita sia migliorata grazie alla scienza e alla tecnologia, e la specie umana sia al massimo delle sue potenzialità rispetto al dominio del mondo esterno, l’individuo umano non si sente realizzato, anzi si scopresperdutoeimpotente. Oggi la scienza per la prima volta nella Storia dell’umanità è riuscita a scandagliare le forze abissalidelcosmoegiàsi apprestaaimbrigliarleper violare gli eterni silenzi degli spazi infiniti. Eppure, mai come oggi, l’uomo ha sentito l’incombente minaccia della scomparsa totale della sua civiltà e della stessa distruzione del genere umano: infatti il traguardo che ha dato all’uomo moderno il dominio delle forze dell’universo, l’ha accostatoalnullachepuò sprigionarsi a ogni momento da una volontà che più non conosce fondamento e vincolo di verità. E con l’emergere del nullaalcentrodellacoscienza «non solo la filosofia si è fattadesertadelDiovivo,ma anche la letteratura, l’arte, la politica e l’intero complesso delle scienze dello spirito in generale hanno bandito dalla loro prospettiva l’Iddio vero […], l’unico desiato rifugio neldubbioeneldolore».19In questo scenario desolante, teismo e ateismo non vanno intesi tanto come dei sistemi ideologici quanto come espressioni dell’opposto valorecheognisingolouomo attribuisce originariamente all’essere, quindi di una divaricante decisione assunta o da assumere nei confronti del problema del fondamento dell’esistenza. Tanto con le tesi di Maritainquantoconquelledi Fabrosiconfrontaeprendein parte le distanze un altro insigne interprete italiano dell’ateismo: il filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989). Questi coglie alcuni punti di debolezza nell’analisi del pensatore tomista francese, specie nella definizione dell’ateismo pratico considerata apertamente inadeguata;20 e preferisce pertanto concentrarsi non esclusivamente sugli aspetti teoretici dell’atteggiamento ateo, ma anche su quelli etico-politici. Il problema dell’ateismo è dunque importante per la filosofia contemporanea non solo sul piano speculativo, ma pure e soprattutto per i suoi risvolti etico-sociali. D’altro canto Del Noce non accetta la posizione di CornelioFabrosecondocuila filosofia moderna rappresenterebbe un’unica linea ininterrotta di tipo immanentista che va da CartesioaNietzscheeatuttii pensatori posteriori in vario modoinfluenzatidalpensiero nietzschiano, ma individua unasecondalineadiscendente di tipo trascendentalista che partendo sempre da Cartesio approda a Rosmini, passando per Vico, Leibniz, Pascal, Malebranche e altri ancora. D’altronde,sostienesempreil nostrofilosofo,«l’ateismoèil termineconclusivoacuideve necessariamente pervenire il razionalismoalpuntoestremo della sua coerenza»21, che è però pure il punto estremo della sua crisi, del suo degradarsi in scetticismo e infine in irrazionalismo. Di qui anche il passaggio obbligato «dell’ateismo dalla sua forma scientista a quella postulatoria», che affida cioè alla negazione di Dio la possibilità della libertà illimitata dell’uomo, e il conseguente sorgere nel ’900 di un nuovo laicismo integralmente ateo, con cui Del Noce non manca di polemizzareapiùriprese. Sempre in ambito cattolico e tomista, effettua una sua valutazione critica dell’ateismomodernoÉtienne Gilson;elofaponendoasua voltal’attenzionesugliaspetti esistenziali, apparendogli quelli propriamente teologici ormai ben definiti e sviscerati. Il suo giudizio si fonda soprattutto sulla difficoltàteorico-praticadella posizione atea, che sarebbe foriera di una evidente e insanabile contraddizione: da un lato l’ateo deve costantemente argomentare i motividellasuasceltadinon credere e dall’altro, continuando a ragionare di Dio, finisce per perpetuarne l’idea e per dimostrarne la presenzanelconsessoenella mente degli uomini. Questa condizione filosoficoesistenziale è ciò che il pensatore francese definisce «ateismo difficile» e così per altro intitola un suo famoso saggio del 1970. La problematicità dell’ateismo risulta tanto forte nell’epoca che dovrebbe segnare – secondo le profetiche parole di Friedrich Nietzsche – la «mortediDio»perché«sela morte di Dio significa la sua mortefinaleedefinitivanello spirito degli uomini, la vitalità persistente dell’ateismo costituisce per l’ateismo stesso la sua più seria difficoltà. Dio sarà morto negli spiriti solo quandonessunopenseràpiùa negare la sua esistenza. […] La morte di Dio rimane ancora un rumore che nessunoconferma».22 Per altro Gilson ritiene praticamente impossibile imbattersi in atei autentici, vale a dire in persone in grado di dimostrare razionalmente la non esistenza di Dio, anche perché a suo dire tale esistenza è immediatamente evidente; e quindi se non necessita più di venire provata dalla ragione naturale,neppurepotràessere definitivamente confutata. Benché sussistano «molte occasioni di dubbio, di esitazione e di incertezza nel procedere di uno spirito alla ricerca»deldivinodellequali si alimenta l’ateismo, la percezionediDioedellasua esistenza non vengono alla finescalfite,anziperduranoe si rafforzano nel tempo da benventiquattrosecoli. Sulla stessa linea si è spinto anche più in là il teologo francese Claude Tresmontant (1925-1997), conlatesisecondocuigliatei integralinonesistono,mentre chi si professa tale o non conosceveramentequelloche nega o è un credente inconsapevole; e comunque costituisce un’anomalia dal punto di vista della ragione perché «l’ontologia dell’ateismo, ossia la cosmologia atea, è impensabile»23. In altre parole, «l’ateismo puro non esiste. Di contro esiste una religione della natura che si oppone al monoteismo ebraico. L’ateismo non ha nulla da spartire con il razionalismo […]. L’ateismo è una fede irrazionale». Da questaprospettiva,essereatei oggi significa essere dei credenti, ma non in maniera razionale come i cristiani, bensì fideistica; difatti «l’ateismo moderno è essenzialmente fideista». Ma se la scelta dell’ateo è irrazionale perché crede in qualcosa di irrealistico o illusorio, allora per Tresmontant siamo in presenza di un caso più da psicologi che da teologi, di una manifestazione comportamentale o sindrome infantile che «compete alla psicologia. Spetta agli psicologi darci un’analisi approfondita che ci permetta di comprendere la genesi e l’esistenzadell’ateismo».24 Per altro l’idea che l’ateismo sotto il profilo psicologico sia una forma di fede è condivisa anche dal sacerdote cattolico Antoine Vergote (1921-2013), già titolare della cattedra di psicologia della religione all’Università di Lovanio, il quale ha dedicato particolare attenzione al fenomeno della diffusionedellanoncredenza. Egli ritiene che «di fatto, se l’affermazione di Dio è una certezza di fede, la sua negazione è essa pure un giudizio dell’ordine della fede»;infatti«lanegazionedi Dio è inevitabilmente partecipe della complessità dell’affermazione di Dio».25 Non è del resto casuale se la psicologia della religione si occupa congiuntamente del credente quanto del non credente, dal momento che «non si può comprendere psicologicamente la credenza senza l’incredulità, né quest’ultima senza la prima»26.Idueatteggiamenti oleduesceltedicredereedi non credere sono in qualche modo collegati psicologicamente tra loro, perché «il confine tra teismo eateismoèmobile»27.Mala contiguità tra l’essere ateo e l’essere credente è fortissima anche dal punto di vista esistenziale, per cui da un ateismointegralepuònascere unafedepuraedaunteismo irragionevole possono scaturire azioni contrarie a Dio. Riflessioni sull’ateismo lucide e ricolme di saggezza si trovano pure in un altro grande filosofo cattolico francesechenonhamaiperso occasione per confrontarsi con credenti e non credenti: Jean Guitton (1901-1999). Pur avendo in un primo tempo considerato l’ateismo «macchinoso e raro, un fenomeno recente, una bizzarriasostenutadapochie da poco tempo nel solo ambiente di certa intellighenzia occidentale»28, accettatuttaviailpresupposto cheilverocredenteèsempre alle prese con la sfida rappresentata dall’ateo materialista: «Conosco bene la non credenza e ciò che talvolta i credenti chiamano materialismo.L’ateismonella sua forma più comune mi viene proposto in ogni momento dal mio cervello cosìbeneadattatoalmondo». Non stenta dunque a riconoscere che per chi non crede la fede in Dio viene intesa come un evento anomalo, una specie di dissociazionementale,senon addiritturaunaveraepropria manifestazionedifollia:«Per il non credente – confessa Guitton – io rappresento uno strano fenomeno, che costituisce un’ulteriore conferma dell’infermità dell’intelletto umano e della sua tendenza all’alienazione, neiduesensidiquestaparola, quello psichiatrico e quello marxista,peraltroabbastanza simili. […] Il credente agli occhi del non credente è un po’pazzo». Secondo Guitton gli atei pensanosidebbacrederesolo in ciò che si tocca e si vede coi sensi o ci viene comunicato dalle scienze naturali.Inquestadirezionesi può affermare che «l’ateismo semplificaerendevivi.Eper colorochesiaccontentanodi vivere, l’ateismo è una soluzione facile», ma non basta a rendere tranquilli gli atei della validità razionale dellapropriascelta.Seinfatti «gli atei fossero sicuri di avere ragione, non sarebbero aggressivi[…]:c’èinlorola paura che l’ateismo sia falso». Chi crede allora deve affrontare con serenità il confronto con l’ateo, perché la sua fede gli comunica chiaramente che lo stato di cecità del non credente nei confrontidell’assolutoedella grazia divina è destinato a non durare: anche lui infatti «è un essere che è stato fatto pervedereepergioirediciò chevede»eprestootardi,in questa vita o in un’altra, «vedrà in modo più acuto e ne ricaverà una sorpresa più grande, […] e dirà [del credente]: “Come aveva ragione a credere senza vedere!”».29 2.Cristianesimoeateismo Indefinitivalariflessione sull’ateismo in ambito cristianosièdivisatrachiha teso a considerarlo un problema a cui è indispensabile rispondere e chi invece ha preferito interpretarlo come una sollecitazione a ripensare le proprie convinzioni di credente di fronte al mondo moderno, tra chi cioè l’ha concepito sotto l’aspetto dell’apologetica cristiana chiamata a reagire alle critiche degli atei e chi per contro l’ha assunto come un’occasione di purificazione della propria fede. Non sono ovviamente mancate pure le posizioniintermediedicoloro che l’hanno accolto al tempo stessocomeunasfidaecome un’opportunità di rinnovamento culturale per i credenti. Un aspetto particolare e originale nell’ermeneutica novecentesca dell’ateismo all’interno della teologia cristiana è infine rappresentatodallatendenzaa individuare nel cristianesimo stesso una delle principali cause scatenanti della crescente diffusione della negazione di Dio nell’epoca moderna. In sintesi, sono sostanzialmente tre le posizioniprevalentiinambito cristiano: 1. l’ateismo è una reazione alla dottrina etico-religiosa cristiana; 2. l’ateismo è il prodotto involontario della visione del mondo diffusa dal cristianesimo; 3.l’ateismoèlaconseguenza del declino e della perdita di centralità della cultura cristiana. Perilprimopuntodivista possiamo citare il teologo riformato Jürgen Moltmann, secondo il quale «l’ateismo modernoèunfenomenopostcristiano. Esso costituisce sostanzialmente una critica alla religione cristiana e alla Chiesa ed è pertanto una defezione dal cristianesimo. […] Il teismo astratto e il principio d’autorità che fissa gli uomini nella minorità sono il punto di partenza costante dell’ateismo post- cristiano».30 La seconda impostazione tende a individuare nella stessa dottrina cristiana una premessa inconsapevole dell’ateismo, per cui «il Dio senza mondo della teologia scolasticahalaresponsabilità metafisicadiunmondosenza Dio».31 Essa è presente nel grande teologo della demitizzazione Rudolf Bultmann (1884-1976), che attribuisce l’atteggiamento ateo a un effetto indiretto della Weltanschauung dei cristiani, del cambiamento di paradigma nel modo di concepire la realtà apportato dal cristianesimo, poiché «la fedecristianasdivinizzandoil mondo, lo ha fatto apparire nella sua mera mondanità [Weltlichkeit]». Il cristianesimo risulta pertanto «un fattore decisivo per la formazione [Ausbildung] della secolarizzazione del mondo», mentre a sua volta l’ateismo che sfocia nel nichilismo è «la conseguenza della secolarizzazione del mondo, di cui l’osservazione obiettivante della natura è soltanto un fenomeno particolare».32 Detto altrimenti, il cristianesimo ha contribuito in maniera decisiva alla costruzione di una concezione secolarizzata dellarealtà,laqualehaasua volta prodotto il nichilismo ateo: in tal senso, l’ateismo sarebbe un effetto indiretto dellafedecristiana. La terza posizione è stata sostenutainItaliadalfilosofo cattolico e studioso dell’esistenzialismo Pietro Prini(1915-2008),secondoil qualel’ateismomodernoèun «male cristiano» e, in quanto tale, rappresenta il paradosso storico del cristianesimo. Esso infatti sarebbe il frutto indesiderato e inatteso del progressivo sgretolarsi della cultura cristiana sotto i colpi di uno spirito borghese, che privilegia il fare e l’avere sull’essere. La nietzschiana «morte di Dio» allora si spiegherebbe con il fatto che «la civiltà platonico-cristiana dell’Occidente sta percorrendo l’ultima tappa della sua decadenza», perché sta venendo meno «il fondamentodituttoquelloin cui essa ha creduto per venticinquesecoli».33 L’assunzione del presupposto delle «radici cristiane» dell’ateismo moderno ha condotto alcuni autori a pensare che la presenza degli atei può svolgere e ha svolto perfino una funzione positiva nei confronti di un rinnovamento del modo di credere e di presentare il messaggio evangelico da parte dei cristiani, nonché verso il superamento di certe immagini di Dio lontane da quelle bibliche. Il teologo cattolico Romano Guardini (1885-1968) ha in proposito addirittura parlato di un «ateismopurificatore»capace di confutare gli eccessi di razionalismo teistico e deistico, nonché di valorizzare indirettamente l’idea del Dio personale, del Dio vivente della religione ebraico-cristiana. In altre parole, l’ateo senza volerlo favorirebbe l’incontro esistenziale di ogni individuo conilveroDio,col«Dio-pernoi» (Cristo) che ci fa dono dellafedestessa.Intalmodo l’ateismo può svolgere indirettamente un ruolo «positivo,anchecomefattore storico che risveglia una religiositàottusaesonnolenta […]epuòportarelequestioni vitali a un livello superiore»34. Qualcosa di simile insomma a quanto pensavailcristianoortodosso Fëdor Michailovič Dostoevskij(1821-1881),uno scrittore sul quale Romano Guardinihameditatoalungo. Dostoevskij nei suoi romanzi ha a più riprese affrontato in profondità il tema dell’ateismo contemporaneo, giungendo a concludere per bocca di un personaggio nel suo I demoni (lo starec Tichon) che «l’ateismo pieno è più rispettabile dell’indifferenza mondana» perché più vicino alla fede, mentre «l’indifferente non ha nessuna fede, fuorché una mala paura, e anche questa solo a tratti, se è un uomo sensibile».35 L’ateismo può tradursi in un fattore positivo anche per un altro importante teologo del ’900: il pastore protestante tedesco Dietrich Bonhoeffer(1906-1945).Egli ritiene, insieme al fondatore della teologia dialettica Karl Barth (1886-1968), che la sfida proveniente dell’ateismoservaalcredente per superare la nozione metafisica di Dio come trascendenza, ormai troppo distante dall’effettiva realtà umana e mondana, e abbracciare l’idea del «Dioper-noi» della Rivelazione. Benché Barth reputasse impossibile per l’ateo parlare di Dio, perché l’idea di un ente assolutamente trascendente (das ganz Andere – «il totalmente Altro») e un discorso intorno aessohannoragioned’essere solo per chi crede nella sua esistenza, considerava tuttavianonsolocorretta,ma doverosa la ripulsa di una nozione ideologica o comunque falsa del divino: «Contro Zeus, il non Dio […], Prometeo si ribella a buon diritto»36. Alla stessa maniera,Bonhoefferapprezza l’ateismo che respinge l’idea del«Diooggetto»tipicadella religione tradizionale, del «Dio tappabuchi» (Gott als Lückenbüsser) utilizzato per porre rimedio alle imperfezioni della natura e alle debolezze umane, non più comprensibile e accettabile dall’uomo contemporaneo divenuto adultoesecolarizzato: È nuovamente evidente che non dobbiamo attribuireaDioilruolodi tappabuchi nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenzacontinueranno ad allargarsi, il che è oggettivamente inevitabile,conessianche Dio viene continuamente sospintovia[…].Dionon deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centrodellavita.37 Il Dio tappabuchi equivale dunque al «Dio fazzoletto» da cui ci si attende protezione e consolazione, al «Dio mazzo dichiavi»cuil’essereumano si rivolge per avere una risposta agli enigmi della natura e al «Dio porta monete»cheinfondelafacile sicurezza di cui ha parlato lo scrittore francese Georges Bernanos (1888-1948); infatti, «la verità non rassicura nessuno: la verità impegna!».38 Per comunicare cristianamente con l’umanità delnostrosecolo,Bonhoeffer ritiene sia indispensabile un’interpretazione non religiosadeiconcettibiblicie in una celebre lettera dal carcere del 16 luglio 1944 sembra sposare il cosiddetto «ateismo metodologico»: «Dio inteso come ipotesi di lavoro morale, politica, scientifica, è eliminato, superato;maloèugualmente come ipotesi di lavoro filosofica e religiosa (Feuerbach!). Rientra nell’onestà intellettuale lasciar cadere questa ipotesi di lavoro […]. E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsi Deus non daretur. […] Davanti e con Dio viviamo senza Dio»39.Inconclusionel’ateo, negando il Dio metafisico, ci consente di riscoprire il Dio vero che in Gesù Cristo si fa carneeviveconnoiladebole condizione umana, fino all’esperienza estrema della sofferenza e della morte in croce: «Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solocosìeglicistaalfiancoe ciaiuta»40. SimilmenteaBonhoeffer, il teologo cattolico Karl Rahner mette in guardia dal diffusoconcettodiDiointeso come «funzione» ossia come sostituto di qualcosa d’altro, in breve come «tappabuchi». Se serve a superare questa concezione fuorviante del divino, l’ateismo diventa anche per lui una sollecitazione positiva per i teologi cristiani, chiamati a evitare un’interpretazione teologicachepresentiun’idea di Dio direttamente funzionale alla soluzione dei bisogniimmediatidegliesseri umani, distorcendo così la salvezza divina da dono gratuito a soddisfazione utilitaristica del singolo uomo. Si sviluppa da qui la teoria del cristianesimo anonimo di Rahner, per cui chi è ateo in senso categoriale, ovvero storicamente dichiarato, può risultare un teista (cristiano) in senso trascendentale senza esserne consapevole. D’altronde nella sua essenza profonda «l’uomo è spirituale, cioè vive la sua vita in una continua tensione verso l’Assoluto, in una apertura a Dio. È la condizione che fa essere l’uomo ciò che è e deve essere», vale a dire in cammino verso il trascendente, «lo sappia o no espressamente, lo voglia o no».41 Un altro filosofo e teologo che ha inteso l’ateismo come stimolo positivo per trovare la vera via all’autentica immagine di Dio è Martin Mordechai Buber (1878-1965), uno dei principali esponenti del pensiero ebraico contemporaneo. Autore di un celebre saggio del 1953 sulla crisi del teismo e della fede intitolato L’eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, egli si è detto convinto che il rapporto col divino è quello di un Io con un «Tu assolutamente originario» perché, come ha sostenuto ImmanuelKantinalcunisuoi scritti postumi, «un Dio che non è persona vivente è un idolo».42 È pertanto unicamente «la relazione IoTu quella in cui possiamo incontrare Dio poiché di lui, in contrasto con ogni altro esistente, non possiamo scorgere nessun aspetto oggettivo».43 Orbene, in questoscenariol’ateismopuò contribuire a mettere in discussione le false idee di Dio, a contrastare delle raffigurazioni del divino che assomigliano agli idoli, che cioè lo rappresentano come un Esso. Su questa spuria relazione «Io-Esso», che ha segnato appunto l’eclissi dell’autentico rapporto «IoTu» si concentra l’azione degli atei contemporanei, i quali acclamando con Friedrich Nietzsche la morte di Dio, in effetti proclamano la fine solo dei simulacri del vero Dio: «Bisogna annunciare che Dio è morto. Ma con tale annuncio in realtà nient’altro è detto se non che l’uomo è diventato incapace di afferrare una realtà per antonomasia indipendente da lui e di rapportarsiaessa»44. Hanno accolto come un valorepositivoperlateologia cristiana le celebri asserzioni nietzschiane «Dio è morto! Dio resta morto!»45 alcuni autori cristiani definiti, a seconda dei casi, «teologi della secolarizzazione», «teologi radicali», oppure esplicitamente «teologi della morte di Dio». Si tratta soprattutto di personalità provenienti dal mondo anglosassone, alcune delle quali influenzate dalle tesi teologiche di Bonhoeffer, ma anchedalpensierodiBarthe di Bultmann, come ad esempioJohnArthurThomas Robinson (1919-1983), William Hamilton (19242012), Thomas Jonathan Jackson Altizer, Gabriel Vahanian (1927-2012), HarveyCoxePaulvanBuren (1924-1998). Alla luce dell’annuncio della morte di Dio, anche per questi pensatori l’ateismo può assumere una valenza positiva, per cui confermano pure l’opinione bultmanniana secondo la quale il cristianesimo avrebbe contribuito in maniera decisiva alla desacralizzazione della realtà mondana. Nella radicalità dellalororiflessione,lamorte di Dio costituisce un’occasione straordinaria per recuperare la funzione unica di Gesù Cristo che si è smarrita nel corso della teologia occidentale, per abbandonare l’immagine fuorviante del Dio della tradizione cristiana negato dagli atei e ritrovare tutti l’autentico Dio. L’annuncio dellamortediDiovadunque interpretato in senso ottimistico, perché crea le premesse di una nuova fase dellafede.ThomasAltizerha addirittura scritto un saggio emblematicamente intitolato Il vangelo dell’ateismo cristiano (1966), nel quale l’era dell’ateismo di massa viene concepita come una «buona novella»: infatti «una nuova rivelazione sta per irrompere nella nuova epoca equestarivelazionedifferisce dal Nuovo Testamento tanto quanto differisce dal Vecchio».46 Si tratta della profezia per cui, come nei Vangeli la morte di Cristo prelude alla risurrezione, la morte di Dio nel mondo contemporaneo prelude all’avvento di quella che prima Gioacchino da Fiore (1135-1202) e poi Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) hanno denominato «terza età dello Spirito».47 Alcuni tra i credenti hanno accolto l’annuncio della morte di Dio come un «orrore cosmico», come un evento terribile che «esige lacrime e discorsi funebri», mentre altri hanno preferito relegarlo tra le metafore aforistiche o i paradossi irrealistici di un filosofo (Nietzsche) sull’orlo della follia. Ma per il teologo protestanteWilliamHamilton e per i propugnatori della teologiaradicale«lamortedi Dio è realmente avvenuta» e rappresenta tutt’altro che un pericolo per i cristiani, anzi «è un evento di grande liberazione e di gioia; un evento che non ci sottrae qualcosa, ma che finalmente rendequalcosadipossibile:la fede cristiana». Insomma l’affermazione «Dio è morto!», benché indubbiamente atea, consentirebbe ai teologi cristiani di aprire nuovi orizzonti, di venire «illuminati da una nuova aurora»,dipredisporreilloro cuore «colmo di gratitudine, di stupore, di presentimenti e di attesa»48 a una nuova impostazione teologicoreligiosa che consenta di continuare a vivere da cristiani in un mondo disincantatoesecolarizzato. Va detto però con chiarezza che una cosa è prendere correttamente e realisticamente atto del «clima intellettualmente e spiritualmente relativistico di oggi» e un’altra è accettarlo «senzariserve»49comefanno iteologidellamortediDio.Il loro modo di impostare il discorso teologico impone infatti al cristiano un caro prezzo che ben difficilmente puòesseredispostoapagare: quello della relativizzazione della propria fede, della riduzione della propria religione a una credenza non piùveraenonpiùfalsadelle altre. In epoche diverse questo fenomeno ha prodotto delle aberrazioni, come il sorgeredinuoveestravaganti religioni quale quella della «deaRagione»odell’«Essere supremo» dei rivoluzionari francesi.Peraltroproprioper questi motivi il sociologo cattolico Gianfranco Morra è giunto a definire «ateismo di assimilazione» tanto il deismo illuminista quanto il panteismo; difatti il primo propone l’idea di un dio «astratto»rappresentato–per usareunadefinizionediMax Scheler (1874-1928) – come «ingegnere e macchinista» dell’universo50, mentre il secondo mira ad assimilare Dioelanatura51. Da questa lettura polarizzata di cristianesimo e ateismo,conlaqualesitende afarneduepoli(unopositivo el’altronegativo)dellostesso magnete, ha tratto infine spunto chi ritiene necessario instaurare un dialogo tra credenti e non credenti in Dio. Tra i primi convinti sostenitori del dialogo possiamo ricordare il teologo protestante Paul Tillich (1886-1965), perché riteneva cheilmessaggiocristianoper risultare valido per le generazioni di tutti i tempi deve essere mediato, pur preservando la sua verità atemporale, con le differenti forme di pensiero e di espressione che sono specifiche delle diverse epoche; e ciò in modo da essere in grado di realizzare un rapporto aperto anche e soprattuttoconinoncredenti. Per questo nell’epoca della secolarizzazione, della crisi semantica del linguaggio metafisico-religioso, si deve tentare perfino di parlare di «Dio oltre Dio». Tillich per altro pensava, come il cattolico Jean Daniélou (1905-1974), che l’ateismo siaintenzionale,checioènon possaessereconseguentealla natura o alla realtà effettiva dell’uomo,masiaquindiuna conseguenza di un’idea sbagliata o comunque di uno stravolgimento della vera credenza cristiana; infatti «l’ateismo e l’anticristianesimo non sono pagani. Sono anticristiani in termini cristiani. Il marchio della tradizione cristiana non può essere cancellato: è un character indelebilis».52 Va per altro rimarcato che, dopo l’avvento della nuova teologiadiTillichediquella deiteologidellamortediDio, c’è stato chi ha visto proprio in queste concezioni teologiche, insieme con la teologia esistenzialista e demitizzante di Bultmann e quella dialettica di Karl Barth, una forma di preoccupante apertura del pensiero cristiano all’ateismo.53 La nuova via del dialogo pare costituire l’ultima frontiera del rapporto tra credentienoncredenti.Enon sipuònegarechetaledialogo ècertamenteresopiùagevole dal nuovo modo di interpretarel’ateismodaparte della riflessione cristiana: «Il dialogo cristiano-ateo trova senza dubbio il suo significato in relazione a un decisivo riorientamento nell’ambitodellateologiache loharesopossibile;esso,con la sua sfida salutare, ha costretto il cristianesimo a correggere alcune posizioni teologiche e a esercitare l’autocritica».54 Non ci si deve nascondere tuttavia che si tratta pur sempre di un percorso difficile e l’ottimismocheallafinedegli anni ’60 del XX secolo spingeva a ritenere vicini nel loro sentire il credente e l’ateo,perché«l’unoel’altro sono animati dalla medesima sollecitudine per l’uomo»55, deve oggi essere ridimensionato di fronte al nuovo ateismo militante, provocatorio e particolarmente aggressivo e tranchant nei confronti di tutti i credenti di fede cristiana. Si tratta, come vedremo, di una forma di ateismo arroccato dietro il preconcetto secondo cui le moderne conoscenze scientifiche rivelano la totale irrazionalità e l’infondatezza diqualsiasicredoreligioso;si tratta soprattutto di un modo di dirsi atei che rifiuta la concezionebiblicadell’essere umano come immagine di Dio sulla base della teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie per selezione naturale. 3.Chiesacattolicaeateismo In età contemporanea la Chiesa cattolica, più di qualsiasi altra confessione religiosa cristiana e non cristiana, ha dedicato grande attenzione al fenomeno dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa in senso lato. Una prima organica riflessione della Chiesa cattolica sull’ateismo si trova nella Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I (18681870),laddovelosiconsidera una manifestazione deteriore della modernità e il peggior prodotto della filosofia razionalistamoderna.Sitratta infatti di un’impostazione di pensiero capace di bandire dall’intelletto umano la nozione stessa di Dio come ente supremo creatore e legislatore: Alloranacqueesidiffuse per la Terra ampiamente la dottrina del razionalismo o naturalismo, la quale avversando in tutto alla cristiana religione, […] con sommo studio si sforzadiottenereche[…] si stabilisca il regno, come dicono, della mera ragione o della natura. Abbandonata poi e rigettata la religione cristiana,rinnegatoilvero Dio e il suo Cristo, la mente di molti è finalmente precipitata nel baratrodelpanteismo,del materialismo, dell’ateismo, cosicché […] negando la stessa natura razionale e ogni norma di giustizia e di rettitudine, arrivano ad abbattere i fondamenti essenziali della società umana.56 Siamo qui ancora nell’ambito della dottrina tradizionale della Chiesa post-tridentina, che più che analizzare e interpretare il fenomeno dell’ateismo si preoccupa di condannarlo senzaappello,comedelresto laDeiFiliustendeafarecon pressoché tutte le novità presenti nel pensiero moderno, sia in materia filosoficasiaincamposociopolitico. Si scorge invece nel Concilio Vaticano II (19621965) e in particolare nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes un modo nuovo di approcciare e studiarelarealtàdell’ateismo contemporaneo da parte del magistero ecclesiastico. Già papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1897-1978) nell’enciclica Ecclesiam Suamdel1964avevadefinito l’ateismo «il fenomeno più grave del nostro tempo» e si era detto «fermamente convinto che la teoria su cui sifondalanegazionediDioè fondamentalmente errata». Ne aveva poi spiegato le ragioni, individuate nella lontananza abissale dalle istanze più profonde della riflessione umana e nella tendenza a privare l’ordine razionaledelmondodellesue basi autentiche e feconde introducendo nella vita umana non una formula risolutrice, ma «un dogma cieco che la degrada, la rattrista e indebolisce alla radice ogni sistema sociale che su di esso pretende fondarsi». Perciò l’ateismo non libera l’uomo come pretende certa filosofia dell’umanesimo ateo, «ma è drammachetentadispegnere lalucedelDiovivente».Edi fronteaitentatividegliateidi diffondere le proprie perniciose convinzioni perfino attraverso un «programma di educazione umanaedicondottapolitica», laChiesaeicredentidevono «resistere con tutte le loro forze a questa irrompente negazione» contraria al Vangelo e quindi alla verità.57 La Gaudium et Spes del VaticanoIIriprendeilfilodel discorso di Paolo VI sull’ateismo annoverandolo a sua volta «fra le realtà più gravi del nostro tempo», quindi meritevole di venire «esaminato con diligenza ancor maggiore» e consideratononsoloneisuoi aspetti ideologico-filosofici, ma pure nei suoi risvolti storici e pratici. Per altro questa costituzione pastorale ponesubitoinevidenzacome l’ateismosiacaratterizzatoda esternazioni pluriformi: «Alcuni atei negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l’uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemirelativiaDioconun metodo tale che questi sembra non avere un senso». Il documento conciliare non dimentica inoltre il fatto che nel mondo moderno si fa soprattutto ricorso al sapere scientifico per vanificare la necessità stessa di Dio e all’epistemologia fallibilista per mettere in discussione la presenzadicertezzeassolute: «Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono più nessuna verità oggettiva». Non si trascura infine il problema del male come strumento ateo di «protesta violenta» e la presenza di un crescentenumerodiindividui che «non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa»58, ovvero di atei pratici. Il problema dell’ateismo non è pertanto più concepito solo come una questione teoretica, per cui si nega razionalmente Dio e si contrappone a una visione trascendente della realtà una concezione immanentistica o materialista, ma viene colto purenelsuoaspettopraticoe vitale che concerne direttamente il rapporto dell’uomo con il soprannaturale,dalcuirifiuto deriva la negazione di tutti i valori fondanti della condizioneumana.Sitrattain sostanza di un approccio all’analisi teologicometafisica dell’ateismo parzialmenteinnovativonella tradizione cattolica, di un’interpretazione antropologica-assiologica e per certi versi esistenziale, che conclude affermando il prevalente carattere umanistico e postulatorio della non credenza in epoca moderna. Invece «se l’uomo esiste è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza;el’uomononvive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore».59 La Gaudium et Spes insomma, pur confermando com’era inevitabile la condanna dell’ateismo, si inoltra più a fondo nella diagnosi delle sue diverse manifestazioni (sistematico, pratico, agnostico, umanistico-prometeico ecc.) teseaesaltarelalibertàdiun uomo«fineasestesso,unico artefice e demiurgo della propria storia»60, nella consapevolezza che gli atei e l’indifferenza religiosa rappresentano per la Chiesa contemporanea degli antagonisti molto più pericolosi di quanto fu il paganesimo per la Chiesa delle origini. La Costituzione sisoffermainoltresullecause generative dell’ateismo, che ancor prima che teoriche o teoretiche sono storicoesistenziali, sono cioè strettamente correlate alla condizione esistenziale e culturaledell’uomodelnostro tempo: un eccesso di razionalismo e di scientismo conduce i singoli individui a ritenersi essi stessi un valore assoluto e a fare di Dio un’illusione o un’ipotesi tipica di un’epoca prescientifica.Peraltrononsi trascuranemmenoilfattoche l’ateismo universalmente inteso deriva da fattori molteplici e tra questi «va annoverata anche una reazione critica contro le religioni», specialmente quella cristiana. Non è dunque ammissibile nascondereenascondersiche alla «genesi dell’ateismo possonocontribuirenonpoco i credenti», soprattutto se hanno mancato di curare la propria fede, mettendo in mostrai«difettidellapropria vita religiosa, morale e sociale»61. Nel trattare quello che viene definito «ateismo sistematico», dopo aver esaminato la sua versione antropologica e antropocentrica la CostituzioneGaudiumetSpes non dimentica quella socio- politica, che punta alla liberazione economicosociale degli esseri umani e che considera la religione un pericoloso ostacolo da eliminare con determinazione, com’è appunto accaduto nei regimi totalitari. Alla Chiesa cattolicanonèevidentemente consentito di non assumere verso queste dottrine atee un atteggiamento di ferma riprovazionecomeinpassato; e tuttavia, rispetto a quanto avvenuto in precedenza, si deve sforzare di più per «scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondononellamentedegli atei»epersuadereancheinon credenti che «il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio inDioilsuofondamentoela suaperfezione». Nel nuovo spirito ecumenicodelVaticanoII,la costituzione pastorale GaudiumetSpesconcludesul tema dell’ateismo con un’apertura al dialogo anche versoinoncredentieconuna condanna di qualsiasi discriminazioneideologicada qualunque parte provenga: «La Chiesa, pur respingendo inmanieraassolutal’ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo […]. Ciò non puòavveniresenzaunlealee prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazionetracredentie non credenti»62. Tuttavia dopo il Concilio Vaticano II, contestualmente con il tentativospessonaufragatodi aprire un confronto costruttivo con gli atei e gli agnostici, è costantemente aumentata nel Magistero la preoccupazione per l’estendersi di una secolarizzazione che tende come minimo a «mettere tra parentesi» Dio. Paolo VI, nell’esortazione apostolica EvangeliiNuntiandidel1975, ha ad esempio sottolineato il pericolo insito in «una concezione del mondo, nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo e ingombrante. Un simile secolarismo, per riconoscere il potere dell’uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio e anche col negarlo». A tale fenomeno fanno seguito le nuove forme di ateismo «nonpiùastrattoemetafisico, ma pragmatico, programmatico e militante»63,chetrovaterreno assai fertile nella moderna società consumistica ed edonistica. Nell’ambito magisteriale del post-concilio è intervenuto a più riprese sul problema dell’ateismo papa Giovanni Paolo II (1920- 2005). Karol Wojtyła si era già occupato da teologo morale delle questioni poste alla coscienza cristiana dalla forte presenza nella modernità di individui che negano apertamente l’esistenza di Dio; vi ritorna quindi da pontefice nell’enciclica Dominum et Vivificantem del 1986, dove critica il pensiero materialistico che ha portato l’uomo contemporaneo a perderedivistaladimensione dellospirito.Quisisottolinea come «un vero e proprio materialismo, inteso come teoria che spiega la realtà e assunto come principiochiavedell’azionepersonalee sociale, ha carattere ateo», sebbene tuttavia non si manchi poi correttamente di precisare «che non si può parlare dell’ateismo in modo univoco, né si può ridurlo esclusivamente alla filosofia materialistica»64. Sui riflessi atei del materialismo e del socialismo reale Giovanni Paolo II torna nell’enciclica Centesimus Annus del 1991 (pubblicata nella ricorrenza del centenario della Rerum NovarumdipapaLeoneXIII) e qui affronta il problema dell’ateismo moderno quale riflesso del razionalismo illuministico,«checoncepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico». Vi si afferma con nettezza che «la negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilitàdellapersona», negando così nel contempo «l’intuizione ultima circa la vera grandezza dell’uomo, la sua trascendenza rispetto al mondodellecose»65. Nella lettera enciclica Fides et Ratio pubblicata nel 1998 s’incontra infine un’interessante lettura dell’ateismoincontinuitàcon la tradizione cattolica precedente.Inessa,dopoaver notatocomenonsiaesagerato «affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazionecristiana»enella scienza si sia imposta «una mentalità positivista che […] ha lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale», si rimarca maggiormente la relazione tra ateismo e nichilismo inteso quale «conseguenza della crisi del razionalismo». Si mette inoltre in luce come tale filosofia del nulla, negando Dio, finisca per trasformarsi in «negazione dell’umanità dell’uomo e della sua stessa identità».Tuttofacapoinfatti al dominante «principio di immanenza», che se da un latohaportatoalripudiodella trascendenza e all’irrazionalismo, dall’altro ha reso senza fondamenti l’esistenzaumana.66 Guardano alla condizione dell’uomo contemporaneo e alla crisi dei valori conseguentiallefilosofieatee o agnostiche anche molte delle altre interpretazioni più recenti dell’ateismo espresse da pensatori cristiani e che hanno sicuramente influenzato il magistero cattolico dopo il Concilio Vaticano II. Uno di questi pensatori è probabilmente il già menzionato Charles Taylor, che ha di recente contribuito a condurre la riflessione teologica verso la presad’attodellanecessitàdi confrontarsi, con altro spirito e con altri mezzi, con una società moderna che ha radicalmente cambiato il modo di vivere e soprattutto di concepire se stessi degli esseri umani. Il filosofo canadese si preoccupa infatti che«nellanostraChiesacisia sempre il pericolo di ricondurre a un numero limitato la diversità delle vocazioni, dei modi di vivere»67, mentre la secolarizzazione imperante trasforma perfino gli spazi pubblici, che risultano «svuotatidiDioodiqualsiasi riferimento alla realtà ultima», muta «le norme e i principi che seguiamo, le deliberazioni in cui ci impegniamo allorché operiamo all’interno delle diverse sfere di attività (economica, politica, culturale, educativa, professionale, ricreativa)»68, che in genere non fanno più alcunriferimentoaDiooalle credenze religiose, bensì alla razionalità del singolo contesto, se non all’arbitrio della singola coscienza. Per rispondere al meglio da cristiani a questo stravolgimento secolare occorre invece concepire la Chiesa in modo aperto e plurale, ossia come «un vivaio di iniziative»69 che fa irraggiarel’agapenelmondo. 4.Vecchienuoviateismi Sebbene per qualcuno l’ateismo risulti «estremamente facile da definire perché è semplicemente la credenza che non esistano Dio o gli dei»70, la sua nozione presenta in realtà come sappiamounacertavarietàdi sfaccettature e sfumature che vanno dalla distinzione propostadalteologocattolico Marcel Neusch tra «ateismo relativo» (si limita a negare unacertaideaoimmaginedel divino, per esempio quella teista) e «ateismo assoluto» (negaradicalmentel’esistenza di qualsiasi divinità)71, a quella ormai classica di «ateismo pratico» e «ateismo teorico o teoretico». Noi pensiamo che l’ateismo relativooinsensodebolenon sia necessariamente una forma autentica di ateismo, perché anche il deista rifiuta le divinità teistiche o delle religioni positive, ma nello stesso tempo afferma l’esistenza di un Dio della ragione principio o causa del mondo.L’ateismopraticoèa sua volta, come si è visto, sicuramente meritevole di un approfondimento psicologico e sociologico, ma si presta meno a essere oggetto di un’analisi speculativa, come si può effettuare invece per l’ateismo teorico o teoretico. D’altrondec’èstatochitragli stessi esponenti dell’ateismo ha messo apertamente in discussione il fatto che i non credentipraticiogliindividui indifferenti al problema teologico siano da considerarsi veri atei e ha concluso che «una vita vissuta semplicemente senza Dio non basta per definire qualcuno ateo».72 Considerato tutto questo, d’ora in poi ci interesseremo in maniera pressoché esclusiva degli atei intellettualmenteconsapevoli, ossia quelli che contro Dio apportano tesi o ragioni esplicite; in breve ci occuperemo del solo ateismo teoretico. Gli atei teorici normalmente negano l’esistenza di un Ente supremo o ne respingono l’ipotesi seguendo un processo argomentativo che pretendediessererazionalee quindi logico, rispetto al quale deve pertanto risultare sempre possibile un esame critico e confutatorio. Di solito il punto di partenza delle loro argomentazioni è costituito da un tentativo di falsificare le prove tradizionali dell’esistenza di Dio o comunque di dimostrarle inconcludenti, tanto che in questo caso possiamo parlare di «ateismo critico»; tuttavia come al solito non mancano anche percorsidiversiedeterodossi. Addentrandoci nelle intricate viedell’ateismoteoretico,nel sostenere l’impossibilità dell’esistenza di Dio incontreremo da parte degli atei un impegno e una passioneparagonabiliaquelle di molti credenti in difesa della loro fede. Sicuramente alcuni atei teorici sono stati uominidigrandeingegnoche dopoaverragionatointornoa interrogativi metafisici ed esistenziali, dopo aver mentalmente indagato la nozione di Dio, non hanno conseguito una risposta positiva e l’hanno pertanto respinta come falsa o infondata. Il loro motto potrebbe essere questo: Quaesivi et non inveni: deus nonest!(Hocercatoenonho trovato:Diononesiste!).73 Prima di procedere oltre, dobbiamo però tentare una classificazione almeno di massima delle diverse tipologie di ateismo; e purtroppo l’impresa è tutt’altro che semplice, almenoagiudicaredaquanto èstatoprodottodacoloroche nel corso dei secoli ci hanno provato.Andandoindietronel tempo, il primo grande filosofochehaformulatouna distinzione tra i possibili modi di essere ateo è stato Platone nel dialogo intitolato Leggi, dove si pone la questione della necessità che il buon legislatore sappia dimostrare e difendere l’esistenza degli dei. In esso si individuano almeno tre formediateismo: – la negazione dell’esistenza di qualsiasi divinità («Alcuni dei nostri non credono per nullaneglidei»); – il rifiuto della divina provvidenza («Essi [gli dei], pur esistendo, non si occupano delle faccende umane»); – lo scetticismo radicale rispetto al fatto che gli dei si mostrino sensibili alle pratiche di culto («Pur occupandosene [del genere umano], non sono facilmente placabili con sacrifici e preghiere»).74 Parequideltuttoesplicito che la forma di ateismo corrispondente alla nostra odiernaconcezioneèsoltanto la prima (il diniego dell’esistenza di qualsivoglia divinità), la quale implica pure la negazione di un principiorazionaleordinatore delle cose perseguito tanto dalla filosofia platonica quanto da quella aristotelica. Lealtredueformeinfattinon negano espressamente la presenza degli dei, ma si oppongono a specifiche credenze sulla loro natura (la provvidenzaelamisericordia a seguito di atti di devozione),delcuivaloreper altrohannodiscussoetuttora discutono tanti teologi e filosofi credenti e non credenti. Saltando invece all’epoca dell’Illuminismo ci imbattiamo in Denis Diderot, il quale pensò bene di suddividere gli atei in tre gruppi: – atei autentici (les vrais athées); – atei scettici (les athées sceptiques); –ateipratici(lesfanfaronsdu parti).75 Iveriateisonocoloroche chiaramente e apertamente affermanocheDiononesiste, mentre gli atei scettici ricordanogliagnosticiperché ritengono di non potersi esprimere sull’argomento. Quelli che noi oggi consideriamoateipraticisono inveceapostrofatidalfilosofo illuministacome«fanfaroni», essendo coloro che contano sulfattocheDiononcisiain quanto si comportano già come se non esistesse. Quando effettua questa classificazione Diderot è ancora nella fase deista (successivamente approderà all’ateismoprobabilisticoeal materialismo evoluzionistico), pertanto commisera gli atei autentici per la loro esistenza priva di qualsiasi consolazione e «prega Dio» per gli atei scettici «privi di lumi (manquentdelumières)»,che magaripensanodirisolverela questione ricorrendo alla sorte ovvero al pari e al dispari. Inutile dire, infine, che egli disprezza fortemente gli atei pratici o fanfaroni, perchésonofalsipureconse stessi e presuntuosi oltre misura. Venendo rapidamente ai giorni nostri, rintracciamo qualcosa di simile alla distinzione platonica nel filosofo Wilhelm Weischedel e nella sua dicotomia tra «ateismo moderato» (detto talvolta «ateismo debole») e «ateismo estremo» (detto anche «ateismo forte»): il primosilimitaarespingerela dottrina cristiana su Dio, in particolare l’idea di un Diopersona che per essenza è provvidenteemisericordioso; ilsecondonegaogniesseredi carattere divino e quindi rifiuta l’esistenza di Dio a prescindere dalla specificazione dei suoi attributi. Come tuttavia riconosce lo stesso pensatore tedesco, per l’ateismo moderato o debole è inappropriato impiegare il concetto di ateismo: è soltanto «uno pseudoateismo» perché può includere in sé tanto i panteisti alla Spinoza o l’ateismo anomalo di Fichte (1762-1814)76,quantoideisti alla Voltaire che sicuramente non sono atei. Weischedel ritiene che tutti coloro che come lui intendono porsi nellaposizionediun«onesto filosofare che si impegni a evitareognipresupposto»non possono «neppure partire dall’idea di un Dio personificato» e quindi si devono mettere inizialmente proprio «dal punto di vista dell’ateismo moderato»77; il cherammentamoltolaforma diateismodell’etsiDeusnon daretur, ossia «metodologico» o «metodico», talvolta però assai simile all’ateismo praticooall’agnosticismo.78 Questa ambiguità è ancor più evidente nel filosofo inglese Antony Flew (19232010), passato in varie maniere all’onore delle cronache per essere stato primaateomilitanteepoiper essersi ricreduto diventando nel2005ufficialmentedeista. Anch’egli ha infatti distinto tra un «ateismo forte» o «positivo», che nega apertamente l’esistenza di qualsiasi divinità ovvero l’idea di Dio in senso lato, e un «ateismo debole» o «ateismonegativo»,standoal qualenonsipuònéverificare né falsificare qualsiasi affermazionesull’esistenzadi Dio e in particolare non si puòdimostrarelapresenzadi una specifica divinità, come ad esempio il Dio cristiano. Quest’ultima forma di ateismo viene detto «negativo»nelsensodi«non affermativo»,poichésilimita a non ammettere per vero un concetto altrui di Dio ovvero nello specifico quello dei teisti (ebrei, cristiani, musulmani). È pertanto denominato da alcuni «ateismo»: qui l’alfa privativo significa che l’ateo non può asserire o accettare le tesi teiste, in quanto le reputa falseoinfondate.79 Vatuttaviaribaditochese è ammissibile l’ateismo della versione positiva o forte, meno probabile è l’ateismo della versione negativa o debole, perché come si è detto vi potrebbero rientrare tranquillamente tanto gli agnostici quanto i deisti e i panteisti.80Delrestolostesso Flew nel Dictionary of Philosophy (1979) da lui curato, pur riportando la tesi secondo la quale «l’ateismo esiste solo in relazione a una certa concezione della divinità», riconosce che «l’etichetta “ateo” è comunemente […] applicata senza specificazioni solo a chi nega Dio in tutti i sensi ammessidagliusicorrentidel termine»81, quindi esclusivamente agli atei in senso forte o positivo. Per completezza rammentiamo che la distinzione tra «ateismo negativo» e «ateismo positivo» è stata utilizzata con altri significati concettuali e probabilmente perlaprimavoltadalteologo protestante Dietrich Bonhoeffer. Costui considerava«senzasperanza» il modo negativo di essere ateo,perchésirinchiudenella pura negazione di Dio e sfocia nel nichilismo; mentre riteneva «pieno di speranza» l’ateismo positivo, in quanto può contribuire a purificare una nozione troppo strumentale del divino (il già menzionato «Dio tappabuchi»).82 Antony Flew da ateo è stato pure un sostenitore del cosiddetto «ateismo stratoniano» (da Stratone di Lampsaco, filosofo e naturalista peripatetico attivo nel IV-III sec. a.C., forse di orientamento empirista), che afferma che l’onere della provacircal’esistenzadiDio e in particolare di una specifica divinità ricade totalmente sul teista: «Tocca a lui introdurre quel concetto di Dio che ritenga necessario e tocca a lui trovare la prova perdimostrarecheilconcetto da lui scelto ha una corrispondenza nella realtà»83. Questo stesso argomento da brocardo giuridico è rintracciabile in uno straordinario scritto del poeta panteista Percy Bysshe Shelley (1792-1822) intitolato La necessità dell’ateismo (1811), in cui lapidariamente si dichiara: «Dio è un’ipotesi e, come tale, abbisogna di prove: l’onus probandi spetta al teista»; infatti «sir Isaac Newton dice “Hypotheses non fingo” […] e il newtoniano convinto è necessariamenteateo»84,cioè non formula congetture di sortasuldivino. Se il richiamo a Isaac Newton avviene in parte a sproposito dal momento che il grande scienziato inglese era in realtà un fervente credente, la tesi stratoniana è tuttavia conseguente al concetto di ateismo negativo così come l’abbiamo delineato, perché se l’ateo si limitaanonasserirealcunché di quanto sostiene il teista, ricade allora solo su quest’ultimo l’obbligo di provareciòcheafferma,ossia l’esistenza di un Dio personale.Questaposizioneè stata denominata da Flew «presunzione di ateismo», perchévisipostulache«una discussione sull’esistenza di Dio debba iniziare col supporre [presumere] l’ateismo». Tuttavia, la sua forza confutatoria nei confronti del teismo è stata ridimensionata dallo stesso filosofo inglese dopo la sua conversione al deismo con le seguentichiareparole: Dovrei puntualizzare ora che, diversamente dalle mie altre tesi antiteologiche, l’argomentazioneafavore della presunzione di ateismo può essere accettata dai teisti in modo coerente. Date le ragioni appropriate per credere in un Dio, i teisti non commettono alcun peccato filosofico nel credervi! L’ipotesi di ateismo è al meglio un punto di partenza metodologico, non una conclusioneontologica.85 Dell’ateismo metodologico ha trattato Cornelio Fabro, acuto indagatore dell’ateismo contemporaneo. Nel già menzionato saggio intitolato Introduzione all’ateismo moderno effettua infatti un’analisi penetrante delle diversemodalitàdiessereatei nellasocietàcontemporaneae pervieneall’individuazionedi quattrocategoriediateismo: –fenomenologico; –psicologico; –pedagogicoodidattico; –metodologico. Per le prime tre tipologie indicate da Fabro ricordiamo in breve che nell’ateismo fenomenologico la coscienza del singolo individuo nel suo primo manifestarsi «si presenta vuota di ogni contenuto» e tende quindi ad autofondarsi senza ricorrere alla nozione di Dio. Nell’ateismo psicologico Dio viene invece accantonato, perché nella sua incommensurabilità esorbita qualsiasi nostra possibilità di intuizione mentale; mentre con l’ateismo pedagogico o didattico viene escluso che «l’esperienza, la conoscenza e il sentimento dell’uomo» possano incontrare direttamente Dio, bensì soltanto entità finite, mondane, che sono pure il solo contesto della vita immediata. È appunto alla quarta tipologia dell’ateismo metodologico, inteso come esclusione dell’ipotesi di Dio nella spiegazione del mondo, che Fabro dedica maggiore attenzioneperchéesercitauna forte influenza sul sapere scientifico che domina la modernità. Con questa forma di ateismo un metodo valido soltanto nell’ambito delle scienze naturali e in generale dello studio degli oggetti empirici viene illegittimamente trasformato in un’affermazione di portata ontologica ed esistenziale, quindi tanto extrametodologica quanto extrascientifica. Occorre invece distinguerelecompetenzeei metodi della scienza dai problemi ontologici e di senso; questi ultimi se non investono il metodo scientifico, interessano tuttavia l’individuo umano in quanto perennemente coinvolto in un search for meaning, in una ricerca e bisogno di significato per la propria esistenza. «Se la scienza come tale – osserva correttamente Cornelio Fabro – non trova Dio nell’oggetto proprio della sua indagine, ciò non esclude […] che lo scienziato stesso come uomo si ponga il problema di Dio, ossia il problema del senso e fondamentoultimodelleleggi edeifenomeninaturali»86. Anche Étienne Gilson contesta qualsiasi valore a quello che chiama «ateismo scientifico» e che in effetti corrisponde per lui all’ateismo metodologico, perché lo reputa un atteggiamento personale di alcuni soggetti che ritengono importanti soltanto le questioni che possono essere trattate con metodo scientifico, mentre respingono come insensate o mitologiche tutte le credenze di tipo teologico e religioso. In realtà secondo Gilson «gli spiritireligiosisonoabituatia pensare che le rivoluzioni scientifichenonriguardanoin nulla la verità religiosa» e quindi che i risultati della scienzanoncompromettonoe nonconfutanoinalcunmodo lafedereligiosaolacredenza inDio: Che il mondo della creazione sia quello di Tolomeo, di Galileo, di Cartesio, di Newton, di Darwin, di Einstein, in attesa di divenire quello di qualche altro, la coscienzareligiosanonha da preoccuparsene. Fatto esperto di tante crisi, il credenteanchenonmolto istruito si è abituato all’ideachel’universoche Dio ha creato è quello della scienza, almeno nella misura in cui quest’ultimo è anche l’universoreale.87 AncorprimadiFabroedi Gilson, ha proposto una sua personale distinzione degli ateismi Jacques Maritain. Rispettoall’ateismoteoretico, ovvero al «contenuto logico delle diverse filosofie atee», Maritain distingue sostanzialmente due forme: un «ateismo negativo» e un «ateismo positivo». L’ateismo negativo consiste in un rifiuto puro e semplice dell’idea di Dio, «sostituita meramentedaunvuoto»,edè tipico di pensatori come i libertini del XVII secolo o il marcheseDeSade,nonfosse altroperchédalpuntodivista etico consente all’individuo unalibertàtotale,glipermette «di fare tutto ciò che piace». L’ateismo positivo si concretizza per contro in una vera e propria «lotta attiva contro tutto ciò che richiama Dio» ed è quindi prima di tutto un «anti-teismo»: esso sostituisce la fede in un ente divinoconquellainun’utopia terrena o in un’ideologia politica, come ad esempio capita nell’ateismo tragico di Friedrich Nietzsche oppure nell’ateismo esistenzialista di Jean-Paul Sartre o di Albert Camus o ancora nell’ateismo rivoluzionariomarxista.88 Dei termini «positivo» e «negativo» per distinguere le differenti maniere di essere ateo si avvale a suo modo l’altro grande interprete italiano dell’ateismo: Augusto Del Noce. A lui si devono però altre numerose distinzioni e puntualizzazioni all’internodellagalassiadegli ateismi contemporanei, delle quali la più conosciuta è la classificazione fondata su tre archetipi: – ateismo negativo o nichilistico; –ateismopositivoopolitico; – ateismo tragico o «follia filosofica». L’ateismo negativo o nichilistico è anche detto da Del Noce «notturno» e ha quale suo esponente esemplare il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, con la sua filosofia pessimistica e talvolta definita in modo apparentemente contraddittorio «ateismo religioso». Viene considerato invece «diurno» l’ateismo positivo o politico, che ha come suoi campioni esemplari gli illuministi alla Denis Diderot o l’umanismo di Ludwig Feuerbach. L’ateismo tragico, ovvero «quella particolare “follia filosofica” inaccessibile agli psichiatri», è la forma più rara poiché in tutta la storia umana sarebbe rintracciabile solo in due figure di atei: l’insuperabile Friedrich Nietzsche e il solitario filosofo francese JosephLouis-Jules Lequier (1814- 1862).89 Di ateismo politico ha parlato pure il teologo contemporaneo Hans Küng, al quale si deve una doppia classificazionedegliateismi: – umanistico, politico e scientifico; – antropologico, politico e psicoanalitico. La prima distinzione si riferisceaitretipididomande chefinisceperporsichideve decideretralafedeinDioeil suo rifiuto; precisamente: domande della morale per l’ateismo umanistico, domande della politica per l’ateismo politico e domande della scienza per l’ateismo scientifico. La seconda classificazione rimanda alle figure di alcuni rilevanti pensatori atei dell’età contemporanea, ovvero: Ludwig Feuerbach per l’ateismo antropologico, Karl Marxperl’ateismopoliticoe Sigmund Freud per l’ateismo psicoanalitico. Singolare è poi il fatto che Küng consideri il nichilismo di Nietzsche come una conseguenza dell’ateismo piuttosto che come una maniera peculiare di essere ateo.90 Di recente le interpretazioni del nuovo ateismo hanno fatto ancora ricorso alla distinzione tra «ateismo negativo» e «ateismo positivo» per individuarenellaprimaforma il modo di essere atei tipico del passato e nella seconda l’atteggiamento dell’ateo teorico del XX secolo. Prima del ’900 l’ateismo sarebbe risultatonegativointremodi: «In primo luogo definiva la suavisionedelmondopiùnei termini di ciò che non era, cheneiterminidiciòcheera […]; in secondo luogo l’ateo spessoguardavaasestessoin modo negativo […]; in terzo luogo difendeva la propria posizionenegativamente,cioè attaccando la religione». Il cambiamento operato dai nuovi atei consisterebbe invece nello «sviluppare e presentare le loro visioni del mondo in positivo»91; e ciò avrebbe prodotto quello che viene definito «secolarismo», qui di fatto concepito come sinonimo di naturalismo. Questa è tuttavia un’interpretazione discutibile sia perché in passato non sono mancati gli atei che hannosostenutoinpositivola loro concezione di un ordine cosmicosenzaDio,siaperché identificare secolarismo e naturalismo fino a renderli terminisinonimicièscorretto tanto storicamente quanto teoricamente. Di altri studiosi italiani che hanno riflettuto sull’ateismo meritano infine di essere almeno citate le classificazioni di Nicola Abbagnano (materialistico, scettico, panteistico, pessimisticoeumanistico),di Gianfranco Morra (scientifico, postulatorio, della sofferenza; oppure assimilatorio, dissolutorio, di sostituzione) e Battista Mondin (antropologico, scientifico, socio-politico, semantico, utopico, teologico e nichilistico).92 Influenzata dal pensiero di Rosmini e di Michele Federico Sciacca (1908-1975), Anna Maria Tripodi preferisce infine parlare di tre «vie all’ateismo”: la via dell’oscuramentodellaverità; la via della reificazione antropologicaematerialistica; la via fattizia del pragmatismo.93 5.Metamorfosidell’ateo Da questo sintetico excursus su alcune classificazioni proposte per l’ateismo,dobbiamoprendere atto dell’obiettiva difficoltà a cui va incontro qualsiasi tentativo di catalogare i diversi modi di essere ateo. Reputiamo comunque opportuno per una migliore esposizione critica dell’ateismo procedere sulla base di una classificazione quantomenoorientativa,ossia da assumere quale strumento ipotetico di analisi di un fenomeno assai complesso e in continua evoluzione. Va altresì ribadito in premessa chepernoil’ateoècoluiche – secondo le parole del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679)94 – «directe negaverit Deum esse» (avrà direttamente negato l’esistenza di Dio); e pertanto confermiamo di non includere qui tra gli atei i panteisti e gli agnostici. L’ateismo autentico si caratterizza allora non tanto perilrifiutodiunacertaidea tradizionale di Dio o di opporsi a una determinata confessione religiosa, quanto per la negazione esplicita di qualsiasiformadidivinità. In tale ottica, l’agnosticismosottoilprofilo teorico non rappresenta un’aperta negazione dell’esistenza di Dio, ma più semplicemente una sospensione del giudizio sull’argomento (scetticismo metodico) oppure una demarcazione dei limiti della conoscenza umana tale da impedirci tanto di provarla quanto di confutarla (kantismo). In breve, di Dio «non solo non possiamo dire cos’è, ma siamo parimenti incapacididirechecosanon è».95 Quanto al panteismo, reputiamo sia in generale sbagliatofarlocoinciderecon l’ateismo o considerarlo una suaformadissimulata,perché in quasi tutte le sue manifestazioni storiche il divino assume in esso un’identità diversa e autonoma dal mondo concepito in senso naturale. Volendoportaresoloqualche esempio, per gli stoici Dio pervadesìtuttoilcosmoedè immanente in tutte le cose, marimanecomunquedistinto quale principio attivo e provvidente. Questa medesima distinzione di principio si ritrova in altri illustri panteisti acosmistici quale ad esempio Hegel reputava essere Baruch Spinoza, perché nel suo sistema filosofico «il mondo viene determinato come un semplice fenomeno [di Dio], a cui non spetta realtà effettiva»96; e pressoché la stessa cosa possiamo affermare di Plotino. Può invece dirsi controversa la definizione della filosofia di GiordanoBruno(1548-1600), dovesiincontraunpanteismo naturalistico che parrebbe tendere a divinizzare la natura. Cionondimeno, in certe sue espressioni il filosofo nolano sembra distinguerechiaramenteDioe il cosmo, come nel passo seguente: «Io dico Dio “tutto infinito”,perchédaséesclude ogni termine, et ogni suo attributo è uno et infinito; e dico Dio “totalmente infinito”,perchétuttoluièin tutto il mondo, e in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente; al contrario dell’infinità dell’universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti […] che noipossiamocomprenderein quello».97 Soltanto qualora si reputassero atei tutti coloro che negano la presenza di un Dio personale come quello ebraico-cristiano oppure di divinità antropomorfe come gli dei pagani o teriomorfe e zoomorfecomequelleegizie, si potrebbe includere tra gli ateismi anche il panteismo; ma in questi casi siamo piuttostoinpresenzadiforme di anti-teismo e non di ateismo, almeno secondo l’estensione concettuale con cuil’abbiamodefinito.Nonè pertanto condivisibile una posizione come quella del neopositivista Ernest Nagel (1901-1985), che col termine «ateismo» intendeva «una critica e un rifiuto delle più importanti affermazioni di tutte le varietà di teismo»98, perché in questo modo andrebberoinclusitragliatei pure i deisti che invece atei nonsono. Lesvariateinterpretazioni dell’ateismo in precedenza esaminate hanno messo in luce come l’individuo umano possa diventare ateo a causa di esperienze personali o di concezioni del mondo che lo portano a rifiutare Dio per indifferenza verso un senso trascendente della propria esistenza,perunaesigenzadi libertà assoluta, per tracotanza o sovrastima della propria condizione, per lo scandalo della sofferenza innocente in natura, per la presenzadell’ingiustiziaedel male morale. Sotto il profilo strettamente teoretico, nelle diverse connotazioni dell’ateismo ricorrono essenzialmente tre critiche contro l’esistenza di Dio: l’indimostrabilità, l’impossibilità, e l’inopportunità. Nel primo caso si pone una questione gnoseologica: la presenza di Dio non può essere conseguita per via dimostrativa e, a differenza degli agnostici, si ritiene di possederesufficientielementi oggettiviingradodispiegare in altro modo l’esistenza del mondo. Nella seconda critica si fa ricorso ad argomentazioni logiche: il concetto di Dio è in sé contraddittorio (come nel caso del paradosso dell’onnipotenza)99 o in contraddizioneconalcunidati di fatto quali quello dell’inconciliabilità dell’onniscienzaconlalibertà umana e della bontà assoluta con la sofferenza degli innocenti. La terza critica infine è di tipo eticoantropologico:larealtàdiDio è inopportuna perché contrasta nell’aspetto pratico con la possibilità dell’uomo di essere libero (se esistesse un Essere onnipotente e onnisciente, gli uomini sarebbero suoi burattini) e con la presenza del male nel mondo. Preso atto di queste tre argomentazioni critiche, per classificare i differenti ateismi occorre tuttavia assumere un criterio più ampio, che tenga conto dei fondamenti razionali da cui esplicitamente procedono le tesi principali di chi nega consapevolmente l’esistenza di Dio. Essi sono per noi i seguenti: – la specificità della natura umana; –ilcontestopolitico-sociale; – la scienza e la cultura moderna; – il problema del male e dell’iniquità. Insostanzavièstatoevi èchitrovaiproprimotiviper non credere in Dio nella specificità della condizione dell’uomorispettoaquelladi tutti gli altri viventi; in particolare–perusareancora le parole del filosofo tedesco Max Scheler – nella sua «posizionenelcosmo»,chelo rende «un problema per se stesso»100,maneesaltaanche la libertà e la centralità ontologica. Vi sono poi coloro che si dicono atei partendodall’aspettopoliticosociologico, ovvero concentrando l’attenzione sull’essere umano in quanto «animale politico», in quanto soggetto che vive e opera in una comunità nella quale l’idea dell’esistenza di Dio e di un’istituzione religiosa hannoinevitabiliriflessisugli equilibri politici e sull’organizzazione del potere. Dall’800 in poi, ma soprattutto a partire dalla seconda metà del ’900 è inoltre progressivamente cresciuto fino a diventare predominanteilnumerodelle persone che fondano il proprio ateismo sui risultati della scienza moderna, sul fatto cioè che le conoscenze scientifiche renderebbero superflua l’ipotesi Dio per spiegarelarealtàdelmondoe smentirebbero inoltre palesemente i contenuti delle singole credenze religiose, in particolar modo quelle sull’esistenza dell’anima o dellospirito,sullapresenzadi una vita oltre la morte, sulla creazione divina dell’universo e della specie umana, sui miracoli e sul soprannaturale. In tal senso, può essere considerata atea buonapartedellaculturaoggi dominante in quanto tendenzialmente mondana, naturalistica e influenzata dallo strapotere della tecnologia. Riassumendo,oggisipuò essere atei in nome della libertà e della dignità dell’uomo, della giustizia politica e della conoscenza scientifica. In tutte queste metamorfosi dell’ateo è trasversalmente presente un altro argomento su cui si fonda il rifiuto di un ente divino positivo o buono: la presenza del male, dell’ingiustizia, della sofferenzaumanainnocentee pertalunidellastessacrudeltà presente nell’ordine naturale. Quello dell’iniquità del male odeldoloreincolpevoleèdel resto l’argomento al tempo stesso più universale e più forteasostegnodell’ateismo; talmente forte da rappresentare da sempre un problemaanchepericredenti piùrisoluti. Con queste premesse è possibile individuare almeno quattrotipologieprevalentidi ateismoteoretico: –antropologico, –socio-politico, –scientistaoscientifico, –antiteodicetico. L’ateismo antropologico si basa sulla peculiare strutturadellanaturaumanae dell’esistenza degli individui della nostra specie, interpretandola come contraria o incompatibile con la presenza della nozione stessa di Dio della cultura occidentale.Neisuoisviluppi piùestremi,noncisilimitaa negare teoreticamente l’esistenza di Dio, ma ci si contrapporrà radicalmente all’idea stessa del divino. In questa categoria va pertanto incluso anche il cosiddetto «ateismonichilistico». L’ateismo socio-politico vede in Dio e nella religione dei prodotti della società e soprattuttodelpoterepolitico, degli strumenti concettuali e culturali atti a opprimere e sfruttare il popolo rispetto ai quali, se si vuole conservare la propria libertà e dignità, non si può non esprimere un drasticorifiuto.Formetipiche diquestomododinegareDio sono le ideologie ottocentesche e novecentesche dell’anarchismo e del marxismo nelle sue diverse espressioni (leninismo, stalinismo, maoismo ecc.), per altro anticipate da alcuni pensatori illuministi e preilluministi. L’ateismo scientista o scientificosibasasuirisultati conseguiti dalla scienza e sul valore pressoché esclusivo del metodo scientifico quale forma di conoscenza o di dimostrazionedellaverità.Le conoscenze e le metodologie scientifiche moderne sono così assunte come i postulati in grado di rendere non soltanto superflua, ma anche falsa l’ipotesi Dio. L’ateismo scientifico di cui parliamo non va confuso con quello propagandato nei regimi comunisti del passato, in particolare dell’ex Unione Sovieticanellaqualesierano addirittura istituite delle cattedre universitarie per insegnarlo: quest’ultimo risultava infatti fondato più sul materialismo dialettico marxista-leninista che sul ricorso alle moderne conoscenze scientifiche. Nell’ateismo scientista faremo rientrare anche il cosiddetto «ateismo semantico»,professatodachi ritiene qualsiasi discorso su Dio o sul soprannaturale del tutto privo di significato; e ciò a partire da concetti teologico-filosofici quali «essere necessario», «causa prima incausata», «motore immobile», «anima», «spirito»eviadicendo. L’ateismo antiteodicetico, infine, è quello riconducibile alla presenza del male nel mondo e in particolare del dolore innocente e dell’iniquità, che renderebberoassurdalastessa idea di un Dio buono. Il termine«teodicea»derivadal grecoϑεóςeδίκη(giustiziao giustificazione o difesa), quindi può venire inteso come «giustizia (o difesa) di Dio», ed è stato per la prima volta utilizzato dal filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibnizperintitolareunasua famosa opera teologicofilosofica: Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male(1710).DopoLeibnizil vocabolo«teodicea»hafinito per diventare sinonimo di teologia naturale ed è ancora oggiusatocontalesignificato daalcunistudiosiperindicare l’indagine razionale su Dio, cheovviamenteincludeanche il problema del male. Stando agliateidell’antiteodicea,per un qualsiasi essere divino concepito come giusto e addiritturacomequintessenza del bene non vale nessuna giustificazionealcospettodel male, non è possibile trovare nessun argomento ragionevole a sua difesa o a sua discolpa, se non la sua nonesistenza. Come si può facilmente rilevare, tre di queste forme di ateismo hanno prevalentemente per oggetto l’uomo e precisamente: l’antropologica, la sociopolitico e l’antiteodicetica. Risulterà pertanto normale trovarsi di fronte a delle sovrapposizioni o commistioni tra questi tre modi di essere atei; e per giunta molto spesso nella realtà ci si imbatte in atei teorici che fanno contestualmentericorsoatutti gli argomenti delle quattro tipologie di ateismo sopra indicate. Inoltre, da qualunque parte ci si volti e da qualsiasi ottica si affronti ilproblema,emergeràsempre che l’ateismo teoretico si caratterizza principalmente per essere una filosofia dell’immanenza, un tipo di umanesimo volto a emancipare l’essere umano dall’idea stessa della trascendenza o dell’Assoluto, un’antropologia che vuole fondarsi senza Dio e che fa della scienza uno dei pilastri dell’autonomia del sapere dalla metafisica e dalla religione. 1 Vedi S. Upson, Più credenti più sani?, «Mente & Cervello», n. 99 (marzo2013),pp.24-31. 2 Vedi A. Newberg, E.G. D’Aquili, V. Rause, Why God Won’t Go Away, BallantineBooks,NewYork2001. 3D.Hamer,TheGodGene:HowFaith is Hardwired into Our Genes, Doubleday,NewYork2004. 4 G. Vallortigara, V. Girotto, Perché crediamo? Le basi biologiche del sovrannaturale, «Micromega», n. 5/2013,p.162. 5VediS.Atran,InGodWeTrust.The Evolutionary Landscape of Religion, Oxford University Press, Oxford 2002; P. Boyer, Religion Explained, Basic Book,NewYork2001. 6 Vallortigara, Girotto, Perché crediamo? cit., p. 162. Vedi anche V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara, Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice, Torino 2008; D.S. Wilson, Darwin’s Cathedral. Evolution, Religion and the Nature of Society, University of Chicago Press, Chicago 2003; J.L. Barrett, Why Would Anyone Believe in God?, Altamira Press, Lanham 2004; J. Bering, The Belief Instinct, Norton & Co., New York 2011. 7 Vedi P. Zuckerman, Society without God,NewYorkUniversityPress,New York2008. 8 Vedi V. Girotto, Se siamo nati per credere, da dove vengono gli atei?, «Micromega»,1/2014,pp.163-73. 9 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,I,q.2,a.3.VediLasomma teologica,ESD,Bologna1996,vol.1. 10LecinqueviediTommasod’Aquino (dettoancheDoctorAngelicusoDoctor Communis) sono: 1. «ex parte motus» (dal movimento o dal divenire); 2. «ex ratione causae efficientis» (dalla causa efficiente); 3. «ex possibili et necessario» (dal possibile e dal necessario); 4. «ex gradibus qui in rebus inveniuntur» (dai gradi [di perfezione] presenti nelle cose); 5. «ex gubernationererum»(dalgovernodelle cose, ovvero dall’ordine finalistico del mondo). 11 J. Maritain, Ricordi e appunti, Morcelliana,Brescia1967,p.22. 12 J. Maritain, Il significato dell’ateismo contemporaneo, Morcelliana,Brescia1967,p.10. 13 In proposito vedi E. Nicoletti, La possibilità dell’ateismo, in AA.VV., L’ateismo contemporaneo, SEI, Torino 1967-1970,vol.II,pp.289sgg. 14J.Maritain,Ragioneeragioni,Vitae Pensiero,Milano1982,pp.126-31. 15 J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla,Roma1980,pp.84-85. 16 C. Ferraro, CornelioFabro, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2012,p.192. 17 C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno,Studium,Roma1969,p.9. 18 C. Fabro, Editoriale, «Civiltà Cattolica»,5maggio1984,p.210 19 Fabro, Introduzione all’ateismo modernocit. 20 Vedi A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1990, p.336. 21Ivi,p.14. 22É.Gilson,L’ateismodifficile,Vitae Pensiero, Milano 1983, p. 22. La proclamazione della «morte di Dio» si trova in F. Nietzsche, La gaia scienza, libro III, par. 125, Adelphi, Milano 1997,pp.129-130.Vedereinfra,cap.3, par.4. 23C.Tresmontant,L’ateismoinquesta fine di XX secolo dal punto di vista scientifico e razionale, in AA.VV. L’ateismo. Natura e cause, Massimo, Milano1981,p.138. 24 C. Tresmontant, Les problèmes de l’athéisme,Seuil,Paris1972,p.438. 25 A. Vergote, Psicologia religiosa, Borla,Roma1979,pp.261-62. 26 A. Vergote, Religione, fede, incredulità.Studiopsicologico,Paoline, CiniselloBalsamo1985,p.33. 27Vergote,Psicologiareligiosa cit., p. 262. 28 Intervista a Jean Guitton in V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo, Mondadori,Milano1993,p.72. 29LecitazionidaJ.Guitton,Che cosa credo,Bompiani,Milano1993,pp.2123e82-83. 30 J. Moltmann, Le radici cristiane dell’ateismo moderno, in AA.VV., L’ateismo. Natura e cause cit., p. 158. Su posizioni analoghe si sono collocati anche Karl Rahner, Henri de Lubac e HansUrsvonBalthasar. 31 M. Ruggenini, Il Dio assente. La filosofia e l’esperienza del divino, B. Mondadori,Milano1997,p.57. 32R.Bultmann,L’ideadiDioel’uomo moderno, in AA.VV., Dibattito sull’ateismo,Queriniana,Brescia1967, pp.187-88. 33 P. Prini, Storia dell’esistenzialismo daKierkegaardaoggi,Studium,Roma 1989, p. 8. Vedi anche P. Prini, Lo scisma sommerso, Garzanti, Milano 1999(nuovaedizione2002). 34R.Guardini,Fenomenologiaeteoria dellareligione,inScritti filosofici, vol. II,Fabbri,Milano1964,p.280. 35F.M.Dostoevskij,Idemoni,Einaudi, Torino 1994, p. 402. È effettivamente esistitounmonacoevescovorussonoto come Tichon di Zadonsk (1724-1783), a cui probabilmente Dostoevskij si è ispirato a più riprese nelle sue opere (per esempio anche lo starec Zosima dei Fratelli Karamazov). Vedi R. Guardini, Dostoevskij. Il mondo religioso,Morcelliana,Brescia1995. 36 K. Barth, L’Epistola ai Romani, Feltrinelli,Milano1974,p.23. 37 D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, Paoline, CiniselloBalsamo,pp.382-83. 38VediG.Bernanos,Conferenzasulla santità,del1847. 39 Bonhoeffer, Resistenza e resa cit., pp.439-40. 40Ivi,p.440. 41 K. Rahner, Uditori della parola, Borla, Roma 1988, pp. 97-98. Vedi anche K. Rahner, Ateismo e cristianesimoimplicito,inNuovisaggi, Paoline, Roma 1969, vol. III, pp. 21748; Riflessioni teologiche sulla secolarizzazione e l’ateismo, in Nuovi saggi,Paoline,Roma1973,vol.IV,pp. 227-52. 42 M. Buber, L’eclissi di Dio. Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Mondadori, Milano1990,p.59. 43Ivi,p.126. 44Ivi,p.26. 45Nietzsche,Lagaiascienzacit.,libro III,par.125,p.130 46 Th. Altizer, Il vangelo dell’ateismo cristiano, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1969, prefazione di Sergio Quinzio, p. 23. 47VediG.W.F.Hegel,Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1973; Filosofia dello Spirito, Utet, Torino 2010; M. Borghesi, L’età dello SpiritoinHegel.Dal«Vangelostorico» al «Vangelo eterno», Studium, Roma 2013. 48W.Hamilton,MortediDioeateismo nel pensiero religioso americano in AA.VV.,Dibattitosull’ateismocit.,pp. 78-79. 49Ivi,p.81.VediancheTh.Altizer,W. Hamilton, La teologia radicale e la mortediDio,Feltrinelli,Milano1969. 50 Vedi M. Scheler, Sociologia del sapere,Abete,Roma1976,p.274. 51 G. Morra, L’ateismo fra moderno e post-moderno, in S. Burgalassi, C. Prandi,S.Martelli(acuradi),Immagini della religiosità in Italia, Franco Angeli,Milano1993,pp.38-41. 52 P. Tillich, Teologia sistematica, Claudiana,Torino2001,vol.I,p.40. 53 Vedi K. Bockmühl, Ateismo dal pulpito.L’irrealtàdiDionellateologia enellaChiesa,Claudiana,Torino1981; B. Mondin, Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica, Massimo, Milano 1990,pp.156-61. 54 H. Flügel, Aspetti del dialogo tra cristiani e atei, in AA.VV., Dibattito sull’ateismocit.,pp.158-59. 55 B.H.H. Dechesne, Domanda senza risposta: l’ateismo del credente, in AA.VV., Dibattito sull’ateismo cit., p. 171. 56 Concilio Vaticano I, Dei Filius, Costituzione dogmatica sulla fede cattolica,«Proemio»,DH3021-3025. 57 Paolo VI, Ecclesiam Suam, Lettera enciclica,nn.103-104. 58 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes,Costituzionepastorale,n.19. 59Ivi,n.19. 60Ivi,n.20. 61Ivi,n.19. 62Lecitazionidaivi,n.21. 63 Paolo VI, Evangelii Nuntiando, EsortazioneApostolica,n.55. 64 Giovanni Paolo II, Dominum et Vivificantem,LetteraEnciclica,n.56. 65 Giovanni Paolo II, Centesimus Annus,Letteraenciclica,n.13. 66 Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, Letteraenciclica,nn.46,90e91.Altri interventimagisterialidiKarolWojtyła sull’ateismo si trovano in due discorsi sulle radici cristiane dell’Europa (DiscorsoalConsigliodelleconferenze episcopali d’Europa, Roma 1982; Discorso nella sede della Comunità Europea,Bruxelles1985). 67 Ch. Taylor, intervista al quotidiano «Avvenire» del 26 luglio 2012. Su Taylorvedisupra,cap.1,par.1. 68 Ch. Taylor, L’età secolare, Feltrinelli,Milano2009,pp.12sgg. 69Taylor,intervistacit. 70 J. Baggini, Atheism. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford2003,p.3. 71 Vedi M. Neusch, Aux sources de l’athéisme contemporain, Cerf, Paris 2001;vedianchelavoce«Ateismo»,in P.Poupard(direttoda),Dizionariodelle religioni,Mondadori,Milano2007.Per questotipodidistinzioneconcettualesi usano talvolta anche le dizioni di «ateismoristretto»e«ateismoesteso». 72 P. Cliteur, La visione laica del mondo,NessunDogma,Roma2013,p. 37. 73QuestoèancheiltitolocheAugusto Guerriero (detto Ricciardetto), un giurista e giornalista italiano non credente,hadatoaunsuocelebrelibro. Vedi Quaesivi et non inveni, Mondadori,Milano1973. 74Platone,Leggi,885A-888C,inTutti gli scritti, Rusconi, Milano 1991, pp. 1672-75. 75 Vedi D. Diderot, Pensées philosophiques, in Œuvres philosophiques,Vernière,Paris1961,p. 22. 76 In proposito Cornelio Fabro, seguendoun’impostazionecherisaleal filosofo tedesco Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), ritiene che Johann GottliebFichtenelsuotrattatoDottrina della scienza (Laterza, Bari 1987) palesiunateismoimplicito,perchéseè vero che «pone Dio come l’Incondizionato condizionante, non è menoverocheilsuoDiosenzal’uomo […] non è Dio […]. Quindi senza l’Io Dio non è Dio». Vedi Fabro, Introduzione all’ateismo moderno cit., p.580. 77 W. Weischedel, Il Dio dei filosofi. Fondamenti di una teologia filosofica nell’epocadelnichilismo,IlMelangolo, Genova1988,vol.III,pp.205-06. 78 Sull’ateismo metodologico vedi N. Fischer,L’uomoallaricercadiDio.La domanda dei filosofi, Jaca Book, Milano1997,pp.223-25. 79Sulladistinzionetraateismopositivo e ateismo negativo vedi B. Cooke, Dictionary of Atheism, Skepticism & Humanism, Prometheus Books, Amherst,NewYork2006. 80 Vedi A. Flew, A. McIntyre, New Essays in Philosophical Theology, S.C.M. Press, London 1955; A. Flew, God and Philosophy, Hutchinson, London1966. 81A.Flew(acuradi),ADictionaryof Philosophy,PanBook,London1979,p. 28. 82 Vedi D. Bonhoeffer, Etica, Queriniana, Brescia 2005. Su Dio tappabuchivedisupra,cap.2,par.2. 83 A. Flew, La presunzione dell’ateismo stratoniano, in AA.VV., Dibattito sull’ateismo, Queriniana, Brescia1967,p.47. 84 P.B. Shelley, La necessità dell’ateismo, Nessun Dogma, Roma 2012,pp.8-9e19. 85 A. Flew (con R.A. Varghese), Dio esiste. Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea, Alfa & Omega,Caltanissetta2010,p.73.Vedi anche A. Flew, The Presumption of Atheism,Pemberton,London1976. 86 Fabro, Introduzione all’ateismo modernocit.,p.23. 87Gilson,L’ateismodifficilecit.,p.32. 88 Vedi Maritain, Il significato dell’ateismocontemporaneocit.,pp.912. Vedi anche J. Maritain, Ateismo e ricercadiDio,Massimo,Milano1982, pp.206-07. 89 Vedi Del Noce, Il problema dell’ateismo cit., pp. 14-15. È qui palese che le distinzioni tra ateismo negativoeateismopositivodiMaritain e di Del Noce sono diverse tra loro ed entrambedistantidaquelleproposteda Weischedel,Flewealtri. 90 Vedi H. Küng, Dio esiste?, Fazi, Roma2012,pp.120-29e257-457. 91 B. Sweetman, Religione e scienza. Un’introduzione, Queriniana, Brescia 2014,pp.18-19. 92 Vedi N. Abbagnano, Dizionario di filosofia,voce«Ateismo»,Utet,Torino 1971; G. Morra, Ateismo e non credenza nelle società occidentali, in AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, Massimo, Milano 1981, pp. 91-94, e Dio e senza Dio. Ateismo e secolarizzazione, Japadre, L’AquilaRoma 1989; B. Mondin, Dio: chi è?, Massimo,Milano1990,p.136. 93 Vedi A.M. Tripodi, L’ateismo alle soglie del terzo millennio, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2001. 94Th.Hobbes,AppendixadLeviathan, in G. Wright (a cura di), Religions, PoliticsandThomasHobbes, Springer, Dordrecht2006,p.119. 95 A. Kenny, A Life in Oxford, John Murray, London 1997, p. 230. Vedi anche Filosofia moderna, Einaudi, Torino2013,pp.345sgg. 96 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, par. 50,Laterza,Bari1971,vol.I,p.57. 97 G. Bruno, De l’infinito, universo e mondi, dialogo primo, in Opere italiane, Utet, Torino 2007, vol. II, pp. 47-48. 98E.Nagel,ADefenseofAtheism,inP. Edwards,A.Pap(acuradi),A Modern IntroductiontoPhilosophy, Free Press, NewYork1967,p.460. 99 «Dio può creare una pietra così pesante da non poterla sollevare?». Questadomandasintetizzailcosiddetto paradosso dell’onnipotenza divina, dibattuto in epoca medievale insieme conl’ideadipotentiaDeiabsoluta. 100 Vedi M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, Franco Angeli, Milano2009. 3 L’uomocontroDio 1.Lanaturaumanaeisuoi principi L’ateismo antropologico si origina da un radicale rovesciamento di prospettiva iniziato con l’Umanesimo rinascimentale. Con il Rinascimento alla centralità medievale di Dio e della salvezza ultraterrena si affianca e progressivamente si sostituisce la centralità dell’interesse per l’uomo e perilsuopercorsoterreno.Si afferma cioè una nuova visione dell’individuo inteso come non più necessariamente subordinato alla verità religiosa del dogmacristianoesivalorizza il mondo naturale non tanto come manifestazione della creazione, bensì per le sue specificità. Si guarda alla natura considerandola con Bernardino Telesio (15091588) iuxta propria principia,1 ossia secondo principinonastrattisultipodi quelli degli aristotelici, ma che gli appartengono intrinsecamente. Se nel corso del Medioevo l’uomo veniva concepito quale povero peccatore al cospetto di Dio, come un essere ferito, fragile e incompiuto secondo il pensiero di Agostino d’Ippona (354-430), l’Umanesimo rinascimentale vede invece un ritorno alla pienaconsapevolezzadeisuoi mezzi naturali e anche a qualcosa di più di questo: all’affermazione di un’identità e di una volontà che pare avvicinarsi a quella un tempo attribuita al divino. Il filosofo Nicola Cusano (Nikolaus Krebs 1401-1464) dice infatti apertamente nel De coniecturis (1440-1445) che«l’uomoèDio,manonin senso assoluto, perché è uomo: è dunque un Dio umano [humanus Deus]».2 Mentre per l’umanista Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) l’essere umano è dotato di libertà, possibilità e responsabilità assolute di progettare e soprattutto di conquistareilpropriodestino. La dignità dell’uomo deriva dalla convinzione che Dio stessonehafattounmagnum miraculum, l’ha posto al centro dell’universo, in mezzocioètrailmondodella perfezione angelica e quello delle bestie, consentendogli di scegliere se elevarsi verso l’alto,versoildivino,oppure cadere verso il basso nella condizione degli esseri più infimi: [L’OttimoArtefice(Dio)] accolse l’uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo,cosìgliparlò:non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché […] tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio,allacuipotestàti consegnai.3 Col Rinascimento la maggiore attenzione per i valori inerenti l’individuo umano conduce pure alla riscoperta della classicità greca, in particolare dell’anticoumanesimosofista e socratico culminato con l’epoca di Pericle, con il conseguenteamoreperitesti classici nelle loro edizioni originali e non più mediati dallaculturaedalleistituzioni cristiane. L’uomo rinascimentale vede infatti nella filosofia platonicoaristotelica e nella cultura classica l’ammirevole tentativo di indagare e giustificare la realtà per mezzo dei soli strumenti umani dell’esperienza e della ragione. Fu proprio nell’ambito di questo percorsodirivalutazioneedi grande attenzione per la natura dell’uomo e per i principali risvolti della sua esistenza,sempreintesicome qualcosa di straordinario e di fondamentale nel contesto dell’intero cosmo, che si ritenne di dover ripensare anche la relazione tradizionale tra l’essere umano e il divino, fino ad approdaretrailXVIeilXVII secolo a un’aperta messa in discussione dell’esistenza di Dio. Se Pico della Mirandola poteva ancora conciliare la dignità umana con la presenza di un «Ottimo Artefice»,peralcuniumanisti «la Natura prende il posto di Dio perché anch’essa ha un’anima, realizza intenzioni costanti e veglia sull’uomo come la Provvidenza»4; mentre l’interesse per l’occulto, l’alchimia e l’astrologiafasìchedifattoil divino, gli astri e la magia naturale si equivalgano: «Se in luogo degli angeli e dei demoni – scrive il medico e astrologo Girolamo Cardano (1501-1576) – noi poniamo astri benefici e contrari, possiamo attribuire le stesse spiegazioni ai medesimi fenomeni».5 È pur vero che l’umanesimo filosofico nato con la cultura rinascimentale di per sé non implica necessariamente la negazione di Dio, tuttavia è un fatto storico che nella riflessione moderna e contemporanea la sua forma più presente e più attiva risulta sicuramente quella a sfondo ateistico. L’umanesimo ateo punta a edificare l’essere umano attraverso l’eliminazione del teismo,percuisesivuoleche l’uomo esista, non deve esistere nessun altro sopra di lui. In altri termini, se si intende affermare l’indispensabile autonomia e compiuta realizzazione della natura umana, bisogna obbligatoriamente postulare l’inesistenza di un Ente infinito, provvidente e creatore. Il finito è infatti consideratoincompatibilecon l’infinitoediconseguenzagli esseriumani,inquantofiniti, non possono coesistere con una divinità per sua natura infinita: «L’affermazione di Dio come essere infinito implica necessariamente la svalutazionedell’esserefinito e, in particolare, la disumanizzazione dell’uomo».6 L’uomo, per essere pensato come totalmente indipendente, non deve dunquerisultarecondizionato da altro che da se stesso, ovvero deve presentarsi in tutto e per tutto come causa sui; pertanto non si può concepire il mondo di cui la nostra specie fa parte come creatoesubalternoaqualcosa di sovrastante, di superiore o trascendente. In sintesi, se si intendeaffermarepienamente la realtà umana, si deve negare la presenza di Dio: «Se si vuole – ha scritto Cornelio Fabro – che l’uomo esista(ecomesipotrebbenon volerlo?), Dio non può o piuttostonondeveesistere».7 Questo presunto dato oggettivo ha condotto il filosofo Max Scheler a descrivere un simile ateismo come «un postulato della serietàedellaresponsabilità» umana e quindi a definirlo «ateismo postulatorio»8. In effetti l’esigenza di porre l’essere umano quale valore supremoeassolutoimponedi postulare la non esistenza di Dio e con esso del trascendente, di rifiutarne anche il semplice concetto, perché «solo il teocidio consente all’uomo di essere libero».9PerScheler,seKant nella Critica della ragion praticaavevafattodiDio«un postulatodellaragionepratica valido in generale»10, nell’ateismo umanistico «ciò che è decisivo è un altro elemento: un dio non può né deve esistere a causa della libertà, della responsabilità, del compito, a causa del sensodell’esseredell’uomo»; quindi occorre postulare necessariamente la non esistenza o la morte di Dio, come hanno fatto prima Friedrich Nietzsche e poi il filosofo tedesco Nicolai Hartmannconilsuo«ateismo postulatorio della responsabilità».11 Alla base dell’ateismo antropologico si colloca ovviamente una metafisica dell’immanenza, poco importa se idealistica o materialistica, che fa dell’uomo un ente autosufficiente e portatore di senso, capace cioè di trovare da sé e in se stesso un significato alla propria esistenza, di fondare da solo il proprio ordine morale, di dominare la realtà con la ragione e con i suoi migliori prodotti: la scienza e la tecnica.Ancheilmalefisico, la sofferenza degli innocenti, l’angoscia esistenziale e le ingiustizie di questo mondo devono pertanto trovare nei limiti del possibile una risposta umana e soltanto umana, a iniziare dai comportamenti positivi o negativi di ogni singolo individuo della nostra specie. Il presupposto fondamentale diventa così non soltanto che sipuòviveresenzacrederein Dio, ma che si vive decisamente meglio se Dio nonesiste. Postulare l’inesistenza di Dio è dunque in ultima istanzalalogicaconseguenza dell’antropocentrismo moderno iniziato storicamente con l’Umanesimo e, secondo Jacques Maritain e Charles Taylor,12incoraggiatoperfino dalla Riforma protestante e successivamente ingigantito dall’immanentismo soggettivistico avviato dalla filosofia cartesiana. L’umanesimo ateo si è progressivamenteimpostodal ’700 a oggi anche a causa della crescente crisi della filosofia teoretico-speculativa ingeneraleedellametafisica in particolare, fino a fare del nostrotempoun’epoca«postmetafisica»13. Esso perciò si caratterizza per una concezione laica e profana dell’essere umano apertamente contrapposta a quella religiosa e cristiana, per cui se nell’umanesimo cristiano l’umanità non ha senso separata da Dio, nell’umanesimo ateo l’uomo è il tutto dell’uomo, è l’orizzontedisestessochesi spiegadasé. È con l’Illuminismo settecentesco che inizia una critica serrata della religione tradizionale e con essa del teismocristiano,dandoforma per lo storico francese Paul Hazard (1878-1944) a un vero e proprio «processo contro Dio» o, più precisamente, alla messa sotto accusa del Dio dei cristiani.14 Con la Rivoluzione Francese del 1789 anche in ambito politico-sociale la tendenza prevalente diventa quella di sostituire al diritto divino e quindi a Dio la volonté générale, esaltata nelle opere di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e presto incarnatasiperirivoluzionari parigini nel culto della dea Ragione.Inquestomodo,con la Francia rivoluzionaria la culturaeuropeasiincammina a passo estremamente veloce sulla via della secolarizzazione e dell’ateismo.Inaltreparole,a partire dall’età moderna e soprattutto dall’epoca del siècle des Lumières si afferma per la prima volta una forma di ateismo socialmente legittimato e semprepiùdiffuso,comenon si era visto né in Grecia o nell’anticaRomaetantomeno nel Medioevo. Fatta eccezione per la cultura cristiana, che però diventa progressivamente minoritaria tra i dotti, Dio tende a scomparire da tutte le manifestazioni culturali e quando vi compare è per essere negato o considerato estraneo al mondo, se non addirittura imputato del male e della sofferenza innocente, di fronte ai quali i più indulgenti chiedono provocatoriamente con DanielPennac«cheabbiauna scusa valida»15, mentre i più severi concludono come Stendhal (Marie-Henri Beyle 1783-1842):«Diohaunasola scusa: quella di non esistere»16. I presupposti filosofici dell’ateismo antropologico moderno maturano tuttavia poco prima dell’età illuministaeprecisamentetra ilXVIeilXVIIsecoloconil cosiddetto «libertinismo». Si tratta in effetti più di un atteggiamento intellettuale e comportamentale che di una vera e propria scuola di pensiero. Esso si manifesta tra la seconda metà 1500 e dura fino agli inizi del 1700, quando finirà per confluire e disperdere «le sue acque nel grande fiume dell’Illuminismo»17. La parola«libertino»(infrancese libertineiningleselibertine) deriva con tutta probabilità dal latino libertinus, variazione del sostantivo libertus (liberto) con cui venivadenominatoloschiavo affrancato dalla schiavitù. L’estensione del termine per designare il movimento libertinohaasuavoltaorigini antiche,dalmomentocheuna tracciasipuòtrovarefinanco nel Nuovo Testamento, precisamente negli Atti degli Apostoli,laddovesiindicala «sinagoga detta dei Liberti» (nella vulgata latina «synagoga quae appellatur Libertinorum»)18 tra gli accusatori e lapidatori del protomartire cristiano Stefano. Nell’epoca da noi considerata, l’appellativo di libertino viene a significare nel sentire comune un libero pensatore o un filosofo scettico e miscredente, a cui presto si assocerà spesso l’immagine negativa di un depravato nei costumi, di un immorale ed edonista dedito ai soli piaceri corporali. Non a caso, per i detrattori del libertinismo, e non solo per loro, il modello classico del libertino è quello di Don Giovanni dell’omonima commedia di Molière (JeanBaptiste Poquelin 16221673)19; commedia rappresentaperlaprimavolta a Parigi nel 1665, ossia al culmine del fervore libertinista. Qui il protagonista è un signore di corte perverso e cinico; un personaggioipocritaricalcato sul modello dei cortigiani francesi dell’epoca, che unisce alla signorilità dei modi la dissolutezza dei comportamenti privati e il disprezzo per le leggi umane e divine, che dietro il bell’aspetto esteriore cela il vuoto interiore, l’immoralità eungigantescoegoismo. I libertini seicenteschi si caratterizzanodinormaperla critica radicale alle religioni costituite, per la rivendicazione di un’autonomia individuale da qualsiasi forma di autorità a iniziareovviamentedaquelle religiose e morali, per un’etica razionalistica e convenzionalistica, per una visione prevalentemente materialistica e meccanicistica del mondo, nonchéperunoscetticismodi fondo nei confronti del problema della verità e delle possibilità cognitive della ragioneumana.Influenzanoe sono vicini al movimento libertino pensatori come Giulio Cesare Vanini (15851619), che benché sia stato messo a morte per ateismo e blasfemia sembra propendere più verso il panteismo e lo scetticoMicheldeMontaigne (1533-1592), più agnostico che ateo.20 Particolarmente stimato dai libertini è pure il filosofo Pierre Bayle (16471706), noto per la sua teoria dell’«ateo virtuoso». Questa idea ha un rilievo importante nella storia dell’ateismo, perché per la prima volta si teorizza in maniera esplicita cheancheunateopuòessere un individuo rispettoso della morale, mentre fino ad allora prevaleva la tesi dell’impossibilità di fondare l’etica in assenza del riconoscimento dell’esistenza di Dio. Benché risulti tuttora in discussione se il filosofo francese sia da considerarsi un ateo piuttosto che un deista o un credente con grande spirito critico, secondo Cornelio Fabro è proprio col diffondersi della suaopinioneche«ilproblema dell’ateismo entra nel vivo delpensieromodernoeinizia la sotterranea opera di corrosione nella sfera della religione e della trascendenza», perché si introduce nella dimensione pratica «la dissociazione fra verità e moralità e fra etica e religione».21 Bayle nei suoi celebri Pensées diverses sur lacomète(primaedizionedel 1682 e terza edizione del 1699)osservainfatti: Ormaièevidentecheuna società di atei potrebbe svolgere ogni attività civile e morale come qualsiasi altra società […]. Il fatto di ignorare l’esistenza di un primo Essere creatore e conservatore dell’universo non impedirebbeaimembridi questa società di essere sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena, così come a tutte le altre passioni umane, e nemmeno soffocherebbe in loro tutti i lumi della ragione.22 Si inganna pertanto chi sostiene che coloro che credono in un qualsiasi culto religioso, fosse pure l’idolatria, risultino «necessariamentepiùvirtuosi degli atei», poiché entrambi nelle loro azioni si comportano «in relazione ai loro costumi, secondo uno stessoprincipio».23 Da ciò derivava ovviamente pure lo svuotamento del ruolo della divina provvidenza e in generale di una divinità legislatrice,dacuiilcrescente scetticismoneiconfrontidelle religioniedellavaliditàdella credenza in un Dio trascendente come quello cristiano. Ma la scelta dello scetticismo filosofico non sembrava a Pierre Bayle decisiva nel determinare l’affermarsi dell’ateismo e probabilmente riteneva conducesse più facilmente all’agnosticismo. In particolare lo scetticismo pirroniano fondato sulla sospensione del giudizio (epoché), sul non liquet (non è chiaro) nei confronti di qualsiasi presunta conoscenza, poteva addirittura tradursi in un involontario sostegno alla religione perché, una volta distruttalafiducianelleverità conseguite con la ragione, il naturale umano bisogno di certezze conduceva gli individui a rifugiarsi nella verità assoluta del cristianesimo: «Un simile metodo [del non liquet o di sospensionedell’assenso]può essere utile per costringere l’uomo, consapevole delle tenebre in cui si trova, a implorare l’aiuto dell’Altissimo e a sottomettersiall’autoritàdella fede».24 È per altro difficile e sbagliato etichettare come atei tutti i libertini, anche se alcuni certamente lo furono. Erano infatti per lo più antiteisti e vicini al deismo oppure al panteismo, senza tuttavia che mancassero tra loro i credenti di religione cristiana. L’allievo di Montaigne Pierre Charron (1541-1603), per esempio, fu sicuramente un cattolico che predicava la tolleranza; mentre quello che da molti è considerato il principale teorico ufficiale del libertinismo, François La Mothe Le Vayer (15881672), fu uno scettico pirroniano distaccato dalle credenzereligioseepropenso a seguire la massima «cuius regio,eiusreligio»(«Dichiè il potere [il regno], di lui sia la religione» ovvero si deve seguire il culto di colui che governa), che è poi l’anticamera del moderno relativismo in materia religiosa. L’importante filosofo e scienziato Pierre Gassendi (1592-1655), invece,dasacerdotecattolico tentò di tenere insieme il suo atomismo epicureo con la fede cristiana, anche se questo lo trasformò in una mente «libertina» nei confronti delle altre credenze religiose e perfino della non credenza. Infine il prototipo più noto del libertino, Savinien de Cyrano de Bergerac (1619-1655), certamente mette in dubbio l’immortalità dell’anima, ma pare propendere più per il panteismocheperl’ateismo. Ciò che dunque rende i libertini, più o meno loro malgrado, precursori dell’ateismo antropologico non è un’aperta negazione dell’esistenzadiDioolaloro miscredenza di fondo, ma piuttosto l’affermazione della radicaleautonomiadell’uomo rispetto a qualsiasi vincolo religioso o teologico; affermazione che giunse ben presto a reputare più importante la libertà umana dellapresenzadiunadivinità creatrice e legislatrice del mondo. In altri termini, i libertini non sentono tanto la necessità di negare Dio, quanto di valorizzare sopra ogni cosa la propria autonomia di pensiero e di azione; di conseguenza «il Diochevienetranquillamente congedato, e al quale si notifica che esiste, certo, che è amato, sicuro, ma che potrebbeoccuparsiunpo’più di se stesso e meno degli uomini,lasciailcampolibero allalibertà»25. 2.Ilbuonsensodell’ateo Se l’origine effettiva dell’ateismo moderno va individuata nell’Illuminismo, la prima manifestazione di ateismo antropologico propriamente detto va ricondotta a uno degli illuministi atei più famosi: il barone Paul-Henry Thiry d’Holbach (1723-1789). Proveniva da una famiglia tedesca del Palatinato (il suo nome originario era infatti Paul Heinrich Dietrich) e ottenuta una ricca eredità dallo zio materno Franz Adam von Holbach, di cui acquisì anche il titolo nobiliare, decise di stabilirsi definitivamente a Parigi e farsi naturalizzare francese. Qui aprì la sua casa ai pensatori illuministi noti come Philosophes: intellettuali e scienziati che praticavanoilliberousodella ragione, mettendo in discussione l’ordine politico costituito, i costumi morali prevalenti e la religione dominante. Da questo consesso scaturiscono i cosiddetti Encyclopédistes che, sotto la direzione di Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783) e Denis Diderot, e con la partecipazione dello stesso d’Holbach diedero vita a quello che forse è il più maturo risultato del movimento illuministico: la celebre Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers(1751-1780).26 Il nostro barone rielabora le idee materialistiche del passato e ampiamente circolanti tra gli illuministi suoiamicioaluicoevi,quali Julien Offray de La Mettrie (1709-1751)eClaude-Adrien Helvétius (1715-1771), per tentare di farne una filosofia organica e scientificamente fondata, in grado cioè di spiegare tutta la realtà sulla base delle sole conoscenze chimico-fisiche del mondo naturale.Questoperlomenoè l’intento della sua opera filosofica principale, pubblicata in Francia nel 1770 e intitolata Système de la nature ou des lois du monde physique et du monde moral. Si tratta di una specie di testo sacro del materialismo illuministico, scritto sotto l’influsso della teoriadellamateriaconmoto intrinseco di John Toland, il cui titolo risulta accompagnato da una sintetica descrizione degli argomenti trattati, che sono: la natura e le sue leggi; l’uomo; l’anima e le sue facoltà; il dogma dell’immortalità; la felicità. Da essi si evince che nel trattato holbachiano si vuole prenderedipettolequestioni fondamentali della metafisica e della filosofia morale per ridurle al materialismo naturalistico. Difatti, dalle prime parole della prefazione si capisce subito dove si vuole andare a parare: «L’uomo è infelice unicamente perché non conosce la natura. […] L’uomo disdegnò lo studio dellanaturapercorreredietro afantasmi[dellametafisicae della religione] che, simili a fuochi ingannevoli […], lo spaventarono,loabbagliarono e gli fecero abbandonare la via semplice del vero»27. È facile allora comprendere perché tale lavoro si è guadagnato una menzione specialedapartedelmarxista ateo Georgij Valentinovič Plekhanov (1856-1918). Questi, pur reputando ancora arcaico e rozzo tutto il materialismo monista e sensista d’epoca illuminista, fece un’importante eccezione per il pensiero del barone D’Holbach, riconoscendolo «molto aggiornato sulle scienze della natura del suo tempo»28 e antesignano della lotta rivoluzionaria contro Dioeilclero.29 Nel Sistema della natura D’Holbach afferma con chiarezza che «l’uomo è un essere puramente fisico; l’uomo morale non è che un esserefisicoconsideratosotto un certo punto di vista»30; e ciò fa cadere qualsiasi discorso religioso sulla salvezza dell’anima e in generale sull’esistenza di entità spirituali. È solamente a causa della paura prodotta da fenomeni naturali «meravigliosi e terribili» (terremoti, vulcani in eruzione, asteroidi cadenti, inondazioni catastrofiche ecc.) di cui non ha piena conoscenza e controllo che l’uomo si creò degli dei, i quali divennero gli unici oggetti delle sue speranze e dei suoi timori; quindi le speculazioni teologiche non hannoalcunarealtà,nonsono che parole vuote di senso o semplicichimere.E quando saremo in buona fede con noi stessi, saremo sempre indotti a convenire che è unicamente la nostra ignoranza delle cause naturaliedelleforzedella natura che dette origine agli dei; è ancora l’impossibilità in cui la maggior parte degli uomini si trovano di portarsi fuori di questa ignoranza […] a far credere che l’idea di un dio è un’idea necessaria perrenderecontodituttii fenomeni.31 L’immagine del divino nasceinsostanzadallascarsa conoscenza delle leggi di naturaedallostuporemistoa pauraperifenomeninaturali, che fanno concepire all’intelletto umano l’esistenzadi«qualcheagente segreto»,percui«ilconsenso degli uomini nel riconoscere un dio prova unicamente che nell’ignoranza hanno ammiratootremato»32finoa escogitareconlafantasiauna spiegazionesovrannaturale. Come si può facilmente notare, siamo in presenza dei classici topoi dell’ateismo (esiste solo la materia, l’anima è un’invenzione, gli dei sono una creazione della mente umana, la religione è frutto dell’ignoranza e della paura ecc.) e pertanto non sorprende vedere aggiungere pure un esplicito argomento anticipatore dell’odierno ateismosemantico:unattacco allateologia«comescienzadi parole» che «quando le si vuole analizzare, si trova che non hanno nessun senso vero». La speculazione teologica è insomma la vera fonte dei mali che affliggono la Terra, degli errori che l’accecano,deipregiudiziche la paralizzano, dell’ignoranza e dei vizi che la tormentano, dei governi che l’opprimono. Per altro la teologia come presunta scienza è controproducente per se stessa, perché «a forza di qualità contraddittorie, ha messo il suo dio nell’impossibilità di agire» a tal punto da non essere in gradoneppuredi«autorizzare lacondottaoiculticheglisi prescrive di rendergli».33 I teologi infatti attribuiscono contemporaneamente a Dio l’infallibilità e i miracoli, ovvero le violazioni delle leggi naturali di cui è Lui stesso il creatore. Ma se si pretendedifarlointervenirea riparare la sua stessa opera, significachenonèinfallibile, che in origine ha commesso un errore, e si cade così in una patente contraddizione. Soltanto l’affacciarsi della verità naturale e dell’autentica conoscenza delle cose della natura pone fine all’errore «che fece soffrire in ogni tempo» gli esseri umani e con esso alle «catene opprimenti che i tiranni e i preti forgiarono dappertuttoperlenazioni».34 L’opera filosofica principale di D’Holbach, visibilmente suggestionata dall’epicureismo lucreziano e dal sensismo, è divisa in due parti dedicate rispettivamente alla natura e all’idea del divino. La seconda parte è una critica radicale della nozione stessa di Dio, delle prove tradizionali della sua esistenza e della divina provvidenza, che si conclude con un capitolo riservato all’ateismo, dove sembra anticipato l’umanismo antropologico poi sviluppato compiutamente da Ludwig Feuerbach, che fa della divinità una rappresentazione enfatizzatadell’essereumano. L’uomo liberato dall’idea inutile e dannosa di Dio può fondare sulla ragione una morale autentica e di portata generale, in grado cioè di distinguere su basi reali il vizio dalla virtù, perché la morale tratta dalla natura è evidente a tutti gli individui razionali, ivi compresi quelli che la osteggiano per motivi teologici. Gli atei sono allora coloro che combattono ogni forma di fanatismo religioso o metafisico, che hanno il coraggio di dissolvere le perniciose illusioni che infestano le false credenze umane, riportando gli esseri umaniallarealtàmaterialedi cuifannointegralmenteparte. Essisonoinaltreparoledegli eroici individui che distruggono le chimere nocive al genere umano e riconducono gli uomini alla natura, all’esperienza, alla ragione. Dal punto di vista logico siamo posti così di fronte a una perentoria disgiunzione esclusiva, a un aut aut: o si è atei e materialisti o si è degli illusi che credono in entità inesistenti e quindi portatori di sconvenienti pregiudizi, tertium non datur. E da questa stretta non può sottrarsi ovviamente il teista, ma neppure il deista, perché anche il deismo è una chimera e «degenererà presto o tardi in una superstizione assurdaepericolosa».35 Nella sua opera del 1772 Il buon senso ovvero le idee naturali opposte alle idee sovrannaturali, evidentemente polemica fin dal titolo nei confronti dei credenti nel trascendente bollati appunto come «insensati», D’Holbach mostra di essere un estimatore del ragionamento logico presentando l’ateismo come una coerente conclusione rigorosa di una dimostrazione logica; conclusione che si contrappone lucidamente alle contraddizioni dei teologi e dei deisti alla Voltaire.36 Dopoaverinfattiribaditoche «tuttiglideihannoun’origine selvaggia», e «le religioni sono antichi relitti di ignoranza,disuperstizione,di ferocia», e dopo aver ulteriormente sostenuto l’assurditàdiognitentativodi provare l’esistenza di Dio, introducecondeterminazione lequestionidellateodiceaper argomentarecomesiaillogico da un lato proclamare l’onnipotenza e onnipresenza divina e dall’altro non identificare in Lui la causa del male. Lo fa ricorrendo a quella che in logica si presenta come una reductio adabsurdumodimostrazione perassurdo;eccolainsintesi: Dio è l’autore di tutto eppure ci assicurano che il male non proviene da Dio. Maciòèassurdo. Dunque, è da Dio che provieneilmale. Il buon senso intendeva tuttavia essere un libro divulgativo, tanto che un contemporaneo quale il letterato tedesco Friedrich Melchior von Grimm (17231807) lo interpretò come «l’ateismo messo alla portata delle cameriere e dei parrucchieri», quindi adatto «per l’edificazione dei giovani apprendisti atei».37 Non mancano perciò in esso le invettive contro l’uso politicodellacredenzaedelle istituzioni religiose, quasi antesignane del famoso «oppio dei popoli» di Karl Marx, del tipo: «I re, tiranni crudeliemaniaci,[…]nonsi servono della religione che perabbruttireancorpiùiloro schiavi, addormentarli incatenati e divorarli con facilità».38 Se si tiene conto anche delle altre sue pubblicazioni in cui attacca frontalmente la religione cristiana (es. I preti smascherati o le iniquità del clerocristiano;Esamecritico dellavitaedelleoperedisan Paolo; Storia critica di Gesù Cristooanalisiragionatadei Vangeli), il pensiero del nostro barone può essere descritto come un ateismo materialistico radicale, anticristiano e anticlericale, che non lascia trasparire alcun cedimento neppure verso il panteismo spinoziano, come avviene invece nella filosofia materialistica di L’uomo macchina (1748) del medico e filosofo Julien Offray La Mettrie.39 Sulle orme di Bayle, l’ateismo viene presentato come una concezione sociale e morale, ossia compatibile con una comunità organizzata in cui nessun individuo crede in Dio: «Una società di atei, governata da buone leggi, invitata alla virtù da ricompense, distolta dal crimine da castighi, sarebbe più virtuosa di quelle società religioseincuituttocospiraa tediare lo spirito e a corrompereilcuore».40 Sebbene il materialismo di D’Holbach sia talvolta – secondo un condivisibile giudizio di Sebastiano Timpanaro (1923-2000) – «effettivamente rozzo, o meglio frettoloso, o anche superficialmenteripetitivo»41, consegue tuttavia il suo principale obiettivo di proclamare la non esistenza di Dio per liberare l’uomo in tutte le sue potenzialità naturali. Nonostante il carattere prevalentemente antropologico dell’ateismo holbachiano, per i riferimenti alla teodicea e per i ripetuti richiami al potere oppressivo sostenuto dalla religione esso assume pure i contorni tipici dell’ateismo antiteodicetico e di quello socio-politico. Quello di D’Holbach è insomma un ateismo «a tuttotondo», un ateismo per tutti e rivolto a tutti, quasi fosse una nuova forma di evangelizzazione atea universale: non dunque «una Weltanschauung raffinata e riservataalleclassicolte»,ma un’idea in grado di «espandersi per tutta l’umanità, aspirare (senza coercizione) a quello stesso ecumenismo a cui aspira la religione».42 3.L’umanizzazionediDio Il fondatore unanimemente riconosciuto dell’ateismo antropologico moderno può essere facilmente individuato in un filosofo ottocentesco piuttostonotoaisuoitempi:il bavarese Ludwig Feuerbach (1804-1872). Come molti altri atei dell’800 e del ’900, Feuerbach ha alle sue spalle una formazione teologica e avrebbe potuto benissimo diventareunodeitantiteologi sostenitori dell’esistenza di Dio e dell’importanza eticosalvifica della religione cristiana. I suoi primi studi a Heidelberg sono infatti teologici, ma a seguito della scarsa capacità dei suoi docenti di fare breccia nella sua mente fervida e curiosa, decise ben presto di passare alla filosofia recandosi a studiare nella Berlino dominata allora dalla gigantesca figura di Hegel. Feuerbach nutrì subito una sortadivenerazionespirituale per il principale filosofo dell’idealismo tedesco e tuttavia la sua vivacità intellettuale e la sua ritrosia verso un modo di fare filosofia troppo schematico non tardarono ad alimentare in lui i dubbi e le considerazioni critiche, fino ad approdare a una esplicita contestazione del maestro e allacompletarotturaufficiale con il sistema filosofico hegeliano. Rottura però solo formale, perché in realtà la filosofiahegelianacontinuòa influenzare profondamente il suopensiero. La sua attenzione incomincia così a trasferirsi dalla centralità della ragione in senso hegeliano all’essere umano nella sua naturale concretezza; e difatti nel 1843, facendo un primo bilancio del suo percorso intellettuale, ricorda: «Dio fu il mio primo pensiero, la ragione il secondo, l’uomo il terzo e l’ultimo. Il soggetto delladivinitàèlaragione,ma il soggetto della ragione è l’uomo»43.Inquestosintetico «curriculum vitae filosofico» di un ateo antropologico – come lo interpreta con la consueta efficacia il marxista Plekhanov, ascrivendolo forzatamentetraimaterialisti –44 è evidente l’intenzione di descrivere il suo passaggio dal periodo degli studi teologici (Dio) a quello del razionalismo idealistico (la ragione hegeliana), per poi infineapprodareallafasepiù matura dell’antropologia filosofica (l’uomo). Nello stesso anno iniziava infatti l’illuminante scritto dal titolo Principi della filosofia dell’avvenire a questo modo: «Il compito dell’età moderna fu la realizzazione e l’umanizzazione di Dio: la trasformazione e la dissoluzione della teologia in antropologia».45 Nella sua essenzialità, si tratta di un’affermazionechepotrebbe benissimo essere assunta quale epigrafe dell’ateismo antropologico, perché esplicita chiaramente da un lato la riduzione o riconduzione del divino alla stessa natura umana, e dall’altro proclama la «scienzadiDio»(lateologia) risolta e contestualmente dissolta nella «scienza dell’uomo» (l’antropologia). Feuerbach non a caso la considerava la sua principale missione nell’attività di filosofo e di scrittore: «Lo scopodeimieilavorièdifare degli uomini non più dei teologi, ma degli antropologisti, di condurli dall’amore di Dio all’amore degli uomini, dalle speranze dell’aldilà allo studio delle cosediquaggiù»46. Lastrettainterdipendenza tra teologia e antropologia, per cui la prima non è altro che un travisamento della seconda, è per il filosofo tedesco la conseguenza del concretoprocessochestaalla base dell’origine della religione e della credenza nell’esistenza di una o più divinità. Attraverso la presa di coscienza di tale processo si scopre che Dio è semplicemente una creazione dell’essere umano, il quale proiettafuoridiséquelleche al contrario sono le caratteristiche fondamentali della sua struttura antropologica.Inaltritermini, l’ideadiDioèun’invenzione, un prodotto della nostra mente, ma non per questo risulta del tutto priva di contenuto, di consistenza nella realtà effettuale, perché l’immagine del divino non è altro che la rappresentazione della vera essenza umana. Il concetto di Dio, una volta spogliato degli elementi teologici, corrisponde alla nozionedell’uomostessoein questo appunto consiste la feurbachiana «umanizzazione di Dio» per cui «Homo hominideusest».47 Le chiare parole di Feuerbach non lasciano spazioadalcunacontroversia interpretativasulcaratteredel suo ateismo: «Certamente è una conseguenza della mia dottrina che non esiste Dio […];matalenegazioneèsolo la conseguenza dell’individuazione della realeessenzadiDio,delfatto di avere inteso che l’essenza divina non manifesta altro se non, da una parte, l’essenza della natura e, dall’altra, l’essenza dell’uomo»48. Piuttostoespliciteintalsenso sono proprio alcune parti del suo libro più celebre, L’essenza del cristianesimo (1841): «La coscienza che l’uomo ha di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé.Tuconoscil’uomodalsuo Dio e, reciprocamente, Dio dall’uomo; l’uno e l’altro si identificano. […] Il nostro compito è appunto mostrare cheladistinzionefraildivino el’umanoèillusoria,cioèche null’altro è se non la distinzione fra l’essenza dell’umanità e l’uomo individuo»49. Perciò è normale che il filosofo bavarese concluda che la questione dell’esistenza o della non esistenza di Dio è solo la questione dell’esistenza o della non esistenza dell’uomo, al punto che occorre smascherare come in realtà «le prove dell’esistenzadiDiomiranoa estrinsecare e separare dall’uomociòcheèall’uomo interiore» e quindi a mettere in evidenza come esse risultino in effetti «varie e quantomaiinteressantiforme di autoaffermazione dell’essereumano».50 Nella religione o nella teologiasipalesadunqueuna verità antropologica capovolta, che può essere ricollocata nella giusta posizione solo dall’antropologia. Nella concezione teologicoreligiosa del divino sono infatti racchiusi in forma sublime le nostre attese, le nostrebrame,inostribisogni, le nostre potenzialità; e se è vero che la massima aspirazione dell’uomo si sostanzia nell’essere eterno e senza limiti, allora non sorprende che l’essenza di Dio da noi stessi immaginata consista nell’onnipotenza e nell’infinitezza: «Nel sorgere di questo Dio non entrano in gioco anche i desideri dell’uomo? Non vuole forse l’uomoessereliberodailimiti della corporalità, essere onnisciente, onnipotente e onnipresente? Non è dunque questo Dio l’oggettivazione del desiderio dell’uomo di risultare uno spirito infinito?»51. In uno scritto successivo al suo capolavoro sull’essenza del cristianesimo, nel quale estendealfenomenoreligioso ingeneralelesueriflessionie per questo intitolato Essenza della religione (1846), Feuerbach prova addirittura ad andare oltre la riduzione dellateologiaall’antropologia filosofica, per approdare a unalettura«naturalistica»o– come lui stesso dice – «fisiologica» (dal greco φύσις, physis, «natura»): «La fede in un Dio è o la fede nella natura intesa come un’essenza umana, ovvero la fede nell’essenza umana intesa come l’essenza della natura»52. Alla fine il «sentimento di dipendenza dell’uomo»53, che sta alla base di ogni credenza religiosa, ha come oggetto reale il mondo naturale e pertantoleproprietàattribuite a Dio attraverso l’essenza umanasonogliattributistessi dellanatura. Proposizioni tanto nitide rendono superflua qualsiasi esigenza di ulteriori spiegazioni e non stupisce che il frasario feuerbachiano abbia suscitato l’entusiasmo dei giovani pensatori della «Sinistra hegeliana», per poi essere ripreso da tutto l’ateismoposteriore.Deltutto coerente è poi il fatto che Feuerbach finisca per vedere nella religione e nel concetto di Dio più un fenomeno di aberrazione psicologica che un atto di vera conoscenza: «In questo libro – egli scrive – le immagini della religione non vengono considerate né come pensieri […] né come dati di fatto, ma come immagini; la teologia, cioè, non viene trattata né come una mistica pragmatologia (come fa la mitologia cristiana), né come ontologia (come fa la filosofia speculativa della religione), ma come patologia psichica»54. In altre parole, secondo un’impostazione diventata ormai comune all’ateismo militante moderno,Diooildivinonon sononéintuizionimistichené concetti di entità realmente esistenti, bensì farneticazioni degne dell’attenzione di uno psichiatra. La colpa peggiore della teologia è perciò condensata dal filosofo bavarese nel termine hegeliano di «alienazione», ossia nella separazione dell’essere umano dalla proprianatura,finoarenderlo estraneo a se stesso: «L’essenza della teologia è l’essenza dell’uomo trascendente, proiettato fuori dall’uomo; […] la teologia scindeealienal’uomo»55. Stando al teologo HenriMariedeLubac(1896-1991), Feuerbach avrebbe «respinto il titolo di ateo», considerando piuttosto tale l’idolatra, il quale non credendo nella divinità dei valori finisce per «fissarli a un soggetto fittizio che poi prende a oggetto delle sue adorazioni».56 In effetti, il nostro filosofo non si è mai preoccupato di fare pubblica professione di ateismo in quanto lo considerava una categoria superata dal fatto che Dio altro non è che l’insieme degli attributi che fannograndel’essereumano, ècioèlospecchiocheriflette l’uomo medesimo. Ma se gli attributi della divinità altro non sono che gli attributi del genereumano,allorail«vero ateo[…]nonècoluichenega Dio,ilsoggetto,macoluiche nega gli attributi dell’essere divino»57,ossiachi«venerae si dedica interamente alla materia»58, perché così finisce per negare la stessa essenza umana. Allo stesso modo, il panteismo che non distingue Dio dall’essenza della natura e dell’uomo, che «fa della materia, che è la negazione di Dio, un predicato o un attributo di Dio, dell’essenza divina» e quindi«congiungeDioconla negazionediDio»,finisceper unire anche il teismo con l’ateismo. Ne consegue che «il panteismo è l’ateismo teologico, il materialismo teologico, la negazione della teologia, ma dallo stesso punto di vista della teologia».59 AncheseaFeuerbachnon piaceva essere considerato ateo nel vecchio significato del termine, che probabilmente pensava si addicesse di più in senso praticoaicristiani,nonsipuò tuttavia disconoscere che la sua filosofia apre la strada a un ateismo antropologico teoricamente fondato e sistematicamentecostruito,dà corpo razionale a quell’ateismo teorico modernoesplosopoiinforme diverse, come quella sociopolitica di Marx e quella psicologico-scientista di Freud. Come ha bene considerato Hans Küng, «per la prima volta compare nella storia dell’umanità un ateismo programmatico, ben meditato, assolutamente deciso» e che soprattutto «rappresenta una sfida permanente per ogni fede in Dio».60 Va dato infine merito a Ludwig Feuerbach del tentativoditrasformareilsuo ateismo antropologico in un umanesimo solidaristico, riassumibile nell’intento di convincere gli uomini a passare dall’amore per Dio all’amore per i propri simili. Si tratta tuttavia di un umanesimo che tende a sacrificare l’individuo alla collettività; e questo perché «l’uomo singolo, preso in sé, […] non ha in sé l’essenza dell’uomo. L’essenza dell’uomo è contenuta soltanto nella comunità, nell’unità dell’uomo con l’uomo»61. Ma proprio nella fallace identificazione dell’autentica personalità umana non nel singolo individuo, bensì nella specie, proprio in tale enfatizzazione dellavitacomunitariarispetto all’esistenza dell’uomo singolarmente inteso, possiamoscorgerel’elemento critico fondamentale dell’ateismo feuerbachiano e dell’ateismo antropologico in generale: il passaggio dall’umanizzazione di Dio alla divinizzazione dell’umanità. Poco oltre i passicitati,infatti,Feuerbach giunge a scrivere: «La solitudine è finitezza e limitatezza,lavitaincomune è libertà e infinità; […] l’uomo con l’uomo, cioè l’unitàdiioetu,èDio»62. Ci imbattiamo così in quella che è stata definita la «religione dell’uomo» di Feuerbach, che nei principi della sua filosofia equivale per l’essere umano a considerare sacra la propria natura, ad affermare, oggettivare, onorare, glorificarelapropriaessenza, perché «soltanto l’amore incondizionato e indiviso dell’uomo e per l’uomo»63 rappresenta l’autentico culto religioso. Ciò consente di porre tra il teismo, «che si basasullascissionetratestae cuore», e il panteismo, che punta a superare tale scissione rendendo immanente al mondo l’essenza divina, un antropoteismo che «supera la scissione senza scissione. L’antropoteismo è il cuore reso ragionevole […]. La religioneè[…]lanegazione, la dissoluzione di Dio nell’uomo».64 Un modo questodiintendereilrapporto Dio-uomo che finisce per contrapporre e ridurre l’uno all’altro, facendo prevalere infine il secondo. Siamo qui agli antipodi della visione cristiana, per la quale non si dà contrapposizione o riduzione tra Dio e gli uomini, bensì un’alleanza e una promessa dominate dall’amore, acciocché non si possa parlare del Creatore senza parlare della creatura e viceversa, pur restando entrambe due entità ben distinte. Cheilconfinetral’attodi «umanizzare il divino» e l’atto di «divinizzare l’essere umano» fosse assai labile lo si poteva comprendere fin dall’inizio della riflessione del filosofo bavarese; e che tale confine potesse essere in qualche caso valicato era ugualmente probabile, come danno conto affermazioni tanto marcate nella direzione di una evidente divinizzazionedell’uomo,per giunta con un’attribuzione di onnipotenza alla specie umana. Difatti l’antropoteismo feuerbachiano si trasforma infine inevitabilmente in una «religione autocosciente, la religione che comprende se stessa»65. 4.Lademitizzazione dell’uomo-Dio Mentre Ludwig Feuerbach appariva poco interessato alla storicità di Cristo e considerava il mistero dell’Incarnazione, ossia di Dio diventato uomo, come «la manifestazione dell’uomo divenuto Dio», come l’esternazione del fatto che l’essere umano «era già Dio stesso prima che Dio divenisse uomo»,66 nel periodo in cui egli risulta attivo si sviluppò invece una vivace indagine critica sulla figura storica di Gesù di Nazaret,condichiaratiintenti demitizzatori. L’obiettivo esplicitoeraquellodiscrivere una biografia di Gesù attraversounmetodocriticoo razionale, che consentisse di distinguere con sicurezza ciò che appartiene effettivamente alla Storia e ciò che invece è stato inventato o immaginato dai primi discepoli del Nazareno. Tra i protagonisti di questo movimento culturale troviamo David Friedrich Strauss(1808-1874),chepare sia stato il primo a utilizzare l’espressione «Sinistra hegeliana» riferendola a se stesso per rispondere alle polemiche di altri hegeliani riguardo al suo corposo saggio in due volumi del 1835, intitolato La vita di Gesù o esame critico della sua storia. Strauss insiste in maniera particolare sulla categoriadelmitoeindividua nei Vangeli delle opere essenzialmente mitologiche, perché ci restituiscono prevalentemente l’immagine mitica o leggendaria di Gesù e non quella reale. Egli non intendeva accusare gli evangelisti o i primi apostoli di essere dei deliberati falsificatori della verità storica, bensì semplicemente applicare ai testi neotestamentari la teoria hegeliana per cui dietro e oltre la religione stanno le verità filosofiche. Questo lo condusse a interpretare il contenuto degli scritti biblici come rappresentazioni mitologiche, al di sotto delle qualisidovevanorintracciare i presupposti dialettici di concetti autenticamente filosofici. Proprio interpretando hegelianamente l’idea dell’Uomo-Dio riferita aGesùCristo,eglipromuove una svolta da lui stesso definita «chiave dell’intera cristologia», in base alla qualenonpuòconcentrarsiin un unico individuo l’unione del divino e dell’umano, ma nell’umanità intera: «In un individuo concepito come Uomo-Dio le proprietà e le funzioni, che la dottrina ecclesiastica attribuisce a Cristo, si contraddicono; nell’idea del genere, invece, esse si armonizzano. L’umanità è l’unione delle duenature».67 Nel caso di David FriedrichStraussèdunquela cristologia a essere riconvertita in antropologia e quindi, alla stregua di Feuerbach, in una divinizzazionenondell’uomo singolarmente inteso, ma dell’intero genere umano. Con questi due pensatori e con altri della stessa Sinistra hegeliana come Bruno Bauer (1809-1882), che giunse addirittura a porre in discussione la reale esistenza storica di Gesù di Nazaret,68 ci imbattiamo nuovamente nella prima evidenza di quellocheèillogicoapprodo della negazione di Dio attraverso la via antropologica: si svuota il cielodeldivinoperinnalzarvi l’essereuomoedareformaa una nuova religione dell’umanità. Nella linea del rovesciamento della teologia nell’antropologia e della tendenza a umanizzare Dio possonoesserericondotteper certi versi le riflessioni di Nicolai Hartmann (1882- 1950) sulla metafisica teleologica, sebbene il suo pensierosiadistantedaquello feuerbachiano tanto temporalmente quanto strutturalmente. Egli si collocainfattinellatradizione fenomenologica e quindi dell’intenzionalità della coscienza, ma è inoltre attento alla natura aporetica sia della realtà sia del pensiero. Lo studio teorico delle aporie è secondo lui fondamentaleperoltrepassare la conoscenza ingenua delle cose e confrontarsi con i perenni e ineludibili interrogativi della metafisica, accettandone però i limiti epistemologici in quanto disciplina protesa verso un oggettochelatrascendeeche non riesce mai a dominare totalmente. Hartmann presenta la sua ricerca filosofica come un’ontologia critica e all’interno di essa si collocano appunto le considerazioni sul tema della teleologia, ossia sull’interpretazionefinalistica deifenomenidellanatura,ma anchedellastoriaedeivalori. Preso atto che sussiste una «seduzione alla falsificazione teleologica delle rappresentazioni del mondo», il nostro filosofo deducelogicamentechese«il processo cosmico è attività verso uno scopo, allora deve stargli nascosto dietro “qualcuno”» in grado di indirizzare o pianificare l’intero universo in direzione di un fine predeterminato; pertanto «la metafisica teleologica conduce inevitabilmente a Dio». Ma quella di un essere trascendente posto dietro il divenire del mondo è un’ipotesi collocata «al di là di ogni dimostrabilità», mentresesiosservabenecisi accorge che dietro a essa in realtà si cela l’immagine assolutizzata dello stesso essere umano: «Questo concetto teleologico di Dio, guardato più attentamente, è in tutto e per tutto il fedele ritratto dell’uomo, solo elevato all’assoluto. […] Anchecosìl’umanizzazioneè evidente». Alla fine ogni concezione teologica e finalistica del reale è una forma di antropologia e quindi di riduzione del trascendente all’umano, al punto che «ogni teleologia della natura, dell’essere e del mondo è necessariamente antropomorfismo». Ma un antropomorfismo filosofico puòfareamenodelconcetto stesso di Dio, sostituibile facilmente con una «ipostatizzazionediscopidel mondo postulati assiologicamente», cioè secondo un insieme di valori chesirivelanotuttiall’uomo. D’altronde, sul terreno dell’etica, un mondo che sia stato prodotto in base a un piano da una divinità o nel quale una divinità al di fuori dell’uomo disponga in qualche modo del futuro, l’uomo come essere morale, come persona, sarebbe totalmente annullato, non potrebbe più «mettersi in gara» e questo non è né accettabilenéammissibile.In definitiva, per salvare la libertà nell’agire dell’essere umano bisogna postulare l’infondatezza dell’esistenza diunDioprovvidente,dacui discende quello che è stato chiamato «ateismo postulatorio della responsabilità» umana. Bisogna in altri termini rifiutarequalsiasinozionedel divino,siaessaquellateistao quella panteista, perché sotto questo profilo «distinzioni altrimenti significative come quellatrateismoepanteismo sono assolutamente indifferenti»: entrambi sono negativiperl’etica.69 Ma tanto il tentativo di Feuerbach di restituire al genere umano un’essenza dotata delle stesse virtù assegnate a Dio (soprattutto infinitezza e amore sconfinato), quanto la demitizzazione filosofica e l’ateismo postulatorio hartmanniano naufragano al cospetto delle reali caratteristiche degli uomini concreti, che ci mostrano quotidianamente come gli individui della nostra specie siano in effetti limitati, imperfettinelleloropassioni, combattuti tra l’odio e l’amore per i propri simili e non certo sempre razionali nelle proprie azioni. Come non è sufficiente sostenere cheildivinoèunaproiezione della mente umana per dimostrare che non esiste, allo stesso modo non basta divinizzare l’essere umano perrenderlodavverosimilea Dio. In breve, per dirla con Kant, l’uomo è e resta un «legno storto», un coacervo di bene e di male dalla cui storia difficilmente può scaturire un esito totalmente positivo e paragonabile alla perfezione divina: «Da un legno storto, come quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente diritto».70 5.LamortediDio L’ateismo nichilistico rappresentaforselaformapiù radicale di rifiuto dell’esistenza di Dio ed è l’esito più maturo a cui approda l’ateismo antropologico in epoca contemporanea, dopo essere passato per il materialismo illuministico e l’umanizzazione di Dio degli allievi di Hegel. Esso vanta come indiscusso protagonista uno dei filosofi più grandi e controversi dell’800: Friedrich Nietzsche (18441900). Non è facile inquadrareinunoschemaoin unacorrentefilosofical’opera di questo pensatore tedesco, anzi probabilmente è impossibile; perciò non sorprendono i tanti equivoci, le tante differenti classificazioni e anche le strumentalizzazioni a cui sonoandatiincontrogliscritti nietzschiani, specie da parte delle diverse ideologie politichedel’900. Tutto dipende dal fatto che Nietzsche costituisce una sorta di crocevia della riflessionefilosofica,incuisi incontrano e si scontrano diverse tendenze quali: l’idealismo romantico, il pessimismo schopenhaueriano, l’irrazionalismo, l’evoluzionismo e la filosofia dell’esistenza. Al tempo stesso però egli si proponeva disuperareotrasmutaretuttii valori del pensiero occidentale, a iniziare da quelli della metafisica di origine platonica e della fede cristiana. In uno degli ultimi suoi scritti a chiara impronta autobiografica, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è (1888), il nostro filosofo dimostra di aver ben chiara l’inattualità o la «scomodità» della sua figura, nonché l’obiettiva difficoltà a intendere un messaggio dirompente come il suo e quindilafacilitàconcuiesso poteva essere frainteso o manipolato: Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme: una crisi, quale mai si era vista sulla Terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò chefinoraèstatocreduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite. […] La mia verità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula.71 Già dal tono profetico ed enfatico del linguaggio di Nietzsche si può intuire l’impatto devastante di un pensiero che nega in blocco tutte le visioni del mondo della tradizione occidentale, ma anche il motivo per cui a qualcuno fece comodo utilizzare la malattia mentale chelocolpìgravementenegli ultimi anni di vita per relegare la sua filosofia nell’ambito della follia. In realtà, come ha chiarito Karl Löwith, in quella che può apparire pazzia (ed effettivamente già lo è in alcuni brani degli ultimi scritti nietzschiani) è contenuta una stupefacente premonizione dei tragici destini dell’umanità che caratterizzeranno la prima metà del ’900 con i due terribili conflitti mondiali; infatti,«questo“EcceHomo”, che porta impresso il segno del destino europeo, può sembrare la megalomania di un demente, ma può apparire anche come una sapienza profetica, insieme follia e profondità»72. Ma il pensiero di Nietzsche, una volta trasformatosi in profezia, cessa di essere solo riflessionefilosoficaediventa «in largo senso politica»73, diventa cioè un impegno e una sollecitazione per gli uomini a prendere atto della fine di un’epoca, degli errori correntidellafilosofiaedella religione, nonché della crisi di tutti i sistemi di governo: «Il concetto di politica trapasserà allora completamente in quello di unaguerradeglispiriti,tuttii centri di potere della vecchia società salteranno in aria: sono tutti fondati sulla menzogna[…].Soloapartire da me ci sarà sulla Terra grandepolitica»74. Qual è dunque il messaggio di cui si sente portatore il filosofo tedesco? Possiamo riassumerlo in un appello ai valori vitali o «dionisiaci», in una vera e propria passione per la vita nella sua dimensione reale o terrena(anchesenegativa),in un ripudio di qualsiasi concezione illusoria del mondo, in una ripulsa della decadenzainiziatadaSocrate e riassunta prima nella filosofiaidealisticadiPlatone e poi nella morale ascetica e rinunciataria del cristianesimo. Il cristianesimo – scrive Nietzsche – fu fin dall’inizio, essenzialmente e fondamentalmente, nausea e sazietà che la vita ha della vita, nausea soltanto travestita, soltantonascosta,soltanto mascherataconlafedein un’altra o migliore vita. […] Contro la morale si volse dunque allora, con questolibroproblematico, il mio istinto, come un istinto che parla a favore della vita, e inventò una sistematica controvalutazione e controdottrina della vita, una valutazione puramente artistica, una valutazione anticristiana. Come chiamarla? […] La chiamai la valutazione «dionisiaca».75 Nonstaremoquiapassare in rassegna le disparate interpretazioni del pensiero nietzschiano prodotte dalla critica filosofica dalla morte del filosofo fino ai giorni nostri. Ci interessa invece di più che sia ben chiara la contrapposizione da un lato tra una morale e una concezione del mondo fondatesulrisentimentoverso lavitatipicodell’uomoinetto («Nellamoralelarivoltadegli schiavihainiziodaquandoil ressentiment [risentimento] diventaessostessocreatoree generavalori»)76; e dall’altro un’idea dell’esistenza umana tutta rivolta alla corporeità, a ciòcheèterrenocomeneiriti dionisiaci dell’antica Grecia. Taleèinfattil’appellorivolto all’umanità nel Così parlò Zarathustra (1885): «Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeliallaTerraenoncredete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitanoilveneficio»77. Non può allora mancare in Nietzsche una ferma presa didistanzadaciòchehareso maggiormente possibile in Occidente il distacco dalla vita terrena nella prospettiva diun’esistenzaultraterrena:la religione cristiana e la sua nozione del divino. «Il concettocristianodiDio[…] –affermailfilosofotedesco– èunodeipiùcorrotticoncetti di Dio che siano mai stati raggiuntisullaTerra[…].Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione».78 Questo rifiuto di ogni trascendenza, questa ferma opposizione contro la metafisica classica dell’Occidente che ha negato il significato reale della vita contenuto nel senso del tragico della civiltà greca presocratica, questa critica ferocemente anticristiana sono inspiegabili con il semplice ricorso al tradizionale ateismo, ma richiedono l’introduzione della più radicale categoria del «nichilismo». Come del restoricordalostessofilosofo tedesco, l’ateismo per lui «non è un risultato e tantomeno un avvenimento», infatti «come tale non lo riconosco; io lo intendo per istinto. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori».79 Egli perciò vuole andare oltre l’ateismo riflettendo sulle conseguenzenichilisticheche da esso discendono, sui risvolti filosofico-esistenziali e pratici dell’oggettiva e scontata«mortediDio». Che cosa si debba intendere col termine «nichilismo» ce lo spiega lo stesso Nietzsche nei frammenti di un’opera a cui stava lavorando allorché fu colto dalla pazzia e che posteriormente furono pubblicati, a cura dell’amico Peter Gast (1854-1918) e della sorella del filosofo Elisabeth Förster-Nietzsche (1846-1935), col titolo La volontà di potenza: «Il nichilismocomeconseguenza dell’interpretazionedelvalore sin qui accordato all’esistenza. Che cosa significa nichilismo? Significacheivalorisupremi sisvalutano.Mancaloscopo. Manca la risposta al: perché?». Il nichilista, dunque,ècoluicherispettoal senso della realtà, in particolare della vita umana, non ha risposte, non vede valori, è insomma sprofondato nel «nulla» (dal latino nihil): «Il nichilismo come condizione psicologica dovrà subentrare in primo luogo se avremo cercato un “senso” in tutto ciò che avviene, senso che non vi si trova: così che il cercatore finisceperperdersid’animo». Anchelecauseall’origine del trionfo del nichilismo sono per Nietzsche abbastanzachiare;essevanno ricercate nella filosofia razionalistica e nella decadente etica cristiana che, in quanto false, hanno finito appunto per annichilire il mondo reale, quello testimoniato dall’atteggiamento dionisiaco edalverbonietzschiano: Il nichilismo è davanti alla porta: donde ci viene questo che è il più inquietante fra tutti gli ospiti? […] In un’interpretazione perfettamentedeterminata [del mondo], in quella cristiano-morale, sta il nichilismo. […] «Tutto è privo di senso»: tratto buddhistico, l’aspirazione al nulla. […] La fede nelle categorie della ragione è la causa del nichilismo, noi abbiamo commisurato il valore del mondo a categorie che si riferiscono a un mondo fittizio.80 Si intravede in filigrana dietro queste parole del filosofo tedesco il pessimismo schopenhauerianoinfluenzato dallereligioniorientali,chein sensochiaramentenichilistico venne fatto proprio anche da EduardvonHartmann(18421906): un pensatore a lui contemporaneoperilqualeil non essere è preferibile all’essere,perchénonessereè laperfezioneeilmondodeve tendere quindi ad annichilarsi, come per altro è destino avvenga pure per il cristianesimo.81Manonbasta ancora, perché Nietzsche estende coerentemente gli esiti nichilistici a tutte le forme di sapere e a tutti gli atti concreti dell’uomo come la scienza, la politica, l’economia, la storia, l’arte e viadicendo.Ealverticee,al tempostesso,allefondamenta del nichilismo come fenomeno che nega qualsiasi senso alle cose, che svaluta ognivalore,nonpuòchestare la totale e definitiva negazione della fonte supremadeivalori,diciòche è stato pensato proprio per spiegare la realtà, per attribuire un significato all’essere;inunaparola,Dio. Aquestonichilismodisegno decisamente negativo che dice no a Dio e al trascendente, fa da contrappuntounnichilismodi segno positivo che per il nostro filosofo consiste nel dire sì alla realtà così come effettivamente è; un sì alla vita che si traduce nel «rimanere fedeli alla terra», come perorava in Zarathustra. È soltanto alla luce di questo duplice senso del nichilismonietzschianocheè possibile capire a fondo il celebre grido: «Dio è morto [Gottisttot]».Sussiste,come si è detto, una relazione di fondotral’affermazionedella «morte di Dio» (Tod Gottes) e il pensiero nichilistico così com’è stato sviluppato da Nietzsche. Due sono i testi principaliacuipossiamofare riferimento: uno in La gaia scienza (1882) e l’altro nel citatoCosìparlòZarathustra. Il primo testo è una narrazionepienadipathos: Avetesentitodiquelfolle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: «CercoDio!CercoDio!». E poiché là si trovavano molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «È forse perduto?» disse uno. […] Il folle uomo balzò in mezzoaloroelitrapassò conisuoisguardi:«Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! […] Dio è morto! Dio resta morto!».82 Nel secondo testo Zarathustra,scendendopresso gli uomini dal suo eremo sulla montagna per renderli partecipi della sua sapienza, incontra per primo nella foresta un vecchio solitario cheaffermadiamareDio,ma nongliesseriumani;eallora «quando fu solo così parlò Zarathustranelsuocuore:“È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta cheDioèmorto!”».83 Un’idea questa della morte di Dio e dell’umanità, che si scopre da Lui abbandonata, che si trovava in parte già nel Discorso del Cristo morto (1796) del romantico tedesco Jean Paul, pseudonimo di Johann Paul Friedrich Richter (17631825). Qui, all’interno di un discorso sulla negazione dell’esistenza di Dio e sulla «fede nell’ateismo», Jean Paul fa domandare a Cristo: «Non c’è Dio alcuno?»; e rispondere da Lui seccamente: «Non c’è. Ho attraversatoimondi,[…]Ma non c’è Dio alcuno». E agli uominichechiedonodelloro Padreceleste,Cristorisponde facendo intendere che ormai Dio è come fosse morto: «Siamo tutti orfani, io e voi, siamotuttisenzapadre».84 Tornando a Nietzsche, una volta annientato (assassinato) Dio e con lui tutti i valori della cultura umana, si para davanti al filosofo tedesco come a tutti noi un enorme vuoto, un gigantesco nulla, di fronte al qualesiponeilproblemadel «riempimento», della «trasvalutazione dei valori», che superi quello che lo stesso filosofo ha definito un «nichilismo passivo» per approdare a un «nichilismo attivo».85Lasoluzione,lavia di uscita dal nichilismo passivo, Nietzsche sembra trovarlaa«6000piedialdilà dell’uomo e del tempo», mentre cammina nei boschi presso il lago di Silvaplana nell’Alta Engadina (Svizzera); e gli pare come un’illuminazione, un avvenimento del destino pregnodiconseguenzepersé e per tutta l’umanità. Per annunciarealmondointerola sua scoperta sceglie ancora una volta la figura miticoreligiosa del persiano Zarathustra, ossia del fondatore dello zoroastrismo eportatorediunarivelazione divina. Ma questa scoperta, questa illuminazione altro non è che la dottrina dell’eternoritorno,secondola quale tutto si ripropone incessantemente allo stesso modo. Parafrasando un versetto del vangelo di MatteodovePietroeffettuala sua professione di fede in Gesù(Mt16,15-16),ilnostro filosofo scrive infatti: «Giacché le tue bestie, Zarathustra,sannobenechitu seiechidevidiventare:ecco, tu sei il maestro dell’eterno ritorno, questo ormai è il tuo destino! […] Vedi, noi sappiamo ciò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornanoenoiconesse,eche noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi»86. L’accogliere questa verità equivale a ciò che abbiamo chiamato un sì alla vitacosìcomerealmenteè,a fare proprio lo spirito dionisiaco con cui si accetta senza infingimenti e senza riserve il mondo nella sua immanente realtà, anche negativa. Lo struttura della riflessione nietzschiana adesso ci appare chiara e per sintetizzarla ricorriamo nuovamente alle parole di Karl Löwith: «Il pensiero vero e proprio di Nietzsche consiste in un sistema al cui principio sta la morte di Dio [Tod Gottes], nel mezzo il nichilismo che da quella deriva, e alla fine l’autosuperamento del nichilismo verso l’eterno ritorno»87. Si parte dunque dalla proclamazione della morte di Dio, inteso come il Dio ideale cristiano, per esaltarelafinedituttiivalori tradizionali e la loro trasvalutazione nella profezia dell’eterno ritorno, laddove l’attenzione è solo per l’immanente, per il «terrestre». La presa di coscienza della morte di Dio rappresenta così uno stadio ulteriore e positivo rispetto all’ateismo storico anticristiano; qualcosa che Nietzschesembraconsiderare ormaiconclamatoerealizzato in un «ateismo scientifico»: «Il tramonto della fede nel Dio cristiano, la vittoria dell’ateismo scientifico, è un avvenimento totalmente europeoalqualetuttelestirpi devono avere il loro contributo di merito e di onore».88 Di fronte alla morte di Dio e all’esclusione dell’idea cristianadeldivinosegueora l’introduzionediunaltronoto e spesso frainteso tema nietzschiano: quello del «superuomo» o, se si preferisce, dell’«oltreuomo»89. Il superuomo è colui che «va oltre» l’umanità precedente alla venuta di ZarathustraNietzsche, colui che risulta dotato di spirito libero e attaccamento alla vita e alla terra, che non ha bisogno di alcun Dio perché egli stesso, nell’eterno ritorno dell’uguale, ha preso il posto degli dei: «Zarathustra parlò cosìallafolla:Ioviinsegnoil superuomo [Übermensch]. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. […] Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: siailsuperuomoilsensodella terra!».90L’uomosuperioreè colui che ha preso atto della morte di Dio e di conseguenza non riconosce più l’uguaglianza davanti a un ente trascendente come imponevalamoralecristiana; noncisonoperciòpiùvincoli al pieno realizzarsi dell’oltreuomo: «Uomini superiori, questo Dio era il vostropiùgravepericolo.Da quandogiacenellatomba,voi siete veramente risorti. Solo ora verrà il grande meriggio, solo ora l’uomo superiore diverrà:padrone!».91 Benché il modo di essere ateo di Nietzsche sia molto originale, non sfugge tuttavia al processo tipico dell’ateismo antropologico chepuntaasostituireDiooil trascendente con l’uomo, sia pure in questo caso nella forma dell’Oltreuomo. Come abbiamo accennato in precedenza, il carattere postulatorio dell’ateismo nietzschiano era già evidente per Max Scheler, che lo individuava soprattutto in questa argomentazione: «Se vi fossero degli dei, come potrei sopportare di non essere dio! Dunque, non vi sonodei»,doveèimplicitala seconda premessa «Non potrei sopportare di non esseredio».92 Il ragionamento di Nietzsche,sebbenepresentato in modo formalmente non inappuntabile, serve benissimo a dimostrare come il filosofo tedesco postuli la non esistenza di una o più divinità per esaltare al massimo grado l’essere umano, che secondo lui non dovrebbe mai accettare di risultare inferiore a nessun altro ente, Dio incluso. Sono per altro tantissime le lapidarie affermazioni messe in bocca a Zarathustra nelle quali l’uomo si sostituisce al divino, come questa: «Basta con un dio così! Meglio nessun dio […]. Meglio esserenoistessidio!».Enon a caso, la figura del vecchio ultimo papa con cui sta interloquendo Zarathustra così risponde: «Che sento mai! […] O Zarathustra, sei più devoto di quanto tu non creda con questa tua miscredenza! Un qualche dio dentro di te ti convertì all’ateismo»93. È quindi del tuttocomprensibilechecisia chi tra gli studiosi del pensiero nietzschiano abbia colto come «non solo Nietzsche parli del sacro, del divino, ma che addirittura il suo stesso filosofare può essere considerato come sacrale». In altre parole, alla base del suo modo di essere anti-metafisico si coglie una «nuova metafisica che può definirsi come metafisica tragica».94 Il tentativo di Friedrich Nietzsche,inultimaanalisi,è rivolto a unificare la volontà umana con la dimensione necessaria del cosmo e per giungere a tanto deve eliminare l’ostacolo più grande che si frappone alla realizzazione del suo progetto,ossiaall’avventodel superuomo.Questoostacoloè il Dio trascendente e solo allorché il volere e l’essere saranno unificati nel superuomo, sarà eliminata l’idea stessa della trascendenza.Maèfacilequi osservare che questo superuomo od oltreuomo nella realtà non esiste e non potrà mai esistere, mentre esistono gli individui umani reali, ben diversi dagli «uomini superiori» di Zarathustra. La filosofia nietzschiana e il suo umanesimo ateo riescono perciò soltanto nell’impresa nichilistica di dissolvere l’essere umano senza sostituirlo con alcunché, condannandocosìl’umanitàa una nullificante assenza di valori e di senso: «Non c’è piùuomo,perchénonc’èpiù nulla che trascenda l’uomo»95. 6.Tuttoèpermesso Nel pensiero contemporaneo,inparticolare in quello dell’immediato secondodopoguerra,unruolo importante è stato senza dubbio rivestito dall’esistenzialismo ateo, perché ha contribuito più di altre concezioni filosofiche a dare consistenza al repertorio fondamentale delle tesi dell’ateismo del XX secolo, diventando per un certo tempo pure un’influente moda culturale. Prenderemo quiprevalentementeinesame alcuni protagonisti dell’esistenzialismo che fecerodellanegazionediDio un elemento importante della loro riflessione e dei loro scritti. Per due filosofi come Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty,inparticolare, l’ateismo non è un punto di approdo bensì un basilare punto di partenza. Rinviamo invece la trattazione di un altro pensatore esistenzialista ateo, Albert Camus, al capitolo in cui affronteremo l’ateismo prometeico e la rivolta contro il male nel mondo.96 L’ateismo di Jean-Paul Sartre(1905-1980)affondale sue origini addirittura nell’infanziadelfilosofoedè luistessoaraccontarcelocon espressioni molto significative: La mia inclinazione a elevarmi al di sopra dei beni di questo mondo era forte proprio perché non ne possedevo nessuno […].Erocredente,dicevo tutti i giorni la preghiera […]. Un giorno, consegnaiall’istruttore[di religionecheeraunprete] una composizione in francese sulla Passione […]. Ottenne solo la medaglia d’argento [cioè il secondo posto]. Questa delusione mi sprofondò nell’empietà. […] Ho appena raccontato la storia di una vocazione mancata: avevo bisogno di Dio, mi fu dato, lo ricevetti senza capire che lo cercavo. Non potendo attecchire nel mio cuore, Egli ha vegetato in me, poièmorto.97 Se non si tratta di una delle sue tante boutade, da questo resoconto di una «vocazione mancata» apprendiamo che Sartre, uno degli atei più agguerriti di tutti i tempi, avrebbe potuto benissimo diventare un fervente credente se soltanto alcune circostanze della sua vita infantile tutto sommato banali,comeilmancatopieno successo in un concorso poeticoperragazzi,sifossero svolte diversamente. Ciò per altrodimostraquantoabbiano inciso sulle sue scelte filosoficheleesperienzedella «vita vissuta» e quanto in generale esse risultino determinanti per ogni uomo all’atto della formazione del suo atteggiamento nei confronti dell’esistenza di Dioedellafedereligiosa.La testimonianza del filosofo franceseinducetuttaviaanche a un’altra considerazione. Dopo Feuerbach, ma il discorsopuòforsevalerepure per il giovane Marx e per Nietzsche, ci imbattiamo nuovamente in un ateo che prima di diventare tale è andato vicinissimo a compiere una scelta religiosa radicale,aessereuncredente fino al midollo, forsanche fino al misticismo. Senza addentrarci in complesse analisi psicologiche, ciò che ci sentiamo ragionevolmente di sostenere è che, a differenza dell’ateismo pratico, l’ateo teorico non è mai indifferente alla questione dell’esistenza di Dio; e per quanto la neghi risolutamente, il problema della presenza di un Essere trascendente sorgente di significato per la vita umana l’hatoccatoel’hainteressato profondamente. Guai dunque a confondere l’ateismo speculativoconl’indifferenza inmateriareligiosa:sonodue fenomeni molto differenti, specie dal punto di vista del valore e della dignità intellettuale. Che l’ateismo sia un elemento fondante dell’esistenzialismo sartriano sinotachiaramenteallorchéil filosofo francese distingue i pensatoriesistenzialistiindue categorie:quellichesidicono cristiani o credono in Dio e quelli che invece si proclamano atei. Tra i primi egli colloca Karl Jaspers (1883-1969)eGabrielMarcel (1889-1973), mentre tra i secondi inserisce Martin Heideggeresestesso.Ledue forme di esistenzialismo avrebbero in comune il principio secondo cui «l’esistenzaprecedel’essenza o, se volete, che bisogna partire dalla soggettività»98, ma poi si differenzierebbero sul modo di giustificare o fondaretaleprincipio,ovvero sul fatto se esso sia o meno compatibileconl’esistenzadi Dio. Certamente quello di Sartreèunateismopresentato «comeunatesiesplicitamente morale e non con argomenti gnoseologici», perché viene presuppostocomecondizione senza la quale «non potrebbe darsi un’esperienza [umana] piena, e cioè non evasiva dellalibertàdiscelta».99 Nel saggio del 1945 dal titolo L’esistenzialismo è un umanismo, il filosofo francesedàilmegliodiséper argomentarelostrettolegame di necessità razionale che unisce la negazione di Dio con l’affermazione della piena libertà umana; e lo fa con una verve, con una capacità di persuasione che ancora oggi colpiscono e affascinano il lettore. Il suo ragionamento procede innanzituttodallaspiegazione di che cosa significa sostenere che per l’uomo l’esistenza precede l’essenza. Secondo un modo di intendere di una certa tradizione del pensiero metafisico gli elementi primaridiunoggetto,ossiale caratteristiche che fanno di una cosa quella cosa (per esempio l’uomo è un «animale pensante»), e che poi sono riassunti nel concetto o nella definizione della cosa medesima, costituiscono l’essenza dell’oggetto e in quanto tali devono venire considerati a essopreesistenti.Nelcasodel singolo essere umano per esempio, la natura di «animale razionale» precederebbelasuaesistenza, dalmomentochetalenaturao essenza già caratterizza tutta la specie umana ancor prima che il singolo uomo compaia sulla Terra. Come spiega lo stesso Jean-Paul Sartre riferendosi a questa impostazione filosofica, «l’uomo possiede una natura umana: questa natura, cioè il concetto di uomo, si trova presso tutti gli uomini, il che significacheogniuomoèun esempio particolare di un concetto universale: l’uomo. […]Cosìl’essenzadell’uomo precede quell’esistenza storica che incontriamo in natura».100 Orbene, per certi sistemi filosofici il concetto o l’essenza di tutte le cose esiste addirittura prima della stessa creazione del mondo e di solito si trova nella mente del creatore, a meno che non si teorizzi addirittura l’esistenza di un «altro mondo» fatto solo di pure idee, così come riteneva Platone. Sartre si concentra peròsoprattuttosulladottrina più diffusa in Occidente, ossia quella cristiana che chiama in causa un Creatore intelligente, e afferma: «Dio, quando crea, sa con precisionechecosacrea.[…] Diocreal’uomoispirandosia una determinata concezione [un’ideagiàinsuopossesso]. In tal modo l’uomo individuale incarna un certo concetto che è nell’intelletto di Dio». Ma secondo l’esistenzialismo ateo questa concezione filosofica presenta il grave difetto di limitare fortemente l’autonomiaelaprogettualità umana, di fare del soggettouomo un individuo non totalmenteliberoequindinon molto dissimile da un qualsiasi altro ente del mondo. Quindi il filosofo francese si domanda retoricamente: «L’uomo ha una dignità più grande che nonlapietraoiltavolo?».101 Un essere umano totalmente determinato come una pietra o un tavolo risulterebbe fortemente condizionato dalla sua essenza, che ne stabilisce a priori la natura e gli impedisce di essere «un progetto che vive se stesso soggettivamente» e liberamente, come vorrebbe precisamente la filosofia esistenzialistaeprimadiessa la tradizione umanistica. A questo punto però, la via di uscita razionale da questa concezione metafisica dell’essere umano che ne compromette la piena libertà eladignitàèunasoltanto:la negazione assoluta dell’esistenza di Dio. Scrive infattiSartre: L’esistenzialismo ateo, che io rappresento è più coerente. Se Dio non esiste, esso afferma, c’è almeno un essere in cui l’esistenza precede l’essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: quest’essere è l’uomo. […] L’uomo innanzitutto esiste, si trova,sorgenelmondo,e sidefiniscedopo.L’uomo nonèdefinibileinquanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così non c’è una natura umana,poichénonc’èun Diochelaconcepisca.102 D’altronde Sartre ritiene inconcepibile l’idea dell’Esseredivinopuredaun punto di vista strettamente speculativo,ovveropiùlegato a una riflessione critica sull’«ontologia fenomenologica»(comeluila chiama),perchélanozionedi Dio quale causa di se stesso finisce per essere riassorbita dalla contingenza: «L’atto di causalità per cui Dio è causa sui, è un atto annullatore comeogniattodiriconquista disédapartedisestessi[…]; laprimarelazionedinecessità è un ritorno a sé. E questa manifestazione originaria, si manifesta sul fondamento di unesserecontingente.[…]In una parola, se Dio esiste, è contingente»103. La prosa del filosofo francese è artatamente involuta, ma in sostanza ci dice che il concetto di Dio della metafisica occidentale, in particolare quello di derivazione cartesiana, è autocontraddittorioperchénel tentativo di riacquisire se stessosiannichiladasolo:nel linguaggio sartriano assume contestualmente la forma «dell’in-sé [gli oggetti del mondo] e del per-sé [la coscienza]»104, che sono caratteristiche tra loro incompatibili. Insomma, una sintesi ideale della natura e dell’essere umano in Dio è impossibile: «È come se il mondo,l’uomoel’uomo-nelmondo non giungessero a realizzare che un Dio mancato.[…]»105. Ci ritroviamo così di nuovo nel bel mezzo del meccanismo classico e ormai a noi ben noto dell’ateismo antropologico: quello che fa della negazione del divino la premessa o precondizione dell’affermazione dell’essere umano, fino al punto di equiparareoinnalzarel’uomo stesso alla funzione o all’essenza di Dio. La più marcata differenza dell’esistenzialismo sartriano nei confronti del pensiero di Feuerbach e Nietzsche consiste nel privilegio accordato al soggetto-uomo rispetto al genere o alla comunità umana, l’individuo come progetto di se stesso, come «ciò che ha coscienza di progettarsi verso l’avvenire»106. Tuttavia resta anche qui evidente la rappresentazione di un essere umanoprotesoaeguagliareil trascendente e in tal senso alcune affermazioni di JeanPaul Sartre sono illuminanti: «Ciò che rende meglio concepibile il progetto fondamentale della realtà umana, è che l’uomo è l’esserecheprogettadiessere Dio […], valore e scopo supremo della trascendenza a partiredalqualel’uomosifa annunciare ciò che è. […] Essereuomosignificatendere a essere Dio; o, se si preferisce, l’uomo è fondamentalmente desiderio diessereDio»107. Dalpuntodivistapratico per il filosofo francese, una volta eliminato o superato Dio quale «ipotesi inutile e costosa»108, ogni singolo individuo umano diventa pienamente artefice di se stesso, può fare di sé ciò che vuole, perché non è più determinato da nessuna essenza o natura prestabilita: «L’uomo non è altro che ciò chesifa.Questoèilprincipio primo dell’esistenzialismo. Ed è anche quello che si chiama la soggettività»109. L’eliminazione di Dio però presenta anche altri risvolti, non del tutto gradevoli per l’uomo; comporta un alto prezzodapagare,alcontrario di quanto immagina «una certa morale laica che vorrebbe togliere di mezzo Dio con la minima spesa». E le conseguenze maggiormente rilevanti si palesano proprio nel campo dell’etica, dove vengono a mancare i valori assoluti garantiti dalla presenza di Dio,enelcampoesistenziale dove la responsabilità della scelta, che ora ricade completamente su ogni singolo individuo, provoca spesso uno «stato di abbandono», a cui sono compagne l’angoscia e la disperazione. Sartre qui è ancora una volta molto esplicito: «Dostoevskij ha scritto: “Se Dio non esiste tutto è permesso”. Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l’uomo è abbandonato perché non trova,néinsénéfuoridisé, possibilità di ancorarsi. […] Siamo soli, senza scuse. L’uomo è condannato a esserelibero»110. Non c’è alcun dubbio: siamo al cospetto di una visione molto impegnativa dellavita.Tuttaviailfilosofo francese ha buon gioco nell’affermare che almeno si tratta di una visione disincantata: «Non c’è bisogno di sperare per agire […]saròsenzaillusioni,farò quello che posso»111. E comunque a suo giudizio è l’unicacapacediassecondare unaesistenzaumanalibera:la solitudine e la piena responsabilità diventano così il prezzo (altissimo) di una libertàassoluta. Molti anni dopo, quando era ormai piuttosto avanti negli anni, Jean-Paul Sartre ammise di aver talvolta scritto per mera provocazione,perilsemplice piacere di polemizzare, di pubblicare opere originali e adatte a stabilire una moda: sembra per esempio che ciò accadde per il suo poderoso saggioL’essereeilnulla,nel quale tra l’altro si trova la famosa frase divenuta un mantra dell’esistenzialismo: «L’uomo è una passione inutile»112. Questo tuttavia non ci pare sia avvenuto con il suo ateismo, con la negazione di Dio che considerava antropologicamente il postulato imprescindibile dell’autoprogettualità di ogni singolo individuo umano. Da quanto ci ha infatti lui stesso raccontato,selasuasceltadi dirsiateomaturaall’etàdi12 anni una mattina a La Rochelle, mentre aspettando dei compagni di scuola in ritardo,perdistrarsidecidedi pensare all’Onnipotente e conclude con uno stupore di cortesia«nonesisteecredette risolto il problema»113, ancora settantenne (morì quando mancava poco ai 75 anni) continuava a «scommetteresull’uomo,non su Dio»114. Tutto ciò però senza ormai nascondere qualche delusione nei confrontidegliesseriumanie riconoscendo che non vi è nulla di meno sicuro del futuro di un’umanità abbandonataasestessa. 7.Unaquestionesenza importanza Comesièvisto,Jean-Paul Sartre ha classificato tra gli esistenzialisti atei oltre a se stesso anche il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), vale a dire uno dei pensatori più influenti di tutto il ’900. Benché dell’ultimo Heidegger sia spesso citata l’affermazione fin troppo celebre «Ormai solo un Dio ci può salvare»115, rimane difficile esprimere un giudizio definitivo sulla sua personale posizione nei confronti della noncredenza.Ècertochenel pensiero heideggeriano maturo Dio appare come un concettononsignificativonel percorso di ricerca del senso dell’essere, specie se paragonato alla centralità del Dasein (l’«esserci» ovvero l’uomo); dunque è speculativamente ininfluente. Riflettendo su Friedrich Hölderlin (1770-1843) e sui «poeti nel tempo della povertà», Heidegger ha individuato proprio nell’indifferenza la conseguenza filosofica e pratica dell’assenza di Dio nell’epoca contemporanea, ossia di quella che il poeta tedescochiamava«lafinedel giorno degli Dei» e che ha prodotto una «mancanza di Dio che non nega la persistenza di un atteggiamento cristiano» versoildivino,quindidiuna fede religiosa da parte dei singoli e delle Chiese, ma piuttosto fa spegnere «lo splendore di Dio nella Storia universale» e fa «venir meno al mondo ogni fondamento chefondi»116. Il filosofo tedesco non pare però volersi adagiare sugli esiti ateistici dell’indifferenza religiosa e nella Lettera sull’«umanismo» rifiuta l’esegesi atea della sua filosofia: Con la determinazione esistenziale dell’essenza dell’uomo, nulla è ancora deciso circa l’«esserci di Dio» o il suo «nonessere» e così pure sulla possibilità o l’impossibilità degli dei. Perciò non solo è affrettato, ma è già sbagliato come modo di procedere affermare che sia ateismo l’interpretazione dell’essenza dell’uomo che parte dal riferimento di questa essenza alla veritàdell’essere.117 Tuttavia, poco oltre nello stesso scritto, Heidegger ci dice anche che dal punto di vista teoretico nei confronti del problema di Dio come di altri analoghi è necessario «un rispetto dei limiti che sono posti al pensiero come tale»; e un pensiero siffatto, ossia«cherimandaallaverità dell’esserecomeciòcheèda pensare, non intende affatto aver deciso per il teismo». Dettoinbreve,perHeidegger unpensierocomeilsuo«non puòessereteistapiùdiquanto non possa essere ateo»118; perciò la questione dell’esistenzadiDionellasua filosofia, come per altro in quelladimoltipensatoriatei, sembra evaporare nel nulla: «In principio non è il caos o l’essere o l’idea o l’uno o Dio, ma in principio è il Nulla»119. A cavallo tra fenomenologiahusserlianaed esistenzialismo positivo si colloca un altro pensatore francese che pone al centro della sua riflessione la relazione tra uomo e mondo, maancheinsiemelareciproca trascendenza: Maurice Merleau-Ponty (1908-1961). Prima amico e poi critico di Jean-Paul Sartre, come quest’ultimo ritiene scontata l’impossibilità di credere in Dio perché non serve e non ha senso pensare l’assoluto e fondare qualcosa su di esso. Alla fin fine gli individui umani devono contare soltanto su se stessi; infatti, «che ci sia o no un pensiero assoluto e, in ogni problema pratico, una valutazione assoluta, per giudicare dispongosolodiopinionimie che, per quanto severamente le discuta, restano capaci di errori. […] Quando non è inutile, il ricorso a un fondamento assoluto distrugge proprio quel che deve fondare». Tra l’altro il meta-empirico non è una conoscenza sicura e allorché collochiamo «fuori dell’esperienza progressiva il fondamento della verità o della moralità», come si fa appuntoconl’ideadiDio,«lo travestiamo in certezze assolute, e allora lasciamo il verificabileperlaverità,ossia la preda per l’ombra». In breve «la coscienza metafisica e morale muore a contattoconl’assolutoperché è proprio lei, al di là del mondo piatto della coscienza abituata e addormentata, la viva connessione di me con meedimeconaltri»120. Nel criticare il pensiero metafisico Merleau-Ponty giunge perfino a rivalutare il cristianesimo, ma non certo perlasuateologiadogmatica e non sicuramente per la sua scuola filosofica tomista (difatti per lui il tomismo «è ben lungi da essere la sola tradizione cristiana»), ma per il rifiuto del Dio dei filosofi quando si presenta come «religione della morte di Dio», quando si impegna ad «annunciare un Dio che assume la condizione umana», diventando parte della cultura non già come «un dogma e neppure come credenza, bensì come grido»121. Qui il suo umanismo non è distante da quello degli altri esistenzialisti: dell’uomo vede la condizione tragica e nello stesso tempo la sua apertura ontologica alla libertà. E anche qualora la libertà per l’individuo consistesse,comepretendono i tomisti, «nel realizzare la suanaturaprestabilitaelasua forma, si è pur costretti ad ammettere che tale realizzazione è nell’uomo facoltativa, che dipende da lui, e a introdurre così una seconda libertà, radicale svolta,checonsistenelpotere assoluto di dire sì o no».122 Ma se Dio esiste, allora «la perfezione è già realizzata al di qua del mondo» e per gli esseri umani «non rimane letteralmente niente da fare», perché al cospetto di questo «sguardo infinito» l’uomo è «senza segreto, ma anche senza libertà, senza avvenire».123 In un celebre saggio del 1953 intitolato Elogio della filosofiailfilosofofrancesesi preoccupa di porre in discussione due assoluti filosofici:DioelaStoria.Per il primo dei due assoluti si sofferma sul modo con cui due pensatori cristiani come De Lubac e Maritain affrontano l’ateismo contemporaneo e conclude che tendono a giudicarlo «come se ogni filosofia, quando non sia teologica, si riducesse alla negazione di Dio». Maritain in particolare parladell’ateismocomediun «attodifedeallarovescia»,di «anti-teismo»,diuna«sfidaa Dio», ma non si rende conto che «essendo teologia alla rovescia, non è una filosofia; […] sicché si riduce tutto a una polemica fra teismo e antropoteismo, i quali si rimandano l’un l’altro l’accusa risentita di alienazione». La filosofia invece non dovrebbe essere chiamata a scegliere tra una visione teologica della realtà ela«misticadelsuperuomo», anzi dovrebbe evitare tanto «l’umanismo prometeico quanto le affermazioni rivali della teologia», perché essa «non sostiene che sia possibile un superamento finale delle contraddizioni umane, né che l’uomo totale ci attende nel futuro: come tutti,nonnesanulla»124. Su queste basi MerleauPonty rifiuta di definire la filosofiaunumanismo,«sesi intende per uomo un principio esplicativo che si tratterebbe di sostituire ad altri principi. Non si spiega nullaconl’uomo,poichéesso non è una forza, ma una debolezza nel cuore dell’essere»125. Qui la polemica è ancora con la teologia,che«nonconstatala contingenza dell’essere umanosenonperderivarlada un Essere necessario vale a dire per disfarsene», ma anche con Jean-Paul Sartre e soprattutto con Martin Heidegger perché esaltano entrambi oltre misura il Dasein (l’«esserci»), ossia l’uomo come ente «privilegiato» o comunque uniconelcontestodellarealtà mondana. Quindi ha torto il teologo Henri-Marie de Lubac quando si scaglia contro l’ateismo filosofico contemporaneo perché, a suo modo di vedere, vorrebbe sopprimere perfino il problema del senso dell’essere e della nostra esistenza che aveva fatto nascere Dio nella nostra coscienza. In realtà per MerleauPonty il vero filosofo non sopprime il problema del significato delle cose e in particolare della vita umana, caso mai lo radicalizza, poiché «lo pone al di sopra delle “soluzioni” che lo soffocano», oltre tanto all’idea di un Essere necessario quanto a quella della materia eterna oppure a quella dell’«uomo totale». Egli vede piuttosto una sorta di contingenza continua, un continuo «sorgere dei fenomeni in ogni stadio del mondo», per cui il mondo costantemente ricomincia e «noi non dobbiamo giudicare ilsuofuturoinbaseaciòche è stato il suo passato». È evidente che con questa impostazione, che definiremmo«contingentista» o comunque da pensiero debole ante litteram («Il nostropensieroèunpensiero in ritirata o in ripiegamento» dice Merleau-Ponty), non c’è spazio per nessun assoluto, quindi tantomeno per un Essere trascendente; anzi nel buonfilosofarenoncisideve preoccupare di questo concetto, «non si deve affermare Dio e neppure negarlo»,epertanto«silascia da parte la vera filosofia quando la si definisce come ateismo».Insomma,MerleauPontyètalmenteoltreleidee di divino, di sacro e di assolutocheperluil’ateismo diventa una questione senza sensoesenzavalore,anchese è cosciente che una filosofia come la sua «sarà sempre esposta a questo tipo di rimprovero»,126ossiaaessere considerataatea. Sembrerebbe a questo puntocheilfilosofofrancese faccia eccezione rispetto al processo di inversione dell’ateismo antropologico che finisce per sostituire l’uomo a Dio; e in effetti risulta più marcata che in Sartre la comprensione dei limiti della progettualità esistenziale di ciascun individuo. Sebbene infatti pure per lui l’esistenza è liberaesiattuasottoilsegno della possibilità, in quanto può sempre modificare il proprio punto di partenza inserendolo in un progetto fondato su un atto di riappropriazionedellapropria vita, il significato autentico dell’essenza umana si manifesta solo nel suo essere nel mondo. Ma tale costitutivo radicamento nel mondo opacizza il senso dell’esistenza e rende la libertà umana non incondizionata, non assoluta, ma limitata nel raggio della sua autonomia. Anche all’essere umano si estende così il carattere precario e contingente del mondo, per cui il senso non può mai sovrastare definitivamente il non senso. Del resto, nelle analisi delle percezioni umane in ambito fenomenologico il nostro pensatore arriva a concludere che il modo di essere dell’uomo è ambiguo, intendendoconciòchenonè nésoggettivonéoggettivo.127 Tuttavia, nonostante il maggiorsensodellimiteedei condizionamenti a cui sono sottoposte le potenzialità o i progettiesistenzialidiciascun individuo, Merleau-Ponty rischia paradossalmente di farepropriodellacontingenza della condizione umana un nuovo assoluto. Infatti la sua filosofia, benché non ponga «la sua speranza in alcun destinoanchesefavorevole», la pone invece «in ciò che in noi non è destino, nella contingenza della nostra storia». Come pressoché tutti coloro che cercano di negare l’esistenza di principi assoluti, il filosofo francese intuisce di non riuscire a esorcizzare il problema di trovareunfondamentostabile alla sua speculazione filosoficaefiniscecosìanche lui per attribuire all’essere umanounruolosuperiorealla sua natura. L’uomo, sebbene descritto come contingente e quindi non risulti certamente un fattore cosmologico, diventa però addirittura «il luogoincuituttiglielementi cosmologici, per una mutazione che non è mai compiuta, cambiano di senso ediventanostoria».128 Nell’ambiente culturalmente dinamico della Francia dagli anni ’30 agli anni ’50 si forma anche Claude Lévi-Strauss (19082009) che, pur non essendo un filosofo, si è inserito con lasuaantropologiastrutturale nel dibattito filosofico sul significato dell’esistenza, dimostrandosi sostanzialmenteconcordecon l’ateismo antropologico. A suo giudizio, «l’esistenza, a rigore, non ha alcun senso», ancheperché«ilproblemadel senso può essere posto solo rispetto all’insignificante avvenimento che è il passaggio dell’uomo nell’universo»129. Si deve quindi con crudo realismo prendereattochel’uomonon è sempre esistito sulla faccia dellaterraedèprobabileche non esisterà per sempre, dunque non risulta un ente più significante di tutti gli altri:«Ilmondoècominciato senzal’uomoefiniràsenzadi lui.[…]Quantoallecreazioni dello spirito umano, il loro senso non esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine quando egli sarà scomparso»130. Seguendo il naturalismo di Claude Lévi-Strauss, constatiamo come i problemi che oggi ci assillano un giorno non esisteranno più perché non esisterà più in natura un essere umano intelligente che li possa formulare. In altre parole l’uomo come individuo e come specie è ab origine condannato a morte, non diversamente da quanto è accaduto in precedenza con l’estinzione di molti altri esseri viventi sul pianeta Terra. Egli deve allora al più presto rendersi conto che «le suefatiche,lesuepene,lesue gioie,lesuesperanzeelesue opere, diverranno come se non fossero mai esistite, non essendoci più alcuna coscienza per conservare almenoilricordodiqueimoti effimeri»131. In un simile scenario, per il nostro antropologo strutturalista quella dell’esistenza di Dio è una questione senza fondamento e l’ateismo può tranquillamente qualificarsi come «l’assenza di certi problemi, di certe domande, di certi interrogativi»132 che hanno a che fare con le speculazioni filosofiche sul senso del mondo e della vita umana. Non ci sorprende pertanto apprendere dalla sua stessavocecheilproblemadi Dio non ha mai albergato nellasuamente,senoncome conseguenza degli studi etnologici sulla religione delle diverse popolazioni umane con cui è entrato in contatto. Insintesi,conunateismo sfoggiato davvero con nonchalance Claude LéviStraussciprospettaunmondo dove conta soltanto ciò che ogni singolo uomo fa momento per momento e in cui a essere enfatizzate sono le strutture prodotte dai fenomeni socio-culturali, all’interno delle quali i singoli individui non possiedono alcun significato in sé, ma lo assumono solo restando nel contesto di un sistema,diunaretestrutturale indipendente: «Eppure io esisto. Non certo come individuo […]. L’Io non è soltanto odioso; esso non ha posto fra un “noi” e un “nulla”. E se finalmente scelgoquesto“noi”,èperché […] non ho che una sola scelta possibile fra questa apparenza e il nulla»133. Sussiste in altri termini una struttura profonda che organizza e fornisce significato a tutti i singoli uomini e a tutti i fenomeni umani; qualcosa dunque che fonda il tutto non diversamente dai principi metafisici classici come quello di Essere supremo. Struttura che forse non accidentalmente l’antropologo francese chiamavainizialmente,perla suaformapsichica,«spirito». In conclusione lo strutturalismo,mentresembra bandire Dio, assolutizza le strutture e ci elargisce senza avvedersene o ammetterlo unametafisicastrutturalista. Con questa disincantata visionecheparlaapertamente di estinzione dell’essere umano anche sotto il profilo spirituale, Lévi-Strauss sembra incontrarsi perfettamente con l’interpretazione della morte di Dio che più tardi proporrà un filosofo francese vicino allo strutturalismo come MichelFoucault(1926-1984). A giudizio di quest’ultimo, infatti, con il «Dio è morto!» di Nietzsche si proclama «non tanto l’assenza o la morte di Dio, quanto la fine dell’uomo»,perchéinfondoè prerogativadell’ultimoessere umano uccidere Dio e occupare il posto del divino, affermando così il proprio integraleliberoarbitrio. LamortediDioel’ultimo uomo–scriveFoucault– sono strettamente legati: non è appunto l’ultimo uomo che annuncia di aver ucciso Dio, ponendo in tal modo il proprio linguaggio, il proprio pensiero, il proprio riso nello spazio del Dio già morto, ma proponendosi anche come colui che ha ucciso Dio e la cui esistenzaincludelalibertà e la decisione di tale delitto? Foucault pensa dunque a un essere umano che avendo uccisoDiosisostituiscealui per scoprire tutta la sua finitudine, ossia di aver in fondo ucciso se stesso, di aver segnato col deicidio le premesse della propria scomparsa:«Oggiilfattoche la filosofia sia sempre e ancora sul punto di scomparire, e il fatto che forse in essa, ma più ancora fuoridiessaecontrodiessa, nella letteratura come nella riflessioneformale,siponeil problema del linguaggio, dimostrano probabilmente che l’uomo sta sparendo».134 Foucault segue qui l’impostazione di base della sua indagine filosofica e si pone pertanto dal punto di vista del linguaggio inteso come sistema culturale. Lo scandaglio archeologico del sapere lo conduce a concluderecheuncrollodelle disposizioni fondamentali della struttura della conoscenza (episteme) segnerebbe concretamente la fine dell’essere umano a noi noto; fine per altro già implicita nella filosofia nietzschiana: «L’uomo sarebbe cancellato, come sull’orlodelmareunvoltodi sabbia»135. Traendo le somme, l’esaltazione dell’essere umano da una parte e il nichilismo dall’altra sono i dueelementiricorrentidacui prendonoavvioleconclusioni negative su Dio dell’ateismo antropologico. L’enfasi antropocentrica secondo la quale l’«uomo è tutto» tende così a debordare in una sorta di assolutizzazione dell’umanità e della sua storia, che diventa a tutti gli effettiunsurrogatodeldivino o del trascendente. In breve: «LareligionedelDiochesiè fatto uomo si scontra con la religione dell’uomo che si è fatto Dio»136. Per contro, l’accentuazione sul versante nichilistico della condizione tragica della vita umana conduce a una visione radicalmente pessimistica, all’interno della quale ogni individuorisultaabbandonato a se stesso nell’eterno fluire delle cose e ha come unico e inesorabile destino quello di scomparirenelnulla. 1 Vedi B. Telesio, De rerum natura iuxta propria principia. La natura secondo i suoi principi, Bompiani, Milano2009. 2 N. Cusano, Le congetture, II, 143, Rusconi,Milano1988,p.336. 3 G. Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, Vallecchi, Firenze 1942,pp.103e108. 4R.Lenoble,Storiadell’ideadinatura, Guida,Napoli1974,p.331. 5 G. Cardano, De subtilitate rerum, libroXIX,CambridgeUniversityPress, Cambridge1967. 6P.Masterson,AtheismandAlienation, Penguin Books, Harmondsworth 1973, p.13. 7 C. Fabro, Editoriale, «La Civiltà Cattolica»del5maggio1984,p.210. 8 M. Scheler, Uomo e storia, in Lo spirito del capitalismo e altri saggi, Guida,Napoli1988,p.285. 9 G. Morra, Ateismo e non-credenza nelle società occidentali, in AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, Massimo, Milano1981,p.92. 10 Vedi I. Kant, Critica della ragion pratica, A 238-239, in Scritti morali, Utet,Torino1970,pp.280-81. 11CitazionidaScheler,Uomoestoria, in Lo spirito del capitalismo e altri saggicit.,pp.285-86. 12 Vedi supra cap. 1, par. 1 e cap. 2, par.1. 13 Vedi J. Habermas, Il pensiero postmetafisico,Laterza,Bari1991. 14 Vedi P. Hazard, La crisi della coscienzaeuropea,Utet,Torino2007. 15 Vedi D. Pennac, La fata carabina, Feltrinelli, Milano 2013, p. 18. L’aforisma completo dello scrittore francese è: «Se Dio esiste, spero che abbiaunascusavalida». 16 Citata in F. Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano1992,p.42. 17S.Bertelli,IllibertinismoinEuropa, Ricciardi,Milano-Napoli1980,p.3. 18AttidegliApostoli6,9. 19VediMolière,DomJuanoulefestin de pierre (Don Giovanni), Rizzoli, Milano1980. 20 Per G.C. Vanini vedi Anfiteatro dell’Eterna Provvidenza e I meravigliosi segreti della Natura, regina e dea dei mortali, in Tutte le opere, Bompiani, Milano 2010. Per M. de Montaigne vedi Apologia di Raymond Sebond, in Saggi, Bompiani, Milano2012. 21 C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno,Studium,Roma1969,p.190. 22P.Bayle,Pensierisullacometa,par. 171,Laterza,Bari1995,p.322. 23Ivi,par.143-144,Laterza,Bari1995, pp.269-70. 24 P. Bayle, Dizionario storico-critico, Laterza,Bari1976,pp.101-02. 25 M. Onfray, L’età dei libertini. Controstoria della filosofia, vol. III, Fazi,Roma2009,p.10. 26 Vedi P. Casini (a cura di), Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ordinato da Diderot e D’Alembert, Laterza,Bari2003. 27 P.-H.T. d’Holbach, Sistema della natura,Utet,Torino1978,p.75. 28 G.V. Plekhanov, Saggio sullo sviluppodellaconcezionemonistadella storia, in Opere scelte, Edizioni Progress,Mosca1985,p.101. 29 Vedi G.V. Plekhanov, Contributi alla storia del materialismo (Holbach, Helvetius,Marx),Iskra,Milano1979. 30D’Holbach,Sistemadellanaturacit., p.88. 31Ivi,p.379. 32Ivi,p.434. 33P.-H.T.d’Holbach,Ilverosensodel sistema della natura, in Sistema della naturacit.,p.715.LoscrittoVrai sens duSystèmedelaNature,pubblicatonel 1774, è una specie di compendio dell’operaprincipale. 34D’Holbach,Sistemadellanaturacit., p.76. 35Vediivi,tomoII,capitoloXI(Motivi cheportanoall’ateismo),pp.631sgg. 36 In una lettera all’amico D’Alembert del 29 luglio 1775, Voltaire giudicherà non a caso il libretto di D’Holbach un libro«terribile»,nelquale«c’èpiùche buon senso» e perciò non mancherà di far seguire delle sue brevi osservazioni critiche. Vedi Voltaire, Œuvres complètes,vol.50,Garnier,Paris1885. 37 F.M. von Grimm in «Correspondance littéraire, philosophique et critique», gennaio 1773 38LecitazionidaP.-H.T.d’Holbach,Il buonsenso,Garzanti,Milano2005,pp. 59, 109 e 136. Sulla disgiunzione esclusivaeladimostrazioneperassurdo utilizzate da D’Holbach vedi R.G. Timossi, Imparare a ragionare. Un manuale di logica, Marietti, Milano 2011. 39 Vedi J.O. de La Mettrie, L’uomo macchina,inOperefilosofiche,Laterza, Bari1974. 40D’Holbach,Ilverosensodelsistema della natura, in Sistema della natura cit.,pp.721-22. 41 S. Timpanaro, «Introduzione» a D’Holbach, Il buon senso cit., p. XXVIII. 42Ivi,p.LIV. 43 L. Feuerbach, Frammenti per caratterizzare il mio curriculum vitae filosofico, in Scritti filosofici, Laterza, Bari1976,p.306. 44 G.V. Plekhanov, Le questioni fondamentali del marxismo, in Opere sceltecit.,p.370. 45L.Feuerbach,Principidellafilosofia dell’avvenire,inScrittifilosoficicit.,p. 201. 46L.Feuerbach,Vorlesungenüberdas Wesen der Religion, in Sämtliche Werke,vol.8,Wigand,Leipzig1851,p. 29. 47 L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1975, p.286. 48 Feuerbach, Vorlesungen über das WesenderReligioncit.,p.28. 49 Feuerbach, L’essenza del cristianesimocit.,pp.34-36. 50Ivi,p.215. 51 Feuerbach, Vorlesungen über das WesenderReligioncit.,p.29. 52 L. Feuerbach, Essenza della religione,Laterza,Bari1993,p.111. 53Ivi,p.39. 54L.Feuerbach,Prefazioneallaprima edizionedell’essenzadelcristianesimo, inScrittifilosoficicit.,p.102. 55 Feuerbach, Tesi preliminari per la riforma della filosofia, in Scritti filosoficicit.,p.180. 56 H. de Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia1985,p.23. 57 Feuerbach, L’essenza del cristianesimocit.,p.43. 58 Feuerbach, Principi della filosofia dell’avvenirecit.,p.220. 59Ivi. 60 H. Küng, Dio esiste?, Mondadori, Milano1979,p.240. 61Ivi,p.272. 62Ivi,p.273. 63Feuerbach,SämtlicheWerkecit.,vol. 9,pp.226-27. 64 Feuerbach, Tesi preliminari per la riformadellafilosofiacit.,p.190. 65Ivi,p.190. 66 Feuerbach, L’essenza del cristianesimocit.,p.71. 67 D.F. Strauss, La vita di Gesù o esamecriticodellasuastoria,Sanvito, Milano1863,vol.II,p.734. 68VediB.Bauer,KritikderEvangelien und Geschichte ihres Ursprungs, Hempel,Berlin1850-1851. 69 Le citazioni da N. Hartmann, Etica, vol. I (Fenomenologia dei costumi), Guida, Napoli 1969, pp. 261-65. Per il concetto di ateismo postulatorio della responsabilitàvedisupra,cap.3,par.1. 70I.Kant,Ideadiunastoriauniversale dal punto di vista cosmopolitico, VI tesi, in Scritti di filosofia politica, La NuovaItalia,Firenze1995,p.11. 71 F. Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 1992,p.127. 72 K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi,Torino1974,pp.287-88. 73 G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche,Laterza1985,p.72. 74Nietzsche,Eccehomocit.,p.128. 75 F. Nietzsche, Tentativo di autocritica, in La nascita della tragedia,Adelphi,Milano1994,pp.1011. 76 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1993, pp. 2526. 77 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1993, p. 6. 78 F. Nietzsche, L’Anticristo. Maledizionedelcristianesimo,Adelphi, Milano1995,p.21. 79Nietzsche,Eccehomocit.,p.33. 80Lecitazioniprecedentisonotratteda F. Nietzsche, La volontà di potenza, Bompiani,Milano1995,pp.7-14. 81 Vedi E. Hartmann, Die SelbstzersetzungdesChristenthumsund die Religion der Zukunft, C. Duncker Verlag,Berlin1874. 82 F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi,Milano1989,pp.129-30. 83 Nietzsche, Così parlò Zarathustra cit.,p.5. 84JeanPaul,DiscorsosulCristomorto, in Scritti sul nichilismo, Morcelliana, Brescia1997,pp.24-27. 85Nietzsche,Lavolontàdipotenzacit., p.17. 86 Nietzsche, Così parlò Zarathustra cit.,p.259. 87Löwith,DaHegelaNietzschecit.,p. 294. 88 Nietzsche, La gaia scienza cit., p. 228. L’«ateismo scientifico» di cui parla Nietzsche non va ovviamente confuso con l’ateismo scientifico o scientista più recente collegato alla scienzamoderna. 89Sullatraduzionedelterminetedesco Übermensch con «oltreuomo», invece checon«superuomo»,vediG.Vattimo, Il soggetto e la maschera, Bompiani, Milano1994. 90 Nietzsche, Così parlò Zarathustra cit.,pp.5-6. 91Ivi,p.333. 92Ivi,pp.94-95. 93Ivi,pp.303-04. 94 G. Penzo, Nietzsche allo specchio, Laterza,Bari1995,pp.159e195. 95 De Lubac, Il dramma dell’umanesimoateocit.,p.41. 96Vediinfra,cap.6,par.6. 97J.-P.Sartre,Leparole,IlSaggiatore, Milano1994,pp.71-73. 98 J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1990, pp. 46-47. 99E.Melandri,«Esistenzialismo»inG. Preti (a cura di), Filosofia, Feltrinelli, Milano1966,p.52. 100 Sartre, L’esistenzialismo è un umanismocit.,p.49. 101Ivi,p.51. 102Ivi,pp.49-50. 103 J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore,Milano1975,pp.125-26. 104Ivi,p.136. 105Ivi,p.747. 106 Sartre, L’esistenzialismo è un umanismocit.,p.51. 107 Sartre, L’essere e il nulla cit., p. 680. 108 Sartre, L’esistenzialismo è un umanismocit.,p.61. 109Ivi,p.51. 110Ivi,p.62. 111Ivi,p.76. 112 Sartre, L’essere e il nulla cit., p. 738. 113Sartre,Leparolecit.,p.173. 114 J.-P. Sartre, Autoritratto a settant’anni, Il Saggiatore, Milano 2005,p.100. 115M.Heidegger,OrmaisolounDioci può salvare. Intervista con lo «Spiegel»,Guanda,Parma2011,p.149. 116M.Heidegger,Sentieriinterrotti,La NuovaItalia,Firenze1997,pp.247-48. 117 M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», Adelphi, Milano 1995,pp.84-85. 118Perlecitazioniprecedentiivi,p.86. 119 M.F. Sciacca, La filosofia, oggi, Mondadori,Milano1945,p.237. 120 M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 118-19. 121Ivi,p.120. 122Ivi,p.100. 123Ivi,pp.205e208 124 Le citazioni precedenti da M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, SE,Milano2008,pp.47-48. 125Ivi,pp.48-49. 126Lecitazionidaivi,pp.46-51. 127 Vedi M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani,Milano2003. 128 Merleau-Ponty, Elogio della filosofiacit.,p.49. 129 C. Chabanis, Dio esiste? No, rispondono…, Mondadori, Milano 1974,p.90. 130 C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, Il Saggiatore,Milano1994,pp.402-03. 131Chabanis,Dioesiste?cit.,p.90. 132Ivi,p.85. 133 Lévi-Strauss, Tristi tropici cit., p. 403. 134 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli,Milano1967,pp.411-12. 135Ivi,p.414. 136 Paolo VI (Giovanni Battista Montini), Allocuzione al Concilio VaticanoII,7dicembre1965. 4 L’oppiodeipopoli 1.Lasocietàdegliatei Abbiamo ormai chiaro comel’ateismoantropologico fondi sul presupposto della negazione dell’esistenza di Diolacompletarealizzazione della dignità e della grandezza dell’uomo, con un particolareriguardoperlasua libertà.Finquisièassistitoa una liberazione esistenziale dell’uomo dal divino o dal trascendente, finalizzata a renderloassolutoprotagonista nel progettare autonomamente la propria vita, come in Jean-Paul Sartre, oppure a farne l’ente specialissimo attraverso il quale si tenta la comprensione del significato dell’essere, come in Martin Heidegger.Machisièinvece preoccupato di più dei condizionamenti della credenza in una divinità o in una religione sulla «libertà pubblica» della credenza in una divinità o in una religione, ossia sulla possibilità dell’individuo di essereliberonell’ambitodella società in cui vive e della contesa politica, ha sviluppatounrifiutodiDioe della fede religiosa che è corretto definire «ateismo socio-politico». Stando a esso, l’autodeterminazione politica del soggetto umano nella società civile, oltre a ricevere grave nocumento dalla religione, sarebbe resa addirittura impossibile dal teismo per il fatto che esso pone sopra le coscienze individuali e collettive un’autorità superiore e trascendente: quella di Dio. Un essere divino già con la sua sola presenza limiterebbe l’autonomia dell’individuo, ma soprattutto rappresenterebbe la legittimazione delle altre autorità terrene che vogliono condizionare o addirittura reprimerelalibertàumana. Bisognastareattentiquia nonconfondereilripudiodel culto religioso di una o più divinità come conseguenza del rifiuto della teoria del poteredeldirittodivinonelle monarchie assolute o nei governi teocratici con la negazione razionale dell’esistenza di Dio quale presupposto o postulato teorico della libertà sociale e politica dell’uomo. Il vero ateismo socio-politico non è infatti tanto quello di chi contesta l’uso della credenza religiosa quale instrumentum regni, bensì quello di coloro che oltre all’autoritarismo della religione contestano l’autoritàdivinanellanozione stessa di Dio e nel rapporto con la libertà umana sia individuale sia comunitaria. In tal senso il libero arbitrio risulterebbe incompatibile e inconciliabileconlapresenza di un ente trascendente, perché questi eserciterebbe una sovranità talmente assoluta da rendere impossibile nell’uomo alcuna autentica autonomia pratica e perfino mentale. In sostanza affinchél’essereumanopossa risultarepienamentesestesso in tutta la sua dignità, e quindi totalmente libero e padrone del proprio destino anche nel contesto politicosociale, l’idea di Dio deve essere definitivamente confutata e la religione deve uscire per sempre dalla Storia. Secondo le parole del teologo Jürgen Moltmann: «Dio oppure la libertà? Questo è il problema dell’uomo moderno, che prende in mano la sua vita e senesenteresponsabiledopo la Rivoluzione Francese».1 E a partire dal 1789, a partire dallo sconvolgimento rivoluzionario della Francia dell’Ancien régime si è assistito progressivamente a unalottacontroilteismoche ha visto addirittura un paradossale rovesciamento di prospettiva con l’avvento degli Stati ufficialmente atei come quelli comunisti già citati nei quali la professione di ateismo è diventata a sua volta il nuovo instrumentum regnidiunpoteredispotico. Volendo individuare il primo rappresentante moderno dell’ateismo sociopolitico, dobbiamo però guardare a prima del 1789, cioèaprimadellapresadella Bastiglia a Parigi, rimanendo comunque in Francia perché dobbiamo trattare di un presbitero di Étrépigny e di Balaives-et-Butz nella Champagne-Ardenne: Jean Meslier (1664-1729). Diventato famoso tra gli illuministi e gli atei dopo la sua morte, assistiamo con lui aunfenomenopercertiversi sorprendente, ma probabilmente non isolato in un Paese in cui si stavano diffondendo rapidamente gli ideali dell’Illuminismo. Benché infatti Meslier per tuttalavitasisiacomportato da chierico irreprensibile, officiando regolarmente messaeoccupandosiconcura delle anime del suo paese di campagna fino al punto da ricevere attestati di apprezzamento dai suoi superiori, in realtà covava nella sua testa un pensiero ateo e materialista. Pensiero daluistessopoiconsegnatoa tre corposi manoscritti, compostidapiùdimillefogli e riprodotti in diverse copie, dei quali solo di recente è stata resa disponibile una nuovaversioneintegrale.2La pubblicazione nel 1735 di un estratto denominato Le testament du curé Meslier fu seguita personalmente da Voltaire, che ovviamente aveva trovato interessante il pensierodiquellocheèstato definito «il curato ateo»3. Successivamente, nel 1772, ancheilbaroneD’Holbachne pubblicò una sintesi in appendice al suo Il buon sensoelaintitolòLebonsens du curé Meslier, riconoscendo in tale scritto una forte consonanza con il suo materialismo ateo. Nel Testament trovano infatti ampio spazio la denuncia delle religioni come fenomeno umano, l’inesistenza dell’anima e quindi dello spirito, la falsità delle credenze cristiane utili solo a soggiogare il popolo diseredato e mantenuto volutamenteincolto,lacritica dituttoilpoterecostituitonei confronti del quale si esprimono posizioni anticipatrici dell’anarchismo comunistico. Inpremessaalsuoscritto postumoJeanMesliersenteil doveredigiustificarsiversoi propri parrocchiani, ai quali per altro è espressamente diretto il suo lascito spirituale,peraverliingannati per tanto tempo fingendosi cristiano e sacerdote devoto, mentre in effetti non credeva praticamente nulla di quanto andava loro predicando. Dimostrando una buona dose di codardia, ammette di non aver palesato prima i suoi reali convincimenti per timore delle conseguenze negative sulla sua persona e quindi sulla tranquillità della propria esistenza, non trovando inoltre niente di meglio che scaricare sui parenti la responsabilità della sua scelta di diventare prete: «Se ho abbracciato una professione così diametralmente opposta ai mieisentimenti,nonèaffatto per cupidigia: ho obbedito ai miei genitori».4 Completa infine il tutto con la patetica precisazionedinonaveremai svilitoilministerosacerdotale o essersi avvalso della sua funzione per pretendere prebende personali oppure sfruttatolacredulitàpopolare per ottenerne «somme considerevoli per comprare preghiere», come facevano molti altri preti irridenti dell’ingenuità del volgo e miscredenti quanto o forse più di lui. Nonostante la probabile sincerità di questa excusatio,èinevitabilecheun cristiano convinto giudichi il curato di Étrépigny «una speciedidonAbbondiodelle idee, che ha covato per tutta la vita il malumore di una sceltasbagliata,senzaavereil coraggiodiesseresincerocon se stesso e con gli altri», meritevole alla fine più di compassione che di «sdegno omeraviglia»5. JeanMeslierproponeuna serie di argomenti critici nei confronti della religione ebraico-cristiana e di ciò che è riportato nella Bibbia, soprattutto nei Vangeli. Effettua insomma un esame critico dei testi biblici, con peculiare attenzione agli scritti evangelici, precorritore della meglio strutturata e documentatacriticastoricadi Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), un illuminista docente di ebraico e lingue orientali per il quale Gesù di Nazaret era un uomo, e nient’altro che un uomo, che perseguivaunmessianismodi tipo politico.6 Tutto questo per concludere che le religioni in generale e quella cristiana in particolare sono delleinvenzioniumane,delle pure falsità dense di contraddizioni e di miracoli incredibili, manipolate dai potenti per sfruttare l’ignoranza delle classi più deboli per il loro esclusivo vantaggioeconomico-sociale. Ne discende allora che i re, gli aristocratici e il clero sono dei parassiti che il popolodevecombattereunito perriappropriarsidellalibertà e diventare padrone della terra che coltiva e di tutti i prodotti che fabbrica con le propriemani.Ilnostrocurato ateo si spinge perfino a rivolgere alla sua gente un appello all’unità e alla ribellionecontroipotentiche la tiranneggiano e contro qualsiasi forma di superstizione religiosa: «Alzatevi, unitevi contro i vostri nemici, contro coloro che vi opprimono con la miseria e l’ignoranza. Rifiutatecompletamentetutte le pratiche vane e superstiziose delle religioni. La vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione non dipende che davoi[…].Unitevidunque,o popolo!Unitevitutti,seavete coraggio, per liberarvi dalle vostre comuni miserie». Senza pronunciare il termine comunismo, suggerisce alla plebe un vero e proprio esproprio delle risorse destinate normalmente alla classedominante:«Trattenete con le vostre mani tutte questericchezzeetuttiibeni che producete col sudore del corpo, non date niente a questi superbi e inutili fannulloni, niente a tutti questi monaci e questi ecclesiastici che vivono inutilmente sulla terra, niente aquestiorgogliositiranniche vidisprezzano».7 La sensazione di avere a chefareconunrivoluzionario giacobino o socialista è evidentemente molto marcata e difatti il suo messaggio ha conosciuto e tuttora conosce grande successo presso gli anarchici, i comunisti e i materialisti atei. Sebbene pressoché ignorato da Karl Marx, in quanto relegato nel materialismo ingenuo o non scientifico e nel socialismo utopistico,ottennetuttaviaun riconoscimento ufficiale dall’Unione Sovietica, allorché il suo nome venne inciso su una lapide posta a ridosso delle mura del Cremlinoecontenenteinomi dei padri ispiratori del comunismo. Meslier però aveva in fondo in mente una comunità perfetta di eguali e di non credenti, molto simile allasocietàdegliateidiPierre Bayle. Qualora avessimo a disposizione il solo estratto del Testament del curato di Étrépigny edito da Voltaire, potremmo pensare di avere a chefareconundeista;infatti l’edizione voltairiana si conclude con frasi di questo genere: FiniròcolsupplicareDio, così oltraggiato da questa setta, di degnarsi di ricondurci alla religione naturale, di cui il cristianesimo è il nemico dichiarato; a questa religionesantacheDioha messo nel cuore d’ogni uomo[…].Diocihadato questa religione dandoci la ragione. Possa il fanatismo non corromperla più! Morirò più pieno di desideri che disperanze.8 In realtà i manoscritti integrali di Jean Meslier contengono precise e inequivocabili affermazioni da cui si evince senza ombra di dubbio che era un ateo convinto, i cui argomenti spaziavanodallaconfutazione delle prove filosofiche dell’esistenza di Dio all’antiteodicea.C’èdifattiun capitolo intitolato: «Dio non esiste. Se esistesse sarebbe evidente». Segue poi un’argomentazione razionale nellaqualesisostieneche se ci fosse veramente qualchedivinitàoqualche essere infinitamente perfetto, che volesse essere amato e adorato dagli uomini, farebbe parte della sua stessa ragion d’essere, […] manifestarsi, o almeno farsiconoscereinqualche modo da quelli da cui vorrebbe essere amato, adorato e servito. […] D’altronde, a che scopo un essere così perfetto avrebbe creato un universotantomiserabile, pienodimale? A questo ragionamento confutatorio basato sul buon senso e l’antiteodicea ne vengono fatti seguire altri contro le prove tradizionali dell’esistenza di Dio sia filosofiche sia religiose. La teoria aristotelico-tomista dellacausaprimaimmota,ad esempio,vienerespintacome semplicemente infondata: «Da dove si deduce che un dio immutabile e immobile per sua natura possa comunque muovere dei corpi?». A questo punto è palese come sull’illuminista Voltaire,chesappiamoessere statounseguacedeldeismoe non già un ateo, gravi il fondato sospetto di aver volutamente selezionato l’estratto del Testament in mododalasciarefuorileparti da lui meno condivise. In tal modo, come in una specie di legge del contrappasso, pur essendo stato uno degli acerrimi contestatori di ogni forma di censura (a iniziare ovviamente da quella religiosa),finisceperapparire a sua volta un censore più o meno consapevole. Cornelio Fabro,ritenendochelesintesi diVoltaireel’elaborazionedi D’Holbach del Testament riportassero effettivamente «quanto d’interessante conteneva l’ammasso caotico» dell’opera meslieriana, giunse a paragonare Meslier ad «alcune figure del modernismo cattolico all’iniziodelXXsecolo»;ma una volta letto tutto il testo originale, tale paragone non sembra molto azzeccato. Condivisibile è invece il giudizio di Fabro laddove sottolinea come la cultura storico-religiosa del curato di Étrépigny risulti «inversamente proporzionale al linguaggio contro Dio e Gesùcristo».9 Rispetto all’indiscutibile ateismo di Jean Meslier possiamoalloraconfermarela sua origine e la sua finalità prevalentemente sociopolitica, in quanto considera Dio come un’invenzione di «certiuominipiùaffinati,più astuti, più sottili e probabilmente anche più maligni e cattivi, che per ambizione hanno voluto elevarsi al di sopra degli altri» attribuendosi «qualità divine e di supremo Signore»10. Egli confida pertanto nella futura liberazione totale delle coscienze e nel riscatto sociale del popolo vessato dalle gerarchie aristocraticosacerdotali e inebetito dalle falsità religiose. Siamo in ultima analisi al cospetto di un ateo integrale che prima dello stesso barone D’Holbach è riuscito a selezionare, sia pure disordinatamente, le tesi centrali dell’ateismo moderno: l’indimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio, il carattere mitologico della religione cristiana, la rilevanza del problema del male e la liberazione sociopoliticadell’uomo. 2.L’uomononèunoschiavo Nel novero delle filosofie politico-socialiquellachepiù ha contestato radicalmente qualsiasi forma di autorità costituitaequalsiasigeneredi istituzione è sicuramente l’anarchismo. Tra i suoi due estremi dell’individualismo solipsista e del comunitarismocollettivista,si sono generati nel corso della Storiadiversetendenze,tanto da consentirci di dire con un giro di parole che gli anarchici appaiono ancora oggi «anarchicamente divisi» e disseminati in svariati rivoli,insofferenticomesono a qualsiasi forma di organizzazione o di movimento non spontaneistico. Sulla base delle due posizioni estreme, possiamo comunque individuare due gruppi principali: gli anarchici social-rivoluzionari e gli anarchiciindividualisti. L’anarchismo socialrivoluzionario ha come traguardounacomunitàincui ilsolovincolotraisingolisia rappresentato dalla mutua solidarietà:tuttiprestootardi dovranno vivere in aggregazioni sociali nelle quali non vige forma di autorità alcuna, in cui è stato eliminato qualsiasi genere di competizione tra gli uomini. L’anarchismo individualista per contro esalta sopra ogni altra cosa l’autarchia dell’individuo e rifugge da qualsivoglia tipo di agglomerato sociale organizzato potenzialmente sempre antilibertario, fino al punto che diversi suoi esponenti arrivano all’egotismo e a concentrarsi sul singolo essere umano in quanto unico, il quale può convivere solo in un’unione di soggetti «egoisti». È evidentecheperentrambigli indirizzi l’affermazione dell’autonomia assoluta dell’uomo si traduce in un’incompatibilità logica con ogni idea di Essere assoluto che possa sovrastare o interferire con la libertà umana. Iniziando dal filone social-rivoluzionario, i suoi esponenti di primo piano sono stati il francese PierreJoseph Proudhon e il russo Michail Aleksandrovič Bakunin. L’autodidatta PierreJoseph Proudhon (18091865), che si formò da solo una buona cultura teologica quale correttore di bozze di testi religiosi in una stamperia, è considerato uno dei padri del movimento anarchico. Emblematica per capire la sua concezione dell’ateismo è l’affermazione a lui attribuita secondo cui «l’uomo diventa ateo quando si sente migliore del proprio Dio»11. Da essa appare evidente come l’ateismo si fondi su una rivendicazione antropologica che punta tutto su una totale libertà dell’individuo e sulle autonome potenzialità della naturaumana.Inquestosenso per l’anarchico francese il concettodiDioènegativoper gli esseri umani, se non nefasto, e «il primo dovere dell’uomo intelligente e libero è di scacciare incessantemente dal suo spirito e dalla sua coscienza l’idea di Dio. Perché Dio, se esiste, è essenzialmente nemico della nostra natura, e noi non guadagniamo alcuna cosa dalla sua autorità»; perciòvacondannatotantoin nome della rivoluzione sociale quanto sulla scorta di quella che lui definisce «teologiadell’immanenza».12 Nel contesto di questa concezione viene altresì enfatizzato il problema del male, inconciliabile con la realtà di un Ente supremo espressione del sommo bene: «Comemettered’accordo–si chiede infatti Proudhon – la presenza del male con l’idea di un Dio sovranamente buono, saggio, potente?».13 Di fronte alle contraddizioni della nozione occidentale dell’Essere divino dobbiamo allora aprire finalmente gli occhi comprendendone la palese inutilità o, ancor peggio, la negatività, nonché laconseguentenecessitàdiun rifiuto:«Nonsidica:leviedi Dio sono impenetrabili! Noi siamopenetratiinquestevie, abbiamo letto in caratteri di sangue le prove dell’impotenza, se non del cattivo volere di Dio».14 Proudhon non condivide la riduzione antropologica del divino di Feuerbach e pretendeche«nonsifacciadi Diol’umanità,poichésarebbe calunniare l’uno e l’altra»15. Eglifiniscecosìsenzavolere per mettere in piena luce la struttura antropologica dell’ateismo, perché nel negare valore al dogma dell’esistenza di Dio, che rispetto agli uomini «appartiene nello stesso tempo alla loro coscienza e alla loro ragione», riconosce che l’essere umano «dopo aver fatto Dio a propria immagine, volle anche appropriarsene» e «lo trattò come un patrimonio, suo bene,cosasua».16 Da molti autori Proudhon è stato reputato un ateo a metà o uno pseudoateo, sia perché accetta di considerare valida «l’ipotesi di Dio»17, sia perché «negando l’esistenza di Dio nega l’esistenza di un ente di ragione che lui chiama Dio, machenonèDio»18.Oppure èstatovistosoltantocomeun antireligioso e anticattolico, perché il suo antiteismo «si rivolge contro l’idea di religioneintesacomeforzadi conservazione e di coesione sociale»19.Maabenguardare eglirisultaatuttiglieffettiun vero ateo, sebbene pare non gli piacesse essere designato cometale;unateoperilquale Dio va «detronizzato e infranto»,mentreilsuostesso nomedovràesseresottoposto «al disprezzo e all’anatema, sarà fischiato dagli uomini». In sintesi per lui «Dio è sciocchezza e viltà, è ipocrisia e menzogna, è tirannia e miseria; Dio è il male».20 Di questo suo ateismofaparteapienotitolo la critica socio-politica al cattolicesimo quale massima espressione del carattere autoritario tipico di qualsiasi confessione religiosa organizzata: «Ho espresso sull’insegnamento della Chiesa un biasimo severo; dovevofarlo»,perchéfacapo a un principio «vero nel suo oggetto e falso nel nostro modo di intenderlo, […] anticocomel’umanità».21 Michail Aleksandrovič Bakunin (1814-1876) rappresenta invece nel modo più diretto un sottoinsieme dell’ateismopostulatorio,che nel suo caso possiamo definire «ateismo libertario». Essosiriassumeinquesto:la liberazione etico-politica dell’essere umano esige che sipostulil’estinzionediDioe si realizzi la soppressione di qualsiasicultoreligiosoverso ildivino.L’anarchicorussosi è caratterizzato storicamente per essere stato un individuo combattivo disposto a lottare convigoreperleproprieidee, un grande ammiratore degli uomini d’azione come Giuseppe Garibaldi e dell’Italia in cui soggiornò spesso, mentre per contro polemizzò duramente con Giuseppe Mazzini e il suo Stato teocratico. A tratti però assomiglia a uno dei molti russi stravaganti dell’800, tantocheinluilarivoluzione anarchica fatica a conciliarsi col suo atteggiamento ancora daaristocratico. Quel che appare certo è che fece della questione dell’esistenza di Dio un aspetto importante del suo programma di totale liberazionedell’uomodaogni forma di asservimento, sia esso materiale o intellettuale. Del resto il suo pensiero di fondo è quello di un materialistasettecentesco,nel quale la natura equivale alla materia, anche se poi viene concepita non soltanto come causalità,maeticamentepure come solidarietà, ponendo l’essere umano al vertice del processo evolutivo della vita. Sembracheperluiamuovere larealtànaturalecifosseuna forza sottostante, definita «causalità universale»: «La causalità universale crea i mondi.Essahadeterminatola configurazione meccanica, fisica, chimica, geologica e geografica della nostra Terra e, dopo avere rivestito la sua superficie di tutti gli splendoridellavitavegetalee animale,continuaacrearenel mondoumanolasocietà,con tutti i suoi sviluppi passati, presentiefuturi».22 Piuttosto che un materialismo naturalistico, quello di Bakunin appare come un materialismo romantico, nel quale l’universo sembra spontaneamente armonizzarsi in se stesso e in cui tutto si evolve unitariamente; perciò le leggi naturali non possono risultaremaiincontrastocon il libero sviluppo dell’essere umano,cheèilfineultimoa cui tutto tende. Siamo qui in presenza di una strana relazionecausaledirettatrail determinismo in natura e il libero arbitrio degli uomini, ma ciò non deve stupire perché il pensiero dell’anarchico russo mostra spesso delle incoerenze ed è per suo carattere rapsodico. Difattiperlui le leggi dell’equilibrio, della combinazione e dell’azionereciprocadelle forze e del movimento meccanico, le leggi del peso, del calore, della vibrazionedeicorpi,della luce,dell’elettricità,come quelledellacomposizione e scomposizione chimica dei corpi, sono assolutamente inerenti a tuttelecosecheesistono, comprese le diverse manifestazioni del sentimento, della volontà edellospirito.23 Negare Dio a questo punto per il nostro anarchico non è tanto un problema filosofico, quanto una questionedi«utilitàmoralee sociale». Le religioni e le divinità, infatti, «furono create dalla fantasia credula degli uomini non ancora giunti al pieno sviluppo e al pieno possesso delle loro facoltà intellettuali»24; tuttaviaunavoltaritenutaper vera l’esistenza di Dio, seguono ineluttabilmente conseguenze ben peggiori della semplice ingenua credulità popolare: «Una volta insediata la divinità questa fu naturalmente proclamata la causa, la ragione, l’arbitra e la dispensatrice assoluta di tutte le cose: il mondo non fu più nulla; e l’uomo, suo vero creatore, dopo averla tratta dal nulla a sua insaputa, s’inginocchiò davanti a essa, l’adorò e si dichiarò creatura esuoschiavo»25. Nonostante consideri la fede religiosa una chiara rinuncia alla ragione, un «ripetereconTertulliano[…] Credo quia absurdum»26, a differenza di Karl Marx e di Friedrich Engels, Bakunin vede nella religione e nell’esistenzadiDioqualcosa di più dell’oppio dei popoli, qualcosa di più pericoloso di unadrogaadattaaesercitaree consolidare il potere, perché liconsideraautoingannidella menteappartenentiallestesse deviazionidellanostranatura; autoinganni che producono l’asservimento della coscienza e dell’intelligenza, essendo modi di interpretare la realtà che limitano ontologicamente la libertà e l’autonomia dell’essere umano. In tal senso la sudditanza ai poteri terreni della Chiesa e dello Stato manifesta a seconda dei casi tantol’effettoquantolacausa della credenza religiosa. Da ciòconsegueche«poichéDio è tutto, il mondo reale e l’uomo sono nulla. […] Poiché Dio è il padrone, l’uomo è lo schiavo […], perché contro la Ragione divinanonc’èragioneumana e contro la Giustizia di Dio non vi è giustizia terrena che tenga. Schiavi di Dio, gli uomini devono esserlo anche della Chiesa e dello Stato». Ma allora, «a meno di volere la schiavitù e l’umiliazione degli uomini […], noi non possiamo e non dobbiamo fare la minima concessione néalDiodellateologia,néa quellodellametafisica».27 Pareoraevidentecomeil rifiuto dell’esistenza di Dio sia diventato il presupposto imprescindibileperaffermare la piena dignità umana; e chi persegue davvero il bene dell’uomo, chi intende sostenerne la completa emancipazione, è pertanto obbligato a concludere per l’inesistenza di Dio. L’anarchico russo espone le sue idee col seguente sillogismo nella forma di un modustollens: Se Dio esiste, allora l’uomoèschiavo; Ora, l’uomo può e deve esserelibero; DunqueDiononesiste.28 L’argomento bakuniano punta a mettere in luce come siano logicamente alternative la nozione di Dio e di un soggetto libero (l’uomo), come«ladignità,lagiustizia, l’uguaglianza, la fratellanza, la prosperità degli uomini» non possano sussistere insieme alla presenza di un essere che è «il padrone eterno, supremo, assoluto»; infatti, «se questo Padrone esiste, l’uomo è schiavo». Così viene smascherata la «contraddizione nella quale cadono coloro che parlano insiemediDioedellalibertà umana»,29 anche perché se tutto è conosciuto e previsto in anticipo dalla mente divina, allora nessun atto umano potrà mai costituire davvero una libera scelta. È adesso evidente come l’anarchismo, in quanto affermazione della libertà assoluta contro qualsiasi autorità imposta dall’esterno all’individuo, non possa non risultare necessariamente ateo. Un anarchico che credesse in Dio cadrebbe infatti nella stessa contraddizione dei credenti chevoglionotenerecongiunti il libero arbitrio e l’esistenza di un Dio onnipotente e onnisciente: se tutto è conosciuto in anticipo e quindi prestabilito, non può mai darsi una libera scelta, ma solo azioni predeterminate. Nel pensiero di Bakunin c’è infine spazio per l’ateismoprometeico,peruna negazionediDiochediventa scontro epico con Lui, che si trasforma in opposizione aperta e solidale di tutto il genereumanoaunapresenza del divino nell’ordine del mondo. Va pertanto rovesciata la celebre affermazione attribuita a Voltairesecondocui«SiDieu n’existait pas, il faudrait l’inventer» (se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo)30, facendola diventare: «Se Dio esistesse realmente, bisognerebbe abolirlo»31. L’essere umano di Bakunin ha d’altronde un bisogno naturale di ribellarsi all’autoritàenellasuaazione realizza ciò che intende diventare:ciòchel’uomoèo saràdeverisultareilprodotto delsuoagirepercambiareun mondodominatodaunacieca e iniqua necessità. Per conseguire l’obiettivo dobbiamo necessariamente puntareaprendereilpostodi un Dio che non esiste e generare da soli un ordine migliore confacente alla nostrapienalibertà. 3.L’Unicoeilnulla Il secondo filone principale del pensiero anarchicohacomeindiscusso profeta Johann Caspar Schmidt(1806-1856),meglio noto con lo pseudonimo di Max Stirner, che con il suo saggio L’Unico e la sua proprietà (1844) offre una specieditestosacroatuttigli anarco-individualisti. Alla stregua di Bakunin anche lui ritiene che qualsiasi autorità posta al di sopra dell’individuo umano finisca perrenderloschiavo;equesto vale per tutte le dottrine filosofiche, religiose, politiche e scientifiche che pretendono di condizionare il singolouomo,ilqualeinvece devecrederesoloinsestesso. Va però detto subito che non si dichiarò apertamente anarchico e la sua riflessione fu più orientata dal dibattito del post-hegelismo, o più precisamente alla reazione contro l’hegelismo, con approdiedesitimarcatamente nichilistici. Come ha giustamente notato Karl Löwith, Stirner più che «il prodotto di un anarchismo eccentrico […] è un’estrema conseguenza della costruzionestoricauniversale di Hegel».32 Un riferimento costante della sua critica filosoficafuinfattiilfilosofo dellaSinistrahegelianaBruno Bauer; uno dei pochi amici che il suo temperamento scontroso gli permise di conservarefinoallafinedella sua vita e che fu tra le pochissime persone che parteciparonoalsuofunerale. La polemica di Stirner è tutta incentrata sul rifiuto tanto dell’assolutismo hegeliano quanto dell’umanitarismo degli esponenti neohegeliani, quest’ultimo sia nella forma del liberalismo di Bauer sia del comunitarismo socialista di Marx ed Engels. A tali posizionieglicontrapponeun individualismo radicale, un egoismo psicologico, che tuttavia non ha nulla a che spartire con il classico solipsismo filosofico, ma piuttosto con l’esaltazione dell’unicità del singolo, con la libertà di un soggetto unico, con l’Io autentico capace di risultare norma soltanto per se stesso e non per l’umanità intera, come invece pretendeva la legge etica fondamentale della Critica della ragion pratica diImmanuelKant33. «Perché – provoca Stirner – non volete avere il coraggio di fare veramente di voi stessi, completamente e in ogni caso, il centro, la cosa fondamentale?». Perché, è la risposta, piuttosto preferiamo lasciarci condizionare da un fantomatico volere divino oppuredallamoralecorrente: «Maeccocheunosichiedea bassa voce che cosa ne penserà il suo Dio […] e un altro si preoccupa del giudizio del suo senso morale, della sua coscienza, delsuosensodeldovere,eun terzopensaachecosadiràla gente».34 Tutto ciò finì inevitabilmenteperattiraresu di lui i duri e sferzanti attacchi del giovane Karl Marx e di Friedrich Engels che, nel prendere le distanze dalla «filosofia giovanehegeliana» con cui erano venuti in quel periodo in contatto, dovettero reputarlo alquanto pericoloso se nella loro Ideologia tedesca gli dedicarono ben 370 pagine, intitolandosarcasticamentela sezione «San Max [Stirner]». In quest’opera marxianoengelsiana, pubblicata postumasoltantonel1932,si mette proficuamente in mostralafortedipendenzadi Stirner dalla filosofia della storia hegeliana e lo si irride perché egli pare non accorgersene: «La particolarità e l’unicità dell’attitudine stirneriana verso la Storia consiste in questo: che l’egoista si trasforma in un goffo copista diHegel».35 Stirner scelse come titolo dellapremessaalsuolibroun verso del lied Vanitas! Vanitatum Vanitas di Johann Wolfgang Goethe (17491832), che ci svela immediatamente la radicalità della visione stirneriana: Ich hab’ mein’ Sach’ auf Nichts gestellt(hoposto[fondato]la mia causa su nulla)36. Secondo lo studioso italiano Franco Volpi (1952-2009), questa è «la prima autentica teorizzazione di una posizionefilosoficachepossa essere definita come nichilismo»;37 e infatti con tuttaprobabilitàilpensierodi Stirner ha influenzato quello di Friedrich Nietzsche, anche se quest’ultimo si è mostrato reticente a volerlo riconoscere. D’altronde in uno scritto minore di Stirner si usa l’espressione «fate del vostro Dio un cadavere»,38 che ricorda in modo impressionante il nietzschiano «Dio è morto!» di La gaia scienza.39 Albert Camus occupandosi del pensiero nichilistico dell’autore di L’Unico e la sua proprietà, l’ha tuttavia posto in contrasto con quello cupo nietzschiano e l’ha definito «nichilismo soddisfatto», dal momento che «Stirner ride nel vicolo cieco in cui si è ridotto, Nietzsche invece si avventa controimuri».40 Riguardo alla frase posta come motto iniziale di L’Unico e la sua proprietà occorre prestare attenzione al fattochevièscritto«sunulla (aufNichts)»enon«sulnulla (auf das Nichts), per non commettere l’errore di LudwigFeuerbach(edopodi lui di altri), che trasformò l’espressione in Ich hab’ mein’ Sach’ auf das Nichts gestellt («Io ho posto [fondato] la mia causa sul nulla»).Comefecenotareper primo lo stesso Stirner41, la differenza è sostanziale perché con «sul nulla» si potrebbepensareauntrattato sul problema filosofico del «Nulla» che affonda le sue antiche origini addirittura nel filosofogrecoParmenide(VIV secolo a.C.), mentre al contrario si vuole segnalare da parte dell’autore il suo risoluto e irreversibile rifiuto di ogni fondamento metafisico, di ogni riferimento alla trascendenza, siaessaquelladiDioodello Spirito(Geist)diHegel. Il tentativo stirneriano di aggirare il problema parmenideo del non-essere tuttavianonriesceeilripudio radicaledeltrascendentedeve pertantovenireintesocomela negazione di qualsiasi pulsione ad andare oltre l’unica realtà effettiva dell’individuo, che è la sua singolarità assoluta; quindi come una netta presa di distanze da una filosofia come quella feuerbachiana chetendeaesaltarel’umanità come entità assoluta, a considerare l’essenza umana espressa non dall’uomo singolo, ma dalla specie in quanto tale, dalla comunità. L’Io irripetibile di ciascuno diventa così padrone della propria realtà, perché solamente l’Unico disincantato che non partecipa né del regno cristiano di Dio né del regno hegelianodelloSpiritoèinse stesso l’intera storia del mondo. Max Stirner dichiara infatti con un linguaggio estremamente chiaro che la sua causa non è né quella di Dio né quella dell’umanità, néquelladellaveritàobiettiva né quella dello spirito, né quella del popolo o della patria né quella di un principe.Inunaparola,nonè quelladiqualcosadiassoluto, di intersoggettivo, di comunitario, bensì la causa personaledelsuoegounicoe irripetibile: «Dio e l’umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null’altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro,chesonoilmiotutto,io chesonol’unico[…].Ionon sono nulla nel senso della vuotezza,mailnullacreatore, ilnulladalqualeiostesso,in quantocreatore,creotutto».42 Einaltrepartidellasuaopera principale si chiarisce che sussistono due dimensioni dell’io, una autentica e una inautentica: l’autentica è data dalla «mia proprietà»; l’inautenticaècostituitadallo spirito, che è invece «qualcosa di diverso dall’io».43 Tutto questo perché «l’io trova il suo fondamento ultimo in un orizzonte dell’essere come proprietà, per cui essere e proprietàdenotanounastessa dimensioneesistenziale».44 Viene qui in mente una sentenzaattribuitaalsapiente greco Cleobulo di Lindo (VI sec. a.C.), secondo la quale «l’ateo non ha altro criterio delverocheisensi;nonaltra esistenza che la propria; non altro bene al di fuori di sé; non altri doveri che verso sé medesimo».45 Con Stirner siamocertamenteinpresenza di una forma di egoismo, ma non quello banale degli individuicheall’internodella società perseguono il loro esclusivo vantaggio a discapitodialtri,bensìquello di chi punta all’unicità del singolo svincolato da tutti e addirittura superiore a tutto, che è cioè fine di se stesso e legge a se stesso, al di fuori del quale non sussiste letteralmente nulla. L’esito dirompente e abissale di questo pensiero è lontano tanto dalla categoria del «singolo» del filosofo danese Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855),concuiquestisi oppone a sua volta al predominio del sistema filosofico hegeliano, quanto dal pessimismo di Arthur Schopenhauer (1788-1860); pensatori entrambi pressoché contemporanei a Stirner. Schopenhauer in particolare, meditandosullostessolieddi Goethe, perviene a conclusioni non egoistiche e nichilistiche,perchéperluiil verso goethiano «significa propriamentechesoloquando l’uomo dovrà abbandonare tutte le sue pretese e sarà ricondotto a un’esistenza nuda e spoglia, egli potrà partecipare di quella tranquillità di spirito […] indispensabile per gustare il presente, e quindi tutta la vita».46 Nonpuòdunquestupire,e infatti non stupisce, che un autore così radicalmente contrario a qualsiasi trascendenza e che intende l’Io come unico risulti tanto integralmente ateo da far perdere persino significato alla distinzione corrente tra ateismoeteismo,tracredenza e non credenza; e questo in misura addirittura maggiore di quanto abbiamo visto verificarsi in Ludwig Feuerbach e Friedrich Nietzsche.Intalsensononha torto Max Stirner a considerare l’ateismo feuerbachiano come meramente apparente e neppure ha torto Nietzsche a temeresegretamentediessere considerato un epigono della filosofia stirneriana, che era già potentemente anticristiana. Scrive infatti Stirner: «Per il cristiano la storiauniversaleè[…]storia di Cristo o “dell’uomo”; per l’egoistasololapropriastoria ha valore, perché egli vuole svilupparesolosestesso,non l’ideadiumanità,nonilpiano diDio[…].Cheilsingolosia per sé storia universale e che possegga la rimanente storia universalecomesuaproprietà è qualcosa che oltrepassa il momento cristiano». Il pensiero stirneriano è pertanto ben più antimetafisico di quello di Nietzsche,checomeabbiamo visto in realtà prospetta una nuova metafisica tragica, tanto che va condiviso il giudizio di chi ritiene «il pensare antimetafisico di Stirner […] alla base del pensieronietzschiano»47. Per l’ateismo stirneriano la religione e l’idea di Dio rappresentano un limite non per la libertà dell’uomo in generale e in quanto essere sociale come in Bakunin, bensì per la libertà dello spirito soggettivo quale espressione dell’autonomia assoluta del singolo: «Proprietario del mio potere sono io stesso e lo sono nel momento che so di essere unico».48 In tal maniera il problema tipicamente anarchicodelrapportoconla proprietà viene risolto da Stirner in modo definitivo con un semplice ragionamento: la mia potenza è la mia proprietà; la mia potenza mi dà la miaproprietà; dunque la mia potenza sono io stesso e grazie a essa io sono la mia proprietà.49 L’Unico sfugge a qualsiasi vincolo, perfino a quello di una definizione concettuale, che altro non risulta se non puro nominalismo:«SidicediDio: “Nessun nome può dominarti”. Ciò vale per me: nessun concetto mi esprime, niente di quanto viene indicatocomemiaessenzami esaurisce:sonosolonomi».50 Se Feuerbach cerca ancora l’essenza dell’uomo nell’umanità e innalza l’essere umano come specie al posto del divino, Stirner punta direttamente all’enfatizzazione dell’Io nella sua singolarità, il quale non è l’uomo in senso feuerbachiano, non è cioè l’uomo in generale, bensì un Unico. Ma allora, anche se Stirner lo nega, è questo Unico a essere di fatto sostituito a Dio in una tipica forma di ateismo antropologico-politico; un ateismo che, in quanto postulatorio, finisce per inserirsiinuncircolovizioso chenonapprodaadalcunché. Emerge così l’aspetto paradossale del nichilismo stirneriano, facilmente riscontrabile nella profetica tautologia posta a logica conclusione di L’Unico e la sua proprietà: «Nell’unico il proprietario stesso rientra nel suonullacreatore,dalqualeè nato.[…]Seiofondolamia causasudime,l’Unico,essa poggia sull’effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire: Io ho fondato la mia causa su nulla».51 Stirnerterminacosìcome ha iniziato e non poteva accadere altrimenti: partendo danulla(l’Io)sigiraavuoto e si torna sempre a nulla (l’Unico).Giàperlasaggezza anticalaviadelnonessere«è un sentiero su cui niente si apprende.Infatti,nonpotresti conoscere ciò che non è, perchénonècosafattibile,né potrestiesprimerlo».52 4.Unasovrastruttura Dalla riflessione critica sulla filosofia di Ludwig Feuerbach prese lo spunto pure un altro tipo di ateismo socio-politico, certamente oggi più celebre di quello di Max Stirner: quello di Karl HeinrichMarx(1818-1883)e del suo inseparabile amico Friedrich Engels (18201895). Alla base del rifiuto dell’idea di Dio dei due fondatori del cosiddetto «socialismo scientifico» si trova una concezione materialistica rielaborata tramite il ricorso alla dialettica hegeliana e per la quale «il mondo non deve essere concepito come un complesso di cose compiute, ma come un complesso di processi»53. La realtà è qualcosa in perenne divenire sulla base di continue reali contraddizioni, che sfociano in un loro superamento secondolatriadehegelianadi tesi,antitesiesintesi. Questa impostazione definita «materialismo dialettico» conduce entrambi i nostri autori a vedere in Ludwig Feuerbach uno degli artefici della svolta materialistica in filosofia e della definitiva liquidazione dell’idealismo assoluto di Hegel. Scrive infatti Engels, facendo un bilancio quasi al terminedellasuavita: Allora apparve l’Essenza del cristianesimo di Feuerbach. D’un colpo essa ridusse in polvere la contraddizione [quella alienante dell’idealismo cheponevalarealtàdello Spirito fuori dell’uomo], rimettendosultronosenza preamboliilmaterialismo. La natura esiste indipendentemente da ogni filosofia […] Oltre alla natura e agli uomini, non esiste nulla […]. L’incanto era rotto; il «sistema» [hegeliano] era spezzato e gettato in un canto; la contraddizione era rimossa, in quanto esistente soltanto nell’immaginazione. […] L’entusiasmofugenerale: in un momento diventammo tutti feuerbachiani.54 Le premesse di un ateismo materialistico conseguente alla lettura dell’opera principale di Feuerbach sono qui del tutto evidenti e difatti Engels ricorda esplicitamente che «gli esseri più elevati che ha creato la nostra fantasia religiosa sono soltanto il riflesso fantastico del nostro proprio essere».55 D’altro canto già in gioventù FriedrichEngelsavevaintuito come lo sviluppo della filosofia hegeliana rappresentasseilsuperamento della nozione cristiana della divinità,dalmomentoche«il Dio di Hegel non può essere mai e poi mai una persona individuale perché da lui è rimosso ogni elemento arbitrario». Mentre in una fase successiva della riflessione filosofica il pensiero hegeliano sfocia definitivamente nell’ateismo attraverso l’opera di Feuerbach,ilquale«riducele determinazioni religiose a statiumanisoggettivi».56 A onor del vero, la filosofia feuerbachiana non era così rigorosamente materialistica come la intendeva Engels o quantomeno non lo era abbastanza da soddisfare uno come Karl Marx. Quest’ultimo infatti, nelle famose Tesi su Feuerbach (1845), la considera ancora troppo astratta e soprattutto lontana dall’uomo concreto e dallasuadimensionepratica: Feuerbachrisolvel’essere religioso nell’essere umano. Ma l’essere umano non è un’astrazione immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l’insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non s’addentra nella critica di questo essere reale,èperciòcostretto:a fare astrazione dal corso della Storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato […]. Perciò Feuerbachnonvedecheil «sentimento religioso» è anch’esso un prodotto sociale e che l’individuo astratto,cheeglianalizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.57 Proprio qui, proprio in questomaterialismoattentoal corsodellaStoriadiunessere umano socialmente concreto, si situa il punto focale dell’interpretazione marxista della religione e di conseguenza della questione dell’esistenza di Dio. Pur dando atto e grande merito alla riflessione feuerbachiana peraver«messogliuominial posto del vecchio ciarpame» dell’idealismo, dell’autocoscienza infinita e dello spirito divino, Marx tuttavia ritiene essa conservi ancora qualcosa del «sacro», quasi fosse una specie di ateismo religioso, mentre tutto deve essere ricondotto alla categoria del «profano». Il capovolgimento antropologico della teologia attuato da Feuerbach non realizza pienamente quella conversione materialistica integrale che consiste nell’individuare l’origine del divino nell’ambito della Storia economico-sociale e perciò risulta incapace di risolvere un problema fondamentale: spiegare come mai l’uomo ha sentito il bisogno di creare Dio e la religione. A tale problema risponde invece facilmente l’interpretazione marxiana della Storia (denominata poi «materialismo storico»), perché postula la stretta dipendenza della natura dei singoli individui dalle condizioni socio-economiche incuisitrovanostoricamente avivere;dipendenzanonsolo pratica, ma anche mentale, a tal punto che «non è la coscienza degli uomini che determinailloroessere,maal contrario è il loro essere sociale che determina la loro coscienza».58 Ovvero, ancora più esplicitamente: «La produzione delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale»;59 difatti «le idee dominanti di un’epoca sono sempre unicamente le idee della classe dominante».60 Qui secondo Marx risiede pure il limite principale della filosofia dell’Unico di Max Stirner: si è soffermata sui rapportidicoscienzaenonsi è di conseguenza svincolata dai reali rapporti sociali borghesi di cui risulta un riflesso. Per Karl Heinrich Marx, erede nella città di Treviri di una famiglia di rabbini dalle profonde tradizioni religiose (anche se il padre Herschel Mordechaieraunvolterianoe si era convertito pro forma alla religione luterana per sfuggire alle misure antisemite del governo prussiano), l’adesione all’ateismo materialista avviene molto presto, già prima della sua tesi di laurea del 1841 intitolata Differenza fralafilosofiadellanaturadi Democrito e quella di Epicuro. Quest’ultima iniziava nella prefazione con l’elevazione di Prometeo dispregiatoredeglideia«più grande santo e martire del calendario filosofico» e si concludeva con la netta affermazione secondo cui «tutte le prove dell’esistenza di Dio sono prove della sua non esistenza».61 Per il filosofodiTrevirilareligione o comunque la vita dello spirito e l’attenzione per il divino non sono più il fondamento dell’esistenza umana, ma a essi si sostituisconoirapportisocioeconomici, le relazioni concrete tra le classi determinate dai modi di produrrebenieconomicinelle diverse fasi storiche (tribale, schiavistica antica, feudale e capitalistica): «Il complesso di tali rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la baserealesucuisielevauna sovrastruttura giuridica e politicaeacuicorrispondono determinate forme di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale è ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale»62. Le analisi economiche chenoninterpretanoinsenso rigidamente storicomaterialistico la società sono criticate e sbeffeggiate da Marx, come accadde perfino al saggio Philosophie de la misère dell’anarchico francese Pierre-Joseph Proudhon. Esso non sarebbe infatti «un trattato di economia politica puro e semplice»,bensì«unaBibbia: Misteri, Segreti strappati dal senodiDio,Rivelazioni,non vimancanulla»;tantopiùche un suo intero capitolo viene dedicato alla Provvidenza, trasformata così nella «locomotiva che fa andare avanti tutto il bagaglio economico».63 Oltre alla caratteristica di semplice «sovrastruttura», ovvero di elemento non essenziale o di secondaria rilevanza,lareligioneassume un aspetto fortemente negativo allorché diventa strumento di dominio della classe al potere, poiché quest’ultima ha tutto l’interesse a perpetuare il processo di alienazione per cui gli uomini proiettano se stessiinundioimmaginarioe vi cercano la loro consolazione o realizzazione. Tuttavia «l’uomo non è niente di astratto, un essere rannicchiatofuoridelmondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, perché sono un mondo capovolto»; infatti «il fondamento della critica religiosa è: l’uomo fa la religione e non già la religionefal’uomo».64Ilche sta pure a significare che «poiché il contenuto della religione è il contenuto di un difetto, la fonte di questo difettosipuòcercaresoltanto nella natura dello Stato»,65 ossia nel carattere autoritario delle istituzioni politiche in quanto instrumentum regni dellaclassedominante. Inquestocontestoperfino l’ateismo,perfinoilproblema dellanegazionediDio,perde significato e diventa secondario rispetto alla vera questione di liberare l’uomo dalle catene dello sfruttamentosociale;sicchéla religione rappresenta a un tempo uno dei tanti mezzi coercitivi del predominio di classe e una manifestazione dell’anelito di liberazione da parte degli oppressi sotto le mentite spoglie dell’aspirazione a una salvezza eterna. Ecco comunque le celebri e dure parole del filosofo tedesco: «Lamiseriareligiosaèdauna parte l’espressione della miseria reale e da un’altra parte la protesta contro di essa. La religione è il singhiozzo della creatura oppressa, è il senso effettivo di un mondo senza cuore, come è lo spirito di una vita privadispirito.Essaèl’oppio deipopoli».66 L’ateismo socio-politico diMarxèindubbiamenteuno deipiùdrasticiecoerentimai teorizzati. Le sue argomentazioni per dimostrarelefinalitàpolitiche e strumentali della costruzionediunagigantesca allucinazione collettiva, rappresentatadallareligioneo dalla fede nell’esistenza di Dio,sonotalmenteefficacida aver condotto all’ateismo moltissimiintellettuali,alcuni dei quali sinceramente convinti della scientificità delle sue teorie economicofilosofiche, ma anche tantissime persone del popolo.Forsenessunfilosofo puòvantarediaveresercitato unainfluenzatantopregnante sia in ambito culturale sia sullavitapraticaequotidiana di milioni di individui. Con lui e con Engels la scelta di essere atei si trasforma e diventa un tutt’uno con la contesa politica, per cui l’ateismo è la logica conseguenza della necessaria lotta di classe degli oppressi controglioppressori.Ecome soltanto la società senza classi consente la piena realizzazione della libera natura umana, allo stesso modo «l’eliminazione della religione come illusoria felicità del popolo è la condizione della sua felicità reale»; difatti «lo stimolo a dissipare le illusioni del proprio stato è lo stimolo a eliminare uno Stato che ha bisogno delle illusioni. La critica della religione è, perciò, in germe, la critica della valle di lagrime, di cui la religione è il riflesso sacro».67 Èalloraevidentecomela strada maestra della rivoluzione e dell’emancipazione sociale, sovvertendo le strutture classiste dell’economia e realizzando il socialismo, condurrà fatalmente all’eliminazione di qualsiasi forma di religione o di qualsiasi ideologia di classe che professa l’esistenza di Dio. Marx ed Engels interpretano e giustificano le preoccupazioni religiose e le filosofie metafisiche degli uomini da un lato con la condizione di oppressi ingannati («drogati») dal potere, in particolare dalle caste sacerdotali, e dall’altro con la volontaria mistificazione dei chierici al servizio della classe dominante, che invece di svelare il mondo materiale per quello che realmente è, inventano il sopramondo dello spirito, dell’immortalità dell’anima e delle sostanze divine. Ma gli individui «eliminano le loro anguste vedute religiose appena si disfano di certi vincoli terreni. Noi non convertiamo le questioni terrene in teologiche; convertiamo invece le teologiche in terrene».68 Cionondimeno, bisogna guardarsi bene dal semplificare o sottovalutare troppoilproblemadellaforza delle religioni ed è appunto quanto fa notare nel 1882 Friedrich Engels riferendosi al cristianesimo durante la commemorazionedellamorte di Bruno Bauer: «Una religionechehasottomessoa sél’imperomondialeromano, e che ha dominato per 1800 anni la massima parte dell’umanità civile, non si liquida spiegandola puramente e semplicemente come un insieme di assurdità originatedaimpostori»,bensì individuando le condizioni storicheperlequali«lemasse popolari dell’impero romano preferirono questa assurdità, perdipiùpredicatadaschiavi e da oppressi, a tutte le altre religioni». Certamente incuriosito assai più dell’amico Marx dal cristianesimo delle origini, egli ne attribuisce lo straordinario successo nell’età tardoantica sia alla crisi economico-sociale dell’impero romano, sia alla promessadiunasalvezzaper tutti gli uomini senza distinzione di classe che andava incontro all’aspettativa di redenzione delle masse oppresse: «Offriva, col sacrificio del suo giudice [Cristo], una forma facilmente comprensibile per tutti della sospirata redenzione interiore dal mondo corrotto e della consolazione della coscienza; esso dimostrava la sua capacitàdidiventarereligione mondiale: una religione, in verità, adatta proprio al mondocheesistevaallora».69 Engels per altro dedicò alla Chiesa delle origini e alla prima letteratura cristiana altriduebreviscritti–Illibro della Rivelazione (1883) e Per la storia del cristianesimo primitivo (1895)–,neiqualisiatteggia a storico ed esegeta neotestamentario, abbandonandosi talvolta a giudizi e interpretazioni a dir pocoimprobabili.70 Se la teologia si interessa di temi irrilevanti o irreali, nondimeno ciò accade pure per l’ateismo filosofico, poiché entrambi si occupano dellostessovacuoargomento: l’esistenza o meno di un essere trascendente. Per questa ragione alcuni interpreti contemporanei di Marx, quali per esempio Louis Althusser (19181990)71, sono arrivati a concludere che la questione dell’ateismo sia nella sua opera del tutto secondaria. Comunque la si pensi, sta di fatto che alla luce del rovesciamento operato dal materialismo storico, per cui sono i concreti rapporti economico-sociali a determinare la coscienza individuale e i fenomeni culturali e mai viceversa, «la questione di un essere estraneo, di un essere al di sopra della natura dell’uomo è divenuta praticamente impossibile […]. L’ateismo, come negazione di questa inessenzialità, non ha più senso,poichél’ateismoèuna negazione di Dio e pone l’esistenza dell’uomo mediante questa negazione. Ma il socialismo in quanto socialismononhabisognodi una tale mediazione».72 L’ateismo d’altronde manca di concretezza perché se è corretto affermare che «il comunismo comincia subito con l’ateismo», come sosteneva il socialista utopistico Robert Owen (1771-1858), è altresì vero che «l’ateismo è da principio ancora ben lontano dall’essere comunismo, essendo invece piuttosto un’astrazione».73 Alla fine della Storia, con l’avvento dellasocietàcomunista,tanto la credenza in Dio e nella religione quanto l’ateismo risulteranno superflui e saranno abbandonati insieme atuttelealtresovrastrutture. Con Karl Marx e Friedrich Engels siamo approdati a una forma di ateismo antropologicomaterialisticoesocio-politico che per affermare l’uomo quale soggetto esclusivamente sociale esige non solo di negare Dio, ma addirittura di superare la stessa negazione del divino, ossia l’ateismo stesso, in una dimensione esclusivamente storico-politica: quella della rivoluzione socialista. Lo stesso problema del male naturale in rapporto a Dio viene eliminato facilmente nel contesto della teoria del materialismo dialettico, riconducendo tutto alle dinamiche evolutive della materia; ed Engels mette indirettamente in mostra tale propensione all’estinzione materialistica di qualsiasi questione inerente alla teologia, alla psicologia e all’eticanelsuoAnti-Dühring (1878). In questo scritto, nel difendere anche per conto di Marx il loro rigoroso materialismodialetticoeateo contro il filosofo positivista Karl Eugen Dühring (18331921), giunge a imputare il suo bersaglio polemico non solo di essere un superficiale «sottoprodotto illuministico del superficiale illuminismo tedesco»,74 ma di non dimostrarsi sufficientemente ateo,inquantoilsuopensiero lascerebbe ancora spazio in campo teoretico a una filosofia etico-religiosa e in campo politico alla religione veraepropria. Aquestopuntononsipuò non far osservare come la comunità umana senza classi e senza religione preannunciata da Marx ed Engels, come il loro ordine comunista della felicità terrenaedell’armoniatratutti gliindividuiassomiglimolto, forse troppo, al giardino dell’Eden (Gn 2,8-15 e Ap 22,1)oalmessianicoregnodi Dio(Sap10,10eMc1,15)di cui parla la Bibbia. Sembra insomma sinceramente che i due pensatori pretendano di realizzare un regno divino sulla Terra senza la presenza di Dio. Del resto il proletariato trasformato nella classe universale, ossia nella classe che realizzerà la società senza classi, ricorda molto e nuovamente forse troppol’ebraicopopoloeletto destinato a salvare con se stesso«tuttelefamigliedella Terra» (Gn 12,3), tutta l’umanità.Maallafine,come risaputo, la realtà storica concretadeiregimicomunisti è stata tragicamente molto diversa da quella da loro profetizzata. Nel ’900 dalle teorizzazioni sull’ateismo socio-politico di Engels e Marxsipassòbenprestocon le prime rivoluzioni comuniste all’ateismo imposto politicamente, alla prescrizione forzata dell’ideologia ateista quale dottrinadelloStatosocialista. Uncontributodecisivonelfar trasferire l’ateismo sociopolitico dal piano teorico a quello della prassi politica è venuto dalla stessa persona che ha tradotto il marxismo da teoria filosofica e socioeconomicainconcretaazione rivoluzionaria: Vladimir Il’ič Ul’janov, meglio noto come Nikolaj Lenin (1870-1924). Materialista convinto e rigoroso,ritennecheMarxed Engels avessero definitivamente superato le forme idealistiche ancora presenti in Feuerbach: «Ne abbiamo abbastanza dell’idealismo sia filosofico sia politico; vogliamo essere deimaterialistipolitici».75 D’altrondenel1909,nella sua opera filosofica più impegnativa intitolata Materialismo ed empiriocriticismo, mentre sostiene che la materia è l’unica realtà oggettiva «rispecchiata» attraverso i sensi, afferma che l’intera storia della filosofia si riassume nella contrapposizione tra idealisti e materialisti. Critica inoltre perfino il principale esponente del materialismo russo Georgij Valentinovič Plekhanov per essersi dimostrato a suo giudizio troppo aperturista nei confronti degli empiriocriticisti, secondo lui parecchio lontani dall’unico materialismo autentico: quello dialettico.76 Esprimendosi sempre nello stesso anno su quale dovesse essere il punto di vista del partito operaio nei confronti della religione, il rivoluzionario russo precisa esplicitamente che la «base filosofica del marxismo, come Marx ed Engels hanno più volte affermato, è il materialismo dialettico, che hacompletamentefattesuele tradizioni storiche del materialismo del XVIII secolo in Francia e di Feuerbach (prima metà del XIX secolo) in Germania, materialismo incondizionatamente ateo, risolutamente ostile a ogni religione».77 E non a caso subito dopo richiama l’invettivadiFriedrichEngels sul materialismo non coerentemente ateo di Dühring, di cui abbiamo riferitoinprecedenza. C’è allora più che da attendersi che da una simile prospettiva filosofica scaturisca un «ateismo militante», come ebbe a definirlo lo stesso Lenin;78 cioèunateismoperilqualeil problemadiDioeilproblema della religione altro non risultano se non una questionepoliticadarisolvere con strumenti politici. «Materialismo contro teologia e idealismo», annota neisuoiQuadernifilosofici,79 e questo principio programmatico si trasforma per lui ben presto nella dittatura del proletariato in una comunità socialista rigorosamente atea, ossia senza religione e filosofie spiritualistiche. In effetti, in linea di principio, nello Stato socialista la religione potrebbe anche essere tollerata come «affare privato»,magiàEngelsaveva precisato «che la socialdemocraziaconsiderala religione come un affare privato di fronte allo Stato, non già di fronte a se stessa, al marxismo, al partito operaio»;80 per quest’ultimo essa resta sempre l’oppio del popolo,ovvero«unaspeciedi acquavite spirituale nella qualeaffoganoillorovoltodi uomini gli schiavi del capitale».81 In altre parole, il partito del proletariato ha il diritto di pretendere che lo Stato dichiari la religione un fatto privato, senza tuttavia «perquestoritenereaffattoun affare privato la lotta contro l’oppio del popolo, la lotta contro le superstizioni religiose».82 In definitiva, sebbene la via di uscita dal problema religioso sia come per Marx rappresentata dal successo della lotta di classe delle masse sfruttate sugli sfruttatori e «la propaganda ateistica della socialdemocrazia debba essere subordinata a questo compito fondamentale», non va pragmaticamente dimenticato che «tutte le religioni e le Chiese oggi esistenti,tuttequalichesiano le organizzazioni religiose sonosemprestateconsiderate dalmarxismocomestrumenti della reazione borghese, che servono a difendere lo sfruttamento e a stordire la classe operaia»;83 quindi cometalivannopoliticamente sradicate per impedire che i proletari continuino a essere anche mentalmente ingannati e sfruttati dai ceti dominanti. L’ateismo antropologico di Feuerbach, passato attraverso quello socio-politico del materialismo dialettico marxista, sfocia così inesorabilmente nell’ateismo giacobino-leninista;edèstato questo malauguratamente un passaggio quanto mai doloroso per molti credenti. Col consueto pratico cinismo politico, una volta diventato capo della rivoluzione russa, nelmarzo1922VladimirIl’ič Lenin ordinava un’offensiva generale contro la Chiesa ortodossa, che portò in breve tempo alla distruzione di innumerevolicentridicultoe provocòoltre8000mortitrai religiosi.84Erasolol’iniziodi un attacco spietato alla religione che con il suo successore Josif Vissarionovič Džugašvili, passato alla storia col soprannome di Stalin (18781953), raggiungerà livelli di terrore ed efferatezza impressionanti. Ben presto l’ateismodiStatoprovocherà lestesseterribiliconseguenze nei confronti delle credenze religioseintuttiiPaesiincui andràalpotereilcomunismo. 5.Lacrisidellamodernità In un contesto di crescente delusione per il socialismo reale dell’Unione Sovietica e di crisi della ragione tra i due conflitti mondiali del secolo XX, un filosofo marxista «eretico» come Ernst Bloch (18851977) sentirà la necessità di scegliereunprincipiodiverso da quelli dell’economia e della lotta di classe come motore della Storia per dare un senso alla vita umana che prescindadaDioocomunque dalla trascendenza. La sua scelta ricade sul principio speranza (Prinzip Hoffnung), che è in fondo un modo per rivestire l’utopia di nuovi abiticonl’intentodiresistere alla decostruzione di tutte le «narrazioni» compiuta dalla postmodernità. Il nuovo concetto di utopia si colloca alle origini della ricerca filosofica blochiana e risulta chiaramente espresso dall’obiettivodiintraprendere la via di una fantasia costruttiva, invocando cioè ciò che non c’è ancora, cercando il vero o il reale laddove il puro dato di fatto scompare, dando quindi rinnovatorisaltoall’arteealla letteratura. Si deve tuttavia distinguere tra l’utopistico, chenonesprimeuncontenuto realistico, dall’utopico che invece, anche se non chiaramente definito, è concretamente possibile e delinea la via da percorrere per raggiungere il traguardo prefisso.Siamoinpresenzadi un programma a lunga scadenza, ma razionalmente plausibile, perché la verità non è data immediatamente, ma è utopia che trascende il presente in direzione del futuro.85 Sebbene alla base del pensieroutopicoblochianoci sia la dialettica, si tratta però di una dialettica dinamica e aperta, quindi diversa da quella hegeliana. Lo stesso Marx,acuiBlochguardacol rispetto dovuto a un maestro, criticando il socialismo utopistico avrebbe ecceduto nell’accentuare i riferimenti agli aspetti economici e scientifici del socialismo. E i suoi seguaci posteriori hanno commesso a loro volta un grave errore privandosi dell’elemento utopico e sottovalutando le più profonde e ampie aspirazioni dell’uomo nei campi dell’arte,dellareligione,della letteratura e della filosofia. Bloch concepisce pure un «nuovo materialismo», che cerca di saldare in se stesso l’apporto del materialismo dialettico marxiano e gli «aerei sogni» del pensiero libertario-utopico.Lanozione blochiana di materia va perciòintesasoprattuttocome «potenzialità», al punto che «la categoria “possibilità” è […] sinonimo di materia. Il nomemateriavienedamater, madre. Materia significa gravidanzaoluogodelparto, in cui nasce qualcosa che finora non c’era. […] L’utopiaèunafunzionedella materia,insitainmodoaffatto necessario nella materia, a motivo del suo carattere di gravidamater».86 Alla fine sembra proprio che ci sia qualcosa di teleologico nel materialismo di Bloch e conseguentemente la sua antropologia viene costruita per sostenere una filosofia della speranza, per superarelacondizioneumana dell’alienazione proiettandosi versoilnonancora.Iltermine alienazione è ovviamente recuperato dallo hegelismo e dal marxismo, ma i primari fattori alienanti non sono identificati nelle condizioni socio-economiche degli individui. L’alienazione blochiana risale alle sue motivazioni ontologiche, consistenti nell’incompiutezza dell’essere umano nel mondo e nella sua tensione verso un compimento. E tutto ciò perché la realtà autentica è soprattutto quella del «non ancora» ossia del possibile che è pure l’origine e il fondamento della speranza e dell’utopia antropologica. Il filosofo tedesco, nell’esplorare la dimensione utopica dell’uomo in tutte le suemolteplicimanifestazioni, ritienesidebbaguardareoltre il principio del piacere e le vecchieutopiecostruitesudi esso, oltre il principio di realtà inteso come passiva accettazione del «già dato». Eglidelineacosìun’ontologia del «non essere ancora» (Ontologie des Noch-NichtSeins) basata su un’impostazione filosofica che trova espressione negli stati utopici e sulla cui fenomenologia nelle manifestazioniartisticheonei miti collettivi si sofferma attentamente la sua analisi. Ciòavvieneprincipalmentein una monumentale opera blochiana intitolata Il principio speranza (iniziata nel 1938 e pubblicata per la primavoltanel1959). In questo testo fondamentale per la filosofia contemporanea, Ernst Bloch individua nel suo principio speranza il miglior antidoto contro il nichilismo e l’angoscia esistenziale, badando però bene a non promettere redenzione e salvezza,anonconfonderela caduta di alcuni idoli con la cadutadegliideali.Mentrela speranza è la propensione dinamica dell’uomo verso il fine, l’utopia è la rappresentazione figurata di tale fine: «L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatarioperchédipersé desideraaversuccessoinvece che fallire».87 Si tratta in brevediun’ontologiafondata sullapotenzialitàdell’esseree sull’apertura al cambiamento di ciascun individuo umano, che si reputa capace di esorcizzare pure l’«ultimo nemico» costituito dalla morte. Nell’idea del «non ancora» e nella sua espressione teleologica è naturalmente insita una dimensione escatologica che risulta propedeutica all’interesse del nostro filosofo per la religione e in particolare per il messianismo.QuiperòilDio «totalmente Altro» di Karl Barth viene concepito come la raffigurazione del futuro speranzaedell’utopico,come la «meta finale» (Endziel) perseguitadagliesseriumani. In questa direzione viene reinterpretata la storia biblica di Israele dall’abbandono dell’Egitto all’esodo verso la terra promessa; esodo che è visto come l’emblema dello «spirito dell’utopia» all’internodellastoriaumana. Nella filosofia blochiana non è tuttavia possibile che alberghi il concetto tradizionale di trascendenza metafisica e l’attesa escatologica non è perciò rivoltaversounregnodiDio ultramondano, bensì a un evento immanente o mondano, che permette di pensare a un cristianesimo senza Dio e quindi «ateo».88 Il pensiero utopico concepisce così al tempo stesso una trascendenza nell’immanenza e un’immanenza nella trascendenza, nonché una visione dinamica della materialità. L’immagine di Dio pertanto non supporta l’antica nozione di Ente sommo della metafisica classica cristiana e della teologia scolastica, la cui esistenza è per altro razionalmente indimostrabile, ma quanto si denominava l’Ens perfectissimum et realissimum si risolve nell’antropologia dell’integralmenteutopico,in un «contenuto di speranza incondizionatoetotale»89. Ilmaterialismoimpedisce infatti a Bloch di accettare la presenza di un qualsiasi ente (fosse anche «divino») collocato all’esterno della materia, perché quest’ultima rimanda solo a se stessa ed è l’unica realtà sicuramente esistente. Pertanto il mistero delDeusabsconditusebraicocristiano rinvia necessariamente a quello dell’homo absconditus, contrapposto qui all’homo editus, che è compito della riflessione filosofica svelare. Dio è allora l’«ideale utopicamente ipostatizzato dell’uomo ignoto».90 È così evidente come una concezione materialistica imperniata sul tentativo di unificare all’interno della materia trascendenza e immanenza, a valorizzare all’interno della tradizione marxista quella spinta al trascendimentodisépresente nell’animo umano, che si chiamasperanzaedèsovente inverata dall’utopia, possa presentare in Ernst Bloch un solo approdo possibile: l’ateismo antropocentrico. La negazione di Dio da parte dell’ateo rispecchia infatti il momento dell’autocoscienza attraverso il quale l’essere esclusivodellamateria-natura si manifesta nella coscienza critica degli uomini, quindi contro ogni forma di alienazioneequalepossibilità concreta, seppur latente, offerta dal suo grembo di mater. Cercando l’identità dell’ateo ed esaminando il rapporto tra cristianesimo e ateismo, abbiamo già avuto occasione di accennare all’importanza che Bloch attribuiscealconfrontoconla religione, in particolare con quella ebraico-cristiana.91 In effetti il filosofo neomarxista tedesco trova riduttivo ricondurre tutto il fenomeno religioso a «oppio del popolo», perché nella realtà storica le religioni hanno sempre oscillato tra l’essere strumentideicetidominantie percorsi di contestazione del potere, ideologie repressive e aneliti alla libertà. Marx pare dunque caduto nell’errore di confondere il sincero spirito religioso degli esseri umani con l’istituzionalizzazione della religione nelle sue diverseformestoriche,anche perché non va tralasciato il fatto che il sentimento religioso è sempre presente laddove sussiste la speranza. Selareligionesia oppio dei popoli – scrive Bloch – oppure rafforzamento del valore infinito dell’anima propria e di conseguenza rafforzamento della volontà di non lasciarsi trattarecomebestie,eciò da ora, tutto questo dipende dagli uomini e dalle situazioni a cui e in cui si è predicato del cielo; per esempio la predica di Thomas Müntzer, sebbene per più aspetti riferita ai «servi celesti», non fu oppio del popolo.92 È proprio in Thomas Müntzer (1489-1525), figura quasi mitica di riformatore religioso e rivoluzionario comunista tra i contadini tedeschi del XVI secolo, che Bloch vede anticipata la sintesi finale della sua speculazione filosofica volta atenereinsiemel’immanenza del materialismo dialettico con la trascendenza della speranza e dell’utopia. Riflettendoinfattisull’eredità della religione, al termine di Ateismo nel cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e delRegno (1968) esplicita in maniera definitiva il legame tra messianismo e illuminismocometraateismo eutopia: Il messianico è il rosso segreto di ogni illuminismo che si mantiene rivoluzionario e pregnante.[…]L’ateismo è il presupposto dell’utopia concreta, così comelaconcretautopiaè l’irrinunciabile implicazione dell’ateismo. L’ateismo e la concreta utopia sono insieme, nello stesso atto fondamentale, l’annientamento della religioneelasuasperanza eretica che cammina su piediumani.93 A questo punto, procedendo dalla sua convinzione della stretta interrelazione tra cristianesimo autentico e ateismo autentico, per cui solamenteunateopuòessere un buon cristiano e soltanto un cristiano può essere un buon ateo, Bloch giunge a preconizzare anche per il futuro una possibile alleanza rivoluzionaria tra i veri marxistieivericristiani: Se il cristiano ancora pensa all’emancipazione degli oppressi e degli affaticati, se per il marxistalaprofonditàdel regno della libertà permane e realmente si identifica col contenuto sostanzializzante della coscienza rivoluzionaria, allora l’alleanza tra rivoluzione e cristianesimo nelle guerre deicontadini[diMüntzer] non sarà stata l’ultima; e questa volta essa avrà successo.94 Possiamoquinotarecome unasovrabbondanzadiutopia rischifacilmenteditramutarsi nell’utopistico e finisca così per alimentarsi solo di se stessa, come per altro inesorabilmente accade allo stesso ateismo: tanto l’eccesso di utopia quanto l’ateismo sfociano sempre in unvuotonulla. Con la conclusione del II millennio dell’era cristiana e la caduta catastrofica dell’utopia rivoluzionaria marxista, e con essa di altre utopie sorte con la contestazione studentesca del maggio francese del 1968 e tramontate tutte definitivamentecolcrollodel muro di Berlino del 1989, l’ateismo socio-politico entra in forte crisi e viene progressivamente sovrastato dall’ateismo scientista, che è oggi predominante in Occidente, ma pure in via di rapida diffusione anche nella cultura orientale. Già il teologo Romano Guardini aveva intuito l’approssimarsi della fine della modernità,95 poi apertamente teorizzata da pensatori a lui successivi come Jean-François Lyotard (1924-1998). Quest’ultimo designa col termine «postmodernità»lostatodella cultura dopo le profonde trasformazioni subite dalla scienza, dalla letteratura e dalle arti a partire dalla fine del XIX secolo. In tal modo diventa postmoderna soprattutto «l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni»,96 come appunto quelle delle trionfanti ideologie socio-politiche, ma pure quelle dell’esaltazione del potere taumaturgico della scienza e della tecnologia contenute nella filosofia positivista o del ruolo ottimisticamente progressivo dell’economia di mercato sostenuta da certo liberismo. Ma ora, col crollo definitivo dei miti collettivi, nella postmodernità ogni singolo uomo si scopre solo con se stesso, senza la possibilità di ricorrere a consolanti grandi narrazioniideologiche. Lacrisidellamodernitàsi trasformaalloranellacrisidel mondo contemporaneo costruito sull’idea di progresso e sulle visioni utopistiche nate con l’Illuminismo ed esplose nell’800; crisi in altri termini di ideologie foriere di effetti storicamente spaventosi nel ’900 quali le dittature nazifasciste e comuniste e gli orrori dei due conflitti mondiali. In un celebre saggio del 1947 intitolato Dialettica dell’Illuminismo, Max Horkheimer (18951973) e Theodor Adorno (1903-1969), fondatori della cosiddetta Scuola di Francoforte, hanno formulato unateoriacriticadellasocietà che mette in luce quella che secondo loro è stata la strana parabola della filosofia dei Lumi:laragioneilluministica tesa a promuovere la maggiorelibertàpossibileper l’individuohadialetticamente prodotto l’esatto opposto, vale a dire una nuova forma di totalitarismo. La ragione emancipatrice degli illuministi si sarebbe dunque tramutata in «ragione strumentale», perché l’Illuminismo «si rapporta allecosecomeildittatoretra gli uomini (li conosce in quanto è in grado di manipolarli)»97efinisceintal modo con l’autocontraddirsi, quindi col dare avvio alla propriaautodistruzione. Seguendo questa linea di presa di distanza da tutte le principali categorie illuministiche,iFrancofortesi hannocriticatoinugualmodo l’ateismo, il deismo e il teismo. Horkheimer in particolare ha radicalmente escluso che possa venire rintracciato un qualsiasi surrogato immanente per Dio come fanno gli atei razionalisti, ma ha contemporaneamenterifiutato l’immagine del Dio buono e giusto dell’Occidente. Anche qui come in tutti gli ateismi antropologici e socio-politici la questione di Dio diventa secondaria rispetto a quella dell’uomo concreto e della sualibertà. Adorno si è in seguito sostanzialmente mantenuto sulla via di una dialettica negativa che diventa materialistica e conduce agli esiti tragici di un pensiero umano prigioniero di se stesso.98 Horkheimer invece, in una delle sue ultime interviste, è giunto a sostenere che il mondo finito e contingente in cui viviamo, sebbene sia l’unico di cui possiamo trattare, non è necessariamente l’unico esistente. E comunque la realtàfinitaecontingentenon basta per dare un senso al Tutto: essa è sì l’unico oggetto di una conoscenza razionale, ma la sua finitezza evoca quell’inattingibile altrove,queltotalmenteAltro dove percepiamo potrebbe risiedere il significato della nostra esistenza.99 Il filosofo francofortese, pur rimanendo estraneo a qualsiasi fede religiosa positiva, intuisce dunque che non si può comprendere veramente la natura umana senza fare i conti con il problema del senso e con l’esigenza a essa intrinseca dell’attesa di un «oltre», di una «redenzione», che è poi in fondo la stessa esigenza che ha condotto il neomarxista Ernst Bloch a parlare di principio speranza ediaspirazioneutopica. Ma l’incredulità nelle meta-narrazioni teorizzata da Lyotard segna pure la caduta definitiva della fede ingenua nellecredenzereligiose,acui possiamo dire sia seguito un diffondersi spontaneo dell’ateismo pratico o dell’indifferenza consumistica e nichilistica. Sovente anche il cosiddetto «risveglio del sacro» è in realtà una forma di stravolgimento delle religioni monoteistiche e una regressione a culti premoderni, per certi versi neopagani; e d’altronde la rivisitazione del premoderno è una delle caratteristiche salienti della postmodernità. Vanotatoperaltroperinciso come tanto la diffusione dell’ateismoalivellidimassa nelle società postindustriali quanto il ritorno ricorrente del sacro costituiscono una palese smentita storica della teoria marxista-leninista secondo cui la religione e in generale la credenza in Dio sarebbero scomparse soltanto con l’avvento della rivoluzione socialista: abbiamo infatti paradossalmente assistito a una forte adesione alla religione cristiana nei paesi comunisti (per esempio la Polonia di papa Wojtyła) prima del tracollo dell’89 e per converso a una rapida crescita esponenziale dell’ateismo sia teorico sia pratico negli stessi Stati una volta entrati prepotentemente nel mondo capitalista. A ben riflettere, questa palese sfiducia nei confronti di quantohaprodottolaragione umana con la modernità è in effetti una sfiducia nelle possibilità dell’individuo umano: essa rappresenta il negativorisultatofinaleacui hanno condotto le ideologie ottocentesche e le filosofie atee che le hanno accompagnate. Facendo un bilancio conclusivo, possiamo sottolineare come l’ateismo socio-politicoabbiautilizzato e utilizzi principalmente due argomenti contro Dio e la religione: – la credenza in un Essere sovrannaturaleeleistituzioni religioseaessacollegatesono instrumentum regni, sono invenzioni dei detentori del potere per narcotizzare le masse e soggiogarle più facilmente (la religione come «oppio del popolo» di Karl Marx); – la semplice idea dell’esistenza di un Ente supremo compromette la libertà e la dignità umana (il «Se Dio esiste, l’uomo è uno schiavo» di Michail AleksandrovičBakunin). Tutti e due gli argomenti sonointrinsecamentedebolie mancano l’obiettivo di confutare o rendere impossibile credere razionalmente nell’esistenza di Dio e sviluppare una fede religiosa. Alla prima tesi è facilecontrapporreildatoper cui le credenze religiose antecedono e di molto la costituzione di un potere organizzato, in grado cioè di ideare e pianificare un uso strumentale della religione. Le prime tracce di culto risalgono infatti almeno ai Paleantropi (per esempio al celebre uomo di Neanderthal vissuto tra i 200.000 e i 40.000 anni fa) e su questo fatto non c’è più discussione tra gli studiosi: «Oggi si è concordinell’ammetterechei Paleantropi avessero una religione»100. Inoltre è risultato oggettivamente impossibile individuare per il genere umano la cosiddetta «epoca pre-religiosa» teorizzata nel ’900 da alcuni autori101; segno questo che con tutta probabilità la credenza religiosa sorse spontaneamente già tra gli ominidi del medio Pleistocene e qualcosa di analogo sicuramente avvenne anche tra i primi individui della nostra specie, a dimostrazione pure del fatto che quello religioso è un fenomeno personale ancor prima che sociale. Inoltre la religione non sempre è stata succubadell’ordinecostituito, masièpureschierataadversa regni, contro il potere regnante,comenelcitatocaso del cristianesimo rivoluzionario di Thomas Müntzer. L’idea del divino e il sentimento religioso sussistono dunque a prescindere dall’uso strumentale che ne possono fare un ceto dominante o un’istituzione di potere. Allo stesso modo le strumentalizzazioni delle convinzioni teiste e religiose dapartedeipotenti,chepure cisonostateecisonotuttora, non potranno mai servire come confutazione dell’effettivaesistenzadiDio edelledottrinereligiose:una verità resta infatti sempre tale, anche qualora venga strumentalizzatadaqualcuno. Quanto alla seconda tesi perlaqualeilconcettodiDio comprometterebbe l’umana dignità e il libero arbitrio, si deve osservare in primo luogo che può valere esclusivamente per chi interpreta la libertà degli esseriumanicometotalmente incondizionata o comunque nonsoggettaadalcunvincolo posto dall’etica e dalla convivenza sociale: in breve, vale effettivamente solo per l’anarchismorivoluzionarioo per l’Unico di Stirner. Ma oltre a questo, la teoria non costituisce comunque un argomento cogente al punto da confutare l’esistenza teorica di una divinità che abbiaconcessoaognisingolo uomo l’autonomia di scegliere se ubbidire o meno ai suoi comandamenti o alle stesse leggi naturali, come professa per esempio la dottrina ebraico-cristiana. Avverso a essa si può per giunta portare quale controesempio confutatorio il fatto che una religione o la propensione religiosa possono rappresentare non una limitazione per gli individui, ma una spinta liberatoria e di piena realizzazionedellacondizione umana, specie se marcate da unaforteattesaredentivaoda unafortesperanzadiriscatto, come pare aver compreso bene il marxista Ernst Bloch riconoscendochenonsempre enonnecessariamentelafede si trasforma in «oppio dei popoli». 1 J. Moltmann, Le radici cristiane dell’ateismo moderno, in AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, Massimo, Milano1981,p.162. 2 Vedi J. Meslier, Mémoire contre la religion,Coda,Paris2007. 3VediM.Onfray,Illuminismoestremo. Controstoria della filosofia IV, Salani- Ponte alle Grazie, Milano 2010, p. 33. Cornelio Fabro ha fatto notare il dato singolare di tre abbés (abati o curati) sostenitori di due chiari fondamenti logici dell’ateismo come il materialismoeilsensismo,ossia:Pierre Gassendi,ÉtienneBonnotdeCondillac (1715-1780) e Jean Meslier. Vedi C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno,Studium,Roma1969,p.465. 4 Voltaire (a cura di), Estratto del testamento di Jean Meslier ovvero Sentimenti del curato d’Étrépigny e di But indirizzati ai suoi parrocchiani, traduzione di Franco Virzo, Il Razionalista2006,p.2. 5 Fabro, Introduzione all’ateismo modernocit.,p.469. 6 Vedi H.S. Reimarus, I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbüttel pubblicatodaG.E.Lessing,Bibliopolis, Napoli 1977. Su Reimarus e la critica storica vedi R.G. Timossi, Decidere di credere, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012,pp.166sgg. 7 Meslier, Mémoire contre la religion cit.,pp.208-25,(traduzionenostra). 8 Voltaire, Estratto del testamento di JeanMesliercit.,p.26. 9 Le citazioni da Fabro, Introduzione all’ateismomodernocit.,pp.466e468. 10 J. Meslier, Le testament, Charles, Amsterdam1864,p.298. 11 Citata da A. Vergote, Psicologia religiosa,Borla,Roma1979,p.260. 12 J.-P. Proudhon, Système des contradictions économiques ou Philosophiedelamisère,Rivière,Paris 1923,tomoI,p.382.Vediintraduzione italiana J.-P. Proudhon, Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della Miseria, Utet, Torino 1975, p. 272. 13Ivi,p.378(ed.it.,p.270). 14Ivi,p.382(ed.it.,p.272). 15Ivi,p.391(ed.it.,p.301). 16 J.-P. Proudhon, Che cos’è la proprietà?ORicerchesulprincipiodel diritto e del governo, Laterza, Bari 1967,p.29. 17 Proudhon, Système des contradictionséconomiquescit.,tomoI, p.50(ed.it.,p.34). 18J.Maritain,AteismoericercadiDio, Massimo,Milano1982,p.208. 19 A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1990, p. 338. Vedi inoltre H. de Lubac, Proudhon et le christianisme, Éditions duSeuil,Paris1945. 20 Proudhon, Système des contradictionséconomiquescit.,tomoI, p.384(ed.it.,pp.272-73). 21 Proudhon, Che cos’è la proprietà? cit.,p.7. 22 M. Bakunin, Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e l’uomo, La Baronata, Carrara-Lugano2000,p.17. 23Ivi,p.18. 24 M. Bakunin, Dio e lo Stato, RL Edizioni,Pistoia1974,p.32. 25Ivi,p.33. 26 Ivi, p. 23. L’affermazione Credo quia absurdum (credo perché è assurdo), o più precisamente Certum est, quia impossibile (è certo, perché impossibile),ènelDeCarneChristi di Quintino Settimio Fiorente Tertulliano (155-230 d.C. ca). Vedi Q.F.S. Tertulliano,Apologiadelcristianesimo. La carne di Cristo, Rizzoli, Milano 1984,pp.368-69. 27Bakunin,DioeloStato cit., pp. 3334. 28 Ivi, p. 34. Una formulazione più correttadelragionamentoèlaseguente: Se Dio esiste, allora l’uomo è uno schiavo;Mal’uomononèunoschiavo; dunque Dio non esiste. Sul modus tollens vedi R.G. Timossi, Imparare a ragionare. Un manuale di logica, Marietti,Milano2011,pp.348sgg. 29Ivi,pp.37e39. 30 Voltaire, Épître 104. Épître à l’auteurdulivredestroisimposteurs,v. 22. 31Bakunin,DioeloStatocit.,p.38. 32 K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi,Torino1974,p.162. 33Laleggekantianaacuicisiriferisce è la seguente: «Agisci in modo che la massimadellatuavolontàpossasempre valere come principio di una legislazione universale». Vedi I. Kant, Criticadellaragionpratica,A54,Utet, Torino1970,p.167. 34 M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 2011, p. 171. 35 K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca,EditoriRiuniti,Roma1979,p. 152.VediancheG.W.F.Hegel,Lezioni sullafilosofiadellastoria,Laterza,Bari 2003. 36 Vedi J.W. Goethe, Tutte le poesie, Mondadori,Milano1997. 37F.Volpi,Ilnichilismo,Laterza,Bari 1996,p.25. 38M.Stirner,SullibrodiB.Bauer:La tromba del Giudizio Universale in Scritti minori, Treves, Milano 1923, p. 22. 39 Roberto Calasso, nel suo saggio Accompagnamento alla lettura di Stirner, sostiene in modo convincente cheNietzschehalettoL’Unicoelasua proprietà. Vedi R. Calasso in Stirner, L’Unicoelasuaproprietàcit.,pp.40910. 40 A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1994, p. 73. Camus per altro non emette un giudizio positivo su Stirner, ma neppure dimostra di aver compreso a pieno la suafilosofia. 41 Vedi M. Stirner, Scritti minori e Risposte alle critiche mosse alla sua opera «L’Unico e la sua proprietà» deglianni1842-1847, Patron, Bologna 1983,p.138. 42 Stirner, L’Unico e la sua proprietà cit.,p.13. 43 M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Mursia, Milano 1990, p. 69. Preferiamo in questo punto la traduzionediGiorgioPenzo(Mursia)a quella di Leonardo Amoroso (Adelphi) inprecedenzaseguita. 44 G. Penzo, Max Stirner. La rivolta esistenziale, Marietti, Torino 1971, pp. 162-63. 45VediG.Reale,Storiadellafilosofia antica, Vita e Pensiero, Milano 1975, vol.I,pp.209-10. 46 A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Adelphi, Milano 2007, vol.I,pp.561-62. 47 G. Penzo, Nietzsche allo specchio, Laterza,Bari1995,p.159. 48 Stirner, L’Unico e la sua proprietà cit.,p.380. 49Ivi,p.195. 50Ivi,p.380. 51Ivi,pp.380-81. 52Parmenide,Frammenti, DK 28 B 2, in H. Diels, W. Krans, I Presocratici, Bompiani,Milano2006,p.483. 53 F. Engels, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, in Scritti maggio 1883-dicembre1889, Lotta Comunista, Genova2014,p.279. 54Ivi,pp.10-11. 55Ivi,p.11. 56LecitazionidaF.Engels,Schellinge la rivelazione, in Anti-Schelling, Laterza,Bari1972,pp.116e119. 57 K. Marx, Tesi su Feuerbach, VI e VII,inOpere,NewtonCompton,Roma 2011,p.143. 58 K. Marx, Per la critica dell’economiapolitica,inOperecit.,p. 547. 59 Marx, Engels, L’ideologia tedesca cit.,p.13. 60 K. Marx, F. Engels, Manifesto del partitocomunista,inOperecit.,p.340. 61 K. Marx, Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, Bompiani, Milano 2004, pp. 99e227. 62 Marx, Per la critica dell’economia politica,inOperecit.,p.547. 63 K. Marx, Miseria della filosofia, in Operecit.,pp.155e207. 64K.Marx,Perlacriticadellafilosofia hegeliana del diritto, in Opere cit., p. 19. 65 K. Marx, La questione ebraica, in Operecit.,p.34. 66 Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere cit., p. 19. 67Ivi. 68 Marx, La questione ebraica, in Operecit.,p.34. 69 F. Engels, Bruno Bauer e il cristianesimo primitivo, «Il Bolscevico»,n.31del2009. 70 Vedi F. Engels, Sulle origini del cristianesimo, Editori Riuniti, Roma 2000. 71 Vedi L. Althusser, Per Marx, Mimesis,Milano2008. 72 K. Marx, Manoscritti economicofilosoficidel1844,inOperecit.,p.110. 73Ivi,p.104. 74 F. Engels, Anti-Dühring, Editori Riuniti,Roma1968,p.153. 75 V.I. Lenin, Riassuntodelle«Lezioni sulla essenza della religione» di Feuerbach, in Opere scelte, Editori Riuniti,Roma1973,vol.III,p.347. 76 V.I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Opere scelte cit., pp.121-23. 77 V.I. Lenin, L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1967,vol.XV,p.381. 78 Vedi V.I. Lenin, Sul significato del materialismomilitante, in Opere scelte cit.,vol.VI. 79 V.I. Lenin, Riassuntodelle«Lezioni sulla essenza della religione» di Feuerbach,inOperesceltecit.,vol.III, p.354. 80 V.I. Lenin, L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, in Operecompletecit.,vol.XV,p.382. 81V.I.Lenin,Sullareligione,Rinascita, Roma1949,pp.20-31. 82 Lenin, L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, in Opere completecit.,vol.XV,p.386. 83Ivi,pp.381-84. 84VediR.Pipes, Ilregimebolscevico. Dal terrore rosso alla morte di Lenin, A. Mondadori, Milano 1999, pp. 390 sgg. 85VediE.Bloch,Lospiritodell’utopia, Rizzoli,Milano2009. 86E.Bloch,Marxismoeutopia,Editori Riuniti,Roma1984,pp.157-59. 87 E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti,Milano1994,vol.I,p.5. 88 Vedi E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano 2005, pp.165-232. 89Bloch,Ilprincipiosperanzacit.,vol. III,p.1388. 90Ivi,p.1481. 91Vedisupracap.1,par.3. 92Bloch,Ilprincipiosperanzacit.,vol. III,pp.1281-1282. 93Bloch,Ateismonelcristianesimocit., pp.298-99. 94Ivi,p.331. 95VediR.Guardini,Lafinedell’epoca moderna,Morcelliana,Brescia1960. 96 J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2004, p.6. 97 M. Horkheimer, T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino1966,p.17. 98VediT.Adorno,Dialetticanegativa, Einaudi,Torino2004. 99 Vedi M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente Altro, Queriniana, Brescia1972. 100 M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Rizzoli, Milano 2006,vol.I,p.16. 101 Vedi F. Heiler, Storia delle religioni,Sansoni,Firenze1972,vol.I, pp.39sgg. 5 Ildestinodi un’illusione 1.Ilparadigmadominante Tra gli aspetti caratterizzantidellacrisidella modernità o, come qualcuno preferisce, della nostra epoca tardomoderna s’inserisce in ambito culturale un evento specifico, iniziato con il positivismo ottocentesco, ma rafforzatosi con i primi anni del secolo scorso e poi diventato predominante dopo glianni’50.Ciriferiamoallo strano rovesciamento di prospettiva per cui alle questioni dell’esistenza di Dio e della religione si sono dedicati maggiormente gli scienziati dei filosofi. Come abbiamo visto trattando dell’ateismoantropologico,la filosofiacontemporaneanella maggior parte dei casi ha rinunciato a dedicarsi alla speculazione metafisica, quando addirittura non l’ha ripudiata apertamente senza troppeesitazioni.Siaifilosofi analitici sia i filosofi continentali sono apparsi e appaiono perfino imbarazzati di fronte alle domande sulle cause prime e ultime, ovvero al cospetto dei classici interrogativi filosofici sul senso dell’essere e della vita umana,mentred’altrocantoi teologiinmoltecircostanzesi limitano a riproporre argomentazionicomprensibili soltantoinuncontestosocioculturale ormai lontano da quello predominate nel mondo d’oggi, che ha invece come quadro di riferimento principale la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico. Facilitati da questo vuoto teologicofilosofico, gli uomini di scienza abbandonano sempre più spesso il loro campo di specializzazione e affrontano con discreta disinvoltura i temi della necessità di una creazione, del problema del male, della predisposizione naturale alla credenza religiosa e dei fondamenti veritatividellereligioni. Sono inoltre sempre di più i libri scritti da scienziati dedicatiadargomentiqualila presenza o meno di un disegnointelligenteinnatura, la sussistenza dell’anima in rapporto con le conquiste delleneuroscienze,l’esigenza di un «primo attore» per spiegare l’origine del cosmo, le difficoltà di assegnare un destino speciale e sovrannaturale all’uomo alla lucedelleteorieevoluzioniste in biologia. Ancor più di sovente capita che gli scienziati in propri saggi di divulgazione scientifica trovino il destro per inserire delle digressioni su materie teologiche e religiose, anche perché sanno bene quanto il vasto pubblico sia interessato ai problemi metafisicoreligiosi, purché trattati in manieranontroppoastrattao con linguaggio da iniziati, bensì con riferimenti ai risultati concreti delle scoperte scientifiche. Come ha fatto notare l’astronomo e cosmologo americano Robert Jastrow (1925-2008), un tempo quando uno scienziato tirava in ballo nei suoi testi Dio, i suoi colleghi concludevano che ormai «aveva già un piede nella fossa» oppure che stava «diventando matto»,1 nell’epoca attuale invece gli scienziati paiono fare a gara nell’inserireneiloroscrittidi divulgazione scientifica, e talvoltanonsoloinquelli,un riferimento a un Ente supremocreatoreeordinatore del cosmo o a una «mente divina». Sia ben chiaro, che gli uominidiscienzasioccupino di tematiche teologiche e religiose non è né sconvolgente né tantomeno una novità, visto che l’hanno fatto pressoché tutti i grandi scienziati dalla nascita della scienza moderna a oggi, anche perché moltissimi di loro erano credenti e non di rado uomini di Chiesa. E d’altronde il ricercatore scientifico come ogni altro individuocustodiscedentrodi sé l’interrogativo sul senso dellapropriaesistenzaesente l’impellente bisogno di trovare a esso una risposta convincente. Nello scienziato come persona convivono infatti incessantemente sia le istanze epistemologiche sia quelle antropologiche, sia il metodo scientifico sia le questioni esistenziali. È pertanto non solo ammissibile, ma addirittura ammirevole che chi cerca di comprendere com’è fatto il mondo naturale si ponga congiuntamente le domande fondamentalisuciòchec’era prima e su ciò che ci sarà dopo, ossia affronti gli eterni enigmi sull’esistenza di Dio, sulla presenza nel cosmo di un ordine teleologico e sul significato della vita, in particolare di quella intelligente. Diverso e non condivisibileèinvecequando gli scienziati pretendono di essere gli unici titolati a dire una parola certa e definitiva sulla religione e in generale sui temi metafisici. Questo è quantoinpartestaavvenendo dagli ultimi decenni del XX secolo, soprattutto a opera di una schiera di scienziati dichiaratamente non credenti che giungono talvolta a professare un ateismo militante,nondiradoperfino aggressivo. Essi rappresentano il nucleo forte diquellocheèstatochiamato «ateismo scientifico» oppure «ateismo scientista», in quanto si fonda su un’estensione del metodo e delle conoscenze delle scienzenaturaliallequestioni di Dio e del valore della religione, in particolare di quella cristiana che viene a più riprese attaccata e accusata di atteggiamento antiscientifico. Come ha correttamente osservatoalcunianniorsono papa Giovanni Paolo II, lo scientismo è una concezione filosofica che «rifiuta di ammetterecomevalideforme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e la teologia,siailsapereeticoed estetico»2. Detto in altre parole, l’esclusivo modo per conoscere la realtà è more scientifico, ovvero seguire il metodo delle scienze empiriche. Ma non basta ancora, perché lo scientismo pretende pure di imporre il linguaggio scientifico come l’unico davvero significante, il solo dotato di un effettivo riferimento al mondo reale, «tacciando di “impreciso” il linguaggio ordinario e di “irrilevanti”gliassertirelativi a eventuali realtà che non sono oggetto di verifica empirica»3. E nelle manifestazioni più recenti lo scientismo si è spinto addirittura oltre questa svalutazione della cultura e dellinguaggiononscientifici, giungendo a concepire la scienza come la vera religione: quella della natura edelleconoscenzeesatte.4 Nel loro impeto combattivo,gliscientistisono giuntitral’altroadivulgareil datosecondocuilasceltaatea equindidinonappartenerea nessuna religione sarebbe tipica della stragrande maggioranza degli uomini di scienza, ma questa conclusione non è tuttora accertata in maniera attendibile perché non sussiste nessun sondaggio completo in materia. Lo zoologo e biologo evoluzionista Richard Dawkinshainvecetagliatola testa al toro etichettando come «scientificamente da analfabeti»5 ogni teismo e ogni fede religiosa. A suo dire, in parole semplici, poiché la scienza implica l’ateismo, è inevitabile stabilire una perfetta coincidenza tra essere scienziato ed essere ateo; tuttavia non vale l’inverso: tutti gli scienziati sono atei, ma non tutti gli atei sono necessariamentescienziati.Di conseguenza, stando a questa impostazionelascienzaviene ridotta a un sottoinsieme dell’ateismo. Atei scientisti come Dawkins e il filosofo cognitivista Daniel C. Dennett sembrano infatti coltivare come loro elemento prioritarioladistruzionedella religioneodellacredenzaDio tramite«crociateateistiche».6 In sostanza l’ateismo scientista o scientifico contrappone a un’interpretazione teoteleologica del mondo un’ontologia naturalistica, cheaffondalesuepiùremote radici nel naturalismo rinascimentale ed esclude qualsiasi finalismo. I suoi argomenti principali sono perciò facilmente individuabili: – la scienza ha definitivamente confutato o reso superflua l’ipotesi dell’esistenza di Dio in tutte le sue forme e in maniera particolare in quella del Creatoreintelligente; –lafedereligiosaelascienza sonotraloroincompatibili:la primaènondimostrataenon dimostrabile, la seconda è fondata sui dati oggettivi e verificabili; – la religione teme e avversa ilprogressoscientifico. In base al primo assunto scientista l’universo, gli elementi che lo compongono e la presenza dei viventi e della vita intelligente si giustificano da soli, ossia sono tutti nelle condizioni di esisterecosìcomesonosenza una causa esterna o un’intelligenza creatrice e senza un disegno finalistico. Dio è un’ipotesi non necessaria per spiegare la struttura cosmica, come ebbe a rimarcare Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) rispondendo a una precisa domanda di Napoleone Bonaparte («Sire, je n’avais pas besoin de cette hypothèse-là[Sire,nonavevo bisogno di quell’ipotesi]»)7. La teoria dell’evoluzione di Charles Darwin (1809-1882) ha poi esteso questa conclusione anche al mondo dei viventi e in particolare alla presenza della specie umana. Negli ultimi tempi l’idea di Dio è diventata pertantoperalcuninuoviatei nonsoloininfluentedalpunto di vista scientifico ed etico, ma perfino fuorviante e dannosa. Quest’ultima posizione si collega direttamente con il terzo postulato scientista secondo cui la religione sarebbenemicadellascienza; epoichéilbersagliopolemico è costituito quasi esclusivamente dalle tre grandi religioni monoteiste, risultaovviochelanozionedi un Creatore venga considerata la prima da confutare nel contrasto antireligioso. Implicito è qui pure il secondo assunto scientista che pone le religioni e la teologia agli antipodi delle scienze naturali. Mentre infatti la scienza si alimenta di fatti empirici,lecredenzereligiose (Dio,anima,vitaultraterrena, miracoli ecc.) e le speculazioni teologiche su di esse sono evidenti invenzioni dell’umana fantasia in rispostaabisogniprimordiali, quali quelli della difesa psicologica contro le avversitànaturali(inprimisle catastrofi, le malattie e la morte),nonchéall’impellente necessitàdinormeimperative intorno a cui costruire una comunitàsocialeordinata. Il perno intorno a cui si muove la tesi dell’incompatibilità e dell’inevitabile scontro tra la religioneelascienza,intorno a cui si organizza storicamente la polemica antireligiosa degli atei scientisti contro i credenti nonsolocristiani,èilcelebre «caso Galilei». Ci riferiamo all’arcinota vicenda del processo inquisitorio e della conseguente abiura cui fu costretto Galileo Galilei (1564-1642) dal Sant’Uffizio nell’anno domini 1633; vicenda che continua ancora oggiaessereimpugnatacome una clava dai proseliti del nuovo ateismo. Benché l’evento storico sia ormai stato sviscerato in tutti i suoi aspetti anche più reconditi e ne sia emersa una serie di fatti che documentano da un lato l’atteggiamento di resistenza e timore del cambiamento della Chiesa in una difficile fase della sua storia, e dall’altro qualche errore «epistemologico» di Galileo, benché lo stesso Magistero cattolico abbia riconosciuto che la condanna fu ingiusta (pronunciamento pubblico del 31 ottobre 1992), molti atei scientisti continuano ad assumere la disavventura toccata allo scienziato pisano quale esempio per negare la possibilità di un costruttivo confronto tra sapere scientifico e credo religioso, tra conoscenza scientifica e teologia, se non addirittura per proclamare l’inammissibilità di una pacifica convivenza tra comunità scientifica e comunitàreligiosa.8 L’elemento di novità dell’ateismo scientifico rispetto a quello della tradizione storica precedente risiede però soprattutto nella sua dichiarata presunzione di poter dedurre direttamente dalle scienze della natura la dimostrazione dell’inesistenzadiDioedella falsità di tutte le religioni. In alcuni casi estremi c’è poi perfino chi ritiene di poter matematicamente conseguire tale prova, come ha fatto il matematico statunitense John AllenPaulos,masitrattacon tutta evidenza di un’assurdità.9Ilprogressonel sapere scientifico assicurerebbe inoltre un’elevazione generalizzata delle coscienze e della cultura, nonché un benessere talmente diffuso da rendere pragmaticamente inutili tanto leteoriemetafisichequantole convinzioni religiose. Molto esplicito nel prospettare questa convinzione è stato il genetista neodarwiniano Julian Sorell Huxley (18871975), allorché ha sentenziato: «Presto per un uomo o una donna istruiti credere in Dio sarà impossibile quanto lo è il crederechelaTerraèpiana». Inserendosi inoltre dalla sponda evoluzionistica nel programma degli atei scientisti per farci transitare da un’interpretazione teologica del mondo a una naturalistica, ha aggiunto che è necessario cambiare «la forma del nostro pensiero religiosodaunochesicentra su Dio a uno che si centra sull’evoluzione»10. In breve, perl’ateismoscientistapresto solamente gli ignoranti o le persone in malafede non sarannodichiaratamenteatei. Nella loro frenetica attività propagandistica, gli atei scientisti risultano favoriti non poco dalla mentalità positivistica generalmente diffusa nell’opinione pubblica occidentale e in via di crescente consolidamento anche nelle altre regioni del globo terrestre. Questo paradigma culturale oggi ancoradominantesisostanzia in una concezione erronea delle scienze naturali quali uniche forme di conoscenza significativaeoggettivamente sicura. L’idea della scienza come suprema e unica forma di sapere non ha tutto sommato un’origine lontanissima, dal momento che la venerazione incondizionata per i risultati della ricerca scientifica risale alla corrente del positivismo filosofico attiva dal XIX secolo, per la quale fuori dalle discipline scientifiche «positive»(dallatinopositum –ciòcheè«posto»,nelsenso di «fondato») si incontra esclusivamente un esercizio soggettivodellamenteumana a cui non corrisponde niente di reale od oggettivo: solo idee vuote o insiemi a estensione nulla. Sono stati successivamente i cosiddetti «neopositivisti» con i loro studi logico-linguistici a rinverdire nel ’900 una visione scientifica del mondo che prende le distanze dalla metafisica e dalla religione: «Il metafisico e il teologo credono, a torto, di asserire qualcosa, di rappresentare statidifatto,medianteleloro proposizioni. Viceversa, l’analisi mostra che simili proposizioni non dicono nulla, esprimendo solo atteggiamentiemotivi».11 In estrema sintesi, il positivista dell’immaginario collettivo è un individuo dotato di una mentalità scientifica rigorosa, che analizzaifatticonoggettività e assoluto distacco emotivo ricorrendo alla strumentazione tecnologica più avanzata; qualcuno sempreprontoadapplicareil metodo sperimentale e alla ricercadiconoscenzeesattee incontrovertibili.Unapersona di tal fatta crede esclusivamenteaciòchevede o a ciò che tocca e rifiuta qualsiasi riferimento al soprannaturale o al trascendente: per lui esistono soltanto i fatti nudi e crudi, i fenomeni empiricamente verificabili, mentre tutto il resto rappresenta o una creazione fantastica o un vaneggiamento della mente umana. La sua filosofia di fondo è pertanto quella materialistica, reinterpretata secondo le teorie più recenti del moderno naturalismo evoluzionistico che esclude l’esistenza di qualsiasi realtà oltre quella della natura o della materia descritta dalla conoscenza scientifica e propone «una concezione soltantonaturaledelmondoe dell’uomo».12Qualcunoloha perciò pure denominato «naturalismo scientifico», generandocosìunaperniciosa confusione sul carattere della filosofia naturalistica che è opportunochiarire. Puressendoilconcettodi naturalismotuttoraoggettodi discussione, possiamo distinguerne almeno due tipologie: il naturalismo metodologicoeilnaturalismo metafisico od ontologico.13 Definiamo «naturalismo metodologico» quello posto allabasedellascienzaechesi propone di fornire soltanto spiegazioni naturali o empiriche, escludendo come regola metodica la possibilità diindagareciòcheesorbitala realtà spazio-temporale; in breve «gli scienziati non si appellano a entità soprannaturali quando spiegano i fenomeni naturali».14 Il naturalismo metafisico od ontologico per contro non solo nega la possibilità di un’indagine razionaleintornoaunarealtà meta-empirica, ma proclama l’esclusivarealeesistenzadel mondo fisico o della natura, per cui per principio non sussiste nulla oltre la dimensione naturale: la sua manifestazione più nota è infatti quella del materialismo. Il naturalismo dellascienzaoscientificonon puòdunquecheessereditipo metodologico, mentre il naturalismo evoluzionistico o positivistico si dimostra a tuttiglieffettiunnaturalismo ontologico, ossia una concezione filosofica e talvoltaideologicadelmondo che esclude per principio il meta-naturale o il soprannaturale.15 Da attendibili indagini sociologiche, la credenza più diffusa nel mondo intorno alla scienza è il cosiddetto approccio copy theory, «basatosullaconvinzioneche la conoscenza scientifica sia la copia fedele del mondo e che gli scienziati possano sbagliare o non essere a conoscenza di qualcosa solo perché non hanno guardato affatto o a sufficienza un determinato fenomeno della natura»16. Sono invece scarsamente presenti nel comune sentire le informazioni sui limiti dei metodi scientifici ben individuati dalla filosofia della scienza contemporanea esullelimitazioniintrinseche alle stesse possibilità della conoscenza scientifica, che emergono da principi come quello di indeterminazione di Werner Heisenberg (impossibilità di stabilire contestualmente per una particella la posizione e la quantità di moto) e nei teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (esistono enunciati non dimostrabili all’interno di un sistema logico-formale)onelteorema in qualche modo collegato di Gregory Chaitin (non esiste alcuna regola generale per riconoscere la casualità e quindi nessuna comprensione dellarealtàèdefinitiva). Queste sono dunque le basi teorico-pratiche dell’ateismo scientista o scientifico, interpretate ovviamente in maniera differente dai suoi protagonisti, che negli ultimi tempi risultano prevalentemente degli scienziati,inspecialmododei biologi o dei teorici dell’evoluzionismo darwiniano.Maperprocedere con ordine, è preferibile iniziare l’esame critico delle posizioni dei diversi atei scientisti dai presupposti storici dello scientismo e quindi dai fondatori della filosofiapositivista. 2.Lostadiopositivo Iltermine«positivismo»è stato utilizzato per la prima volta dal pensatore francese Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (17601825) – il profeta di Le Nouveau Christianisme (1825) ossia di un nuovo cristianesimo umanisticosociale – per indicare il metodo oggettivo delle scienze naturali. Il fondatore indiscusso dell’indirizzo positivista è tuttavia un altro cittadino di Francia: Auguste Comte (1798-1857). Quest’ultimo concepisce la parola «positivo» come sinonimodireale,difondato, di utile, di certo o sicuro, di preciso e di oggettivo. Il «positivo» corrisponde pertanto essenzialmente al fatto empirico, mentre il termine contrario «ideale» è l’equivalente di chimerico, illusorio, fatuo, effimero, quindi di ciò che non trova corrispondenza nei dati empirici. Egli intende insomma perseguire una concezione del mondo non idealistica, bensì conforme a quello che chiama esprit positif (spirito positivo), ovvero alla realtà dei fatti accreditati innanzitutto tramite l’esperienza sensoriale. Questa forma di sapere risiede perciò soltanto nella scienza moderna che fa ricorsoalmetodoempirico,in particolar modo ovviamente nelle scienze della natura definite appunto «scienze positive», al cui vertice starebbelafisica.Lafilosofia percontro,almenofinoaquel momento, si sarebbe cimentatainunsaperefittizio e irreale, rappresentato magistralmente dalla metafisica. Il compito che si autoassegna Comte consiste nell’introdurre e far riconoscere il primato del metodo scientifico anche nell’ambito dell’indagine filosofica, orientandola così finalmente verso un oggetto concreto ovvero positivamente verificabile, il quale non consisterà certo nella ricerca di fantomatici primi principi, essenze o fondamenti metafisici delle cose, bensì nel vasto settore dei fenomeni sociali osservabili empiricamente. Infatti «la filosofia positiva è innanzitutto profondamente caratterizzata, in qualsiasi soggetto, da questa subordinazione necessaria e permanente dell’immaginazione all’osservazione, il che costituisce soprattutto lo spirito scientifico propriamente detto, in opposizione allo spirito teologicoometafisico».17 Latesidellavacuitàdella metafisica ha come ispiratore primario l’empirista scozzese David Hume (1711-1776), che lo stesso Auguste Comte indica come suo «principale precursore in filosofia». La criticaantimetafisicahumiana è di una radicalità straordinaria e capace di impressionare tuttora chiunque vi si imbatta, come per altro capitò al grande Immanuel Kant, il quale le attribuì apertamente il merito di averlo svegliato dal suo torpore metafisico: «Lo confessofrancamente–scrive nel1783ilfilosofotedesco– l’avvertimento di David Hume fu proprio quello che, molti anni or sono, primo mi svegliò dal sonno dogmatico».18 Il filosofo scozzese negava infatti qualsiasi valore assoluto ai concettimetafisiciconsolidati della tradizione occidentale e dellafilosofiamoderna,come adesempioquellidicausalità, sostanza materiale (res extensa) e sostanza spirituale o cogitante (res cogitans), e viadicendo.Delleentitàacui associamo tali concetti (es. causa prima, essenza e anima), non possediamo infatti nessuna esperienza o impressionesensorialediretta epertantononc’ènullacheci consenta di confermarne la reale esistenza. È l’abitudine che ci induce a vedere nella contiguità spazio-temporale di due eventi una relazione causale, nelle impressioni esteriorideglioggetti(colore, forma ecc.) la presenza di entità sottostanti che le produconoeneinostristatidi coscienza (sentimenti, pensieri, passioni ecc.) le manifestazioni di un’entità sottostante di natura spirituale. L’abitudine, in altreparole,suscitainnoiuna serie di «credenze» che non rappresentano mai una conoscenza certa, ma piuttosto una pulsione naturale,unsentimentosucui sentiamo la necessità di impostarelanostraesistenza. Non sorprende pertanto che per Hume la teologia naturale risulti una disciplina senza valore conoscitivo e perciò inutile. Se come sosteranno gli stessi positivisti, ogni credenza presumibilmente vera è costituitasoltantoda«materia di fatto» ossia empirica, non si può non concludere che tutte le prove razionali dell’esistenza di Dio, in quanto meta-empiriche, non rientrano tra le conoscenze attendibili. E le conseguenze pratiche da trarre sono allora addiritturadevastanti: Quando scorriamo i libri diunabiblioteca,persuasi di questi principi, che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene allemaniqualchevolume per esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto sulle quantità e suinumeri?No!Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto e di esistenza? No! E allora gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie einganni.19 Scetticoversoimiracolie nei confronti delle dottrine cristiane, come per altro di qualsiasi altra religione storica, Hume è però un agnostico o un deista piuttosto che un ateo, mentre nel positivismo filosofico si possono certamente riconoscere degli agnostici, ma difficilmente si troveranno dei deisti e ancor menodeiteisti,almassimoci sarà qualche panteista. Comte,dopoaverdistruttosu basi humiane la metafisica qualevacuoragionareintorno a idee astratte, fittizie e meramentespeculative,come lateoriadelleideediPlatone o le «forme» aristoteliche, si esprime negativamente anche sulla realtà di Dio proprio perchénonpuòdirsiinalcun modo un ente «positivo» oggetto di conoscenza empirica. Analogo discorso vienedaluiestesoamaggior ragione alle religioni, che intorno a una nozione evanescente di divinità costruiscono un insieme di credenze lontanissime dalla possibilitàdiessereverificate su basi empirico-razionali e appartenenti a fasi immature del sapere e della condizione socialedell’umanità. Piuttosto nota è in proposito la cosiddetta «grande legge dei tre stadi», espostanelCorsodifilosofia positiva (pubblicato tra il 1830eil1842)edaassumere quale tesi centrale di una filosofia della storia evoluzionistica. Studiando lo sviluppo dell’intelligenza umana – affermaComte–[…]dal suo primo manifestarsi a oggi, io credo di aver scopertounagrandelegge fondamentale […]. Questa legge consiste in ciò: che ciascuna delle nostre concezioni principali, ciascun ramo delle nostre conoscenze passanecessariamenteper tre stadi teorici differenti […]. Di qui tre tipi di filosofia, o di sistemi concettuali generali, sull’insieme dei fenomeni, che si escludono reciprocamente. Il primo è un punto di partenza necessario dell’intelligenzaumana;il terzoèilsuostatofissoe definitivo; il secondo è unicamente destinato a servire come tappa di transizione.20 Il progresso intellettuale umano avrebbe in sostanza attraversato tre fasi o età cruciali, di cui la prima di avvio del processo evolutivo, la seconda di passaggio e la terza definitiva. Ecco i tre stadicomtiani: –teologicoofittizio –metafisicooastratto –positivooscientifico. Nel primo stadio, quello teologico o fittizio, ci troviamo nell’infanzia dell’umanità e gli uomini sperano di controllare i fenomeni naturali ricorrendo a esseri divini o soprannaturali inventati, del tutto irreali perché esistono soltanto nella nostra mente. Questa età va ripartita in tre momenti direttamente corrispondenti allo sviluppo delle credenze religiose: il feticismo, il politeismo e il monoteismo. Nello stadio metafisico o astratto si entra invece nell’adolescenza del genere umano e si passa quindi dalle fantasie o dalle visioni mitologiche alla riflessione filosoficometafisica, la quale concepisce per pura astrazione enti, essenze, principi o forze ideali (per esempio la res extensa e la res cogitans di Cartesio, la sostanza unica di Spinoza, il Dio grande architetto dei deisti ecc.) allo scopo di ordinare e giustificare razionalmente il mondo fenomenico. La funzione del secondo stadio è utile al superamentodellareligionee della mitologia, ma non costituisce ancora il vero sapere, l’autentica conoscenza della realtà, l’età adulta dell’uomo o «stato virile dell’intelligenza». Quest’ultima infatti appartiene unicamente al terzo e definitivo stadio, quello positivo o scientifico, nel quale l’intelletto umano giunge a comprendere che non ha alcun senso inseguire fondamentioprincipiassoluti dellecoseesiconcentrasullo studio scientifico delle leggi naturali che regolano l’intero universo: Nello stadio positivo lo spirito umano nel riconoscere l’impossibilità di ottenere delle nozioni assolute, rinuncia a investigare sull’origine e la finalità dell’universo, e a conoscere le cause intime dei fenomeni, per applicarsiunicamentealla scopertaattraversounuso proporzionato del ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni invariabili di successione e di similitudine.21 L’ateismo del fondatore della filosofia positivista si esprime dunque nel rifiuto di qualsiasi rilevanza dei principiassolutieingenerale delle realtà sovrannaturali, presentate come retaggio di una fase dell’umanità appartenente a un’età adolescenziale o giovanile se si tratta della teologia filosofica, mentre è sicuramente infantile quella delle credenze religiose. L’attacco alle prove dell’esistenza di Dio si fa allora molto esplicito e diretto; esse infatti avrebbero conseguito come principale risultato non quello di diffondere certezze teologiche, bensì di seminare dubbi. Non solo le innumerevoli dimostrazioni dell’esistenza di Dio – afferma Comte – diffuse, con tanto clamore, a cominciare dal XII secolo, constatano altamente lo slancio dei dubbi arditi di cui questo principio era già allora l’oggetto diretto, ma si può assicurare pure che esse hanno contribuito molto a propagarli […]. Mi pare che Pascal sia il solo filosofo di questa scuola che abbia realmente compreso e abbia decisamente segnalato il pericolo radicale insito in queste imprudenti dimostrazioni teologiche.22 In altre parole, se la teologia filosofica ha l’esigenza di argomentare razionalmente l’esistenza del divinoèproprioperchénonsi sente sicura, perché è consapevole di quanto tale esistenza sia incerta e di quante perplessità scettiche travagliano la mente degli stessi teologi. Avrebbe pertanto visto giusto Blaise Pascal (1623-1662) allorché ha manifestato la propria perplessità rispetto all’efficacia delle vie razionali per dimostrare l’esistenza di Dio, rispetto al cosiddetto «Dio dei filosofi».23 Tuttavia anche Comte, pur partendo da basi scientiste, sembra alla fine seguire la parabola dell’ateismo antropologico, perché una volta eliminata la nozione del trascendente e dell’Ente supremo quale spiegazione universale delle cose si ritrova assillato dal problema di attribuire un significato unitario alla realtà e in particolare alla vita umana. Egli d’altronde era ben consapevole della naturale religiosità dell’uomo e lui stesso probabilmente nutriva nascostamente un profondo sentimento religioso, almeno a giudicare dal comportamento ieratico e profeticodeisuoiultimianni. Così come infatti all’inizio della sua attività di filosofo aveva tramutato la scienza in filosofia, nella fase finale arriva incredibilmente a trasformare la filosofia in religione, compiendo la singolare operazione per cui «dopo essere stato Aristotele nella prima parte della sua vita, sarà san Paolo nella seconda»24. In opere quali Sistema di politica positiva (1851-1854) e Catechismo positivista (1852),Comtesiautopropone e autoproclama guida spirituale e capo carismatico di un nuovo credo religioso capacedisostituirealcultodi Dio quello dell’umanità, da lui definita Grand Être. Il «Grande Essere» difatti altro nonèsenonl’insiemeditutti gli esseri umani di tutti i tempi, passati, futuri e presenti, i quali costituiscono la «popolazione soggettiva» da distinguere attentamente dalla«popolazioneoggettiva» degli uomini del presente. A questapopolazionesoggettiva va assegnato il merito di concorrere liberamente a perfezionare l’ordine universale delle cose. Nella nuova religione comtiana al culto cristiano dei santi si sostituisce quello degli eroi della scienza e della civiltà, mentre l’aldilà è rappresentato dalla memoria delle buone opere «positiviste» compiute. E ovviamente i sacerdoti officianti di questa singolare religione sono l’intellettuale positivista, lo scienziato e soprattutto il sociologo. La sociologiaèinfattiperComte la nuova importante «scienza dell’umanità» da porre al verticedellaclassificaditutte le scienze positive. Viene insomma fondata una vera e propria Chiesa positivista, che tra l’altro pare vantare tuttora nel mondo qualche adepto e qualche cappella in cui riunirsi (per esempio a Parigi e a Porto Alegre). Quellacheilfilosofofrancese chiama «religione senza Dio», ossia la nuova «religione dell’umanità», rappresenta il compimento naturale dello stadio positivista; ma sebbene lui non se ne renda conto, è anchedifattolarivalsadiuna teologia che alle divinità tradizionalinesostituisceuna nuova:l’umanità. Se qualcuno è rimasto meravigliatodiquestoritorno neanche troppo sotto mentite spoglie allo stadio teologico, farebbe invece bene a riflettere su quanto questo approdoreligiososiadeltutto conseguente alla tesi che fa della scienza un sapere assoluto e lo strumento di un progresso illimitato, probabilmente infinito. E se la conoscenza scientifica diventa oggetto di venerazione, se la scienza diventa una nuova forma di fede, allora la specie umana che l’ha creata finisce inevitabilmentepersostituirsi a Dio secondo il classico percorso postulatorio e antropologico dell’ateismo. Ecco del resto le emblematiche parole di Comte: La vera religione del Grande Essere: al suo principio affettivo, il positivismo deve collegare un centro unitario, che comprenda contemporaneamente il sentimento, la ragione e l’azione. […] Essa è interamente soddisfatta dalla convergenza naturaledituttigliaspetti positivi verso la grande concezione dell’umanità, che elimina irrevocabilmentequelladi Dio.25 Il tentativo di Comte di sostituire alle religioni tradizionali una nuova religionecheveneril’umanità invece di qualche fittizia divinità si può tranquillamente definire «scientista», anche perché questo termine non ha valenzanegativanelpensiero comtiano. Émile Durkheim (1858-1917), un altro grande sociologo francese non credente,riflettendonel1912 sulla«religionedell’umanità» nesancivailtotalefallimento e ne individuava a ragione la causa nel suo carattere artificioso e al tempo stesso imitativodicultistoricamente esistenti: «È questo che ha reso vano il tentativo di Comte di organizzare una religione in base a vecchi ricordi storici, artificialmente risvegliati: è soltanto dalla vita stessa, e non già da un passato morto, che può scaturireuncultonuovo».26 Dopo il fallimento del progetto feuerbachiano di umanizzazione di Dio, assistiamo allora pure al fallimento del progetto di divinizzazione dell’uomo fondato sulla scienza moderna. Risulta così evidente la contraddizione fondamentale non solo dell’ateismo scientista, ma di qualsiasi forma di ateismo fino a ora incontrato. L’ateo sostituisce infatti sempre alla deprecata idea di un Ente assoluto trascendente un Assoluto immanente, finendo spesso con l’attribuire più o meno consapevolmente all’essere umano qualità «trascendenti»checertamente nongliappartengono. 3.Igermoglidelpositivismo Il clima positivistico ottocentesco costituì un humus fertile per la diffusione dell’ateismo scientista o comunque ispirato dal metodo e dalle conquiste della scienza. L’approccio filosofico comtiano incontrò subito molti estimatori e imitatori, specie nell’ambito della culturadilinguafrancese,che cercarono di applicarlo in diversi rami del sapere. Per glistudisullareligionedaun punto di vista scientifico e soprattutto per la critica storica al cristianesimo con orientamento scettico spicca lafiguradelfilologoestorico Joseph-Ernest Renan (18231892). La sua opzione culturaledibaseeraperaltro già chiara intorno ai venticinque anni, quando consigliava di «non cercare l’assoluto che nella scienza», perché «la scienza è una religione:essasoloormaipuò produrre i simboli, essa sola può risolvere all’uomo gli eterni problemi, dei quali la sua natura esige imperiosamente la soluzione».27 Professore di lingue semitiche, Renan diventò piuttosto celebre per una sua Vie de Jésus (1863), primo volume di una storia delle origini del cristianesimo costituitadabenottotomi.In essa indica subito quale compito principale dello storicoquellodiescludereda una biografia come la sua tutto ciò che si rivela inverificabile o indimostrabile per via empirico-razionale. Questa indicazione metodologica lasciafacilmenteintuirecome lasuaintenzionefossequella di puntare da un’ottica rigorosamente storicofilologica a un profondo riesame delle verità su Gesù di Nazaret, sui Vangeli e in generale sul protocristianesimo. E il successo straordinario per quei tempi del suo libro, che vendette in breve tempo in Francia oltre sessantamila copie e superò perfino quelle di prima uscita del romanzo Madame Bovary di Gustave Flaubert, dà il segno di quanto l’ideale positivista risultasseormaidiffusotrale personecolte. Il filologo francese s’inserì così a pieno titolo nellaQuestfortheHistorical Jesus [Ricerca del Gesù storico] e più precisamente nella sua prima fase denominataOldQuestoFirst Quest[AnticaricercaoPrima ricerca],laqualeavevacome scopo prioritario la ricostruzione della figura storicadiGesùdiNazaretcon l’ausilio esclusivo di metodologie storico-critiche. Si affiancava in tal modo a studiosi del livello di Hermann Samuel Reimarus (1694-1768),HeinrichPaulus (1761-1851),DavidFriedrich Strauss, Ferdinand Christian Baur (1792-1860) e Bruno Bauer,iqualidadiversifronti (esegetico, filologico, filosofico, teologico ecc.) entravano in contrasto col cristianesimo ufficiale e ponevano in discussione il valorestoricodeitestibiblici, in particolare dei Vangeli, puntando a plasmare una nuova immagine di Gesù più aderenteallastoriarealeopiù facilmente a una moderna filosofia della storia.28 Perlomeno inizialmente l’impostazione scientifica di Renan non aveva però alcun intento polemico nei confronti della Chiesa (o delle Chiese, visto che si occupava anche delle Sacre Scritture ebraiche) e non cercava neppure di attaccare direttamente le dottrine cristiane; ma sta di fatto che la scelta di considerare fondato soltanto ciò che nei testi biblici resisteva ai metodi della scienza filologica e al razionalismo storico poneva inevitabilmente in discussione molta parte della teologia,riversandoun’ombra sulla veridicità degli stessi dogmicristiani. Rilevare con spirito scientifico incongruenze, dati incerti o dubbi e falsità storiche o di datazione negli scritti neotestamentari non poteva del resto non avere cogenti conseguenze sotto l’aspetto della verità oggettiva: «Il problema di sapere – sostiene infatti Renan – se ci sono contraddizioni tra il quarto Vangelo e i Sinottici è un problema di fatto. Ora, io vedo queste contraddizioni conun’evidenzaassoluta,che ciscommettereisopralavita, anche la mia eterna salvezza»29. Da giovane credente frequentatore del seminario Saint-Sulpice di Issy-les-Moulineaux vicino a Parigi, dove tra l’altro pare apprezzasse pure gli insegnamenti di filosofia, sotto l’influsso della mentalità positivistica che lo conduceva a considerare valido solo ciò che veniva confermato dalla scienza, si trasformò così in un critico della teologia e del credo cristiano ufficiale: «Si cercherebbe inutilmente nel Vangelo una proposizione teologica.Tutteleprofessioni di fede sono travisamenti dell’idea di Gesù. Se Gesù ritornasse tra noi, non riconoscerebbe per suoi discepoli coloro che pretendono di rinchiuderlo tutto in alcune frasi del catechismo»30. La critica storica e filologicanonimpedìtuttavia a Renan di esprimere grande ammirazione nei confronti della persona di Gesù di Nazaret, che reputava «un uomo di proporzioni colossali» e nei confronti del quale il miglior atto di rispettoincoerenzaconlasua predicazione consisteva nel collocarlo«nellapiùaltavetta della grandezza umana». Per altrolareligionecristiananon poteva realisticamente essere il prodotto della sua sola azione, bensì dell’attività di tutta una tradizione storica lunghissima e proteiforme: infatti «noi riconosciamo certamente nel cristianesimo un’opera troppo complessa, per essere stata creata da un uomo solo; vi ha collaborato l’umanità intera». Gesù è quindiunodegliindividuipiù elevati che hanno calcato la Storia, ma deve restare per noi soltanto un uomo, perché noncisonoprovescientifiche enonpotrannoprobabilmente essercene mai che fosse qualcosa di più di un semplice vivente della nostra specie.Questod’altrondeèil rigore che si richiede a chi come Renan «ha consacrato lapropriavitaallascienza»e così facendo «ha fondato un nuovo ideale di moralità». A chi è tenuto ad applicare una simile nuova etica positivistica, se gli si domanda se «è permesso chiamare divina questa sublime persona [del Nazareno]», può rispondere favorevolmente «non perché Gesù abbia in se stesso assorbito tutto quanto il divino, ma perché Gesù è l’individuo che fece fare alla sua specie il massimo passo verso il divino. […] In lui si condensò quanto la nostra natura ha di elevato e di buono».31 Come si può notare ritroviamoquipiùdiqualche traccia del programma di umanizzazionediDioportato avanti in filosofia da Ludwig Feuerbach, con la differenza che in questo caso viene applicato a un uomo solo o comunqueaqueipochiesseri umani elevabili allo stesso livello di Gesù di Nazaret. Individui costoro che innalzano il genere umano all’altezza del divino, tanto che Renan conclude con un eloquente invito: «Inchiniamoci davanti a questi semidei».32 Di fatto assistiamo contemporaneamente a un’umanizzazione del Gesù concepito come Cristo Signore e a una semidivinizzazionedell’uomo di Nazaret. Giunge in tal modo a compimento da un duplice versante l’equiparazioneantropologica dell’uomoaDio:daunlatola teologia viene ridotta ad antropologiaconFeuerbache dall’altro l’antropologia diventateologiaconRenan.È corretto allora sostenere che «le due forme più diffuse di ateismo ottocentesco sono entrambe forme di ateismo sostitutivo» e procedono entrambe dall’assunto feuerbachiano«Homohomini deus».33 Se Renan contribuì oggettivamente a diffondere l’ateismo positivista, resta però difficile affermare con sicurezza che fosse convintamenteateo;forseera piuttosto un panteista, perlomeno se si possono attribuire a lui queste parole messe in bocca al personaggio di Teoctiste nei suoi Dialogues philosophiques (scritti nel 1871 sotto l’influsso dei tragici eventi della Comune di Parigi e pubblicati nel 1876): «L’universo sarà così compiuto in un solo essere, nell’infinito del quale si riassumeranno miliardi e miliardi di vite, a un tempo passate e presenti. Tutta la natura vivente produrrà una vita centrale […]. Ci sarà un’unica coscienza per tutti […]. L’universo sarà un insieme smisurato di polipi»34. Inoltre in uno dei suoi frammenti precisa: «Dio = la coscienza del polipo»35. D’altronde egli continuò fino all’ultimo a riconoscere aspetti etici importanti in un rapporto sincero degli individui umani con Dio, perfino da parte del bestemmiatore: «Ogni riflessione che trasporta l’uomo fuori dal cerchio ristretto del suo egoismo è salutare e buona per l’anima […]. La bestemmia del grande intelletto è a Dio più gradita che la preghiera interessatadell’uomovolgare, perché […] racchiude una parte di giusta protesta, mentre l’egoismo non contiene nessuna parte di verità».36 Per fare un sintetico bilancio, sono da apprezzare lebuoneintenzionidiJosephErnest Renan nell’estendere glistrumentidiindaginedella filologia scientifica ai testi sacri, secondo lo spirito positivisticodelsuotempo,e ugualmente vanno riconosciuti i meriti del metodo storico-critico applicatoallaBibbia.Sideve tuttavia contestualmente porre in chiaro che tramite tanto l’esegesi filologica quantolacriticastoricanonsi potrà mai conseguire una descrizione sicura del «Gesù reale» e tantomeno confutare il fondamento della fede cristiana.Cometraiprimiha messoinevidenzailmedicoe teologo tedesco Albert Schweitzer (1875-1965), chi come Renan si è spinto troppo oltre nel tentare di identificare l’autentico Gesù storico ha finito per fornirci una raffigurazione molto personale e talvolta perfino ideologica del Nazareno; raffigurazione che ha poco o nulla a che spartire con l’oggettivitàscientifica.37 Sicuramente e risolutamente ateo fu invece unaltropersonaggiofrancese influenzato dal positivismo: FelixLeDantec(1869-1917). Biologo e docente di fisiologia ed embriologia alla Sorbona, riprese il pensiero del materialista Paul-Henry Thiry d’Holbach e fu probabilmente il primo a utilizzare l’espressione «ateismo scientifico» per definire il suo modo di considerarsi ateo. Riteneva infatti che le credenze metafisiche,eticheereligiose altro non fossero se non invenzioni erronee tramandate per abitudine ereditaria, destinate inesorabilmente a essere cancellate dal progresso scientifico. Il suo era un ateismo evoluzionistico di stampo lamarckiano, ossia convinto dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti all’interno di una specie vivente, e pertanto «l’esistenza di Dio non spiegava nulla, poiché nontrovavoalcunsensoatale formula; ricercavo perciò di preferenza le spiegazioni che sono chiamate materialiste; l’anima mi era tanto estranea quanto Dio, era per me una parola che celava un errore». A chi gli faceva notare come l’ipotesi Dio fosse indispensabile per spiegare l’esistenza del cosmo, egli rispondeva di non vedere «per nulla la necessità che qualcuno abbia creato il mondo. Se mi si chiede, al contrario, qual è stata l’origine del mondo? Risponderò umilmente: non so; non vedo neanche una ragione perché il mondo abbia dovuto avere un’origine,uninizio».38 Con Le Dantec ci troviamo in presenza di un monismo materialista, iatromeccanicistico in fisiologia umana (l’organismo umano è un insieme di «macchine» oppure un’unica macchina complessa),quindisensibilea una spiegazione meccanicistica della vita, ma che a differenza degli atei scientisti odierni sembra almeno in apparenza più disponibile ad «ammettere la buona fede dei propri contradditori, anche quando si è nell’impossibilità di rappresentarsi la loro mentalità con qualche verosimiglianza».39 Tutto questoancheselaprimaparte della sua opera filosofica più celebre–L’athéisme(1907)– punta a porre in evidenza l’assurdità di qualsiasi dimostrazione dell’esistenza di Dio, che in effetti servirebbe solo a confermare la convinzione di chi già crede: «Una cosa mi ha sempre profondamente sorpreso, ed è che i credenti d’ogni epoca abbiano cercato e fornito prove dell’esistenza di Dio. Naturalmente esse sono inconfutabili per coloro che le utilizzano; sfortunatamente,losonosolo per loro, provano che essi credono in Dio e questo è tutto». Se infatti un teorema di geometria vale per tutti, «nei credenti, invece, la certezza dell’esistenza di Dio è preesistente alla dimostrazione che non vi aggiunge nulla. […] La presenza d’atei dimostra proprio che le prove dell’esistenza di Dio non valgononulla».Cercaredelle prove può allora risultare addirittura controproducente, come per altro qualsiasi tentativo di affermare la propriafede,perché«unateo, ritenendole insufficienti, si sentirà, proprio per questo, maggiormente autorizzato a proclamarsi ateo»; tanto è vero che a suo giudizio «i Pensieri di Pascal sono il libro maggiormente in grado di rinforzare l’ateismo di un ateo».40 Qui Le Dantec dimostra però di aver compreso assai menobenediAugusteComte ilpensierodiBlaisePascal,il qualeerainrealtàperlomeno tiepido nei confronti delle proverazionaliasostegnodel «Dieu des philosophes et des savants» (Dio dei filosofi e dei dotti)41 e cercava piuttosto le raisons du cœur (ragioni del cuore) che «la ragione non conosce».42 Per altro l’ateismo di Le Dantec si fondava erroneamente su un determinismo assoluto derivante dalle sue convinzionibiologichebasate sulletesilamarckiane,chelui ovviamente reputava scientifiche, mentre considerava non scientifiche leteoriediDarwin:«Checché ne pensino i neodarwinisti, […] le cause di variazione sconosciute diffuse nel mondosonoimpotenticontro la necessità tratta dalle due leggibiologiche».43 È per noi oggi scontato che in fatto di evoluzione biologicatraJean-Baptistede Lamarck (1744-1829) e CharlesDarwinavevatortoil primo e ragione il secondo, quindi ci è facile concludere chepureLeDantecsbagliava conlasuavisionescientifica. Ci viene anche spontaneo esclamare «per fortuna!», dal momento che il suo determinismo biologico avrebbe cancellato davvero l’umanoliberoarbitrio.Mase è tanto facile sbagliare nella valutazione delle verità scientifiche, dobbiamo correttamente concludere che lo sarà ancora di più e con maggiore probabilità quando si ritiene di poter fondare scientificamente l’ateismo come pretendeva di fare Le Dantec.Iltentativopositivista di estendere i metodi delle scienze naturali al problema dell’esistenza di Dio e al valoresalvificodellereligioni è infatti oggi giustamente considerato assurdo dalla stragrande maggioranza degli scienziati e da tutta la modernaepistemologia.44 4.Unaproiezioneinconscia Dopo il successo nella seconda metà dell’800 della visione scientifica del mondo del positivismo, per pressochétuttalaprimametà del XX secolo alcuni scienziati e filosofi hanno continuatoaritenerepossibile l’estensione delle spiegazioni naturalistiche a tutti i fenomeni umani, religione compresa. Un simile atteggiamento è facilmente rintracciabile nel pensiero e negli studi del padre della psicoanalisi Sigmund Freud (1856-1939), che difatti reputava «inammissibile concepire la scienza come una sfera di attività dello spiritoumanoelareligionee la filosofia come altre sfere almeno equivalenti, nelle quali la scienza non deve interferire», anche perché le affermazioni filosoficoreligiosenonpossonovantare «uguale pretesa di verità». In breve, sussiste una «Weltanschauung scientifica», alla quale competono «tutti i campi dell’attivitàumanaechehail dovere di diventare inesorabilmente critica» con chi gli contrappone una perniciosa «Weltanschauung antiscientifica», rappresentata inprimoluogodallereligioni e dalle filosofie speculative che non riconoscono il primato della scienza.45 È ovviamente opinabile che tra gli scopi della conoscenza scientifica ci sia quello di formulare una Weltanschauung (visione del mondo), anzi oggi si tende a pensarepropriol’opposto;ma all’epoca del nostro illustre psicoanalista era una convinzione positivista abbastanza diffusa e che avrebbe fatto certamente da sfondo a tutta la sua attività scientificaefilosofica. Benché di discendenza ebraica, Sigmund Freud si professava ateo convinto, anzi per la precisione «un ebreo del tutto ateo»46; e sebbene proclamasse la psicoanalisi uno strumento neutrale («in sé non è più religiosa che irreligiosa»),47 individuava nella religione «un nemico serio», certamente più pericoloso della filosofia metafisica per l’impatto emotivo che esercita sulla psicologia di tutti gli individui: la metafisicaèinfattiriservataa un numero esiguo di specialisti, mentre le dottrine eicultireligiosicoinvolgono le masse. Dopo aver compreso che la causa della nevrosi risiede in un trauma rimosso dalla coscienza del soggetto nevrotico e averne individuata l’origine prevalente nei conflitti sessuali in età infantile o durante lo sviluppo della personalità, estende discutibilmente questi fenomeni alle manifestazioni sacrali religiose, finendo per cogliere in esse una forte rassomiglianza con i «cerimoniali nevrotici» e quindi per descriverle come nevrosicollettive.Intalsenso i rituali del nevrotico costituiscono «azioni private, in contrapposizione al carattere pubblico e associativo delle pratiche religiose», per cui i disturbi psichici ossessivi equivalgono a una forma di religione personale: «Una nevrosi ossessiva rappresenta laparodia,ametàcomicaea metàtragica,diunareligione privata».48 Freud riconduce buona parte delle credenze nel soprannaturale a forme di superstizione magico- religiosa, dove gli eventi casuali e l’invisibile o lo sconosciuto vengono interpretati in maniera non accettabile da una mentalità positivistica.Equellocheper il superstizioso è l’occulto, per lo psicoanalista è l’inconscio:ilprimo«proietta all’esternociòcheilsecondo cerca nell’intimo».49 Nel pensiero freudiano il meccanismo della proiezione costituisce lo strumento «tecnico» atto a spiegare i fenomeni psicologici della credenza nel divino e delle credenze religiose in genere, col risultato che «gran parte della concezione mitologica del mondo, che ha le sue propaggini nelle religioni moderne, non è altro che psicologia proiettata sul mondo esterno». Ma su questo processo proiettivo, analogo a quello dei paranoici, non può non inserirsi l’attività euristica e demitizzante dello psicoanalista, che punta nientemeno che a ridurre il metafisicoalpsicologico: L’oscura conoscenza (per così dire la percezione endopsichica)deifattorie rapporti psichici inerenti all’inconsciosirispecchia […] nella costruzione di una realtà sovrannaturale, che la scienza deve trasformare in psicologia dell’inconscio. Si potrebbe osare risolvere in tal modo i miti del paradiso e del peccato originale,diDio,delbene e del male, dell’immortalità,eccetera, traducendo la metafisica inmetapsicologia.50 EssendolanozionediDio al centro delle principali fedi religiose,èovviocheversodi essa il nostro psicoanalista rivolga una pesante opera di demolizione, ricorrendo principalmente alla teoria della proiezione inconscia. Fin dal 1910, in uno scritto giustamente celebre sulla personalità di Leonardo da Vinci, Sigmund Freud sottolineava come «la psicoanalisi ci ha fatto conoscere l’intimo collegamentotrailcomplesso delpadreelafedeinDio;ci ha mostrato che un Dio personale, psicologicamente, non è altro che un padre esaltato». A riprova di ciò starebbeildatooggettivoper ilquale«igiovaniperdonola loro fede religiosa nel momento stesso in cui crolla l’autorità paterna».51 Egli tornava poi risolutamente sullo stesso tema in Totem e tabù (1913), dove indicava con chiarezza la presenza dell’idea del divino come mera proiezione della figura paterna già presso le popolazioni primitive e interpretava il totemismo comeespressionediunasorta di«nostalgiadelpadre». Freud dunque riconduce la motivazione profonda di tale processo psicologicoreligioso sulla figura paterna diDioalfamoso«complesso di Edipo», vale a dire al desiderio libidico del bambino verso la madre e al contestuale contrasto competitivo col padre visto comeunrivale: Dall’esame psicoanalitico dell’individuo scaturisce con particolare evidenza che ciascuno conforma il proprio dio a immagine del padre, che l’atteggiamento di ciascunoneiconfrontidel dio dipende dal suo atteggiamento nei confronti del proprio padre carnale […]; e che infondoildiononèaltro cheunpadrediunordine piùelevato.52 Per lui, in altri termini, l’idea di Dio è un prodotto della parte inconscia della psiche umana, una sublimazione dell’archetipo del padre verso il quale di solito si provano timore e amore, ma anche odio, desiderio di emulazione e di sostituzione. Come nel caso della figura paterna, ricorriamo a Dio soprattutto nei momenti cruciali o di maggior «bisogno psicologico di protezione»; difatti «la Weltanschauung religiosa è determinata dalla situazione tipica dell’infanzia», dallo «stato indifesodelbambino[…],dai suoi desideri e dai suoi bisogni,protrattisisinnell’età adulta».53 Qui non può non venire in mente ancora una voltailparagoneconLudwig Feuerbach e alcune analogie indubbiamente sussistono, sebbene nel filosofo tedesco l’uomo alieni inconsapevolmente in Dio tutte le sue potenzialità e quindi in prospettiva il fenomenopossatramutarsiin un rovesciamento positivo, mentre in Freud si traduce solo in una fase negativa di immaturità psicologica da superare con la piena emancipazione della psiche. In breve, in Feuerbach la teologia viene ridotta ad antropologia e in Freud la metafisica a psicologia o, nel suo linguaggio, a metapsicologia. Col tempo Freud diventa tuttavia sempre più consapevole che le credenze religiose non sono mai un fattomeramenteindividualeo personale, ma presentano quasisempreunacomponente comunitaria o sociale. Egli prende cioè piena coscienza di quanto esse siano saldamente radicate all’internodellastoriaumana, giungendo a riconoscere «un nucleo di verità storica nei fenomeni religiosi, da cui discende che la verità della religione non è “materiale”, ma “storica”»54. In uno dei suoi ultimi scritti riconosce infatticheapartiredalsaggio Totemetabùnonhacambiato opinione sulla possibilità di «intendere i fenomeni religiosi solamente usando il modellodeisintominevrotici individuali» alquanto familiariaglipsicologi,maha inoltre compreso che essi vanno teoricamente interpretati «come ritorni di significativi eventi da lungo dimenticati della storia primordiale della famiglia umana»; pertanto si deve concludere «che agiscono sugliuominiinforzadelloro contenuto di verità “storica”».55 Lo psicoanalista austriaco approda così a una letturadelraccontobiblicosu Mosè e dell’origine del monoteismo ebraico nella quale, come nel caso di Renan per Gesù Cristo, si ipotizza che all’origine di tutto ci sarebbe «un personaggio unico, il quale a quell’epoca dovette apparire gigantescoechepoitornònel ricordodegliuominielevatoa divinità»56. Unacriticaarticolatadella religione e delle prove dell’esistenza di Dio si trova infine nel saggio L’avvenire di un’illusione (1927). L’illusioneacuiquisiguarda è ovviamente quella della presenzaattivadeldivinonel mondo e delle aspettative religiose dei credenti, perché la religione non ha alcunché di reale da qualsiasi punto di vista la si osservi, sia esso psicologico, storico, sociologicooppurefilosofico. L’illusione secondo il nostro psicoanalista non va confusa con un errore cognitivo, ma risultasemprequalcosadipiù perché sua caratteristica «è il derivaredaidesideriumani;e pertaleaspettosiavvicinaai deliri psichiatrici». Le dottrine religiose sono tutte «illusioniindimostrabilieche nessunopuòesserecostrettoa tenerlepervere,acrederci»;e pertanto, come i deliri psichici, non hanno avvenire, sono già sulla strada del tramonto e saranno definitivamente cancellate dall’avanzare del progresso culturaleecivile,perchéperi buoni positivisti «il lavoro scientifico è l’unica via che possa condurre alla conoscenza della realtà esterna». Freud ammette che «sarebbedavveromoltobello checifosseroundiocreatore dell’universo e una benigna Provvidenza, un ordine morale universale e una vita ultraterrena; ma è almeno moltostranochetuttociòsia così come non possiamo fare amenodidesiderarechesia». Detto in breve: soltanto «la nostra scienza non è un’illusione»,57 mentre l’esistenza di Dio è un’idea troppo bella per essere vera. Infine, per sostenere il suo ateismo in modo davvero persuasivo, Freud non trova di meglio che ricorrere come pressoché tutti gli atei al classico argomento della teodicea, al problema dell’esistenza del male nel mondo: «Non corrisponde a veritàchenell’universovisia un potere che vegli con paterna sollecitudine […]. Al contrario, i destini degli uomini non sono conciliabili né con l’ipotesi della bontà universale, né con quella di una giustizia universale. Terremoti, mareggiate, incendi non fanno alcuna distinzione fra il buono e il pio e il malvagio o l’infedele».58 Del resto, a ben guardare neppureletesidellacredenza in un Essere trascendente e della religione quali risposte all’ansia individuale generata dalle paure naturali o dalla morte rappresentavano una teoria nuova per gli atei. La principale innovazione dell’ateismo freudiano sembradunquerisiederenello sforzo di precisare meglio i meccanismi inconsci del fenomeno religioso o del teismo, che per altro poco apportano sotto l’aspetto teoreticoalleteorieprincipali dell’ateismo moderno. Pure per questo aspetto psicologico, tuttavia, non ci troviamo al cospetto di una novità assoluta, perché altri studiosi di psicologia si sono soffermati anche prima di Freud su queste dinamiche psichiche, come ad esempio: GranvilleStanleyHall(18441924), che ha interpretato la religionecomeilportatodella crisi adolescenziale59; Edwin Diller Starbuck (1866-1947), che si concentra sui risvolti religiosi del passaggio dall’egocentrismo dell’infanzia all’eterocentrismo dell’adolescenza60; James Henry Leuba (1867-1946), che ha introdotto la proiezione di qualcosa di interiore nell’atto di conversioneaDio61. La debolezza dell’approccio di Sigmund Freud alla credenza nel divinoeallareligioneappare piuttosto evidente dal confrontocomparatodituttii suoi scritti in cui tratta di questo argomento, come del resto è significativo il fatto che abbia dedicato al tema tanta parte delle sue riflessioni,perchécifacapire quanto il problema religioso fosse presente sia nella sua vigile coscienza, sia probabilmente nel suo inconsciogravato(standoalle sue stesse teorie) dalla millenaria tradizione del «popolo eletto». La sua ricerca risulta infatti perennemente in mezzo al guado tra metodo scientifico da un lato e valutazioni fenomenologico-filosofiche dall’altro; sicché il suo progetto scientista di sostituire l’antropologia filosofica con un’antropologia scientifica fondatasullameta-psicologia, di estirpare le credenze metafisico-religiose e i problemi esistenziali a esse connessi con la scienza della psiche, si dimostra in definitiva fallimentare e si rivela quindi, come in una nemesi, un’autentica illusione. Infatti, secondo le parole del teologo Hans Küng, «la psicoanalisi può certamente togliere i sentimenti nevrotici di colpa, ma non liberare dalla colpa reale, […] non dare una risposta agli interrogativi ultimi sul senso o meno del vivereodelmorire».62 Dal versante epistemologico molti filosofi della scienza, come ad esempio Karl Raimund Popper (1902-1994)63, hanno criticato la psicoanalisi tanto sotto il profilo della verificabilità quanto sotto quello della falsificabilità, concludendo per la non scientificità della psicoanalisi come scienza naturale. Tuttora svariati psicoanalisti, alcuni dei quali credenti, separano il paradigma positivista della teoria psicoanalitica freudiana dalla prassi clinica, evitando così accuratamente le sue implicanze filosofiche e religiose.Esempredalfronte della psicanalisi si è incominciato a far notare come da un lato sia palesemente riduttivo il meccanismo proiettivo applicato alla credenza religiosa, perché «contrariamenteaquantodice Freud, Dio è ben altro che una semplice proiezione dell’immagine paterna», e come dall’altro esista pure indiscutibilmente in psicologia un «ateismo nevrotico», che spesso è «in realtàlareazionenevroticadi una persona assetata di religione e di amore».64 Non risulta insomma sufficiente constatarecheDioassomiglia alla figura paterna nel bambino o a una nostra rappresentazionedell’ideadel padre per concludere in maniera probante che la credenza religiosa o le convinzioni teologiche sono solo forme di nevrosi ossessiva. Dal punto di vista teoretico il tentativo freudiano di confutare l’esistenza di Dio e il valore della fede religiosa è ugualmente infondato e inconcludente. Non basta rilevare che alcuni aspetti della religione sono utili a superare il problema della morte o a placare le nostre angosce esistenziali e rispondono a un bisogno intrinseco all’animo umano, per poter definire in maniera cogenteDioelereligionisolo una nostra pura invenzione, perché gli elementi psicologici e adattativi presenti nelle credenze metafisiche e religiose non dimostrano di per sé la loro falsità. Potrebbe infatti rivelarsi vero l’esatto contrario: proprio perché l’anelito al divino e alla fede religiosa è costitutivo dell’essere umano, proprio perché il bisogno di credere in Dio risulta presente dalla nascita in ciascun individuo della nostra specie quasi come la necessità di nutrirsi, èammissibileconcludereche può davvero esistere un Ente trascendente: l’esigenza di confidare in Dio sarebbe insomma il segno tangibile dell’esistenzadiunCreatore. In proposito lo psicologo evoluzionista inglese Justin Barrett si è giustamente chiesto: «Perché Dio non avrebbe dovuto disegnarci in modo tale da farci considerarelafedeneldivino unfattonaturale?».Ineffetti, che cosa c’è di anomalo e di contrario alla religiosità o all’esistenza di un Creatore nel riscontrare che certi fenomenipsicologicicomela fede in Dio e i culti religiosi hanno tanto una spiegazione scientifica quanto un loro fondamento nella stessa natura umana? Come ancora ha correttamente osservato Barrett, anche se la scienza riuscisse «a dare una spiegazione convincente sul perché io credo che mia moglie mi ami», non certo per questo «dovrei smettere dicrederecheelladavveromi ami».65 Allo stesso modo, se la psicologia, l’antropologia, l’etologia ed eventuali altre scienzeriesconoafornireuna spiegazione naturalistica del perché si crede in Dio, di sicuro non per tale ragione diventa insensato o non più razionalecrederci.Quelcheè certo secondo lo psichiatra austriaco Viktor Emil Frankl (1905-1997) è che, contrariamente a quello che riteneva Freud, proprio l’assenza della credenza religiosa può condurre alla nevrosi. Frankl è il fondatore della cosiddetta terza scuola viennese di psicoterapia, conosciuta come «logoterapia» e «analisi esistenziale»: metodiche queste concepite come un intervento per aiutare l’individuo a ritrovare il senso della propria esistenza. Ancheluidifamigliaebreae particolarmente attento alle questioni esistenziali in psicologia,feceun’esperienza indelebileconladeportazione ad Auschwitz, dalla quale rafforzòlaconvinzionechein mancanza di un significato autotrascendenteperlanostra esistenza siamo annichiliti e come vuoti dentro. La «volontà di senso» è infatti ciòchecaratterizzal’uomoin quanto tale, è l’umano nell’uomo, per cui il significato ultimo della vita che potrebbe stare oltre la dimensione mondana è qualcosa che bisogna credere e cercare non solo per l’equilibrio della nostra psiche, ma per realizzare la proprianaturadiuomini.66 5.IlnonsensodiDio Dopo le critiche mosse nel ’700 alla metafisica da David Hume e da Immanuel Kant, era probabilmente inevitabile che si affermasse nella cultura occidentale una forte tendenza antimetafisica, a cui hanno poi fatto puntualmente seguito rigurgiti antiteologici e antireligiosi. Questo orientamento contrario sia allateologiafilosoficasiaalla teologia religiosa è sfociato, come abbiamo visto, nel positivismo e in generale nel pensieropostmetafisico.Seil filone positivista sviluppa un vero e proprio culto della scienzacontrolateologiaela religione, il filone postmetafisico contesta tanto il progresso scientificotecnologicoquantolateologia razionale, preferendo un approccio «debole» alla verità. Il positivismo e le filosofie postmetafisiche di diversa natura sono infatti accomunati dalla diffidenza verso l’uso speculativo della ragioneedallacriticaradicale dellareligione. Dallatradizioneempirista e positivista trae origine la corrente filosofica del neopositivismo o positivismo logico, detta pure neoempirismo o empirismo logico, che ha il suo primo importante centro nella Vienna degli inizi del ’900, grazieall’attivitàdiunnucleo dipensatoricheorbitaintorno alla figura di Moritz Schlick (1882-1936):fisicoefilosofo di rilievo, nonché uomo di grande statura morale, assassinatoinunattentatoper la sua opposizione al nazismo. Il confronto all’interno di questo gruppo di intellettuali verte sui fondamenti della scienza e il dibattito viene inizialmente stimolato soprattutto dall’empiriocriticismo del viennese Ernst Mach (18381916),dicuisappiamoessersi occupato da filosofo materialista anche Nikolaj Lenin. Rispetto a quello positivista, si tratta in sostanza di un empirismo meno ingenuo e più critico, che intende determinare i limitidivaliditàdellascienza partendo dall’esperienza sensibile pura, cioè sgombra da qualsiasi dato soggettivo. In questo contesto le teorie scientifichenonassumonoun valore assoluto, non sono vere o false, ma sono più o meno utili a «economizzare» esperienze, mentre gli stessi risultati delle osservazioni sperimentali hanno carattere ipotetico,dacuidiscendeuna scienza in divenire e che procede «per congetture e confronti».67 Oltre a Mach, gli altri principali riferimenti dei Viennesi furono i filosofi BertrandRussell(1872-1970) eLudwigWittgenstein(18891951), mentre non poco entusiasmosuscitaronoaquel tempolescopertescientifiche di Albert Einstein (18791955). IlprimoWittgenstein,pur non essendo ateo, influenza i neoempirsti con la sua demarcazionetraciòdicuisi puòparlareinquantosensato, come gli oggetti della scienza, e ciò di cui si deve tacere, come le insensatezze della metafisica: «Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale […], e poi ognivoltacheunaltrovoglia dire qualcosa di metafisico, mostragli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno»; pertanto, «su ciò, di cuinonsipuòparlare,sideve tacere».68 Si tratta per certi versi di una parziale ripresa del metodo della teologia negativa o «apofatica», che asserisce l’impossibilità di esprimersi direttamente sulla naturadivina,mentresarebbe ammissibile soltanto un accostamento indiretto o negativo, meglio se mistico. Non è dunque casuale la convivenzainWittgensteindi ricerca logica e tensioni mistiche: «Non come il mondoè,èilMistico,mache essoè.Lavisionedelmondo subspecieaeternièlavisione del mondo come totalità, delimitata. Il sentimento del mondo come totalità delimitata è il sentimento mistico. […] La risoluzione del problema della vita si scorgeallosparirdiesso.Ma v’è dell’ineffabile. Esso mostrasé,èilMistico».69 Il filosofo gallese Bertrand Russell aderiva invece a una posizione fortemente critica nei confronti delle credenze religiose e della teologia filosofica, in quanto esse contrastavano con la sua concezione scientifica del mondo; posizione questa che incise non poco sulla netta presa di distanze di molti dei neopositivistidallareligionee dall’idea dell’esistenza di un creatore. Egli innanzitutto contestava la validità razionale delle prove dell’esistenza di Dio, in particolare di quelle cosmologiche, mentre si lascia affascinare da quella ontologica di Anselmo d’Aosta, sebbene alla fine la reputasse non risolutiva: «È chiaro che un argomento che ha una storia così insigne va trattato con rispetto, sia esso valido o no».70 La necessità ditrovareunacausaprima,su cui si imperniano tutti i tentativi di dimostrare l’esistenza di un Essere supremo, conduce secondo lui a un ragionamento tautologico perché nella pretesa di porre termine al regressus ad infinitum nella ricerca del primo agente che ha dato inizio al cosmo, finisce in effetti per perpetuare il regresso all’infinito:«Ilprincipiodella CausaPrimanonreggedase stesso […]. Se tutto deve avere una causa, anche Dio deve averla. Se niente può esistere senza una causa, la stessa cosa può valere tanto per il mondo quanto per Dio».71 In definitiva per il filosofo gallese il fatto che l’universo esista e si presenti ordinato non implica per nulla la necessità di individuare un Primo motore per il suo divenire, un Legislatore superiore per le leggi naturali e neppure un Demiurgo per la materia, dal momento che per spiegare tutti i fenomeni osservabili o possibili è sufficiente ricorrere alla conoscenza scientifica, che ci fornisce l’unica descrizione vera del mondo. «Dobbiamo dedurre che il mondo fu fatto da un Creatore? – si domanda retoricamente il filosofo gallese. – No di certo, se dobbiamo aderire ai canoni delle valide deduzioni scientifiche. Non c’è nessunissima ragione per cui l’universo non avrebbe dovuto cominciare spontaneamente».72 Secondo Russell la religione (in particolare la Chiesa cattolica) ha sempre avversato il progresso scientifico per contrastare l’affermarsi di una «visione scientifica del mondo», per cui «fra la religione e la scienza si è protratto un contrastoprolungato»,manel XX secolo «la scienza si è rivelata immancabilmente vittoriosa».73 Benchérispondendoauna precisa domanda sulla sua posizione filosofica intorno a Dio il filosofo gallese abbia affermato «io sono agnostico»74, le argomentazioniportatecontro l’esistenza Dio e soprattutto l’approccio alle tematiche religiose lo rendono ipso facto più vicino all’ateismo che all’agnosticismo. Il suo dichiarato scetticismo nei confronti della metafisica e dellereligioni,insiemeconla sua convinzione che sia percorribile solo un’interpretazione scientifica o naturalistica del reale, costituiscono un chiaro sbilanciamento del suo pensiero dalla parte della negazione atea piuttosto che dell’imparzialità agnostica. Per altro tale giudizio va esteso a pressoché tutti gli empiristilogici,perchédietro al loro semplice rifiuto del problema teologico come insensato si cela la maniera probabilmente più drastica di negare Dio. Non è perciò condivisibile la posizione di chi preferirebbe considerare i neopositivisti degli atei in senso debole o non negazionista, quindi sostanzialmente degli agnostici, magari riconoscendocontestualmente che «non si può parlare neppure di un atteggiamento di neutralità»75 riguardo all’esistenza di Dio: essi invece sono a tutti gli effetti degliateiinsensoforte. Gli scienziati e filosofi neopositivisti che componevano la cerchia di Schlick sono ormai noti con la denominazione di Circolo diVienna(WienerKreis).Di esso hanno fatto parte più o menodirettamenteimportanti personalità come il logico Rudolf Carnap, il sociologo Otto Neurath (1882-1945), il matematico Hans Hahn (1879-1934), i filosofi Herbert Feigl (1902-1988) e Friedrich Waismann (18961959), il logico-matematico Kurt Gödel (1906-1978). Chi vi aderiva generalmente praticava un empirismo radicale e considerava unico veicolo dell’autentico sapere il metodo scientifico delle scienze naturali, accompagnato dal ricorso a una logica formale di tipo simbolicoomatematicoquale strumento di analisi e di chiarificazione del linguaggio. Feigl in particolare fu anche tra i primi ad applicare il fisicalismo (tutto ciò che esiste è di natura materiale e si spiega con la fisica) al problema della mente, riducendo quest’ultima a una semplicemanifestazionedella materia cerebrale.76 I neopositivisti riconoscevano perciò anche loro quale sola vera forma di conoscenza quella di tipo scientifico e riponevano in essa un’assoluta fiducia, specie al fine di decostruire le false questioni della filosofia: «La conoscenza scientifica del mondo non conosce enigmi insolubili. Il chiarimento delle questioni filosofiche tradizionaliconduce,inparte, a smascherarle quali pseudo- problemi; in parte, a convertirle in questioni empiriche, soggette, quindi, al giudizio della scienza sperimentale». A differenza deipositivisti,ineopositivisti sidotanodiunostrumentodi indagine rigoroso: «Siffatto metodo dell’analisi logica è ciò che distingue essenzialmente il nuovo empirismo e positivismo da quello anteriore, che era orientato in senso più biologico-psicologico». L’essenza del neopositivismo logico risiede nel cosiddetto «principio di verificazione» o di «verificabilità», vale a dire nellaconvinzionesecondocui ogni proposizione e ogni teoria scientifica è valida e sensata se, e soltanto se, può essere sottoposta a un procedimento di verifica empirica. Il criterio di demarcazione tra ciò che è scienza o conoscenza vera e ciò che non lo è va dunque cercato nelle osservazioni empiriche o, se si preferisce, nei riscontri oggettivi forniti dall’esperienza sensoriale. Sapere autentico è dunque solamente quello provato empiricamente, per cui le teorie valide si fondano esclusivamente su fatti empirici verificabili direttamente da tutti; il carattere oggettivo delle dimostrazioni scientifiche si pone perciò al di fuori e distante dalle convinzioni od opinioni soggettive, dalle mere creazioni della mente umana. In quest’ultimo novero rientrano svariate forme dell’espressione: da quellareligiosaaquellaetica, dallamusicaall’estetica,dalla letteratura all’arte e per certi versiallafilosofia. L’altrotrattocaratteristico del neopositivismo o empirismo logico è l’opposizione a qualsiasi tipo dimetafisicanontantoperché falsa, ma perché considerata una «chiacchiera insensata», un’attività intellettuale totalmente priva di riferimento alla realtà del mondo. Stando infatti alle parole dello stesso fondatore del Circolo di Vienna Moritz Schlick, «il senso di una proposizione risiede evidentemente solo nel suo esprimere un determinato stato di fatto» e gli stati di fatto sono esclusivamente quelli determinati empiricamente e quindi presentabili ostensivamente: «Il significato delle parole deve in ultima analisi essere “mostrato”, cioè essere “dato”. Ciò avviene con un atto ostensivo».77 Gli empiristi logici individuano proprioneidiscorsimetafisici moltissimi termini privi di senso e vedono di conseguenza nel filosofo metafisico un «creativo» non troppodistantedaunletterato o comunque da un autore di opere dal puro significato emotivo,contuttavialagrave differenza di pretendere di spacciare dei concetti assolutamente astratti e inventati di sana pianta (per esempio «sostanza», «principio primo», «causa formale» ecc.) per vere conoscenze, per vocaboli dotati di un significato referenziale a enti reali che invece non sussiste per l’assenza di un adeguato riferimento a dati sensoriali oggettivi:«Qualcosaè“reale” nella misura in cui risulta inserito nel quadro generale dell’esperienza […]. Esiste unconfineprecisofraduetipi di asserzioni. All’uno appartengono gli asserti formulati nella scienza empirica[…].Glialtriasserti [della metafisica] si rivelano affatto privi di significato». Ne consegue che se un’affermazionelinguisticadi tipo metafisico vuole trovare la sua legittima collocazione, «lo strumento espressivo adeguatoèl’arte,peresempio la lirica o la musica». In breve,ifilosofimetafisicinon cifornisconoinformazionisu come stanno le cose nella realtàfattuale,nonproducono teorie cognitive, «bensì poesie o miti». Del resto con lastessaestremafranchezzae chiarezza, i positivisti logici dichiaravano che il loro «intento comune era un atteggiamento non solo ametafisico, bensì antimetafisico», quindi di contestazione dura e serrata di ogni concetto metaempiricoosovrannaturale. Da un’opera di demolizione della metafisica di questa portata non si salvano ovviamente l’esistenza di Dio e la credenza religiosa, che per loro stessa natura guardano a una dimensione metaempirica; anzi esse vengono assunte dai neopositivisti qualiarchetipiesemplaridelle questionidareputareprivedi senso: «Se qualcuno afferma “esiste un Dio” […], non gli rispondiamo “quanto dici è falso”,bensìanostravoltagli poniamo un quesito: “Che cosa intendi dire con i tuoi asserti?”».78Ilmetafisicoeil teologo non sono in grado di rispondere a tale domanda indicandounentereale,ossia documentato dall’esperienza sensibile, quindi dovranno coerentementeammettereche l’enunciato «Dio esiste» è totalmente privo di significato. D’altronde, essendo come si è detto gli assertidellametafisicaedella religione non verificabili o controllabili ricorrendo a riscontriempirici,nondirado i metafisici e i teologi riescono a replicare a eventuali critiche demolitrici delle loro tesi ricorrendo a nuove ipotesi inventate ad hoc.Inpropositoècelebrela cosiddetta «parabola del giardiniere invisibile» del filosofo analitico John Wisdom (1904-1993), poi rielaborata da Anthony Flew nel suo periodo ateo. Eccola: imbattendosi in un fantomaticogiardinopostoin una radura, due esploratori (uno scettico e un credente) ragionano sull’esistenza o meno di un ipotetico giardinieresenzavederlomai, con il credente che di fronte all’impossibilitàdiverificarne empiricamente l’esistenza giunge a teorizzare che si tratti di un giardiniere invisibile.79 Nella sua abiurata fase ateistica anche Flewsposadunqueinqualche modo l’ateismo semantico, perchéritieneche«nemmeno il più accurato studio filologicopotràfornirealcuna garanziacheiltermine“Dio” siriferiscaosiariferibileaun oggettodato».80 Unavoltadipiù,dunque, «laconoscenzascientificadel mondo respinge la metafisica» e con essa il concetto stesso di Dio in quanto privi di significato referenziale o estensionale; perciò questo modo di essere atei scientifici è stato correttamente definito «ateismo semantico». Qui infatti la negazione di Dio nonsibasasuargomentazioni tratte da una cosmologia naturalistica o da una concezione squisitamente materialistica della realtà e neppure da considerazioni antropologiche, bensì dalla questione linguistica del significato. Seguendo un approccio semantico, si considerano dotati di senso cognitivo soltanto i termini o le proposizioni con precisi riferimentiempiriciofattuali, mentre tutte le altre espressioni linguistiche (filosofiche, teologiche, religiose, morali, artistiche ecc.) ne sono assolutamente prive, quindi non rappresentano forme autentiche di conoscenza. Si tratta in definitiva del modello di ateismo più radicale che si possa concepire: «Non si oppongono prove all’esistenza di Dio, semplicemente si nega di riconoscere senso all’espressione“Dioesiste”,e pertanto se ne rifiuta il problema stesso»81, distruggendo così dalle fondamenta la possibilità di un qualsiasi discorso sul divino. Ragionare del trascendente, dell’anima, dell’immortalità o di qualcos’altro di metafisico e religiosoèunesercizioinutile perché senza vero significato referenziale;quindisitrattadi unmeroflatusvocis. Se cerchiamo un antesignano dell’ateismo semantico, stranamente non lo rintracciamo tra i filosofi della scienza o del linguaggio, ma tra i politici atei e precisamente nella figura di Charles Bradlaugh (1833-1891), il quale fu tra i primi ad affermare: «L’ateo non dice “Non esiste nessun Dio”, ma “Non so che cosa intendete con Dio; […] per me la parola Dio è un suono che non comunica nessuna affermazione chiara e distinta”»82. Siamo tuttavia ancora in presenza di un pronunciamento polemico e non sistematico, mentre la formulazione organica migliore della negazione semanticadiDiovaascrittaal filosofo e logico Rudolf Carnap(1891-1970). Appartieneaquest’ultimo pensatore la definizione ormaiclassicadellaposizione antimetafisica degli empiristi logici, che è inclusa in uno scritto programmaticamente intitolato Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio (1932). In esso, sulla base del principio di verificazione, si proclamano inutili,vuoteeprivedisenso tutte le proposizioni metafisiche, in quanto costruite su termini ambigui oppure privi di significato referenziale, ossia non collegati protocollarmente a oggettiempirici.Scriveinfatti Carnap: Prendiamo come esempio la parola «Dio». […] Nell’uso linguistico metafisico «Dio» designa qualcosa di extraempirico. Il significato di unesserecorporeoodiun essere spirituale che si nasconde nei corpi [quindi in qualche modo con riferimento empirico] viene espressamente tolto alla parola. E, dal momentochenonlesidà alcun significato nuovo, essa diventa priva di significato. […] Le proposizioni cosiddette metafisiche non hanno nessun senso, non vogliono dire nulla, e sono solamente pseudoproposizioni [Scheinsätze = proposizioni apparenti].83 Per Rudolf Carnap come per tutti i neopositivisti la questione del significato dei termini o delle proposizioni con referenti empirici è dunque dirimente nella distinzione tra ciò che è sensatoedicuisipuòparlare e ciò che invece non lo è. In tal modo ancora una volta vera conoscenza è soltanto quella del metodo scientifico basatosull’esperienza,quindi corrispondente a una concezione scientifica del mondo,mentretuttoilrestoè pseudo-conoscenza. Secondo una diretta testimonianza del nostro autore, durante il periodo viennese fu soprattutto la lettura di Ludwig Wittgenstein a influenzare il suo impegno antimetafisico, conducendolo «a sostenere il punto di vista chemoltetesidellametafisica tradizionale non solo sono inutili, ma anche prive di contenuto cognitivo: sono pseudo-enunciati, vale a dire tesi che sembrano fare asserzioni […], mentre di fatto non asseriscono nulla, non esprimono alcuna proposizione, non sono dunque né vere né false». E naturalmente «la concezione che questi enunciati e problemi [metafisici] non sono cognitivi, si basava sul principio di verificabilità».84 Ne discende allora che le credenzeteologico-religiosee metafisiche, non essendo empiricamente verificabili, non hanno nessun valore conoscitivo o significato universale: «Esiste senza dubbio il fenomeno della fede,siareligiosa,siadialtro tipo […]. Si può anche concedere che in questi fenomeni si comprenda, in qualche modo, qualcosa. Ma questaespressionemetaforica non può portare all’ammissione che in questi fenomeni venga guadagnata unaconoscenza».85 Ancorpiùradicaleappare la posizione di un altro positivista logico, il filosofo britannico Alfred Jules Ayer (1910-1989).Questi,findalla sua prima e famosa opera Linguaggio, verità e logica (1936) scritta a soli ventisei anni, proclama tutte le dimostrazioni dell’esistenza di Dio delle mere tautologie, ossia delle ovvietà logicolinguistiche del tipo «I quadrupedi sono animali con quattrozampe»o«Gliscapoli sono uomini non sposati», che trasposte in un ragionamento fanno sì che la conclusione ripeta in modo circolare la stessa cosa già contenuta nelle premesse. Da ciò egli conclude facilmente che «da un insieme di tautologienonsipuòdedurre inmodovalidonull’altroche una tautologia di più. Ne consegue che non si dà nessuna possibilità di dimostrarel’esistenzadiDio. […] Dire “Dio esiste” significa produrre un’espressione che non può essereveraofalsa». Finquisiamoinpresenza di un’affermazione più agnostica che atea; tuttavia il nostro pensatore intende spingersi ben oltre l’agnosticismo e diventare così il miglior teorico dell’ateismosemantico.Ayer, partendodall’assunto«percui tutte le espressioni intorno alla natura di Dio sono non sensi», ossia non sono definibili né vere né false in quanto trattano di concetti sovra-empirici, giunge a decretare come privo di significato qualsiasi asserto relativo al divino o al trascendente; e ciò a prescindere dal fatto che si trattidiaffermazioniafavore del credente, di quelle negative dell’ateo oppure anche di quelle neutrali dell’agnostico. Il filosofo britannico infatti scrive con chiarezza: «Se l’asserzione dell’esistenzadiDioèunnon senso, allora l’asserzione ateistica dell’inesistenza di Dioèaltrettantounnonsenso […]. Quanto all’agnostico […] egli non nega l’autenticità della questione […]. E ciò significa che anche l’agnostico è escluso [ossia anche la sua posizione èun“nonsenso”]». In conclusione, per Ayer la domanda sull’esistenza del soprannaturale non solo è irresolubile, ma non è neppure ammissibile come problema,perché«se“Dio”è un termine metafisico, allora che esista un dio non può essere neppure probabile», dal momento che provabili e probabili sono soltanto gli asserti fondati su dati empirici.Intalmodol’ideadi Dio o l’ipotesi di una conoscenzareligiosanonsolo sonostateestromessedaogni possibile spiegazione razionale della realtà, ma sono state espunte dall’ambito dei discorsi sensati: «L’enunciato “Esiste un Dio trascendente” non ha nessun significato letterale». L’affermazione sull’esistenza di un ente divino potrebbe avere un significato nell’ambitodiunareligioneo all’interno del linguaggio religioso,masidàilcasoche «il fatto che la gente abbia esperienze religiose è interessantedalpuntodivista psicologico, ma non implica in nessun modo la possibilità diunaconoscenzareligiosa». In breve nelle religioni ci sono soltanto delle conoscenze presunte o pseudo-conoscenze, dei semplici autoinganni, perché il teista «non riesce a formulare la sua “conoscenza” in proposizioni empiricamente verificabili» ed è pertanto «lecito essere sicuri che si sta ingannando».86 Tra i filosofi che si sono ispirati a Ludwig Wittgenstein ci sono però anche quelli «analitici», i quali da un punto di vista strettamente logicolinguisticohannopresomolto sul serio le dimostrazioni dell’esistenza di Dio, specie di quella logica per eccellenza: l’argomento ontologico. Merita in proposito di essere ricordato il rovesciamento della prova anselmiana attuato, ricorrendoallalogicamodale, dal filosofo John Niemeyer Findlay (1903-1987) nel seguente modo: «Se è possibile, e in un certo senso logico e non soltanto epistemologico,chenoncisia Dio, allora l’esistenza di Dio non è soltanto dubbia, ma impossibile, in quanto nessuna cosa capace di non esistenza potrebbe essere Dio».87 Laddove la formulazione modale della prova ontologica (sviluppata soprattutto da Leibniz) in estrema sintesi sosteneva che «Se Dio è possibile, allora esiste», Findlay invece concludecheèveropiuttosto l’esattocontrario,ossia:«Seè possibile che Dio non esista, allora non solo è dubbio che esista, ma è impossibile che esista».88 L’importanza e il peso dell’ateismo semantico nel pensiero contemporaneo è stato ed è alquanto rilevante, probabilmente perfino ben oltre quello che si percepisce normalmente o che percepiscono gli atei stessi; difatti, «se c’è un carattere che caratterizza in maniera veramente propria l’ateismo contemporaneo, è di essere e di dichiararsi un ateismo semantico».89Nonostanteciò, esso si dimostra teoreticamente debole per le medesimeragionipercuisiè rivelata in generale debole la filosofia neopositivista, ovvero per la criticità epistemologica insita nel principio di verificazione e nellademarcazionetraasserti sensati e asserti insensati. Sotto l’aspetto metodologico, il punto di vista verificazionistaeilcriteriodi demarcazione della verificabilità empirica poggiano infatti su enunciati tratti direttamente dall’esperienza fattuale, ossia da una serie di singoli fatti empirici, che quindi richiedono il ricorso a un ragionamento induttivo nel quale procedendo da premessediordineparticolare (peresempio:Questocignoè bianco; Quest’altro cigno è bianco ecc.) si «induce» una conclusione di ordine generale(peresempio:Tuttii cigni sono bianchi). Tali premesseparticolariperònon garantiscono in maniera assoluta la verità della conclusione e al massimo ci forniscono una garanzia di tipo probabilistico (per esempio:Èprobabilechetutti i cigni siano bianchi). In sostanzaselepremessediun argomento induttivo sono tuttevere,laconclusionenon è necessariamente vera, ma presenta soltanto un certo livello di probabilità di esserlo. È appunto sulla debolezza dell’argomentazioneinduttiva posta alla base tanto del principio di verificazione quanto di quello della demarcazione semantica che sisonoinnestatelecritichedi colui che è stato giustamente definito il «killer del neopositivismo»90: Karl RaimundPopper. Rifacendosi alle considerazioni sul metodo induttivo di David Hume, Popper ha fatto notare come nessun numero di dati osservativi tra loro coincidenti riferiti allo stesso fenomeno (per esempio il colore bianco dei cigni) sia sufficiente a dimostrare la verità definitiva di un’asserzione di ordine generale(peresempio:Tuttii cigni sono bianchi), poiché nessuno può escludere in lineadiprincipiochesussista almeno un fatto empirico a essa contrario non ancora osservato (per esempio un cigno nero, che poi si è scoperto effettivamente esistere in Australia: il Cygnus atratus)91. Al malsicuro principio di verificabilità Karl Popper ha pertanto sostituito quello di falsificabilità, per il quale il criterio di scientificità non risiede più nella capacità di verificare empiricamente le teoriescientifiche,bensìnella possibilità di confutarle a partire innanzitutto dalle previsionidifenomeniancora sconosciuti che esse sono in grado di formulare. Il principiodiverificazionenon puòdunqueserviredanorma didemarcazionetrascienzae pseudo-scienza, tra conoscenze autentiche e pseudo-conoscenze come pretendevano i neoempiristi: «Come criterio di demarcazione non si deve prendere la verificabilità, ma lafalsificabilitàdiunsistema. Inaltreparole:daunsistema scientificononesigeròchesia capace di essere scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo»92. A sua volta il filosofo americano Willard Van OrmanQuine(1908-2000)ha messo in luce il carattere dogmatico dello stesso pensiero neopositivistico, rilevandoche l’empirismo moderno è stato in larga misura condizionato da due dogmi. Il primo è la credenza in una fondamentale separazione tra verità che sono analitiche, o fondate sui significati indipendentemente dai fatti, e verità che sono sintetiche, o fondate sui fatti. Il secondo dogma è il riduzionismo: la credenza che ciascuna asserzione dotata di significatosiaequivalente aqualchecostruttologico in termini che si riferiscono all’esperienza immediata.93 Insomma, perfino gli enunciatideipositivistilogici non sempre sono verificabili per via empirica e spesso sono tautologici come quelli daloroattribuitiaimetafisici o ai teologi. Viene conseguentemente superata pureladistinzionetratermini eproposizionidotatedisenso e parole ed enunciati privi di senso, perché ora ci si deve riferire a una demarcazione tra conoscenza scientifica e sapere metafisico effettuata non sulla base del significato referenziale o della corrispondenza dei termini all’esperienzasensibile,bensì sulla falsificabilità o confutabilità delle teorie: «Si deve poter dire: questo è un problema interessante, purtroppo non è scientifico, mametafisico.[…]Èridicolo proibire di dire qualcosa che nonappartieneallascienzaed èquestoquellochehatentato di fare il Circolo di Vienna»94. D’altrondel’erroreèstato riconosciuto dallo stesso RudolfCarnapneisuoiultimi annidivita,quandohascritto che «sfortunatamente, seguendo Wittgenstein, formulammo il nostro punto di vista al Circolo di Vienna in modo troppo semplificato, dicendo che certe tesi metafisiche sono prive di significato», sebbene poi abbia in qualche modo perseveratosostenendochele tesi metafisiche «mancano di significato cognitivo o teorico,maspessohannoaltre componentidisignificato,per esempio emotive o motivazionali,lequali,anche se non cognitive, possono avere forti effetti psicologici». Ma anche dopo questa sua imbarazzata precisazione, accompagnata dalla contestuale sostituzione del criticato principio di verificabilità «con il più liberale principio di confermabilità»95, resta il fatto che i principi dei neopositivisti sono privi del requisito tanto della verificabilitàquantodellanon troppodissimileepocosicura confermabilità. Risulta così ormaiassodatochenonèper nullaverochegliuniciasserti dotati di valore cognitivo sono quelli delle scienze empiriche e che le proposizioni metafisiche possono a loro volta dirsi cognitive qualora procedano da elementi empirici o scientifici e risultino razionalmente criticabili. Sussistono infatti certamente nella scienza dimostrazioni o argomentazioni dimostrative non necessariamente tratte dall’induzione, ovvero non per forza collegate direttamente a stati di fatto «mostrabili» e quindi non definibili in maniera ostensiva: è per esempio il caso della ricostruzione «storica» di certi processi astronomiciocosmologicidel passato (per esempio il Big Bang) e dei modelli della fisica atomica e subatomica (nessuno potrà mai osservare direttamente una microparticella, anche per i limiti conoscitivi imposti dal principio di indeterminazione). Per non parlareinfinedituttociòche si trova al di là delle possibilità cognitive del metodo scientifico, che tuttavianonèmenorealeea cui si può attingere con la sola forza del ragionamento logico. Quanto all’anatema neopositivista sull’obbligo di tacere su ciò che riguarda il trascendente, le migliori smentite sono venute proprio da alcuni esponenti della filosofia analitica, i quali hanno battuto di nuovo le strade della teologia razionale, dimostrando così una volta di più la vitalità della metafisica e della riflessione sulla religione96. Insomma non c’è bisogno di ricorrere a soluzioni che aggirino il problema della significatività del linguaggio teologico-metafisico e religioso, come ha fatto sbagliandoilteologoradicale Paul van Buren (1924-1998) quando ha accettato di definirlo non cognitivo e con solovalored’usosoggettivoo etico-operativo.97 Si può e si deve invece apertamente e senza remore dichiarare sensato il discorso su Dio e l’argomentazione razionale dellasuaesistenza,facendoin tal modo cadere definitivamenteilpregiudizio di insensatezza dell’ateismo semantico. 6.Qualcosadalnulla In epoca contemporanea si è diffuso con vigore e con un certo successo sia editoriale sia massmediatico una forma di ateismo scientista o scientifico che non si limita a considerare Dio un’ipotesi superflua per la scienza e a relegare la teologia, la religione e ogni principio metafisico tra le pseudo-conoscenze o gli pseudo-concetti, come hanno fatto i positivisti e i neopositivisti, ma arriva a sostenere che il sapere scientifico confuta più o menodirettamentel’esistenza di un Creatore e pressoché tutte le credenze religiose. Si punta dunque ad andare ben oltre l’ateismo metodologico, che esclude per principio di ricorrere all’idea di Dio nell’indagine della natura perché – come ha detto il biologo Jean Rostand (18941977) – con un intervento divino «nello svolgimento della catena causale non si potrebbe fare più scienza»98; e si va ben oltre anche lo stesso ateismo semantico che giudica insensato il linguaggioteologico-religioso e metafisico. L’obiettivo è infatti quello di contrapporre frontalmente la scienza alle convinzioni metafisicoreligiose,sostenendononsolo che la prima finirà inesorabilmente per cancellareleseconde,mache si tratta di due visioni della realtà che non possono neppure coesistere in uno stesso individuo: o si è scienziati ed estimatori della conoscenzascientificaoppure sièdeipateticiinseguitoridi chimere e dei superstiziosi. Sotto questo profilo, lo scandalo maggiore sarebbe rappresentato dagli scienziati credenti, i quali costituirebberounaspeciedel tutto anomala, una sorta di contraddizione vivente destinata a scomparire: «Esiste una minoranza di scienziati indubbiamente preparatichepureprofessaun credo religioso. […] E sì che gli scienziati dovrebbero avere il culto della ragione; eppure, di norma trincerandosi dietro l’adusata argomentazione delle aree di competenza, trovano anche loro uno spazio per credere».99 Questo perché, come ha scritto il biologo e premioNobelFrançoisJacob, «la scienza è questione di conoscenza e la fede questionedigusto»100. In altre parole il sapere scientifico possiede una natura razionale e oggettiva, mentre le convinzioni teologiche e religiose sono soltanto una faccenda di appetenza soggettiva come un’opera d’arte o il piatto di uno chef: possono piacere o non piacere a seconda del gusto personale, ma giammai dirsivereofalse(degustibus non est disputandum). Come si può notare, si tratta della riproposizione in una veste più aggressiva degli stessi dogmi del neoempirismo, questa volta supportati da un’interpretazione rigorosamente naturalistica dei traguardi raggiunti in cosmologia,inastrofisicaein biologia, su cui si fonda un rinnovato «orgoglio ateo».101 Per il nuovo ateismo scientifico le recenti acquisizioni della scienza rafforzano e innovano la concezione materialistica o naturalistica del mondo; concezioneinbaseallaquale è ineluttabile concludere che l’essere, ovvero tutto quanto esiste sotto forma di energiamateria, è autosufficiente e spiega se stesso, quindi non ha bisogno di ricorrere a qualcosa d’altro per giustificare la propria esistenza. Fornendoci una prova certa dell’autarchia dell’ordine cosmico e dell’assoluta accidentalità dellavita,ivicompresaquella intelligente, il sapere scientifico farebbe in tal modo crollare tutte le argomentazioni fisicocosmologiche a sostegno dell’esistenza di Dio e renderebbe insensata la teologia naturale, sottraendo così ogni motivazione razionale alla fede religiosa. In definitiva l’universo degli atei scientifici risulta dominato contemporaneamente dalle mitologiche figure di Tyche, ossia l’incertezza del caso, e di Ananke, ovvero l’inflessibile necessità delle leggi di natura, come recita del resto il titolo del saggio Le hasard et la nécessité (1970) del biologo francese Jacques Lucien Monod102. Quando addirittura non ci si spinge oltre assegnando un ruolo decisivo a Chaos, il mitico abisso dell’informe e dell’indistinto,chesecondoil chimico-fisico Ilya Prigogine (1917-2003) «ci obbliga a generalizzare la nozione di legge della natura e a introdurvi i concetti di probabilità e irreversibilità», quindi a pensare a un nuovo paradigma tanto scientifico quanto filosofico (il cosiddetto «caos deterministico»).103 Nonèraroperaltrochele tesi naturalistiche di fondo del nuovo ateismo contemporaneo vengano fatte proprie anche da alcuni credenti, i quali da quel momento sono obbligati a porsiilproblemadicomedar conto della fede alla luce della moderna «coscienza laica» e quindi a ricorrere ad argomenti concordistici poco convincenti tanto sul piano scientifico quanto su quello filosofico. Bisogna invece sempreevitaredisovrapporre lascienzaeisuoimetodialla teologia sia filosofica sia religiosa,perchécosìfacendo si produce una sorta di ibridazione del tutto sterile, utileunicamenteaconfondere dipiùleidee. Su questo terreno andrebbe costantemente seguito l’esempio del neurobiologoepremioNobel John C. Eccles, il quale accettava «tutte le scoperte e tutte le ipotesi ben corroborate della scienza» e tuttavia contestualmente riconosceva che «esiste un importante residuo non spiegatodallascienza,anzial di là di ogni futura spiegazione scientifica. Ciò conduce al tema della teologia naturale, con l’idea di un soprannaturale che si trova oltre il potere esplicativo della scienza».104 Di questa esigenza non vi è quasi mai traccia nei nuovi atei;anzisipuòaffermareche dal mancato rispetto o riconoscimento di questi diversilivelliodiverseforme del sapere, su cui da un altro versanteavevariflettutoasuo tempo il filosofo Jacques Maritain105, discende pressoché tutta l’impostazione di fondo dei moderni ateismi scientifici o scientisti. Il Dio contro cui essi si scagliano è perciò concepitoocomeunCreatore intelligente che opera sia come «agente fisico» originario sia con intenti finalistici, oppure come una manifestazione della superstizione o dell’irrazionalitàumana:tutte idee e comportamenti incompatibili con l’unica verità scientifica e che per contro possono essere spiegati naturalisticamente dalle scienze biologiche, in particolare dalla psicobiologia. Non mancano infinenell’ateismoscientifico alcune incursioni nel campo della teodicea e quindi sul problema della presenza del maleinnatura. In linea di massima possiamo allora individuare due contesti dai quali provengono tanto il moderno ateismo scientista quanto in generale i suoi protagonisti: quello fisico-cosmologico e quello biologico. Nel caso dell’ateismodioriginefisicocosmologicasiprivilegianole conoscenze provenienti dalla fisica, dall’astrofisica e dalla cosmologiaperprovaredaun lato l’insussistenza di un primordialeinizionell’attuale ordine cosmico e quindi l’inutilitàdiunaCausaPrima o di un Primo Agente, dall’altro l’assenza del finalismo in natura e perciò l’improponibilità di un Creatore Intelligente o Supremo Artefice. Con l’ateismo di derivazione biologica si radica invece sulle teorie dell’evoluzione darwiniana e neodarwiniana l’inesistenza di un qualsivoglia progetto nella comparsa di tutte le specie viventi e in particolare dell’Homo sapiens sapiens, per affermare la conseguente impossibilità della presenza diunDiocreatoredellavitae di un ruolo straordinario assegnatoall’essereumano. Il modello di riferimento dell’ateismo fisicocosmologico è riconoscibile in una sintetica e citatissima affermazione del fisico e premio Nobel Steven Weinberg: «Più affiniamo la nostra concezione di Dio per rendere plausibile questa idea,piùessaciapparesenza senso».106 Questa lapidaria conclusione di Weinberg non ha niente a che vedere con l’ateismo semantico perché qui non si pone la questione della significanza linguistica dellaparolaodelconcettodi Dio rispetto ai dati empirici, bensì quello più pregnante dell’insignificanza dell’idea di un Ente divino creatore e causa prima del cosmo di fronte alle ultime conoscenze scientifiche. Se quello dei neopositivisti è stato talvolta definito un ateismo «negativo», nel senso che negaapriorilapossibilitàdel discorso teologico senza entrare nel merito della questione,quellodiWeinberg è invece sicuramente un ateismo «positivo» perché prospetta una confutazione direttaefortedellanozionedi Dio sulla base delle più recenti scoperte cosmologiche e astrofisiche. D’altronde questa conclusione è del tutto coerente con quanto gli era capitato di affermare in precedenza trattando dell’origine del cosmo nel saggio intitolato I primi tre minuti (1977), laddove aveva cosìsentenziato:«Quantopiù l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo [pointless]».107 È infatti razionalmente esplicito che qualora l’ordine cosmico sia in modo evidente privo di scopoodisenso,qualoracioè sia sorto in maniera accidentale e risulti determinato soltanto dal caso quantistico e dalle necessità delle leggi fisiche, l’esigenza dipostularelapresenzadiun Creatore o anche semplicemente di un Demiurgo ordinatore viene inesorabilmenteacadere. Dietro le considerazioni di Weinberg si colloca la domanda radicalmente filosofica sul «perché esiste qualcosa anziché niente» del filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz108 e la conseguente plausibilità di due uniche risposte ragionevoli tra loro alternative:ol’operadiDioo il dominio di caso-necessità, o un disegno prestabilito o il gioco di casualità e determinismosenzascopo.Se infatti com’è ovvio tra l’essereeilnonesserenonsi può porre una terza via (qualcosa esiste oppure non esiste, tertium non datur), le soluzioni all’interrogativo leibniziano sono: o esiste un Essere intelligente creatore, ordinatore e causa prima, oppure nella materia interagisconosoloilcasoele leggi naturali. La scelta del nostroillustrepremioNobela favore dell’opzione casonecessità in assenza di alcun fine è dunque chiara e ripetutamente argomentata nei suoi testi divulgativi, non foss’altro perché egli è convinto che tutto sia riconducibile a una «teoria finale» della fisica intesa come «punto di partenza al quale è possibile far risalire tutte le spiegazioni»,109 per cuinongli«sembracheserva a qualcosa identificare le leggi naturali, come faceva Einstein, con un qualche Dio remotoedisinteressato»110. L’altra grande celebrità della scienza contemporanea che si è espressa contro la necessità di congetturare l’esistenza di un creatore e/o ordinatore cosmico, collocandosi così di fatto nell’ateismo fisicocosmologico, è Stephen Hawking. Già a partire dal suo best seller Dal Big Bang aibuchineri.Brevestoriadel tempo (1988) egli si è ritrovato a girare intorno al problema del Creatore intelligente e si è arrovellato sull’opportunità di mantenere il riferimento finale del libro alla mente di Dio: «In bozze fui sul punto di tagliare l’ultima frase del libro: “Giacché allora conosceremmo la mente di Dio”.Seloavessifatto,avrei forse dimezzato le vendite».111 Non è tuttavia convincente ritenere che il fisicoematematicoinglesesi occupidellamentediunEnte supremoedellasuaesistenza solamenteperincrementareil proprio successo editoriale o per essere in linea con la modadioccuparsiditeologia filosofica diffusa tra gli scienziati della nostra epoca, ma riteniamo che sotto ci sia qualcosa di più importante e fondamentale: il cosiddetto «problema della prima mossa». Se il cosmo in cui viviamonecessitaperesistere ed evolversi di precise condizioni iniziali, si pongono inevitabilmente alcune logiche domande che gli astrofisici cinesi Fang Li Zhi (1936-2012) e Li Shu Xianesprimonocosì:«Qualè la causa prima del nostro universo?Comesièprodotta la prima mossa da cui discende anche la nostra esistenza?». E qualora si riescaarispondereinmaniera convincente a questi interrogativi,qualorasiriesca cioè a individuare la o le condizioni iniziali, immediatamente seguono altri quesiti altrettanto impegnativi e che sembrano richiedere soluzioni che vanno oltre la scienza: «Perché l’universo ha scelto questa piuttosto che quella condizione iniziale? Se non possiamo rispondere a questa domanda, ammettiamo tacitamente che la fisica può solo spiegare il mondo in questo modo: le cose sono cosìperchélaprimamossafu così. Ovviamente, questa è scienzaametà»112.Arendere particolarmente cogente il problema della prima mossa ha contribuito lo stesso Stephen Hawking con alcuni suoi studi cosmologici, come quello che l’ha condotto a formulare insieme al fisico e matematico Roger Penrose il teorema della singolarità, il quale procede dalla considerazione secondo cui l’universo ha avuto inizio in un istante dato o «tempo zero» (t = 0) e conclude che «deve esserci stata una singolarità del Big Bang».113 Tale «singolarità» rappresenta uno stato fisico, un punto intorno a cui l’attrazione gravitazionale tendeall’infinitoedifrontea cui si arrestano le nostre conoscenze; dunque una condizione del cosmo primordiale del tutto insondabile per la mente umana, perlomeno con i suoi attuali strumenti: «Mostrammo–diceHawking riferendosi al suo lavoro con Penrose – che […] qualsiasi modello ragionevole di universo doveva iniziare con una singolarità. Ciò significava che la scienza poteva predire che l’universo doveva aver avuto un inizio, ma che non poteva predire come l’universo doveva cominciare, poiché tale compitoeradicompetenzadi Dio».114 Nonostante questo continuo riferimento a un contesto nel quale la risposta va cercata oltre la fisica, perché riguarda un divino Primo Motore e dunque la metafisica,Hawkinghaspeso buona parte delle sue riflessioni a cercare di aggirare il problema della singolarità o delle condizioni iniziali per non lasciare appunto campo libero all’ipotesi di una prima mossa.Inunprimotempoha propostoilmodelloteoricodi ununiversosenzacontornoo confini, ossia senza necessità di speciali o singolari condizioni iniziali, e lo ha fatto non nascondendo che esso era stato appositamente concepito per eliminare l’ipotesidiDio: Lateoriaquantisticadella gravità è venuta a dischiudere una nuova possibilità: quella che lo spazio-tempo non abbia un confine e che, di conseguenza, non ci sia necessità di determinare che cosa avviene in corrispondenza di questo confine.Noncisarebbero singolarità […] né margini estremi dello spazio-tempo arrivati ai quali potremmo solo appellarci a Dio. […] L’ideapercuilospazioe il tempo possono formare una superficie chiusa, ma privadiconfini,haquindi delle profonde implicazioni per quanto riguarda il ruolo di Dio nelle vicende dell’universo.115 In altre parole, se lo spazio-tempo non ha un confine o delle condizioni al contorno che lo delimitano, nonsièmaideterminatouno stato iniziale totalmente «singolare»nelqualeleleggi normali della fisica non valevano ancora; quindi tutto rientra nell’ordinarietà della fisicael’esistenzadelcosmo si giustifica da sé, senza bisogno di un attore esterno chiamatoDio. Più di recente Hawking è ritornato sulla questione del superamento delle condizioni iniziali o della singolarità primordiale con un nuovo saggio di tenore filosofico, scritto con il fisico californiano Leonard Mlodinow, ed emblematicamente intitolato TheGrandDesign(2010).In esso, ripercorrendo rapidamente la storia della fisica moderna e della cosmologia con speciale attenzione alle teorie della gravità e della meccanica quantistica, i due autori sostengono che l’universo non ha una singola storia bensì tante storie simultanee, che ogni cosa si sarebbe originata da fluttuazioni quantistiche, compresa la presenza di molteplici universi emersi dal «nulla quantistico».Tuttoquestoper concludere che il Big Bang sarebbe appunto un’inesorabile conseguenza delle leggi della fisica, in particolare della gravità spiegata anche in termini quantistici con una teoria del Tutto o M-theory. E adottando la teoria del Multiverso (il Tutto sarebbe costituitodamolteplicicosmi oltre al nostro), non c’è più bisogno di un Creatore, non risulta cioè necessario «appellarsi a Dio per accenderelamicciaemettere in moto l’universo»,116 poiché bastano le attuali conoscenze fisiche per stabilire che il cosmo può crearsi da sé e che presto o tardi dalla pletora dei molteplici universi della «teoria M» dovette scaturire necessariamente e spontaneamente anche il nostro. L’assenza di scopo o di un disegno del cosmo, l’origine dell’universo senza contornoossiasenzasingolari condizioni iniziali e la teoria degliuniversimolteplicinelle sue svariate formulazioni (bolle-universo, universi paralleli, cosmo pulsante, Multiverso ecc.) rappresentano dunque le principali tesi a cui ricorre l’ateismo fisico-cosmologico per provare scientificamente chesipuòfareamenodiDio. Oltre ai menzionati Weinberg, Hawking e Mlodinow, si sono collocati su questa scia nomi famosi comel’astronomoCarlSagan (1934-1996), il fisico delle particelleVictorJohnStenger e l’astrofisico Lawrence MaxwellKrauss. Sagan, pur preferendo definirsi agnostico, persegue difattounaformadiateismo stratoniano per cui l’onere della prova dell’esistenza di Dio spetta al credente, ma è anche evidente che detta provanonsussiste.Egli,tanto in una serie di trasmissioni televisive intitolate Cosmos (messe in onda negli Stati Uniti nel 1980) quanto nell’omonimo libro, allorché sitrovadifrontealproblema della prima mossa ripropone gli argomenti di Bertrand Russell sull’obbligo di chiedersianche«dadoveDio sia venuto. E se diciamo che questaèunadomandacuinon si può dare risposta, perché alloranonconcluderecheèla stessa origine dell’universo a cui non si può dare risposta?»117. La sua posizione è indiscutibilmente quella del naturalismo evoluzionista, non fosse altro perché è stato tra i primi a estendere la teoria dell’evoluzione all’intero ordine cosmico. In tal senso, il cosmo è semplicemente «tutto ciò che è o è stato o sempre sarà»118, senza bisogno di porsi la questione di chi l’ha creato. Difatti il nostro astronomo e divulgatorescientificoplaude al tentativo di Hawking di prospettare un’origine cosmicadovenonsianeppure ipotizzabile ricorrere all’idea di Dio, quindi «un universo senza confini nello spazio, senzainizioofineneltempo, e con nulla da fare per un creatore»119. Degli altri due scienziati sopra menzionati, ricordiamo in breve che Victor John Stenger si descrive come un ateo cresciuto in un quartiere cattolico del New Jersey e pensa che le osservazioni scientifiche della natura non facciano altro che condurci allaconclusionecheilmondo è costruito «come se non ci fosse alcun Dio».120 Lawrence Maxwell Krauss segueinvecepureluilastrada dell’universochepuòsorgere dalnullaquantisticoeriflette positivamente sull’ipotesi del Multiverso per concludere «unavoltadipiùcheDionon è necessario, o come minimo èridondante»;equestorisulta vero anche se «un mondo senza Dio o senza scopo può sembrare sgradevole o privo disenso».121 Ma tanta sicurezza nel concludere che le leggi della fisica spiegano ormai tutto delle origini dell’universo appare sospetta e in odore di essere viziata da un eccesso diottimismo,tantopiùcheci troviamo nel campo di teorie non ancora neppure lontanamente confermate o ben corroborate, come appunto la M-theory. La stessa assenza di uno scopo fisico del nostro sistema cosmologico è un’affermazione di per sé banale, tanto che l’astrofisica statunitense Margaret Geller ha così replicato a Steven Weinberg: «Perché dovrebbe avere uno scopo? Quale scopo? È solo un sistema fisico,chescopoc’è?».122La mancanza di un fine in un sistema fisico c’entra infatti poco o niente con la questione dello scopo in senso teleologico, con l’eventuale presenza o meno di un progetto finalistico tanto naturale quanto soprannaturale. Per altro non mancanoifisicichedalpunto di vista del senso dell’esistenza umana nel cosmo non rinunciano alla ricerca di uno «scopo» e non possono fare a meno di «combattere con il significato»: «Per me – ha confessato il premio Nobel ArnoAllanPenzias–sarebbe orribileaverelasensazionedi vivere in un mondo senza significato». La dimensione ontologica del senso e con essa quella di Dio restano dunque aperte all’indagine razionale, anche perché gli scienziati devono prendere atto che ci sono «limiti alla scienza oltre i quali la comprensione non sarà mai possibile»,123 mentre rimangono sempre praticabili le vie della speculazione teologico-filosofica. Sarebbe dunque meglio per gli atei scientifici o scientisti essere più cauti nelle conclusioni tanto più che, come ha riconosciuto lo stesso Hawking, per ora siamoalmassimoinpossesso di modelli matematici che esistono soltanto nella nostra mente. La possibilità di far scaturire l’intero cosmo dal nulla quantistico a seguito di una fluttuazione quantica costituisce infatti una congettura non verificata empiricamente e assai difficilmente verificabile, neppure per via indiretta come avviene con le particelle subatomiche in una camera a bolle. Per battere questa strada occorre probabilmente andare oltre la fisica,comeperaltroqualche scienziato ritiene già di poter fareconlacosmologia.124Ma risponderealladomandasulle origini e sul perché c’è l’essere piuttosto che il nulla andando oltre la fisica significa evidentemente entrarenellameta-fisica,dove qualsiasi approccio cosmologico non sarà più scientifico, bensì filosofico. Del resto l’immagine stessa del Multiverso costituisce un’idea «astratta» ossia non verificabile o falsificabile empiricamente, perché dal nostro universo, in cui siamo rinchiusisenzapoterinalcun modouscire,nonsaremomai in grado di osservare o semplicemente percepire la presenza di altri universi. Siamo in altri termini al cospetto di teorie meramente speculative, ossia meta- empiriche e, in quanto tali, inidonee a confutare scientificamentel’esistenzadi Dio. E lo stesso naturalismo evoluzionistico esteso al cosmo che si trova alla base di tali ideazioni teoriche non rappresenta una spiegazione scientifica, bensì un modo discutibile di fare ricorso a teorie scientifiche per dar conto di questioni metafisiche.125 7.Casoenecessità L’ateismo biologico si configura indubbiamente come la punta avanzata dell’ateismo scientista o comunque come l’approccio argomentativo più vigoroso contro l’esistenza di un Creatore intelligente e perfetto; questo perlomeno a partire dalla fine dell’800 e pertuttoilXXsecolo.Nonsi può disconoscere che l’introduzione della teoria darwiniana dell’evoluzione quale paradigma fondamentale delle scienze biologiche ha messo in crisi una tradizione teologica che vedeva nella specie umana il prodotto di una creazione diretta e la destinataria di un precisoeprivilegiatodisegno divino. Per gli atei scientifici di matrice biologica la crisi della teologia occidentale sarebbe ormai definitiva e trascinerebbeinesorabilmente con sé l’idea metafisica di Dio della tradizione ebraicocristiana: l’evolversi spontaneo della vita dalla materiaedellespeciedaaltre specieprecedentirendeinfatti superflua la presenza di un creatore e di un ordinatore teistico. A differenza di quanto qualcuno ha sostenuto, contro tale posizione non rappresenta una valida difesa neppure il ricorso alla teoria cosmologica nota come principio antropico, la quale nella sua versione forte (in siglaSAP–StrongAnthropic Principle) sostiene che il nostro universo deve necessariamente presentare quelle proprietà favorevoli allosviluppodellavitaumana in almeno una fase della sua storia.126Anzi,seinterpretato in senso marcatamente deterministico e materialistico, il principio antropico forte si traduce in una tesi a sostegno dell’ateismo scientifico, perché prospetta per la dimensione naturale che include la specie umana «un necessario determinismo legato all’essere stesso del cosmo, inteso come realtà ultima»127 autosufficiente, quindi non bisognosa di una giustificazioneodiunacausa aessatrascendente. È evidente che in questo contestobiologicoeinquesta direzione interpretativa l’esistenza degli esseri umani risulta del tutto priva di un valore specifico e di un significato sia in termini biologici sia in termini cosmologici. «Ho sempre pensato – ha affermato il chimico ateo Peter William Atkins – di essere insignificante. […] E penso che anche il resto dell’umanità dovrebbe rendersi conto di quanto sia insignificante. Voglio dire, siamosolounpo’difangosu un pianeta che appartiene a unsole.Potrebberoessercene miliardidialtri».128Daciòsi dovrebbe anche arguire che l’idea di Dio non solo è insensata,marappresentauna complicazione inutile, specie per una mentalità scientifica abituataadapplicareilrasoio di Ockham della soluzione piùsemplice.Infatti«undioè la definitiva antisemplicità, una complessità al di là di ogni comprensione». In altri termini, Dio è per lui sinonimo di fallimento intellettuale, rappresenta il pessimismo estremo, l’antitesi della fiducia nelle facoltà umane, nell’ottimistica forza che guidalascienza.Indefinitiva allora la scienza «riduce la complessità del mondo e fa diminuireilbisognodiundio che crea e controlla»,129 in particolare per la specie umana. In generale questo è il punto di vista che sottende tutto il naturalismo neodarwiniano e ultradarwiniano: esso sottolinea la semplicità della spiegazione evoluzionistica del mondo naturale e la marginalità delle singole specieviventi.Tantoilcosmo quanto i viventi sono sottoposti al vortice tempestoso del gioco delle forze della natura e degli eventi casuali, che fa della presenza degli esseri umani unfattodeltuttooccasionale. Il primo protagonista dell’ateismo biologico moderno è stato il già menzionato Jacques Lucien Monod (1910-1976) con la pubblicazionedelsuoIlcaso e la necessità (1970): in questo piccolo libro contestava efficacemente l’idea della presenza di un finalismo o di un progetto all’interno del mondo dei viventiericonducevalarealtà biologica all’imprevedibile intersecarsi della casualità e del determinismo delle leggi naturali. Sostenitore della teoria sintetica dell’evoluzione (basata essenzialmente sull’integrazione della selezione naturale con le scoperte della genetica), egli ammetteva da un lato che «l’oggettività ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi», ma dall’altro rifiutava il finalismo naturale e concludeva che «il problema centrale della biologia consiste proprio in questa contraddizione che occorre risolvere se essa è solo apparente, o dimostrare insolubileseèreale».130 Il programma scientifico diMonodsiprefiggevainfatti di spiegare i caratteri dei viventi riconducendoli tutti all’interazionetramolecoledi variogenereepertalemotivo è giustamente considerato uno dei pionieri della modernabiologiamolecolare. IllibrodiMonodèatuttigli effetti un testo di filosofia della biologia, perché vi si prende in attento esame il rapporto tra essere umano e naturadall’Antichitàaigiorni nostri, tenendo conto di tutte le concezioni metafisiche o naturalistiche che ne sono scaturite.Ese l’ambizione ultima della scienza consiste proprio nel chiarire la relazione tra uomo e universo, allorabisognariconoscere alla biologia un posto centrale poiché, tra tutte lediscipline,essatentadi raggiungere più direttamente il nocciolo delle questioni che è indispensabile risolvere primadipoteranchesolo porre in termini non metafisici il problema dellanaturaumana.131 Possiamoalloraaffermare che il vero obiettivo del saggio monodiano consiste nell’eliminare qualsiasi tentazione vitalista e teistica, dalla scienza spiegando il regno della vita e del cosmo senza alcun ricorso al trascendente o all’immateriale. L’intera storia delle idee a partire dal 1600, ossia dalla rivoluzione scientifica, viene così interpretatacomeuntentativo da parte di filosofi, scienziati e teologi di evitare la catastrofe, di impedire che si spezzi quella che Monod definiscel’«AnticaAlleanza» trauomoenatura.Inbreve,il pensiero moderno assomiglierebbe a un enorme sforzo (fallimentare) di forgiare un «nuovo anello» che ci mantenga legati a un ordine cosmico sensato, ovvero che funzioni come il principio teleonomico dei viventi, e quindi serva a preservare lo spazio di Dio. Si deve invece riconoscere che«ilcasopuro,ilsolocaso, libertà assoluta ma cieca, costituiscelaradicestessadel prodigioso edificio dell’evoluzione: oggi questa nozione centrale della biologia non è più un’ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l’unica compatibile con la realtàqualecelamostranole osservazioniel’esperienza». Dagli studi sulle alterazioni del DNA emerge infatti che sono eventi «accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibiledimodificazionedel testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità,diognicreazionenella biosfera».132 La necessità delleleggidinatura,chepure esiste, pare così sottostare al primatodelcasoocomunque dipendereinbuonamisurada esso: «L’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari.Uscitodall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni».133 In definitiva Jacques Monod, inserendosi nel filone del pensierotichistico,«hamesso in piedi qualcosa che si potrebbe chiamare un’antiteologia naturale»,134 dove il caso vince sull’idea di Dio e su qualsiasi altra forma religiosa di interpretare la natura. Il termine «tichismo» d’altronde deriva dal greco τύχη (tyche) e indica la prioritàolapredominanzadel caso o della sorte nell’ordine naturale. È stato infatti utilizzatodalfilosofoCharles Sanders Peirce (1839-1914) per sostenere, rifacendosi all’atomismo greco e al darwinismo,chelarealtàtutta è immersa nel dominio della casualità e dell’imprevedibilità. Ci dobbiamo perciò rassegnare: «L’antica alleanza è infranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’universo da cuièemersopercaso».135 Molto vicino e spesso in sintonia con Monod è il biologo François Jacob (1920-2013), che con lui è anche co-intestatario del premioNobel.Provenienteda famiglia di religione ebraica, racconta di essere diventato convintamente ateo prestissimo, all’età del bar mitzvah, ossia al raggiungimento della maturitàebraicachecadeper imaschiintornoai13anni.136 Anch’egli reputa senza senso cercare un qualche finalismo nell’evoluzione della vita, perché «Darwin ha eliminato sia la finalità del mondo vivente sia la vecchia teleologia aristotelica»; e questononostanteilfattoche «la finalità dell’organismo abbia ricevuto una consacrazione ufficiale», perché ciò è avvenuto soltanto in qualità di «concetto operativo o strumento di analisi».137 Jacob del resto considera l’evoluzione neodarwiniana una specie di bricolage proprio perché in essa è completamente assente un piano precostituito e ben organizzato in vista di un fine; pertanto chi volesse pensare a un Creatore dovrebbe concepirlo non come un Supremo Architetto o Sublime Artefice, bensì come un semplice bricoleur, un dilettante con l’hobby del bricolage che assembla le forme viventi come meglio può in base al materiale messo di volta in volta a sua disposizionedalcaso.138 Il messaggio del biologo francese sta a significare che per lui come per Monod non sussiste nessun disegno divino, nessun Intelligent Designercheabbiaprogettato con ordine e precisione l’evoluzione dei viventi o anche semplicemente la presenza finale della specie umana come scopo preordinato. Se esiste una «logica del vivente», quest’ultima è condizionata dalcaso,cioèdatuttoquanto lelegginaturali(geneticheed evolutive)«trovanoingiro»o per strada: «Esorcizzando l’idea di necessità, la teoria dell’evoluzione libera il mondodegliesseriviventida ogni residuo di trascendenza […]. La teoria dell’evoluzione liquida l’idea diun’armoniaprestabilitache abbia imposto agli esseri viventi un determinato sistema di relazioni. Alla necessità del mondo vivente si sostituisce la contingenza, che già regnava nel mondo dei corpi celesti e in quello delle cose inanimate».139 Ne deriva che «l’introduzione della contingenza nel mondo delviventeaoperadiDarwin e di Wallace rappresenta, per la biologia, il “tutto è permesso” di Ivan Karamazov».140 Nelle menti e nella propaganda degli atei scientisti la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin (1809-1882) è dunque diventata la prova cruciale dell’impossibilità o dell’inutilità di Dio, come si capisce bene leggendo il saggiodelfilosofoamericano Daniel Clement Dennett intitolatoL’ideapericolosadi Darwin. L’evoluzione e i significati della vita (1995), che è diventato il principale testo di riferimento per tutto l’ateismobiologico.Perilsuo autore lateoriadarwinianaèuna teoria scientifica, una grande teoria scientifica, ma questo non è tutto. […] L’idea pericolosa di Darwin intacca la trama delle nostre convinzioni dibase.[…]IlDiogentile che con amore ha dato forma a ciascuno di noi (tuttelecreature,grandie piccole) e ha cosparso il cielodistellebrillantiper il nostro diletto, quel Dio è,comeBabboNatale,un mitodell’infanzia.141 Dennett vuole fare dell’evoluzionismo biologico un principio radicale in favore di un naturalismo evoluzionistico che non può accettare sbavature rispetto alla presunta ortodossia darwiniana e al suo meccanismo a un tempo deterministico e casuale: «La mia ispirazione fondamentale è il naturalismo, l’idea secondo la quale le indagini filosofichenonsonosuperiori né preliminari alle indagini delle scienze naturali, ma agiscono in armonia con tali scienze, nell’andare alla ricerca della verità»142.Tutto dunque è sottomesso al giudiziodellescienzenaturali fondate sul paradigma ultradarwiniano, al punto da innescare attacchi vigorosi perfinocontrodarwinianinon credenti o agnostici perché considerati non sufficientemente ortodossi, qualiadesempioStephenJay Gould(1941-2002)conilsuo principio dei «Magisteri non sovrapposti» (NonOverlapping Magisteria – NOMA) di scienza e religione.143 A Gould il filosofo americano rimprovera di cercare comunque dei «ganci appesi al cielo», evitando così la lettura integralista dell’idea pericolosa di Darwin per cui «l’evoluzionerisultainultima analisi soltanto un processo algoritmico»,144 un puro processo meccanico simile a un calcolo matematico. L’algoritmo è infatti un modello matematico deterministico, in quanto presuppone una ben precisa catena di eventi sul tipo causa-effetto, quindi con un meccanismo ad andamento consolidato;edaciòdiscende che anche la teoria dell’evoluzione per selezione naturale costruisce una serie di accadimenti biologici rigidamente determinati dal manifestarsi delle pressioni selettive,percuiacertidatidi partenza corrispondono altrettantidatifinali. Ma se tutto è predeterminato dai meccanismi della selezione naturale,nonsorprendeallora cheDanielC.Dennettritenga di poter «riprogettare l’etica lungo una linea darwiniana»145, facendo pure definitivamente della religione «un fenomeno naturale, nel senso che non è soprannaturale, che è un fenomeno umano fatto di eventi, organismi, strutture e formesimilicheobbediscono alle leggi della fisica o della biologia e che dunque non implicanoalcunmiracolo»146. La credenza religiosa in Dio perciò altro non sarebbe se non una risposta a fattori ambientali selettivi, se non l’interazione tra un fattore intenzionale innato o biologico e alcuni fenomeni culturali indotti dalla necessità di un adattamento utile a produrre effetti psicologici positivi sia a livello individuale sia a livello di specie, ovvero funzionando sul singolo individuo quale antidoto all’ansia prodotta dalla lotta per la vita e sulle comunità quale strumento di autodisciplina all’interno di un ordine sociale. D’altronde appare tipico degli atei naturalisti ridurre la religione a un epifenomeno dell’evoluzione delle specie, fino addirittura a parlare con il sociobiologo Edward OsborneWilsondiun«istinto religioso» che si fonda sull’istinto di sopravvivenza contro i pericoli della natura: «Lapaura,comediceilpoeta Lucrezio,fulaprimaragione per cui vennero creati gli dei».147 A onor del vero Daniel Clement Dennett sembra ammettere che per l’ateismo costituisca uno scoglio problematico la presenza dellacredenzareligiosacome elemento «ubiquitario delle civiltà umane», ossia diffuso ovunque nella geografia e nellastoriapassateepresenti dell’umanità. Essa risulta tanto più problematica se come gli atei scientisti si partedalpresuppostosecondo cui «la fede in Dio non può essere giustificata da alcuna argomentazione scientifica o logica» e quindi dovrebbe venire considerata spontaneamente come irrazionale e illusoria da tutti gli individui pensanti. Il dovere di dare conto delle credenze religiose in termini naturalistici si tramuta così per il filosofo americano in «una parte dell’onere della prova dell’ateo spesso dimenticata». Per uscire da una situazione di obiettiva difficoltà,nontrovaperòalla fine niente di meglio che appellarsi al fatto che la biologia evoluzionistica in futuro sarà certamente in gradodifornire«unastruttura esplicativa» anche per «la genealogia della teologia», come dimostrerebbero alcune ipotesi di «lavori recenti nel campo delle scienze evoluzionistiche sociali».148 Tuttociòsenzarendersiconto chestaasuavoltacompiendo un atto di fede: quello nel naturalismo evoluzionistico che accomuna tanti atei scientifici. Altro grande teorico dell’ateismo biologico ed evoluzionistico contemporaneo è lo zoologo RichardDawkins.Nontroppo distante da Dennett nell’impostazionedifondo,si è caratterizzato come il nemico militante dei teisti e inparticolaredeicreazionisti, non meno passionale – come lui stesso ha riconosciuto – dei fondamentalisti religiosi, e quindi come loro fermamente convinto di essere nel giusto. Tuttavia solo la sua passione «si basa sulle prove. La loro [quella dei fondamentalisti], sfida apertamente l’evidenza, e sololaloroèintegralista»149. Riconosciamo qui subito l’impostazione positivista del suo pensiero, poiché traccia con nettezza un solco tra ciò che è provato empiricamente eciòchenonloè,traquanto derivadalsaperescientificoe quanto invece da mera ideologia; difatti, come sappiamo, per lui credere in Dio e nelle religioni è da analfabeti scientifici. Per giunta di fronte alle contraddizioniviventiditanti suoi colleghi scienziati credenti, egli non sa fare di meglio che negare l’evidenza sostenendo che «i grandi scienziati del nostro tempo che a prima vista sembrano religiosi non lo sono se si compie un’analisi più attenta»150. Anche per Dawkins la teoria darwiniana dell’evoluzione ha definitivamente falsificato e resoimpossibilequalsiasitipo di credenza religiosa e ogni forma di teismo, come avrebbe evidenziato in qualche modo lo stesso Charles Darwin parlando del suo libro sull’origine delle speciecomeilprodottodiun «CappellanodelDiavolo»151. Difatti il nostro zoologo si è riproposto proprio di imitare Darwin intitolando A Devil’s Chaplain(2003)unodeisuoi tanti saggi di propaganda ateista e antireligiosa.152 Nel farlo non ha tuttavia trascurato il fatto che se la scienzaconlabiologiarisulta unasicurabaseperl’ateismo, non altrettanto rischia di avvenire nel campo delle scienze fisico-cosmologiche; pertanto si è preoccupato di difendere con argomenti statistici la teoria del Multiverso in opposizione a tutte le ipotesi teologiche sull’origine del cosmo: «La differenza fondamentale tra l’ipotesi di Dio, che è effettivamente un lusso, e l’ipotesidelMultiverso,cheè solounlussoapparente,èuna differenza di improbabilità statistica. Per quanto lussuoso, il Multiverso è semplice. Dio […] è molto improbabile».153 Abbiamo trattato in precedenza delle difficoltà scientifiche di fare della teoria del Multiverso una risposta convincente all’esistenza dell’attuale ordine cosmico, tuttavia pensare di risolvere tutti i problemi dichiarando Dio statisticamente più improbabile di tale teoria ci pare, ancor prima che un’assurdità, un’incredibile ingenuità,specieperunuomo di scienza. Del resto «la statistica va applicata a posteriori e non a priori», come fa invece qui Dawkins, e pertanto il suo concetto di improbabilitànonèbasatosu valutazioni scientifiche, ma tuttalpiù «è solo un’opinione personale».154 Per tornare sul terreno della biologia, va ricordato che lo zoologo inglese si è caratterizzato come uno dei maggiori critici dell’Intelligent Design, ovvero delle presunte prove biologiche avanzate dagli assertori del disegno intelligente a partire dall’argomento dell’orologio e dell’orologiaio (o Design Argument) del teologo anglicano William Paley (1743-1805)155. Influenzato comemoltialtriateiscientisti da David Hume156, ma spingendosi ben oltre lo scetticismo illuministico, Dawkins propugna la tesi radicale di un’evoluzione naturale che procede completamente alla cieca, ossia come un «orologiaio cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine». Nonostante ciò, la teoria darwiniana sarebbe comunque adeguata a spiegarecomemai«irisultati viventi della selezione naturale ci danno un’impressione molto efficace dell’esistenza di un disegno intenzionale di un maestro orologiaio».157 Nel suo scritto più famoso intitolato Il gene egoista (1976), Dawkins aveva già descritto gli esseri viventi come le strutture più complicate presenti nell’universo, ma anche in fondo come tutte riconducibiliallareplicazione di un gene, ossia di quella molecolaegoista(selfish)che hacomefineesclusivolasua immortalità e che per conseguirlanonsifascrupolo di utilizzare lo strumento dell’estinzione di forme viventi meno adatte o biologicamente meno competitive: «I geni sono potenzialmente immortali, mentreicorpielealtreunità superiori [di viventi] sono temporanei»158. Come egli stessoriconosce,lateoriadel gene egoista è una «derivazione logica del neodarwinismo ortodosso»159, quindi di quel rifiuto del finalismo naturale e dell’adesione all’impostazione casonecessità tipica dell’ateismo evoluzionista. Sempre e solo la selezione naturale sembra dunque l’unica risposta possibile alla difficoltà di ritenere meramente accidentalelacomplessitàela perfetta funzionalità degli organismi viventi che osserviamo continuamente in natura. Sebbene Dawkins ammetta che è evidente che tuttociò«nonèavvenutoper caso», tuttavia insiste nel sostenere che «il progetto intelligentenonèl’alternativa giusta. La selezione naturale non è solo una soluzione economica plausibile ed elegante, ma è anche l’unica alternativa concreta alla casualità che sia mai stata formulata». L’accumularsi progressivo di tante piccole variazioni nei viventi spiegherebbe alla fine quelle complessità organiche che se concepite come realtà prodottesi in un unico momentosarebberoaltamente aleatorie e quindi difficilmente giustificabili anche sul piano scientifico. Da ateo può pertanto concludere affermando che «il creazionista non coglie il punto: egli infatti si ostina a trattare la genesi dell’improbabilità statistica come un evento unico e straordinario. Non capisce il potere dell’accumulazione».160 D’altronde se «Dio esiste o non esiste è una questione scientifica»dicui«ungiorno conosceremo la risposta».161 Allo stesso modo «la religione è cattiva scienza» e chinoncredenell’evoluzione è una persona «ignorante, stupida o pazza (o in malafede, ma preferisco non considerare questa ipotesi)».162 Per questo Richard Dawkins è molto critico pure nei confronti degli agnostici, al punto che nel suo The God Delusion (2006) giunge a titolare un paragrafo «Miseria dell’agnosticismo». A suo dire «va benissimo essere agnostici quando mancano le prove a favore dell’una o dell’altra ipotesi. È una posizione ragionevole». Tuttavia sulla questione di Diolecosenonstannocosìe l’agnosticismononèpertanto ammesso, perché «l’inesistenza di Dio è un fatto scientifico inerente all’universo, dimostrabile in teoria, se non in pratica»;163 un elemento dunque non ipotetico, ma certo al pari di qualsiasi conoscenza scientifica. Quanto al problema di un significato dell’esistenza umana che vadaoltreilriduzionismodel gene egoista, Dawkins la pensa grosso modo come Steven Weinberg: la vita assume«ilsenso,lapienezza e la bellezza che noi stessi decidiamo di assegnarle»164. Ma osserviamo qui che non basta certo la volontà o la capacità di attribuire da soli un significato alla propria singolaesistenzaperrisolvere la questione universale del «senso», tanto più che individualmente non tutte le vite sono soddisfacenti e fortunate come quelle di scienziati e scrittori di successo. Da un punto di vista strettamente scientifico o in generale dell’argomentazione logica non è però fondata la pretesa di trasformare la teoria dell’evoluzione per selezione naturale in uno strumento di confutazione dell’esistenza di un Dio creatore e di un progetto intelligente. Questo fatto era fin dall’inizio ben presente allostessoCharlesDarwin,il quale rispetto all’esistenza di Dio si dimostrava interiormentecombattuto,ma certamente poi dichiarava di non avere «alcuna intenzione di scrivere da ateo». E nonostantelesuedifficoltà«a vedere con la stessa semplicità di altri […] le prove del disegno e della benevolenza divini» come tantoavrebbedesiderato,non riuscivaa«considerarequesto meraviglioso universo, e soprattutto la natura dell’uomo, e concludere che ogni cosa è il risultato della forzabruta».Spronatodalsuo amico botanico Asa Gray (1810-1888), Darwin riconoscevainoltrechelesue idee «non sono affatto necessariamente atee» e che nulla impedisce che le leggi naturali tanto fisiche quanto biologiche «possano essere state espressamente progettate da un Creatore onnisciente»,165 anche se lui comunque permaneva in una posizioneagnostica. Sull’inefficacia teoretica dell’evoluzionismo biologico quale prova definitiva dell’insussistenza di un disegno intelligente ha finito per concordare (contraddicendosi)perfinoun ateo incallito come Daniel Clement Dennett, che incalzato dal filosofo analitico Alvin Plantinga si è detto«d’accordosulfattoche la teoria evoluzionistica contemporanea non dimostra l’assenza di un progetto intelligente e un biologo che volesse insistere dicendo che è possibile andrebbe sopra le righe».166 Resta dunque il dato oggettivo per cui una serie di fasi del processo evolutivocosmico,nellequali avviene il passaggio da stati di minore complessità della materia a stati di maggiore complessità o a complessità crescente,nonpossonoessere spiegate dal solo principio evoluzionistico, ivi incluso quello per selezione naturale delleformeviventi,marisulta necessario ricorrere all’intervento di un’interazione «eterogena». Così diventano evidenti tutte le difficoltà di quella che sempre Plantinga ha definito naturalatheology(«ateologia naturale»).167 D’altra parte il ferreo combinarsi di casualità e determinismo del meccanismo monodiano è intrinsecamente incapace di dar conto della realtà materiale nel suo complesso, al punto che «alcuni evoluzionisti hanno cominciatoasostenerechela bipartizione classica di Jacques Monod risulta fuorviante e che la storia naturale non è un compromessofraledueforze fondamentali del puro caso e della rigida necessità selettiva»168. A questo punto tanto il nichilismo biologico monodiano quanto il nichilismo cosmologico di Weinberg,periqualil’ordine naturale dei viventi e l’universo intero sarebbero privi di senso, non appaiono le uniche soluzioni possibili partendo dalle attuali conoscenze scientifiche. All’interno della stessa comunità degli scienziati si confrontano infatti due oppostevisioni:daunlato c’è la scienza ortodossa, con la sua filosofia nichilista di un universo senza senso, di leggi impersonali ignare di qualunque scopo, di un cosmo in cui la vita e l’intelligenza,lascienzae l’arte, la speranza e la paurasonosoloifortuitie accessori abbellimenti di un affresco dell’irreversibile corruzione cosmica. Dall’altra c’è […] la visione di un universo autorganizzato che accresce la propria complessità,governatoda leggi ingegnose che spingono la materia a evolversiversolavitaela coscienza.Ununiversoin cui l’emergere di esseri pensantièparteintegrante e fondamentale dell’ordine complessivo delle cose. Un universo nel quale non siamo soli.169 Con la seconda delle due visioni, quella dell’universo autorganizzato e finalistico, può concordare il teismo evoluzionistasecondocuiDio opererebbe come l’autore di una commedia dell’arte, limitandosicioèaredigereun «canovaccio» o «scenario» contenente le trame possibili (i tracciati dell’evoluzione cosmologica), le parti principali(ilruolodelleforze dellanatura,dellaselezionee dellemutazionigenetiche)eil finale (la vita intelligente), lasciando poi ampio spazio all’improvvisazione casuale dei diversi attori presenti sul palcoscenico del mondo naturale. Nonostante il ruolo importante del caso, sussisterebbe comunque una fitness of the cosmos for life (idoneità del cosmo per la vita)170 per la quale l’evoluzione dell’universo rimanda a una causa superiore esterna all’universo e per quanto ci riguarda direttamentecomespecie,«in una visione che va oltre l’orizzonte empirico, possiamo dire che non siamo uominipercasoeneppureper necessità, e che la vicenda umana ha un senso e una direzione segnati da un disegnosuperiore».171 1 Vedi R. Jastrow, God and the Astronomers, W.W. Norton & Company, New York-London 1992, p. 9.Lafraseinlinguaoriginaleè:«Heis eitheroverthehillorgoingbronkers». 2 Giovanni Paolo II, Fides et ratio, Letteraenciclica,n.88. 3F.T.Arecchi,I.Arecchi,Isimboliela realtà. Temi e metodi della scienza, JacaBook,Milano1990,p.27. 4 In proposito vedi P. Odifreddi, S. Valzania, La Via Lattea, Longanesi, Milano2008. 5 Vedi H. Swain (a cura di), I grandi interrogatividellascienza,Dedalo,Bari 2004,p.16. 6 Vedi A.W. Geertz, New Atheistic ApproachesintheCognitiveScienceof Religion, in M. Stausberg (a cura di), Contemporary Theories of Religion. A Critical Companion, Routledge, London-NewYork2009,p.243. 7Lafraseparesiastatapronunciatada Laplace alla presentazione del suo trattatocosmologicoMécaniquecéleste. Vedi P.-S. de Laplace, Opere, Utet, Torino1967. 8SulcasoGalileiesuirisvolticonnessi al rapporto scienza-fede vedi R. Timossi, Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa, A. Mondadori,Milano1999,pp.43-75. 9 Vedi J.A. Paulos, La prova matematica dell’inesistenza di Dio, Rizzoli, Milano 2008. In Italia aveva già provato a fare qualcosa di simile l’ingegnere Roberto Vacca ricorrendo all’algebrabooleananelsaggioDioeil computer,Bompiani,Milano1984. 10 Vedi J.S. Huxley, Religion without Revelation,TheNewAmericanLibrary (NAL),NewYork1958,p.223. 11H.Hahn,O.Neurath,R.Carnap,La concezione scientifica del mondo, Laterza,Bari1979,pp.76-77. 12Sulnaturalismoevoluzionisticovedi O.Franceschelli,T.Pievani,L’outingdi Ratzinger contro il darwinismo, «Micromega», n. 5/2007, pp. 111-27. Vedi anche F. Facchini, Le sfide dell’evoluzioneinarmoniatrascienzae fede, Jaca Book, Milano 2008, pp. 88 sgg. 13 Alcuni studiosi individuano anche una terza tipologia: quella del «naturalismo epistemologico». Con esso si reputano conoscibili soltanto le entità di cui si può avere esperienza diretta o riconducibile a un nesso casuale con un’esperienza diretta. Noi riteniamo invece che tanto il naturalismo metodologico quanto quello ontologico implichino quello epistemologico. Sul tema del naturalismo filosofico vedi M. Micheletti, Teismo e naturalismo nella recente filosofia analitica, in V. Possenti (a cura di), Ritorno della religione? Tra ragione, fede e società, Annuario di filosofia 2009, Guerini, Milano2009,pp.97-116.VediancheF. Laudisa, Naturalismo, Laterza, Bari 2014. 14 P.R. Draper, God, Science and Naturalism,inW.J.Wainwright(acura di), The Oxford Handbook of Philosophy of Religion, Oxford UniversityPress,Oxford2005,p.279. 15 Sul carattere metafisico e non scientifico del naturalismo degli atei scientisti vedi G.M. Hoff, Die neuen Atheismen. Eine notwendige Provokation,Topos-Pustet,Regensburg 2009.Perladefinizionedi«naturalismo scientifico» nel pensiero di D. Dennett vedi J.F. Haught, Dio e il nuovo ateismo, Queriniana, Brescia 2009, p. 16. 16L.Mason,Veritàecertezze.Naturae sviluppo delle epistemologie ingenue, Carocci,Roma2004,p.162. 17 A. Comte, Corso di filosofia positiva, Utet, Torino 1967, vol. I, p. 202. 18I.Kant,Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, Laterza, Bari 1972, «Prefazione»,p.41. 19 D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, in Opere, Laterza, Bari 1971, vol.II,p.175. 20 Comte, Corso di filosofia positiva cit.,primalezione,vol.I,p.2.Inlingua originale vedi A. Comte, Cours de philosophie positive, Schleicher Frères, Paris1907-1908. 21Ivi,p.3. 22 Comte, Cours de philosophie positivecit.,vol.V. 23 Sul pensiero di Pascal vedi R.G. Timossi, Decidere di credere, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 211-32. 24ParolediAugusteComtecitateinD. Morin,L’ateismomoderno,Queriniana, Brescia1996,p.35. 25 A. Comte, Système de politique positive ou Traité de sociologie. Istituant la religion de l’umanité, Mathias,Paris1854,vol.IV. 26 É. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Meltemi, Roma 2005,p.493. 27 E. Renan, L’avenir de la science. Penséesde1848,Larousse,Paris1954, pp.41e54. 28 Sulla ricerca del Gesù storico vedi Timossi, Decidere di credere cit., capitoloIII. 29 Citato da Bruno Revel nella prefazione a J.E. Renan, La vita di Gesù,Feltrinelli,Milano1972,p.9. 30Renan,LavitadiGesùcit.,p.187. 31Lecitazionidaivi,pp.187-92. 32Ivi,p.192. 33 G. Morra, L’ateismo fra moderno e post-moderno, in S. Burgalassi, C. Prandi,S.Martelli(acuradi),Immagini della religiosità in Italia, Franco Angeli,Milano1993,p.43. 34 E. Renan, Dialoghi filosofici, ETS, Pisa1992,p.147. 35E.Renan,Dialoguesphilosophiques, fr.[112],CNRS,Paris1992,p.34. 36Renan,Dialoghifilosoficicit.,p.71. 37 Vedi A. Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, Brescia2003. 38 Le citazioni sono tratte da F. Le Dantec, L’athéisme, Flammarion, Paris 1907, pp. 13 e 38 (trad. it. di Franco Virzo,pp.8e22). 39 Le citazioni da ivi, pp. 14 e 19 (ed. it.,pp.9e11). 40Lecitazionidaivi,pp.24-25(ed.it., pp.14-15). 41 B. Pascal, Memoriale, in Pensieri, Opuscoli, Lettere, Rusconi, Milano 1984,p.302. 42 B. Pascal, Pensées, 423 (277). Vedi B. Pascal, Frammenti, Rizzoli, Milano 1983. 43LeDantec,L’athéismecit.,pp.54-55 (ed. it., pp. 30-31). Le due leggi biologiche lamarckiane sono quelle dellacontinuitànecessariadellestirpie dell’ereditarietàdeicaratteriacquisiti. 44 Vedi D. Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, Il Saggiatore, Milano1989,pp.220sgg. 45 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi,BollatiBoringhieri,Torino 1970,p.355. 46 Lettera del 9 ottobre 1918 a Oskar Pfister (1873-1956), pastore luterano svizzero ed estimatore della psicoanalisi. Vedi S. Freud, O. Pfister, Psicanalisiefede:letteretraFreudeil pastore Pfister (1909-1939), Bollati Boringhieri, Torino 1990. Vedi anche P.Gay,UnebreosenzaDio,IlMulino, Bologna1989. 47Letteradel9febbraio1909aPfister, inFreud,Pfister,Psicanalisiefede cit. VediancheA.Plé,Freudelareligione, CittàNuova,Roma1978,p.29. 48S.Freud,Comportamentiossessivie pratichereligiose,inOpere1886-1921, Newton Compton, Roma 1993, vol. II, p.148. 49 S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, Bollati Boringhieri, Torino 1970,p.220. 50Lecitazioniprecedentidaivi,p.221. 51 S. Freud, Un ricordo d’infanzia di LeonardodaVinci,inOpere1886-1921 cit.,vol.II,p.400. 52 S. Freud, Totem e tabù, in Opere 1886-1921cit.,vol.II,p.643. 53Freud,Introduzioneallapsicoanalisi cit.,p.559. 54 F.S. Trincia, Il Dio di Freud, Il Saggiatore,Milano1992,p.227. 55S.Freud,L’uomoMosèelareligione monoteistica. Tre saggi, Bollati Boringhieri,Torino2002,pp.66-67. 56Ivi,p.142. 57LecitazionidaS.Freud, L’avvenire diun’illusione,sonotrattedaIldisagio della civiltà e altri saggi, Bollati Boringhieri,Torino2001,pp.171-73e 196. 58Freud,Introduzioneallapsicoanalisi cit.,p.561. 59 Vedi G.S. Hall, Adolescence. Its Psychology and Its Relations to Physiology, Anthropology, Sociology, Sex, Crime, Religion and Education, HesperidesPress,London2006. 60VediE.D.Starbuck,ThePsychology of Religion, The Walter Scott, London 1899. 61 J.H. Leuba, The Psychological Origin and the Nature of Religion, Constable,London1909. 62 H. Kung, Dio esiste?, Fazi, Roma 2012,p.420. 63 Vedi K.R. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972; Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, Il Saggiatore, Milano 1984, vol.I. 64 I. Lepp, Psicanalisi dell’ateismo moderno,Borla,Roma1966,pp.47-48. 65 Vedi A. Dulles, Dio e l’evoluzionismo: punti fermi per un dialogo, «Vita e Pensiero», n. 2/2008, p.73. 66VediV.E.Frankl,Allaricercadiun significato della vita, Mursia, Milano 2012; Dio nell’inconscio. Psicoterapia ereligione, Morcelliana, Brescia 2014; Ciò che non è scritto nei miei libri. Appunti autobiografici sulla vita come compito,FrancoAngeli,Milano2012. 67VediE.Mach,Lameccanicanelsuo sviluppo storico-critico, Bollati Boringhieri,Torino2001,pp.493-95. 68 L. Wittgenstein, Tractatus logico- philosophicus,6.53e7,Einaudi,Torino 1995,p.109. 69Ivi,6.44,6.45e6.522,pp.108-09. 70 B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Tea, Milano 1993, p. 403. La prova ontologica cerca com’è noto didimostrarel’esistenzadiDiopervia puramentelogicaoapriori. 71 B. Russell, Perché non sono cristiano, Longanesi, Milano 1973, pp. 6-7. 72B.Russell,Lavisionescientificadel mondo,Laterza,Bari1988,p.82. 73B.Russell,Scienzaereligione, Tea, Milano1994,p.9. 74VediL’esistenzadiDio(dibattitodel 1948 tra B. Russell e padre F.C. Copleston),inRussell,Perchénonsono cristianocit.,p.137. 75 J. Ladrière, Ateismo e neopositivismo, in AA.VV., L’ateismo contemporaneo, SEI, Torino 19671969,vol.II,p.408. 76 Vedi H. Feigl, The Mental and the Physical, in H. Feigl, M. Scriven, G. Maxwell,Concepts,TheoriesandMBP (Mind-Body Problem), Minnesota UniversityPress,Minneapolis1958,pp. 370-497. 77 Le citazioni da M. Schlick, Positivismo e realismo, in Il neoempirismo, a cura di Alberto Pasquinelli,Utet,Torino1969,pp.27071. 78Lecitazioniprecedentisonotratteda Hahn, Neurath, Carnap, La concezione scientificadelmondocit.,pp.70-79. 79 Vedi A. Flew, Theology and Falsification, in A. MacIntyre (a cura di), New Essays in Philosophical Theology, SCH Press, London 1966 (ed. it.: Nuovi saggi di teologia filosofica, EDB, Bologna 1971). Per il testo originale della parabola del giardiniere vedi J. Wisdom, La logica di Dio e altri saggi sulla religione, Quodlibet,Macerata2010,pp.9-10. 80A.Flew,GodandPhilosophy,Delta Book,NewYork1966,p.32. 81 P. Prini, Alle radici dell’ateismo semantico, in AA.VV., Il problema dell’ateismo, Morcelliana, Brescia 1966,p.242. 82 Ch. Bradlaugh, A Plea for Atheism, inG.Stein(acuradi),AnAnthologyof Atheism and Rationalism, Prometheus Books,Buffalo1980,p.10. 83 R. Carnap, Il superamento della metafisicamediantel’analisilogicadel linguaggio,inIlneoempirismocit.,pp. 512-13. 84 R. Carnap, Autobiografia intellettuale,inP.A.Schlipp(acuradi), La filosofia di Rudolf Carnap, Il Saggiatore,Milano1974,vol.I,p.45. 85R.Carnap,Lacostruzionelogicadel mondo,Fabbri,Milano1966,p.355. 86 Per le citazioni precedenti vedi A.J. Ayer, Linguaggio, verità e logica, Feltrinelli,Milano1987,pp.149-58. 87 J.N. Findlay, Language, Mind and Value, Allen & Unwin, London 1963, p.8. 88 Sulle varie formulazioni della prova ontologica vedi R.G. Timossi, Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici, Marietti,Genova-Milano2005. 89 Prini, Alle radici dell’ateismo semanticocit.,p.242. 90M.Dorato,Cosac’entral’animacon gli atomi? Introduzione alla filosofia della scienza, Laterza, Bari 2007, p. 142. 91 Vedi N.N. Taleb, Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita,IlSaggiatore,Milano2014. 92 K.R. Popper, Logica della scoperta scientifica,Einaudi,Torino1970,p.22. 93 W.V.O. Quine, Due dogmi dell’empirismo,inDaunpuntodivista logico. Saggi logico-filosofici, Cortina, Milano2004,p.35. 94 Vedi Atti del Simposio per l’ottantesimocompleannodiK.Popper, in K. Popper, K. Lorenz, Il futuro è aperto,Rusconi,Milano1989,p.94. 95 Le citazioni da Carnap, Autobiografiaintellettuale, vengono da Schlipp, La filosofia di Rudolf Carnap cit.,vol.I,pp.45-46.Percontrastarele critichealprincipiodiverificazione,nel 1937 Carnap aveva messo in campo il cosiddetto«processodiliberalizzazione dell’empirismo», sostituendo al criterio forte della verificabilità di una teoria quello più debole del «grado di confermabilità» o di «incremento graduale della conferma» empirica. VediControllabilitàesignificato,inR. Carnap, Analiticità, significanza, induzione,IlMulino,Bologna1971. 96 Sulla svolta teologica della filosofia analiticavediM.Damonte,Una nuova teologianaturale,Carocci,Roma2011. 97 Di P. van Buren vedi Il significato secolare dell’evangelo, Gribaudi, Torino 1969, e Linguistic Analysis in Christian Education, «Religious Education», vol. 60, gennaio-febbraio 1965. 98 Vedi F. Russo, La science et l’incroyance, «Nouvelle Revue Théologique»,marzo1974,pp.246-65. 99 D. Mainardi, L’animale irrazionale. L’uomo, la natura e i limiti della ragione, A. Mondadori, Milano 2002, p.4. 100 Citato alla voce «Concordismo» in Dizionario interdisciplinare di scienza efede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Città Nuova-Urbaniana University Press, Città del VaticanoRoma2002,vol.I,p.266. 101 R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragionipernoncredere,A.Mondadori, Milano2007,p.16. 102 Vedi J. Monod, Il caso e la necessità,Mondadori,Milano1997. 103 I. Prigogine, Le leggi del caos, Laterza, Bari 1993, p. 3. Vedi anche I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1993. Sulle teorie del caos deterministico vedi R. Timossi, Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa, A. Mondadori, Milano1999,pp.317sgg. 104 J.C. Eccles, Il mistero uomo, Il Saggiatore,Milano1990,p.18. 105 Vedi J. Maritain, Distinguere per unire. I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 2013; Scienza e saggezza, Borla,Roma1980. 106 S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, A. Mondadori, Milano 1993,p.264. 107S.Weinberg,Iprimitreminuti, A. Mondadori,Milano1990,p.170. 108 Vedi G.W. Leibniz, Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione, n. 7, in Scritti filosofici, Utet, Torino1967,vol.I,p.278. 109 S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, A. Mondadori, Milano 1993p.10. 110Ivi,p.264. 111 S. Hawking, Buchi neri e universi neonati e altri saggi, Rizzoli, Milano 1995,p.62. 112 Le citazioni da tratte da Fang Li Zhi, Li Shu Xian, La creazione dell’universo,Garzanti,Milano1990,p. 204. 113 S.W. Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Rizzoli,Milano1989,pp.68-69. 114 S.W. Hawking, L’origine dell’universo, in Buchi neri e universi neonaticit.,p.103. 115 S.W. Hawking, La teoria del tutto. Origineedestinodell’universo,Rizzoli, Milano2003,pp.125e130. 116 S. Hawking, L. Mlodinow, Il grande disegno, Mondadori, Milano 2011,p.171.La«teoriaM»oM-theory è una sorta di rete di teorie, dove «M» sta per «membrana» o «matrice» in gradodispiegareunambitocircoscritto difenomeni. 117 C. Sagan, Cosmo, Mondadori, Milano1981,p.258. 118LafraseèstatapronunciatadaCarl Sagan nella quarta puntata della serie televisivaCosmos. 119 C. Sagan, «Introduzione» a Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri cit.,p.10. 120V.J.Stenger,Perchélascienzanon crede in Dio. La sfida perduta della fedeallaragione, Orme, Milano 2008, p.163. 121 L.M. Krauss, L’universo dal nulla, Macro,Cesena2013,pp.8e170. 122 S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, A. Mondadori, Milano 1993p.263.VediancheH.Park,Does God Exist? Yes, Here Is the Evidence, iUniverse, Bloomington 2013, pp. 112 sgg. 123 Le citazioni di Penzias in R. Chiaberge, La variabile Dio, Longanesi,Milano2008,p.33. 124VediM.Novello,Qualcosaanziché il nulla. La rivoluzione del pensiero cosmologico, Einaudi, Torino 2011, p. 173. 125Perunadiscussioneapprofonditadi questi temi vedi R.G. Timossi, L’illusione dell’ateismo. Perché la scienza non nega Dio, San Paolo, CiniselloBalsamo2009,cap.3. 126 Vedi J.D. Barrow, F.J. Tipler, Il principio antropico, Adelphi, Milano 2002. 127 G. Tanzella-Nitti, Theologia Physica? Razionalità scientifica e domanda su Dio, in Nuovi ateismi e antiche idolatrie, Hermeneutica – Annuario di filosofia e teologia, Morcelliana, Brescia 2012, p. 41. Sui limitidelprincipioantropicovedianche G. Martelet, Evoluzione e creazione, JacaBook,Milano2003,pp.220-22. 128R.Stannard,Lascienzaeimiracoli, Longanesi, Milano 1998, pp. 21-22. Vedi anche P. Atkins, La creazione: Saggio sul riduzionismo estremo e sul razionalismo militante, Zanichelli, Bologna1985. 129 Le citazioni sono tratte da P. Atkins, Ragione e fede. Perché non possiamo dirci credenti, «L’Unità», 25 ottobre 2010. Il rasoio di Ockham (formulato dal filosofo Guglielmo di Ockham 1285-1349) è un metodo euristico col quale si sancisce per principio l’inutilità di formulare più ipotesi di quelle che siano strettamente necessarieperspiegareunfenomeno. 130Monod,Ilcasoelanecessitàcit.,p. 33. 131Ivi,p.11. 132Ivi,p.113. 133Ivi,p.118. 134 D.J. Bartholomew, Dio e il caso, SEI,Torino1987,p.13. 135 Monod, Il caso e la necessità cit., pp. 171-72. Per l’atomismo greco è famoso il frammento attribuito al filosofo Leucippo di Mileto (V sec. a.C.):«Ilcosmosiformòstrutturandosi secondo una forma curva, […] poiché gli atomi sono soggetti a un moto casuale e disordinato». Vedi Leucippo, Vita e dottrina, DK 67 A 24, in H. Diels, W. Krans, I Presocratici, Bompiani,Milano2006,p.1175. 136 Vedi F. Jacob, La statua interiore, IlSaggiatore,Milano1988,p.53. 137 Evoluzione e realismo, in F. Jacob Evoluzioneebricolage,Einaudi,Torino 1978,p.40. 138VediJacob,Evoluzioneebricolage cit.,pp.15-17. 139 F. Jacob, La logica del vivente, Einaudi,Torino1971pp.199e206. 140 Jacob, Evoluzione e bricolage cit., p.215.PerDostoevskijvedisupra,cap. 3,par.6. 141 D.C. Dennett, L’idea pericolosa di Darwin. L’evoluzione e i significati della vita, Bollati Boringhieri, Torino 1997,p.20. 142 D.C. Dennett, Freedom Evolves, Viking,NewYork2003,pp.14-15. 143 Vedi S.J. Gould, I pilastri del tempo, Il Saggiatore, Milano 2000, pp. 13sgg. 144 Dennett, L’idea pericolosa di Darwincit.,p.336. 145Ivi,p.652. 146 D.C. Dennett, Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale, Cortina, Milano 2007,p.26. 147 E.O. Wilson, L’armonia meravigliosa,Mondadori,Milano1999, p.294. 148 Le citazioni sono tratte da D.C. Dennett,Ateismoedevoluzione(Perché non abbiamo più bisogno di Dio), «Micromega»,n.5/2013,p.157. 149 R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, Milano2007,p.9. 150Ivi,p.24. 151VedilaletteradiDarwinall’amico Joseph Dalton Hooker del 13 luglio 1856 in R.C. Stauffer (a cura di), Charles Darwin’s Natural Selection: BeingtoSecondPartofHisBigSpecies Book Written from 1856 to 1858, Cambridge University Press, Cambridge1975. 152VediR.Dawkins,Ilcappellanodel diavolo,Cortina,Milano2004. 153Dawkins,L’illusionediDiocit.,pp. 149-50. 154 I. Mazzitelli, E se Dio esistesse? I limiti della conoscenza scientifica quandosiindaganoDioelareligione, Gremese,Roma2008,pp.14e114-15. SulMultiversovedisupra,par.6. 155 William Paley sosteneva che come la complessità perfetta di un orologio rimandaallapresenzadiunsuoartefice dotato di intelletto, le perfezioni della natura rimandano a un Creatore intelligente. Vedi William Paley, Natural Theology, Oxford University Press,NewYork2008. 156 Vedi D. Hume, Dialoghi sulla religione naturale, in Opere, Laterza, Bari1971,vol.I,pp.758-81. 157 R. Dawkins, L’orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Mondadori, Milano2003,p.41. 158 R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, Mondadori-De Agostini, Novara 1995, p.43. 159Ivi,p.IX. 160 Le citazioni precedenti sono tratte daDawkins,L’illusionediDiocit.,pp. 121-23. 161Ivi,p.55. 162 Vedi il dibattito tra L.M. Krauss e R. Dawkins su Scienza e fede, «Le Scienze»,n.469,settembre2007,p.99. 163Ivi,pp.53-56. 164Ivi,p.353. 165 Lettera di Charles Darwin ad Asa Gray del 22 maggio 1860, in Ch. Darwin, Lettere sulla religione, Einaudi,Torino2013,pp.44-47. 166D.C.Dennett,A.Plantinga,Scienza e religione sono compatibili?, ETS, Pisa2012,p.45. 167 Vedi A. Plantinga, God and Other Minds,CornellUniversityPress,IthacaLondon1967. 168 T. Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, Bari 2005,p.82. 169P.Davies,Dadovevienelavita.Il mistero dell’origine sulla Terra e in altri mondi, Mondadori, Milano 2000, p.308 170VediJ.Barrow,S.ConwayMorris, S. Freeland, Ch. Harper (a cura di), Fitness of the Cosmos for Life: Biochemistry and Fine-Tuning, CambridgeUniversityPress,NewYork 2008 171F.Facchini,L’avventuradell’uomo. Casooprogetto?, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, pp. 18 e 69. Per il teismoevoluzionistavediR.G.Timossi, L’illusione dell’ateismo cit., pp. 320 sgg. Vedi anche Ch. Southgate, God, Humanity and the Cosmos,T&TClark International,London2005. 6 Loscandalodelmale 1.Ilfiumedellavita Mentre cercano di confutare l’esistenza di un Creatore su basi scientifiche, gli atei scientifici o scientisti finiscono pressoché tutti per approdare all’argomento probabilmente più antico contro la presenza di un Dio buono: quello del male. Già Agostino di Ippona si domandava «Si Deus est, unde malum?»,1 facendo dell’interrogativo sul male in relazione alla natura onnipotente, sommamente giusta e benevola di Dio una delle questioni più dibattute dalla teologia cristiana. Il problema si è fatto ancor più assillante dopo l’orrore dell’Olocausto durante la seconda guerra mondiale, quando lo sterminio organizzato degli ebrei ha rappresentato l’apoteosi del male gratuito, di una malvagità talmente immotivata e insensata da sembrare perfino «banale» a chi commetteva crimini così gravi contro i propri simili.2 Émmanuel Lévinas (19061955), filosofo francese di discendenza ebraica internato in un campo tedesco per prigionieri di guerra, ha perciòsostenutochelaprima domanda della filosofia non deve essere la leibniziana «Perché c’è qualcosa e non piuttosto il nulla?», bensì «Perché c’è il male e non piuttostoilbene?»,poiché«la differenza ontologica [tra essere e non essere] è preceduta dalla differenza tra ilbeneeilmale».3 Non è certo assurdo immaginare che chi si è trovato da credente, ma certamente anche da ateo, in uncampodisterminionazista nonabbiapotutofareameno di interrogarsi su quella scandalosa assenza di Dio di fronte a tanta sofferenza innocente, tanta efferata crudeltà e tanta smisurata iniquità. È quanto ci ha testimoniatoloscrittoreebreo Elie Wiesel nel suo celebre racconto dell’esecuzione di un bambino nel sottocampo di concentramento di Buna (dipendenza del campo principale di Auschwitz IIIMonowitz): Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzaledell’appello[…]. Tre condannati incatenati e fra loro il piccolo «pipel», l’angelo dagli occhi tristi. […] Tutti gli occhi erano fissati sul bambino.Eralivido,quasi calmo, e si mordeva le labbra. […] I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. […] «Dov’è il Buon Dio? Dov’è?», domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. […] I due adulti non vivevanopiù.Malaterza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora… Piùdiunamezz’orarestò così,alottarefralavitae la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. […] Dietrodimeudiiilsolito uomodomandare:«Dov’è dunqueDio?». Soggiogati dall’impatto emotivodiquestadomandaè difficile articolare una risposta e costruire una «teodicea», una convincente difesa o giustificazione razionale di Dio inteso come Summum bonum (Sommo bene), appare un’impresa titanica,mentregliateihanno gioco facile a reputarla decisamente impossibile. La soluzione per certi versi paradossale di Elie Wiesel è che Dio soffre con l’uomo, patisce insieme a lui le sue sofferenze: «E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: “Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…”».4 Ma si tratta con tuttaevidenzadiunarisposta di fede, per altro non dissimile da quella ancor più sconcertante del sacrificio della Croce predicato della religione cristiana, dove Dio nella persona trinitaria del Figlio addirittura soffre e si lascia martirizzare come uomo per la salvezza di tutto il genere umano: «Noi – scrive Paolo di Tarso – predichiamo Cristo crocifisso scandalo per i giudei e stoltezzaperipagani»(1Cor 1,23). Forse proprio perché hanno percepito la debolezza dei loro argomenti «scientifici» a sostegno delle tesi atee, insieme con l’indubbia difficoltà a essere compresi da un vasto pubblico poco formato nelle scienze naturali, i nuovi atei come Dawkins, Weinberg e Stenger hanno sentito l’irrefrenabile esigenza di cercare anche loro sostegno nell’ateismo antiteodicetico, cioè in quella forma di ateismo che nega la compatibilità razionale dell’idea di un Creatore perfettissimo con la presenza del male nel mondo, in special modo sotto forma di dolore dei viventi, di catastrofi ambientali e di malformazioni naturali o di handicap mentali. Emblematico in proposito è quanto il drammaturgo e rivoluzionario tedesco Karl Georg Büchner (1813-1837) fa dire a un personaggio del dramma Dantons Tod (La morte di Danton, 1835), da lui composto due anni prima di morire all’età di soli ventiquattro anni: «Eliminate l’imperfetto e soltanto allora potretedimostraredio.Sipuò negare il male, ma non il dolore […]. Perché soffro? Questa è la roccia dell’ateismo. Il più piccolo trasalimento del dolore provocaunlaceramentodella creazione».5 La presenza del male gratuito, ossia delle sofferenze e delle morti innocenti che un Essere sommamente buono avrebbe dovuto impedire senza compromettere un bene maggiore, viene tramutata dagli atei scientisti nella principale prova a sostegno dell’assenza di un progetto o di uno scopo nel mondo naturale, anche se in effetti non si tratta di un’argomentazione scientifica,bensìfilosofica. Il giorno in cui scrissi la prima stesura di questo paragrafo – annota RichardDawkinsallafine del quarto capitolo de Il fiume della vita (titolo originale River Out of Eden) del 1995 – tutti i quotidiani britannici pubblicavano la terribile notizia che un autobus carico di bambini di una scuola cattolica aveva avuto un incidente che aveva causato la perdita di molte vite. […] Un corrispondente del quotidiano «The Sunday Telegraph» aveva formulato l’interrogativo teologico: «Come si può credere in un Dio onnipotente e misericordioso che permette il verificarsi di una simile tragedia?». Ebbene,[…]sel’universo fossecompostosolamente dielettroniegeniegoisti, tragedie insensate come questa sarebbero esattamente ciò che dovremmo aspettarci, insieme con una buona fortuna ugualmente insensata.6 Com’è facile notare, il fattodicronacaraccontatoda Dawkins è diverso da quello dell’esecuzione di un bambino a opera degli aguzzini nazisti narrato da Wiesel per la circostanza importante che ad Auschwitz il male dipendeva sicuramente e colpevolmente dalla volontà umana; tuttavia rimane allo stesso modo un’accusa aperta all’idea di Dio. Del resto un altro famoso ateo scientifico come Steven Weinberg, dopo aver chiamatoincausacontroDio leimperfezionicongenitealla nostra specie, menziona proprio l’esempio dello sterminio degli ebrei: «I credenti lottano da millenni con la teodicea […]. Il ricordodell’Olocaustononmi consentenessunasimpatiaper i tentativi di giustificare il comportamento di Dio verso l’uomo.Sec’èunDiocheha qualche progetto particolare per gli umani, è stato ben attento a nascondere il suo interesse per noi».7 Victor JohnStengerparlainvecedel doloreiniquoegratuitocome qualcosa di scientificamente inconcepibile se messo a confronto con l’idea di un Creatore: «Nel linguaggio dellascienza,ildatoempirico della sofferenza inutile non è conforme con un Dio onnisciente, onnipotente e onnibenevolo. Le osservazioni sulla sofferenza degli esseri umani e degli animali hanno le caratteristiche che ci si aspetterebbe se non esistesse alcunDio».8 Questa sorta di naturalizzazione scientifica del problema teologico del male si può far risalire allo stesso Charles Darwin quando, corrispondendo ancora con il botanico Asa Gray,affermava: Per quanto riguarda la prospettiva teologica, si tratta di un tema sempre penoso per me. Sono confuso. Non avevo alcuna intenzione di scrivere da ateo. Ma riconosco che non riesco a vedere con la stessa semplicitàdialtri,ecome vorrei tanto riuscire a fare, le prove del disegno e della benevolenza [divini] tutt’attorno a noi. Misembrachenelmondo visiatroppamiseria.Non riesco a persuadermi del fattocheunDiobenevolo eonnipotenteabbiacreato di proposito gli Ichneumonidae con la precisa intenzione che si nutrissero del corpo dei bruchi ancora vivi, divorandolo dall’interno; o che un gatto dovesse giocareconitopi.9 Qui Darwin porta in primopianonontantoilmale o i mali genericamente presenti in natura, che sappiamo essere innumerevolifinoalpuntoda risultare incommensurabili («Nel minuto che mi occorre percompletarequestafrase– scrive ancora Dawkins – migliaia di animali vengono mangiati vivi»)10, quanto il male più profondamente iniquo e scandaloso: la malvagità immotivata e perversa di chi infligge sofferenza solo per provare piacere, come nel caso del gatto che gioca col topo. Questogeneredimalvagitàè purtroppo ampiamente diffuso nella genia umana, come dimostra quanto avvenuto con dimensione di massaneicampidisterminio nazisti, ma desta maggiore impressioneritrovarlainaltre specie viventi: nell’homo sapiens può essere infatti attribuita alla volontà del Creatore di concedergli il libero arbitrio, per cui il singolo uomo diventa direttamente responsabile del malechecompie;inunfelino invece dipende in modo necessitato dalla sua natura cosìcomeessasiègenerata. Non è perciò senza fondamento la distinzione tradizionale tra male etico o morale (malum morale) e malenaturaleofisico(malum physicum), talvolta detto anche «esistenziale».11 Il primo dipende dall’autonoma scelta comportamentale dell’individuo quale soggetto dotatodilibertà;ilsecondoè intrinseco al modo di essere dellecoseecorrispondeaciò che in natura, senza intervento volontario dell’uomo, è foriero di conseguenze negative tanto per la nostra specie quanto per tutte le altre. In tal senso si considerano mali naturali non solo la malattia, le menomazioni fisiche e le nefaste catastrofi ambientali, ma anche gli atti violenti di un vivente contro un altro vivente nell’ambito della cosiddetta «catena alimentare» (gli erbivori si cibano dei vegetali e i carnivori di altri animali) oppure imposti dalla competizione per la sopravvivenza (perfino le piante in una foresta si contendono la luce del sole). Sostenere questa distinzione significa ovviamente non seguire coloro che come Daniel Clement Dennett fanno dell’identità umana un elemento integralmente naturale, che contro l’evidenzadeifattiaffermano che la coscienza (o l’autocoscienza) non sussiste come fattore specificamente ed esclusivamente umano, perché con tale tesi verrebbero a cadere anche la libertà e la responsabilità del singolo, per cui non avrebbe più senso parlare di malum morale, con la conseguenza che soltanto su Dio ricadrebbelaresponsabilitàdi tutto il male che c’è nel mondo.12 E qualora Dio non esistesse, per le teorie più radicali o nichiliste sul male non si dovrebbe addossare la colpa ai singoli viventi, ma andrebbe considerato come unmerodatonaturalealdilà diognieticauniversalistica. In effetti, come asseriscono questa volta correttamente gli atei scientifici, il male naturale assurge a problema esclusivamente nel momento incuisiipotizzal’esistenzadi un Dio creatore, o anche semplicemente ordinatore dell’universo, insignito degli attributi della perfezione: onnipotenza, razionalità, onniscienza e bontà assoluta. In assenza dell’ipotesi di una divinitàcreatricechiaramente «positiva» (sono state infatti concepite nel corso della Storia anche delle divinità malvagie), nella visione dell’ateismo materialistico o naturalistico il problema del male svanisce nella suprema indifferenza di un ordine naturale dominato dal caso e dalla necessità delle leggi fisicheebiologiche. Nonostante la tendenza alla cosiddetta «biologizzazione dell’etica»13, ossia a fare della morale un tema scientifico riconducibile alle leggi e ai processi della natura come qualsiasi altro fenomeno umano o genericamente animale, la questionedellapresenzatanto del male etico quanto del male naturale resta una problema teologico-filosofico importante, specie se riferito alla credenza in un Dio buono. Stupisce per altro che degli scienziati, passati più o meno consapevolmente dalla scienza al ragionamento teologico-filosofico con la pretesa di portare in esso lo stessa cogenza degli argomenti scientifici, si sforzino di confutare ciò che invece risulta di per sé evidente come la capacità degli esseri umani in condizione psicofisica normaledidistingueretraciò che è bene (o comunque è reputato tale in una certa comunità)eciòcheèmale.In relazione al tentativo di Dennett di eliminare l’idea stessadicoscienzaèpertanto lecito sospettare che il suo pregiudizio naturalistico faccia premio sull’analisi obiettiva dei fatti e lo conduca a costruire un’interpretazione non scientificaenonlogica,bensì condizionata dal suo ultradarwinismoideologico. Delrestolarielaborazione naturalisticadelproblemadel male operata dall’ateismo scientifico sfocia di solito in una patente contraddizione: da un lato si ritiene impossibile distinguere nell’ordinenaturaleciòcheè buono e ciò che è cattivo, si nega cioè «ogni fondamento all’esistenza di un male oggettivo e si vincola il concettostessodimaleauna nostra valutazione» soggettiva14; dall’altro si pretende di giudicare negativamente l’azione di un Creatore (nella quale per giunta non si crede) in ragione di quello stesso male che si considera oggettivamente inesistente. È difatti di per sé evidente che «parlare di male cosmico significaintrodurreuncriterio valutativochevaaldilàdella pura sequenza dei fenomeni» naturali e si finisce con l’attestarsi su una concezione negativa della natura che corrisponde a «una condizione del mondo che l’osservatore umano ritiene meno preferibile o meno auspicabile di altre».15 Ci si colloca insomma nell’ambito del soggettivo, del giudizio strettamente personale, ovvero al livello dell’opinione che è esattamente l’opposto della scientificità ostentata dai fautori del naturalismo filosofico e dell’ateismo scientista. Detto altrimenti, o si riconosce al male una realtà ontologica e allora si può porre la questione della sua compatibilità con l’idea di Dio sommamente buono e onnipotente; oppure non si riconosce a esso nessuna realtà sostanziale o effettiva, come fanno appunto gli atei scientifici, ma allora non si può neppure chiamare in causa o attribuirne la colpa a un ipotetico Creatore. In effetti la via percorsa dai neoplatonici e dal pensiero cristianodaessiinfluenzatoè stata proprio quella di non riconoscere al male un’esistenza reale e di considerarlo piuttosto come «non essere», o più precisamente come privazione del bene che coincideconl’essere.Plotino (203/205-270 d.C.) fondatore del neoplatonismo assegna infatti le proprietà del male alla materia sensibile in quanto privazione estrema dell’Uno,cheèinveceilbene edèprincipiodituttelecose tramite «processione» o «emanazione». Poiché «ciò che è meno vicino al bene è più vicino al male»16, più ci siallontanadall’Unoepiùci siapprossimaalmale;perciò la materia, che costituisce il termine estremo o ultimo rispetto all’Uno, «non possiede nulla del bene. Questa è la necessità del male».17 Ne consegue che il male non è concepito come un polo negativo che si oppone a un polo positivo, bensì come mancanza o privazione del «positivo», ossia del bene che è l’essere; quindiinultimaistanzacome nonessere:«Ilmalenonsarà né negli esseri, né in quella realtà trascendente: infatti sono buone queste cose. Resta dunque che esso, poiché esiste, esista nel non essere».18 Questaèprobabilmentela prima forma occidentale di teodiceafilosofica:Diononè causa del male e non ne è responsabile semplicemente perché è il creatore dell’essere, mentre il male è non essere, quindi non ha sostanza e non rientra nella creazione. La teodicea del malecomenonesserepenetra nel pensiero cristiano con Dionigi l’Areopagita (o Pseudo-Dionigi) vissuto nel V-VIsecolod.C.,perilquale «il male è debolezza e privazione del bene. […] Perciòilmalenonhaunasua sussistenza, ma una controsussistenza […]. È senzavia,senzascopo,senza natura, senza causa, senza principio […]. Non esiste il male in quanto male e non è negli esseri».19 In questo filone interpretativo si collocano prima Agostino di Ippona, che afferma che «il malenonèsenonprivazione delbenefinoalnullaassoluto […], dunque tutto ciò che esisteèbene,eilmalenonè una sostanza»;20 e poi Tommasod’Aquinocolquale si consacra l’impossibilità «che il male indichi un qualsiasi essere, oppure una realtà o una forma positiva. Rimane dunque che col termine male si indica una carenzadibene.Perquestosi dice che il male “non è esistente”, e neppure è un bene».21 2.Ivelenidellareligione Sulla validità della teoria del male come non essere, ovvero privato di ogni realtà ontologica, oggi sussistono molti legittimi dubbi tra i filosofi.Lostessoneotomista Jacques Maritain, pur attribuendoaDiolacausadel solo bene, ha criticato quella che chiamava la bonne école del tomismo rigido o «tomismo ciclopico», perché appunto vedeva soltanto la prospettiva dell’essere e quindi del bene e non quella delmale.22 Per i nostri scopi interessa però qui approfondire la questione dell’iniquità del male concretamente inteso o storicamente inteso, nella particolare prospettiva a essa impressa dal nuovo ateismo antireligioso.Comesièdetto, nella storia umana il tema della sofferenza immotivata alcospettodiunDiobuonoe giusto è un dato ricorrente e su cui si sono spesso arrovellati i credenti di ogni tempo.Perilcredenteilmale patito dai malvagi e dagli ingiusti è infatti in linea di principio giustificabile e tollerabile quale punizione di una colpa grave, mentre non lo sono le malvagità o le cattive azione rimaste impunite: «In questo sta la causa, e anzi la causa più grave della mia afflizione, – scrive il filosofo Anicio Manlio Severino Boezio (480-526) – e cioè che, pur essendo il mondo governato da un essere [Dio] che si identifica con il bene, possano comunque esserci malierestarenonpuniti?[…] A dettar legge e a prosperare èl’iniquità»23. L’interrogativo si pone in maniera più straziante se il male colpisce gli incolpevoli per antonomasia, ossia i bambini, come ci ricorda la celebre requisitoria di Ivan nei Fratelli Karamazov (1879) di Fëdor Michailovič Dostoevskij,chevalelapena di riportare per esteso perché mette magistralmente in luce la tragicità del dolore innocente: Non è che io non accetti Dio,capiscimibene,maè questo mondo creato da Lui, che io non accetto e nonpossorassegnarmiad accettare. […] Volevo parlare delle sofferenze dell’umanità in generale, ma è meglio che ci fermiamo soltanto alle sofferenze dei bambini. […] I bambini non sono ancora colpevoli di nulla. […] Un innocente non puòsoffrireperunaltro,e tanto più un innocente simile![…].Nonriescoa capireperchéilmondosia congegnato in questo modo […]. Mi rifiuto assolutamentediaccettare questa armonia eterna. Essa non vale le lacrime di quell’unica creaturina.24 Nell’invettiva di Ivan KaramazovcontroDiononsi bada molto alla distinzione tra male naturale e male morale, ma le sofferenze di qualsiasi tipo patite dagli innocenti sono tutte valide a giustificare la ribellione controilCreatore;esuquesta strada si sono incamminati pressoché tutti gli atei antiteodicetici. Tuttavia per l’eticaèunproblematantola presenza del male quanto quella del bene, come aveva già intuito lo stesso Boezio, che riformulava così l’interrogativo agostiniano: «“Si quidem deus”, inquit “est, unde mala? Bona vero unde, si non est?”» (Se c’è Dio,dondevengonoimali?E donde i beni, se Dio non c’è?)25.Inaltreparole,conun Dio buono non si spiega il male,masenzaunDiobuono non si spiega l’origine del bene.SullapresenzadiDiole religioni fondano infatti normalmente una morale universalistica e anche per questo motivo il nuovo ateismonellasuaversionepiù aggressiva ha attaccato direttamente le religioni storiche, attribuendo a esse una precisa responsabilità nella diffusione del male nel mondo. La fede religiosa sarebbe pericolosa e distruttiva nella Storia del genere umano perché fomentatrice di divisioni, di reciproche intolleranze e di persecuzioni; inoltre essa risulterebbe fondamentalmenteirrazionale e per giunta ostacolerebbe apertamente il progresso scientifico.Conleaccusealla religione di essere fonte di sofferenze e malvagità non siamoperaltroinpresenzadi una novità assoluta, se consideriamochegiàilpoeta Tito Lucrezio Caro si scagliava come sappiamo contro i crimini indotti dalle credenzereligiose.26 Dal momento che la presenza di una religione positiva presuppone la credenza in Dio, è logicamente conseguenziale per i nuovi atei militanti decretare la necessità impellente della diffusione dell’ateismo su scala mondiale. In linea con l’umanesimo ateo che contrappone l’uomo a Dio, l’invenzione del divino rappresenta per loro il lato oscuro della mente umana, il momento in cui gli uomini fanno del male a se stessi limitando il proprio libero arbitrio, la propria possibilità di progettare autonomamente la propria esistenza. Non siamo evidentemente distanti da quanto sostenuto in precedenzadapensatoricome Feuerbach,Stirner,Nietzsche, Bakunin e Sartre, per i quali la negazione di Dio è il fattore determinante per la piena realizzazione dell’uomo,ainiziareappunto dalla sua totale libertà. In questo il nuovo ateismo postmoderno non è poi così diversodall’ateismomoderno o anche da quello antico, perchéinradiceusaglistessi argomenti antiteistici di sempre, tanto è vero che le obiezioni,lecriticheeperfino le calunnie messe in campo contro i teisti di oggi non sono differenti da quelle mosse contro i credenti di ognitempo.27 Nel sottolineare la funzione perniciosa della religione, per il nuovo ateismo si è distinto innanzitutto il francese neoilluminista e neolibertino Michel Onfray, ottenendone per altro fama e popolarità editoriale, come del resto quasi tutti i nuovi atei della nostra epoca. Dopo essersi definitoathéedeservice(ateo di servizio, ossia militante) e dopo aver ripetuto vecchie formule dell’ateismo come quella secondo cui Dio è un’invenzione umana «per scongiurare la morte» e chiudere gli occhi «per non riconoscere l’evidente tragicità del mondo», si è scagliato contro coloro che organizzanoil«commerciodi espedienti metafisici, […] il commercio di oltremondi» rassicuranti, quindi in definitivacontroisacerdotio i promotori dei culti religiosi in cui magari non credono loro per primi: «Il vicario degli Dei monoteisti impone il proprio mondo per rafforzare la [sua] conversione giorno dopo giorno». Finché la religione resta una questione privata o individuale, anche un ateo la può tollerare e trattare come un problema di nevrosi o psicosi da consegnare allo psicoanalista, o nei casi peggiori allo psichiatra; infatti, a ciascuno sono consentite«leperversioniche può, fin quando esse non minaccianoononmettonoin pericolo la vita degli altri». Lo scenario muta invece radicalmente quando queste perversioni religiose diventano un fatto sociale e «in nome di una patologia mentale personale si organizza conseguentemente anche il mondo degli altri», perché allora l’ateo militante deve mettersi in azione per far trionfare i lumi della ragionecontrol’oscurantismo di tutte le Chiese. Ben sapendo tuttavia che «l’ateismo non è una terapia, ma una salute mentale recuperata».28 PerSamHarris–unaltro ateo militante di successo – l’intolleranza fanatica costituisceinvecel’essenzadi ogni fede religiosa, come dimostrano l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001. È pertanto contraddittorio e controproducente concepire la tolleranza verso le «ideologie religiose», perché le religioni sono tutte integraliste e come tali rappresentano una minaccia alla libertà e alla pacifica convivenza umana. Per altro il metodo da seguire intorno all’esistenza di Dio e alle presunteveritàdellareligione è quello della falsificabilità scientifica; da cui segue l’ovvia conclusione che le credenze religiose sono non falsificabili e impediscono perciò la loro verifica o confutazione sul piano della coerenza razionale e dei fatti oggettivi. Le credenze della fede fanno infatti valere il sistema del cosiddetto «pagamento rateale»: credi ora, sulla base di un’ipotesi non verificabile, e dopo la morte scoprirai se hai ragione.29 La prossimità di Harris all’ateismo scientifico è qui evidenteenonostanteciòegli si distingue dagli atei scientistiperlaricercadiuna spiritualità cosmica in accordo con la razionalità; ricerca che lo avvicina al monismo mistico delle filosofie orientali. In un articolo del 2006 intitolato Dieci miti e dieci verità sull’ateismo ha infatti scritto: «Nonv’ènullacheimpedisca a un ateo di provare amore, estasi, senso di rapimento e soggezione; gli atei possono tenere in alta considerazione queste esperienze e cercarle con regolarità. Ciò che gli atei non sono propensi a fare è utilizzare tali esperienze comebasediingiustificate(e ingiustificabili) affermazioni sullanaturadellarealtà».30 Unterzonomecelebredel nuovo ateismo è quello del giornalista e critico letterario Christopher Hitchens (19492011), il quale ha attaccato frontalmente le religioni e il teismo come fonti di male e di nefasti misfatti storici. Il suo saggio più noto è esplicito fin dal titolo: Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa (2007). Quando poi se ne legge qualche pagina, ci si trovaallapresenzadituttigli stereotipi ideologici dell’ateismo antireligioso e anticlericale, per cui le religioni sono strumenti di sopraffazione, di divisione fratricida e di gravi violenze sia fisiche sia psicologiche inferte perfino ai bambini (e quiilrichiamoallapedofiliaè scontato). Oltre a ciò, «restano ancora quattro inaggirabili obiezioni nei confrontidellafedereligiosa: distorce completamente le origini dell’uomo e del cosmo; riesce a combinare il massimodellaservilitàconil massimodelsolipsismo;èsia l’esito che la causa della dannosarepressionesessuale; e, infine, si fonda sulla credenza in ciò che si desidera sia vero», ma che quasi sempre è falso.31 Influenzato moltissimo dal saggio L’avvenire di un’illusione di Sigmund Freud, considera l’impulso religioso difficile da frenare se non si riesce ad aprire in qualche modo gli occhi alla specie umana, affinché «superi la sua paura della morteelatendenzaacredere ingratificantichimere».32 Va da sé che la via maestra per svegliare gli uomini dai loro sogni o dalle loro illusioni è quella delle conoscenze scientifiche, in particolare della teoria dell’evoluzione darwiniana. Hitchens difatti si preoccupa di confutare la teoria dell’Intelligent ricorrendo all’argomento imperfezioni ovunqueinnatura: Design proprio delle presenti Anch’io ho provato stupore di fronte alle piccole e morbide orecchiedelmiorampollo femmina, ma mai senza notare che: a) hanno semprebisognodiunpo’ di pulizia; b) che sembrano prodotte in serie […], che man mano che si invecchia si rivelano sempre più assurdesevistedadietro; c) che molti animali inferiori, come i gatti e i pipistrelli,hannoorecchie molto più affascinanti, grazioseepotenti.33 Insomma nessuno spazio e nessuna speranza per attribuire un significato particolare o trascendente all’esistenzaumana,mentreè evidente il fatto che l’atteggiamento della religioneversolascienza(per esempio la medicina) risulta sempre diffidente e molto spesso inevitabilmente ostile, perché il sapere scientifico infrange il monopolio della religione. E anche sforzandosidiammetterecon il citato biologo Stephen Jay Gouldchescienzaereligione sono magisteri non sovrapponibili,ciònontoglie che «non siano antagonisti».34 Va rilevato come l’ateismo antireligioso dei nuovi atei sembra avere essenzialmente preso di mira le religioni monoteiste della storia occidentale (ebraismo, cristianesimo e islamismo), mentre maggiore indulgenza si prospetta per le religioni orientali, forse perché giudicate meno integraliste, più tolleranti e distanti dalla questioneDio-maleperilloro panteismo di fondo. Il problema del male è infatti normalmente irrilevante per i panteisti, dal momento che l’immanenza del divino nel mondo trasforma in assoluta necessità tutto quanto accade e le stesse nozioni di bene e di male diventano sfumate: «Perquelcheriguardailbene e il male – scrive il panteista Baruch Spinoza – nemmeno essi indicano alcunché di positivo nelle cose in sé considerate, e non sono altro che modi del pensare o nozioni che formiamo per il fattocheparagoniamolecose l’una all’altra».35 Benché il contrasto Dio-male non vanti una specifica tradizione pressolereligioniorientali,in quasitutteèperòbenmarcato e importante l’elemento della sofferenza. Non a caso Siddharta Gautama inizia la suaviaperdiventareBuddha («Risvegliato») dopo l’incontroconunvecchio,un infermoeunmorto,mentrele sue «Quattro Nobili Verità» sono tutte meditazioni sull’esistenza e la natura del dolore36. Per completezza giova infinericordarecheesisteuna versionemenoaggressivadel nuovo ateismo ovvero esistono degli atei dialoganti come ad esempio Julia Kristeva, André ComteSponville, Alain de Botton, Duccio Demetrio e Salvatore Natoli. In linea di massima costoro, pur continuando a ritenere valido l’argomento delmalecontrol’esistenzadi Dio, si dimostrano più disponibiliariconosceredegli aspetti positivi nella religione, specie in campo etico-sociale. ComteSponville in particolare accetta che anche l’ateismo possa essere una forma di credenzaechequindil’attodi fede degli atei è quello nella nonesistenzadiDio,nelnon senso del mondo e in un destinosegnatodalnulla.37 In conclusione l’ateismo contemporaneo antireligioso piùinvogaèquellomilitante, che si distingue per la riproposizione di attacchi spessooffensivineiconfronti dei credenti, considerati spesso come affetti da una forma di malattia o aberrazione mentale, e delle religioniqualifomentatricidi divisione, odio e violenza. In realtà, però, la violenza e l’odio non dipendono tanto dall’essere o non essere religiosi quanto dalla natura stessa dell’uomo, dalla sua imperfezione costitutiva, inserito com’è da sempre in mezzo al conflitto tra bene e male. C’è chi come Dawkins ha fatto fatica a vederlo o a riconoscerlo, eppure molti non credenti hanno ceduto alla seduzione del male e molti Stati o regimi proclamatisi atei hanno dato un pessimo esempio di malvagità gratuita con stragi feroci e spaventosi gulag, come nel caso dei Paesi comunisti dell’ex URSS, della Cina, dell’Indocina, della Corea, dell’Albania e dell’ex Jugoslavia. I malvagi nonsitrovanodunquemaida una parte sola e le azioni negative non albergano soltanto nelle istituzioni religiose: tutti gli esseri umani sono imperfetti e perciò possono sbagliare e commettereilmale,sianoessi credentioatei. 3.IldilemmadiEpicuro In ogni religione conosciutaèforteildesiderio di redenzione e, come ha notato Max Weber, «dalle speranze di redenzione nasce una qualche teodicea della sofferenza»;enonsitrattadi una necessità istintiva come sostengono gli atei, bensì di un «bisogno razionale».38 Si può congetturare che la domandasulrapportotraDio e il male nasca con le prime forme di culto religioso e difattileconoscenzeinnostro possessocidocumentanouna presenza inconsapevole del problema già nell’antica religione babilonese e in particolare nei miti della creazione dell’intera area mesopotamica, come quello raccontato nel poema Enûma ElishrisalentealIImillennio a.C. Qui viene descritto il conflitto tra due divinità raffiguranti il bene e il male, Marduk e Tiāmat, al quale faranno seguito le dottrine dualistichedellozoroastrismo o mazdeismo, ossia la lotta tra il dio del bene Ahura Mazdā e lo spirito del male Angra Mainyu o Ahriman.39 È tuttavia nella mitologia greca e soprattutto nell’opera dei grandi tragediografi greci che le questioni teodicetiche incominciano a farsi largo in forme speculative nella cultura occidentale. Se qualche spunto si può rintracciarenella Teogoniadi Esiodo(VIII-VIIsec.a.C.),è perònelletragediediEschilo, maancheinquellediSofocle ed Euripide, che si trovano vasti richiami al comportamento iniquo o talvolta crudele delle divinità rispetto all’uomo, come ad esempio testimonia la storia diPrometeo,chenonacasoè stato sovente innalzato a vessillo dell’ateismo (per esempioinBakunin,inMarx, in Camus ecc.).40 D’altra parte nel già menzionato frammento ateo del Bellerofonte, Euripide dice chiaramente che davanti alla constatazione che molti Stati devoti agli dei «vengono dominatidaun’autoritàempia e resi schiavi» si può solo concludere per la non esistenza delle possenti divinitàolimpiche.41 Con questi importanti contributi i racconti mitologici ponevano «la questione “Donde viene il male?”», ma non si dimostrarono in grado di rispondere «interamente all’aspettativa degli uomini che agiscono e soffrono»; infatti«ilmitolasciavasenza risposta una parte importante della questione: non solamente perché, ma perché io?».42 Il compito di rispondere razionalmente a queste domande non poteva chespettareallafilosofiaeun primo importante tentativo veniva compiuto da Platone. Sia pure ancora sotto l’influsso della mitologia ellenica, dell’orfismo e delle opere dei tragici greci, il filosofo ateniese imposta l’interrogativo sul male in rapporto alla giustizia e nella dimensione della trascendenza.Peraffermarela libertà dell’uomo nel compiere il male escludendo una predestinazione divina e per introdurre nello stesso tempo una qualche forma di equo giudizio dopo la morte per l’anima immortale, Platonenonpuòfarealtroche ricorrere a sua volta al racconto mitologico, nella fattispecie al mito di Er. Questo mitico personaggio, ritornato inaspettatamente in vita dopo la morte in battaglia, narra di essersi trovato di fronte a una sorta di giudizio ultraterreno, dove i buoni venivano compensati eimalvagipunitiduramente: In mezzo sedevano i giudici,iqualiaogniloro sentenza ordinavano ai giustididirigersiinaltoe adestra,attraversoilcielo […] e gli ingiusti di muovere verso la parte sinistra in basso […]. Quelle [le anime] reduci dalla terra [il basso] si informavano […] ricordando quali e quante sofferenze avevano patito e visto patire, sconsolatamente piangevano, le altre che venivano dal cielo raccontavano di esperienze e visioni di straordinariabellezza.43 L’esistenzadelmaleperil grande filosofo ateniese dipende in sostanza dalle decisioniumaneenonsipuò attribuirne la colpa agli dei o al demiurgo creatore: «La responsabilità, pertanto, è di chi sceglie. Il dio non ne ha colpa».44 Si riprendeva così una tradizione risalente addiritturaaOmero(VIIIsec. a.C.) e che stigmatizzava la pessima abitudine umana di incolpare del male sempre e soltantoledivinità: Ah quante colpe fanno i mortaliaglidei! Da noi [dei] dicon essi che vengono i mali, ma invece Peilorofollidelitticontro ildovutohandolori.45 In un orizzonte culturale diverso,sipuòrilevareinvece che con la dottrina del peccato originale (narrato nel terzo capitolo del Genesi) l’irruzione nel mondo del male non solo etico, ma anche naturale venga attribuita direttamente alla responsabilità dell’uomo. Stando al testo biblico, Dio aveva collocato l’uomo nel giardinodell’Eden,facendolo vivere in armonia con il creato. In quel luogo però c’erano pure due alberi particolari,quellodellavitae quello della conoscenza del bene e del male, che per espressa volontà di Dio non dovevano essere toccati. Ma com’è ampiamente risaputo, l’ordine divino e il timore dellapunizionenonbastarono a vincere l’umana tentazione di cibarsi di quei frutti e Adamo ed Eva, istigati dal serpente, esercitarono la propria libertà disobbedendo a Dio. L’umanità incominciò così a conoscere il male e la sofferenza, e con essi la colpa;eperresponsabilitàdei primi esseri umani, una creazione buona per tutti i viventi si trasformò nello scenario attuale: «Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. […] Con il sudore del tuo voltomangeraiilpanefinché non ritornerai alla terra […]: polvere tu sei e in polvere tornerai!»46. Tornando al mondo greco, in Aristotele il tema del male in senso teodicetico sembra dissolversi, diventando esclusivamente una questione etica e quindi interamente legata alle azioni sbagliate degli individui umani. Le presunte imperfezionidellanaturanon vanno per lui attribuite a un demiurgo maligno, ma dipendono dalle caratteristiche proprie degli enti materiali o naturali, anche perché in una logica teleologica, ossia dell’esistenza di cause finali, se il fine ultimo a cui tutto tende è perfettissimo (il PrimoMotoreimmobile),non si può per contro prescindere dal fatto che la dimensione delle cose terrene (il cosiddetto «mondo sublunare») è corruttibile e dunque sempre imperfetta. Standoperòadalcunistudiosi del pensiero aristotelico, sarebberogiàpresentiinnuce nel filosofo di Stagira i presupposti della teoria del male come privazione dell’essere, successivamente ripresa e rielaborata dai neoplatonici. Ciò si evidenzierebbe in particolare nel concetto di «privazione della forma» a cui andrebbe soggetto il «substrato materiale»; il che farebbe in qualche modo della materia informeunelementonegativo dell’essere.47 Ma dal punto di vista dell’ateismo antiteodicetico già nell’antica Grecia c’era chi non risultava per nulla d’accordo sul discolpare le divinità di fronte alla devastantepresenzadelmale, come ad esempio uno dei presunti protoatei: il già menzionato poeta lirico Diagora di Melo. Quest’ultimo pare fosse rimasto oltremodo deluso dalla mancanza di giustizia nel mondo e ne avesse tratto la conclusione che sarebbe stato preferibile che non esistessero gli dei, perché qualora fossero davvero esistiti, gli uomini avrebbero dovuto ribellarsi a essi, in quanto certamente o ingiusti o indifferenti alla sofferenza umana. Per gli esseri divini infatti «non fa alcuna differenza per quanto riguardalabuonaolacattiva sorte quale tu sia o come hai vissuto».48Èperaltrorimasto celebreildialogotraDiagora di Melo e un suo conoscente avvenuto presso il santuario panellenico dell’isola di Samotracia, allora particolarmente rinomato per lapresenzadiungrannumero di ex voto. Allo scopo di confutare la sua convinzione secondo cui gli dei trascurerebbero le vicende umane, l’amico gli domanda: «Non noti tutte queste tavole votive che testimoniano di quanti abbiano sfuggito la violenza della tempesta e siano arrivati sani e salvi al porto grazie ai loro voti?». E ilpoetaseccamenterisponde: «Certo [che le noto], perché non c’è alcun ex voto di quelli che fecero naufragio e morirono in mare».49 Come dire: agli dei non importa proprio niente se un uomo sopravvive oppure muore in una burrasca marina supplicandoli di essere salvatoeaportaregliexvoto sono solo i fortunati, non i beneficiatidaunagrazia. Il principale vigoroso attacco alle responsabilità di Dio nei confronti del male all’interno della cultura ellenistica venne però dal filosofoEpicuroeingenerale dalla sua scuola, che probabilmente avevano preso espressamente di mira la prototeodicea di Platone. Nell’ambito dello scopo fondamentale dell’etica epicureadiliberareilsingolo individuo dalla paura del dolore e della morte per condurlo all’atarassia (imperturbabilità), ci si preoccupava infatti pure di affrancarlo dal timore degli deiponendoinprimopianoil lorocompletodisinteresseper le vicende umane. È appunto con questa intenzione che Epicuro pronuncia, secondo la testimonianza dell’apologetacristianoLucio Cecilio Firmiano Lattanzio (250-303/317 d.C. ca), il seguentediscorsoapodittico: Dio o vuole eliminare i mali e non può, oppure può e non vuole, oppure non vuole e non può, o infine vuole e può. Se vuoleenonpuò,èdebole, il che non appartiene alla sua natura. Se può e non vuole, è malevolo, cosa ugualmente aliena dalla natura di Dio. Se non vuole e al contempo non può,alloraèsiamalevolo sia debole, e per questo nonènemmenoDio.Seè vero che vuole e può, e soltanto questo può convenire a Dio, da dove vengono allora i mali? [undeergosuntmala?]O perché non li elimina? [Autcurillanontollit?].50 Undeergosuntmala?Aut cur illa non tollit? Si tratta come sappiamo dei due interrogativi costitutivi di ogni teodicea, che qui volutamente la tradizione epicurea pone nella forma logica del dilemma costruttivo, ossia di un ragionamento che prospetta tesi o soluzioni tra loro alternative (o l’una o l’altra, mai entrambe insieme) rispetto alle quali è difficile effettuare una scelta razionale, salvo quella di ammettere che non c’è via d’uscitaochel’oggettostesso dell’antinomia(lapresenzadi Dio oppure la sua provvidenza) è assurdo, quindi non vero. Quest’ultimo è l’evidente intento dell’argomentazione attribuita a Epicuro, anche se va rammentato che egli non erapernullaateo,perchénon rifiutaval’esistenzadeglidei, mailmodoconcuivenivano concepitierappresentatinelle religioni popolari del suo tempo. Per il filosofo greco infatti gli dei non sono né la causa del cosmo né dei corpi celesti, né tantomeno interferiscono sulla natura o si preoccupano delle vicende umane: «Dio non si cura di nulla».51 AllecritichediDiagorae di Epicuro che colpiscono direttamente l’idea della provvidenzadivinahatentato di rispondere la teologia cristiana in tutte le epoche, ma con argomenti che l’erudito e libertino Giulio Cesare Vanini reputava insufficienti: «Se Dio non volesse che si diffondessero nel mondo azioni pessime e delittuose, senza dubbio, con unsolcenno,annienterebbee bandirebbe fuori dai confini dell’universo ogni infamia. Chi di noi, infatti, può resistere alla volontà di Dio? […] Confesso onestamente cheastentopossoaccettarela distinzione scolastica tra volere efficace e volere compiacente di Dio».52 In altreparole,secondoiteologi cristianidelXVI-XVIIsecolo Dioonnipotentevuolesempre il bene e non lo si deve incolpare se invece c’è il male, perché ciò avviene per rispettare il nostro libero arbitrio, quindi mettendo in campo una «volontà compiacente» e non una «volontà efficace». Tuttavia, come sosteneva Vanini, questa tesi difensiva lascia insoddisfatti al cospetto del proliferare dell’iniquità nel mondo e bisogna pertanto ammettere che il dilemma epicureoconservatuttalasua forza di fronte alla dilagante realtà del male nell’ordine naturale e nel consesso umano,specieaigiorninostri dopo l’esperienza storica dei campidisterminionazisti. Il filosofo tedesco di origine ebraica Hans Jonas (1903-1993) ha scritto parole molto chiare sull’assenza e il silenzio di Dio al cospetto di tantascelleratacrudeltàcome quella di «Auschwitz che divorò bambini che non possedevano ancora l’uso della parola». Secondo il suo pensiero di fronte alle cose veramente inaudite che nelcreatoalcunecreature, fatte a sua somiglianza, hanno fatto ad altre creature innocenti, ci si dovrebbe aspettare che il Dio, somma bontà, […] intervenga con un miracolo di salvezza. Ma questo miracolo non c’è stato; durante gli anni in cui si scatenò la furia di Auschwitz Dio restò muto. […] Dio tacque […]. Quale Dio ha permesso che ciò accadesse? Al cospetto della Shoah non si può dunque non concludere che «una Divinità onnipotenteoèprivadibontà o è totalmente incomprensibile». D’altronde andando oltre le azioni inique della storia umana, perfino i testi biblici nonnascondonol’evidenzadi un contesto naturale in cui la malattia e la sorte avversa si abbattono sui buoni, mentre soventerisparmianoimalvagi nell’apparente indifferenza della giustizia divina. È questo il senso del «grido di Giobbe» nell’omonimo libro sapienziale, in cui si impreca addirittura contro lo stesso dono della vita: «Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisseilsuogiorno.Prese a dire: “Perisca il giorno in cui nacqui […]. Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall’alto”».53 Il protagonista del racconto biblico è un uomo buono, giusto e profondamente devoto al Signore che, dopo un periodo di prospera esistenza, conosce un’incredibile serie di ingiustizie e di rovesci della fortuna: i predoni gli rubano tutti gli averi e ammazzano i servi, un meteorite fa strazio dei suoi armenti, i parenti gli muoiono tutti e infine è pure colpitoda«unapiagamaligna dalla pianta dei piedi fino in cima al capo»54. Giobbe a questopuntononriescepiùa sopportare con remissività le sue sventure e chiama in causa direttamente Dio, chiedendogli perché in egual modo«faperirel’innocentee il reo»55. L’oggettiva arbitrarietànelladistribuzione deibeniedeimalitraigiusti e i malvagi mette qui in crisi la teoria del male come retribuzione di una colpa, comepunizionediunpeccato individuale oppure collettivo, che è presente in alcuni testi biblici come prima forma di eticareligiosa.56 Da tutto ciò emerge appunto con chiarezza il sensodelladomandadiHans Jonas,ovverosedifrontealla sfida del male, per salvare l’attributo divino della bontà noncorral’obbligodimettere in discussione l’attributo dell’onnipotenza. A cercare infatti di concepire Dio al medesimo tempo onnibenevoloeonnipotentesi finisce nel vicolo cieco dell’aporia logica, del dilemma epicureo di un Essere perfettissimo che vorrebbe eliminare il male, ma non è in grado di farlo, oppurechepotrebbefarlo,ma non vuole o comunque che alla fine non lo fa. Scrive ancora con efficacia Hans Jonas: «Certamente Dio dovrebbe essere incomprensibile se con la bontà assoluta gli venisse attribuita anche l’onnipotenza. Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinitàonnipotenteoèpriva di bontà o è totalmente incomprensibile». In breve, l’unica valida teodicea è soltanto quella per cui Dio non ha impedito la tragedia della Shoah come qualsiasi altra che accade nel mondo «non perché non volle, ma perché non fu in condizione di farlo» e ciò a ragione del fatto che «concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza». Un Dio dunque che secondo la dottrina ebraica dello Tzimtzùm si «ritira», autolimita il suo potere assoluto per fare spazio al creatoeall’essereumano.57 4.Ilmiglioredeimondi possibili Chi in epoca moderna ha tentatolarispostaasuomodo più spiazzante al problema della relazione di Dio col male è stato Gottfried Wilhelm Leibniz (16461716), che come sappiamo è pure l’inventore del termine «teodicea». Nei suoi scritti intitolati Saggi di teodicea (1710) cerca appunto di dimostrare in modo razionale l’assoluta bontà di Dio. Lo scritto leibniziano è in parte una replica all’illuminista francesePierreBayle,chenel suoDictionnairehistoriqueet critique (1697) avanzava conclusionialquantoscettiche sulla possibilità della ragione di risolvere le questioni relative al male, alla provvidenza,allalibertàealla grazia divina. In particolare Bayleritenevacheladottrina del male come non essere e l’antropocentrismo cristiano rendessero impraticabile una soluzione razionale al problema, perché di Dio si predicavano attributi tra loro incompatibili come l’infinita bontà e l’onnipotenza. Egli consideravainfattileevidenti iniquesofferenzeumanedelle vere e proprie prove empiriche della realtà sostanziale del male e reputava inoltre improponibile conciliare l’attributo dell’onniscienza con l’umano libero arbitrio: se infatti Dio conosce già le nostre decisioni allora esse non sono libere, ma predeterminate; se per contro lenostresceltesonodeltutto autonome e quindi non predeterminate, allora Dio non può conoscerle in anticipo e pertanto non è onnisciente. Con l’ironia tipica di questo periodo (ricordiamoci in proposito di Montaigne e dei pensatori libertini), Bayle poneinboccaaddiritturaaun abate le obiezioni sull’incompatibilità tra il male etico e l’onnipotenza divina: È evidente che si deve impedire il male quando si può […]. Tuttavia la nostra teologia ci rivela che tutto ciò è falso; secondo il suo insegnamento infatti, Dio non fa nulla che sia indegno delle sue perfezioni, quando tollera tutti i disordini di questo mondo,disordinichepure poteva facilmente prevenire. […] I nostri teologicidiconocheDio, pur potendo scegliere fra un mondo perfettamente regolato,ornatodituttele virtù,eunmondocomeil nostro, dove dominano il peccato e il disordine, ha preferitoquestoaquello. Di fronte a queste patenti contraddizioni, l’unica cosa che tanto i teologi quanto i filosofi sono riusciti a fare è stato ricorrere all’assunto dell’indiscutibilità o incontrovertibilità dell’autorità di Dio e delle SacreScrittureconimperativi del tipo «Dio l’ha detto, Dio l’ha voluto, Dio l’ha permesso!»; oppure affermando che «non dobbiamo misurare il dovere diDioconilmetrodeinostri doveri», impedendo ed evitandocosìsulnascereogni confronto critico con la ragione58. Leibniz pensa invece che la causa di Dio non sia separabile dalla causa della ragione, perciò accetta la sfida di Bayle e ritiene di poter radicare su elementi razionali tanto l’esistenza di Dio quanto la provvidenza divina, superando così il conflitto logico tra una divinitàassolutamentebuona, provvidente e onnipotente, e la presenza del male, specie diquellodegliinnocentiedei giusti. Lo fa procedendo dai principi fondanti della sua speculazione filosofica, a iniziare da quello di ragion sufficiente, secondo cui «nulla accade senza che sia possibile, a chi conosce in profondità le cose, indicare una ragione che sia sufficiente a determinare perchélacosaèaccadutacosì e non altrimenti».59 Il principiodiragionsufficiente è tuttavia ben più di un postulato logico, perché rappresenta un elemento di intelligibilità o di comprensibilità e quindi di razionalità intrinseco alla natura stessa delle cose; elemento in base al quale possiamo cogliere l’ordine cosmicoemeta-cosmico.Ein tale armonia cosmica, secondo il nostro filosofo, è contuttaevidenzagarantitala libertà.Libertàinnanzituttodi Dio, ossia della causa prima necessaria delle realtà mondane, e libertà della creaturafattaasuaimmagine e somiglianza: l’uomo. È allora altrettanto indiscutibile che, seguendo il percorso della metafisica tradizionale integrato con la logica modale, questa ragion sufficiente dell’universo non potrebbe trovarsi nella serie delle cose contingenti […]; è necessario che la ragion sufficiente, che non ha bisogno di un’altra ragione, sia fuori della serie delle realtà contingenti e si trovi in unasostanza,chenesiala causa, che sia un Essere necessario che porti la ragione della sua esistenza con sé. […] Questa ragione ultima delle cose è chiamata Dio.60 Il principio di ragion sufficiente nei Saggi di teodicea è chiamato «principio della ragione determinante», in quanto serve «a rendere ragione a priori perché una cosa è esistente […] e perché è così piuttosto che in un altro modo».61 Se si tiene conto che «necessario» si definisce «ciò che non può non esserci», mentre «contingente»equivalea«ciò che c’è ma poteva non esserci», allora applicando il principio di ragione determinante o sufficiente può venire dimostrata l’esistenza di Dio sulla base del fatto che il contingente o meramente possibile per sussistere ha bisogno del necessario. Gli enti materiali sono infatti tutti contingenti, sono cioè tutti possibili quanto a esistenza, ma non necessariamente esistenti, pertanto per esistere hanno avuto bisogno di un Essere necessarioimmaterialecheha già in sé l’esistenza e non la riceve da altro. Siccome tale Essere necessario è ovviamente perfettissimo, non può non risultare dotato di potenza assoluta, di suprema intelligenza e di totale volontà del bene: «E questa causa intelligente [Dio] deve essere infinita in tutti i sensi, assolutamente perfetta nella potenza, nella saggezzaenellabontàperché si dirige a tutto il possibile».62 Ma se l’Essere perfettissimo è assolutamente buono, appare pure subito evidente che non può aver deliberatamente voluto il malenell’essenzastessadelle cose; quindi quello che il filosofo tedesco chiama «male metafisico» è stato permesso da Dio soltanto in quanto affatto indispensabile perrealizzareilmondoquale noi lo conosciamo. Si sostieneinaltriterminichese il mondo è così com’è, se in essoesistonoimalinaturalie morali,significacheDionon avrebbe potuto fare qualcosa di meglio, perché «agisce semprenelmodopiùperfetto e desiderabile che sia possibile».63 Questa nostra realtà è pertanto la migliore tra tutte le infinite realtà possibili contemplate dall’intelligenza divina: «Ora questa suprema saggezza [Dio], congiunta a una bontà che non è meno infinita di quella,nonpotevamancaredi scegliere il meglio. […] Vi sarebbeunainfinitàdimondi possibili fra i quali bisogna che Dio abbia scelto il migliore, perché Egli non fa nulla senza agire secondo la ragione suprema».64 Quello incuicitroviamoèdunqueil migliore dei mondi possibili, valeadireunordinecosmico corrispondente al «miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà (possibile) è congiunta al massimo ordine(possibile)».65 Entra in tal maniera in giocolacategoriadei«mondi possibili» ormai ricorrente nellamodernalogicamodale, vale a dire dei modelli di realtà pensati in maniera tale danonpresentareinséstessi alcuna contraddizione, da apparire cioè intrinsecamente coerenti e quindi razionali.66 Postalanaturaassolutamente buona dell’Essere necessario, per Leibniz di tutti i mondi teorici concepibili dalla mente divina il nostro deve risultare indiscutibilmente il migliore.Ebenchéilmalein esso presente sia indubbiamente ab origine riconducibile come tutte le altre cose alla creazione divina, non si può tuttavia darne colpa a Dio, perché nella sua assoluta libertà non avrebbe potuto realizzare niente di meglio: «Bisogna che vi siano un’infinità di mondi possibili, che il male entri in molti di essi e che anche il migliore di essi ne racchiuda;ilcheèciòcheha determinato Dio a permettere il male».67 E noi che siamo chiamati a vivere in questo universo dobbiamo accettare conserenitàlasofferenzaeil male, nella certezza che anch’essi rientrano nel disegnodellagiustiziaedella bontà divina: «Quando si è rassegnatiallavolontàdiDio esisacheciòcheEglivuole è sempre il meglio, si è sempre contenti di ciò che accade».68 Contro la teodicea di Leibniz si può dire si scagli, piùomenodirettamenteepiù o meno consapevolmente, tuttol’ateismoantiteodicetico dal periodo illuministico in poi. Avverso la teoria del migliore dei mondi possibili si pronunciarono anche molti deisti e pure qualche teista. Non sappiamo se il curato ateoJeanMeslierscrivendoil suo Testament avesse avuto notizia dei Saggi di teodicea di Leibniz, ma quello che è certo è che alcune sue domande retoriche come «A che scopo un essere così perfetto avrebbe creato un universo tanto miserabile, pieno di male, di vizio e di malvagità, in cui gli uomini soffronoemuoiono?»oppure «Come si può parlare di meraviglie della natura, la quale è un territorio chiuso nel quale tutti gli esseri viventisopravvivonosoltanto eliminandosi a vicenda?» sembranoaperteprovocazioni mosse contro il grande filosofo tedesco, mentre la sua sconsolata conclusione anticipa l’antiteodicea degli scienziati atei: «Il male è congenito alla natura, indispensabile, altrimenti ci sarebbe una rapida proliferazione di uomini e di animali, e la Terra non potrebbecontenerli»69. Siamoinvecesicuricheil primo editore dell’opera di Jean Meslier, il filosofo francese Voltaire, aveva proprio l’intenzione di replicare a Leibniz quando scrisse il suo famoso e irriverenteraccontofilosofico intitolato Candide ou l’optimisme (1759). Benché egli non fosse ateo, anche da deista non poteva accettare l’idea teistica del dio provvidente e soprattutto sopportare l’ottimismo leibnizianocheaveval’ardire di proclamare il migliore possibile un mondo così palesemente iniquo e malvagio. Prendendo spunto dal terrificante terremoto di Lisbona del 1755, che fece innumerevoli vittime (si è parlato di più di 30 mila persone) e che suscitò un ampiodibattitotragliuomini diculturadeltempo,Voltaire immagina come un filosofo ottimista avrebbe potuto comportarsi al cospetto di un fenomeno naturale così catastrofico: «Pangloss [l’alter ego di Leibniz] li consolò [i superstiti di Lisbona] assicurandoli che le cose non potevano andare altrimenti: perché, diceva, tutto questo è quanto c’è di meglio. Perché tutto è bene. […] Perché la caduta dell’uomo e la maledizione entravano necessariamente nel migliore dei mondi possibili». Ma poco oltre Candido, il protagonista del racconto, sommerso dalle disgraziemetteallaberlinala filosofia di Pangloss-Leibniz con questa semplice riflessione: «Se questo è il migliore dei mondi possibili, cosasarannomaiglialtri?».70 Dei risvolti filosofici del terremotodiLisbonaebberoa occuparsiancheJean-Jacques Rousseau,indirettapolemica con Voltaire, e Immanuel Kant.71 Quest’ultimo, diversi decenni dopo, giunse a prefigurare all’interno dei limitidellaragionemetafisica il sicuro insuccesso di qualsiasi teodicea filosofica, perchélanaturael’intenzione finale di Dio rispetto all’essere umano e al bene supremo è inattingibile al sapere umano: «Tale idea la può capire soltanto colui che sispingefinoallaconoscenza del mondo sovrasensibile e comprende il modo in cui esso sta a fondamento del mondo sensibile. Su questa conoscenza soltanto può essere fondata la prova della saggezzamoraledelCreatore nelmondosensibile[…].Ma a tale conoscenza nessun mortale può pervenire».72 Nella visione kantiana la teodicea è infatti una questione di fede e non di ragione come pretendeva Leibniz. E perfino in ambito etico bisogna prendere atto che l’uomo è «cattivo per natura», non nel senso che tale qualità possa essere ricavata dall’idea che abbiamo della specie umana, perché altrimenti gli uomini sarebbero sempre cattivi, ma nel senso che anche nell’individuo umano migliore «c’è una tendenza naturale al male […] che va ricercata nel libero arbitrio». Tendenza che Kant chiama «male radicale», perché «corrompe il fondamento di tuttelemassime[morali]ein quanto propensione naturale nonpuòesseresradicatodalle forzeumane».73 5.Ilmalediesistere La negazione di Dio di fronte alla presenza della sofferenza innocente e l’ateismo antireligioso che di solito l’accompagna hanno inevitabilmente dovuto confrontarsi col problema etico e quindi con la questionedelbeneedelmale nell’agire umano. Chi rifiuta l’esistenza di un Essere sommamente buono rifiuta normalmentequalsiasimorale religiosa e si trova quindi davanti alla questione dei fondamenti dell’etica in una «società di atei». Se si afferma infatti che non può esistereunDioonnipotentee benevolo perché incompatibile con il dilagare del male nel mondo, non si può neppure radicare il comportamento etico sulla volontà divina, sull’equa riparazionedelleafflizionidei giusti e sulla punizione delle colpe dei malvagi. Mettendoci dal loro punto di vista,èfacilenotarecomegli atei antiteodicetici abbiano solo due vie di uscite dal problema:quelladitentaredi dare forma a un’etica atea o (come si dice oggi) «laica» e quelladelripudiodiqualsiasi morale fino all’aperta e sfrontataimmoralità. Già a partire dall’Illuminismo l’ateismo antiteodicetico ha percorso tutte e due queste strade, con il risultato paradossale di far sì che una tendenza contraddicesse l’altra, indebolendo e rendendo così poco credibili entrambe. Se infatti, da un versante, pensatori come D’Holbach e Diderot, in polemica con i credenti che associavano l’ateismo alla distruzione dellamorale,hannosostenuto l’ammissibilità dell’etica in una comunità di atei e hanno cercato di dare consistenza teorica alla figura bayleiana dell’«ateovirtuoso»,tentando una fondazione materialistica della morale; dall’altro versante, filosofi come La Mettrie ed eruditi come il marcheseDeSadelihannodi fatto contraddetti con le loro opere atee sbilanciate verso l’immoralismo teorico nel primo caso e verso l’immoralità pratica nel secondo.Inquestocontestoil fenomeno più significativo perl’ateismoantiteodiceticoè sicuramente quello degli atei teoretici che ripudiano con l’idea del Dio buono anche quella dell’etica; fenomeno chedall’etàdeiLumiainostri giorni vanta un’importante tradizione, con molte sfaccettature di cui ora diremo.74 Julien Offray de La Mettrie (1709-1751), presumibilmente influenzato dal panteismo spinoziano, ha recisamente negato l’esistenza di un Dio trascendente e buono sposando un materialismo rigoroso, senza cedimenti o sbavature nei confronti della res cogitans cartesiana. Da questa posizione ritenne coerente inoltrarsi lungo il sentiero del relativismo etico integrale ovvero dell’assenza di una morale di estensione generale, perché nell’ottica della conoscenza sensibile o empirica non si danno valori etici universali e tantomeno assoluti. Esiste infatti per lui soltanto la dimensione sensitivadell’uomoepertanto anche i comportamenti o le scelte umane vanno calibrate sulle sensazioni personali di piacere e di dolore: «Più una sensazione è durevole, deliziosa, piacevole e non interrotta o turbata da checchessia,piùsièfelici»75. Ci troviamo insomma in presenza di un edonismo materialistico e potenzialmente egoistico che è distantissimo dalla morale stoica contro cui è dichiaratamente rivolto («Come ci sentiamo antistoici! Questi filosofi sono severi, tristi e duri»)76, ma puredallamoralecristiana.È ilnostroorganismoda«uomo macchina» a condizionare le nostre azioni senza una vera possibilità di scelta, perché «siamo trascinati da un determinismo assolutamente necessario», e quando facciamo il bene o il male, quando siamo virtuosi piuttostocheviziosi«lacausa di tutto ciò è il nostro sangue»; mentre il nostro egoismodipendedalfattoche «siamo macchinalmente portati a realizzare il nostro bene» e «ogni individuo, nel preferirsi a ogni altro […], non fa che seguire l’ordine della natura».77 In breve non più semplicemente «tutto è permesso»diDostoevskij,ma «tutto è necessitato» dal nostro corpo, compreso il male. Tuttavia La Mettrie non giunge a sostenere apertamente i malvagi contro i buoni, si limita piuttosto a prendere atto che la scelta di quanto viene considerato vizio o abiezione morale risulta imposto dalla natura stessa degli esseri umani: «Non sostengo affatto, Dio non voglia!, la malvagità, troppo contraria al mio carattere: piuttosto la compatisco, perché ne trovo la giustificazione nell’organismo stesso dell’uomo»78. Ne consegue che i malvagi non meritano una condanna morale più di quanto i buoni non meritano unpremio;esequestoinvece avviene, è perché la società, la religione e il potere costituito si difendono con le leggieiprecettietici.Chiper contro compirà il salto ulteriore, chi porrà il male al di sopra del bene in una direzione addirittura antiumanistica sarà un’altra celebre figura di ateo e libertino:Donatien-AlphonseFrançois de Sade (17401814). In De Sade il materialismo, il sensismo e l’antimoralismodiLaMettrie vengono condotti agli esiti maggiormente autodistruttivi per l’individuo umano e per la stessa comunità umana, assumendo la veste di un annichilimento parossistico nel piacere, che si trasforma in realtà in profonda sofferenza per sé e per il prossimo.NelDialogueentre un prêtre et un moribond, scrittonel1782nellaprigione di Vincennes, il «divin marchese»79 chiarisce subito come i presunti peccati della carne e della volontà non siano altro che «bisogni preordinati dalla natura o conseguenze ineluttabili», alla stregua di come grosso modo la pensava La Mettrie. Seperòsiipotizzal’esistenza di un Dio creatore, allora della corruttibile natura umana si deve attribuire totalmente a Lui la colpa; e nonvalesostenere,comefail prete nel nostro dialogo, che tutto ciò è dipeso dalla necessità di preservare la libertà umana perché l’onnipotenza divina poteva essere esercitata altrimenti. L’attributo dell’onniscienza permette poi a Dio di conoscere in anticipo come agiranno i singoli uomini e quindi bisogna concludere che essi sono predestinati al bene o al male dalla volontà divina: Sicché – chiede il moribondo al sacerdote – il tuo dio ha voluto far tutto di traverso, soltanto per tentare o provare la sua creatura; ma non la conosceva dunque? […] Aqualfine,sesapevagià quale partito ella avrebbe abbracciato e se non dipendeva che da lui, poiché lo dici onnipotente? D’altronde per spiegare il mondo basta la conoscenza empirica, basta l’esperienza della materia e non c’è bisogno di ricorrere all’idea di un Creatore come quello descritto dalla religione: «Perfeziona la tua fisica – dice ancora il carcerato moribondo – e comprenderai meglio la natura, depura la tua ragione, metti al bando i tuoipregiudiziefaraiameno deltuodio».80 A questo punto per De Sade non ha senso porre confini alla ricerca del piacere, perché esso è il principale impulso che proviene dalla nostra natura predeterminata;epureilimiti della legge in difesa della società, riconosciuti ancora validi da La Mettrie, diventanoinefficacisefareil male o ciò che si definisce tale suscita un piacere superiore a quello di fare il bene. «Amanti del piacere […] – pontifica il «divin marchese»inLa filosofia nel boudoir (1795) – è a voi soli che dedico la mia opera: nutritevi dei suoi principi, essi favoriscono le vostre passioni, e queste passioni, che i freddi e piatti moralisti vi dipingono come spaventose, altro non sono cheimezzidicuilanaturasi serve per condurre l’uomo a realizzare i disegni che essa stessahasudilui»81. Nonc’èDio,noncisono sostanzespirituali,c’èsolola materiasensibile,epertantoil piacere corporale è l’unico vero scopo dell’umana esistenza.Inassenzadivalori universali, l’unica ovvia e forzata prospettiva per ciascuno di noi è quella dell’edonismo non soltanto egoistico, ma solipsistico e crudele verso gli altri, che riduce il nostro prossimo a mero strumento di piacere: «Solo sacrificando tutto alla voluttà, quell’essere infelice che ha nome uomo e che si trovagettatosuomalgradoin questo triste universo, può riuscire a seminare qualche rosa sulle spine»82. Qui il nostro dissoluto libertino sembra perfino anticipare alcune tesi dell’esistenzialismo e in particolare quella dell’essere umano «gettato nel mondo» (Geworfenheit) di Heidegger83, mentre è meno credibile che abbia davvero realizzato in vita tutte le perversionicheraccontainLe 120 giornate di Sodoma (1785): in queste come in altre circostanze di cui si vanta, non va mai preso troppoallalettera.84 In De Sade l’ateo, l’immorale e il malvagio convivono sempre nella stessa persona e si identificano; infatti per lui non si può essere atei e non essere immorali e malvagi e viceversa: «È famoso per il suo ateismo – dice il personaggio del Chevalier (Cavaliere), il cinico Dolmancé in La filosofia nel boudoir – è l’uomo più immorale… la corruzione fatta persona, l’individuo più perfidoemalvagiocheesista sullaTerra»85.Perunateoper sua natura immorale l’unica ideaammissibiledeldivinoè quella di una divinità malvagia:«Dioc’è,unamano qualunque ha necessariamente creato tutto ciòchevedo,malohacreato soltanto per il male, non si divertechenelmale,ilmaleè la sua essenza […] Cosa importa a lui che io possa soffrirequestomale,vistoche gliènecessario?»86. È ovvio che il dio malvagio rappresenta nelle intenzionidelnostrodissoluto libertino una provocazione anticristiana e antideista; e questo perché dopo la religione cristiana l’altro suo principalebersagliopolemico èildeismomoderato.Conciò tuttavia rivela senza volerlo l’autentica essenza del suo ateismo: è un postulato indispensabilepergiustificare laricercadelpiaceresfrenato emalvagioqualesensodiuna vita in effetti senza senso. L’ateismo autodistruttivo di De Sade segue dunque a suo modo la parabola nichilistica che sta alla base di tutte le forme di negazione di Dio e finisce col fare del nulla il fondamentodell’esistenza.Al sacerdote del Dialogo fra un preteeunmoribondochegli domanda quale ordinamento ritenga sussistere dopo la morte, il moribondo risponde infatti così: «Quale, amico mio? Quello del nulla. Non mihamaispaventatoenonci vedo altro che non sia semplice e consolante. Tutti gli altri sistemi sono opera dell’orgoglio, quello solo dellaragione».87 Il filone nichilistico e pessimistico,checonsiderala vita stessa un male e però al contempo reputa non sia una via di uscita o una consolazione dissolvere se stessinelpiacerecomefaDe Sade, è quello prevalente tra gli atei teorici, anche perché risale con tutta probabilità ai poetigrecicomeTeognidedi Megara(563-480a.C.ca): Non nascere è per gli uominilamigliorcosané vedere i raggi acuti del sole, ma una volta che siano nati varcare al più prestoleportedell’Adee giacere sotto un tumulo alto.88 Teognide fu caro a Nietzsche,cheglidedicòuna dissertazione al momento di congedarsi dalla scuola ginnasiale di Pforta89, come per altro gli fu caro e fu determinante per la sua formazione il filosofo pessimista tedesco Arthur Schopenhauer,daluireputato «il primo ateo dichiarato e irremovibile che noi tedeschi abbiamo avuto». Per Schopenhauer l’assenza del divino era «qualcosa di dato, dipalpabile,diindiscutibile», per cui «l’ateismo assoluto, onesto, è appunto il presupposto della sua problematica,[…]èl’attopiù ricco di conseguenze di una bimillenaria educazione alla verità, che nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio».90 In effetti per Schopenhauer l’ateismo è un fatto scontato perché semplicemente l’infelicità, il maleeildisordinedelmondo sono ragioni forti e insuperabilicontrol’esistenza del dio di tutte le concezioni teistiche. Nonostante tutti i tentativi e i sofismi della teologia cristiana, qualora si intenda ipotizzare l’esistenza di Dio, la responsabilità del malenelmondoedelmondo (malamundiemalummundi) comelaresponsabilitàditutte le sventure umane ricade unicamente su di Lui; infatti il Creatore di tutto quanto esiste non poteva non sapere comesarebberostatalarealtà mondana e la nostra triste umana condizione, eppure l’ha comunque create. Il carattere deludente e deprimentedellavitaumanaè per il filosofo tedesco di per sé evidente: essa non è «niente all’infuori della noia»91 e «si presenta come un eterno inganno, nel piccolo come nel grande. Quando promette, non mantiene»92. Un pessimista integrale come Schopenhauer, per il quale la palese negatività del mondo rende ipso facto inconcepibile l’idea di un essere divino creatore e provvidente,nonpuòaquesto punto non prendersela con quello che ritiene «il fondatore dell’ottimismo sistematico», cioè Gottfried Wilhelm Leibniz e la sua giustificazionediDio.Perlui lateodicearappresentainfatti una «metodica e ampia esposizione dell’ottimismo», laqualetuttaviaavrebbesolo un pregio: «Aver dato occasione al grande Voltaire di scrivere l’immortale Candide».Conquasilostesso sarcasmo del filosofo francese si impegna quindi a confutare il leibniziano «migliore dei mondi possibili»,dimostrandochein realtà è «il peggiore dei mondi possibili»: «Questo mondoècostruito,cosìcome doveva essere costruito, per poter a mala pena sussistere: se fosse appena un poco peggiore, non potrebbe già più esistere. Di conseguenza, un mondo peggiore non è possibile, dal momento che non potrebbe esistere, e il nostroèdunquetraipeggiori diquellipossibili».Ecomesi potrebbe dire diversamente, visto che palesemente l’esistenza di ogni singolo individuo trascorre in una continua lotta per la propria sopravvivenza; lotta che per altrosoventeterminaconuna disastrosa sconfitta: quindi, «comedovevasidimostrare,il mondoètantocattivoquanto può esserlo, se deve poter esistere».93 Non vi è dubbio che per Schopenhauer come per De Sade l’unica via d’uscita dall’esistenza è l’annichilimento della vita stessa, è il nulla e soltanto il nulla; con la differenza che mentre il «divin marchese» da sensista e materialista crede che l’obiettivo sia raggiungibile affogando nei piaceri carnali, il filosofo tedesco antihegeliano propone invece un processo di liberazione basato sulla rinuncia totale alla concupiscenza, perché «la soddisfazione dei nostri desideri è simile alla carità che oggi mantiene in vita il mendicante,perfarlodomani languire nuovamente nella fame».94Sesisollevail«velo di māyā», se si va oltre l’illusione fenomenica che offusca la nostra conoscenza della realtà autentica, si comprende come la liberazione passi attraverso il superamento del principium individuationis, ossia la soppressione delle «differenze tra la nostra persona e le altre»,95 a cui segue la rassegnazione che culmina in un ascetismo nel qualelavoluntassitrasforma in noluntas e non si ha più timore di sprofondare nel nulla: «Per coloro in cui la volontà si è convertita e soppressa, è proprio questo mondo così reale, con tutti i suoisolielesuevielattee,a essereilnulla».96 Considerandolesoluzioni nichilistiche al problema del sensodellanostraesistenzadi DeSade,diSchopenhauer,di Nietzsche e di molti altri, vengono in mente le parole dell’anarchico Pierre-Joseph Proudhon allorquando rispettoalproblemadelmale sosteneva: «Gli attributi dell’Entepereccellenza[Dio] si trovano essere gli stessi di quelli del nulla» e pertanto «l’ateismo giace in fondo a ogniteodicea».97 6.LarivoltadiPrometeo Contro una concezione radicalmente e pregiudizialmente pessimistica della realtà, che rifiuta tanto il mondo quanto il desiderio di vivere, che come per il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837) «cosa certa e non da burla si è che l’esistenzaèunmalepertutte le parti che compongono l’universo» e «non si comprende come dal male di tutti gli individui senza eccezione possa risultare il bene dell’universalità»98, il concetto medesimo di teodicea non ha significato, cosìcomeperaltrononloha neppure quello di Dio o di mondo, perché tutto quanto esiste «fonda l’ordine nel male» e «il male è nell’ordine». All’ordine è allora preferibile il disordine, infatti «se nel mondo vi fossero disordini, i mali sarebbero straordinari, accidentali» e l’opera della naturasarebbe«imperfetta»e non «cattiva»;99 pertanto all’essere, che è ordine, sarebbe preferibile il non essere,cioèildisordine. Ci imbattiamo con Leopardi in una tradizione nella quale sono egualmente presenti i temi del suicidio come problema filosofico e della lotta solidale e prometeica contro la tragicità della vita umana. Il grande poeta di Recanati, indubbiamente ateo nonostante i tentativi di alcuni di cooptarlo tra i (quasi) credenti,100 non ha perso occasione per accusare (spesso larvatamente per non incorrere negli strali della censura)lareligionecristiana di diffondere il timore della morte, che costituisce invece per lui la liberazione da una condizione di sofferenza esistenziale senza limiti. In questo senso egli interpreta negativamente la condanna del suicidio da parte della Chiesa cattolica, benché comunque alla scelta individualeditogliersilavita preferisca quella dell’unione solidaleconiproprisimiliin unoscontrotitanicocontrole avversità naturali della condizione umana. In una delle sue Operette morali, il Dialogo di Plotino e di Porfirio,vainscenacontono sostenuto proprio una controversia sul suicidio, che vede da un lato la sua giustificazione razionale da parte del filosofo neoplatonico Porfirio (233/234-305 d.C.) e dall’altro il suo ripudio da partedelsuomaestroPlotino, conunaconclusionenegativa rispettoallasceltadelsuicida tuttaall’insegnadiunospirito di solidarietà che deve prevalere nella comunità degli uomini vessata da un tristedestinonaturale: Vogli piuttosto aiutarci – dicePlotinoaPorfiriocon un’espressione accorata – a sofferir la vita […]. Viviamo e confortiamoci insieme:nonricusiamodi portarequellapartecheil destino ci ha stabilita dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamoci a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando e dando mano e soccorso scambievole; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita.101 In breve contro l’indifferenza della Natura o di un Dio creatore per le umaneesistenzefatteditedio, di sofferenza e di assenza di significato, l’unica difesa, o meglio, l’unico lenitivo che resta ai singoli individui è quellodiunirsifraternamente e sostenersi a vicenda per ridurre almeno un poco il gravame del «male di vivere». Questo è quanto è stato definito da qualche criticoil«pessimismoeroico» di Leopardi, perché sfocia in un ateismo prometeico che «control’empianaturastrinse imortaliinsocialcatena»102, che proclama a voce alta e sfrontatamente un’alleanza di tutta l’umanità sofferente contro un potere assoluto impassibile e invincibile, sia esso quello divino o quello dell’ordinenaturale. Protagonista indiscusso nel XX secolo dell’ateismo antiteodiceticoeprometeicoè stato lo scrittore francese Albert Camus (1913-1960), che ci ha lasciato una versione indiscutibilmente tragica dell’esistenzialismo. Già nel suo primo romanzo del1942intitolatoL’étranger (Lo straniero) compare il tema del distacco, dell’estraneità dell’uomo dal mondo:larealtànonhaalcun senso, i fatti accadono senza avereunprecisosignificato,e se anche l’avessero il nostro pensiero non potrebbe coglierlotantosiamospaesati e ci sentiamo stranieri in questoimmensouniverso.La dimensione normale e costitutivadellavitaumanaè insomma l’assurdità, nella duplice accezione di mancanzadiunfondamentoa tutto ciò che esiste e di assoluta vanità delle azioni umane. Allora, come accade al protagonista del romanzo Meursault, possiamo perfino arrivare a uccidere un uomo senza nessun vero motivo, senza nemmeno sapere bene chi egli sia o perché commettiamo un assassinio, restandoinfineassolutamente indifferenti o, più esattamente, provando una sensazione di inverosimile estraneità, quasi la cosa non ci riguardasse o non fosse opera nostra anche davanti a una meritata condanna a morte. E questo perché tutto ciòchecicircondaèprivodi consistenza,nonciappartiene veramente ed è insensibile nonsoloallenostredisgrazie, ma alla stessa nostra presenza. Èdeltuttoevidentechedi fronteall’assurditàdelmondo diventa altrettanto assurdo affaticarsi intorno al problema dell’esistenza di un Ente supremo: se la realtà tutta è senza senso, neppure Dio, che dovrebbe attribuire un significato alle cose, ha ragionediesistereodiessere cercato. Il protagonista di L’étranger, rinchiuso in una cellainattesadell’esecuzione capitale, rifiuta qualsiasi conforto religioso e del dialogo col prete che gli chiede «Perché rifiuti le mie visite?»cosìciriferisce:«Ho risposto che non credevo in Dio. Ha voluto sapere se ne ero ben sicuro e gli ho detto che non avevo bisogno di chiedermelo: mi sembrava una questione senza importanza».103 Ecco dunque che pure in quel momento crucialeperogniuomocheè il confronto con la morte, la questionediDioapparesenza rilevanza, anzi del tutto indifferente. Ci imbattiamo qui in un esito radicalmente nichilistico perché a risultare senza valore non è soltanto Dio, ma l’essere in quanto tale.Citroviamoscaraventati inuncontestonelqualenulla contanotantoilviverequanto ilmoriredegliesseriumanie degli altri viventi. In questo assoluto non senso della realtà, l’esistenza o meno di un Ente trascendente non modifica alcunché: la sua eventuale presenza non può infatti sottrarci all’assurdità, anzisitrasformanelmassimo emblema dell’assurdo, nella contraddizione delle contraddizioni, per cui chi dovrebbe donare il senso (Dio) e non lo dona, o non è ingradodidonarlo,sirivelaa sua volta indifferente ancor primacheinsensato. Come si può notare, il concetto di ateismo rischia addirittura di andare stretto a Camus, dal momento che lo scrittore, individuando nell’assenza di significato di ogni singolo ente la cifra interpretativa del mondo, oltrepassa di slancio la questionedelsensodellecose edellanostravitachestaalla base di tutti gli interrogativi sull’esistenza di Dio, dando così forma a una sorta di meta-ateismo. Dopo aver individuato anche lui nel suicidio l’unico «problema filosofico veramente serio […] per giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta»104, dedicando nel 1942 alla «sensibilità assurda» un’intera opera dal titoloevocativo–Lemythede Sisyphe (Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo) –, lo scrittore francese indica con maggioreprecisioneilmotivo per cui non solo è assurdo concepire la presenza di un dio, ma perché occorre definirla un’«idea folle» e quindi da respingere senza esitazione. Ciò che rende al contempo impossibile e improponibile il concetto stesso di un ente divino è la presenzadelmalenelmondo, della sofferenza, specie di quellaingiusta,comenelcaso dei bambini straziati da una vita infelice o strappati prematuramente dalla morte. Per altro un’esperienza personale sembra segnare questa sensibilità di Camus: in gioventù aveva assistito alla terribile fine di una bambinaaseguitodiungrave incidentestradale. In un secondo celebre romanzo intitolato La peste (1947) le vicissitudini, i conflitti, gli egoismi miserevoli, ma anche le solidarietà che si scatenano tra gli individui confinati nella città algerina di Orano colpita da un’epidemia di pestilenza bubbonica, sono tutte occasioni per riflettere sul tragico destino collettivo dell’umanità. Un destino che hacostantementesullosfondo ildatovergognosodeldolore degli innocenti e della morte prematura di persone buone che invece meriterebbero di vivere: tutti fatti di fronte ai quali è preferibile non avere fedeinDioepensarechenon esista. «Ma se l’ordine del mondoèregolatodallamorte –scriveinfattiCamus–,forse valmeglioperDiochenonsi creda in lui e che si lotti con tutte le nostre forze contro la morte, senza levare gli occhi verso il cielo dove lui tace».105 Quanto resta incomprensibile per lo scrittore francese e si configura come un vero scandalo nello scandalo è proprio il silenzio di Dio al cospetto del dolore umano. SemprenellaPesteungesuita di nome Paneloux, mentre assiste alle convulsioni dolorosissime di un giovane gravemente colpito dalla malattia e ormai prossimo alla morte, invoca in ginocchio: «Mio Dio, salva questo ragazzo!». Ma l’appellocadenelvuoto,anzi «il ragazzo continuava a gridare. […] Il dottore riconobbe allora che il grido del ragazzo si era indebolito, che scemava ancora, che stava per finire»; e poi inesorabilmente finisce: «Il ragazzo riposava nella buca delle coperte in disordine, rimpiccolito di colpo, con resti di lacrime sul viso». Davanti a eventi come questi per il nostro autore non c’è nessuna spiegazione filosofica plausibile, ma neppure si può accettare la rassegnazione e tantomeno ricorrereallamotivazioneche dobbiamo rinunciare a comprendereidisegnidiDio in quanto più grandi di noi. Sono allora per lui più che legittimati il rifiuto e l’indignazione, anzi possono e devono trasformarsi in rivoltacontroDioecontrola natura.ApadrePaneloux,che dopo la morte del ragazzo esclama «è rivoltante perché supera la nostra misura, ma forse dobbiamo amare quello che non possiamo capire», risponde infatti così il protagonista del romanzo, il dottor Bernard Rieux: «No Padre, io mi faccio un’altra ideadell’amore;emirifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambinisonotorturati»106.La somiglianza di questo brano conlacitatainvettivadiIvan nei Fratelli Karamazov di Dostoevskijèditaleevidenza danonrichiedereneppureun commento;edelrestoènoto quantoloscrittorerussoabbia influenzato gli esistenzialisti francesi. Se si fosse fermato a questa denuncia e repulsa della sofferenza innocente o meglio del malum mundi attestato dai mala mundi, l’ateismo di Camus sarebbe risultato semplicemente antiteodicetico. Introducendo invece il tema della rivolta dell’umanità contro il male nel mondo, in cui alcuni studiosi hanno colto la parte positiva del suo esistenzialismo, diventa prepotentemente anche e soprattutto un ateismo prometeico. A questa idea della ribellione egli dedica una serie di saggi intitolata L’homme révolté (L’uomo in rivolta, del 1951), ossia il libro che pare abbia di più contribuito alla rottura dell’amicizia e del sodalizio culturale con Jean-Paul Sartre,ancheseirapportitrai due scrittori francesi erano già minati da un dissidio politico (Sartre divenne filocomunista, mentre Camus rimase anticomunista). In quest’opera torna appunto la figura di Ivan Karamazov, l’ateo che non sopportava di veder soffrire i bambini, che vieneinterpretatacomequella dichi«vadalmotodirivolta all’insurrezione metafisica [controDio]»;esitratterebbe di una rivolta «dal carattere straziato. Il dramma di Ivan nasce dall’esservi troppo amore senza oggetto. Questo amore che, negato Dio, rimane inutilizzato, ci si decide allora a trasferirlo all’essere umano in nome di una generosa complicità».107 Ma la ribellione non è da intendersi semplicemente comeunaquestionepersonale e quasi solipsistica, al contrario deve estendersi leopardianamente a tutta l’umanità, allo scopo di contrastare almeno i mali del mondo (mala mundi) fatti di ingiustizia, intolleranza e violenza dell’uomo sull’uomo. Incontriamo così nuovamente una manifestazionediateismodal carattere marcatamente postulatorio, che in questo caso assume un connotato prometeico, cioè di aperta sfida a Dio e alla sua esistenza. Come nel famoso mito, Prometeo si contrappone apertamente all’autorità di Zeus alla stregua di quanto Camus pensa debba fare l’essere umanodifronteallasuatriste condizione esistenziale.108 Ancora una volta riconosciamo dunque nello scrittorefranceseunamaniera di essere ateo che postula la negazione di Dio in presenza del male nel mondo e inoltre si ribella alla sua esistenza per riaffermare la totale libertà del genere umano. In Camus dal ripudio di Dio trasformato in sollevazione contro Dio scaturisce la nuova identità dell’essere umano, perché il valore della rivolta «sta nella rivolta stessa»econessa ilmalecheunsolouomo provava diviene peste collettiva. In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del cogito nell’ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae l’individuo dalla solitudine. È un luogo comune che fonda sututtigliuominiilprimo valore.Mirivolto,dunque siamo.109 Resta tuttavia difficile pensare che l’unica risposta alla spietata ingiustizia della natura e alla presenza nel male nel mondo sia la protestacontroDiooilrifiuto della sua esistenza, se non addirittura del suo stesso concetto. Come ha notato il marxista Ernst Bloch riflettendo sul biblico Libro di Giobbe, la soluzione del problema della teodicea non puòessere«quedieun’existe pas [che Dio non esiste], giacché poi emergono le questioni sullo stesso corso del mondo del tutto insensibile verso di noi, tenebrosamente maculato, e sulla materia difficile che in esso si muove». Occorre invece pensare a «un nuovo esodo» che fornisca una nuovasperanza,percuianche chi si rivolta contro l’idea di una divinità onnipotente che consente l’iniquità del male, anche «il ribelle possieda fiducia in Dio senza credere in Dio».110 Vivere nella sofferenza sotto una natura leopardianamente matrigna e senza la speranza di rintracciareunsensopertutto ciò che esiste è infatti una condizione di gran lunga peggiore di un’esistenza dolorosa, ma accompagnata dallaragionevoleattesadiun significato, aperta alla possibilità dell’essere, del divino e non sprofondata nel nulla. 1«SeDioesiste[edèbuono],dadove proviene il male?». Vedi Agostino di Ippona,Confessioni,VII,5,7. 2VediH.Arendt,Labanalitàdelmale. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano1964.VediancheP.P.Portinaro (acuradi),Iconcettidelmale,Einaudi, Torino2002. 3 E. Lévinas, Trascendenza e male, in Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano1983,p.158. 4E.Wiesel,Lanotte,Giuntina,Firenze 1980, pp. 66-67. Pipel in yiddish significa«ragazzino». 5 G. Büchner, La morte di Danton, in Teatro,Adelphi,Milano2000,p.54. 6 R. Dawkins, Il fiume della vita, Sansoni, Firenze 1995, p. 130. Sulla nozione di «male gratuito» rispetto al problema di Dio vedi R.M. Gale, A.R. Pruss(acuradi),TheExistenceofGod, Ashgate,Aldershot2003,pp.XX-XXI. 7 S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, A. Mondadori, Milano 1993,pp.258-59. 8 V.J. Stenger, Perché la scienza non crede in Dio. La sfida perduta della fedeallaragione,OrmeEditori,Milano 2008,pp.163e218. 9 Lettera di Charles Darwin ad Asa Gray del 22 maggio 1860, in Ch. Darwin, Lettere sulla religione, Einaudi, Torino 2013, p. 46. Gli icneumonidi (ichneumonidae) sono degli insetti parassitoidi dell’ordine degliimenotteri,chedepongonoleuova dentro il corpo di altri insetti (di solito bruchi,cavalletteeapi). 10 Dawkins, Il fiume della vita cit., p. 130. 11VediD.Morin, L’ateismo moderno, Queriniana,Brescia1996,pp.176-78. 12 La posizione di Dennett sulla coscienza è infatti nota come «eliminativismo». In proposito vedi D.C. Dennett, Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza, Cortina, Milano2006,eCoscienza.Checosaè?, Laterza,Bari2009. 13VediE.O.Wilson,Sociobiologia.La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna 1979,p.569. 14 E. Boncinelli, Il male. Storia naturale e sociale della sofferenza, Mondadori,Milano2007,p.249. 15 Le citazioni precedenti dall’introduzione a Creazione e male delcosmo.Scandaloperl’uomoesfida per il credente, a cura di G. Colzani, Edizioni Messaggero, Padova 1995, p. 13. 16Plotino, Enneadi,II,4,15,Rusconi, Milano1992,p.253. 17Ivi,I,8,7,ed.cit.,p.161. 18Ivi,I,8,3,ed.cit.,p.151. 19DionigiAreopagita,Nomidivini,IV, 30-33, in Tutte le opere, Rusconi, Milano1999,pp.330-32. 20 Agostino, Confessioni, III, 7, 12 e VII, 12, 18, Città Nuova, Roma 1991, pp.69e201-03. 21 Tommaso d’Aquino, La somma teologica, I, q. 48, a. 1, ESD, Bologna 1996,vol.I,p.457 22 Vedi J. Maritain, Dio e la permissione del male, Morcelliana, Brescia 1983, pp. 21 sgg. I tomisti «rigidi» o ciclopici della «buona scuola» sono soprattutto i teologi domenicani Domingo Báñez (15281604) e Giovanni di San Tommaso (1589-1644), nonché i carmelitani seicenteschidelCollegiodiSalamanca. Sullecriticheallateoriadelmalecome non essere vedi anche L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza,Einaudi,Torino1995. 23 A.M.S. Boezio, De consolatione philosophiae, IV, 1, Rizzoli, Milano 1977,p.267. 24 F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte II, libro V, Sansoni, Firenze 1969, pp. 343-56. Sulla «Leggenda del Grande Inquisitore» vedi F. Cassano, L’umiltà del male, Laterza,Bari2011. 25 Boezio, De consolatione philosophiae cit., I, 4, ed. cit., pp. 9697. 26Vedisupra,cap.1,par.3. 27 Vedi J.F. Haught, Dio e il nuovo ateismo, Queriniana, Brescia 2009, pp. 19e23-40. 28 M. Onfray, Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, Fazi, Roma 2005,pp.19-20. 29 Vedi S. Harris, La fine della fede. Religione, terrore e il futuro della ragione, Nuovi Mondi, San Lazzaro di Savena2006. 30 S. Harris, 10 Myths and 10 Truths about Atheism, «The Los Angeles Times»,24dicembre2006. 31 C. Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Einaudi,Torino2007,p.6. 32Ivi,p.236.SuFreudvedisupracap. 5,par.4. 33Ivi,p.74. 34 Ivi, p. 270. Sui «Magisteri non sovrapposti» di Gould vedi supra cap. 5,par.7. 35 B. Spinoza, Etica, Parte IV, «Prefazione», Bollati Boringhieri, Torino1971,p.214. 36 Le Quattro Nobili Verità sono: 1. Veritàdeldolore;2.Veritàdell’origine del dolore; 3. Verità della cessazione del dolore; 4. Verità della via alla cessazionedeldolore. 37VediA.Comte-Sponville,Lospirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio, Ponte alle Grazie, Milano 2007; J. Kristeva, Bisogno di credere. Un punto di vista laico, Donzelli, Roma 2006; A. De Botton, Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti,Guanda, Milano 2011; D. Demetrio, La religiosità degli increduli: per incontrare i «Gentili», EMP, Padova 2011; S. Natoli, Il cristianesimo di un noncredente,Qiqajon,Magnano2002 38 M. Weber, L’etica economica delle grandi religioni, in Sociologia della religione,Utet,Torino2008,pp.344e 347. 39 Sui miti mesopotamici vedi H. McCall, Miti mesopotamici, Mondadori, Milano 1995. In generale sui miti della creazione vedi R.J. Stewart, Miti della creazione, Xenia, Milano1993;M.Bielawski(acuradi), In principio. Racconti sull’origine del mondo,Garzanti,Milano2014. 40 Per le teogonie, Esiodo, Teogonia, Rizzoli, Milano 1997. Per le tragedie greche vedi Eschilo, Sofocle, Euripide, Tragicigreci,Mondadori,Milano1992. 41 Euripide, Bellerofonte, fr. n. 286. Vedi M. Curnis, Il «Bellerofonte» di Euripide, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2003. Per l’affermazione ateadiEuripidevedisupra,cap.1,par. 3. 42 P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana, Brescia1993,pp.19-20. 43Platone,Repubblica,libroX,614C615 A, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano1991,p.1323. 44Ivi,libroX,617E,ed.cit.,p.1325. 45 Omero, Odissea, I, 30, Mondadori, Milano1969,p.40. 46Genesi3,17-19. 47 Vedi J.-M. Narbonne, Aristote et le mal, in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, VIII, a cura di S.I.S.M.E.L., Brepols-Edizioni del Galluzzo, Turnhout-Firenze 1997, pp. 87-103. Com’è noto, Aristotele ha individuato quattro cause del mutamento o del divenire: formale (il «modello» delle cose); materiale (la materia); efficiente (la causa attiva del divenire o del moto); finale (lo scopo ultimoacuiognicosatende). 48 M.T. Cicerone, De natura deorum, III, 37, 89, Rizzoli, Milano 1992, p. 391. 49Ivi,III,37,89,ed.cit.,p.391. 50 Lattanzio, De ira dei, 13, 19, in H. Usener (a cura di), Epicurea, n. 374, Bompiani, Milano 2002, p. 551. Lo stesso argomento antiteodicetico è menzionato da Sesto Empirico, ma senza citare la fonte: vedi Schizzi Pirroniani, III, 9-12, Laterza, Bari 1988,pp.123-24. 51 Lattanzio, De ira dei, 17, 1, in Usener, Epicurea cit., n. 360, p. 527. Sulla teologia di Epicuro vedi supra, cap. 1, par. 3. Per un’analisi del dilemma epicureo vedi R.G. Timossi, Imparare a ragionare. Un manuale di logica,Marietti,Milano2011,pp.37276. 52 G.C. Vanini, Anfiteatro dell’Eterna Provvidenza, Exercitatio XVI, in Tutte le opere, Bompiani, Milano 2010, pp. 474-75.UnapartedelletesidiEpicuro viene da Vanini attribuita al sofista Protagora di Abdera (vedi Anfiteatro dell’Eterna Provvidenza cit., pp. 45457). 53 Giobbe 3,1-4. Vedi M. Bizzotto, Il grido di Giobbe, San Paolo, Cinisello Balsamo1995. 54Giobbe2,7. 55Giobbe9,22. 56VediGeremia16,10-13. 57 Le citazioni di Jonas sono tratte dal suoIl concetto di Dio dopo Auschwitz, IlMelangolo,Genova1993,pp.34-38. La dottrina dello Tzimtzùm (cioè contrazione, ripiegamento, autolimitazione di Dio al momento della creazione per fare spazio al mondo)èdelmisticoebraicoIsaacben SolomonLuria(1534-1572). 58LecitazionidaP.Bayle, Dizionario storico-critico, Laterza, Bari 1976, pp. 110-11.Vedianchesupracap.3,par.1. 59 G.W. Leibniz, Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione, n. 7, in Scritti filosofici, Utet, Torino 1967,p.278. 60Ivi,n.8,p.278.Lalogicamodaleè quella branca della logica che studia enunciati nei quali sono coinvolte espressioni come «è possibile», «è impossibile», «è necessario», «è contingente»ealtreaesseaffini. 61 G.W. Leibniz, Saggi di teodicea, I, 44,inScrittifilosoficicit.,p.484. 62Ivi,I,7,pp.461-62. 63 G.W. Leibniz, Discorso di metafisica,IV,inScrittifilosoficicit.,p. 66. 64 Leibniz, Saggi di teodicea, I, 8, in Scrittifilosoficicit.,p.462.Vedianche G.W. Leibniz, Monadologia, n. 55, in Scrittifilosoficicit.,p.292. 65Leibniz,Principidellanaturaedella grazia,n.10,inScrittifilosoficicit.,p. 279. 66Sullateoriadeimondipossibilivedi P.Casalegno,Filosofia del linguaggio. Un’introduzione, La Nuova Italia, Roma1997,pp.119-69.VediancheS. Kripke, Nome e necessità, Bollati Boringhieri,Torino1982. 67Leibniz,Saggi di teodicea, I, 21, in Scrittifilosoficicit.,p.471. 68Ivi,«Prefazione»,n.1,p.378. 69 J. Meslier, Il testamento, Guaraldi, Rimini 1972, p. 255. Su Meslier vedi supracap.4,par1. 70 Voltaire, Candido ovvero dell’ottimismo, cap. V e VI, Bompiani, Milano1987,pp.19e21. 71 Vedi Voltaire, J.-J. Rousseau, I. Kant, Sulla catastrofe. L’Illuminismo e lafilosofiadeldisastro, B. Mondadori, Milano2004. 72 I. Kant, Sull’insuccesso di ogni tentativo filosofico in teodicea, in Questioni di confine. Saggi polemici, 1786-1800, Marietti, Genova 1990, p. 31. 73I.Kant,La religione nei limiti della sempliceragione,B27eB35,inScritti morali, Utet, Torino 1970, pp. 352 e 357. Vedi anche I. Kant, Il male radicale,Garzanti,Milano2014. 74 Oltre alla dizione «etica atea» ricorrono anche: «etica senza Dio», «morale laica», «etica naturalistica», «etica materialista». Per Diderot e D’Holbachvedisupra cap. 2, par. 4, e cap.3,par.2. 75 J.O. de La Mettrie, Antiseneca ovverodiscorsosullafelicità, in Opere filosofiche,Laterza,Bari1974,p.303. 76Ivi,p.302. 77Ivi,p.330. 78Ivi,p.358. 79CosìDeSadeèstatosoprannominato dal critico André Breton (1896-1966). VediA.Breton,P.Éluard,Dictionnaire abrégé du surréalisme, Galerie des Beaux-Arts,Paris1938. 80 D.-A.-F. de Sade, Dialogo fra un prete e un moribondo, in Opere, Mondadori,Milano1976,pp.11-13. 81 D.-A.-F. de Sade, La filosofia nel boudoir,inOperecit.,p.25. 82Ivi,p.25. 83M.Heidegger,Essereetempo,§38, Utet,Torino1969,pp.279-85. 84 Vedi D.-A.-F. de Sade, Le 120 giornatediSodoma,NewtonCompton, Roma1993.Perl’insinceritàdiDeSade vediS.Neiman,Incielocomeinterra. Storiafilosoficadelmale,Laterza,Bari 2011,p.164. 85DeSade,Lafilosofianelboudoir,in Operecit.,p.30. 86 D.-A.-F. de Sade, Juliette ovvero la prosperitàdelvizio, Newton Compton, Roma1993,p.295. 87 De Sade, Dialogo fra un prete e un moribondo,inOperecit.,p.20. 88TeognidediMegara,Elegie,vv.425428,Rizzoli,Milano1989,pp.142-43. 89DissertatiodeTheognideMegarensi (1864).VediF.Nietzsche,Teognide di Megara,Laterza,Bari1985. 90 Le citazioni sono tratte da F. Nietzsche,Lagaiascienza,libroV,par. 357,Adelphi,Milano1997,pp.228-29. 91 A. Schopenhauer, Il mondo come volontàerappresentazione, libro IV, § 57,Mondadori,Milano1995,p.442. 92 A. Schopenhauer, Supplementi al Mondo come volontà e rappresentazione, Supplementi al IV libro,cap.46,inIlmondocomevolontà erappresentazionecit.,p.1486. 93Ivi,cap.46,ed.cit.pp.1499-1502. 94 Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione cit., libro IV,§68,ed.cit.p.546. 95 Ivi, ed. cit. p. 531. Nelle dottrine filosofico-religiose indiane, in particolare nei Veda, il termine māyā indica tanto il potere della creazione quanto le illusioni fenomeniche prodottedall’attivitàcreatrice. 96Ivi,libroIV,§71,ed.cit.p.576. 97 J.-P. Proudhon, Système des contradictions économiques ou Philosophiedelamisère,Rivière,Paris 1923,tomoI,p.38.VediinitalianoJ.P. Proudhon, Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della Miseria, Utet, Torino 1975. Su Proudhonvedisupra,cap.4,par.2. 98 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, n.4175,Garzanti,Milano1991,vol.II, p.2297. 99Ivi,n.4511,ed.cit.p.2581. 100 Vedi D. Barsotti, La religione di Giacomo Leopardi, Morcelliana, Brescia1975. 101G.Leopardi,DialogodiPlotinoedi Porfirio, in Operette morali, Garzanti, Milano1982,p.363. 102 G. Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto, vv. 148-149, in Canti, Garzanti, Milano 1975, p. 315. Sul pessimismo di Leopardi vedi E. Severino,Ilnullaelapoesia.Allafine dell’età della tecnica: Leopardi, Rizzoli,Milano1990. 103 A. Camus, Lo straniero, Garzanti, Milano1974,p.131. 104 A. Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani,Milano1994,p.7. 105 A. Camus, La peste, Bompiani, Milano1993,pp.98-99. 106Ivi,pp.167-69. 107 A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1994, p. 23. Per l’invettiva di Ivan Karamazov, vedi supracap.6,par.2. 108VediEschilo,Prometeoincatenato, Rizzoli, Milano 2004. Prometeo nella mitologiagrecaèilTitanochesottrasse «semidifuoco»aglideiperdonarliagli uomini e per questo fu punito con un tremendosupplizio. 109Camus,L’uomoinrivoltacit.,p.27. Chiaroilriferimentoalcogitoergosum diCartesio. 110E.Bloch,Ateismonelcristianesimo, Feltrinelli,Milano2005,p.161. Conclusione Prendendo in esame e tentando di delineare le svariate sfumature nel modo di dichiararsi atei ci si rende contodialcunecaratteristiche peculiari e ricorrenti dell’ateismo. Innanzitutto esso nasce più per contrapposizione al teismo o comunqueaun’ideapeculiare di Dio (di solito quella ebraico-cristiana), piuttosto checomeconcettoautonomo. Se gettiamo uno sguardo alla Storia, tutte le prime civiltà appaionocontrassegnatedalla credenza in qualcosa che sta dietro ai fenomeni naturali e dacuituttodipende;qualcosa cherappresentapureilprimo tentativo di fornire una spiegazione unitaria o di trovare un fondamento alle cose sul quale fare affidamento, anche per scopi pratici (per esempio riti propiziatori, preghiere ecc.). Ma allorché nell’antica Greciasiverificailpassaggio dal mito alla filosofia, assistiamo con chiarezza alle prime manifestazioni di antiteismoodinegazionedel divino, che sul piano razionale si configurano innanzitutto come un rifiuto degli dei pagani: così accade infatti tanto in Evemero di MessinaquantoinDiagoradi Melo, tanto per Prodico di Ceo quanto per Teodoro l’Ateo e per Crizia il Giovane.Conlaspeculazione filosofica greca, specie con quellediPlatoneeAristotele, si inizia inoltre a definire meglio il ruolo di Dio in rapporto all’universo (Demiurgo oppure Primo MotoreImmoto)eciòcreale premesse del moderno ateismo teorico. Probabilmente una prima forma di passaggio dall’antiteismo originario all’ateismo si produce già nello stesso mondo classico, ma purtroppo le nostre fonti sono esigue, frammentarie e per lo più indirette. Le espressioni meglio acclarate di ateismo iniziano soltanto col Rinascimento e procedono poi di buon passo col pensiero materialista e scettico del ’600, per conoscereinfineunosviluppo decisamente accelerato a partire dall’Illuminismo e arrivare in un costante crescendo rossiniano fino ai giorninostri. In perfetta coerenza con l’evoluzione testé delineata risulta un’altra caratteristica ricorrente dell’ateismo: il rifiuto di una concezione dualistica del reale, in particolare del dualismo Diomondo, e la conseguente opzione per una metafisica dell’immanenza, sia di tipo materialistico come in D’Holbach oppure idealistico come nell’ateismo implicito diHegel.Ricordiamoquiper inciso che risulta piuttosto controversa la classificazione del pensiero hegeliano rispetto al problema dell’ateismo, al punto che sono state prospettate dagli studiosi tutte le posizioni immaginabili: c’è chi come KarlLöwithloharitenutoun teista, chi come Réginald Garrigou-Lagrange ne ha fatto un panteista, chi come Cornelio Fabro ha parlato di panteismo sbilanciato verso l’ateismo e chi infine di un ateo tout court come Alexandre Kojève. Noi preferiamo invece la tesi del teologo Georges Cottier, che vede nella teologia hegeliana una forma di ateismo non espressamente dichiarato1. A ogni buon conto, per tutti gli atei esiste una sola dimensione dell’essere, una sola realtà immanente identificabileoconlamateria oppure con una sostanza non materiale (res cogitans, spirito o Geist, energia speciale, forza vitale ecc.); quindi appare loro inaccettabile ogni forma di credenza in qualcosa di trascendente totalmente separato dal nostro mondo. PerNietzschelacredenzanel trascendente rappresenta addirittura la fuga dal reale, dalla vita autentica, e costituisce l’ostacolo maggiore alla trasvalutazione di tutti i valori, all’avvento dell’oltreuomo. Un’altra peculiarità ricorrenteintutteletipologie di ateismo è quella di intendere l’idea di Dio non solo come una mera invenzione della mente umana, che è di per sé un fatto piuttosto scontato, ma anche come la proiezione o alienazione nel divino di aspetti inespressi della natura umana; ed è ciò che si verifica sotto diverse modalitàchevannodaquella antropologica di Ludwig Feuerbach a quella psicologicaopsicoanaliticadi SigmundFreud,passandoper quella socio-politica di Karl Marx. Si può così affermare che il tema dell’alienazione sottende tutte le forme di ateismo, ivi compreso quello scientistaoscientifico,quello esistenzialista e quello nichilistico. L’ateismo moderno ha dunqueinultimaanalisiquale obiettivo primario quello di eliminare definitivamente l’ideadiDiodallacoscienzae dalla Storia al fine di consentire all’essere umano, come singolo e come collettività, di esprimere compiutamente e liberamente se stesso. Coscienza e Storia costituiscono, direttamente o indirettamente, i due pilastri dell’ateismo della nostra epoca: il problema di Dio è visto al contempo come una questione interiore riferibile al singolo individuo e come un fenomeno connesso al progresso storico dell’umanità. Un ateismo in cui la Storia e la coscienza risultano, ancor più che strumenti per interpretare e confutare l’esistenza di un Ente supremo, il fine programmatico di una nuova concezione del mondo e del genereumano. D’altra parte nell’esporre le motivazioni degli atei non ci siamo quasi mai imbattuti in argomenti razionali volti a negare semplicemente l’esistenza di Dio, non abbiamo incontrato delle confutazioni che fossero fini a se stesse, che si limitassero a inficiare per via logica il teismo o il deismo, ma ci siamoinvecetrovatidifronte a prese di posizione nelle quali si faceva del rifiuto di Dio il postulato indispensabile di tesi o conclusioni già in qualche misura precostituite e ovviamente assunte per vere. Non quindi autentici ragionamenti logici di tipo confutatorio, ma petizioni di principio, quando non argomentazioni strumentali e di comodo. Per chiarire meglio portiamo qualche esempio di questi argomenti postulatori: Dio non può esistere (postulato) perché l’uomo deveesserelibero(Bakunine Sartre); Dio è l’oppio dei popoli (postulato), pertanto solo la lotta di classe e la società comunista sono la via di salvezza del genere umano (MarxedEngels); Dio è una mera proiezione dell’essenza umana (postulato),quindilateologia può essere ricondotta all’antropologia(Feuerbach); Dio è morto (postulato): questo è il punto di partenza perlatrasvalutazionedituttii valori e per l’avvento del superuomo(Nietzsche); Il termine «dio» e il suo concetto sono privi di significato (postulato), altrimenti sarebbe falso che unicamente gli asserti verificabili sono dotati di senso (positivisti, neopositivistiescientisti); L’immagine del divino è una proiezione psicologica (postulato), così si conferma che l’inconscio determina tutte le manifestazioni psichiche(Freud); Bisogna ribellarsi contro dio (postulato): è l’unico modo peraffermareilgenereumano contro «l’empia natura» (LeopardieCamus). In sintesi pressoché tutto l’ateismo finisce per essere postulatorio, per presupporre per certa la non esistenza di Diosenzadavverodimostrare la falsità delle affermazioni deiteistiodeideisti;equesto perché, per sostenere le sue tesi fondamentali, risulta indispensabile a ogni ateo negare pregiudizialmente il dualismoelatrascendenza.A ben guardare la natura postulatoria dell’ateismo si tramuta in ultima istanza in un approccio teologico, in una forma di teologia che intende sostituire al divino l’uomo singolo oppure la specie umana. Perfino negli atei scientifici o nei filosofi positivisti traspare infatti l’obiettivo programmatico e preconcetto di un riscatto del genere umano, le cui potenzialità sarebbero state conculcate dalla credenza in Dio e dalle istituzioni religiose. In tal modo si è giunti non di rado a divinizzare scopertamente l’uomo, che è poi il rischio sempre ricorrente dell’atteggiamento ateo, oppure quantomeno a esagerarne le potenzialità e l’effettivo ruolo ontologico, sostituendo così a una metafisica teocentrica una metafisicaantropocentrica. Come negare del resto la fondatezza delle critiche di chi ha visto nella «specie umanainfinita»diFeuerbach, nella «classe universale» (il proletariato) di Marx ed Engels, nell’«oltreuomo» di Nietzsche, nell’«uomo quale si fa» di Sartre, nel «Grande Essere (l’Umanità)» di Comte,nell’ideadellascienza come «sapere senza enigmi insolubili» degli scientisti, altrettante forme di elevazione agli altari dell’essereumano?Comenon rilevare che certo ateismo sembraricusareDioinquanto ente assoluto per poi sostituirlo con altre modalità o concetti di assoluto, cadendo in un’evidente contraddizioneeinuncircolo vizioso? E se questi atei contestano alla nozione di Dio di essere un’espressione mitologica, non è allora possibile ribaltare con estrema facilità tale accusa anche sulle loro teorie fondate su nuovi «assoluti» umani e mondani? L’umanesimo assoluto è autocontraddittorioepertanto inconsistente sia sotto l’aspetto logico sia sotto quello filosofico: esso perciò rilancia indirettamente l’esigenza razionale di Dio quale fondamento dell’essere edell’esistenzaumana. L’inconsistenza oggettiva dei tentativi postulatori di eliminare l’idea del divino con argomenti antropologici, sociologici, psicologici e scientifici, pone in evidenza come l’unico argomento dell’ateismo di una certa efficaciarestiallafinequello del male, quello cioè della sofferenza innocente e dell’indifferenza della natura. Di questo fatto si sono probabilmente accorti gli atei medesimi o perlomeno dimostrano di averlo intuito, dal momento che hanno ripetutamente integrato le loro specifiche argomentazioni teoretiche con un richiamo ricorrente alloscandalodelmale.Come Immanuel Kant nella sua Critica della ragion pura (1781) giunge a considerare che in fondo tutte le prove dell’esistenza di Dio presuppongono e riconducono alla sola prova ontologica (a suo giudizio ugualmente non valida),2 possiamo qui analogamente concludere che tutti gli argomenti forti degli atei si riducono in ultima istanza al solo argomento del male, ossia all’ateismo antiteodicetico. Ma dopo un lungo periodo nel quale la teodicea del migliore dei mondi possibili sembrava inesorabilmente sepolta sotto l’ironiadiVoltaireesottoun nichilistico e irredimibile «male ontologico», negli ultimi tempi si è assistito a una rivalutazione dell’argomento leibniziano, per giunta da un versante da cui forse meno ce lo si attendeva: quello della rigorosa filosofia analitica. Il filosofoJohnWisdom(19041993),allievodiWittgenstein e suo successore sulla cattedra di Cambridge, ha ad esempio affrontato da un punto di vista logico la questione se la presenza del male può essere considerata una prova dell’inesistenza di un essere perfettissimo onnipotenteehaconclusoche «lo sarebbe soltanto se sapessimo che nessun mondo contenente del male può essere il migliore dei mondi logicamente possibili»3; e però questo non può essere evidentemente affermato con certezza da nessuno. Ne conseguechenonèpernulla irrazionale credere che il nostro sia il migliore dei mondi possibili e quindi le critiche dell’ateismo antiteodicetico all’ipotesi di Leibniz sono logicamente sterili. Rispetto invece all’individuazione delle ragioni della presenza del male nel nostro ordine mondano, Wisdom resta scettico sulla dimostrabilità della teoria della sua permissionedapartediDioin vista di un bene maggiore; benechetuttavianelpensiero cristiano risulterebbe perlomenoduplice:daunlato lalibertàumanaedall’altrola salvezzaeterna. Per un altro pensatore analitico contemporaneo come Robert Audi non soltanto l’argomento del miglioredeimondipossibiliè degno di considerazione, ma ci si può spingere anche più in là, supponendo «che Dio non creerebbe un mondo senza sapere che il risultato complessivo […] sarà buono». Con un paragone preso dall’estetica, per l’Essere perfettissimo «potrebbe valere la pena di dipingere un quadro imperfetto»; esso resterebbe comunquedegnodelsuoatto creativo,sesitienecontoche lecreatureumanesonoesseri dotati di libero arbitrio e pertanto «neppure la creazione da parte di un essere onnicompetente» può fare in modo «che gli esseri liberi siano immuni da errori», altrimenti non sarebberopiùtali,bensìdelle speciediautomi.Adifferenza infattidellamacchinachenon sbaglia mai, l’uomo cade in erroreproprioperchéèlibero. E rispetto al male commesso dagli uomini, se essere amati daDioè«unodeipresupposti della bontà della creazione divina del mondo», non necessariamente tutto deve risultare assolutamente perfetto nell’uomo per consentirgli di meritare l’amore divino, perché «l’amorenonèunaquestione dimerito».4 Con questi presupposti entrambi i filosofi analitici apronolaviaallaconclusione che il male di per sé non è ostativo alla possibilità razionale dell’esistenza di un Essere onnipotente, perché «non ci sono fatti necessari cheinsiemecolmalepossano escludere la perfezione completamente potente»,5 cioèDio.Inoltreilmalenonè d’ostacolo a una fede ragionevole, anzi per il cristiano il sacrificio della croce si trasforma in una totale vicinanza di Dio agli uominiproprioapartiredalla sofferenza e dalla morte. In ultima analisi, il male «non impedisce la fede-fiducia razionale»eanchealcospetto «dei terribili mali che vediamo tutti i giorni, […] un’ardente speranza teistica potrebbe comunque essere razionale».6 A ciò va aggiunto che la sofferenzadipersénontoglie senso alla vita umana, anzi secondo lo psichiatra Viktor Emil Frankl da essa può derivare «una possibilità di significato […] se cambia in meglio se stessi»,7 anche se ovviamenteciònonvuoldire sostenerechesianecessarioil dolore per trovare uno scopo esistenziale, bensì «che il significato è possibile attraverso il dolore, per non dire anche attraverso il dolore» qualora quest’ultimo risulti inevitabile in quanto «le sue cause non possono essere eliminate»,8 come accade in certe malattie incurabili. E il poeta e filosofo spagnolo Miguel de Unamuno (1864-1936) andava perfino oltre, collegando strettamente la sofferenza di qualsiasi tipo (dicuilapiùelevataèperlui l’angoscia religiosa) al significato dell’esistenza, assegnandole così un valore ontologico: «Il dolore è la sostanzadellavitaelaradice dellapersonalità,giacchésolo soffrendosièpersona.[…]E ciò che chiamiamo volontà, chealtroèsenondolore?».9 D’altronde anche qualora si volesse fantasticare di un ordinenaturaleidilliacoincui risultasse assente qualsiasi fenomeno apportatore di sofferenza e morte per i viventi, nel quale cioè non fosse presente nessuna forma di evoluzione per selezione naturale, nessun evento accidentale negativo sia su scala locale (terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche, malattie ecc.) sia su scala cosmica (nascita e mortedellestelle,derivadelle galassie, collisioni con asteroidi ecc.), quindi di un mondo necessariamente deterministico, alla fine a essere sacrificato sarebbe sicuramente il nostro libero arbitrio.Perquestaragionelo scrittore Clive Staples Lewis (1898-1963) ci sfidava giustamente a provare «a escludere la possibilità di soffrire, implicita nell’ordine della natura e nell’esistenza del libero arbitrio: troverete che avete escluso la possibilitàdellavitastessa»10 così come la si reputa normalmente possibile e accettabile. Se ne desume che quella che potremmo chiamare «libertàdellanatura»,ovvero lapresenzainessadelcasoe deifenomenidacuisiorigina quellocheconsideriamomale naturale, è il presupposto indispensabile tanto per la vitaingeneralequantoperla libertà umana. E poiché il libero arbitrio è inseparabile dall’intelligenza autocosciente,l’assenzadiun rigidodeterminismoinnatura è anche la condizione imprescindibile per l’esistenza di esseri intelligenti quali noi siamo. Come ha osservato acutamente il teologo Gerhard Lohfink, un ordine senza libertà assomiglierebbe a Il mondo nuovo (1932) del romanzo di Aldous Huxley (1894-1963), nel quale in un immaginario Stato totalitario delfuturoicittadininonsono più oppressi da fame, guerra, malattieepossonoaccederea ogni piacere materiale, ma in cambio devono rinunciare a ogni libera espressione individuale.11 Se ci si riflette bene, nessuna persona avveduta vorrebbe vivere così. In conclusione anche le prove antiteodicetiche non si dimostrano razionalmente in gradodiconfutarel’esistenza di un Dio onnipotente e buono, perché se non si può provare con certezza che il nostroèilmiglioredeimondi possibili, non si può però neppure provare il contrario, ovvero che effettivamente non lo sia. Si tratta di un argomento antinomico, rispetto al quale cioè sussistono due soluzioni egualmente plausibili («Il nostroèilmiglioredeimondi possibili»e«Ilnostrononèil migliore dei mondi possibili»), pertanto esso risultadimostrativamentenon risolutivo e quindi teoricamente inefficace. Per sancire infatti che il nostro non è il mondo migliore possibile non basta certo la salace ironia del Candide volteriano,allaqualeperaltro si può rispondere dubitando della bontà per noi di un ordine naturale rigidamente deterministico, ma occorrono elementi oggettivi che vanno ben oltre le nostre facoltà cognitive. Perquantimondimigliori del nostro possiamo concepire con l’immaginazione,nonsaremo dunque mai in grado di stabilire non soltanto se sono realmente possibili, ma perfino se una volta creati risulteranno davvero più perfetti o semplicemente preferibili a quello in cui viviamo. A meno che non ci venga rivelato in modo soprannaturale, non ci è consentito conoscere la maniera in cui un Dio onnipotente e provvidente può esercitare al meglio la sua onnipotenza e la sua provvidenza, quindi tantomeno siamo in grado con la sola ragione di esprimere argomenti confutatoridellasuaesistenza fondati sulla presenza del male. Permane valida per controlaconstatazionechela presenzadelmaletantofisico quanto morale in assenza di un significato per l’esistenza risulta per noi incomprensibile e inaccettabile, motivo per cui c’è chi ha coerentemente sostenuto che Dio deve esistere proprio perché altrimentinonsispiegherebbe la sofferenza innocente. L’ateismo antiteodicetico sarebbeinsommacostruitosu un sofisma: «Il dolore e il male sono inspiegabili, dunque non c’è un Dio. Ma [in realtà] sono inspiegabili appunto perché si è negato Dio. […] Gli uomini sentono la vita come un peso assurdo solo se si presuppone che nessuno si cura di loro, cioè sesiègiàatei».12 Il nostro concetto di Dio serve in definitiva per dare conto dell’esistenza di un ordine cosmico che senza un Creatore non avrebbe potuto esistere,econtestualmentead attribuire un senso all’esistenza umana, rendendolaaccettabilepureal cospettodelmale.D’altronde anche qualora si ammettesse solo in linea di principio l’argomento dell’ateismo stratoniano, che fa ricadere l’onere della prova dell’esistenza di Dio su chi l’afferma, perché spetta a chi sostiene una tesi dimostrarne la validità, nel merito l’ateo resterebbe pur sempre tenuto almeno quanto il credente a rispondere alle questioni sul senso e sull’origine di tutto quantoesiste,quindiatrovare una soluzione alternativa a quelladelteista.Poichéallora la negazione di Dio implica necessariamente una soluzionealternativaattasiaa spiegare l’attuale ordine cosmologico sia ad attribuire un significato all’esistenza umana, la cosiddetta «presunzionediateismo»non può essere data per scontata neppuresubasestratonianae richiede a sua volta di essere provata almeno quanto il teismooildeismo.Altrimenti il rischio è quello di cadere nellafallaciaadignorantiam, di negare cioè erroneamente l’esistenzadiDioperchélosi ritiene pregiudizialmente indimostrabile. Nonostantetuttiitentativi di negarne la rilevanza, i problemi dell’origine del mondo e del senso della nostra vita di esseri intelligenti restano fondamentali e ineludibili. Gli ultradarwinisti Dennett e Dawkins, così come il fisico ateoWeinberg,hannotentato di fare della questione del significato esistenziale un mero fatto di appagamento biologico, psicologico e sociale dell’individuo, scontrandosi però col dato obiettivo della persistente insufficienzadiquestogenere di risposta, dal momento che soltanto a una minoranza di individui è concessa l’opportunità di conseguire una simile piena autorealizzazione, mentre resiste in noi la sensazione dell’assurdità di una vita senza senso. L’insoddisfazioneesistenziale è infatti presente in moltissimi di coloro che secondo i canoni degli atei scientificidovrebberosentirsi realizzati in virtù dei loro successi personali, tanto è vero che «lo psichiatra incontra abbastanza di frequente questa “volontà di significato” sotto la forma della sua frustrazione»13. ViktorEmilFrankl,aseguito dei suoi attenti studi psicologici,hadimostratocon chiarezza che quella dell’autorealizzazione è una falsa prospettiva, che il significato valido per l’esistenza umana «non risiede nell’appagamento e nellarealizzazionedisestessi per mezzo di se stessi, […] comesel’uomoesistessesolo per soddisfare dei bisogni»; anzi è proprio questa rappresentazione della vita a risultare «estremamente traditrice o ingannatrice». E forse«l’uomononèfattoper appagarsi e realizzarsi» in se stesso, ma per traguardare una «auto-trascendenza, […] qualcosa o qualcuno che ci trascende,chestaaldilàeal disopradinoistessi».14 La questione del senso è talmente impossibile da risolvere in termini di soddisfazione psicologica e materiale da costringere chi vuole sostenere il contrario a rimanere in uno stato di confusionetautologica,com’è accaduto al teorico della letteratura Terry Eagleton. Quest’ultimo, criticando apertamente Dawkins e il nuovo ateismo, ha pensato di riuscire ad ampliare il significatoprofondodellavita dall’angusta felicità individuale degli atei scientifici alla felicità associata all’amore per il prossimo in una comunità, ossia al «creare per l’altro lo spazio in cui egli possa svilupparsi, mentre contemporaneamente l’altro fa lo stesso per noi». Egli ha portato come esempio di questocompimentodisensoi suonatori di un’orchestra di jazz impegnati in una jam session: qui la «libera espressione musicale di ognuno dei membri agisce come base per la libera espressione degli altri». A conclusione delle sue riflessioni filosofiche, chiaramente influenzate dal suo comunitarismo marxista, è stato tuttavia costretto a riconoscere che la sua è in effetti «un’aspirazione utopica», perché insegue «una forma di vita completamente inutile, proprio com’è inutile una sessione di jazz», per cui «il senso della vita è curiosamente prossimo all’insensatezza». Si tratta con tutta evidenza di un modo rassegnatodiargomentareper paradossi col quale Eagleton cerca di celare un palese insuccesso, consolandosi per giuntaconlaconvinzioneche in fondo è «una caratteristica dellamodernitànonriuscirea risolvere le questioni più importanti».15 Si tratta, in altreparole,diuntentativodi arrampicarsisuglispecchiper non riconoscere il carattere trascendente e quindi metafisico delle questioni di senso. Non si può infatti fondare il significato del mondo e della nostra esistenza su elementi accidentali e utopici, su fattori casuali o su attese illusorie, altrimenti si deve riconoscereconStirnerchesi fonda la propria causa sul nulla.16 Questo sembra del resto l’esito finale della parabola dell’ateismo contemporaneo: si parte dalla negazione di Dio per affermare maggiormente l’uomo, si dà spazio al caso per negare la presenza di un Creatore, ma si approda soltanto al nichilismo dissolutorio; si finisce cioè per nullificare qualsiasi cosa, per far sprofondare la causa umana nel vuoto esistenziale. Volendousareun’espressione di Richard Dawkins, il fiume della vita che sgorga dal Giardinodell’Eden(Riverout of Eden) per gli atei scorre inesorabilmenteversoilnulla edègiàinunnulladisenso. Ma se il nulla fosse davvero la verità ultima, anche l’ateo ne uscirebbe sconfitto e non avrebbe di che gioire o trionfare,perchéallamortedi Dio seguirebbe la moderna morte dell’uomo di cui ha parlato lo psicanalista Erich Fromm.17 Occorre invece ammettereche«dietroilcaso apparentemente tale vi potrebbe essere un senso più elevato o più profondo, un senso ultimo»18 che nessuno puòrinunciareacercare. Il perfetto ateo sta sul penultimo gradino prima della fede più perfetta. (Fëdor Michailovič Dostoevskij) 1 Vedi G.M.M. Cottier, L’athéisme du jeune Marx. Ses origines hégéliennes, Vrin,Paris1959. 2 Vedi I. Kant, Critica della ragion pura, «L’ideale della ragion pura», sezioni V-VII (B 595/A 567-B 670-A 642),Utet,Torino1967,pp.461-508. 3 J. Wisdom, La logica di Dio e altri saggi sulla religione, Quodlibet, Macerata2010,p.69. 4 R. Audi, La razionalità della religione, Cortina, Milano 2014, pp. 256-57. 5 Wisdom, La logica di Dio e altri saggicit.,p.69. 6 Audi, La razionalità della religione cit.,p.287. 7V.E.Frankl,Lasofferenzadiunavita senza senso, Elledici, Torino 1978, p. 34.OraancheMursia,Milano2013. 8 V.E. Frankl, Logoterapia medicina dell’anima,Gribaudi,Milano2001,pp. 252-53. 9 M. de Unamuno, Del sentimento tragicodellavita, SE, Milano 2003, p. 184. 10 C.S. Lewis, Il problema della sofferenza,GBU,Roma1988,p.32. 11VediG.Lohfink,Diononesiste!Gli argomenti del nuovo ateismo, San Paolo,CiniselloBalsamo2010,p.104. 12M.F.Sciacca,Filosofiaemetafisica, Marzorati, Milano 1962, vol. II, p. 22. Sciacca attribuisce questo sofisma all’ateismo pratico, ma a nostro giudizio risulta valido anche per l’ateismoteoretico. 13 V.E. Frankl, Alla ricerca di un significato della vita, Mursia, Milano 1974,p.73. 14Ivi,pp.83-84. 15T.Eagleton,Ilsensodellavita.Una introduzione filosofica, Ponte alle Grazie,Milano2011. 16 M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1999, p. 381. 17 Vedi E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, Comunità, Milano1960,p.386. 18V.E.Frankl,Ciòchenonèscrittonei miei libri. Appunti autobiografici sulla vita come compito, Franco Angeli, Milano2012,p.55. 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Strauss,B.Bauer,N. Hartmann) LamortediDio(F. Nietzsche) Tuttoèpermesso(J.-P. Sartre) Unaquestionesenza importanza(M. Heidegger,M.MerleauPonty,C.Lévi-Strauss,M. Foucault) 4.L’oppiodeipopoli Lasocietàdegliatei(J. Meslier) L’uomononèuno schiavo(P.-J.Proudhon, M.Bakunin) L’Unicoeilnulla(M. Stirner) Unasovrastruttura(K. Marx,F.Engels,G.V. Plekhanov,N.Lenin) Lacrisidellamodernità (E.Bloch,J.-F.Lyotard, M.Horkheimer,Th. Adorno) 5.Ildestinodiun’illusione Ilparadigmadominante (Scienzaeateismo) Lostadiopositivo(A. Comte,É.Durkheim) Igermoglidelpositivismo (J.-E.Renan,F.Le Dantec) Unaproiezioneinconscia (S.Freud) IlnonsensodiDio(B. Russell,A.Flew,R. Carnap,J.N.Findlay) Qualcosadalnulla(S. Weinberg,S.Hawking,C. Sagan,V.J.Stenger,L.M. Krauss) Casoenecessità(P.W. Atkins,J.Monod,F. Jacob,D.C.Dennett,R. Dawkins) 6.Loscandalodelmale Ilfiumedellavita (Naturalizzazionedel male) Ivelenidellareligione (M.Onfray,S.Harris,Ch. Hitchens) IldilemmadiEpicuro(Il mondoclassico,G.C. Vanini,H.Jonas) Ilmiglioredeimondi possibili(G.W.Leibniz, Voltaire,I.Kant) Ilmalediesistere(J.O.de LaMettrie,D.-A.-F.de Sade,A.Schopenhauer) LarivoltadiPrometeo (G.Leopardi,A.Camus) Conclusione Bibliografia