LDB
Nel mondo contemporaneo
l’area della non credenza si
allarga ogni giorno di più e,
anche nell’ambito di coloro
che si dicono credenti, si
stanno
diffondendo
i
comportamentitipicidell’ateo
pratico.L’ateismosipresenta
comel’elementounificantedi
culture
e
concezioni
filosofiche
spesso
profondamente diverse tra
loroedèriuscitoainsinuarsi
in alcune teologie, come
quelledellamortediDio.
In
una
rivisitazione
complessiva
dell’ateismo
nella sua evoluzione storica,
Roberto Timossi analizza il
pensiero
dei
principali
negatori dell’esistenza di Dio
e della religione (da
D’Holbach a Feuerbach, da
Nietzsche a Heidegger, da
Sartre a Foucault, da Meslier
a Proudhon, da Stirner a
Marx, da Bloch ad Adorno,
da Sade a Freud, da
Schopenhauer a Leopardi e
Camus,daRussellaCarnape
Ayer),
dedicando
un’attenzione particolare agli
atei «scientifici» e ai
cosiddetti atei moderni,
perchénegliultimidecennisi
è diffusa una forma di
ateismo che vede come
protagonisti molti celebri
uomini di scienza, quali
Steven Weinberg, Richard
DawkinseStephenHawking.
Nel segno del nulla offre
dunque una visione completa
dell’orizzonte
ateo
e
un’interpretazione
delle
direttrici
principali
dell’ateismo
alla
luce
dell’attuale
condizione
umana, perché di fronte a
ogni singolo uomo si pone
semprelaquestionedelsenso
dell’esistenza, del confronto
con il rischio dell’assurdo e
delnulla.
ROBERTO
GIOVANNI
TIMOSSI è un filosofo da
tempo
impegnato
principalmente
sulle
«questioni di frontiera» e
quindi a sviluppare il
confrontointerdisciplinaretra
filosofia,teologia,religionee
scienza.ViveaGenovaesiè
dedicato in particolare ai
problemi dell’esistenza di
Dio, della razionalità della
fede e dell’ateismo nel loro
rapporto con le moderne
conoscenze
scientifiche.
Collabora
con
diversi
quotidiani e fa parte del
ComitatoscientificodiSISRI
(Scuola
Internazionale
Superiore per la Ricerca
Interdisciplinare).
Ha
pubblicatoDioèpossibile?Il
problema dell’esistenza di
un’Entitàsuperiore;Dio e la
scienza moderna. Il dilemma
della prima mossa; Prove
logiche dell’esistenza di Dio
da Anselmo d’Aosta a Kurt
Gödel;
L’illusione
dell’ateismo. Perché la
scienza non nega Dio;
Imparare a ragionare. Un
manuale di logica; Decidere
di credere. Ragionevolezza
dellafede.
Biblioteca
Incopertina:KazimirMalevič,Black
Circle,1915,MuseodiStatoRusso,
SanPietroburgo
©2015Lindaus.r.l.
corsoReUmberto37-10128Torino
Primaedizione:gennaio2015
ISBN978-88-6708-378-7
RobertoGiovanni
Timossi
NELSEGNO
DELNULLA
Criticadell’ateismo
moderno
NELSEGNODEL
NULLA
Contro
ogni
Dio,
l’ateismo
asserisce e fonda
la sua causa con
sicurezza
incrollabile
e
trionfale. Negare
l’ateismo
è
cadere
nell’allucinazione,
nella
pazzia,
nella mentalità
corpuscolare dei
bambini e dei
selvaggi.
GiuseppeRensi,Apologia
dell’ateismo
Prefazione
Uno spettro si aggira per
il mondo globalizzato: lo
spettro
dell’ateismo.
Parafrasando un famoso
incipit di Marx ed Engels, si
puòdescriveresinteticamente
così l’estensione crescente
nella nostra epoca della non
credenza, che le ricerche più
accreditate stimano ormai
intorno al miliardo di
persone. L’ateismo appare
sempre più come la
caratteristica unificante di
diverse culture e concezioni
filosofiche perché sembra
costituire l’unico terreno
comune di indirizzi di
pensiero e di azione distanti
tra loro, se non addirittura
contrapposti, che possono
andare
dalle
filosofie
analitiche
a
quelle
continentali,
dal
neopositivismo
all’ermeneutica,
dallo
strutturalismoallostoricismo,
dall’esistenzialismo
al
pragmatismo,dalnaturalismo
alla fenomenologia, per
giungereainteressareperfino
alcune teologie come quelle
dellamortediDio.
Nelloscenarioquantomai
incerto seguito alla fine delle
grandi ideologie laiche sorte
dall’Illuminismo e più di
recente dominato dalla
«condizione postmoderna»,
l’elemento
accomunante
consiste infatti spesso nel
dichiararsiateiononcredenti
e nel considerare indifferente
o superfluo il problema di
Dio.Nell’etàdelpluralismoe
del relativismo dei punti di
vista e delle idee, l’ateismo
cercadiimporsicomel’unico
postulatodiordinegeneraleo
perlomeno come una delle
poche convinzioni umane
davverotrasversali.
Essendo oggi la scienza
moderna un faro di
riferimento obbligato per il
progresso della conoscenza
umana, non manca chi
pretendediassumereilsapere
e i metodi scientifici quali
sistemi
interpretativi
universali, capaci cioè di
spiegare e risolvere questioni
esistenziali come quella del
significato della vita e
questioni
etiche
come
l’originedelbeneedelmale,
rendendo metodologicamente
inutile l’ipotesi dell’esistenza
diDio.SièaffermatanelXX
secolo una maniera di essere
atei strettamente collegata
con la ricerca scientifica e
con la filosofia della scienza,
che ha trovato in molti
scienziati e filosofi dei
convinti e autorevoli teorici,
per altro anche piuttosto
aggressivi e motivati, come
Steven Weinberg, Richard
DawkinseDanielC.Dennett.
L’ateismo moderno è
tuttavia in primo luogo una
manifestazionepratica,valea
dire un modo concreto di
vivere nel quotidiano etsi
Deus non daretur (come se
Dio non ci fosse), magari
talvolta dichiarandosi ancora
credenti
e
perfino
appartenenti a una specifica
confessione
religiosa.
L’attuale
diffuso
atteggiamento
ateo
è
sicuramente uno dei prodotti
della secolarizzazione e degli
effetti di uno stile di vita
disincantato
rispetto
al
trascendente,
nonché
predisposto dai progressi
della tecnologia e dalle
banalizzazioni
del
consumismo a cogliere
maggiormente
o
preferibilmente le esigenze
pratiche piuttosto che quelle
teoretiche o di valenza
superiore. Sia pure con
posizioninonsempretraloro
convergenti, tale processo è
stato a suo tempo colto nel
suo generarsi e nei suoi
riflessi filosofici da due
pensatori italiani come
Cornelio Fabro e Augusto
DelNoce.Partendodalleloro
analisi e spingendoci oltre,
possiamo oggi vedere bene
come
l’ateismo
contemporaneoiniziatoconil
pensiero moderno abbia
percorso una parabola che
dall’esaltazionedell’uomofin
quasi alla divinizzazione l’ha
condotto
a
esiti
oggettivamentenichilistici.
Da un simile angolo
visuale l’ateismo attuale può
essere interpretato come il
segno della crisi della
modernità
e
della
postmodernità, come la
condizione in cui l’essere
umanoallafinesiritrovasolo
a tu per tu con la prospettiva
del nulla. È evidentemente
difficile rassegnarsi a questa
conclusione;maseesisteuna
via di uscita, siamo convinti
possa essere conseguita
soltanto dopo un’indagine
critica
delle
ragioni
dell’ateismo.
RobertoGiovanniTimossi
1
Lasfidadello«stolto»
1.«Deusnonest!»
A
molti
credenti
l’esistenza di Dio appare
come un fatto scontato che
non ha bisogno di essere
dimostrato. Il loro rapporto
con il divino è talmente
interiore e profondo da non
sentireneppurelanecessitàdi
acquisire delle prove per ciò
in
cui
credono,
ma
semplicemente lo vivono con
trasporto e partecipazione.
Nel caso dei mistici poi, la
relazione con Dio è tanto
direttadafarlorosembraredi
percepirne fisicamente la
presenza, di averne in estasi
unachiaravisione,disentirlo
dentro di sé e di diventare
addirittura una cosa sola con
Lui. Così predicava ad
esempio Meister Johannes
Eckhart (1260-1328), un
grandemisticocristianoperil
quale Dio e il singolo uomo
credente diventano un’unica
realtà:«L’uomodevecogliere
Dioinognicosaeabituareil
proprio spirito ad aver Dio
sempre presente in sé. […]
Ma l’uomo in cui Dio non
abita veramente, e che deve
cercare Dio all’esterno, in
questa cosa e in quest’altra,
[…] non possiede Dio»1. In
espressioni come queste
qualcuno ha voluto leggere
perfino una forma di
panteismo, ma forse è
eccessivo; di certo siamo in
presenza di un misticismo
fortemente speculativo, che
nega ogni intromissione tra
l’anima umana e il divino
(«Qualsiasi mediazione è
estranea a Dio»)2 e dà per
acquisita la presenza di Dio
con la stessa spontaneità con
cui ciascuno di noi ritiene
certa l’esistenza del mondo
esterno.
Se analizziamo con un
minimo di attenzione questo
mododicredereneldivino,ci
rendiamo facilmente conto
che si tratta di una
manifestazione a carattere
soggettivo,
estremamente
importante
per
chi
l’esperisce, ma palesemente
inadeguata ad avvalorare in
manieraobiettivaeuniversale
l’effettiva esistenza di Dio; a
fornire cioè punti di
confronto
intersoggettivi
ancheacolorochenonhanno
la fortuna di viverla
direttamenteepersonalmente.
Pur meritando il nostro
massimo rispetto, siamo
infatti al cospetto di vicende
del tutto peculiari e
individuali, che risultano
spesso inesprimibili col
linguaggio umano e quindi
difficilmente comunicabili al
prossimo,speciesesitrattadi
intuizioni; e non a caso
quanto accomuna i mistici di
qualsiasireligioneocredenza
è la convinzione della
ineffabilità
della
loro
personale esperienza, tanto
essarisultatotalmentediversa
dalle normali esperienze
umane.
Al di fuori di queste
forme soggettive o personali
dicredenzainunEntedivino,
l’esistenza di Dio è tutt’altro
cheimmediatamenteevidente
allaragioneumana.Essanon
puòinfattiritenersiunaverità
intuitiva per il sapere umano
allo stesso modo della
necessaria presenza di due
genitori naturali per ciascun
individuo della nostra specie
o del fatto che siamo tutti
mortali; esige pertanto di
venire
adeguatamente
dimostrata con l’ausilio
indispensabiledellaragionee
dell’esperienza. È pur vero
checisonostatideipensatori
che hanno razionalmente
teorizzato la percezione
immediata di Dio da parte
dell’uomo e la conseguente
inutilitàdicercaredelleprove
o di inseguire delle
dimostrazioni, come ad
esempio
il
filosofo
ontologista
Nicolas
Malebranche (1638-1715).
Per quest’ultimo «solo Dio è
conosciuto per se stesso»3 e
possedere nella mente l’idea
di un Ente soprannaturale è
come vedere Dio vis-à-vis,
ossia per percezione diretta e
senza
bisogno
dell’intermediazione
del
ragionamento. Ma la dottrina
ontologista,
così
come
qualsiasi altro tentativo di
proclamare l’esistenza di Dio
comeautoevidente,siscontra
sempre con due dati
oggettivi: la presenza nel
mondo di persone che non
credono in Dio e i diversi
modi di concepire il divino.
Se da un lato le differenti
maniere di intendere e
raffigurare un’entità divina
dimostrano che non tutte le
menti la descrivono allo
stesso modo, come dovrebbe
invecenormalmenteaccadere
qualora la conoscessero
direttamente,
dall’altro
bisogna
pragmaticamente
prendere atto che gli atei
costituisconolaprovavivente
del fatto che la realtà di Dio
non risulta per nulla scontata
ointuitivamenteprovata,non
foss’altroperchémolteforme
di ateismo rifiutano perfino
l’ideastessadiunEntedivino
odiunCreatore.
Come
lo
scettico,
dubitando radicalmente della
possibilità di conoscere le
cosequaliesseeffettivamente
sono e quindi di conseguire
certezza in ordine alla verità,
rende indispensabile porsi il
problema di fondare in
qualche modo la nostra
conoscenza del mondo che il
senso
comune
dà
spontaneamenteperassodata,
alla stessa maniera la
semplice presenza dell’ateo
metteindiscussionequalsiasi
pretesa
di
conoscenza
immediata dell’esistenza di
Dio e impone alla ragione di
interrogarsicriticamentesudi
essa. Né vale a depotenziare
la sfida dell’ateismo nei
confronti
del
credente
sostenere, come faceva il
filosofo spiritualista francese
Jules Lagneau (1851-1894)4,
che non esistono autentici
atei, ma semplicemente degli
individui che non riescono a
vedere nell’immagine di Dio
proposta
dalle
diverse
religioni il senso del divino
che tutti gli uomini portano
dentro di sé. La questione
dellapresenzaedelcrescente
vigore dell’ateismo non può
certo
essere
aggirata
cooptando gli atei tra i
credenti per disconoscerne
l’esistenza, ma va invece
analizzata con attenzione,
senza sottovalutazioni e
perfino con intelligente
rispetto, se gli argomenti
presentati contro la realtà di
Dio
manifestano
un’intrinseca
dignità
teoretica.
L’accostamento tra lo
scetticismo e l’ateismo non è
casuale,dalmomentocheuno
scettico integrale è spesso
ancheunateoocomeminimo
unagnostico(seinfattidubita
di tutto, come fa a non
dubitare di Dio o perlomeno
dellapossibilitàdistabilirese
esisteveramente?);mentregli
atei e gli agnostici che non
sono degli scettici radicali
aderisconoquantomenoauna
forma
di
scetticismo
metodologico rispetto alle
possibilità della conoscenza
umanadispingersitantooltre
ildatoempirico.Ladifficoltà
di considerare intuitiva
l’esistenza di Dio, specie nei
confronti del dubbio scettico,
eraparticolarmentepresentea
una mente analitica come
quelladiTommasod’Aquino
(1225-1274): egli dedica
infatti il primo articolo della
seconda questione (intitolata
significativamente An Deus
sit – «Se Dio esista») della
Summa
Theologiae
al
problema «Se sia di per sé
evidente che Dio esiste».
Partendo dall’affermazione
del teologo arabo-cristiano
Giovanni Damasceno (675749 ca) secondo cui «la
conoscenza dell’esistenza di
Dio è in tutti naturalmente
insita»5, Tommaso osserva
come per confutare una
similetesisiasufficientefare
ricorso proprio all’argomento
dellapresenzadell’ateo,ossia
dello «stolto» che secondo il
Salmo 52 «dice in cuor suo
Dio non esiste» (Dixit
insipiens in corde suo: non
est Deus), per concludere:
«DunquecheDioesistanonè
diperséevidente»6.
Chi nega l’esistenza di
Diopuòancheesserereputato
dal credente ebraico-cristiano
un «insipiente», perché nelle
Sacre Scritture l’ateismo è
contrassegnato come un nonsenso, ma resta a ogni modo
il fatto che l’ateismo
rappresenta una posizione
razionalmente ammissibile,
poiché il divino non è
spontaneamente evidente alla
ragione; fatto quest’ultimo
che prospetta al credente una
sfida radicale. Una sfida
iniziata probabilmente nel
momento stesso in cui di
fronteallacredenzadiffusain
qualche entità religiosa
misteriosaosoprannaturalesi
è presentato qualcuno a
metterla risolutamente in
discussione,
a
negare
recisamentel’esistenzadiDio
o degli dei. E se all’inizio
della vicenda umana sulla
Terra i «negatori del divino»
erano
probabilmente
un’esigua minoranza, col
passare dei secoli essi sono
aumentati costantemente di
numero, fino a rappresentare
in età contemporanea una
massa
di
individui
considerevolmente ampia e
difficile da calcolare (i
movimenti
dell’ateismo
militante parlano di oltre un
miliardo di persone). Del
resto l’ateismo è sempre più
un protagonista della nostra
epocaeilconfrontodialettico
serrato tra atei, agnostici e
teisti è il fulcro di molti
convegni, articoli e dibattiti
anche
intellettualmente
elevati. Perfino l’autorevole
teologo Karl Rahner (1904-
1984), che con la sua tesi
teologica dell’«esistenziale
soprannaturale»
sosteneva
che anche i non credenti e
coloro che non conoscono la
Rivelazionesonocomunquea
priori sotto la volontà
salvifica di Dio, ha dovuto a
suotempoprendereattoche
l’ateismoconcuinoioggi
abbiamo a che fare, al di
là
di
alcune
corrispondenze
innegabili,
non
è
l’ateismo
dell’Illuminismo
e
neppure l’ateismo che la
critica della religione
dell’800, soprattutto di
Feuerbach e Marx, dava
per scontato oppure
propagandava.
[…]
Dappertutto troviamo un
ateismo
condizionato
dall’odierna
società
razionalisticaetecnica.7
Purnellacontinuitàconla
tradizione illuministica e
ottocentesca,
l’ateismo
contemporaneo
presenta
alcune peculiarità, la prima
delle quali consiste nel
cercare spesso i propri
fondamenti o la propria
giustificazione nella scienza
moderna, in particolare nelle
scienze naturali, e la seconda
è la sua estensione capillare
su tutto il pianeta. «C’è oggi
– ha ancora affermato Karl
Rahner – ciò che mai ci fu
nella Storia: un ateismo
mondiale dovunque diffuso,
chenonèpiùaffaredisingoli
uomini, ma un fenomeno
sociale
dovunque
riconosciuto
come
legittimo».8 Le parole del
teologo tedesco sono state
pronunciate nel corso di un
congresso
su
Evangelizzazione e ateismo
del lontano 1980 e da allora
la
situazione
si
è
ulteriormente evoluta nella
direzione di un’ulteriore
proliferazione globale del
fenomeno dell’ateismo, che
non sembra demordere
neppure nelle fasi del
cosiddetto«ritornodelsacro»
o«riscopertadelreligioso».
Dovremo
certamente
affrontare il problema della
legittimità del ricorso al
sapere scientifico al fine di
dimostrare la razionalità e la
veridicità dell’ateismo; ma
comunque la si pensi, è fuori
discussione che la nascita
della scienza moderna ha
rappresentato
un
cambiamentoculturalediuna
tale portata che non poteva e
non può non avere avuto
ripercussionisianeiconfronti
del problema razionale
dell’esistenzadiDio,siadella
mentalità religiosa in senso
lato e di quella cristiana in
particolare.Nelmondoantico
quantonelMedioevol’ideadi
Dio e del soprannaturale
apparivanononsoltantocome
armonicamente compatibili
con l’«immagine scientifica
delmondo»diquelleepoche,
ma
addirittura
come
presupposti imprescindibili,
senzaiqualilascienzastessa
rischiavadirimanereprivadi
un principio esplicativo e
quindi sospesa nel vuoto. È
sufficiente menzionare il
passaggio
dal
modello
tolemaico
a
quello
copernicano del cosmo,
accompagnato dal quasi
contestualesuperamentodella
fisica aristotelica da parte
della nuova fisica galileianonewtoniana, per capire
l’impatto che la cosiddetta
«rivoluzione scientifica» ha
avutosullacredenzainDioe
sulla fede religiosa. Il
paradigma
scientifico
aristotelico-tolemaico, con la
suaesigenzadiunsistemadi
cause o «motori» culminante
inunaCausaprimaincausata
o Motore immobile e nello
stesso tempo di un naturale
finalismo,
non
solo
ammetteva la presenza di un
Ente soprannaturale come
principioefinedell’universo,
maloindicavacomel’Essere
necessario senza il quale
nullasarebbeesistitoeniente
si sarebbe potuto spiegare
scientificamente. Il nuovo
paradigma scientifico che
prende forma tra il XVI e il
XVII secolo non concepisce
invecenessunacausaprimae
tantomeno nessuna causa
finale, non pone l’uomo al
centro del cosmo, ma spiega
l’ordine fisico del mondo
ricorrendosemplicementealle
leggi della natura, al moto
meccanico
e
alle
caratteristiche
intrinseche
della materia; quindi senza
dover ricorrere – secondo la
famosa
risposta
dell’astronomo e matematico
Pierre-Simon de Laplace
(1749-1827) a Napoleone –
all’«ipotesidiDio».
Da questa conclusione di
Laplaceall’ateismoilpassoè
evidentementedavverobreve,
poiché facile risulta il
passaggio dalla convinzione
che l’idea di Dio è superflua
perlaspiegazionedell’ordine
cosmico alla conclusione che
allora è totalmente priva di
significato, come peraltro si
sono incaricate di dimostrare
le vicende storiche e
filosofiche
successive
all’avvento della scienza
moderna. Ciò accade ad
esempio con la filosofia
neopositivistaeinparticolare
conillogicoefilosofoRudolf
Carnap (1891-1970), il quale
riferendosi alla parola «Dio»
sostiene
che
«nell’uso
linguisticometafisicodesigna
qualcosa di extraempirico» e
che,senonlesiattribuisceun
significato nuovo, «essa
diventa priva di significato»;
infatti, «una cosa per
principio posta al di là
dell’esperibile non potrebbe
esserenédetta,népensata,né
indagata».9
Insomma,
solamente assegnando al
termine «Dio» un significato
referenzialediversodaquello
di ente incorporeo o metaempiricochenormalmentegli
viene attribuito esso diventa
sensato,
altrimenti
le
proposizioni in cui viene
inserito (per esempio «Dio
esiste», «Dio è onnipotente»,
«Dio è buono») non dicono
nulla, non comunicano
nessunaverainformazione,al
punto che il soggetto «Dio»
non può neppure essere
pensato e quindi tantomeno
indagato. È poi evidente che
se alla parola «Dio» così
comevienelargamenteintesa
nella cultura occidentale
associamo un significato
diverso da quello di essere
trascendente, non esprimerà
più il contenuto concettuale
che le vogliamo attribuire e
quindi finirà per risultare
affatto inutile tanto sotto
l’aspetto filosofico-teologico
quanto sotto quello del
linguaggio quotidiano. Si
tratta in altri termini di un
non-cognitivismo teologico,
in base al quale alcuni
vocaboliinusonelledottrine
religiose, nei ragionamenti
teologici e nelle espressioni
mistiche sono in tutto e per
tutto privi di un reale
significato, salvo ovviamente
in un contesto mitologico o
fantastico.10
Un analogo processo che
dal piano scientifico transita
piùomenoimpropriamentea
quello filosofico si è
verificato a partire dal 1859,
data
di
pubblicazione
dell’Origene delle specie di
Charles Darwin (1809-1882),
allorché pure i fenomeni
biologici iniziarono a essere
interpretati come il risultato
di meri accadimenti selettivi
naturali, con la conseguenza
che tutti i viventi (essere
umani inclusi) divennero il
risultato non di un atto
creativo divino, bensì di
«caso e necessità»11. Fu così
che alla fine i processi
normatidellescienzenaturali
sostituirono definitivamente
la
divina
provvidenza:
«Storicamente,
si
può
considerare
l’idea
del
determinismo “scientifico”
come il risultato della
sostituzione dell’idea di Dio
con l’idea di natura, e
dell’idea di legge divina con
quelladileggenaturale»12.A
conti fatti, appare perciò
evidente come al legittimo
superamento nelle moderne
conoscenze
scientifiche
dell’ipotesi
Dio
quale
spiegazione dei fenomeni
naturali abbia fatto seguito il
tentativo da parte di alcuni
scienziati atei di obliterare
completamente la nozione di
Dio da tutti i contesti della
vitaumana,inquantoinutile,
insensataeperfinodannosa.
Per altro anche quella
parte
della
filosofia
contemporanea che non è
direttamenteinfluenzatadalla
storia della scienza moderna,
e anzi in alcuni casi si
pronunciaapertamentecontro
di essa, appare seguire una
linea parabolica che conduce
progressivamente
a
considerare
quantomeno
superfluo
o
comunque
insignificante il discorso
intornoaDiopostoalungoal
centro
dell’indagine
filosofica, quando non è
giunta perfino a negarne con
vigore la consistenza come
nel caso del nichilismo,
oppure a ritenerlo un
fenomeno pericoloso per la
libertà umana, come nel caso
dell’esistenzialismo sartriano
e dell’anarchismo. E se il
problemadelsensodellavita
ancora talvolta assilla i
filosofi, nell’epoca della
filosofia postmetafisica e
postmoderna si tenta di
risolverlo trovando una
risposta
all’interno
del
mondano ordine naturale,
cioèinciòcheperlascienza
non ha alcun fine teleologico
o scopo ultimo, in quella
Natura naturans del filosofo
panteista Baruch Spinoza
(1632-1677), che per il
pensatore tedesco e storico
della filosofia Karl Löwith
(1897-1973)
rappresenta
l’autentico «fondamento di
tuttochenontendeanulla»13.
Insieme
con
la
modernizzazione tecnologica,
tanto il sapere scientifico
quanto
la
propensione
antimetafisica e antireligiosa
di
molta
filosofia
contemporanea hanno avuto
rilevantiriflessisuicostumie
sugli stili di vita occidentali,
dove
l’espansione
del
consumismo accompagnato
daunacertadosediegoismo
edonistico ha contribuito
all’affermarsidiquellachedi
recente il filosofo cattolico
canadese Charles Taylor ha
chiamato«etàsecolare»;vale
a dire una rappresentazione
dell’esistenzasostanzialmente
immanentistica,
che
fa
dell’istanza religiosa una
questione secondaria o
addirittura
indifferente
rispetto alla dimensione dei
valori e dei comportamenti
individuali, con gli spazi
pubblici«svuotatidiDioodi
qualsiasi riferimento alla
realtà
ultima».
«La
secolarizzazione – sostiene
ancora Taylor in quella che
chiama “Grande narrazione
della Riforma” (GNR) –
nasce
all’interno
dell’Occidente
cristiano
soprattutto con la Riforma,
che afferma una concezione
antropocentrica
della
religione,unavisioneavversa
al magico e attenta ai diritti
individuali. È questo il
terreno fertile per l’emergere
del mondo secolarizzato».14
A porre le basi del pensiero
secolarizzato,liberaleelaico,
contribuisce
inoltre
in
maniera decisiva il Tractatus
theologico-politicus,
pubblicato nel 1670 da
Baruch Spinoza in forma
anonimaperchévisiafferma
condoviziadiparticolariche
la Bibbia non sarebbe parola
di Dio, ma una mera
creazione
dell’ingegno
umano.15
Èrisultatocosìpossibilee
perfino necessario concepire
«un’etica senza Dio»,16 una
morale tanto individuale
quanto pubblica capace di
fondare la distinzione tra
bene e male su postulati
esclusivamente mondani e
quindi in fin dei conti
relativisticieutilitaristici.Del
resto, nell’attuale società
multietnicaemulticulturalein
cui confluiscono e si
confrontanocostumidiversie
differenti
credenze
confessionali, la concezione
stessa del divino rischia di
smarrire la propria identità,
fino al punto di diffondere
l’idea che poiché ci sono
tantereligionichepretendono
tutte di essere l’unica vera
religione,forsealloranessuna
religione è vera; ovvero che
poiché sussistono tante
immagini differenti di Dio,
forse allora esistono più
divinità (neopaganesimo)17 o
più semplicemente Dio non
esiste (ateismo), oppure se
esiste non è conoscibile
(agnosticismo). Nonostante i
ricorrenti proclami di una
rivalsa del sacro, sembra che
l’attuale contesto storicosocialerendanonsoltantopiù
facile la scelta di dirsi atei o
agnostici, ma modifichi pure
profondamente il modo di
esserlorispettoalpassato.
Reputiamocorrettotenere
qui conto della tradizionale
distinzionetraagnosticismoe
ateismo, anche per rispetto
intellettuale nei confronti di
tutti
coloro
che
motivatamente si dicono
agnostici; tuttavia dobbiamo
essere contemporaneamente
consapevolichenonsempreè
facile effettuare una netta
separazionedalpuntodivista
dei comportamenti pratici. È
comunque teoricamente vero
che
nei
confronti
dell’esistenza
o
della
credenza in Dio si possono
contrapporre due differenti
posizioni:
• si può affermare con
certezza,equindidimostrare,
cheDiononesiste(ateismo);
• si può sostenere che Dio
nonpuòesserenédimostrato
né confutato con la ragione
(agnosticismo).
Risulta però ugualmente
certo che, posti in modo
incalzante
di
fronte
all’interrogativo sulla realtà
di Dio, pressoché tutti gli
agnostici faticano a restare
completamenteasettici,anon
manifestare quantomeno un
sentimento
o
una
predisposizione prevalente a
favore o contro il teismo;
tantoèverocheunapproccio
agnostico integrale, ossia
effettivamente equidistante
traleposizionideicredentie
degliatei,siriscontraassaidi
rado sia nella storia del
pensiero filosofico sia nella
nostra esperienza quotidiana:
infatti in molti casi in un
agnostico
dichiarato
si
palesano comportamenti non
dissimilidaunateopratico.
2.QualeDio?
Il termine «ateo» deriva
dal greco ἄϑεος (átheos) e
significa «senza Dio» (la á è
l’alfa privativo che esprime
l’assenza o la negazione del
theós, della divinità); e da
esso dipende pure la parola
greca ἀϑεότης(atheótes)ossia
«ateismo». In breve, sotto il
profiloetimologicol’ateopuò
essere identificato con colui
che non ha dei, che non
riconosce nessuna divinità,
chenegaDio.Ilvocaboloera
già in uso nella Grecia
classica e compare in poeti
come Bacchilide (516-451
a.C.), Pindaro (518-438 a.C.
ca) e Sofocle (496-406 a.C.)
perindicaredisolitolafollia
quale condizione di chi è
stato abbandonato dagli dei.
Si trova inoltre al plurale
nella Lettera agli Efesini
attribuita a Paolo di Tarso
(5/10-65/67 d.C.), laddove
parlando ai «pagani nella
carne»sidice:«Eravatesenza
Cristo […], senza speranza e
senzaDio[ἄϑεοι(atheoi)]»18.
Per altro nella Bibbia
l’ateismo è considerato nel
suo aspetto pratico o etico,
piuttosto che teoretico: l’ateo
non è colui che nega
teoricamente Dio tramite
precise
argomentazioni
razionali,quantochiviveesi
comporta come se non ci
fosse(comeappuntolostolto
in Sal 14,1 e 53,2) o non si
curasse delle azioni umane,
buone o cattive che siano
(comeinIs29,15-16).L’ateo
insomma, secondo le parole
di Clemente di Alessandria
(150-215
ca),
è
semplicemente «chi afferma
che non esiste Dio»19; di
conseguenza l’ateismo è
l’atteggiamento o il punto di
vistadichinegaapertamente
Dio oppure vive e si
comporta come se non
esistesse.
Detto così, definire chi è
l’ateo e che cos’è l’ateismo
sembra facile, ma in realtà
risulta piuttosto complesso
per il banale motivo che la
nozione di Dio nelle diverse
concezioni o espressioni
umane non appare sempre
univoca
e
manifesta
numerose variazioni di
significato. Anche se ci
sembraesageratalaposizione
dichisièspintoadichiarare
ambiguo il termine «Dio»20,
poiché
riteniamo
che
all’interno di un determinato
contesto linguistico-culturale
è certamente possibile una
sua disambiguazione o
chiarificazione,
appare
tuttaviafuordidubbiochenel
corso della Storia e nelle
diverseciviltàessohaassunto
e tuttora assume significati
quantomeno articolati. Basta
in proposito interrogare a
fondo un certo numero di
individuidiambienticulturali
diversioppuredidiversearee
geografiche per rendersi
conto di quanti svariati modi
di concepire Dio sussistano
frailgenereumano.
Unconfrontodialetticodi
questo tipo ha provato a
immaginarlo il filosofo
illuminista Francois-Marie
Arouet, meglio noto come
Voltaire(1694-1778),ilquale
proprio alla celebre voce
«Dieu» del suo Dizionario
filosofico (1764) racconta
che, ai tempi dell’imperatore
bizantino Arcadio (395-408),
un teologo di nome
Logomacosiimbattéaipiedi
del Caucaso in un allevatore
di ovini di origine scita e di
nome Dondinac. Logomaco,
dall’alto della sua spocchiosa
formazione teologica e dopo
aver dato dell’idolatra al
pastore,
incomincia
a
chiedergli:«Cheideahaitudi
Dio?».
Dondinac
gli
risponde: «Che è il mio
creatore, il mio signore, che
mi ricompenserà se farò il
bene, mi punirà se farò il
male». Il teologo allora
replica: «Bagattelle, miserie.
Veniamoall’essenziale.Dioè
infinito secundum quid o
secondo l’essenza?». Il
malcapitato
allevatore
ovviamente risponde: «Non
capiscoquelchevoletedire».
LoincalzaancoraLogomaco:
«Che cos’è Dio? […] È
corporeo o spirituale?». E
Dondinac: «E come volete
chelosappiaio?».«Come!–
ribatte ancora il teologo
bizantino – Tu non sai cos’è
uno spirito?». «Neanche un
po’ – risponde lo scita – A
che mi servirebbe [saperlo]?
Quando lo saprò, sarò forse
piùgiusto[…]?».21
Voltaire fa emergere qui
chiaramente come per alcuni
(per esempio Logomaco) sia
necessario
attribuire
significati
profondi
o
metafisici a Dio (è infinito
secundum
quid
ossia
relativamente a qualcosa
oppure per essenza? È
corporeo, ossia in qualche
modo immanente, oppure è
spirituale? E via dicendo),
come per altri (come
Dondinac) sia sufficiente
pensare che è il nostro
creatoreecheèlafontedella
giustiziaedell’eticaperchéci
premiaocipuniscesullabase
delle nostre azioni buone o
malvagie.Peraltroinuntesto
sistematico come il Trattato
dimetafisica(1734),Voltaire
avevaespressochiaramentela
sua teoria: «Gli uomini
continuano
spesso
a
pronunziarepertuttalavitala
parola“Dio”senzaassociarvi
nessunaideabendefinita.Voi
sapete, d’altronde, che tra gli
uomini i modi di concepire
Dio differiscono quanto le
religioni e le leggi»22. In
effetti, il modo di concepire
Dio degli illuministi come
Voltaire raffrontato al modo
con cui lo concepiscono i
credenti di una delle tre
grandireligionimonoteistiche
(ebraismo, cristianesimo e
islamismo) risulta piuttosto
differente.
Se ci soffermiamo in
maniera comparativa sulla
storia della filosofia e della
religione in Occidente,
secondo il filosofo italiano
Cornelio Fabro si possono
distinguerealmenotrestadio
livelli evolutivi connessi con
ilconcettodiDio:
1.popolare-mitico;
2.filosofico-speculativo;
3.rivelato-personale.
Nel
primo
stadio
possiamo
identificare
soprattutto la concezione del
divino desumibile dalla
religione greco-romana e
quindi dai culti pagani nelle
loro svariate forme. Il
secondolivelloèquellodella
speculazione filosofica e
quindi del cosiddetto «Dio
dei filosofi». Il terzo stadio
infinerichiamalanozionedel
Dio personale delle religioni
rivelate, in particolare quelle
dell’ebraismo
e
del
cristianesimo.23
Procedendo da questi tre
livelli,
nella
tradizione
teologico-filosofica
occidentaleintornoall’ideadi
Dioèpossibilerintracciaretre
posizioni fondamentali: il
teismo, il deismo e il
panteismo.
Queste tre concezioni di
Dio interpretano in diversa
maniera alcuni concetti
ricorrenti e centrali nel
dibattito sulla natura del
divino o della divinità, che
sono
essenzialmente
i
seguenti:
immanenza,
trascendenza, onnipotenza,
onniscienza, bene supremo,
causa prima o fondante,
creatore, ordinatore cosmico
(demiurgo), primo motore,
essere necessario, principio
primo, artefice intelligente,
provvidenza. Con essi si è
tentato di affrontare e
risolvere due questioni
immediatamente aperte dalla
semplice
ipotesi
dell’esistenza di Dio: la sua
relazione col mondo; la sua
interazioneconl’uomo.Sotto
questo profilo, il teismo e il
deismo
si
distinguono
principalmente
per
un
differente punto di vista
sull’intervento
dell’Ente
divino nelle cose mondane,
sulla sua natura provvidente
nei confronti degli esseri
umani e sul fatto che
costituisca o meno un
fondamento per l’etica. Il
panteismo si pone invece in
un’otticadeltuttodivaricante
rispetto sia al deismo sia al
teismo, in quanto tende a
identificare Dio e la natura o
ilmondo.
Per chiarire la distinzione
tra teismo e deismo è
impensabilenonprocedereda
ciò che Immanuel Kant
(1724-1804) ha scritto nella
Critica della ragion pura
(1781):
Chi
ammette
esclusivamente una teologia
trascendentale [ossia fondata
sulla pura ragione] è definito
«deista», chi ammette anche
unateologianaturale«teista».
Secondo il primo noi
possiamo in ogni caso
conoscere l’esistenza di un
essere
originario
esclusivamente per mezzo
della ragione […], un essere
che ha ogni realtà, ma non è
ulteriormente determinabile.
Il secondo ritiene che la
ragione sia in grado di poter
determinare più strettamente
l’oggetto in base all’analogia
con la natura, definendolo
come l’essere che racchiude
insé,invirtùdell’intellettoe
della volontà, il principio di
tutte le cose. Il primo vede
dunque in un tale essere una
causa del mondo (lasciando
indeciso se per la necessità
dellasuanaturaoperlibertà),
il secondo un creatore del
mondo.[…]Ildeistacredein
unDio,mentreilteistacrede
in un Dio vivente (summa
intelligentia).24
Non entriamo qui nel
complesso dibattito sul modo
più corretto di definire la
posizionediKantinrapporto
all’esistenza di Dio, ma ci
limitiamo a ricordare che
sono presenti tra gli studiosi
tutteleposizionipossibili:c’è
chiloconsideraunagnostico,
chi un deista e chi un teista
cristiano. Karl Löwith parla
addirittura di una duplice
soluzione:
«ateismo
attenuato» nella Critica della
ragion pura e «fideismo»
nella Critica della ragion
pratica.25Tornandoinveceal
testocitato,purdalladifficile
prosa del filosofo di
Königsbergsievincecomeil
teismo e il deismo siano
accomunatidallaconvinzione
dell’esistenza di un Essere
trascendente od originario
artefice dell’ordine cosmico,
mentre divergono sulla sua
naturadicreatore«personale»
(quindi libero e non
necessitato) e sulla sua
relazione col mondo dopo la
creazione. Detto altrimenti, il
teista concepisce un Dio
personale,creatoreenonsolo
ordinatore,
positivamente
presente
nel
divenire
cosmico, garante dell’ordine
morale e talvolta artefice di
una rivelazione. Il deista è
dispostoinveceadammettere
soltanto un Ente supremo
qualespiegazionedell’origine
e dell’ordine dell’universo,
ossia
una
specie
di
«Architetto divino» od
«Orologiaio
cosmico»,
spingendosi
talvolta
a
postularloqualegarantediun
supremo e perfetto ordine
moraleosommobene,anche
se non necessariamente
realizzabilesuquestaTerra.26
Il deista rifiuta però con
decisione la perdurante
ingerenzadiDioneldivenire
del mondo, perché in tal
modosiviolerebberolestesse
leggi naturali da lui imposte;
o
comunque
ritiene
impossibile
conoscere
qualcosa di certo su questo
aspettodellanaturadivina.In
epocacontemporaneaetragli
scienziati
sembra
rappresentare
bene
la
posizionedeldeistailpremio
Nobel per la fisica Arno
Allan Penzias – scopritore
con Robert Wilson della
radiazionecosmicadifondo–
quando afferma «non posso
credere
in
un
Dio
antropomorfo»,
ma
contestualmentenonnegache
l’origine dell’universo possa
rinviare «all’esistenza di
un’entità
trascendente»,
anche se si tratterebbe di un
ordinedelcosmo«incuiDio
noninterviene».27
Per il deista è dunque
impossibile con la sola
ragione teorizzare o sapere
alcunché di più sulla realtà
specifica di Dio ricorrendo
alle conoscenze naturali, ivi
compresi eventuali speciali
rapporti con gli esseri umani
propri di un «Dio vivente»;
motivo per cui di solito non
aderisce a nessuna religione
positivaostoricaetantomeno
aunareligionerivelata,maal
massimo
professa
una
«religione naturale». Il Dio
deista è insomma come
quello del filosofo Epicuro
(341-270 a.C.) che «non fa
nulla, non è coinvolto in
nessuna attività»28, e quindi
tantomeno gli si può
attribuireunruolonell’ordine
dell’universooneimotidegli
astri: «In nessun caso deve
essere addotta per una
spiegazione del genere la
natura divina, che invece
deve essere conservata libera
da ogni compito».29 Il teista
per contro assegna a Dio un
ruolo attivo e partecipe nel
mondo,nonnefauncreatore
lontanoodistaccatodallasua
creatura cosmica, anzi lo
descrive come un essere
provvidentechesioccupaesi
preoccupa della condizione
degli esseri umani con
rivelazioni, miracoli e atti
salvifici.L’esempioditeismo
piùnoto,eprobabilmentepiù
paradossale, è quello del Dio
cristiano che arriva a
incarnarsi nella figura di
Gesù Cristo e a sacrificarsi
sulla croce per salvare
l’umanitàintera.
Restaovviamentecomune
tanto al teismo quanto al
deismo il rifiuto e la critica
dell’ateismo, sebbene i deisti
dell’epocadell’Illuminismosi
sianocontestualmenteopposti
con
convinzione
all’intolleranza di certi teisti,
in particolare cristiani. Il già
menzionato Voltaire per
esempio, mentre stigmatizza
le feroci persecuzioni nei
confronti di non credenti
come il filosofo e naturalista
libertino Giulio Cesare
Vanini30, prende pure le
distanzedagliateiconsiderati
«studiosi audaci e fuorviati,
che ragionan male e che non
potendo
spiegare
la
creazione, […] ricorrono
all’ipotesi dell’eternità delle
cose e della necessità».
Voltaire non vorrebbe mai
«averdafareconunprincipe
ateo», perché considererebbe
di non dover rispondere a
nessuno per le azioni
compiute nell’esercizio del
potere, e in perfetto spirito
deista conclude che per il
benetantodeiprincipiquanto
dei popoli è assolutamente
necessaria «l’idea di un
Essere supremo, creatore,
reggitore, remuneratore e
vendicatore».31
Se pertanto il deismo e il
teismodivergonosullanatura
«personale»diDioesullasua
presenza attiva nel cosmo,
concordano tuttavia sul fatto
che si tratti di un ente
totalmente trascendente e
distinto dal mondo; ed è
propriosuquestopuntochesi
differenziano entrambi dalla
terza concezione filosoficoteologica menzionata: il
panteismo.
Quest’ultima,
com’èrisaputo,èlaposizione
di chi tende a identificare il
mondo con Dio o Dio col
mondo, di chi crede che il
divino compenetri tutte le
cose unificando causalità
divinaecausalitànaturale.Al
dualismo Dio-natura si
sostituisce un monismo, da
cui discende palesemente
l’improponibilità di associare
questa concezione del divino
conquellateisticadicreatore
personale, anche se non è
mancato chi ha provato a
farlo. Il termine «panteismo»
deriva da due parole greche
(πάν [pan] = «tutto» e ϑεóς
[théos] = Dio) e significa
«tutto [è] Dio». Esso affonda
probabilmente le sue origini
nell’Illuminismo del libero
pensatore irlandese John
Toland (1670-1722), che si
definì«panteista»proprioper
distinguere il suo punto di
vista sia dal «teismo» sia
dall’«ateismo».32
Nonostante il significato
etimologico del termine sia
piuttosto chiaro e altrettanto
esplicito risulti il motivo per
cui è stato coniato, la
tradizionepanteisticaèmolto
più antica e si è manifestata
inunamolteplicitàdiformee
di dottrine. Possiamo infatti
riconoscere almeno quattro
tipidipanteismo:
–
spiritualistico
o
emanazionistico;
–
sostanzialistico
o
spinoziano;
–
immanentistico
o
naturalistico;
– panenteistico o panteismo
delprocesso.
Per
il
panteismo
spiritualistico
o
emanazionistico
(detto
talvolta «acosmistico» o
«anicosmico») il mondo è
una pura manifestazione del
divino come in molte
religioniorientaliqualiquelle
vediche,
induistiche
e
buddhistiche, oppure è una
sua emanazione come nella
filosofianeoplatonica.Perchi
ad esempio considera quella
di Plotino una filosofia
emanazionistica, il cosmo e
ogni altra entità procedono
spontaneamente
dall’Uno
(l’unità perfetta, semplice e
infinita), sono cioè una sua
emanazione e quindi una
forma
di
panteismo
acosmistico;33 infatti, «l’Uno
ètuttelecoseenonènessuna
di esse».34 Può definirsi
panteismo
spiritualistico
anchequellodialcunifilosofi
idealisti per i quali lo Spirito
(Geist), come infinita attività
creatrice,èDiocheoperanel
mondo.
Secondo il panteismo
sostanzialistico o spinoziano,
invece, Dio e il mondo sono
riconducibiliaunamedesima
essenza. Per Baruch Spinoza
l’unica sostanza è Dio, a cui
perciò
appartengono
necessariamente tutte le cose
esistenti: «Nella natura delle
cose non c’è niente di
contingente, ma tutte le cose
sono
determinate
dalla
necessitàdelladivinanaturaa
esistereeaoperareinqualche
modo. Tutto ciò che è, è in
Dio;Diononsipuòdirecosa
contingente».35 Sulla stessa
strada del celebre e chiaro
assunto Deus sive Natura
(Dio ossia la Natura) si
porranno poi molti filosofi
successivi ispirati dallo
spinozismo.
Nel
panteismo
immanentistico
o
naturalistico il divino è di
fatto ridotto a una speciale
forma di energia o di
finalismo all’interno della
materia ed è per questo
comprensibile
che
sia
propugnato da molti uomini
di scienza, tra i quali si
possono collocare anche
alcuni
sostenitori
del
cosiddetto
principio
antropico. La sua più antica
fonte può essere fatta risalire
alla filosofia stoica, nella
quale Dio e il mondo
sembrano pressoché la stessa
cosa: «“Cosmo” ha per gli
stoici un triplice significato:
primo, Dio stesso la cui
singola qualità è identica a
quella di tutta la sostanza
dell’universo; egli è perciò
incorruttibile e ingenerato,
creatore
dell’ordine
universale, che […] assorbe
in sé tutt’intera la sostanza
dell’universo e a sua volta la
generadasé».36
Il panenteismo è infine
una forma molto peculiare di
panteismo,collocabileforsea
metà strada tra quello
naturalistico
e
quello
spinoziano; mentre qualche
suo esponente è giunto
addirittura a riconoscere al
divino così concepito una
natura «personale». Del resto
la parola «panenteismo»
etimologicamente significa
«tutto in Dio» (dal greco πάν
[pan]=«tutto»,ἐν[en]=«in»
e ϑεóς [théos] = Dio). In
questa dottrina il mondo è
come incastonato nell’essere
stessodiDio:essiprocedono
insieme,
si
sviluppano
insieme, perché il divino non
è immutabile, bensì in
evoluzione(Deusevolutor).37
Unesempiodipanteismodel
processo lo troviamo in
Alfred North Whitehead
(1861-1947),
pensatore
particolarmente impegnato
nel campo della logica
matematica e della filosofia
della scienza, il quale in una
dellesueoperepiùimportanti
afferma: «È vero sia che il
mondo è immanente in Dio,
sia che Dio è immanente nel
mondo. È vero sia che Dio
trascendeilmondo,siacheil
mondotrascendeDio.Èvero
siacheDiocreailmondo,sia
che il mondo crea Dio»38.
Come ha poi spiegato alcuni
anni dopo, pensava «che
l’universo avesse un lato che
è intellettivo e permanente,
che è quel primo sforzo
concettuale che si chiama la
natura primordiale di Dio.
[…] D’altra parte tale realtà
permanente si trasforma ed è
immanente
nell’aspetto
mutevole».39 Questa visione
del divino come processo
connesso con quello della
natura,dalqualesigeneranel
cosmo una specie di polarità
traDioemondo,apparteneva
probabilmente anche ad
AlbertEinstein.
Queste
quattro
manifestazioni panteistiche
sono tutte caratterizzate dalla
risoluzione della pluralità dei
fenomeni naturali o delle
forme divine nel monismo,
del molteplice nell’Uno;
difatti,«perchépossaparlarsi
di
panteismo
debbono
sussistere quelle condizioni
mentalie/oteologichepercui
le eventuali, molte divinità
cosmiche risultino sempre e
comunque riconducibili alla
Divinità
Una».40
In
definitiva, ogni forma di
panteismo è una concezione
antidualistica,
con
due
variabiliprincipali:oilTutto
siidentificaconlospiritoela
natura risulta una sua
manifestazione, oppure il
Tuttosiriduceallanaturaelo
spirito diventa un suo
epifenomeno.
Come si può notare le
ideesuDiodeifilosofi,anche
se sono tutte riconducibili ad
alcuni filoni fondamentali,
risultano perlomeno plurime
o plurali. Tuttavia la nozione
di Dio o del divino ha avuto
sicuramenteorigineinambito
religioso. Sulla provenienza
religiosa del nostro concetto
diDioomegliodi«divinità»
sonod’accordotuttiglistorici
della religione e quasi tutti i
filosofi. Étienne Gilson
(1884-1978) in particolare,
polemizzandoconunfilologo
e storico della filosofia del
calibrodiJohnBurnet(18631928)41, ha sostenuto che
«poche parole hanno una
connotazionepiùchiaramente
religiosa
della
parola
“dio”».42
Maunavoltaammessala
provenienza della nozione di
Dio dalla religione, occorre
contestualmente riconoscere
che all’interno delle svariate
forme della religiosità umana
l’idea del divino assume
connotazioni non univoche,
se non financo divaricanti.
«Quando diciamo che Dio è
l’oggetto
dell’esperienza
religiosavissuta–hascrittoil
fenomenologo delle religioni
Gerardus van der Leeuw
(1890-1950) – dobbiamo
tener presente che “Dio” è
spesso una nozione assai
poco precisa».43 È però la
dimensione del sacro inteso
come
«alterità
soprannaturale» o come
«realtà ulteriore» rispetto a
quellanaturaledegliuominia
prevalere; dimensione che
esprime
il
senso
di
incompiutezza,
di
transitorietà, di finitudine
tipicodellacondizioneumana
ditutteleepochestoricheedi
tutte le regioni geografiche.
Sicuramente da qui inizia il
processo
che
conduce
successivamente a concepire
lapresenzadiunoopiùesseri
trascendenti o di una
dimensione
fondamentale
assoluta da cui l’universo
dipende e in cui gli esseri
umani possono trovare un
significato per la loro
esistenza.
La
credenza
religiosa tenta di rispondere
al nostro bisogno di senso
globale e lo fa con una
struttura verticale, che divide
prima la realtà in sacro e
profano e poi in un secondo
tempo in assoluto e
contingente, per cercare
sempre alla fine un punto di
raccordotraloro,unaviaper
superare la dimensione della
mutevole contingenza verso
l’Incondizionato.
Guardando alla storia
delle religioni, notiamo nelle
credenzeorientalilatendenza
a esaurire o dissolvere
progressivamenteilmomento
contingente e fenomenico
nella
realtà
assoluta
fondamentale. Infatti, pur
nella sua varietà di dottrine,
l’induismo e la tradizione
vedica individuano nel
concettocentraledi Brahman
(l’Assoluto) il principio e il
fondamento trascendente del
mutevole divenire delle cose,
alqualecorrispondelafigura
di una sorta di demiurgo
posto all’apice del pantheon
induista e chiamato Brahma.
Nell’induismo,comeperaltro
nelbuddhismo,ricorrepurela
nozione di Dharma, che
esprime l’ordine eterno, la
rettitudine, la legge: tutti
elementi
questi
che
presiedono
all’armonia
cosmica e alla struttura
dell’universo, ma soprattutto
attribuiscono
senso
all’esistenza degli uomini e
dellecose.
Più difficile per gli
occidentali rintracciare nella
dottrina del Buddha un’idea
precisa del divino, tanto che
possiamo registrare tra gli
studiosi opinioni discordanti:
c’è chi la definisce un
«ateismo religioso»44 e chi
una forma di ideologia eticopolitica. Certamente nel
buddhismo non c’è traccia di
un dio personale e di un
principio assoluto che gli
assomigli, ma lo spazio del
divino sussiste ed è totale,
onnicomprensivo,
perché
racchiude
ogni
realtà
esistente, ossia il Tutto.
Anche l’essere umano fa
parte di questo Tutto, come
delrestoilmondo;einquesta
unità che assorbe qualsiasi
singola identità perdono
valore e non sono applicabili
le classiche dicotomie di
immanenza-trascendenza e di
naturale-soprannaturale,
perché il Tutto è al tempo
stesso
immanentetrascendente,
naturalesoprannaturale. Non a caso il
dalai lama Tenzin Gyatso,
trattando del rapporto tra
l’insegnamentobuddhistache
invita
a
superare
l’individualità, ovvero a
sbarazzarsidel«Sé»,eilDio
personale del monoteismo
occidentale ha concluso: «Se
Dio viene considerato una
realtà o una verità definitiva,
alloralamancanzadiidentità
può essere considerata come
Dio».45 Ciononostante, la
religione buddhista riconosce
un gran numero di divinità,
consentendone l’adorazione,
e questo impedisce di
ritenerla a tutti gli effetti una
credenzaatea.
Decisamente più facile
per noi è invece definire il
percorso verso l’assoluto
nelle tre grandi religioni
monoteistiche:
ebraismo,
cristianesimo,
islamismo.
Siamo infatti qui al cospetto
di un Dio unico e
trascendente,creatoreditutte
le cose, di natura personale e
latore di una Rivelazione;
quindi chiaramente distinto
dal mondo da lui creato, ma
profondamente interessato a
esso e in particolare a quel
vivente fatto a sua immagine
e somiglianza che è l’essere
umano. Un altro importante
elementocomunealletrefedi
monoteiste è il fatto di dirsi
fondate su sacre scritture
direttamente rivelate. Il
particolare rapporto di Dio
congliuominiassumecosìla
veste e il vigore di quella
facoltà della specie umana
che la distingue nettamente
dagli altri esseri viventi: il
linguaggio. La parola divina
secondo gli ebrei viene
tramandata dai profeti, che
parlano come fossero la
«bocca di Dio», e ha il suo
centro nella Torah, la legge
mosaica. Per i cristiani il
verbo divino, oltre che nella
tradizione
profetica
e
scritturistica
ebraica,
è
presente
nell’annuncio
evangelico, nella Buona
Novella che Dio stesso,
incarnatosiinGesùCristo,ha
comunicatoaidiscepolieche
poi è stata tramandata nel
Nuovo Testamento. Per i
musulmani la rivelazione
proviene direttamente da
Allahedèstatacomunicataa
Maometto (570 ca-632), loro
sommo profeta e fondatore
religioso, tramite l’angelo
Gabriele e infine depositata
nelCorano.
In conclusione, sotto
l’apparente eterogeneità delle
dottrine religiose d’Oriente e
d’Occidente, sotto il velo di
un concetto non univoco di
Dio che proviene da queste
duegranditradizionireligiose
risiede
una
medesima
propensione: attribuire un
senso unitario ed eterno al
mondo e fornire una
rappresentazione
non
ordinaria
o
non
«naturalistica» del destino
umano. La via scelta in
Oriente per rispondere a tale
scopo è quella monista; un
monismo a carattere non
riduzionista, bensì olistico: il
tuttoèsemprequalcosadipiù
dellasommadellesuepartie
non si può mai ridurre
totalmente a esse. Le tre
religionimonoteistichehanno
invece preferito la strada del
dualismo, che le ha condotte
adistinguerelanaturadiDio
da quella delle cose da lui
create, ma non a fare di tale
distinzione un ostacolo
all’azione del divino nel
cosmo,comepretendeinvece
ildeismo,esoprattuttoanon
trasformarla in fattore di
completaincomunicabilitàtra
l’umanoeildivino.
3.L’ateismoclassico
Abbiamo detto che l’ateo
è colui che nega, rifiuta o
pensadipoterfareamenodi
Dio. Dopo aver però
verificato i tanti e diversi
significatiriferitieriferibilial
termine
«Dio»,
viene
spontaneo chiedersi quale sia
la nozione prevalente di ente
divino a cui si contrappone
l’ateismo
teoretico.
Potremmo
cavarcela
facilmente dicendo che gli
atei negano qualsiasi idea di
divinità o del divino, ma
sarebbe una soluzione tanto
banale quanto vaga. Ci pare
invece più corretto assumere
un atteggiamento simile a
quello che il filosofo tedesco
Wilhelm Weischedel (19051975) ha utilizzato per
delineare il concetto di ϑεός
nel momento in cui si è
trovato di fronte al fatto che,
non appena si cerca una
definizione univoca, «ci si
imbatte in una confusione di
nozioni differenti, se non
spesso opposte» per la
sempliceragionechecomesi
è spiegato «nel corso della
Storiataleterminehaassunto
una
molteplicità
di
significati». Egli si è così
rassegnato a «lasciare un
posto vuoto»46, a non
formulare
cioè
una
definizione preventiva della
parola «Dio», ma a
connotarla di volta in volta
sulla base del contesto e del
periodo storico in cui viene
concretamenteutilizzata.Allo
stesso modo noi possiamo
attribuire un’identità all’ateo
riferendoci
all’ambiente
storico-culturaleincuieglisi
trova o si è trovato inserito,
quindi all’idea storicamente
determinata di Dio da lui
negata, riconoscendo in tale
maniera
il
carattere
relazionale o referenziale
della nozione di «ateismo»,
ossia che essa si struttura in
rapporto all’idea del divino a
cui si contrappone e con
riferimento specifico a una
tipologia storico-teoretica di
noncredenti.
Applicando il criterio
della
contestualizzazione
storico-culturale, possiamo
facilmentecomprenderecome
nell’alveo delle religioni
orientali l’ateo sia da sempre
colui che rifiuta un culto e
unadottrinareligiosapiùche
una nozione teoretica di Dio,
cheineffettiquinonsussiste;
sia insomma colui che nella
cultura
occidentale
si
definirebbe
un
«miscredente». Diverso è
inveceilcasodell’Occidente,
dove a partire dall’antica
Grecia è iniziata una
riflessione razionale sul
concettodidivinitàodiEnte
supremo.Peraltrolenotiziea
noipervenutesull’ateismonel
mondo greco ci dicono che
venivano considerati «empi»
coloro che osavano negare
l’esistenza degli dei o
comunque rifiutare il culto
della religione olimpica e le
tradizioni che orbitavano
intorno a essa. Il filosofo
Anassagora di Clazomene
(500-428 a.C. ca) per
esempio, dal momento che
dal 432 a.C. (o secondo
alcuni dal 438 a.C.) un
decreto proposto da un
indovino di nome Diopite
consentiva il deferimento a
giudizio con procedura
d’urgenzadi«colorochenon
credevano negli dei o
insegnavano dottrine sui
fenomeni celesti»47, fu
accusato in Atene di empietà
(ἀσέβεια – asébeia) dagli
avversari di Pericle (495-429
a.C.), suo allievo e protettore
politico. Si trattava di
un’accusapiuttostogenericae
quindi
di
estensione
potenzialmente ampia; essa
veniva formulata contro
coloro che non praticavano o
insegnavano a non praticare
lareligionericonosciutadallo
Stato
oppure
che
promulgavano
strane
concezioni sui fenomeni
astronomici (per esempio «Il
Sole
è
una
massa
incandescente»).48 In breve,
contro chi non si dimostrava
sufficientemente rispettoso
verso le divinità pubbliche o
le
tradizioni
religiose
unanimemente riconosciute.
In realtà non si può dire se
Anassagora abbia negato o
menol’esistenzadiDioodel
divinocomeliintendiamonoi
oggi, anche perché «non
possedeva
il
concetto
dell’immateriale così come
nonpossedevailconcettodel
materiale», non fosse altro
per il fatto che «l’orizzonte
speculativo dei Presocratici
ignora le due categorie di
materiaespirito».49
Unaltronotopersonaggio
attivo ad Atene nel periodo
pericleo e verso il quale
venne
formulata
l’imputazionediempietàfuil
sofista Protagora di Abdera
(486-411 a.C. ca). Questi
peròpiùcheunateodovrebbe
essere
considerato
un
agnostico,seèverochenella
suaoperaintitolataSuglideie
andata perduta avrebbe
scritto: «Riguardo agli dei,
non sono in grado di sapere
néchesononéchenonsono,
né che natura abbiano: molti
infatti sono i fattori che
impediscono di saperlo, sia
l’oscurità della questione sia
la brevità della vita
umana»50. Si spinse invece
ben oltre il quasi coetaneo
Euripide (480-406 a.C.) in
una tragedia in gran parte
perduta (ne restano infatti
solo 90 versi) intitolata
Bellerofonte, facendo in essa
porre in dubbio tanto la
credenza positiva nel divino
quanto l’esistenza degli dei:
«Chi può affermare che
esistonodeilassù?Nonvene
sono,no,nonvenesono!».51
In maniera pressoché
analoga
a
quella
di
AnassagoraediProtagora,fu
accusato di asébeia anche
Socrate,inquanto«colpevole
–secondolatestimonianzadi
Senofonte(430/425-355a.C.)
– di non credere negli dei in
cui la città crede»52. Questa
affermazione sembrerebbe
dipingerlo ai nostri occhi
come un ateo, specie se la si
collega a quanto Platone
(427-347 a.C.) nella sua
Apologia
fa
sostenere
all’accusatore Meleto: «Dico
questo: che tu [Socrate]
assolutamentenoncredinegli
dei»53. Senofonte aggiunge
che a Socrate sarebbe stato
inoltre contestato il reato di
«introdurre altre nuove
divinità»54,motivoinbaseal
quale lo stesso maestro
ateniese nel citato dialogo
platonicoavrebbeevidenziato
come l’accusa nei suoi
confronti
risultasse
contraddittoria, dal momento
che di fatto suonava così:
«Socrate ha la colpa di non
credereneglidei[quellidello
Stato ateniese], ma anche di
credere negli dei [le sue
nuove
e
personali
divinità]»55.
Èevidentecometuttociò
noncorrispondapernullaalla
nostra
attuale
nozione
correntediateismo.L’ideadi
empietà degli antichi greci è
bendiversadaquellaodierna
di ateismo, perché non
implica la negazione tout
court di Dio o del divino; e
sotto questo profilo perfino i
pensatori atomisti come
Democrito (460-360 a.C.) ed
Epicuro, classificabili con
linguaggio moderno tra i
«materialisti», non possono
dirsi stricto sensu atei: non
rifiutavano
infatti
espressamente la presenza
degli dei, anche se magari li
concepivano come fatti di
atomi alla stregua di tutte le
altre cose. Marco Tullio
Cicerone (106-43 a.C.), ad
esempio,
testimonia
chiaramente che Epicuro «è
convinto che gli dei esistano,
perché deve necessariamente
esistere una natura eccellente
a cui nulla è superiore»; ma
siccome«nullaèsuperioreal
mondo
[…],
questo
ragionamento porta alla
conclusione che il mondo è
dio»,56
cosa
che
–
aggiungiamo noi – ricorda
tanto
una
posizione
panteista57.
Comunque
sia,
gli
epicurei respingevano gli
aspettinegatividellareligione
per salvaguardare la libertà e
la dignità umane, come deve
aver fatto anche Filodemo di
Gadara (110-35 a.C. ca),
divulgatore dell’epicureismo
inItaliaapartiredal75a.C.e
amico
di
uomini
dell’entourage di Cesare.
Ancor più dura nei confronti
della religione e dei mali
prodotti dalla superstizione
religiosa fu la versione
dell’epicureismo di Tito
Lucrezio Caro (98-55 a.C.
ca): Tantum religio – si dice
nel De rerum natura a
proposito del sacrificio
umanodellamiticaIfigenia–
potuit suadere malorum (a
tali mali poté indurre la
religione).58 Tuttavia una
negazione
esplicita
dell’esistenza degli dei non
viene avanzata neppure da
lui;ementreesaltailmaestro
Epicuroperlasualottacontro
la paura delle divinità
olimpiche,silimitaaribadire
che esse non hanno creato il
mondo e si disinteressano
della condizione umana.59
Nemmeno la dottrina del
cinismofilosoficosipuòdire
per principio atea, anche se
certamente è contraria alla
superstizione che genera un
timore sconsiderato per il
divino e compromette la
piena libertà umana o
l’autarchia dell’uomo saggio.
Così pare la pensasse
Diogene di Sinope (412-323
a.C. ca), uno degli iniziatori
della scuola cinica, che
mettevainguardiadallefalse
credenzesuglidei,manonne
negava
apertamente
l’esistenza: «Tutto appartiene
agli dei […]. Andava
gridando
[Diogene]
ripetutamente che gli dei
hanno concesso agli uomini
facilimezzidivita,maanche
tuttavia li hanno tolti dalla
vistaumana».60
Sulle difficoltà razionali
di accettare l’esistenza degli
deisisonopronunciatianche
gliscettici,almenoastarealla
testimonianza
di
Sesto
Empirico (180-220 d.C. ca)
che ricorda come Carneade
(214-129 a.C.) e altri della
scuola scettica avessero
sviluppato
un’argomentazione logica di
questo genere: «Se davvero
gli dei esistono, essi sono
esseri viventi e […] si potrà
sostenerecheancheDioèun
vivente qualsiasi. […] Ma se
le cose stanno così, egli è
corruttibile. Di conseguenza,
se davvero esistono dei,
questi sono corruttibili.
Perciò
gli
dei
non
esistono».61 Ci imbattiamo
qui in qualcosa di simile a
quello che Antonio Rosmini
Serbati (1797-1855) ha
definitoil«sofismadell’ateo»
echesarebbecosìstrutturato:
Glideiseesistonodevono
averelevirtù[tipicamente
umane];
Ma non possono avere le
virtùumane;
Dunque:nonesistono.62
Come
nel
caso
dell’argomento di Carneade,
la
falsità
di
questo
ragionamentorisiedenelfatto
che si vuole attribuire
necessariamenteaDio(oagli
dei) delle caratteristiche
umane o simili a quelle
umane, mentre non si vuole
«confessare di ignorare quale
sia la virtù propria della
divinità».63
Il
cinismo
pirroniano fondato sull’ἐποχή
(epoché), sulla sospensione
del giudizio, è tuttavia più
vicino all’agnosticismo che
all’ateismo,
ossia
alla
posizione di chi ritiene che
non si possa né affermare né
negare l’esistenza di Dio:
«Non si può comprendere se
la
divinità
esista».64
D’altronde davanti alle
credenze religiose, perfino
uno
scettico
moderno
dichiaratamente
non
pirronianocomeDavidHume
(1711-1776) concludeva da
agnostico la sua Storia
naturale della religione:
«Tutto è ignoto: un enigma,
un inesplicabile mistero.
Dubbio,
incertezza,
sospensione del giudizio
appaiono l’unico risultato
della nostra più accurata
indagineinproposito».65
In ultima analisi, resta
incerta la presenza in Grecia
di pensatori integralmente
«atei» secondo il senso
moderno del termine. È
probabile che se in quel
tempo degli atei dichiarati ci
sono effettivamente stati, si
sia trattato comunque di
pochi casi; e a ogni modo le
nostre fonti sono talmente
scarse che non possiamo
spingerci
oltre
questa
sommaria valutazione.66 A
questo giudizio si può forse
fare
qualche
modesta
eccezioneperinomidifigure
tradizionalmente annoverate
nelle storie dell’ateismo e
definiti già in antico ἄϑεοι
(atheoi), di cui ci parla
espressamente
Sesto
Empirico.
Essi
sono:
Evemero di Messina (340260a.C.ca),DiagoradiMelo
(465-410 a.C. ca), Prodico di
Ceo (460-380 a.C. ca),
Teodoro di Cirene (340-250
a.C. ca) e Crizia il Giovane
(460-403a.C.).67
Mentre di Evemero si
dice che reputasse gli dei
uomini deificati, il sofista
Prodico avrebbe invece
ricondotto il culto delle
divinità a scopi utilitaristici,
ossia«perilvantaggiochene
traevano»
gli
umani
personificando tutte le cose
(«Sole e Luna e fiume e
fonti»)68 al fine di dominare
la natura. Crizia, un altro
sofista, sosteneva a sua volta
che l’idea di un dio che tutto
vede e punisce fosse
un’invenzione politica degli
«antichi legislatori […]
affinché nessuno di nascosto
commettesse ingiustizia».69
Teodoro fu apertamente
soprannominato «l’Ateo» e
tra i componenti della scuola
cirenaica greca è stato
indicato come colui che
«eliminò radicalmente le
comunicredenzeneglidei».70
Notizia
quest’ultima
confermata
anche
da
Cicerone ed estesa pure al
poeta Diagora di Melo,
poiché entrambi «ritennero
che gli dei non esistono per
niente»
e
«negarono
apertamente
la
natura
divina».71PerTeodoro,come
per Diagora, tutti i discorsi
sulla divinità sono dunque
chiacchiere inutili e fondate
sulnulla.Pareinoltrecheegli
si sia sbilanciato nella
direzione del relativismo
etico, per cui il saggio in
assenza degli dei poteva fare
al momento opportuno tutto
quello che riteneva: perfino
rubare,dichiarareilfalso,non
rispettare i doveri verso la
patria e quant’altro ancora (è
la cosiddetta ἀναίδεια anáideia, la sfrontata libertà
cinica). D’altronde il fine
etico dell’uomo per Teodoro
non risiedeva tanto nel
piacere immediato, quanto in
uno stato d’animo di
piacevolezzaodi«gioia»che
si può appunto raggiungere
soltantoconlasaggezza.
Che in epoca grecoromanalanozionediateismo
fosse piuttosto diversa dalla
nostralodimostralacondotta
tenuta dai romani nei
confronti dei primi cristiani,
reputati atei in quanto non
seguivano il culto degli dei
pagani e non facevano
sacrifici
all’imperatore.
Qualcosadianalogodevedel
resto essere accaduto per i
giudei, se è vera la
testimonianza dello storico
FlavioGiuseppe(37-100d.C.
ca) secondo cui sarebbero
stati considerati «atei e
misantropi» dai pagani.72
Contro l’accusa di ateismo
rivolta ai credenti in Cristo
sentì il dovere di difendersi
con vigore un padre
apologista della Chiesa come
Giustino (100-165 d.C.), il
qualesedaunlatononaveva
difficoltà ad ammettere che i
cristiani «sono atei rispetto a
queste sedicenti divinità»
pagane, dall’altro negava che
potesserodirsitali«rispettoal
Dio della somma verità» e
concludeva: «Pertanto non
siamoatei,datocheadoriamo
ilCreatorediquestouniverso,
di cui diciamo, secondo quel
che ci è stato insegnato, che
non ha bisogno né di sangue
sacrificale,nédilibagioni,né
diincensi».73
Per altro anche nella
filosofia contemporanea è
tornata l’idea di un
cristianesimo permeato da un
certo tipo di ateismo e in
particolare ciò si è verificato
col pensatore filomarxista
ErnstBloch,chehacompiuto
nella nostra epoca una sorta
di secolarizzazione della
speranza.Eglihainnanzitutto
rammentatocomecoltermine
atheoi «vennero per la prima
volta denominati i martiri
cristianiallacortediNerone»
e come il messaggio
evangelicoapraunpotenziale
percorso di liberazione dalla
oppressiva teocrazia del DioJahvè
dell’Antico
Testamento,mentrelaBuona
Novella
di
Gesù
si
caratterizzerebbe come una
«mossacontrariaaltimoredi
Dio».Pertanto,«solounateo
puòessereunbuoncristianoe
anche solo un cristiano può
essere un buon ateo», perché
solamente
negando
la
concezione jahvista della
divinità «il figlio dell’uomo»
ha potuto dirsi «identico a
Dio».74
Se l’ebreo Filone di
Alessandria (20/10 a.C-45/50
d.C. ca) considerava atei i
pagani,75 alcuni dei primi
cristiani considereranno atei
tantoipaganiquantoigiudei
perché entrambi rifiutavano
CristoqualefigliodiDio:
Atei – scrive il Padre
della Chiesa Clemente
Alessandrino (150-215
d.C. ca) – giustamente io
chiamo costoro che non
hanno conosciuto Colui
cheèveramenteDio[…].
Duplice è la forma di
ateismo di cui essi sono
affetti,
la
prima
consistente nel fatto che
ignorano Dio, in quanto
non riconoscono come
Dio quegli che è
veramente Dio; l’altra, la
seconda, di credere che
esistano coloro che non
esistonoedichiamaredei
questi […] che non sono
chesemplicinomi.76
Secondo Clemente sono
perciòdapreferireaipaganie
agli ebrei gli atei come
«Evemero di Agrigento e
NicanorediCiproeDiagorae
Ippone,tuttieduediMelo,e
inoltre quello di Cirene
chiamato Teodoro [l’Ateo]»,
perché hanno smascherato le
falsedivinitàsiagrechesiadi
ogni altra parte della Terra,
mentre non hanno potuto
rifiutareCristoinquantonon
l’hanno conosciuto: «Essi, è
vero,nonhannoconosciutola
verità stessa [Gesù Cristo],
ma almeno hanno sospettato
l’errore, il che non è piccola
scintilladisaggezza,laquale
cresce, come seme, verso la
verità».77
Sebbene nel corso del
Medioevo l’ateismo sembri
quasi scomparso o venga al
più relegato tra le ipotesi
logiche per assurdo, perché
secondo Giovanni Duns
Scoto (1266-1308) della non
esistenza di Dio si può
trattare
solo
«per
impossibile»,78 in effetti il
fenomenonellarealtàdoveva
permanere quantomeno sotto
traccia. Ce lo conferma
indirettamente
Anselmo
d’Aosta(1033-1109),quando
nel suo famoso Proslogion
(1077-1078) tira in ballo
qualesuointerlocutorecritico
un’insipiente
che
nega
l’esistenza di Dio: «Ora –
scriveilteologoaostano–noi
crediamo che tu [Dio] sia
qualcosa di cui non si possa
pensarenulladipiùgrande.O
forsenonvièunatalenatura,
perché disse l’insipiente in
cuor suo: Dio non esiste?
[Dixitinsipiensincordesuo:
non est deus]».79 E qualcuno
ha voluto intravedere tanto
nella ricerca anselmiana di
una prova inconfutabile
dell’esistenza di Dio, di «un
unico argomento [unum
argumentum] che si provasse
da se stesso»80 e quindi
logicamenteincontrovertibile,
il segno di una insicurezza
forse
determinata
dal
permanere
dell’insidiosa
presenza degli atei.81 Noi
invece preferiamo pensare
che certamente il rifiuto di
Dio, in questo caso di quello
cristiano, non fosse certo
totalmente sparito, cosa
questa impensabile per
qualsiasi epoca storica, ma
risultasse piuttosto confinato
adalcuniintellettuali,sultipo
di
quelli
che
poi
frequenteranno la corte di
Federico II di Svevia (11941250) in Sicilia. Come ha
infatti acutamente rilevato lo
storico
francese
Jean
Delumeau trattando della
controversa questione sul
successo o il fallimento della
cristianità medievale, dopo
l’anno1000sièverificatoun
«disimpegno progressivo di
un’élite cristiana»82 e quindi
una crescente laicizzazione
degli stessi teologi e uomini
di cultura cristiani del
Medioevo.
4.L’ateismomoderno
Dalle nuove riflessioni
teologico-filosofico
degli
intellettuali
cattolici
medievali prenderanno forma
prima il Rinascimento e poi
l’epocamodernaconifilosofi
razionalisti ed empiristi
seicenteschi, la rivoluzione
scientifica e infine la grande
stagione dell’Illuminismo. È
in questi movimenti culturali
che si collocano la fine
dell’ateismo
classico
e
l’origine
del
concetto
moderno di ateismo, quello a
cui noi qui facciamo
riferimento e nel quale si
riconosce normalmente chi
oggisiproclamaateo.Gliatei
delnostrotemposonocoloro
che innanzitutto rifiutano
l’idea ebraico-cristiana di
Dio, vale a dire di una
divinità
creatrice
e
provvidente, e in seconda
battuta il teismo sotto
qualsiasiforma.Illororifiuto
tuttavia non si ferma qui, ma
si estende anche al Dio dei
deisti,ossiaallafiguradivina
di un Grande Architetto o di
un Orologiaio cosmico che
avrebbe se non creato,
quantomeno progettato e
messo in moto l’universo,
mentre una certa tolleranza
viene riservata al panteismo,
perlomeno nella sua versione
non
spiritualista
o
emanazionistica.
Sel’ateismoclassiconelle
sue
manifestazioni
più
radicali
non
accettava
l’esistenza
di
Dio
essenzialmente per motivi
cosmologici o di filosofia
della natura, in quanto
concepiva il cosmo o come
autosussistente (i filosofi
naturalisti e gli atomisti)
oppure come coincidente col
divino (gli stoici), l’ateismo
modernonegaDiopermotivi
prevalentemente
antropologici o umanistici,
vale a dire per una
concezione
autarchica
dell’uomo, in special modo
della sua ragione e della sua
libertà. Prima con la svolta
razionalistica
di
René
Descartes (1596-1650) e poi
successivamente con la
rivoluzione copernicana di
Immanuel Kant si afferma
infatti
una
concezione
filosofica dell’essere umano
che da un lato esalta le sue
facoltà razionali fino a
renderlo autonomo da Dio o
comunque in grado di vivere
come se non ci fosse (etsi
Deus non daretur)83 e
dall’altro pone dei limiti alla
capacità della ragione di
conoscere con certezza
l’esistenza del trascendente,
di ciò che va oltre
l’esperienzapossibile.
Dal punto di vista
filosofico l’ateo moderno è
pertanto colui che nega
l’esistenza di un Ente
trascendente quale origine e
fondamento di tutto quanto
esiste, che crede nella sola
esistenza del nostro mondo,
dove gli uomini sono esseri
finiti come tutti gli altri
viventi, ma che possono
gestire in assoluta autonomia
buona parte del loro destino.
La migliore definizione
dell’ateismo nel solco della
filosofia occidentale ce l’ha
ancora una volta tramandata
Étienne Gilson, il quale ha
chiarito
che
l’ateo
propriamente detto deve
negare un concetto di Dio
inteso
come
«ente
trascendente, vale a dire un
essere
che
esiste
indipendentemente» da noi e
dal mondo, come «ente
necessario, tale che dopo
averlo trovato non se ne
debba cercare la causa»
essendo la prima «causa di
tutto quanto esiste».84 È qui
esplicito il riferimento a una
nozione monoteistica di Dio
tipica
della
filosofia
aristotelico-cristiana e in
particolaretomista.
Da un’altra ottica il
filosofo di origini russe e
importante
studioso
dell’hegelismo
Alexandre
Kojève (1902-1968), dopo
aver precisato che non basta
dire che l’ateismo è la
negazione di Dio senza
chiarire«qualeDioneghiamo
e che tipo di negazione è la
nostra»85,
ha
proposto
un’interpretazione filosofica
dell’ateismo quale rifiuto di
una divinità concepita come
«un qualcosa d’altro» dal
mondo e «dall’uomo nel
mondo»,86ocomunquediciò
che appartiene alla realtà
mondana: «Dio è qualcosa e
questo qualcosa è, esiste, ma
in modo suo peculiare,
diverso dagli altri qualcosa
[le entità mondane], ed è
proprio questo suo “essere”
chel’ateononconosce»87.In
una simile prospettiva, il
deista e il teista sono coloro
chepropugnanol’esistenzadi
un «qualcosa d’altro» oltre il
mondo e l’uomo, i panteisti
quelli che pensano a una
identità tra il qualcosa che è
la natura e il «qualcosa
d’altro»cheèDio,mentregli
ateiaffermanochenonesiste
niente al di fuori degli esseri
mondani così come li
conosciamo
nella
loro
dimensione
naturale
e
contingente, quindi negano
«che Dio sia qualcosa di
diversodalnulla».88
Ma a questo punto
l’ateismo, se non vuole
risolversi nel puro nichilismo
(evento
che
Kojève
respingeva), deve meglio
precisare il principio e il
fondamento
degli
enti
mondani; in breve, deve
spiegare
da
dove
scaturiscono,dichecosasono
fatti e qual è il loro esito
finale. Le ragioni addotte per
rifiutare Dio da parte degli
atei sono state molteplici e
talvolta degne della più
strabiliante creatività della
mente umana: per alcuni è
una mera proiezione della
vera essenza dell’uomo
(Feuerbach); per altri è il
prodottodiunasovrastruttura
di potere e l’oppio per gli
oppressi (Marx ed Engels);
perqualcunoèunconcettoin
contraddizione con la libera
capacità umana di progettare
la propria esistenza (Sartre);
per qualcun altro è un nonsenso
linguistico
(i
neopositivisti);
e
probabilmente per tutti è
semplicemente inconcepibile
di fronte allo scandalo della
sofferenza degli innocenti e
ingeneraledellapresenzadel
male nel mondo. Ma
qualunque sia il motivo o
l’argomento con cui si
respingel’esistenzadiDio,si
devono comunque affrontare
gli interrogativi metafisici
sulla struttura ontologica
della realtà e sull’origine di
tuttoquantoesiste.
Inrispostaataliquestioni
metafisiche viene di solito
posto in primo piano dagli
ateimoderniun«principiodi
immanenza» per cui ogni
spiegazione o giustificazione
va cercata all’interno del
mondo stesso così come lo
conosciamo e giammai fuori
di esso. Nell’ambito del
principio di immanenza
coniugato
nella
forma
dell’ateismo,
nella
maggioranza dei casi ci si
imbatte in un monismo
materialistico, ossia in una
filosofia
radicalmente
materialistica, oppure in una
concezione scientifica che fa
della materia in senso fisico
l’unica realtà esistente. Ciò
vuol dire che tutto ciò che
esiste nel cosmo è fatto
esclusivamente di materia e
inoltre
esiste
necessariamente, perché la
materia non ha bisogno di
cause esterne per giustificare
la propria esistenza (è causa
sui) e neppure le occorrono
principi trascendenti per
spiegareilproprioessere,ma
si fonda da sé ossia è
autofondata. Allo stesso
modo il problema del senso
dellecose,quandononrisulta
apertamente ricusato in
quanto privo di significato o
di valore, viene ridotto dagli
atei al perenne divenire della
materia e al dispiegarsi delle
leggi naturali, all’interno
dellequaliognisingolouomo
deve ritagliarsi una propria
personale e immanente
«ragioneesistenziale».
Questa
diretta
connessione tra visione
materialistica del mondo e
ateismomodernovenneposta
in rilievo dal filosofo e
vescovo irlandese George
Berkeley (1685-1753), il
quale anche per tale motivo
scelse la via di una filosofia
anticipatrice dell’idealismo e
da
lui
definita
«immaterialista». Berkeley
infatti scrive: «La dottrina
della materia o sostanza
corporea è stata la principale
colonna,
il
principale
sostegno dello scetticismo,
ma sulle stesse fondamenta
sono stati innalzati in modo
analogo gli empi programmi
dell’ateismo
e
dell’irreligione». Tutti i
«sistemi
mostruosi»
dell’ateismo hanno dunque
per lui come pietra angolare
una teoria materialista che
esclude dalla realtà qualsiasi
ente
immateriale
o
trascendente, a iniziare
ovviamente da Dio. Per
confutare il materialismo
occorre
pertanto
contrapporgli una concezione
della realtà non materialista,
scalzando
così
dalle
fondamenta la non credenza,
percuiaquelpunto«nonsarà
più necessario considerare in
dettaglio le assurdità di ogni
disgraziatasettadiatei».89
La
nostra
attuale
conoscenza storica tanto del
materialismo
filosofico
quanto dell’ateismo nelle sue
diversemanifestazionienelle
diverse culture, ci consente
oggi
di
concludere
correttamente che se tutte le
concezioni
materialistiche
moderne implicano per
consequenzialità
logica
l’ateismo, non fosse altro
perché chi interpreta il reale
nell’ottica
della
pura
materialità o della sola fisica
della materia non ha certo
bisogno
di
ricorrere
all’ipotesiDio(èquellocheè
stato definito «ateismo di
conseguenza»)90,nontuttigli
atei
sono
tuttavia
necessariamente
dei
materialisti radicali, come
dimostranoperesempiocerte
filosofieorientaliqualequella
dellascuolainduistaSāṃkhya.
IltermineSāṃkhyaèsanscrito
e il suo significato letterale
equivale
a
«(sapere)
dell’enumerazione» riferito a
una scienza catalogatrice dei
principi cosmici e individuali
del reale. Gli appartenenti a
questa scuola filosoficoreligiosaseguonounadottrina
dualistica (esistono i Sé
spirituali o puruṣa e la
materia/natura o prākṛti) e
nonteistica.Sitrattapertanto
diunaposizioneateistica,ma
non irreligiosa e materialista.
La questione si presenta
ancora diversamente qualora
si faccia riferimento a certe
formeantichedimaterialismo
come quella dell’atomismo
greco: come accennato, tanto
Democrito quanto Epicuro
non negavano la presenza
deglidei,maliconsideravano
costituiti di atomi «più
sottili». In un panorama così
complesso,nelqualeastretto
rigore storico-critico non è
possibile ritenere sempre
coincidentilefiguredell’ateo
edelmaterialista,risultaforse
utile per mettere meglio a
fuocol’ateismomodernofare
ricorso a una descrizione
«insiemistica»,
ovvero
definendolo come l’insieme
di tutte le persone che non
credono nell’esistenza di Dio
o del divino o comunque di
entità, principi e dimensioni
meta-naturali, siano essi
trascendenti
(come
nel
deismo e nel teismo) o
immanenti
(come
nel
panteismo); quindi l’uomo è
solo con i limiti e le
potenzialità che gli sono
propripernatura.
Nella
nostra
epoca
dominatadallascienzaedalla
tecnologia, al paradigma
antropologico o umanistico
dell’ateismo si è aggiunto
quelloscientificooscientista.
Pur
mantenendo
l’impostazione di fondo
materialista,
ammantata
tutt’alpiùdiunanuovaforma
di
naturalismo
evoluzionistico,
col
paradigma scientista gli atei
teoricihannoritenutodipoter
dare una veste «scientifica»
alle loro tesi. Tuttavia,
l’ateismo di gran lunga
prevalente nell’attuale civiltà
secolarizzata resta quello
«pratico» e comunque in
generale
quello
dell’indifferenza
o
di
un’incredulità di fondo nei
confronti del problema
dell’esistenza di Dio e della
religione.Sucosarappresenti
la
secolarizzazione
nel
contesto dell’ateismo si è
discusso molto sia dal punto
di vista teologico sia dal
punto di vista sociologico.
Per un sociologo e al tempo
stesso
teologo
come
l’austriaco Peter Ludwig
Bergerèdaintendersicomeil
«processo attraverso il quale
settori della società e della
cultura diventano estranei al
dominiodelleistituzioniedei
simboli religiosi»91. Tale
processo, considerato sotto il
profilo
individuale,
si
presenta come uno stile di
vita delle persone che
neppure percepiscono il
bisogno di credere nella
presenza di un Ente
trascendente o di cercare il
proprio senso in una risposta
religiosa,
come
uno
spontaneo e abitudinario
distacco
dalle
grandi
questioni metafisiche ed
esistenziali (Chi siamo?
Perché
esistiamo?
Che
significato hanno la nostra
vita e l’universo? Perché c’è
l’essere piuttosto che il
nulla?).
L’ateismo pratico non ha
normalmente dietro di sé un
particolare approfondimento
delle motivazioni del rifiuto
di Dio e non si fonda
nemmeno
su
precise
argomentazioni razionali, ma
si caratterizza come un
atteggiamento individuale,
una forma di comportamento
quotidiano che esclude di
fatto l’idea stessa del divino,
«senzapreoccuparsidellasua
esistenza e organizzando la
propriavitaprivataepubblica
prescindendodall’esistenzadi
qualsiasi
Principio
assoluto»92. Per questo
talvolta viene anche definito
«apateismo», sincrasi di
«apatia» e «ateismo», per
segnalare come l’ateo pratico
si dimostri apatico nei
confrontidelproblemadiDio
e reputi irrilevante qualsiasi
discussione sull’esistenza del
divino o di un Creatore.
Come emblema di questo
mododiessereateièrimasta
celebre
un’osservazione
dell’illuminista
francese
Denis Diderot (1713-1784)
all’amicodeistaVoltaire,che
recita così: «È molto
importante non prendere la
cicuta per il prezzemolo, ma
nonloèaffattocredereinDio
o non crederci».93 Quello
dell’ateo pratico, secondo il
cattolico convertito André
Frossard (1915-1995), si può
definire «ateismo perfetto»
perché viene vissuto come
fosse uno stato del tutto
naturale, come una tranquilla
e scontata abitudine: «Mia
nonna era ebrea, mia madre
protestante, mio padre non
era battezzato. […] In casa
nostranonsisfioravaneppure
per sbaglio l’argomento
“religione”. […] Eravamo
degli atei perfetti, di quelli
che non si pongono più
interrogativi
sul
loro
ateismo».94
Per altro può succedere
chel’ateopraticosidichiarie
si ritenga ufficialmente un
credente, magari perché si
sposa in Chiesa e apprezza il
fascino di certe ricorrenze o
cerimoniereligiose,mentrein
effetti si comporta nella vita
quotidiana come un non
credente, visto che agisce e
pensa etsi Deus non daretur,
comeseDiononcifosse.Di
recente è poi entrata in auge
la stramba categoria dei
cosiddetti«ateidevoti»,ossia
dei laici non credenti che
tuttavia ritengono la ragione
moderna
strettamente
imparentata col cristianesimo
e vedono nella Chiesa una
difesa
dell’identità
dell’Occidente,
che
in
sostanza non credono in Dio,
ma fanno propri i valori
cristiani. Gli ultimi sviluppi
in Italia del cosiddetto
«pensiero debole» di Gianni
Vattimo sono una buona
esemplificazione di questo
fenomeno, dove una ragione
indebolitaingradosoltantodi
«credere
di
credere»
concepisce addirittura un
astratto «cristianesimo non
religioso», il quale a conti
fatti rappresenta un modo
pratico di negare non solo
l’esistenza di Dio, ma anche
qualsiasi discorso sensato sul
trascendente.95
L’individuo secolarizzato
è in definitiva un «uomo
pratico» che non dà ascolto
alle ideologie di nessun
genere, tantomeno a quelle
politiche, ma neppure alle
religioni e alle spiegazioni
metafisiche. È un «uomo
autarchico», che pensa di
poter decidere da solo e in
autonomia ciò che è bene e
ciò che è male, ciò che è
giustoeciòcheèsbagliato.È
un «uomo disincantato», che
non crede a nessuna visione
del mondo, ma ripone nel
contempo nella scienza e
nella tecnica una fiducia
pressoché sconfinata. Questo
«uomo pratico» spesso
assume
pregiudizialmente
una posizione contraria al
problema di Dio, perché lo
ritiene fondato su un’ipotesi
inutile, quindi una questione
irrilevante rispetto al proprio
lifestyle.
Conlamodernitàprimae
la postmodernità dopo l’ateo
è passato progressivamente
dal banco dell’imputato su
cui l’aveva posto il
Medioevo, incolpandolo di
essere un insipiente o un
folle,albancodell’accusadal
quale si scaglia soprattutto
contro i credenti e i
rappresentanti istituzionali
delle diverse religioni, a
iniziaredaquellacristiana.La
traduzione di questo ateismo
militante in campo politicosociale si è concretizzata in
un primo momento con
alcune terribili vicende della
Rivoluzione francese, dove il
deismo di facciata si
confondeva facilmente con
l’intolleranza antireligiosa e
antiteista, a tal punto che il
romanziereHonorédeBalzac
(1799-1850)giunseascrivere
che «il deista è un ateo col
beneficio d’inventario»96. La
sua seconda fase è stata
invece quella dell’avvento al
potere del comunismo in
Russia, nei paesi dell’Est
Europa,aCuba,inCina,nella
CoreadelNordenelSud-est
asiatico; Paesi quest’ultimi
dove si è assistito o alla
proclamazione
ufficiale
dell’ateismo di Stato oppure
allacreazionediunsistemadi
ateismo governativo basato
sulla persecuzione strisciante
e
l’emarginazione
dei
credenti. In ultima istanza,
queste esperienze storiche
dimostrano che l’ateo non
soltantoritienedipoterfarea
meno di Dio, ma spesso
reputa anche di diventare
migliore e più libero se gli
riesce di eliminarne la
credenzadallamentedeisuoi
similiedallasocietàumana.
1 Meister Eckhart, Istruzioni spirituali,
in Dell’uomo nobile. Trattati, Adelphi,
Milano1999,pp.64-65.
2MeisterEckhart,Trattati,inTrattatie
prediche, Rusconi, Milano 1982, p.
163.Eckhartèstatovalidamentedifeso
dall’accusa di panteismo dal filosofo e
umanista Nicolò Cusano, il quale trae
daluidiversispuntiperilsuoDedocta
ignorantia (vedi N. Cusano, La dotta
ignoranza,Rusconi,Milano1988).
3 N. Malebranche, La ricerca della
verità, Laterza, Bari 1983, p. 329.
Sull’ontologismo vedi R.G. Timossi,
Dio è possibile? Il problema
dell’esistenza di un’Entità superiore,
Muzzio, Padova 1995, pp. 9-13, e
Prove logiche dell’esistenza di Dio da
Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia
critica degli argomenti ontologici,
Marietti, Genova-Milano 2005, pp. 2327.
4 Vedi J. Lagneau, De l’existence de
Dieu,FelixAlcan,Paris1925.
5 Giovanni Damasceno, De fide
orthodoxaI,c.1,3.
6 Tommaso d’Aquino, Summa
TheologiaeI,q.2,a.2.,ESD,Bologna
1996. Nelle versioni delle Sacre
ScritturecheseguonolaBibbiaebraica
ilsalmo52corrispondeinrealtàal53.
7 K. Rahner, Chiesa e ateismo, in
AA.VV., L’ateismo. Natura e cause,
Massimo,Milano1981,pp.165-66.
8Ivi,p.166.
9 R. Carnap, Il superamento della
metafisicamediantel’analisilogicadel
linguaggio, in Il neoempirismo, Utet,
Torino1969,pp.512e525.
10 Simile a questa posizione è quella
del cosiddetto «ignosticismo». Il
termine è stato coniato dal rabbino
statunitense Sherwin T. Wine (19282007), fondatore dell’ebraismo laico
umanista, per indicare il punto di vista
dichireputalaquestionedell’esistenza
diDioprivadisignificatoinquantonon
prospettaconseguenzeverificabili.
11 Vedi J. Monod, Il caso e la
necessità,Mondadori,Milano1997.
12 K.R. Popper, Poscritto alla logica
dellascopertascientifica,IlSaggiatore,
vol.II,p.25.
13K.Löwith,HegelunddieAufhebung
derPhilosophieim19.Jahrhundert, in
Sämtliche Schriften, J.B. Metzlersche
Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 19811988, vol. V, p. 196. L’espressione
Natura naturans è traducibile con
«natura naturante» e si riferisce alla
naturacomegeneratricedellacosiddetta
Natura naturata, la natura in quanto
generata.
14 Le citazioni da Ch. Taylor, L’età
secolare, Feltrinelli, Milano 2009, pp.
12 sgg. Per Taylor l’inizio della
«Grande narrazione della Riforma» va
fatto risalire a ben prima di Lutero,
forse addirittura a papa Gregorio VII
(1073-1085).
15VediB.Spinoza,Trattatoteologicopolitico, ETS, Pisa 2011. Sugli influssi
secolarizzanti del Tractatus spinoziano
vedi S. Nadler, Un libro forgiato
all’inferno,Einaudi,Torino2013.
16 Vedi E. Lecaldano, Un’etica senza
Dio,Laterza,Bari2006.
17SulneopaganesimovediJ.R.Lewis,
TheOxfordHandbookofNewReligious
Movements, Oxford University Press,
London-New York 2004; P. Gilbert (a
cura di), La terra e l’istante. Filosofi
italiani e neopaganesimo, Rubbettino,
SoveriaMannelli2005.
18 Lettera agli Efesini 2,11-12. Salvo
diversa indicazione, l’edizione dei testi
bibliciutilizzataèLaBibbia.Via,verità
e vita, San Paolo, Cinisello Balsamo
2009,contenentelanuovaversioneCEI
del2008.
19ClementeAlessandrino,Glistromati.
Note di vera filosofia, VII, 1,4,3,
Paoline,CiniselloBalsamo2006.
20VediD.Morin, L’ateismo moderno,
Queriniana,Brescia1996,p.11.
21 Voltaire, Dizionario filosofico, in
Scritti filosofici, Laterza, Bari 1972,
vol. II, pp. 212-13. «Logomaco», il
nomedelteologobizantino,rappresenta
un chiaro riferimento polemico alla
«logomachia», ossia a una disputa
inconcludente.
22 Voltaire, Trattato di metafisica in
Scrittifilosoficicit.,vol.I,p.134.
23 Vedi C. Fabro, Introduzione
all’ateismo moderno, Studium, Roma
1969,p.86.
24I.Kant,Criticadellaragionpura,B
659/A631eB661/A633,Utet,Torino
1967,pp.501-02.
25VediK.Löwith,Dio,uomoemondo
nella metafisica da Cartesio a
Nietzsche, Donzelli, Roma 2000, pp.
53-67.
26I.Kant,Criticadellaragionpratica,
A223-237,Utet,Torino1970,pp.27180.
27 Le citazioni di Penzias in R.
Chiaberge,
La
variabile
Dio,
Longanesi,Milano2008,pp.35-36.
28M.T.Cicerone,Denaturadeorum,I,
19,51,Rizzoli,Milano1992,p.87.
29DiogeneLaerzio,Vitedeifilosofi,X,
97,Laterza,Bari2000,vol.II,p.432.
30 Considerato ateo, a Giulio Cesare
Vaninivennetagliatalalinguaefupoi
giustiziatoperstrangolamentoaTolosa.
Il suo cadavere venne infine arso sul
rogo.VediG.C.Vanini,Tutteleopere,
Bompiani,Milano2010.
31 «Athée-Athéisme» in Voltaire,
Dizionariofilosofico,inScrittifilosofici
cit.,vol.II,pp.58-59.
32 Vedi J. Toland, Pantheisticon, in
Opere, Utet, Torino 2002. Toland si è
tuttavia definito per la prima volta
«panteista»nel1705,inunbrevescritto
intitolatoSocinianismTrulyStatedbya
Pantheist. L’epiteto di freethinker
(liberopensatore)glifupolemicamente
attribuito dal vescovo e connazionale
GeorgeBerkeley(1685-1753).
33 Vedi S. Vanni Rovighi, Elementi di
filosofia, La Scuola, Brescia 1962, vol.
I,p.14.
34 Plotino, Enneadi, V, 2, 1, Rusconi,
Milano 1992, p. 815. A contestare il
carattere emanazionistico e panteistico
del pensiero plotiniano è stato ad
esempiolostoricodellafilosofiaantica
Giovanni Reale, per il quale «quando
Plotinoaffermachetuttelecosesonoin
Dio, intende dire non che coincidono
conlasostanzadiDio,machederivano
o dipendono tutte dalla sua potenza»
(G.Reale, Storia della filosofia antica,
Vita e Pensiero, Milano 1989, vol. IV,
p. 608). Per motivi analoghi, il grande
storico tedesco della filosofia greca
Eduard Zeller (1814-1908) non
reputava il sistema plotiniano un
emanazionismoetuttavialodefinivaun
«panteismo dinamico» (E. Zeller,
Compendio di storia della filosofia
greca,LaNuovaItalia,Firenze1975,p.
256).
35 B. Spinoza, Etica dimostrata
secondo l’ordine geometrico, Bollati
Boringhieri,Torino1971,p.49.
36 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi,
VII,137,ed.cit.,vol.I,p.290.
37 Vedi J.F. Haught, Un Dio evoluto.
La teologia dopo le teorie di Darwin,
Levespe,Milano2002.
38 A.N. Whitehead, A.N. Griffin, D.
Ray, D.W. Sherburne, Process and
Reality. An Essay in Cosmology, Free
Press,NewYork1979,p.528.
39A.N.Whitehead,Scienzaefilosofia,
IlSaggiatore,Milano1966,p.126.
40 A.C. Ambesi, Il panteismo, Xenia,
Milano2000,p.4.
41VediJ.Burnet,Iprimifilosofigreci,
Mimesis,Milano2013.
42 É. Gilson, Dio e la filosofia,
Massimo,Milano1990,p.27.
43 G. van der Leeuw, Fenomenologia
della religione, Bollati Boringhieri,
Torino1975,p.7.
44VediR.Schröder,Liquidazionedella
religione? Il fanatismo scientifico e le
sue conseguenze, Queriniana, Brescia
2011,pp.193-95.
45 Tenzin Gyatso (Dalai Lama), I
sentieri della sapienza e dell’incanto.
Lezioni all’Università di Harvard,
Mondadori,Milano2011,pp.142-44.
46 Vedi W. Weischedel, Il Dio dei
filosofi. Fondamenti di una teologia
filosofica nell’epoca del nichilismo, Il
Melangolo,Genova1988,vol.I,pp.36
e39.
47 Plutarco, «Vita di Pericle», 32,2, in
ViteParallele,Rizzoli,Milano2009,p.
599.
48 I Presocratici. Testimonianze e
frammenti,DK59,A1(12),Bompiani,
Milano2006,p.1005.
49 G. Reale, Storia della filosofia
antica, Vita e Pensiero, Milano 1975,
vol.I.p.169.
50 I Presocratici. Testimonianze e
frammenti,DK80,B4,ed.cit.,p.1577.
51 Euripide, Bellerofonte, fr. n. 286.
Vedi M. Curnis, Il «Bellerofonte» di
Euripide,
Edizioni
dell’Orso,
Alessandria2003.
52 Senofonte, Memorabili, I, 1, in
Socrate.Tutteletestimonianze,Laterza,
Bari1986,p.77.
53 Platone, Apologia di Socrate, 26 C,
in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano
1991,p.32.
54Senofonte,Memorabili,I,1,ed.cit.,
p.77.
55 Platone, Apologia di Socrate, 27 A,
inTuttigliscritticit.,p.33.
56Cicerone, Denaturadeorum,II,17,
46-47,ed.cit.,p.191.
57 Sulla «teologia» di Epicuro vedi G.
Reale, Storia della filosofia greca e
romana, Bompiani, Milano 2008, vol.
5,pp.195sgg.
58 Lucrezio, De rerum natura, I, 101.
Vedi Lucrezio, La natura delle cose,
Mondadori,Milano1992.
59 Vedi Lucrezio, De rerum natura, I,
62-101e III, 1,93. Chi invece ha
convintamente considerato atei tanto
Epicuro quanto Lucrezio è stato Karl
Marx e con lui tutta la successiva
tradizionedelpensierocomunista(vedi
ad esempio la voce «Ateismo» della
Grande enciclopedia sovietica, terza
edizionedel1978).
60 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi,
VI, 37 e 44, ed. cit., vol. I, pp. 216 e
219.
61 Sesto Empirico, Contro i fisici I,
138-141,Laterza,Bari1990,pp.52-53.
62 A. Rosmini, Logica, Città Nuova,
Roma1984,p.289.
63Ivi.
64 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani
III, 11, Laterza, Bari 1988, p. 124. Lo
scetticismo pirroniano è detto così
perché ispirato all’insegnamento del
filosofo scettico greco Pirrone di Elide
(360-270 a.C. ca), il quale pare però
abbia preferito al termine epoché il
termine ἀδοξία (adoxìa), che significa
assenza di opinione e quindi
indirettamente rinuncia a esprimere
giudizi.
65 D. Hume, Storia naturale della
religione,inOpere,Laterza,Bari1971,
vol.I,p.753.
66 Dell’opinione che non si potesse
parlare in senso proprio di ateismo per
il pensiero antico era ad esempio
AugustodelNoce.VediA.DelNoce,Il
problema dell’ateismo, Il Mulino,
Bologna1990,p.17.
67
Sesto
Empirico,
Adversus
dogmaticos, III, 51-54. Vedi Sesto
Empirico, Contro i fisici, I, 51-54, ed.
cit.,pp.30-31.
68Ivi,I,18,p.23.
69Ivi,I,54,p.31.
70DiogeneLaerzio,Vitedeifilosofi,II,
97,ed.cit.,vol.I,p.81.
71Cicerone,Denaturadeorum,I,1,2,
eI,23,63,ed.cit.,pp.42-43e95.
72 Flavio Giuseppe, Contra Apionem,
II,148,Marietti,Milano2007.
73Giustino,Primaapologia,6,1e13,1,
inApologie,Rusconi,Milano1995,pp.
45e57.
74E.Bloch,Ateismonelcristianesimo,
Feltrinelli, Milano 2005, pp. 32, 169
sgg.SuBlochvediinfra,cap.4,par.5.
75 Vedi Filone di Alessandria, La
creazionedelmondosecondoMosè,1-
12, in Tutti i trattati del commentario
allegoricoallaBibbia,Rusconi,Milano
1994,pp.11-12.
76
Clemente
Alessandrino,
Protreptikos,II,23,CittàNuova,Roma
2004.
77Ivi.
78G.DunsScoto,Ordinatio,I,dist.43,
q. unica, in Opera Omnia, vol. II,
Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano
1950.
79 Anselmo d’Aosta, Proslogion, in
Anselmo d’Aosta, Monologio e
Proslogio, Bompiani, Milano 2002, p.
317.
80Ivi,p.305.
81VediG.Minois,Storiadell’ateismo,
EditoriRiuniti,Roma2003,pp.82-86.
82J.Delumeau,Ilcristianesimostaper
morire?,SEI,Torino1978,p.88.
83L’espressioneetsiDeusnondaretur,
definita poi «ateismo metodico» o
«metodologico», è attribuita al giurista
Ugo Grozio (1583-1645): nell’ambito
del giusnaturalismo, sosteneva infatti
unaragionenaturalebasatasuenunciati
validi indipendentemente dall’esistenza
diDio.
84 É. Gilson, L’athéisme difficile, Vin,
Paris1979,p.12.
85 A. Kojève, L’ateismo, Quodlibet,
Macerata2008,p.21.
86Ivi,p.44.
87Ivi,p.39.
88Ivi,p.23.
89 G. Berkeley, Trattato sui principi
della conoscenza umana, par. 92,
Laterza,Bari1991,pp.93-94.
90 G. Cottier, Definizione e tipologia
dell’ateismo, in AA.VV., L’ateismo.
Naturaecause,Massimo,Milano1981,
p.22.
91 P.L. Berger, The Social Reality of
Religion, Allen Lane, London 1973, p.
113.
92C.Fabro,L’uomoeilrischiodiDio,
Studium,Roma1967,p.33.
93 Vedi D. Diderot, Lettera sui ciechi
per quelli che ci vedono, La Nuova
Italia,Firenze1999.Com’ènoto,pergli
inesperti è facile confondere la cicuta
conilprezzemolooppureconl’anice.
94 A. Frossard, Dio esiste, io l’ho
incontrato, SEI, Torino 2002, pp. 17 e
30.
95 Vedi G. Vattimo, Credere di
credere,Garzanti,Milano1996,eDopo
lacristianità.Peruncristianesimonon
religioso,Garzanti,Milano2002.
96 Vedi H. de Balzac, Orsola Mirouet,
Corbaccio,Milano1932.
2
Fedeeateismo
1.Interpretazioni
dell’ateismo
Molti psicologi e molti
neurobiologi condividono la
convinzione secondo cui gli
esseriumanisonopredisposti
per natura a essere religiosi.
Per sostenerlo si fondano
sulla tesi evoluzionistica che
identifica nella religione una
risposta
alla
pressione
selettiva
dell’ambiente
esterno;
risposta
che
servirebbe
appunto
a
contrastare
gli
effetti
psicologicinegativideirischi
dellacompetizioneperlavita
nei singoli individui umani e
quindi a fare della religiosità
unasortadiantidotoall’ansia
quotidiana. E del resto,
l’appartenenza religiosa e la
credenza
in
entità
sovrannaturali svolgerebbe
pure una funzione sociale
adattativa rendendo gli
individui più rispettosi delle
regolemoralidiunacomunità
e più predisposti alla
cooperazione coi propri
simili; comportamenti da cui
discenderebbe una maggiore
coesione collettiva e quindi
unaforzastrutturalemaggiore
della compagine sociale.
Detto altrimenti, dal punto di
vista della selezione naturale
gli esseri umani religiosi
hanno un chiaro vantaggio
competitivo rispetto ai non
credenti,inquantonellalotta
per la sopravvivenza la fede
religiosainfondeloroenergia
psicologica, propensione alla
solidarietàdigruppoefiducia
nei propri mezzi. Stando
inoltreadalcunistudirecenti,
i
credenti
godrebbero
individualmente
di
un
benessere
psico-fisico
maggiore, di una salute
migliore e quindi di una vita
più lunga rispetto ai non
credenti.1
Chi sostiene questa teoria
si è spinto perfino a
prefigurare
una
nuova
disciplina
scientifica,
denominata«neuroteologia».2
Per il neurobiologo e
genetista Dean Hamer, per
esempio,
esisterebbe
addiritturaungeneumano(il
VMAT2) responsabile di
questa propensione alla
religiositàoallacredenzanel
divino,
che
ha
incredibilmente denominato
«gene di Dio».3 Ma senza
arrivareatalicongettureadir
poco azzardate e non
corroborate scientificamente,
alcuni scienziati cognitivi
hanno constatato che i
bambiniconsideranodeltutto
plausibile
e
«indipendentemente
dall’opinione degli adulti che
stanno intorno a loro, l’idea
diuncreatorenonumanodel
mondo, un creatore che
possiederebbe super-poteri».4
Eanchechitraquestistudiosi
mette in discussione che le
credenzereligioseabbianoun
valore adattativo diretto,
mantiene
comunque
la
convinzione
che
rappresentino l’effetto di
predisposizioni
cognitive
secondarie evolutivamente
vantaggiose.5 In generale i
cognitivisti hanno concluso
che le credenze religiose e
quelle nel sovrannaturale
esprimono una caratteristica
specifica o un’inclinazione
naturale della nostra mente,
quindi in ultima analisi
un’«architettura
cognitiva
dellanostraspecie».6
Quanto risulta comunque
storicamente certo è che fino
a oggi non si conosce una
popolazione
passata
e
presente della Terra nella
quale non siano attive delle
manifestazioni di ordine
religioso. Alla luce di tutto
ciò e se si tiene conto che
anche per molti filosofi atei
(per esempio Feuerbach,
Sartre e Bloch) gli uomini
sarebbero spontaneamente
religiosi,
viene
necessariamentedachiedersi:
«Perché
un
individuo
naturalmente religioso e
predisposto al soprannaturale
diventa ateo?». Più in
generale, perché si sceglie di
essere atei? A queste
domande si è tentato in tutte
leepochedidareunarisposta
adeguatamenteargomentatae
a provarci sono stati
soprattutto i credenti, forse
perché per i non credenti il
problema
delle
cause
dell’ateismo
sembra
apparentemente
poco
significativo o quantomeno
sembrano aver già trovato
una risposta nelle loro
personali
motivazioni
esistenziali. Con l’esplosione
nell’età contemporanea degli
ateismi teorici e pratici, che
trova per altro riscontro in
tutte le statistiche mondiali,7
le analisi del fenomeno sono
decisamenteaumentateecosì
pure i tentativi di una sua
spiegazione che hanno visto
come principali protagonisti
le Chiese cristiane e i
pensatoriattentiallequestioni
del
senso
religioso
dell’esistenza. Di recente
perfino le scienze cognitive,
dopo essersi dedicate quasi
esclusivamente a indagare la
credenza religiosa o teistica,
hanno iniziato a occuparsi
dell’ateismo.8
In ambito cristiano già
Tommaso d’Aquino, nella
Summa
Theologiae,
si
interroga
sulle
ragioni
dell’ateismo e le condensa
sostanzialmenteinduefattori:
la realtà del male e il
riduzionismo naturalistico.
Per l’Aquinate gli atei
ragionanocosì:
Se Dio esistesse non
dovrebbe esserci il male.
Viceversa nel mondo c’è
il male. Quindi Dio non
esiste. […] Tutti i
fenomeni che avvengono
nel mondo potrebbero
essere prodotti da altre
cause, nella supposizione
che Dio non esistesse:
quelli
naturali
si
riportano, come a loro
principio, alla natura,
quelli volontari invece
alla ragione umana o alla
volontà.
Nessuna
necessità,
quindi,
dell’esistenzadiDio.9
AquesteobiezioniDoctor
Angelicus replica com’è noto
con le sue illustri cinque vie
perprovarel’esistenzadiDio,
quindi in termini del tutto
razionali e con dimostrazioni
a posteriori, ossia fondate
sull’esperienza.10
Il male e il naturalismo
filosofico
sono
indubbiamente da annoverare
traidueprincipaliargomenti
dell’ateismo teoretico, coi
quali da un lato si ritiene
inconciliabile l’idea positiva
diDiocomebeneinfinitocon
la presenza dell’iniquità nel
mondo
(il
cosiddetto
Mysterium iniquitatis) e
dall’altro si considera la
naturaautosufficiente,cioèin
grado di spiegare da sola se
stessa ovvero di esistere
senza la necessità di una
causaesterna,diunCreatore.
Nel contesto contemporaneo,
tuttavia, la teologia cristiana
ha sentito l’esigenza di
andare
più
a
fondo
nell’indagine
delle
caratteristiche
e
dei
presupposti
dell’ateismo
moderno.
Tra i primi cristiani del
XX secolo che prendono
posizione sull’ateismo nella
sua
forma
moderna
incontriamoJacquesMaritain
(1882-1973), il quale è senza
dubbio
un
intellettuale
credente
particolarmente
sensibileaglisviluppiateistici
dellaculturadall’Illuminismo
a oggi; perciò assiste con
angoscia e forsanche con
disperazione
all’eclissi
nichilistica di Dio nella
contemporaneità:«Provaiuna
sorta di orrore – scrive nei
suoi ricordi di fronte alla
prospettiva esistenziale del
nulla – come quando si ha
pauranelbuiopiùprofondoe
non si ha il coraggio di
gridare, un orrore della vita,
della mia vita che avanza»11.
Per questo motivo nel saggio
del 1949 intitolato La
signification de l’athéisme
contemporain si propone di
«scoprire il senso spirituale
nascosto della presente
agonia del mondo»12, anche
perché lui non è d’accordo
conchi,essendoconvintoche
ciascunuomohaquantomeno
una conoscenza implicita di
Dio, nega pregiudizialmente
la possibilità psicologica ed
etica
dell’ateismo,
trasformandolointalmaniera
in una mera colpa morale
dell’individuo
ateo.13
L’ateismo
è
infatti
psicologicamente possibile
perché
Dio
non
è
immediatamenteevidentealla
ragione (come affermava già
san Tommaso) e, in quanto
tale, può essere oggetto di
negazione razionale o di
rifiuto pratico; mentre la
responsabilità
etica
dell’ateismo è attenuata, se
non annullata, dal fatto che
nellanostraetàsecolaremolti
individuinonsonoingradodi
formarsi
un’adeguata
consapevolezza della realtà
deltrascendente.
Se
Dio
nell’epoca
presente diventa un mistero
totale, una specie di
sconosciuto per l’uomo,
allora per Maritain è corretto
distinguere tra gli «atei veri»
che consapevolmente lo
negano,ossianerespingonoil
concetto con cognizione di
causa e sono pertanto
moralmente responsabili del
proprio atto, e gli «pseudoatei» che non sanno a cosa
effettivamente si oppongono,
come nel caso di «un
fanciullo
allevato
nell’ateismo» e diventato
adulto senza avere una
conoscenzaprecisadiciòche
rigetta.Visonoinsommadue
specie di atei: coloro che
credonodiesserlo,manonlo
sono, e coloro che lo sono
effettivamente. «Non è facile
–scriveilfilosofofrancese–
essere veramente atei […].
Diremo che lo “pseudo-ateo”
negando l’esistenza di Dio
negal’esistenzadiunentedi
ragione che lui chiama Dio,
ma che non è Dio […]. E
diremo che il “vero ateo”
negando l’esistenza di Dio,
nega
realmente
[…]
l’esistenza di quel Dio che è
l’oggetto autentico della
ragioneedellafedeecheegli
concepisce nella sua esatta
nozione».14
In
sintesi,
secondo
Jacques
Maritain
per
conoscere e capire bene
l’ateismo del nostro tempo
non ci si può limitare a
osservarlo dall’alto della
filosofia o della teologia
cristiane, ma è necessario
immergersi nella storia
contemporaneaequindinella
condizioneattualedell’uomo.
In questo contesto l’ateismo
odierno risulta l’espressione
dell’umanesimo
contemporaneo, il quale poi
altro non sarebbe se non
l’ultimo
prodotto
dell’umanesimo
antropocentrico sorto col
Rinascimento e con la
Riformaprotestante,inchiara
contrapposizione
all’umanesimo teocentrico
cristiano, e che ha finito col
dominare per un lungo
periodostoricotuttalacultura
moderna. Nel XX secolo,
ossia nel pieno della fase
materialisticadell’umanesimo
antropocentrico, «per regnare
sulla natura senza tenere
conto delle leggi intrinseche
della sua natura, l’uomo […]
è costretto in realtà a
subordinarsi sempre più a
necessità non umane, ma
tecniche, a energie d’ordine
materiale […]. Dio muore;
l’uomo materializzato pensa
che può essere uomo, o
superuomo,soloseDiononè
Dio».15
Unaltroillustreinterprete
cattolico dell’ateismo è stato
Cornelio Fabro (1911-1995).
Meritorio divulgatore delle
opere di Søren Aabye
Kierkegaard (1813-1855) in
Italia,eglihadedicatodiverse
riflessioni alla questione
filosofica e religiosa della
non credenza in Dio,
culminate nel suo testo
fondamentale
e
ormai
classico
intitolato
Introduzione
all’ateismo
moderno,pubblicatoinprima
edizione nel 1964 (seconda
edizioneaumentatanel1969).
Si tratta di un’opera
monumentale,chetuttoranon
ha paragoni per chiarezza e
completezza nel panorama
bibliograficoitaliano,emada
considerarsipureunpuntodi
riferimento nel dibattito
internazionale
sull’argomento; infatti gli
studiosi del suo pensiero la
consideranoindiscutibilmente
«l’opus maius fabriano»16.
Nellaprefazionevisiafferma
senza mezzi termini che
nell’evoluzione del pensiero
moderno
la
libertà
intellettuale umana «ha
percorso ormai l’intero arco
delle
sue
contrastanti
possibilità»
culminate
nell’«oblio dell’essere», con
la conseguente «perdita
dell’Assoluto per cadenza
inarrestabile» e il dissolversi
del senso dell’esistenza
umana; perciò «l’uomo erra
ramingo nel mondo che ne
definisce i limiti e il suo
percorso mortale». In breve,
il pensiero contemporaneo
«ha fatto del nulla il
fondamento dell’essere» e ha
reso l’uomo autoreferenziale
saldando «il cerchio della
coscienzainsestessa».17
Per Fabro l’ateismo è già
implicito
nel
cogito
cartesianoenelsuoprincipio
di immanenza, che prosegue
perunalineaininterrottafino
al nichilismo di Nietzsche,
passando attraverso altri
grandi«apostoli»delpensiero
ateo quali Spinoza, Voltaire,
Rousseau,
gli
idealisti
tedeschi, Feuerbach, Marx,
Schopenhauer, per approdare
infine agli esistenzialisti
Sartre, Camus, Jaspers e
Heidegger. Ne consegue che
Fabro
come
Maritain
qualifica l’ateismo come
«umanistico»,
al
quale
termine
però
aggiunge
l’aggettivo «radicale» perché
lo concepisce come un
umanesimo ateo che fa
dell’uomo il valore supremo,
il quale inevitabilmente
«esige, postula come sua
condizione la negazione di
Dio» o, ancor meglio, «il
rifiuto di Dio».18 L’oblio
dell’essere avviato dal cogito
altro dunque non è se non la
separazione netta della
gnoseologia dall’ontologia,
percuinonèpiùl’essereche
fonda e legittima il pensiero,
bensì la mente umana che si
scopreassoluta.
Cornelio Fabro si spinge
tuttavia ancora più avanti e
scandaglia nel profondo la
situazione esistenziale di noi
moderni per concludere che
nonostante la nostra vita sia
migliorata grazie alla scienza
e alla tecnologia, e la specie
umana sia al massimo delle
sue potenzialità rispetto al
dominio del mondo esterno,
l’individuo umano non si
sente realizzato, anzi si
scopresperdutoeimpotente.
Oggi la scienza per la
prima volta nella Storia
dell’umanità è riuscita a
scandagliare le forze
abissalidelcosmoegiàsi
apprestaaimbrigliarleper
violare gli eterni silenzi
degli
spazi
infiniti.
Eppure, mai come oggi,
l’uomo
ha
sentito
l’incombente minaccia
della scomparsa totale
della sua civiltà e della
stessa distruzione del
genere umano: infatti il
traguardo che ha dato
all’uomo moderno il
dominio delle forze
dell’universo,
l’ha
accostatoalnullachepuò
sprigionarsi
a
ogni
momento da una volontà
che più non conosce
fondamento e vincolo di
verità.
E con l’emergere del
nullaalcentrodellacoscienza
«non solo la filosofia si è
fattadesertadelDiovivo,ma
anche la letteratura, l’arte, la
politica e l’intero complesso
delle scienze dello spirito in
generale hanno bandito dalla
loro prospettiva l’Iddio vero
[…], l’unico desiato rifugio
neldubbioeneldolore».19In
questo scenario desolante,
teismo e ateismo non vanno
intesi tanto come dei sistemi
ideologici quanto come
espressioni
dell’opposto
valorecheognisingolouomo
attribuisce originariamente
all’essere, quindi di una
divaricante decisione assunta
o da assumere nei confronti
del problema del fondamento
dell’esistenza.
Tanto con le tesi di
Maritainquantoconquelledi
Fabrosiconfrontaeprendein
parte le distanze un altro
insigne interprete italiano
dell’ateismo: il filosofo
cattolico Augusto Del Noce
(1910-1989). Questi coglie
alcuni punti di debolezza
nell’analisi del pensatore
tomista francese, specie nella
definizione
dell’ateismo
pratico
considerata
apertamente inadeguata;20 e
preferisce
pertanto
concentrarsi
non
esclusivamente sugli aspetti
teoretici dell’atteggiamento
ateo, ma anche su quelli
etico-politici. Il problema
dell’ateismo
è
dunque
importante per la filosofia
contemporanea non solo sul
piano speculativo, ma pure e
soprattutto per i suoi risvolti
etico-sociali.
D’altro canto Del Noce
non accetta la posizione di
CornelioFabrosecondocuila
filosofia
moderna
rappresenterebbe un’unica
linea ininterrotta di tipo
immanentista che va da
CartesioaNietzscheeatuttii
pensatori posteriori in vario
modoinfluenzatidalpensiero
nietzschiano, ma individua
unasecondalineadiscendente
di tipo trascendentalista che
partendo sempre da Cartesio
approda a Rosmini, passando
per Vico, Leibniz, Pascal,
Malebranche e altri ancora.
D’altronde,sostienesempreil
nostrofilosofo,«l’ateismoèil
termineconclusivoacuideve
necessariamente pervenire il
razionalismoalpuntoestremo
della sua coerenza»21, che è
però pure il punto estremo
della sua crisi, del suo
degradarsi in scetticismo e
infine in irrazionalismo. Di
qui anche il passaggio
obbligato «dell’ateismo dalla
sua forma scientista a quella
postulatoria», che affida cioè
alla negazione di Dio la
possibilità della libertà
illimitata dell’uomo, e il
conseguente sorgere nel ’900
di un nuovo laicismo
integralmente ateo, con cui
Del Noce non manca di
polemizzareapiùriprese.
Sempre
in
ambito
cattolico e tomista, effettua
una sua valutazione critica
dell’ateismomodernoÉtienne
Gilson;elofaponendoasua
voltal’attenzionesugliaspetti
esistenziali,
apparendogli
quelli propriamente teologici
ormai ben definiti e
sviscerati. Il suo giudizio si
fonda
soprattutto
sulla
difficoltàteorico-praticadella
posizione atea, che sarebbe
foriera di una evidente e
insanabile contraddizione: da
un
lato
l’ateo
deve
costantemente argomentare i
motividellasuasceltadinon
credere
e
dall’altro,
continuando a ragionare di
Dio, finisce per perpetuarne
l’idea e per dimostrarne la
presenzanelconsessoenella
mente degli uomini. Questa
condizione
filosoficoesistenziale è ciò che il
pensatore francese definisce
«ateismo difficile» e così per
altro intitola un suo famoso
saggio del 1970. La
problematicità dell’ateismo
risulta tanto forte nell’epoca
che dovrebbe segnare –
secondo le profetiche parole
di Friedrich Nietzsche – la
«mortediDio»perché«sela
morte di Dio significa la sua
mortefinaleedefinitivanello
spirito degli uomini, la
vitalità
persistente
dell’ateismo costituisce per
l’ateismo stesso la sua più
seria difficoltà. Dio sarà
morto negli spiriti solo
quandonessunopenseràpiùa
negare la sua esistenza. […]
La morte di Dio rimane
ancora un rumore che
nessunoconferma».22
Per altro Gilson ritiene
praticamente
impossibile
imbattersi in atei autentici,
vale a dire in persone in
grado
di
dimostrare
razionalmente
la
non
esistenza di Dio, anche
perché a suo dire tale
esistenza è immediatamente
evidente; e quindi se non
necessita più di venire
provata
dalla
ragione
naturale,neppurepotràessere
definitivamente
confutata.
Benché sussistano «molte
occasioni di dubbio, di
esitazione e di incertezza nel
procedere di uno spirito alla
ricerca»deldivinodellequali
si alimenta l’ateismo, la
percezionediDioedellasua
esistenza non vengono alla
finescalfite,anziperduranoe
si rafforzano nel tempo da
benventiquattrosecoli.
Sulla stessa linea si è
spinto anche più in là il
teologo francese Claude
Tresmontant
(1925-1997),
conlatesisecondocuigliatei
integralinonesistono,mentre
chi si professa tale o non
conosceveramentequelloche
nega o è un credente
inconsapevole; e comunque
costituisce un’anomalia dal
punto di vista della ragione
perché
«l’ontologia
dell’ateismo,
ossia
la
cosmologia
atea,
è
impensabile»23. In altre
parole, «l’ateismo puro non
esiste. Di contro esiste una
religione della natura che si
oppone al monoteismo
ebraico. L’ateismo non ha
nulla da spartire con il
razionalismo […]. L’ateismo
è una fede irrazionale». Da
questaprospettiva,essereatei
oggi significa essere dei
credenti, ma non in maniera
razionale come i cristiani,
bensì
fideistica;
difatti
«l’ateismo
moderno
è
essenzialmente fideista». Ma
se la scelta dell’ateo è
irrazionale perché crede in
qualcosa di irrealistico o
illusorio,
allora
per
Tresmontant
siamo
in
presenza di un caso più da
psicologi che da teologi, di
una
manifestazione
comportamentale o sindrome
infantile che «compete alla
psicologia.
Spetta
agli
psicologi darci un’analisi
approfondita che ci permetta
di comprendere la genesi e
l’esistenzadell’ateismo».24
Per altro l’idea che
l’ateismo sotto il profilo
psicologico sia una forma di
fede è condivisa anche dal
sacerdote cattolico Antoine
Vergote (1921-2013), già
titolare della cattedra di
psicologia della religione
all’Università di Lovanio, il
quale ha dedicato particolare
attenzione al fenomeno della
diffusionedellanoncredenza.
Egli ritiene che «di fatto, se
l’affermazione di Dio è una
certezza di fede, la sua
negazione è essa pure un
giudizio dell’ordine della
fede»;infatti«lanegazionedi
Dio
è
inevitabilmente
partecipe della complessità
dell’affermazione di Dio».25
Non è del resto casuale se la
psicologia della religione si
occupa congiuntamente del
credente quanto del non
credente, dal momento che
«non si può comprendere
psicologicamente la credenza
senza
l’incredulità,
né
quest’ultima
senza
la
prima»26.Idueatteggiamenti
oleduesceltedicredereedi
non credere sono in qualche
modo
collegati
psicologicamente tra loro,
perché «il confine tra teismo
eateismoèmobile»27.Mala
contiguità tra l’essere ateo e
l’essere credente è fortissima
anche dal punto di vista
esistenziale, per cui da un
ateismointegralepuònascere
unafedepuraedaunteismo
irragionevole
possono
scaturire azioni contrarie a
Dio.
Riflessioni sull’ateismo
lucide e ricolme di saggezza
si trovano pure in un altro
grande filosofo cattolico
francesechenonhamaiperso
occasione per confrontarsi
con credenti e non credenti:
Jean Guitton (1901-1999).
Pur avendo in un primo
tempo considerato l’ateismo
«macchinoso e raro, un
fenomeno recente, una
bizzarriasostenutadapochie
da poco tempo nel solo
ambiente
di
certa
intellighenzia occidentale»28,
accettatuttaviailpresupposto
cheilverocredenteèsempre
alle prese con la sfida
rappresentata
dall’ateo
materialista: «Conosco bene
la non credenza e ciò che
talvolta i credenti chiamano
materialismo.L’ateismonella
sua forma più comune mi
viene proposto in ogni
momento dal mio cervello
cosìbeneadattatoalmondo».
Non stenta dunque a
riconoscere che per chi non
crede la fede in Dio viene
intesa come un evento
anomalo, una specie di
dissociazionementale,senon
addiritturaunaveraepropria
manifestazionedifollia:«Per
il non credente – confessa
Guitton – io rappresento uno
strano
fenomeno,
che
costituisce
un’ulteriore
conferma
dell’infermità
dell’intelletto umano e della
sua tendenza all’alienazione,
neiduesensidiquestaparola,
quello psichiatrico e quello
marxista,peraltroabbastanza
simili. […] Il credente agli
occhi del non credente è un
po’pazzo».
Secondo Guitton gli atei
pensanosidebbacrederesolo
in ciò che si tocca e si vede
coi sensi o ci viene
comunicato dalle scienze
naturali.Inquestadirezionesi
può affermare che «l’ateismo
semplificaerendevivi.Eper
colorochesiaccontentanodi
vivere, l’ateismo è una
soluzione facile», ma non
basta a rendere tranquilli gli
atei della validità razionale
dellapropriascelta.Seinfatti
«gli atei fossero sicuri di
avere ragione, non sarebbero
aggressivi[…]:c’èinlorola
paura che l’ateismo sia
falso». Chi crede allora deve
affrontare con serenità il
confronto con l’ateo, perché
la sua fede gli comunica
chiaramente che lo stato di
cecità del non credente nei
confrontidell’assolutoedella
grazia divina è destinato a
non durare: anche lui infatti
«è un essere che è stato fatto
pervedereepergioirediciò
chevede»eprestootardi,in
questa vita o in un’altra,
«vedrà in modo più acuto e
ne ricaverà una sorpresa più
grande, […] e dirà [del
credente]: “Come aveva
ragione a credere senza
vedere!”».29
2.Cristianesimoeateismo
Indefinitivalariflessione
sull’ateismo
in
ambito
cristianosièdivisatrachiha
teso a considerarlo un
problema
a
cui
è
indispensabile rispondere e
chi invece ha preferito
interpretarlo
come
una
sollecitazione a ripensare le
proprie
convinzioni
di
credente di fronte al mondo
moderno, tra chi cioè l’ha
concepito sotto l’aspetto
dell’apologetica
cristiana
chiamata a reagire alle
critiche degli atei e chi per
contro l’ha assunto come
un’occasione di purificazione
della propria fede. Non sono
ovviamente mancate pure le
posizioniintermediedicoloro
che l’hanno accolto al tempo
stessocomeunasfidaecome
un’opportunità
di
rinnovamento culturale per i
credenti.
Un
aspetto
particolare
e
originale
nell’ermeneutica
novecentesca
dell’ateismo
all’interno della teologia
cristiana
è
infine
rappresentatodallatendenzaa
individuare nel cristianesimo
stesso una delle principali
cause
scatenanti
della
crescente diffusione della
negazione di Dio nell’epoca
moderna. In sintesi, sono
sostanzialmente
tre
le
posizioniprevalentiinambito
cristiano:
1. l’ateismo è una reazione
alla dottrina etico-religiosa
cristiana;
2. l’ateismo è il prodotto
involontario della visione del
mondo
diffusa
dal
cristianesimo;
3.l’ateismoèlaconseguenza
del declino e della perdita di
centralità
della
cultura
cristiana.
Perilprimopuntodivista
possiamo citare il teologo
riformato Jürgen Moltmann,
secondo il quale «l’ateismo
modernoèunfenomenopostcristiano. Esso costituisce
sostanzialmente una critica
alla religione cristiana e alla
Chiesa ed è pertanto una
defezione dal cristianesimo.
[…] Il teismo astratto e il
principio d’autorità che fissa
gli uomini nella minorità
sono il punto di partenza
costante dell’ateismo post-
cristiano».30
La seconda impostazione
tende a individuare nella
stessa dottrina cristiana una
premessa
inconsapevole
dell’ateismo, per cui «il Dio
senza mondo della teologia
scolasticahalaresponsabilità
metafisicadiunmondosenza
Dio».31 Essa è presente nel
grande
teologo
della
demitizzazione
Rudolf
Bultmann (1884-1976), che
attribuisce l’atteggiamento
ateo a un effetto indiretto
della Weltanschauung dei
cristiani, del cambiamento di
paradigma nel modo di
concepire la realtà apportato
dal cristianesimo, poiché «la
fedecristianasdivinizzandoil
mondo, lo ha fatto apparire
nella sua mera mondanità
[Weltlichkeit]».
Il
cristianesimo risulta pertanto
«un fattore decisivo per la
formazione
[Ausbildung]
della secolarizzazione del
mondo», mentre a sua volta
l’ateismo che sfocia nel
nichilismo è «la conseguenza
della secolarizzazione del
mondo, di cui l’osservazione
obiettivante della natura è
soltanto
un
fenomeno
particolare».32
Detto
altrimenti, il cristianesimo ha
contribuito
in
maniera
decisiva alla costruzione di
una concezione secolarizzata
dellarealtà,laqualehaasua
volta prodotto il nichilismo
ateo: in tal senso, l’ateismo
sarebbe un effetto indiretto
dellafedecristiana.
La terza posizione è stata
sostenutainItaliadalfilosofo
cattolico
e
studioso
dell’esistenzialismo Pietro
Prini(1915-2008),secondoil
qualel’ateismomodernoèun
«male cristiano» e, in quanto
tale, rappresenta il paradosso
storico del cristianesimo.
Esso infatti sarebbe il frutto
indesiderato e inatteso del
progressivo sgretolarsi della
cultura cristiana sotto i colpi
di uno spirito borghese, che
privilegia il fare e l’avere
sull’essere. La nietzschiana
«morte di Dio» allora si
spiegherebbe con il fatto che
«la civiltà platonico-cristiana
dell’Occidente
sta
percorrendo l’ultima tappa
della sua decadenza», perché
sta venendo meno «il
fondamentodituttoquelloin
cui essa ha creduto per
venticinquesecoli».33
L’assunzione
del
presupposto delle «radici
cristiane»
dell’ateismo
moderno ha condotto alcuni
autori a pensare che la
presenza degli atei può
svolgere e ha svolto perfino
una funzione positiva nei
confronti di un rinnovamento
del modo di credere e di
presentare il messaggio
evangelico da parte dei
cristiani, nonché verso il
superamento
di
certe
immagini di Dio lontane da
quelle bibliche. Il teologo
cattolico Romano Guardini
(1885-1968) ha in proposito
addirittura parlato di un
«ateismopurificatore»capace
di confutare gli eccessi di
razionalismo
teistico
e
deistico,
nonché
di
valorizzare
indirettamente
l’idea del Dio personale, del
Dio vivente della religione
ebraico-cristiana. In altre
parole, l’ateo senza volerlo
favorirebbe
l’incontro
esistenziale di ogni individuo
conilveroDio,col«Dio-pernoi» (Cristo) che ci fa dono
dellafedestessa.Intalmodo
l’ateismo può svolgere
indirettamente un ruolo
«positivo,anchecomefattore
storico che risveglia una
religiositàottusaesonnolenta
[…]epuòportarelequestioni
vitali
a
un
livello
superiore»34. Qualcosa di
simile insomma a quanto
pensavailcristianoortodosso
Fëdor
Michailovič
Dostoevskij(1821-1881),uno
scrittore sul quale Romano
Guardinihameditatoalungo.
Dostoevskij nei suoi romanzi
ha a più riprese affrontato in
profondità
il
tema
dell’ateismo contemporaneo,
giungendo a concludere per
bocca di un personaggio nel
suo I demoni (lo starec
Tichon) che «l’ateismo pieno
è
più
rispettabile
dell’indifferenza mondana»
perché più vicino alla fede,
mentre «l’indifferente non ha
nessuna fede, fuorché una
mala paura, e anche questa
solo a tratti, se è un uomo
sensibile».35
L’ateismo può tradursi in
un fattore positivo anche per
un altro importante teologo
del
’900:
il
pastore
protestante tedesco Dietrich
Bonhoeffer(1906-1945).Egli
ritiene, insieme al fondatore
della teologia dialettica Karl
Barth (1886-1968), che la
sfida
proveniente
dell’ateismoservaalcredente
per superare la nozione
metafisica di Dio come
trascendenza, ormai troppo
distante dall’effettiva realtà
umana e mondana, e
abbracciare l’idea del «Dioper-noi» della Rivelazione.
Benché Barth reputasse
impossibile per l’ateo parlare
di Dio, perché l’idea di un
ente
assolutamente
trascendente (das ganz
Andere – «il totalmente
Altro») e un discorso intorno
aessohannoragioned’essere
solo per chi crede nella sua
esistenza,
considerava
tuttavianonsolocorretta,ma
doverosa la ripulsa di una
nozione
ideologica
o
comunque falsa del divino:
«Contro Zeus, il non Dio
[…], Prometeo si ribella a
buon diritto»36. Alla stessa
maniera,Bonhoefferapprezza
l’ateismo che respinge l’idea
del«Diooggetto»tipicadella
religione tradizionale, del
«Dio tappabuchi» (Gott als
Lückenbüsser) utilizzato per
porre
rimedio
alle
imperfezioni della natura e
alle debolezze umane, non
più
comprensibile
e
accettabile
dall’uomo
contemporaneo
divenuto
adultoesecolarizzato:
È nuovamente evidente
che
non
dobbiamo
attribuireaDioilruolodi
tappabuchi nei confronti
dell’incompletezza delle
nostre conoscenze; se
infatti i limiti della
conoscenzacontinueranno
ad allargarsi, il che è
oggettivamente
inevitabile,conessianche
Dio viene continuamente
sospintovia[…].Dionon
deve essere riconosciuto
solamente ai limiti delle
nostre possibilità, ma al
centrodellavita.37
Il
Dio
tappabuchi
equivale dunque al «Dio
fazzoletto» da cui ci si
attende
protezione
e
consolazione, al «Dio mazzo
dichiavi»cuil’essereumano
si rivolge per avere una
risposta agli enigmi della
natura e al «Dio porta
monete»cheinfondelafacile
sicurezza di cui ha parlato lo
scrittore francese Georges
Bernanos
(1888-1948);
infatti, «la verità non
rassicura nessuno: la verità
impegna!».38
Per
comunicare
cristianamente con l’umanità
delnostrosecolo,Bonhoeffer
ritiene sia indispensabile
un’interpretazione
non
religiosadeiconcettibiblicie
in una celebre lettera dal
carcere del 16 luglio 1944
sembra sposare il cosiddetto
«ateismo
metodologico»:
«Dio inteso come ipotesi di
lavoro morale, politica,
scientifica, è eliminato,
superato;maloèugualmente
come ipotesi di lavoro
filosofica
e
religiosa
(Feuerbach!).
Rientra
nell’onestà
intellettuale
lasciar cadere questa ipotesi
di lavoro […]. E non
possiamo essere onesti senza
riconoscere che dobbiamo
vivere nel mondo etsi Deus
non daretur. […] Davanti e
con Dio viviamo senza
Dio»39.Inconclusionel’ateo,
negando il Dio metafisico, ci
consente di riscoprire il Dio
vero che in Gesù Cristo si fa
carneeviveconnoiladebole
condizione umana, fino
all’esperienza estrema della
sofferenza e della morte in
croce: «Dio è impotente e
debole nel mondo e appunto
solocosìeglicistaalfiancoe
ciaiuta»40.
SimilmenteaBonhoeffer,
il teologo cattolico Karl
Rahner mette in guardia dal
diffusoconcettodiDiointeso
come «funzione» ossia come
sostituto di qualcosa d’altro,
in breve come «tappabuchi».
Se serve a superare questa
concezione fuorviante del
divino, l’ateismo diventa
anche
per
lui
una
sollecitazione positiva per i
teologi cristiani, chiamati a
evitare
un’interpretazione
teologicachepresentiun’idea
di
Dio
direttamente
funzionale alla soluzione dei
bisogniimmediatidegliesseri
umani, distorcendo così la
salvezza divina da dono
gratuito a soddisfazione
utilitaristica del singolo
uomo. Si sviluppa da qui la
teoria del cristianesimo
anonimo di Rahner, per cui
chi è ateo in senso
categoriale,
ovvero
storicamente dichiarato, può
risultare un teista (cristiano)
in senso trascendentale senza
esserne
consapevole.
D’altronde nella sua essenza
profonda
«l’uomo
è
spirituale, cioè vive la sua
vita in una continua tensione
verso l’Assoluto, in una
apertura a Dio. È la
condizione che fa essere
l’uomo ciò che è e deve
essere», vale a dire in
cammino
verso
il
trascendente, «lo sappia o no
espressamente, lo voglia o
no».41
Un altro filosofo e
teologo che ha inteso
l’ateismo come stimolo
positivo per trovare la vera
via all’autentica immagine di
Dio è Martin Mordechai
Buber (1878-1965), uno dei
principali esponenti del
pensiero
ebraico
contemporaneo. Autore di un
celebre saggio del 1953 sulla
crisi del teismo e della fede
intitolato L’eclissi di Dio.
Considerazioni sul rapporto
tra religione e filosofia, egli
si è detto convinto che il
rapporto col divino è quello
di un Io con un «Tu
assolutamente
originario»
perché, come ha sostenuto
ImmanuelKantinalcunisuoi
scritti postumi, «un Dio che
non è persona vivente è un
idolo».42
È
pertanto
unicamente «la relazione IoTu quella in cui possiamo
incontrare Dio poiché di lui,
in contrasto con ogni altro
esistente, non possiamo
scorgere nessun aspetto
oggettivo».43 Orbene, in
questoscenariol’ateismopuò
contribuire a mettere in
discussione le false idee di
Dio, a contrastare delle
raffigurazioni del divino che
assomigliano agli idoli, che
cioè lo rappresentano come
un Esso. Su questa spuria
relazione «Io-Esso», che ha
segnato appunto l’eclissi
dell’autentico rapporto «IoTu» si concentra l’azione
degli atei contemporanei, i
quali
acclamando
con
Friedrich Nietzsche la morte
di Dio, in effetti proclamano
la fine solo dei simulacri del
vero
Dio:
«Bisogna
annunciare che Dio è morto.
Ma con tale annuncio in
realtà nient’altro è detto se
non che l’uomo è diventato
incapace di afferrare una
realtà
per
antonomasia
indipendente da lui e di
rapportarsiaessa»44.
Hanno accolto come un
valorepositivoperlateologia
cristiana le celebri asserzioni
nietzschiane «Dio è morto!
Dio resta morto!»45 alcuni
autori cristiani definiti, a
seconda dei casi, «teologi
della
secolarizzazione»,
«teologi radicali», oppure
esplicitamente «teologi della
morte di Dio». Si tratta
soprattutto di personalità
provenienti dal mondo
anglosassone, alcune delle
quali influenzate dalle tesi
teologiche di Bonhoeffer, ma
anchedalpensierodiBarthe
di Bultmann, come ad
esempioJohnArthurThomas
Robinson
(1919-1983),
William Hamilton (19242012), Thomas Jonathan
Jackson Altizer, Gabriel
Vahanian
(1927-2012),
HarveyCoxePaulvanBuren
(1924-1998). Alla luce
dell’annuncio della morte di
Dio, anche per questi
pensatori l’ateismo può
assumere
una
valenza
positiva, per cui confermano
pure l’opinione bultmanniana
secondo
la
quale
il
cristianesimo
avrebbe
contribuito
in
maniera
decisiva
alla
desacralizzazione della realtà
mondana. Nella radicalità
dellalororiflessione,lamorte
di
Dio
costituisce
un’occasione straordinaria
per recuperare la funzione
unica di Gesù Cristo che si è
smarrita nel corso della
teologia occidentale, per
abbandonare
l’immagine
fuorviante del Dio della
tradizione cristiana negato
dagli atei e ritrovare tutti
l’autentico Dio. L’annuncio
dellamortediDiovadunque
interpretato
in
senso
ottimistico, perché crea le
premesse di una nuova fase
dellafede.ThomasAltizerha
addirittura scritto un saggio
emblematicamente intitolato
Il vangelo dell’ateismo
cristiano (1966), nel quale
l’era dell’ateismo di massa
viene concepita come una
«buona novella»: infatti «una
nuova rivelazione sta per
irrompere nella nuova epoca
equestarivelazionedifferisce
dal Nuovo Testamento tanto
quanto
differisce
dal
Vecchio».46 Si tratta della
profezia per cui, come nei
Vangeli la morte di Cristo
prelude alla risurrezione, la
morte di Dio nel mondo
contemporaneo
prelude
all’avvento di quella che
prima Gioacchino da Fiore
(1135-1202) e poi Georg
Wilhelm Friedrich Hegel
(1770-1831)
hanno
denominato «terza età dello
Spirito».47
Alcuni tra i credenti
hanno accolto l’annuncio
della morte di Dio come un
«orrore cosmico», come un
evento terribile che «esige
lacrime e discorsi funebri»,
mentre altri hanno preferito
relegarlo tra le metafore
aforistiche o i paradossi
irrealistici di un filosofo
(Nietzsche) sull’orlo della
follia. Ma per il teologo
protestanteWilliamHamilton
e per i propugnatori della
teologiaradicale«lamortedi
Dio è realmente avvenuta» e
rappresenta tutt’altro che un
pericolo per i cristiani, anzi
«è un evento di grande
liberazione e di gioia; un
evento che non ci sottrae
qualcosa, ma che finalmente
rendequalcosadipossibile:la
fede cristiana». Insomma
l’affermazione
«Dio
è
morto!»,
benché
indubbiamente
atea,
consentirebbe ai teologi
cristiani di aprire nuovi
orizzonti,
di
venire
«illuminati da una nuova
aurora»,dipredisporreilloro
cuore «colmo di gratitudine,
di stupore, di presentimenti e
di attesa»48 a una nuova
impostazione
teologicoreligiosa che consenta di
continuare a vivere da
cristiani in un mondo
disincantatoesecolarizzato.
Va detto però con
chiarezza che una cosa è
prendere correttamente e
realisticamente atto del
«clima intellettualmente e
spiritualmente relativistico di
oggi» e un’altra è accettarlo
«senzariserve»49comefanno
iteologidellamortediDio.Il
loro modo di impostare il
discorso teologico impone
infatti al cristiano un caro
prezzo che ben difficilmente
puòesseredispostoapagare:
quello della relativizzazione
della propria fede, della
riduzione della propria
religione a una credenza non
piùveraenonpiùfalsadelle
altre. In epoche diverse
questo fenomeno ha prodotto
delle aberrazioni, come il
sorgeredinuoveestravaganti
religioni quale quella della
«deaRagione»odell’«Essere
supremo» dei rivoluzionari
francesi.Peraltroproprioper
questi motivi il sociologo
cattolico Gianfranco Morra è
giunto a definire «ateismo di
assimilazione»
tanto
il
deismo illuminista quanto il
panteismo; difatti il primo
propone l’idea di un dio
«astratto»rappresentato–per
usareunadefinizionediMax
Scheler (1874-1928) – come
«ingegnere e macchinista»
dell’universo50, mentre il
secondo mira ad assimilare
Dioelanatura51.
Da
questa
lettura
polarizzata di cristianesimo e
ateismo,conlaqualesitende
afarneduepoli(unopositivo
el’altronegativo)dellostesso
magnete, ha tratto infine
spunto chi ritiene necessario
instaurare un dialogo tra
credenti e non credenti in
Dio. Tra i primi convinti
sostenitori
del
dialogo
possiamo ricordare il teologo
protestante Paul Tillich
(1886-1965), perché riteneva
cheilmessaggiocristianoper
risultare valido per le
generazioni di tutti i tempi
deve essere mediato, pur
preservando la sua verità
atemporale, con le differenti
forme di pensiero e di
espressione
che
sono
specifiche delle diverse
epoche; e ciò in modo da
essere in grado di realizzare
un rapporto aperto anche e
soprattuttoconinoncredenti.
Per questo nell’epoca della
secolarizzazione, della crisi
semantica del linguaggio
metafisico-religioso, si deve
tentare perfino di parlare di
«Dio oltre Dio». Tillich per
altro pensava, come il
cattolico Jean Daniélou
(1905-1974), che l’ateismo
siaintenzionale,checioènon
possaessereconseguentealla
natura o alla realtà effettiva
dell’uomo,masiaquindiuna
conseguenza di un’idea
sbagliata o comunque di uno
stravolgimento della vera
credenza cristiana; infatti
«l’ateismo
e
l’anticristianesimo non sono
pagani. Sono anticristiani in
termini cristiani. Il marchio
della tradizione cristiana non
può essere cancellato: è un
character indelebilis».52 Va
per altro rimarcato che, dopo
l’avvento
della
nuova
teologiadiTillichediquella
deiteologidellamortediDio,
c’è stato chi ha visto proprio
in
queste
concezioni
teologiche, insieme con la
teologia esistenzialista e
demitizzante di Bultmann e
quella dialettica di Karl
Barth, una forma di
preoccupante apertura del
pensiero
cristiano
all’ateismo.53
La nuova via del dialogo
pare costituire l’ultima
frontiera del rapporto tra
credentienoncredenti.Enon
sipuònegarechetaledialogo
ècertamenteresopiùagevole
dal
nuovo
modo
di
interpretarel’ateismodaparte
della riflessione cristiana: «Il
dialogo cristiano-ateo trova
senza dubbio il suo
significato in relazione a un
decisivo
riorientamento
nell’ambitodellateologiache
loharesopossibile;esso,con
la sua sfida salutare, ha
costretto il cristianesimo a
correggere alcune posizioni
teologiche e a esercitare
l’autocritica».54 Non ci si
deve nascondere tuttavia che
si tratta pur sempre di un
percorso
difficile
e
l’ottimismocheallafinedegli
anni ’60 del XX secolo
spingeva a ritenere vicini nel
loro sentire il credente e
l’ateo,perché«l’unoel’altro
sono animati dalla medesima
sollecitudine per l’uomo»55,
deve
oggi
essere
ridimensionato di fronte al
nuovo ateismo militante,
provocatorio
e
particolarmente aggressivo e
tranchant nei confronti di
tutti i credenti di fede
cristiana. Si tratta, come
vedremo, di una forma di
ateismo arroccato dietro il
preconcetto secondo cui le
moderne
conoscenze
scientifiche rivelano la totale
irrazionalità e l’infondatezza
diqualsiasicredoreligioso;si
tratta soprattutto di un modo
di dirsi atei che rifiuta la
concezionebiblicadell’essere
umano come immagine di
Dio sulla base della teoria
darwiniana dell’evoluzione
delle specie per selezione
naturale.
3.Chiesacattolicaeateismo
In età contemporanea la
Chiesa cattolica, più di
qualsiasi altra confessione
religiosa cristiana e non
cristiana, ha dedicato grande
attenzione al fenomeno
dell’ateismo
e
dell’indifferenza religiosa in
senso lato. Una prima
organica riflessione della
Chiesa cattolica sull’ateismo
si trova nella Costituzione
dogmatica Dei Filius del
Concilio Vaticano I (18681870),laddovelosiconsidera
una manifestazione deteriore
della modernità e il peggior
prodotto della filosofia
razionalistamoderna.Sitratta
infatti di un’impostazione di
pensiero capace di bandire
dall’intelletto umano la
nozione stessa di Dio come
ente supremo creatore e
legislatore:
Alloranacqueesidiffuse
per la Terra ampiamente
la
dottrina
del
razionalismo
o
naturalismo, la quale
avversando in tutto alla
cristiana religione, […]
con sommo studio si
sforzadiottenereche[…]
si stabilisca il regno,
come dicono, della mera
ragione o della natura.
Abbandonata poi e
rigettata la religione
cristiana,rinnegatoilvero
Dio e il suo Cristo, la
mente di molti è
finalmente precipitata nel
baratrodelpanteismo,del
materialismo,
dell’ateismo,
cosicché
[…] negando la stessa
natura razionale e ogni
norma di giustizia e di
rettitudine, arrivano ad
abbattere i fondamenti
essenziali della società
umana.56
Siamo
qui
ancora
nell’ambito della dottrina
tradizionale della Chiesa
post-tridentina, che più che
analizzare e interpretare il
fenomeno dell’ateismo si
preoccupa di condannarlo
senzaappello,comedelresto
laDeiFiliustendeafarecon
pressoché tutte le novità
presenti
nel
pensiero
moderno, sia in materia
filosoficasiaincamposociopolitico. Si scorge invece nel
Concilio Vaticano II (19621965) e in particolare nella
Costituzione
pastorale
Gaudium et Spes un modo
nuovo di approcciare e
studiarelarealtàdell’ateismo
contemporaneo da parte del
magistero ecclesiastico. Già
papa Paolo VI (Giovanni
Battista Montini, 1897-1978)
nell’enciclica
Ecclesiam
Suamdel1964avevadefinito
l’ateismo «il fenomeno più
grave del nostro tempo» e si
era
detto
«fermamente
convinto che la teoria su cui
sifondalanegazionediDioè
fondamentalmente errata».
Ne aveva poi spiegato le
ragioni, individuate nella
lontananza abissale dalle
istanze più profonde della
riflessione umana e nella
tendenza a privare l’ordine
razionaledelmondodellesue
basi autentiche e feconde
introducendo nella vita
umana non una formula
risolutrice, ma «un dogma
cieco che la degrada, la
rattrista e indebolisce alla
radice ogni sistema sociale
che su di esso pretende
fondarsi». Perciò l’ateismo
non libera l’uomo come
pretende certa filosofia
dell’umanesimo ateo, «ma è
drammachetentadispegnere
lalucedelDiovivente».Edi
fronteaitentatividegliateidi
diffondere
le
proprie
perniciose
convinzioni
perfino
attraverso
un
«programma di educazione
umanaedicondottapolitica»,
laChiesaeicredentidevono
«resistere con tutte le loro
forze a questa irrompente
negazione» contraria al
Vangelo e quindi alla
verità.57
La Gaudium et Spes del
VaticanoIIriprendeilfilodel
discorso di Paolo VI
sull’ateismo annoverandolo a
sua volta «fra le realtà più
gravi del nostro tempo»,
quindi meritevole di venire
«esaminato con diligenza
ancor
maggiore»
e
consideratononsoloneisuoi
aspetti ideologico-filosofici,
ma pure nei suoi risvolti
storici e pratici. Per altro
questa costituzione pastorale
ponesubitoinevidenzacome
l’ateismosiacaratterizzatoda
esternazioni
pluriformi:
«Alcuni
atei
negano
esplicitamente Dio; altri
ritengono che l’uomo non
possa dir niente di lui; altri
poi prendono in esame i
problemirelativiaDioconun
metodo tale che questi
sembra non avere un senso».
Il documento conciliare non
dimentica inoltre il fatto che
nel mondo moderno si fa
soprattutto ricorso al sapere
scientifico per vanificare la
necessità stessa di Dio e
all’epistemologia fallibilista
per mettere in discussione la
presenzadicertezzeassolute:
«Molti,
oltrepassando
indebitamente i confini delle
scienze
positive,
o
pretendono di spiegare tutto
solo da questo punto di vista
scientifico,
oppure
al
contrario non ammettono più
nessuna verità oggettiva».
Non si trascura infine il
problema del male come
strumento ateo di «protesta
violenta» e la presenza di un
crescentenumerodiindividui
che «non sembrano sentire
alcuna
inquietudine
religiosa»58, ovvero di atei
pratici.
Il problema dell’ateismo
non è pertanto più concepito
solo come una questione
teoretica, per cui si nega
razionalmente Dio e si
contrappone a una visione
trascendente della realtà una
concezione immanentistica o
materialista, ma viene colto
purenelsuoaspettopraticoe
vitale
che
concerne
direttamente il rapporto
dell’uomo
con
il
soprannaturale,dalcuirifiuto
deriva la negazione di tutti i
valori
fondanti
della
condizioneumana.Sitrattain
sostanza di un approccio
all’analisi
teologicometafisica
dell’ateismo
parzialmenteinnovativonella
tradizione
cattolica,
di
un’interpretazione
antropologica-assiologica e
per certi versi esistenziale,
che conclude affermando il
prevalente
carattere
umanistico e postulatorio
della non credenza in epoca
moderna. Invece «se l’uomo
esiste è perché Dio lo ha
creato per amore e, per
amore, non cessa di dargli
l’esistenza;el’uomononvive
pienamente secondo verità se
non riconosce liberamente
quell’amore e se non si
abbandona
al
suo
Creatore».59
La Gaudium et Spes
insomma, pur confermando
com’era
inevitabile
la
condanna dell’ateismo, si
inoltra più a fondo nella
diagnosi delle sue diverse
manifestazioni (sistematico,
pratico,
agnostico,
umanistico-prometeico ecc.)
teseaesaltarelalibertàdiun
uomo«fineasestesso,unico
artefice e demiurgo della
propria storia»60,
nella
consapevolezza che gli atei e
l’indifferenza
religiosa
rappresentano per la Chiesa
contemporanea
degli
antagonisti
molto
più
pericolosi di quanto fu il
paganesimo per la Chiesa
delle origini. La Costituzione
sisoffermainoltresullecause
generative dell’ateismo, che
ancor prima che teoriche o
teoretiche sono storicoesistenziali,
sono
cioè
strettamente correlate alla
condizione esistenziale e
culturaledell’uomodelnostro
tempo: un eccesso di
razionalismo e di scientismo
conduce i singoli individui a
ritenersi essi stessi un valore
assoluto e a fare di Dio
un’illusione o un’ipotesi
tipica
di
un’epoca
prescientifica.Peraltrononsi
trascuranemmenoilfattoche
l’ateismo
universalmente
inteso deriva da fattori
molteplici e tra questi «va
annoverata
anche
una
reazione critica contro le
religioni»,
specialmente
quella cristiana. Non è
dunque
ammissibile
nascondereenascondersiche
alla «genesi dell’ateismo
possonocontribuirenonpoco
i credenti», soprattutto se
hanno mancato di curare la
propria fede, mettendo in
mostrai«difettidellapropria
vita religiosa, morale e
sociale»61.
Nel trattare quello che
viene definito «ateismo
sistematico», dopo aver
esaminato la sua versione
antropologica
e
antropocentrica
la
CostituzioneGaudiumetSpes
non dimentica quella socio-
politica, che punta alla
liberazione
economicosociale degli esseri umani e
che considera la religione un
pericoloso
ostacolo
da
eliminare
con
determinazione,
com’è
appunto accaduto nei regimi
totalitari.
Alla
Chiesa
cattolicanonèevidentemente
consentito di non assumere
verso queste dottrine atee un
atteggiamento di ferma
riprovazionecomeinpassato;
e tuttavia, rispetto a quanto
avvenuto in precedenza, si
deve sforzare di più per
«scoprire le ragioni della
negazione di Dio che si
nascondononellamentedegli
atei»epersuadereancheinon
credenti
che
«il
riconoscimento di Dio non si
oppone in alcun modo alla
dignità dell’uomo, dato che
questa dignità trova proprio
inDioilsuofondamentoela
suaperfezione».
Nel
nuovo
spirito
ecumenicodelVaticanoII,la
costituzione
pastorale
GaudiumetSpesconcludesul
tema
dell’ateismo
con
un’apertura al dialogo anche
versoinoncredentieconuna
condanna
di
qualsiasi
discriminazioneideologicada
qualunque parte provenga:
«La Chiesa, pur respingendo
inmanieraassolutal’ateismo,
tuttavia
riconosce
sinceramente che tutti gli
uomini, credenti e non
credenti, devono contribuire
alla giusta costruzione di
questo mondo […]. Ciò non
puòavveniresenzaunlealee
prudente dialogo. Essa
pertanto
deplora
la
discriminazionetracredentie
non credenti»62. Tuttavia
dopo il Concilio Vaticano II,
contestualmente
con
il
tentativospessonaufragatodi
aprire
un
confronto
costruttivo con gli atei e gli
agnostici, è costantemente
aumentata nel Magistero la
preoccupazione
per
l’estendersi
di
una
secolarizzazione che tende
come minimo a «mettere tra
parentesi» Dio. Paolo VI,
nell’esortazione apostolica
EvangeliiNuntiandidel1975,
ha ad esempio sottolineato il
pericolo insito in «una
concezione del mondo, nella
quale questo si spiega da sé
senza che ci sia bisogno di
ricorrere a Dio, divenuto in
tal modo superfluo e
ingombrante. Un simile
secolarismo, per riconoscere
il potere dell’uomo, finisce
dunque col fare a meno di
Dio e anche col negarlo». A
tale fenomeno fanno seguito
le nuove forme di ateismo
«nonpiùastrattoemetafisico,
ma
pragmatico,
programmatico
e
militante»63,chetrovaterreno
assai fertile nella moderna
società consumistica ed
edonistica.
Nell’ambito magisteriale
del
post-concilio
è
intervenuto a più riprese sul
problema dell’ateismo papa
Giovanni Paolo II (1920-
2005). Karol Wojtyła si era
già occupato da teologo
morale delle questioni poste
alla coscienza cristiana dalla
forte
presenza
nella
modernità di individui che
negano
apertamente
l’esistenza di Dio; vi ritorna
quindi
da
pontefice
nell’enciclica Dominum et
Vivificantem del 1986, dove
critica
il
pensiero
materialistico che ha portato
l’uomo contemporaneo a
perderedivistaladimensione
dellospirito.Quisisottolinea
come «un vero e proprio
materialismo, inteso come
teoria che spiega la realtà e
assunto come principiochiavedell’azionepersonalee
sociale, ha carattere ateo»,
sebbene tuttavia non si
manchi poi correttamente di
precisare «che non si può
parlare dell’ateismo in modo
univoco, né si può ridurlo
esclusivamente alla filosofia
materialistica»64. Sui riflessi
atei del materialismo e del
socialismo reale Giovanni
Paolo II torna nell’enciclica
Centesimus Annus del 1991
(pubblicata nella ricorrenza
del centenario della Rerum
NovarumdipapaLeoneXIII)
e qui affronta il problema
dell’ateismo moderno quale
riflesso del razionalismo
illuministico,«checoncepisce
la realtà umana e sociale in
modo meccanicistico». Vi si
afferma con nettezza che «la
negazione di Dio priva la
persona del suo fondamento
e, di conseguenza, induce a
riorganizzare l’ordine sociale
prescindendo dalla dignità e
responsabilitàdellapersona»,
negando così nel contempo
«l’intuizione ultima circa la
vera grandezza dell’uomo, la
sua trascendenza rispetto al
mondodellecose»65.
Nella lettera enciclica
Fides et Ratio pubblicata nel
1998
s’incontra
infine
un’interessante
lettura
dell’ateismoincontinuitàcon
la
tradizione
cattolica
precedente.Inessa,dopoaver
notatocomenonsiaesagerato
«affermare che buona parte
del
pensiero
filosofico
moderno si è sviluppato
allontanandosi
progressivamente
dalla
Rivelazionecristiana»enella
scienza si sia imposta «una
mentalità positivista che […]
ha lasciato cadere ogni
richiamo
alla
visione
metafisica e morale», si
rimarca maggiormente la
relazione tra ateismo e
nichilismo inteso quale
«conseguenza della crisi del
razionalismo». Si mette
inoltre in luce come tale
filosofia del nulla, negando
Dio, finisca per trasformarsi
in «negazione dell’umanità
dell’uomo e della sua stessa
identità».Tuttofacapoinfatti
al dominante «principio di
immanenza», che se da un
latohaportatoalripudiodella
trascendenza
e
all’irrazionalismo, dall’altro
ha reso senza fondamenti
l’esistenzaumana.66
Guardano alla condizione
dell’uomo contemporaneo e
alla
crisi
dei
valori
conseguentiallefilosofieatee
o agnostiche anche molte
delle altre interpretazioni più
recenti dell’ateismo espresse
da pensatori cristiani e che
hanno
sicuramente
influenzato il magistero
cattolico dopo il Concilio
Vaticano II. Uno di questi
pensatori è probabilmente il
già menzionato Charles
Taylor, che ha di recente
contribuito a condurre la
riflessione teologica verso la
presad’attodellanecessitàdi
confrontarsi, con altro spirito
e con altri mezzi, con una
società moderna che ha
radicalmente cambiato il
modo di vivere e soprattutto
di concepire se stessi degli
esseri umani. Il filosofo
canadese si preoccupa infatti
che«nellanostraChiesacisia
sempre il pericolo di
ricondurre a un numero
limitato la diversità delle
vocazioni, dei modi di
vivere»67,
mentre
la
secolarizzazione imperante
trasforma perfino gli spazi
pubblici,
che
risultano
«svuotatidiDioodiqualsiasi
riferimento
alla
realtà
ultima», muta «le norme e i
principi che seguiamo, le
deliberazioni in cui ci
impegniamo
allorché
operiamo all’interno delle
diverse sfere di attività
(economica,
politica,
culturale,
educativa,
professionale, ricreativa)»68,
che in genere non fanno più
alcunriferimentoaDiooalle
credenze religiose, bensì alla
razionalità
del
singolo
contesto, se non all’arbitrio
della singola coscienza. Per
rispondere al meglio da
cristiani
a
questo
stravolgimento
secolare
occorre invece concepire la
Chiesa in modo aperto e
plurale, ossia come «un
vivaio di iniziative»69 che fa
irraggiarel’agapenelmondo.
4.Vecchienuoviateismi
Sebbene per qualcuno
l’ateismo
risulti
«estremamente facile da
definire
perché
è
semplicemente la credenza
che non esistano Dio o gli
dei»70, la sua nozione
presenta in realtà come
sappiamounacertavarietàdi
sfaccettature e sfumature che
vanno dalla distinzione
propostadalteologocattolico
Marcel Neusch tra «ateismo
relativo» (si limita a negare
unacertaideaoimmaginedel
divino, per esempio quella
teista) e «ateismo assoluto»
(negaradicalmentel’esistenza
di qualsiasi divinità)71, a
quella ormai classica di
«ateismo pratico» e «ateismo
teorico o teoretico». Noi
pensiamo che l’ateismo
relativooinsensodebolenon
sia necessariamente una
forma autentica di ateismo,
perché anche il deista rifiuta
le divinità teistiche o delle
religioni positive, ma nello
stesso
tempo
afferma
l’esistenza di un Dio della
ragione principio o causa del
mondo.L’ateismopraticoèa
sua volta, come si è visto,
sicuramente meritevole di un
approfondimento psicologico
e sociologico, ma si presta
meno a essere oggetto di
un’analisi speculativa, come
si può effettuare invece per
l’ateismo teorico o teoretico.
D’altrondec’èstatochitragli
stessi esponenti dell’ateismo
ha messo apertamente in
discussione il fatto che i non
credentipraticiogliindividui
indifferenti al problema
teologico
siano
da
considerarsi veri atei e ha
concluso che «una vita
vissuta semplicemente senza
Dio non basta per definire
qualcuno
ateo».72
Considerato tutto questo,
d’ora in poi ci interesseremo
in
maniera
pressoché
esclusiva
degli
atei
intellettualmenteconsapevoli,
ossia quelli che contro Dio
apportano tesi o ragioni
esplicite; in breve ci
occuperemo del solo ateismo
teoretico.
Gli
atei
teorici
normalmente
negano
l’esistenza di un Ente
supremo o ne respingono
l’ipotesi
seguendo
un
processo argomentativo che
pretendediessererazionalee
quindi logico, rispetto al
quale deve pertanto risultare
sempre possibile un esame
critico e confutatorio. Di
solito il punto di partenza
delle loro argomentazioni è
costituito da un tentativo di
falsificare
le
prove
tradizionali dell’esistenza di
Dio o comunque di
dimostrarle
inconcludenti,
tanto che in questo caso
possiamo parlare di «ateismo
critico»; tuttavia come al
solito non mancano anche
percorsidiversiedeterodossi.
Addentrandoci nelle intricate
viedell’ateismoteoretico,nel
sostenere
l’impossibilità
dell’esistenza
di
Dio
incontreremo da parte degli
atei un impegno e una
passioneparagonabiliaquelle
di molti credenti in difesa
della loro fede. Sicuramente
alcuni atei teorici sono stati
uominidigrandeingegnoche
dopoaverragionatointornoa
interrogativi metafisici ed
esistenziali,
dopo
aver
mentalmente indagato la
nozione di Dio, non hanno
conseguito una risposta
positiva e l’hanno pertanto
respinta come falsa o
infondata. Il loro motto
potrebbe essere questo:
Quaesivi et non inveni: deus
nonest!(Hocercatoenonho
trovato:Diononesiste!).73
Prima di procedere oltre,
dobbiamo però tentare una
classificazione almeno di
massima
delle
diverse
tipologie di ateismo; e
purtroppo
l’impresa
è
tutt’altro che semplice,
almenoagiudicaredaquanto
èstatoprodottodacoloroche
nel corso dei secoli ci hanno
provato.Andandoindietronel
tempo, il primo grande
filosofochehaformulatouna
distinzione tra i possibili
modi di essere ateo è stato
Platone nel dialogo intitolato
Leggi, dove si pone la
questione della necessità che
il buon legislatore sappia
dimostrare
e
difendere
l’esistenza degli dei. In esso
si individuano almeno tre
formediateismo:
– la negazione dell’esistenza
di qualsiasi divinità («Alcuni
dei nostri non credono per
nullaneglidei»);
– il rifiuto della divina
provvidenza («Essi [gli dei],
pur esistendo, non si
occupano delle faccende
umane»);
– lo scetticismo radicale
rispetto al fatto che gli dei si
mostrino
sensibili
alle
pratiche di culto («Pur
occupandosene [del genere
umano], non sono facilmente
placabili con sacrifici e
preghiere»).74
Parequideltuttoesplicito
che la forma di ateismo
corrispondente alla nostra
odiernaconcezioneèsoltanto
la prima (il diniego
dell’esistenza di qualsivoglia
divinità), la quale implica
pure la negazione di un
principiorazionaleordinatore
delle cose perseguito tanto
dalla filosofia platonica
quanto da quella aristotelica.
Lealtredueformeinfattinon
negano espressamente la
presenza degli dei, ma si
oppongono a specifiche
credenze sulla loro natura (la
provvidenzaelamisericordia
a seguito di atti di
devozione),delcuivaloreper
altrohannodiscussoetuttora
discutono tanti teologi e
filosofi credenti e non
credenti.
Saltando invece all’epoca
dell’Illuminismo
ci
imbattiamo in Denis Diderot,
il quale pensò bene di
suddividere gli atei in tre
gruppi:
– atei autentici (les vrais
athées);
– atei scettici (les athées
sceptiques);
–ateipratici(lesfanfaronsdu
parti).75
Iveriateisonocoloroche
chiaramente e apertamente
affermanocheDiononesiste,
mentre gli atei scettici
ricordanogliagnosticiperché
ritengono di non potersi
esprimere
sull’argomento.
Quelli che noi oggi
consideriamoateipraticisono
inveceapostrofatidalfilosofo
illuministacome«fanfaroni»,
essendo coloro che contano
sulfattocheDiononcisiain
quanto si comportano già
come se non esistesse.
Quando effettua questa
classificazione Diderot è
ancora nella fase deista
(successivamente approderà
all’ateismoprobabilisticoeal
materialismo
evoluzionistico),
pertanto
commisera gli atei autentici
per la loro esistenza priva di
qualsiasi consolazione e
«prega Dio» per gli atei
scettici «privi di lumi
(manquentdelumières)»,che
magaripensanodirisolverela
questione ricorrendo alla
sorte ovvero al pari e al
dispari. Inutile dire, infine,
che egli disprezza fortemente
gli atei pratici o fanfaroni,
perchésonofalsipureconse
stessi e presuntuosi oltre
misura.
Venendo rapidamente ai
giorni nostri, rintracciamo
qualcosa di simile alla
distinzione platonica nel
filosofo Wilhelm Weischedel
e nella sua dicotomia tra
«ateismo moderato» (detto
talvolta «ateismo debole») e
«ateismo estremo» (detto
anche «ateismo forte»): il
primosilimitaarespingerela
dottrina cristiana su Dio, in
particolare l’idea di un Diopersona che per essenza è
provvidenteemisericordioso;
ilsecondonegaogniesseredi
carattere divino e quindi
rifiuta l’esistenza di Dio a
prescindere
dalla
specificazione dei suoi
attributi. Come tuttavia
riconosce lo stesso pensatore
tedesco,
per
l’ateismo
moderato o debole è
inappropriato impiegare il
concetto di ateismo: è
soltanto
«uno
pseudoateismo» perché può
includere in sé tanto i
panteisti alla Spinoza o
l’ateismo anomalo di Fichte
(1762-1814)76,quantoideisti
alla Voltaire che sicuramente
non sono atei. Weischedel
ritiene che tutti coloro che
come lui intendono porsi
nellaposizionediun«onesto
filosofare che si impegni a
evitareognipresupposto»non
possono «neppure partire
dall’idea
di
un
Dio
personificato» e quindi si
devono mettere inizialmente
proprio «dal punto di vista
dell’ateismo moderato»77; il
cherammentamoltolaforma
diateismodell’etsiDeusnon
daretur,
ossia
«metodologico»
o
«metodico», talvolta però
assai simile all’ateismo
praticooall’agnosticismo.78
Questa ambiguità è ancor
più evidente nel filosofo
inglese Antony Flew (19232010), passato in varie
maniere all’onore delle
cronache per essere stato
primaateomilitanteepoiper
essersi ricreduto diventando
nel2005ufficialmentedeista.
Anch’egli ha infatti distinto
tra un «ateismo forte» o
«positivo»,
che
nega
apertamente l’esistenza di
qualsiasi divinità ovvero
l’idea di Dio in senso lato, e
un «ateismo debole» o
«ateismonegativo»,standoal
qualenonsipuònéverificare
né
falsificare
qualsiasi
affermazionesull’esistenzadi
Dio e in particolare non si
puòdimostrarelapresenzadi
una specifica divinità, come
ad esempio il Dio cristiano.
Quest’ultima
forma
di
ateismo
viene
detto
«negativo»nelsensodi«non
affermativo»,poichésilimita
a non ammettere per vero un
concetto altrui di Dio ovvero
nello specifico quello dei
teisti
(ebrei,
cristiani,
musulmani). È pertanto
denominato da alcuni «ateismo»: qui l’alfa privativo
significa che l’ateo non può
asserire o accettare le tesi
teiste, in quanto le reputa
falseoinfondate.79
Vatuttaviaribaditochese
è ammissibile l’ateismo della
versione positiva o forte,
meno probabile è l’ateismo
della versione negativa o
debole, perché come si è
detto vi potrebbero rientrare
tranquillamente tanto gli
agnostici quanto i deisti e i
panteisti.80Delrestolostesso
Flew nel Dictionary of
Philosophy (1979) da lui
curato, pur riportando la tesi
secondo la quale «l’ateismo
esiste solo in relazione a una
certa
concezione
della
divinità», riconosce che
«l’etichetta
“ateo”
è
comunemente […] applicata
senza specificazioni solo a
chi nega Dio in tutti i sensi
ammessidagliusicorrentidel
termine»81,
quindi
esclusivamente agli atei in
senso forte o positivo. Per
completezza rammentiamo
che la distinzione tra
«ateismo
negativo»
e
«ateismo positivo» è stata
utilizzata con altri significati
concettuali e probabilmente
perlaprimavoltadalteologo
protestante
Dietrich
Bonhoeffer.
Costui
considerava«senzasperanza»
il modo negativo di essere
ateo,perchésirinchiudenella
pura negazione di Dio e
sfocia nel nichilismo; mentre
riteneva «pieno di speranza»
l’ateismo positivo, in quanto
può contribuire a purificare
una
nozione
troppo
strumentale del divino (il già
menzionato
«Dio
tappabuchi»).82
Antony Flew da ateo è
stato pure un sostenitore del
cosiddetto
«ateismo
stratoniano» (da Stratone di
Lampsaco,
filosofo
e
naturalista peripatetico attivo
nel IV-III sec. a.C., forse di
orientamento empirista), che
afferma che l’onere della
provacircal’esistenzadiDio
e in particolare di una
specifica divinità ricade
totalmente sul teista: «Tocca
a lui introdurre quel concetto
di Dio che ritenga necessario
e tocca a lui trovare la prova
perdimostrarecheilconcetto
da lui scelto ha una
corrispondenza
nella
realtà»83. Questo stesso
argomento da brocardo
giuridico è rintracciabile in
uno straordinario scritto del
poeta panteista Percy Bysshe
Shelley
(1792-1822)
intitolato
La
necessità
dell’ateismo (1811), in cui
lapidariamente si dichiara:
«Dio è un’ipotesi e, come
tale, abbisogna di prove:
l’onus probandi spetta al
teista»; infatti «sir Isaac
Newton dice “Hypotheses
non fingo” […] e il
newtoniano convinto è
necessariamenteateo»84,cioè
non formula congetture di
sortasuldivino.
Se il richiamo a Isaac
Newton avviene in parte a
sproposito dal momento che
il grande scienziato inglese
era in realtà un fervente
credente, la tesi stratoniana è
tuttavia conseguente al
concetto di ateismo negativo
così
come
l’abbiamo
delineato, perché se l’ateo si
limitaanonasserirealcunché
di quanto sostiene il teista,
ricade allora solo su
quest’ultimo l’obbligo di
provareciòcheafferma,ossia
l’esistenza di un Dio
personale.Questaposizioneè
stata denominata da Flew
«presunzione di ateismo»,
perchévisipostulache«una
discussione sull’esistenza di
Dio debba iniziare col
supporre
[presumere]
l’ateismo». Tuttavia, la sua
forza
confutatoria
nei
confronti del teismo è stata
ridimensionata dallo stesso
filosofo inglese dopo la sua
conversione al deismo con le
seguentichiareparole:
Dovrei puntualizzare ora
che, diversamente dalle
mie
altre
tesi
antiteologiche,
l’argomentazioneafavore
della presunzione di
ateismo può essere
accettata dai teisti in
modo coerente. Date le
ragioni appropriate per
credere in un Dio, i teisti
non commettono alcun
peccato filosofico nel
credervi! L’ipotesi di
ateismo è al meglio un
punto
di
partenza
metodologico, non una
conclusioneontologica.85
Dell’ateismo
metodologico ha trattato
Cornelio
Fabro,
acuto
indagatore
dell’ateismo
contemporaneo. Nel già
menzionato saggio intitolato
Introduzione
all’ateismo
moderno effettua infatti
un’analisi penetrante delle
diversemodalitàdiessereatei
nellasocietàcontemporaneae
pervieneall’individuazionedi
quattrocategoriediateismo:
–fenomenologico;
–psicologico;
–pedagogicoodidattico;
–metodologico.
Per le prime tre tipologie
indicate da Fabro ricordiamo
in breve che nell’ateismo
fenomenologico la coscienza
del singolo individuo nel suo
primo
manifestarsi
«si
presenta vuota di ogni
contenuto» e tende quindi ad
autofondarsi senza ricorrere
alla nozione di Dio.
Nell’ateismo psicologico Dio
viene invece accantonato,
perché
nella
sua
incommensurabilità esorbita
qualsiasi nostra possibilità di
intuizione mentale; mentre
con l’ateismo pedagogico o
didattico viene escluso che
«l’esperienza, la conoscenza
e il sentimento dell’uomo»
possano
incontrare
direttamente Dio, bensì
soltanto
entità
finite,
mondane, che sono pure il
solo contesto della vita
immediata.
È appunto alla quarta
tipologia
dell’ateismo
metodologico, inteso come
esclusione dell’ipotesi di Dio
nella spiegazione del mondo,
che Fabro dedica maggiore
attenzioneperchéesercitauna
forte influenza sul sapere
scientifico che domina la
modernità. Con questa forma
di ateismo un metodo valido
soltanto nell’ambito delle
scienze naturali e in generale
dello studio degli oggetti
empirici
viene
illegittimamente trasformato
in un’affermazione di portata
ontologica ed esistenziale,
quindi
tanto
extrametodologica quanto extrascientifica. Occorre invece
distinguerelecompetenzeei
metodi della scienza dai
problemi ontologici e di
senso; questi ultimi se non
investono
il
metodo
scientifico,
interessano
tuttavia l’individuo umano in
quanto
perennemente
coinvolto in un search for
meaning, in una ricerca e
bisogno di significato per la
propria esistenza. «Se la
scienza come tale – osserva
correttamente Cornelio Fabro
– non trova Dio nell’oggetto
proprio della sua indagine,
ciò non esclude […] che lo
scienziato stesso come uomo
si ponga il problema di Dio,
ossia il problema del senso e
fondamentoultimodelleleggi
edeifenomeninaturali»86.
Anche Étienne Gilson
contesta qualsiasi valore a
quello che chiama «ateismo
scientifico» e che in effetti
corrisponde
per
lui
all’ateismo
metodologico,
perché lo reputa un
atteggiamento personale di
alcuni soggetti che ritengono
importanti
soltanto
le
questioni che possono essere
trattate
con
metodo
scientifico,
mentre
respingono come insensate o
mitologiche tutte le credenze
di tipo teologico e religioso.
In realtà secondo Gilson «gli
spiritireligiosisonoabituatia
pensare che le rivoluzioni
scientifichenonriguardanoin
nulla la verità religiosa» e
quindi che i risultati della
scienzanoncompromettonoe
nonconfutanoinalcunmodo
lafedereligiosaolacredenza
inDio:
Che il mondo della
creazione sia quello di
Tolomeo, di Galileo, di
Cartesio, di Newton, di
Darwin, di Einstein, in
attesa di divenire quello
di qualche altro, la
coscienzareligiosanonha
da preoccuparsene. Fatto
esperto di tante crisi, il
credenteanchenonmolto
istruito si è abituato
all’ideachel’universoche
Dio ha creato è quello
della scienza, almeno
nella misura in cui
quest’ultimo è anche
l’universoreale.87
AncorprimadiFabroedi
Gilson, ha proposto una sua
personale distinzione degli
ateismi Jacques Maritain.
Rispettoall’ateismoteoretico,
ovvero al «contenuto logico
delle diverse filosofie atee»,
Maritain
distingue
sostanzialmente due forme:
un «ateismo negativo» e un
«ateismo
positivo».
L’ateismo negativo consiste
in un rifiuto puro e semplice
dell’idea di Dio, «sostituita
meramentedaunvuoto»,edè
tipico di pensatori come i
libertini del XVII secolo o il
marcheseDeSade,nonfosse
altroperchédalpuntodivista
etico consente all’individuo
unalibertàtotale,glipermette
«di fare tutto ciò che piace».
L’ateismo
positivo
si
concretizza per contro in una
vera e propria «lotta attiva
contro tutto ciò che richiama
Dio» ed è quindi prima di
tutto un «anti-teismo»: esso
sostituisce la fede in un ente
divinoconquellainun’utopia
terrena o in un’ideologia
politica, come ad esempio
capita nell’ateismo tragico di
Friedrich Nietzsche oppure
nell’ateismo esistenzialista di
Jean-Paul Sartre o di Albert
Camus o ancora nell’ateismo
rivoluzionariomarxista.88
Dei termini «positivo» e
«negativo» per distinguere le
differenti maniere di essere
ateo si avvale a suo modo
l’altro grande interprete
italiano
dell’ateismo:
Augusto Del Noce. A lui si
devono però altre numerose
distinzioni e puntualizzazioni
all’internodellagalassiadegli
ateismi contemporanei, delle
quali la più conosciuta è la
classificazione fondata su tre
archetipi:
– ateismo negativo o
nichilistico;
–ateismopositivoopolitico;
– ateismo tragico o «follia
filosofica».
L’ateismo negativo o
nichilistico è anche detto da
Del Noce «notturno» e ha
quale
suo
esponente
esemplare il filosofo tedesco
Arthur Schopenhauer, con la
sua filosofia pessimistica e
talvolta definita in modo
apparentemente
contraddittorio
«ateismo
religioso». Viene considerato
invece «diurno» l’ateismo
positivo o politico, che ha
come
suoi
campioni
esemplari gli illuministi alla
Denis Diderot o l’umanismo
di
Ludwig
Feuerbach.
L’ateismo tragico, ovvero
«quella particolare “follia
filosofica” inaccessibile agli
psichiatri», è la forma più
rara poiché in tutta la storia
umana sarebbe rintracciabile
solo in due figure di atei:
l’insuperabile
Friedrich
Nietzsche e il solitario
filosofo francese JosephLouis-Jules Lequier (1814-
1862).89
Di ateismo politico ha
parlato pure il teologo
contemporaneo Hans Küng,
al quale si deve una doppia
classificazionedegliateismi:
– umanistico, politico e
scientifico;
– antropologico, politico e
psicoanalitico.
La prima distinzione si
riferisceaitretipididomande
chefinisceperporsichideve
decideretralafedeinDioeil
suo rifiuto; precisamente:
domande della morale per
l’ateismo
umanistico,
domande della politica per
l’ateismo politico e domande
della scienza per l’ateismo
scientifico. La seconda
classificazione rimanda alle
figure di alcuni rilevanti
pensatori
atei
dell’età
contemporanea,
ovvero:
Ludwig
Feuerbach
per
l’ateismo antropologico, Karl
Marxperl’ateismopoliticoe
Sigmund Freud per l’ateismo
psicoanalitico. Singolare è
poi il fatto che Küng
consideri il nichilismo di
Nietzsche
come
una
conseguenza
dell’ateismo
piuttosto che come una
maniera peculiare di essere
ateo.90
Di
recente
le
interpretazioni del nuovo
ateismo hanno fatto ancora
ricorso alla distinzione tra
«ateismo
negativo»
e
«ateismo positivo» per
individuarenellaprimaforma
il modo di essere atei tipico
del passato e nella seconda
l’atteggiamento
dell’ateo
teorico del XX secolo. Prima
del ’900 l’ateismo sarebbe
risultatonegativointremodi:
«In primo luogo definiva la
suavisionedelmondopiùnei
termini di ciò che non era,
cheneiterminidiciòcheera
[…]; in secondo luogo l’ateo
spessoguardavaasestessoin
modo negativo […]; in terzo
luogo difendeva la propria
posizionenegativamente,cioè
attaccando la religione». Il
cambiamento operato dai
nuovi atei consisterebbe
invece nello «sviluppare e
presentare le loro visioni del
mondo in positivo»91; e ciò
avrebbe prodotto quello che
viene definito «secolarismo»,
qui di fatto concepito come
sinonimo di naturalismo.
Questa
è
tuttavia
un’interpretazione discutibile
sia perché in passato non
sono mancati gli atei che
hannosostenutoinpositivola
loro concezione di un ordine
cosmicosenzaDio,siaperché
identificare secolarismo e
naturalismo fino a renderli
terminisinonimicièscorretto
tanto storicamente quanto
teoricamente.
Di altri studiosi italiani
che
hanno
riflettuto
sull’ateismo meritano infine
di essere almeno citate le
classificazioni di Nicola
Abbagnano (materialistico,
scettico,
panteistico,
pessimisticoeumanistico),di
Gianfranco
Morra
(scientifico,
postulatorio,
della sofferenza; oppure
assimilatorio, dissolutorio, di
sostituzione) e Battista
Mondin
(antropologico,
scientifico,
socio-politico,
semantico, utopico, teologico
e nichilistico).92 Influenzata
dal pensiero di Rosmini e di
Michele Federico Sciacca
(1908-1975), Anna Maria
Tripodi preferisce infine
parlare
di
tre
«vie
all’ateismo”:
la
via
dell’oscuramentodellaverità;
la via della reificazione
antropologicaematerialistica;
la
via
fattizia
del
pragmatismo.93
5.Metamorfosidell’ateo
Da questo sintetico
excursus
su
alcune
classificazioni proposte per
l’ateismo,dobbiamoprendere
atto dell’obiettiva difficoltà a
cui va incontro qualsiasi
tentativo di catalogare i
diversi modi di essere ateo.
Reputiamo
comunque
opportuno per una migliore
esposizione
critica
dell’ateismo procedere sulla
base di una classificazione
quantomenoorientativa,ossia
da assumere quale strumento
ipotetico di analisi di un
fenomeno assai complesso e
in continua evoluzione. Va
altresì ribadito in premessa
chepernoil’ateoècoluiche
– secondo le parole del
filosofo inglese Thomas
Hobbes (1588-1679)94 –
«directe negaverit Deum
esse» (avrà direttamente
negato l’esistenza di Dio); e
pertanto confermiamo di non
includere qui tra gli atei i
panteisti e gli agnostici.
L’ateismo
autentico
si
caratterizza allora non tanto
perilrifiutodiunacertaidea
tradizionale di Dio o di
opporsi a una determinata
confessione religiosa, quanto
per la negazione esplicita di
qualsiasiformadidivinità.
In
tale
ottica,
l’agnosticismosottoilprofilo
teorico non rappresenta
un’aperta
negazione
dell’esistenza di Dio, ma più
semplicemente
una
sospensione del giudizio
sull’argomento (scetticismo
metodico)
oppure
una
demarcazione dei limiti della
conoscenza umana tale da
impedirci tanto di provarla
quanto
di
confutarla
(kantismo). In breve, di Dio
«non solo non possiamo dire
cos’è, ma siamo parimenti
incapacididirechecosanon
è».95 Quanto al panteismo,
reputiamo sia in generale
sbagliatofarlocoinciderecon
l’ateismo o considerarlo una
suaformadissimulata,perché
in quasi tutte le sue
manifestazioni storiche il
divino assume in esso
un’identità
diversa
e
autonoma
dal
mondo
concepito in senso naturale.
Volendoportaresoloqualche
esempio, per gli stoici Dio
pervadesìtuttoilcosmoedè
immanente in tutte le cose,
marimanecomunquedistinto
quale principio attivo e
provvidente.
Questa
medesima distinzione di
principio si ritrova in altri
illustri panteisti acosmistici
quale ad esempio Hegel
reputava essere Baruch
Spinoza, perché nel suo
sistema filosofico «il mondo
viene determinato come un
semplice fenomeno [di Dio],
a cui non spetta realtà
effettiva»96; e pressoché la
stessa
cosa
possiamo
affermare di Plotino. Può
invece dirsi controversa la
definizione della filosofia di
GiordanoBruno(1548-1600),
dovesiincontraunpanteismo
naturalistico che parrebbe
tendere a divinizzare la
natura. Cionondimeno, in
certe sue espressioni il
filosofo nolano sembra
distinguerechiaramenteDioe
il cosmo, come nel passo
seguente: «Io dico Dio “tutto
infinito”,perchédaséesclude
ogni termine, et ogni suo
attributo è uno et infinito; e
dico
Dio
“totalmente
infinito”,perchétuttoluièin
tutto il mondo, e in ciascuna
sua parte infinitamente e
totalmente; al contrario
dell’infinità dell’universo, la
quale è totalmente in tutto, e
non in queste parti […] che
noipossiamocomprenderein
quello».97 Soltanto qualora si
reputassero atei tutti coloro
che negano la presenza di un
Dio personale come quello
ebraico-cristiano oppure di
divinità antropomorfe come
gli dei pagani o teriomorfe e
zoomorfecomequelleegizie,
si potrebbe includere tra gli
ateismi anche il panteismo;
ma in questi casi siamo
piuttostoinpresenzadiforme
di anti-teismo e non di
ateismo, almeno secondo
l’estensione concettuale con
cuil’abbiamodefinito.Nonè
pertanto condivisibile una
posizione come quella del
neopositivista Ernest Nagel
(1901-1985), che col termine
«ateismo» intendeva «una
critica e un rifiuto delle più
importanti affermazioni di
tutte le varietà di teismo»98,
perché in questo modo
andrebberoinclusitragliatei
pure i deisti che invece atei
nonsono.
Lesvariateinterpretazioni
dell’ateismo in precedenza
esaminate hanno messo in
luce come l’individuo umano
possa diventare ateo a causa
di esperienze personali o di
concezioni del mondo che lo
portano a rifiutare Dio per
indifferenza verso un senso
trascendente della propria
esistenza,perunaesigenzadi
libertà
assoluta,
per
tracotanza o sovrastima della
propria condizione, per lo
scandalo della sofferenza
innocente in natura, per la
presenzadell’ingiustiziaedel
male morale. Sotto il profilo
strettamente teoretico, nelle
diverse
connotazioni
dell’ateismo
ricorrono
essenzialmente tre critiche
contro l’esistenza di Dio:
l’indimostrabilità,
l’impossibilità,
e
l’inopportunità.
Nel primo caso si pone
una questione gnoseologica:
la presenza di Dio non può
essere conseguita per via
dimostrativa e, a differenza
degli agnostici, si ritiene di
possederesufficientielementi
oggettiviingradodispiegare
in altro modo l’esistenza del
mondo. Nella seconda critica
si
fa
ricorso
ad
argomentazioni logiche: il
concetto di Dio è in sé
contraddittorio (come nel
caso
del
paradosso
dell’onnipotenza)99 o in
contraddizioneconalcunidati
di fatto quali quello
dell’inconciliabilità
dell’onniscienzaconlalibertà
umana e della bontà assoluta
con la sofferenza degli
innocenti. La terza critica
infine è di tipo eticoantropologico:larealtàdiDio
è
inopportuna
perché
contrasta nell’aspetto pratico
con la possibilità dell’uomo
di essere libero (se esistesse
un Essere onnipotente e
onnisciente, gli uomini
sarebbero suoi burattini) e
con la presenza del male nel
mondo.
Preso atto di queste tre
argomentazioni critiche, per
classificare
i
differenti
ateismi occorre tuttavia
assumere un criterio più
ampio, che tenga conto dei
fondamenti razionali da cui
esplicitamente procedono le
tesi principali di chi nega
consapevolmente l’esistenza
di Dio. Essi sono per noi i
seguenti:
– la specificità della natura
umana;
–ilcontestopolitico-sociale;
– la scienza e la cultura
moderna;
– il problema del male e
dell’iniquità.
Insostanzavièstatoevi
èchitrovaiproprimotiviper
non credere in Dio nella
specificità della condizione
dell’uomorispettoaquelladi
tutti gli altri viventi; in
particolare–perusareancora
le parole del filosofo tedesco
Max Scheler – nella sua
«posizionenelcosmo»,chelo
rende «un problema per se
stesso»100,maneesaltaanche
la libertà e la centralità
ontologica. Vi sono poi
coloro che si dicono atei
partendodall’aspettopoliticosociologico,
ovvero
concentrando
l’attenzione
sull’essere umano in quanto
«animale politico», in quanto
soggetto che vive e opera in
una comunità nella quale
l’idea dell’esistenza di Dio e
di un’istituzione religiosa
hannoinevitabiliriflessisugli
equilibri
politici
e
sull’organizzazione
del
potere. Dall’800 in poi, ma
soprattutto a partire dalla
seconda metà del ’900 è
inoltre
progressivamente
cresciuto fino a diventare
predominanteilnumerodelle
persone che fondano il
proprio ateismo sui risultati
della scienza moderna, sul
fatto cioè che le conoscenze
scientifiche
renderebbero
superflua l’ipotesi Dio per
spiegarelarealtàdelmondoe
smentirebbero
inoltre
palesemente i contenuti delle
singole credenze religiose, in
particolar
modo
quelle
sull’esistenza dell’anima o
dellospirito,sullapresenzadi
una vita oltre la morte, sulla
creazione
divina
dell’universo e della specie
umana, sui miracoli e sul
soprannaturale. In tal senso,
può essere considerata atea
buonapartedellaculturaoggi
dominante
in
quanto
tendenzialmente mondana,
naturalistica e influenzata
dallo
strapotere
della
tecnologia.
Riassumendo,oggisipuò
essere atei in nome della
libertà e della dignità
dell’uomo, della giustizia
politica e della conoscenza
scientifica. In tutte queste
metamorfosi dell’ateo è
trasversalmente presente un
altro argomento su cui si
fonda il rifiuto di un ente
divino positivo o buono: la
presenza
del
male,
dell’ingiustizia,
della
sofferenzaumanainnocentee
pertalunidellastessacrudeltà
presente nell’ordine naturale.
Quello dell’iniquità del male
odeldoloreincolpevoleèdel
resto l’argomento al tempo
stesso più universale e più
forteasostegnodell’ateismo;
talmente
forte
da
rappresentare da sempre un
problemaanchepericredenti
piùrisoluti.
Con queste premesse è
possibile individuare almeno
quattrotipologieprevalentidi
ateismoteoretico:
–antropologico,
–socio-politico,
–scientistaoscientifico,
–antiteodicetico.
L’ateismo antropologico
si basa sulla peculiare
strutturadellanaturaumanae
dell’esistenza degli individui
della
nostra
specie,
interpretandola
come
contraria o incompatibile con
la presenza della nozione
stessa di Dio della cultura
occidentale.Neisuoisviluppi
piùestremi,noncisilimitaa
negare
teoreticamente
l’esistenza di Dio, ma ci si
contrapporrà
radicalmente
all’idea stessa del divino. In
questa categoria va pertanto
incluso anche il cosiddetto
«ateismonichilistico».
L’ateismo socio-politico
vede in Dio e nella religione
dei prodotti della società e
soprattuttodelpoterepolitico,
degli strumenti concettuali e
culturali atti a opprimere e
sfruttare il popolo rispetto ai
quali, se si vuole conservare
la propria libertà e dignità,
non si può non esprimere un
drasticorifiuto.Formetipiche
diquestomododinegareDio
sono
le
ideologie
ottocentesche
e
novecentesche
dell’anarchismo
e
del
marxismo nelle sue diverse
espressioni
(leninismo,
stalinismo, maoismo ecc.),
per altro anticipate da alcuni
pensatori illuministi e preilluministi.
L’ateismo scientista o
scientificosibasasuirisultati
conseguiti dalla scienza e sul
valore pressoché esclusivo
del metodo scientifico quale
forma di conoscenza o di
dimostrazionedellaverità.Le
conoscenze e le metodologie
scientifiche moderne sono
così assunte come i postulati
in grado di rendere non
soltanto superflua, ma anche
falsa l’ipotesi Dio. L’ateismo
scientifico di cui parliamo
non va confuso con quello
propagandato nei regimi
comunisti del passato, in
particolare dell’ex Unione
Sovieticanellaqualesierano
addirittura istituite delle
cattedre universitarie per
insegnarlo:
quest’ultimo
risultava infatti fondato più
sul materialismo dialettico
marxista-leninista che sul
ricorso
alle
moderne
conoscenze
scientifiche.
Nell’ateismo
scientista
faremo rientrare anche il
cosiddetto
«ateismo
semantico»,professatodachi
ritiene qualsiasi discorso su
Dio o sul soprannaturale del
tutto privo di significato; e
ciò a partire da concetti
teologico-filosofici
quali
«essere necessario», «causa
prima incausata», «motore
immobile»,
«anima»,
«spirito»eviadicendo.
L’ateismo antiteodicetico,
infine, è quello riconducibile
alla presenza del male nel
mondo e in particolare del
dolore
innocente
e
dell’iniquità,
che
renderebberoassurdalastessa
idea di un Dio buono. Il
termine«teodicea»derivadal
grecoϑεóςeδίκη(giustiziao
giustificazione o difesa),
quindi può venire inteso
come «giustizia (o difesa) di
Dio», ed è stato per la prima
volta utilizzato dal filosofo
tedesco Gottfried Wilhelm
Leibnizperintitolareunasua
famosa opera teologicofilosofica: Saggi di teodicea
sulla bontà di Dio, la libertà
dell’uomo e l’origine del
male(1710).DopoLeibnizil
vocabolo«teodicea»hafinito
per diventare sinonimo di
teologia naturale ed è ancora
oggiusatocontalesignificato
daalcunistudiosiperindicare
l’indagine razionale su Dio,
cheovviamenteincludeanche
il problema del male. Stando
agliateidell’antiteodicea,per
un qualsiasi essere divino
concepito come giusto e
addiritturacomequintessenza
del bene non vale nessuna
giustificazionealcospettodel
male, non è possibile trovare
nessun
argomento
ragionevole a sua difesa o a
sua discolpa, se non la sua
nonesistenza.
Come si può facilmente
rilevare, tre di queste forme
di
ateismo
hanno
prevalentemente per oggetto
l’uomo e precisamente:
l’antropologica, la sociopolitico e l’antiteodicetica.
Risulterà pertanto normale
trovarsi di fronte a delle
sovrapposizioni
o
commistioni tra questi tre
modi di essere atei; e per
giunta molto spesso nella
realtà ci si imbatte in atei
teorici
che
fanno
contestualmentericorsoatutti
gli argomenti delle quattro
tipologie di ateismo sopra
indicate.
Inoltre,
da
qualunque parte ci si volti e
da qualsiasi ottica si affronti
ilproblema,emergeràsempre
che l’ateismo teoretico si
caratterizza principalmente
per essere una filosofia
dell’immanenza, un tipo di
umanesimo
volto
a
emancipare l’essere umano
dall’idea
stessa
della
trascendenza o dell’Assoluto,
un’antropologia che vuole
fondarsi senza Dio e che fa
della scienza uno dei pilastri
dell’autonomia del sapere
dalla metafisica e dalla
religione.
1 Vedi S. Upson, Più credenti più
sani?, «Mente & Cervello», n. 99
(marzo2013),pp.24-31.
2 Vedi A. Newberg, E.G. D’Aquili, V.
Rause, Why God Won’t Go Away,
BallantineBooks,NewYork2001.
3D.Hamer,TheGodGene:HowFaith
is Hardwired into Our Genes,
Doubleday,NewYork2004.
4 G. Vallortigara, V. Girotto, Perché
crediamo? Le basi biologiche del
sovrannaturale, «Micromega», n.
5/2013,p.162.
5VediS.Atran,InGodWeTrust.The
Evolutionary Landscape of Religion,
Oxford University Press, Oxford 2002;
P. Boyer, Religion Explained, Basic
Book,NewYork2001.
6 Vallortigara, Girotto, Perché
crediamo? cit., p. 162. Vedi anche V.
Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara,
Nati per credere. Perché il nostro
cervello sembra predisposto a
fraintendere la teoria di Darwin,
Codice, Torino 2008; D.S. Wilson,
Darwin’s
Cathedral.
Evolution,
Religion and the Nature of Society,
University of Chicago Press, Chicago
2003; J.L. Barrett, Why Would Anyone
Believe in God?, Altamira Press,
Lanham 2004; J. Bering, The Belief
Instinct, Norton & Co., New York
2011.
7 Vedi P. Zuckerman, Society without
God,NewYorkUniversityPress,New
York2008.
8 Vedi V. Girotto, Se siamo nati per
credere, da dove vengono gli atei?,
«Micromega»,1/2014,pp.163-73.
9 Tommaso d’Aquino, Summa
Theologiae,I,q.2,a.3.VediLasomma
teologica,ESD,Bologna1996,vol.1.
10LecinqueviediTommasod’Aquino
(dettoancheDoctorAngelicusoDoctor
Communis) sono: 1. «ex parte motus»
(dal movimento o dal divenire); 2. «ex
ratione causae efficientis» (dalla causa
efficiente); 3. «ex possibili et
necessario» (dal possibile e dal
necessario); 4. «ex gradibus qui in
rebus inveniuntur» (dai gradi [di
perfezione] presenti nelle cose); 5. «ex
gubernationererum»(dalgovernodelle
cose, ovvero dall’ordine finalistico del
mondo).
11 J. Maritain, Ricordi e appunti,
Morcelliana,Brescia1967,p.22.
12 J. Maritain, Il significato
dell’ateismo
contemporaneo,
Morcelliana,Brescia1967,p.10.
13 In proposito vedi E. Nicoletti, La
possibilità dell’ateismo, in AA.VV.,
L’ateismo contemporaneo, SEI, Torino
1967-1970,vol.II,pp.289sgg.
14J.Maritain,Ragioneeragioni,Vitae
Pensiero,Milano1982,pp.126-31.
15 J. Maritain, Umanesimo integrale,
Borla,Roma1980,pp.84-85.
16 C. Ferraro, CornelioFabro, Lateran
University Press, Città del Vaticano,
2012,p.192.
17 C. Fabro, Introduzione all’ateismo
moderno,Studium,Roma1969,p.9.
18 C. Fabro, Editoriale, «Civiltà
Cattolica»,5maggio1984,p.210
19 Fabro, Introduzione all’ateismo
modernocit.
20 Vedi A. Del Noce, Il problema
dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1990,
p.336.
21Ivi,p.14.
22É.Gilson,L’ateismodifficile,Vitae
Pensiero, Milano 1983, p. 22. La
proclamazione della «morte di Dio» si
trova in F. Nietzsche, La gaia scienza,
libro III, par. 125, Adelphi, Milano
1997,pp.129-130.Vedereinfra,cap.3,
par.4.
23C.Tresmontant,L’ateismoinquesta
fine di XX secolo dal punto di vista
scientifico e razionale, in AA.VV.
L’ateismo. Natura e cause, Massimo,
Milano1981,p.138.
24 C. Tresmontant, Les problèmes de
l’athéisme,Seuil,Paris1972,p.438.
25 A. Vergote, Psicologia religiosa,
Borla,Roma1979,pp.261-62.
26 A. Vergote, Religione, fede,
incredulità.Studiopsicologico,Paoline,
CiniselloBalsamo1985,p.33.
27Vergote,Psicologiareligiosa cit., p.
262.
28 Intervista a Jean Guitton in V.
Messori, Inchiesta sul cristianesimo,
Mondadori,Milano1993,p.72.
29LecitazionidaJ.Guitton,Che cosa
credo,Bompiani,Milano1993,pp.2123e82-83.
30 J. Moltmann, Le radici cristiane
dell’ateismo moderno, in AA.VV.,
L’ateismo. Natura e cause cit., p. 158.
Su posizioni analoghe si sono collocati
anche Karl Rahner, Henri de Lubac e
HansUrsvonBalthasar.
31 M. Ruggenini, Il Dio assente. La
filosofia e l’esperienza del divino, B.
Mondadori,Milano1997,p.57.
32R.Bultmann,L’ideadiDioel’uomo
moderno, in AA.VV., Dibattito
sull’ateismo,Queriniana,Brescia1967,
pp.187-88.
33 P. Prini, Storia dell’esistenzialismo
daKierkegaardaoggi,Studium,Roma
1989, p. 8. Vedi anche P. Prini, Lo
scisma sommerso, Garzanti, Milano
1999(nuovaedizione2002).
34R.Guardini,Fenomenologiaeteoria
dellareligione,inScritti filosofici, vol.
II,Fabbri,Milano1964,p.280.
35F.M.Dostoevskij,Idemoni,Einaudi,
Torino 1994, p. 402. È effettivamente
esistitounmonacoevescovorussonoto
come Tichon di Zadonsk (1724-1783),
a cui probabilmente Dostoevskij si è
ispirato a più riprese nelle sue opere
(per esempio anche lo starec Zosima
dei Fratelli Karamazov). Vedi R.
Guardini, Dostoevskij. Il mondo
religioso,Morcelliana,Brescia1995.
36 K. Barth, L’Epistola ai Romani,
Feltrinelli,Milano1974,p.23.
37 D. Bonhoeffer, Resistenza e resa.
Lettere e scritti dal carcere, Paoline,
CiniselloBalsamo,pp.382-83.
38VediG.Bernanos,Conferenzasulla
santità,del1847.
39 Bonhoeffer, Resistenza e resa cit.,
pp.439-40.
40Ivi,p.440.
41 K. Rahner, Uditori della parola,
Borla, Roma 1988, pp. 97-98. Vedi
anche K. Rahner, Ateismo e
cristianesimoimplicito,inNuovisaggi,
Paoline, Roma 1969, vol. III, pp. 21748; Riflessioni teologiche sulla
secolarizzazione e l’ateismo, in Nuovi
saggi,Paoline,Roma1973,vol.IV,pp.
227-52.
42 M. Buber, L’eclissi di Dio.
Considerazioni sul rapporto tra
religione e filosofia, Mondadori,
Milano1990,p.59.
43Ivi,p.126.
44Ivi,p.26.
45Nietzsche,Lagaiascienzacit.,libro
III,par.125,p.130
46 Th. Altizer, Il vangelo dell’ateismo
cristiano, Astrolabio-Ubaldini, Roma
1969, prefazione di Sergio Quinzio, p.
23.
47VediG.W.F.Hegel,Fenomenologia
dello spirito, La Nuova Italia, Firenze
1973; Filosofia dello Spirito, Utet,
Torino 2010; M. Borghesi, L’età dello
SpiritoinHegel.Dal«Vangelostorico»
al «Vangelo eterno», Studium, Roma
2013.
48W.Hamilton,MortediDioeateismo
nel pensiero religioso americano in
AA.VV.,Dibattitosull’ateismocit.,pp.
78-79.
49Ivi,p.81.VediancheTh.Altizer,W.
Hamilton, La teologia radicale e la
mortediDio,Feltrinelli,Milano1969.
50 Vedi M. Scheler, Sociologia del
sapere,Abete,Roma1976,p.274.
51 G. Morra, L’ateismo fra moderno e
post-moderno, in S. Burgalassi, C.
Prandi,S.Martelli(acuradi),Immagini
della religiosità in Italia, Franco
Angeli,Milano1993,pp.38-41.
52 P. Tillich, Teologia sistematica,
Claudiana,Torino2001,vol.I,p.40.
53 Vedi K. Bockmühl, Ateismo dal
pulpito.L’irrealtàdiDionellateologia
enellaChiesa,Claudiana,Torino1981;
B. Mondin, Dio: chi è? Elementi di
teologia filosofica, Massimo, Milano
1990,pp.156-61.
54 H. Flügel, Aspetti del dialogo tra
cristiani e atei, in AA.VV., Dibattito
sull’ateismocit.,pp.158-59.
55 B.H.H. Dechesne, Domanda senza
risposta: l’ateismo del credente, in
AA.VV., Dibattito sull’ateismo cit., p.
171.
56 Concilio Vaticano I, Dei Filius,
Costituzione dogmatica sulla fede
cattolica,«Proemio»,DH3021-3025.
57 Paolo VI, Ecclesiam Suam, Lettera
enciclica,nn.103-104.
58 Concilio Vaticano II, Gaudium et
Spes,Costituzionepastorale,n.19.
59Ivi,n.19.
60Ivi,n.20.
61Ivi,n.19.
62Lecitazionidaivi,n.21.
63 Paolo VI, Evangelii Nuntiando,
EsortazioneApostolica,n.55.
64 Giovanni Paolo II, Dominum et
Vivificantem,LetteraEnciclica,n.56.
65 Giovanni Paolo II, Centesimus
Annus,Letteraenciclica,n.13.
66 Giovanni Paolo II, Fides et Ratio,
Letteraenciclica,nn.46,90e91.Altri
interventimagisterialidiKarolWojtyła
sull’ateismo si trovano in due discorsi
sulle radici cristiane dell’Europa
(DiscorsoalConsigliodelleconferenze
episcopali d’Europa, Roma 1982;
Discorso nella sede della Comunità
Europea,Bruxelles1985).
67 Ch. Taylor, intervista al quotidiano
«Avvenire» del 26 luglio 2012. Su
Taylorvedisupra,cap.1,par.1.
68 Ch. Taylor, L’età secolare,
Feltrinelli,Milano2009,pp.12sgg.
69Taylor,intervistacit.
70 J. Baggini, Atheism. A Very Short
Introduction, Oxford University Press,
Oxford2003,p.3.
71 Vedi M. Neusch, Aux sources de
l’athéisme contemporain, Cerf, Paris
2001;vedianchelavoce«Ateismo»,in
P.Poupard(direttoda),Dizionariodelle
religioni,Mondadori,Milano2007.Per
questotipodidistinzioneconcettualesi
usano talvolta anche le dizioni di
«ateismoristretto»e«ateismoesteso».
72 P. Cliteur, La visione laica del
mondo,NessunDogma,Roma2013,p.
37.
73QuestoèancheiltitolocheAugusto
Guerriero (detto Ricciardetto), un
giurista e giornalista italiano non
credente,hadatoaunsuocelebrelibro.
Vedi Quaesivi et non inveni,
Mondadori,Milano1973.
74Platone,Leggi,885A-888C,inTutti
gli scritti, Rusconi, Milano 1991, pp.
1672-75.
75 Vedi D. Diderot, Pensées
philosophiques,
in
Œuvres
philosophiques,Vernière,Paris1961,p.
22.
76 In proposito Cornelio Fabro,
seguendoun’impostazionecherisaleal
filosofo tedesco Friedrich Heinrich
Jacobi (1743-1819), ritiene che Johann
GottliebFichtenelsuotrattatoDottrina
della scienza (Laterza, Bari 1987)
palesiunateismoimplicito,perchéseè
vero che «pone Dio come
l’Incondizionato condizionante, non è
menoverocheilsuoDiosenzal’uomo
[…] non è Dio […]. Quindi senza l’Io
Dio non è Dio». Vedi Fabro,
Introduzione all’ateismo moderno cit.,
p.580.
77 W. Weischedel, Il Dio dei filosofi.
Fondamenti di una teologia filosofica
nell’epocadelnichilismo,IlMelangolo,
Genova1988,vol.III,pp.205-06.
78 Sull’ateismo metodologico vedi N.
Fischer,L’uomoallaricercadiDio.La
domanda dei filosofi, Jaca Book,
Milano1997,pp.223-25.
79Sulladistinzionetraateismopositivo
e ateismo negativo vedi B. Cooke,
Dictionary of Atheism, Skepticism &
Humanism,
Prometheus
Books,
Amherst,NewYork2006.
80 Vedi A. Flew, A. McIntyre, New
Essays in Philosophical Theology,
S.C.M. Press, London 1955; A. Flew,
God and Philosophy, Hutchinson,
London1966.
81A.Flew(acuradi),ADictionaryof
Philosophy,PanBook,London1979,p.
28.
82 Vedi D. Bonhoeffer, Etica,
Queriniana, Brescia 2005. Su Dio
tappabuchivedisupra,cap.2,par.2.
83 A. Flew, La presunzione
dell’ateismo stratoniano, in AA.VV.,
Dibattito sull’ateismo, Queriniana,
Brescia1967,p.47.
84 P.B. Shelley, La necessità
dell’ateismo, Nessun Dogma, Roma
2012,pp.8-9e19.
85 A. Flew (con R.A. Varghese), Dio
esiste. Come l’ateo più famoso del
mondo ha cambiato idea, Alfa &
Omega,Caltanissetta2010,p.73.Vedi
anche A. Flew, The Presumption of
Atheism,Pemberton,London1976.
86 Fabro, Introduzione all’ateismo
modernocit.,p.23.
87Gilson,L’ateismodifficilecit.,p.32.
88 Vedi Maritain, Il significato
dell’ateismocontemporaneocit.,pp.912. Vedi anche J. Maritain, Ateismo e
ricercadiDio,Massimo,Milano1982,
pp.206-07.
89 Vedi Del Noce, Il problema
dell’ateismo cit., pp. 14-15. È qui
palese che le distinzioni tra ateismo
negativoeateismopositivodiMaritain
e di Del Noce sono diverse tra loro ed
entrambedistantidaquelleproposteda
Weischedel,Flewealtri.
90 Vedi H. Küng, Dio esiste?, Fazi,
Roma2012,pp.120-29e257-457.
91 B. Sweetman, Religione e scienza.
Un’introduzione, Queriniana, Brescia
2014,pp.18-19.
92 Vedi N. Abbagnano, Dizionario di
filosofia,voce«Ateismo»,Utet,Torino
1971; G. Morra, Ateismo e non
credenza nelle società occidentali, in
AA.VV., L’ateismo. Natura e cause,
Massimo, Milano 1981, pp. 91-94, e
Dio e senza Dio. Ateismo e
secolarizzazione, Japadre, L’AquilaRoma 1989; B. Mondin, Dio: chi è?,
Massimo,Milano1990,p.136.
93 Vedi A.M. Tripodi, L’ateismo alle
soglie del terzo millennio, Urbaniana
University Press, Città del Vaticano
2001.
94Th.Hobbes,AppendixadLeviathan,
in G. Wright (a cura di), Religions,
PoliticsandThomasHobbes, Springer,
Dordrecht2006,p.119.
95 A. Kenny, A Life in Oxford, John
Murray, London 1997, p. 230. Vedi
anche Filosofia moderna, Einaudi,
Torino2013,pp.345sgg.
96 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio, par.
50,Laterza,Bari1971,vol.I,p.57.
97 G. Bruno, De l’infinito, universo e
mondi, dialogo primo, in Opere
italiane, Utet, Torino 2007, vol. II, pp.
47-48.
98E.Nagel,ADefenseofAtheism,inP.
Edwards,A.Pap(acuradi),A Modern
IntroductiontoPhilosophy, Free Press,
NewYork1967,p.460.
99 «Dio può creare una pietra così
pesante da non poterla sollevare?».
Questadomandasintetizzailcosiddetto
paradosso dell’onnipotenza divina,
dibattuto in epoca medievale insieme
conl’ideadipotentiaDeiabsoluta.
100 Vedi M. Scheler, La posizione
dell’uomo nel cosmo, Franco Angeli,
Milano2009.
3
L’uomocontroDio
1.Lanaturaumanaeisuoi
principi
L’ateismo antropologico
si origina da un radicale
rovesciamento di prospettiva
iniziato con l’Umanesimo
rinascimentale.
Con
il
Rinascimento alla centralità
medievale di Dio e della
salvezza ultraterrena si
affianca e progressivamente
si sostituisce la centralità
dell’interesse per l’uomo e
perilsuopercorsoterreno.Si
afferma cioè una nuova
visione dell’individuo inteso
come
non
più
necessariamente subordinato
alla verità religiosa del
dogmacristianoesivalorizza
il mondo naturale non tanto
come manifestazione della
creazione, bensì per le sue
specificità. Si guarda alla
natura considerandola con
Bernardino Telesio (15091588)
iuxta
propria
principia,1 ossia secondo
principinonastrattisultipodi
quelli degli aristotelici, ma
che
gli
appartengono
intrinsecamente.
Se nel corso del
Medioevo l’uomo veniva
concepito quale povero
peccatore al cospetto di Dio,
come un essere ferito, fragile
e incompiuto secondo il
pensiero
di
Agostino
d’Ippona
(354-430),
l’Umanesimo rinascimentale
vede invece un ritorno alla
pienaconsapevolezzadeisuoi
mezzi naturali e anche a
qualcosa di più di questo:
all’affermazione
di
un’identità e di una volontà
che pare avvicinarsi a quella
un tempo attribuita al divino.
Il filosofo Nicola Cusano
(Nikolaus Krebs 1401-1464)
dice infatti apertamente nel
De coniecturis (1440-1445)
che«l’uomoèDio,manonin
senso assoluto, perché è
uomo: è dunque un Dio
umano [humanus Deus]».2
Mentre
per
l’umanista
Giovanni
Pico
della
Mirandola
(1463-1494)
l’essere umano è dotato di
libertà,
possibilità
e
responsabilità assolute di
progettare e soprattutto di
conquistareilpropriodestino.
La dignità dell’uomo deriva
dalla convinzione che Dio
stessonehafattounmagnum
miraculum, l’ha posto al
centro dell’universo, in
mezzocioètrailmondodella
perfezione angelica e quello
delle bestie, consentendogli
di scegliere se elevarsi verso
l’alto,versoildivino,oppure
cadere verso il basso nella
condizione degli esseri più
infimi:
[L’OttimoArtefice(Dio)]
accolse l’uomo come
opera di natura indefinita
e, postolo nel cuore del
mondo,cosìgliparlò:non
ti ho dato, o Adamo, né
un posto determinato, né
un aspetto proprio, né
alcuna prerogativa tua,
perché […] tutto secondo
il tuo desiderio e il tuo
consiglio ottenga e
conservi. La natura
limitata degli altri è
contenuta entro leggi da
me prescritte. Tu te la
determinerai senza essere
costretto da nessuna
barriera, secondo il tuo
arbitrio,allacuipotestàti
consegnai.3
Col Rinascimento la
maggiore attenzione per i
valori inerenti l’individuo
umano conduce pure alla
riscoperta della classicità
greca,
in
particolare
dell’anticoumanesimosofista
e socratico culminato con
l’epoca di Pericle, con il
conseguenteamoreperitesti
classici nelle loro edizioni
originali e non più mediati
dallaculturaedalleistituzioni
cristiane.
L’uomo
rinascimentale vede infatti
nella filosofia platonicoaristotelica e nella cultura
classica
l’ammirevole
tentativo di indagare e
giustificare la realtà per
mezzo dei soli strumenti
umani dell’esperienza e della
ragione.
Fu
proprio
nell’ambito
di
questo
percorsodirivalutazioneedi
grande attenzione per la
natura dell’uomo e per i
principali risvolti della sua
esistenza,sempreintesicome
qualcosa di straordinario e di
fondamentale nel contesto
dell’intero cosmo, che si
ritenne di dover ripensare
anche
la
relazione
tradizionale tra l’essere
umano e il divino, fino ad
approdaretrailXVIeilXVII
secolo a un’aperta messa in
discussione dell’esistenza di
Dio. Se Pico della Mirandola
poteva ancora conciliare la
dignità umana con la
presenza di un «Ottimo
Artefice»,peralcuniumanisti
«la Natura prende il posto di
Dio perché anch’essa ha
un’anima, realizza intenzioni
costanti e veglia sull’uomo
come la Provvidenza»4;
mentre
l’interesse
per
l’occulto,
l’alchimia
e
l’astrologiafasìchedifattoil
divino, gli astri e la magia
naturale si equivalgano: «Se
in luogo degli angeli e dei
demoni – scrive il medico e
astrologo Girolamo Cardano
(1501-1576) – noi poniamo
astri benefici e contrari,
possiamo attribuire le stesse
spiegazioni ai medesimi
fenomeni».5
È
pur
vero
che
l’umanesimo filosofico nato
con la cultura rinascimentale
di per sé non implica
necessariamente la negazione
di Dio, tuttavia è un fatto
storico che nella riflessione
moderna e contemporanea la
sua forma più presente e più
attiva risulta sicuramente
quella a sfondo ateistico.
L’umanesimo ateo punta a
edificare l’essere umano
attraverso l’eliminazione del
teismo,percuisesivuoleche
l’uomo esista, non deve
esistere nessun altro sopra di
lui. In altri termini, se si
intende
affermare
l’indispensabile autonomia e
compiuta realizzazione della
natura
umana,
bisogna
obbligatoriamente postulare
l’inesistenza di un Ente
infinito,
provvidente
e
creatore. Il finito è infatti
consideratoincompatibilecon
l’infinitoediconseguenzagli
esseriumani,inquantofiniti,
non possono coesistere con
una divinità per sua natura
infinita: «L’affermazione di
Dio come essere infinito
implica necessariamente la
svalutazionedell’esserefinito
e,
in
particolare,
la
disumanizzazione
dell’uomo».6
L’uomo, per essere
pensato come totalmente
indipendente, non deve
dunquerisultarecondizionato
da altro che da se stesso,
ovvero deve presentarsi in
tutto e per tutto come causa
sui; pertanto non si può
concepire il mondo di cui la
nostra specie fa parte come
creatoesubalternoaqualcosa
di sovrastante, di superiore o
trascendente. In sintesi, se si
intendeaffermarepienamente
la realtà umana, si deve
negare la presenza di Dio:
«Se si vuole – ha scritto
Cornelio Fabro – che l’uomo
esista(ecomesipotrebbenon
volerlo?), Dio non può o
piuttostonondeveesistere».7
Questo
presunto
dato
oggettivo ha condotto il
filosofo Max Scheler a
descrivere un simile ateismo
come «un postulato della
serietàedellaresponsabilità»
umana e quindi a definirlo
«ateismo postulatorio»8. In
effetti l’esigenza di porre
l’essere umano quale valore
supremoeassolutoimponedi
postulare la non esistenza di
Dio e con esso del
trascendente, di rifiutarne
anche il semplice concetto,
perché «solo il teocidio
consente all’uomo di essere
libero».9PerScheler,seKant
nella Critica della ragion
praticaavevafattodiDio«un
postulatodellaragionepratica
valido
in
generale»10,
nell’ateismo umanistico «ciò
che è decisivo è un altro
elemento: un dio non può né
deve esistere a causa della
libertà, della responsabilità,
del compito, a causa del
sensodell’esseredell’uomo»;
quindi occorre postulare
necessariamente la non
esistenza o la morte di Dio,
come hanno fatto prima
Friedrich Nietzsche e poi il
filosofo tedesco Nicolai
Hartmannconilsuo«ateismo
postulatorio
della
responsabilità».11
Alla base dell’ateismo
antropologico si colloca
ovviamente una metafisica
dell’immanenza,
poco
importa se idealistica o
materialistica,
che
fa
dell’uomo
un
ente
autosufficiente e portatore di
senso, capace cioè di trovare
da sé e in se stesso un
significato
alla
propria
esistenza, di fondare da solo
il proprio ordine morale, di
dominare la realtà con la
ragione e con i suoi migliori
prodotti: la scienza e la
tecnica.Ancheilmalefisico,
la sofferenza degli innocenti,
l’angoscia esistenziale e le
ingiustizie di questo mondo
devono pertanto trovare nei
limiti del possibile una
risposta umana e soltanto
umana, a iniziare dai
comportamenti positivi o
negativi di ogni singolo
individuo della nostra specie.
Il presupposto fondamentale
diventa così non soltanto che
sipuòviveresenzacrederein
Dio, ma che si vive
decisamente meglio se Dio
nonesiste.
Postulare l’inesistenza di
Dio è dunque in ultima
istanzalalogicaconseguenza
dell’antropocentrismo
moderno
iniziato
storicamente
con
l’Umanesimo e, secondo
Jacques Maritain e Charles
Taylor,12incoraggiatoperfino
dalla Riforma protestante e
successivamente ingigantito
dall’immanentismo
soggettivistico avviato dalla
filosofia
cartesiana.
L’umanesimo ateo si è
progressivamenteimpostodal
’700 a oggi anche a causa
della crescente crisi della
filosofia teoretico-speculativa
ingeneraleedellametafisica
in particolare, fino a fare del
nostrotempoun’epoca«postmetafisica»13. Esso perciò si
caratterizza
per
una
concezione laica e profana
dell’essere
umano
apertamente contrapposta a
quella religiosa e cristiana,
per cui se nell’umanesimo
cristiano l’umanità non ha
senso separata da Dio,
nell’umanesimo ateo l’uomo
è il tutto dell’uomo, è
l’orizzontedisestessochesi
spiegadasé.
È con l’Illuminismo
settecentesco che inizia una
critica serrata della religione
tradizionale e con essa del
teismocristiano,dandoforma
per lo storico francese Paul
Hazard (1878-1944) a un
vero e proprio «processo
contro
Dio»
o,
più
precisamente, alla messa
sotto accusa del Dio dei
cristiani.14
Con
la
Rivoluzione Francese del
1789 anche in ambito
politico-sociale la tendenza
prevalente diventa quella di
sostituire al diritto divino e
quindi a Dio la volonté
générale, esaltata nelle opere
di Jean-Jacques Rousseau
(1712-1778)
e
presto
incarnatasiperirivoluzionari
parigini nel culto della dea
Ragione.Inquestomodo,con
la Francia rivoluzionaria la
culturaeuropeasiincammina
a passo estremamente veloce
sulla
via
della
secolarizzazione
e
dell’ateismo.Inaltreparole,a
partire dall’età moderna e
soprattutto dall’epoca del
siècle des Lumières si
afferma per la prima volta
una forma di ateismo
socialmente legittimato e
semprepiùdiffuso,comenon
si era visto né in Grecia o
nell’anticaRomaetantomeno
nel
Medioevo.
Fatta
eccezione per la cultura
cristiana, che però diventa
progressivamente minoritaria
tra i dotti, Dio tende a
scomparire da tutte le
manifestazioni culturali e
quando vi compare è per
essere negato o considerato
estraneo al mondo, se non
addirittura imputato del male
e della sofferenza innocente,
di fronte ai quali i più
indulgenti
chiedono
provocatoriamente
con
DanielPennac«cheabbiauna
scusa valida»15, mentre i più
severi concludono come
Stendhal (Marie-Henri Beyle
1783-1842):«Diohaunasola
scusa: quella di non
esistere»16.
I presupposti filosofici
dell’ateismo antropologico
moderno maturano tuttavia
poco
prima
dell’età
illuministaeprecisamentetra
ilXVIeilXVIIsecoloconil
cosiddetto «libertinismo». Si
tratta in effetti più di un
atteggiamento intellettuale e
comportamentale che di una
vera e propria scuola di
pensiero. Esso si manifesta
tra la seconda metà 1500 e
dura fino agli inizi del 1700,
quando finirà per confluire e
disperdere «le sue acque nel
grande
fiume
dell’Illuminismo»17.
La
parola«libertino»(infrancese
libertineiningleselibertine)
deriva con tutta probabilità
dal
latino
libertinus,
variazione del sostantivo
libertus (liberto) con cui
venivadenominatoloschiavo
affrancato dalla schiavitù.
L’estensione del termine per
designare il movimento
libertinohaasuavoltaorigini
antiche,dalmomentocheuna
tracciasipuòtrovarefinanco
nel Nuovo Testamento,
precisamente negli Atti degli
Apostoli,laddovesiindicala
«sinagoga detta dei Liberti»
(nella
vulgata
latina
«synagoga quae appellatur
Libertinorum»)18 tra gli
accusatori e lapidatori del
protomartire
cristiano
Stefano. Nell’epoca da noi
considerata, l’appellativo di
libertino viene a significare
nel sentire comune un libero
pensatore o un filosofo
scettico e miscredente, a cui
presto si assocerà spesso
l’immagine negativa di un
depravato nei costumi, di un
immorale ed edonista dedito
ai soli piaceri corporali. Non
a caso, per i detrattori del
libertinismo, e non solo per
loro, il modello classico del
libertino è quello di Don
Giovanni
dell’omonima
commedia di Molière (JeanBaptiste Poquelin 16221673)19;
commedia
rappresentaperlaprimavolta
a Parigi nel 1665, ossia al
culmine
del
fervore
libertinista.
Qui
il
protagonista è un signore di
corte perverso e cinico; un
personaggioipocritaricalcato
sul modello dei cortigiani
francesi dell’epoca, che
unisce alla signorilità dei
modi la dissolutezza dei
comportamenti privati e il
disprezzo per le leggi umane
e divine, che dietro il
bell’aspetto esteriore cela il
vuoto interiore, l’immoralità
eungigantescoegoismo.
I libertini seicenteschi si
caratterizzanodinormaperla
critica radicale alle religioni
costituite,
per
la
rivendicazione
di
un’autonomia individuale da
qualsiasi forma di autorità a
iniziareovviamentedaquelle
religiose e morali, per
un’etica razionalistica e
convenzionalistica, per una
visione
prevalentemente
materialistica
e
meccanicistica del mondo,
nonchéperunoscetticismodi
fondo nei confronti del
problema della verità e delle
possibilità cognitive della
ragioneumana.Influenzanoe
sono vicini al movimento
libertino pensatori come
Giulio Cesare Vanini (15851619), che benché sia stato
messo a morte per ateismo e
blasfemia sembra propendere
più verso il panteismo e lo
scetticoMicheldeMontaigne
(1533-1592), più agnostico
che ateo.20 Particolarmente
stimato dai libertini è pure il
filosofo Pierre Bayle (16471706), noto per la sua teoria
dell’«ateo virtuoso». Questa
idea ha un rilievo importante
nella storia dell’ateismo,
perché per la prima volta si
teorizza in maniera esplicita
cheancheunateopuòessere
un individuo rispettoso della
morale, mentre fino ad allora
prevaleva
la
tesi
dell’impossibilità di fondare
l’etica in assenza del
riconoscimento dell’esistenza
di Dio. Benché risulti tuttora
in discussione se il filosofo
francese sia da considerarsi
un ateo piuttosto che un
deista o un credente con
grande
spirito
critico,
secondo Cornelio Fabro è
proprio col diffondersi della
suaopinioneche«ilproblema
dell’ateismo entra nel vivo
delpensieromodernoeinizia
la sotterranea opera di
corrosione nella sfera della
religione
e
della
trascendenza», perché si
introduce nella dimensione
pratica «la dissociazione fra
verità e moralità e fra etica e
religione».21 Bayle nei suoi
celebri Pensées diverses sur
lacomète(primaedizionedel
1682 e terza edizione del
1699)osservainfatti:
Ormaièevidentecheuna
società di atei potrebbe
svolgere ogni attività
civile e morale come
qualsiasi altra società
[…]. Il fatto di ignorare
l’esistenza di un primo
Essere
creatore
e
conservatore
dell’universo
non
impedirebbeaimembridi
questa società di essere
sensibili alla gloria e al
disprezzo,
alla
ricompensa e alla pena,
così come a tutte le altre
passioni
umane,
e
nemmeno soffocherebbe
in loro tutti i lumi della
ragione.22
Si inganna pertanto chi
sostiene che coloro che
credono in un qualsiasi culto
religioso,
fosse
pure
l’idolatria,
risultino
«necessariamentepiùvirtuosi
degli atei», poiché entrambi
nelle
loro
azioni
si
comportano «in relazione ai
loro costumi, secondo uno
stessoprincipio».23
Da
ciò
derivava
ovviamente
pure
lo
svuotamento del ruolo della
divina provvidenza e in
generale di una divinità
legislatrice,dacuiilcrescente
scetticismoneiconfrontidelle
religioniedellavaliditàdella
credenza in un Dio
trascendente come quello
cristiano. Ma la scelta dello
scetticismo filosofico non
sembrava a Pierre Bayle
decisiva nel determinare
l’affermarsi dell’ateismo e
probabilmente
riteneva
conducesse più facilmente
all’agnosticismo.
In
particolare lo scetticismo
pirroniano fondato sulla
sospensione del giudizio
(epoché), sul non liquet (non
è chiaro) nei confronti di
qualsiasi
presunta
conoscenza,
poteva
addirittura tradursi in un
involontario sostegno alla
religione perché, una volta
distruttalafiducianelleverità
conseguite con la ragione, il
naturale umano bisogno di
certezze conduceva gli
individui a rifugiarsi nella
verità
assoluta
del
cristianesimo: «Un simile
metodo [del non liquet o di
sospensionedell’assenso]può
essere utile per costringere
l’uomo, consapevole delle
tenebre in cui si trova, a
implorare
l’aiuto
dell’Altissimo
e
a
sottomettersiall’autoritàdella
fede».24
È per altro difficile e
sbagliato etichettare come
atei tutti i libertini, anche se
alcuni certamente lo furono.
Erano infatti per lo più
antiteisti e vicini al deismo
oppure al panteismo, senza
tuttavia che mancassero tra
loro i credenti di religione
cristiana.
L’allievo
di
Montaigne Pierre Charron
(1541-1603), per esempio, fu
sicuramente un cattolico che
predicava la tolleranza;
mentre quello che da molti è
considerato il principale
teorico
ufficiale
del
libertinismo, François La
Mothe Le Vayer (15881672), fu uno scettico
pirroniano distaccato dalle
credenzereligioseepropenso
a seguire la massima «cuius
regio,eiusreligio»(«Dichiè
il potere [il regno], di lui sia
la religione» ovvero si deve
seguire il culto di colui che
governa), che è poi
l’anticamera del moderno
relativismo
in
materia
religiosa.
L’importante
filosofo e scienziato Pierre
Gassendi
(1592-1655),
invece,dasacerdotecattolico
tentò di tenere insieme il suo
atomismo epicureo con la
fede cristiana, anche se
questo lo trasformò in una
mente
«libertina»
nei
confronti delle altre credenze
religiose e perfino della non
credenza. Infine il prototipo
più noto del libertino,
Savinien de Cyrano de
Bergerac
(1619-1655),
certamente mette in dubbio
l’immortalità dell’anima, ma
pare propendere più per il
panteismocheperl’ateismo.
Ciò che dunque rende i
libertini, più o meno loro
malgrado,
precursori
dell’ateismo antropologico
non è un’aperta negazione
dell’esistenzadiDioolaloro
miscredenza di fondo, ma
piuttosto l’affermazione della
radicaleautonomiadell’uomo
rispetto a qualsiasi vincolo
religioso
o
teologico;
affermazione che giunse ben
presto a reputare più
importante la libertà umana
dellapresenzadiunadivinità
creatrice e legislatrice del
mondo. In altri termini, i
libertini non sentono tanto la
necessità di negare Dio,
quanto di valorizzare sopra
ogni cosa la propria
autonomia di pensiero e di
azione; di conseguenza «il
Diochevienetranquillamente
congedato, e al quale si
notifica che esiste, certo, che
è amato, sicuro, ma che
potrebbeoccuparsiunpo’più
di se stesso e meno degli
uomini,lasciailcampolibero
allalibertà»25.
2.Ilbuonsensodell’ateo
Se l’origine effettiva
dell’ateismo moderno va
individuata nell’Illuminismo,
la prima manifestazione di
ateismo
antropologico
propriamente
detto
va
ricondotta a uno degli
illuministi atei più famosi: il
barone Paul-Henry Thiry
d’Holbach
(1723-1789).
Proveniva da una famiglia
tedesca del Palatinato (il suo
nome originario era infatti
Paul Heinrich Dietrich) e
ottenuta una ricca eredità
dallo zio materno Franz
Adam von Holbach, di cui
acquisì anche il titolo
nobiliare, decise di stabilirsi
definitivamente a Parigi e
farsi naturalizzare francese.
Qui aprì la sua casa ai
pensatori illuministi noti
come
Philosophes:
intellettuali e scienziati che
praticavanoilliberousodella
ragione,
mettendo
in
discussione l’ordine politico
costituito, i costumi morali
prevalenti e la religione
dominante.
Da
questo
consesso scaturiscono i
cosiddetti
Encyclopédistes
che, sotto la direzione di
Jean-Baptiste Le Rond
d’Alembert (1717-1783) e
Denis Diderot, e con la
partecipazione dello stesso
d’Holbach diedero vita a
quello che forse è il più
maturo
risultato
del
movimento illuministico: la
celebre Encyclopédie ou
Dictionnaire raisonné des
sciences, des arts et des
métiers(1751-1780).26
Il nostro barone rielabora
le idee materialistiche del
passato
e
ampiamente
circolanti tra gli illuministi
suoiamicioaluicoevi,quali
Julien Offray de La Mettrie
(1709-1751)eClaude-Adrien
Helvétius (1715-1771), per
tentare di farne una filosofia
organica e scientificamente
fondata, in grado cioè di
spiegare tutta la realtà sulla
base delle sole conoscenze
chimico-fisiche del mondo
naturale.Questoperlomenoè
l’intento della sua opera
filosofica
principale,
pubblicata in Francia nel
1770 e intitolata Système de
la nature ou des lois du
monde physique et du monde
moral. Si tratta di una specie
di
testo
sacro
del
materialismo illuministico,
scritto sotto l’influsso della
teoriadellamateriaconmoto
intrinseco di John Toland, il
cui
titolo
risulta
accompagnato
da
una
sintetica descrizione degli
argomenti trattati, che sono:
la natura e le sue leggi;
l’uomo; l’anima e le sue
facoltà;
il
dogma
dell’immortalità; la felicità.
Da essi si evince che nel
trattato holbachiano si vuole
prenderedipettolequestioni
fondamentali della metafisica
e della filosofia morale per
ridurle al materialismo
naturalistico. Difatti, dalle
prime parole della prefazione
si capisce subito dove si
vuole andare a parare:
«L’uomo
è
infelice
unicamente perché non
conosce la natura. […]
L’uomo disdegnò lo studio
dellanaturapercorreredietro
afantasmi[dellametafisicae
della religione] che, simili a
fuochi ingannevoli […], lo
spaventarono,loabbagliarono
e gli fecero abbandonare la
via semplice del vero»27. È
facile allora comprendere
perché tale lavoro si è
guadagnato una menzione
specialedapartedelmarxista
ateo Georgij Valentinovič
Plekhanov
(1856-1918).
Questi, pur reputando ancora
arcaico e rozzo tutto il
materialismo monista e
sensista d’epoca illuminista,
fece un’importante eccezione
per il pensiero del barone
D’Holbach, riconoscendolo
«molto aggiornato sulle
scienze della natura del suo
tempo»28 e antesignano della
lotta rivoluzionaria contro
Dioeilclero.29
Nel Sistema della natura
D’Holbach afferma con
chiarezza che «l’uomo è un
essere puramente fisico;
l’uomo morale non è che un
esserefisicoconsideratosotto
un certo punto di vista»30; e
ciò fa cadere qualsiasi
discorso religioso sulla
salvezza dell’anima e in
generale sull’esistenza di
entità spirituali. È solamente
a causa della paura prodotta
da
fenomeni
naturali
«meravigliosi e terribili»
(terremoti,
vulcani
in
eruzione, asteroidi cadenti,
inondazioni
catastrofiche
ecc.) di cui non ha piena
conoscenza e controllo che
l’uomo si creò degli dei, i
quali divennero gli unici
oggetti delle sue speranze e
dei suoi timori; quindi le
speculazioni teologiche non
hannoalcunarealtà,nonsono
che parole vuote di senso o
semplicichimere.E
quando saremo in buona
fede con noi stessi,
saremo sempre indotti a
convenire
che
è
unicamente la nostra
ignoranza delle cause
naturaliedelleforzedella
natura che dette origine
agli dei; è ancora
l’impossibilità in cui la
maggior parte degli
uomini si trovano di
portarsi fuori di questa
ignoranza […] a far
credere che l’idea di un
dio è un’idea necessaria
perrenderecontodituttii
fenomeni.31
L’immagine del divino
nasceinsostanzadallascarsa
conoscenza delle leggi di
naturaedallostuporemistoa
pauraperifenomeninaturali,
che
fanno
concepire
all’intelletto
umano
l’esistenzadi«qualcheagente
segreto»,percui«ilconsenso
degli uomini nel riconoscere
un dio prova unicamente che
nell’ignoranza
hanno
ammiratootremato»32finoa
escogitareconlafantasiauna
spiegazionesovrannaturale.
Come si può facilmente
notare, siamo in presenza dei
classici topoi dell’ateismo
(esiste solo la materia,
l’anima è un’invenzione, gli
dei sono una creazione della
mente umana, la religione è
frutto dell’ignoranza e della
paura ecc.) e pertanto non
sorprende vedere aggiungere
pure un esplicito argomento
anticipatore
dell’odierno
ateismosemantico:unattacco
allateologia«comescienzadi
parole» che «quando le si
vuole analizzare, si trova che
non hanno nessun senso
vero». La speculazione
teologica è insomma la vera
fonte dei mali che affliggono
la Terra, degli errori che
l’accecano,deipregiudiziche
la paralizzano, dell’ignoranza
e dei vizi che la tormentano,
dei governi che l’opprimono.
Per altro la teologia come
presunta
scienza
è
controproducente per se
stessa, perché «a forza di
qualità contraddittorie, ha
messo
il
suo
dio
nell’impossibilità di agire» a
tal punto da non essere in
gradoneppuredi«autorizzare
lacondottaoiculticheglisi
prescrive di rendergli».33 I
teologi infatti attribuiscono
contemporaneamente a Dio
l’infallibilità e i miracoli,
ovvero le violazioni delle
leggi naturali di cui è Lui
stesso il creatore. Ma se si
pretendedifarlointervenirea
riparare la sua stessa opera,
significachenonèinfallibile,
che in origine ha commesso
un errore, e si cade così in
una patente contraddizione.
Soltanto l’affacciarsi della
verità
naturale
e
dell’autentica
conoscenza
delle cose della natura pone
fine all’errore «che fece
soffrire in ogni tempo» gli
esseri umani e con esso alle
«catene opprimenti che i
tiranni e i preti forgiarono
dappertuttoperlenazioni».34
L’opera
filosofica
principale di D’Holbach,
visibilmente suggestionata
dall’epicureismo lucreziano e
dal sensismo, è divisa in due
parti dedicate rispettivamente
alla natura e all’idea del
divino. La seconda parte è
una critica radicale della
nozione stessa di Dio, delle
prove tradizionali della sua
esistenza e della divina
provvidenza, che si conclude
con un capitolo riservato
all’ateismo, dove sembra
anticipato
l’umanismo
antropologico poi sviluppato
compiutamente da Ludwig
Feuerbach, che fa della
divinità una rappresentazione
enfatizzatadell’essereumano.
L’uomo liberato dall’idea
inutile e dannosa di Dio può
fondare sulla ragione una
morale autentica e di portata
generale, in grado cioè di
distinguere su basi reali il
vizio dalla virtù, perché la
morale tratta dalla natura è
evidente a tutti gli individui
razionali, ivi compresi quelli
che la osteggiano per motivi
teologici. Gli atei sono allora
coloro che combattono ogni
forma di fanatismo religioso
o metafisico, che hanno il
coraggio di dissolvere le
perniciose illusioni che
infestano le false credenze
umane, riportando gli esseri
umaniallarealtàmaterialedi
cuifannointegralmenteparte.
Essisonoinaltreparoledegli
eroici
individui
che
distruggono le chimere
nocive al genere umano e
riconducono gli uomini alla
natura, all’esperienza, alla
ragione. Dal punto di vista
logico siamo posti così di
fronte a una perentoria
disgiunzione esclusiva, a un
aut aut: o si è atei e
materialisti o si è degli illusi
che credono in entità
inesistenti e quindi portatori
di sconvenienti pregiudizi,
tertium non datur. E da
questa stretta non può
sottrarsi ovviamente il teista,
ma neppure il deista, perché
anche il deismo è una
chimera e «degenererà presto
o tardi in una superstizione
assurdaepericolosa».35
Nella sua opera del 1772
Il buon senso ovvero le idee
naturali opposte alle idee
sovrannaturali,
evidentemente polemica fin
dal titolo nei confronti dei
credenti nel trascendente
bollati
appunto
come
«insensati»,
D’Holbach
mostra di essere un
estimatore del ragionamento
logico presentando l’ateismo
come
una
coerente
conclusione rigorosa di una
dimostrazione
logica;
conclusione
che
si
contrappone lucidamente alle
contraddizioni dei teologi e
dei deisti alla Voltaire.36
Dopoaverinfattiribaditoche
«tuttiglideihannoun’origine
selvaggia», e «le religioni
sono antichi relitti di
ignoranza,disuperstizione,di
ferocia», e dopo aver
ulteriormente
sostenuto
l’assurditàdiognitentativodi
provare l’esistenza di Dio,
introducecondeterminazione
lequestionidellateodiceaper
argomentarecomesiaillogico
da un lato proclamare
l’onnipotenza e onnipresenza
divina e dall’altro non
identificare in Lui la causa
del male. Lo fa ricorrendo a
quella che in logica si
presenta come una reductio
adabsurdumodimostrazione
perassurdo;eccolainsintesi:
Dio è l’autore di tutto
eppure ci assicurano che
il male non proviene da
Dio.
Maciòèassurdo.
Dunque, è da Dio che
provieneilmale.
Il buon senso intendeva
tuttavia essere un libro
divulgativo, tanto che un
contemporaneo quale il
letterato tedesco Friedrich
Melchior von Grimm (17231807) lo interpretò come
«l’ateismo messo alla portata
delle cameriere e dei
parrucchieri», quindi adatto
«per
l’edificazione
dei
giovani apprendisti atei».37
Non mancano perciò in esso
le invettive contro l’uso
politicodellacredenzaedelle
istituzioni religiose, quasi
antesignane del famoso
«oppio dei popoli» di Karl
Marx, del tipo: «I re, tiranni
crudeliemaniaci,[…]nonsi
servono della religione che
perabbruttireancorpiùiloro
schiavi,
addormentarli
incatenati e divorarli con
facilità».38
Se si tiene conto anche
delle altre sue pubblicazioni
in cui attacca frontalmente la
religione cristiana (es. I preti
smascherati o le iniquità del
clerocristiano;Esamecritico
dellavitaedelleoperedisan
Paolo; Storia critica di Gesù
Cristooanalisiragionatadei
Vangeli), il pensiero del
nostro barone può essere
descritto come un ateismo
materialistico
radicale,
anticristiano e anticlericale,
che non lascia trasparire
alcun cedimento neppure
verso
il
panteismo
spinoziano, come avviene
invece
nella
filosofia
materialistica di L’uomo
macchina (1748) del medico
e filosofo Julien Offray La
Mettrie.39 Sulle orme di
Bayle,
l’ateismo
viene
presentato
come
una
concezione sociale e morale,
ossia compatibile con una
comunità organizzata in cui
nessun individuo crede in
Dio: «Una società di atei,
governata da buone leggi,
invitata alla virtù da
ricompense, distolta dal
crimine da castighi, sarebbe
più virtuosa di quelle società
religioseincuituttocospiraa
tediare lo spirito e a
corrompereilcuore».40
Sebbene il materialismo
di D’Holbach sia talvolta –
secondo un condivisibile
giudizio
di
Sebastiano
Timpanaro (1923-2000) –
«effettivamente rozzo, o
meglio frettoloso, o anche
superficialmenteripetitivo»41,
consegue tuttavia il suo
principale
obiettivo
di
proclamare la non esistenza
di Dio per liberare l’uomo in
tutte le sue potenzialità
naturali.
Nonostante
il
carattere
prevalentemente
antropologico dell’ateismo
holbachiano, per i riferimenti
alla teodicea e per i ripetuti
richiami al potere oppressivo
sostenuto dalla religione esso
assume pure i contorni tipici
dell’ateismo antiteodicetico e
di quello socio-politico.
Quello di D’Holbach è
insomma un ateismo «a
tuttotondo», un ateismo per
tutti e rivolto a tutti, quasi
fosse una nuova forma di
evangelizzazione
atea
universale: non dunque «una
Weltanschauung raffinata e
riservataalleclassicolte»,ma
un’idea in grado di
«espandersi
per
tutta
l’umanità, aspirare (senza
coercizione) a quello stesso
ecumenismo a cui aspira la
religione».42
3.L’umanizzazionediDio
Il
fondatore
unanimemente riconosciuto
dell’ateismo antropologico
moderno
può
essere
facilmente individuato in un
filosofo
ottocentesco
piuttostonotoaisuoitempi:il
bavarese Ludwig Feuerbach
(1804-1872). Come molti
altri atei dell’800 e del ’900,
Feuerbach ha alle sue spalle
una formazione teologica e
avrebbe potuto benissimo
diventareunodeitantiteologi
sostenitori dell’esistenza di
Dio e dell’importanza eticosalvifica della religione
cristiana. I suoi primi studi a
Heidelberg sono infatti
teologici, ma a seguito della
scarsa capacità dei suoi
docenti di fare breccia nella
sua mente fervida e curiosa,
decise ben presto di passare
alla filosofia recandosi a
studiare
nella
Berlino
dominata
allora
dalla
gigantesca figura di Hegel.
Feuerbach nutrì subito una
sortadivenerazionespirituale
per il principale filosofo
dell’idealismo tedesco e
tuttavia la sua vivacità
intellettuale e la sua ritrosia
verso un modo di fare
filosofia troppo schematico
non tardarono ad alimentare
in lui i dubbi e le
considerazioni critiche, fino
ad approdare a una esplicita
contestazione del maestro e
allacompletarotturaufficiale
con il sistema filosofico
hegeliano. Rottura però solo
formale, perché in realtà la
filosofiahegelianacontinuòa
influenzare profondamente il
suopensiero.
La
sua
attenzione
incomincia così a trasferirsi
dalla centralità della ragione
in senso hegeliano all’essere
umano nella sua naturale
concretezza; e difatti nel
1843, facendo un primo
bilancio del suo percorso
intellettuale, ricorda: «Dio fu
il mio primo pensiero, la
ragione il secondo, l’uomo il
terzo e l’ultimo. Il soggetto
delladivinitàèlaragione,ma
il soggetto della ragione è
l’uomo»43.Inquestosintetico
«curriculum vitae filosofico»
di un ateo antropologico –
come lo interpreta con la
consueta efficacia il marxista
Plekhanov,
ascrivendolo
forzatamentetraimaterialisti
–44 è evidente l’intenzione di
descrivere il suo passaggio
dal periodo degli studi
teologici (Dio) a quello del
razionalismo idealistico (la
ragione hegeliana), per poi
infineapprodareallafasepiù
matura
dell’antropologia
filosofica (l’uomo). Nello
stesso anno iniziava infatti
l’illuminante scritto dal titolo
Principi
della
filosofia
dell’avvenire a questo modo:
«Il compito dell’età moderna
fu la realizzazione e
l’umanizzazione di Dio: la
trasformazione
e
la
dissoluzione della teologia in
antropologia».45 Nella sua
essenzialità, si tratta di
un’affermazionechepotrebbe
benissimo essere assunta
quale epigrafe dell’ateismo
antropologico,
perché
esplicita chiaramente da un
lato
la
riduzione
o
riconduzione del divino alla
stessa natura umana, e
dall’altro
proclama
la
«scienzadiDio»(lateologia)
risolta e contestualmente
dissolta
nella
«scienza
dell’uomo» (l’antropologia).
Feuerbach non a caso la
considerava la sua principale
missione nell’attività di
filosofo e di scrittore: «Lo
scopodeimieilavorièdifare
degli uomini non più dei
teologi,
ma
degli
antropologisti, di condurli
dall’amore di Dio all’amore
degli uomini, dalle speranze
dell’aldilà allo studio delle
cosediquaggiù»46.
Lastrettainterdipendenza
tra teologia e antropologia,
per cui la prima non è altro
che un travisamento della
seconda, è per il filosofo
tedesco la conseguenza del
concretoprocessochestaalla
base
dell’origine
della
religione e della credenza
nell’esistenza di una o più
divinità. Attraverso la presa
di coscienza di tale processo
si scopre che Dio è
semplicemente una creazione
dell’essere umano, il quale
proiettafuoridiséquelleche
al contrario sono le
caratteristiche fondamentali
della
sua
struttura
antropologica.Inaltritermini,
l’ideadiDioèun’invenzione,
un prodotto della nostra
mente, ma non per questo
risulta del tutto priva di
contenuto, di consistenza
nella realtà effettuale, perché
l’immagine del divino non è
altro che la rappresentazione
della vera essenza umana. Il
concetto di Dio, una volta
spogliato degli elementi
teologici, corrisponde alla
nozionedell’uomostessoein
questo appunto consiste la
feurbachiana «umanizzazione
di Dio» per cui «Homo
hominideusest».47
Le chiare parole di
Feuerbach non lasciano
spazioadalcunacontroversia
interpretativasulcaratteredel
suo ateismo: «Certamente è
una conseguenza della mia
dottrina che non esiste Dio
[…];matalenegazioneèsolo
la
conseguenza
dell’individuazione
della
realeessenzadiDio,delfatto
di avere inteso che l’essenza
divina non manifesta altro se
non, da una parte, l’essenza
della natura e, dall’altra,
l’essenza
dell’uomo»48.
Piuttostoespliciteintalsenso
sono proprio alcune parti del
suo libro più celebre,
L’essenza del cristianesimo
(1841): «La coscienza che
l’uomo ha di Dio è la
conoscenza che l’uomo ha di
sé.Tuconoscil’uomodalsuo
Dio e, reciprocamente, Dio
dall’uomo; l’uno e l’altro si
identificano. […] Il nostro
compito è appunto mostrare
cheladistinzionefraildivino
el’umanoèillusoria,cioèche
null’altro è se non la
distinzione fra l’essenza
dell’umanità
e
l’uomo
individuo»49.
Perciò
è
normale che il filosofo
bavarese concluda che la
questione dell’esistenza o
della non esistenza di Dio è
solo
la
questione
dell’esistenza o della non
esistenza dell’uomo, al punto
che occorre smascherare
come in realtà «le prove
dell’esistenzadiDiomiranoa
estrinsecare
e
separare
dall’uomociòcheèall’uomo
interiore» e quindi a mettere
in evidenza come esse
risultino in effetti «varie e
quantomaiinteressantiforme
di
autoaffermazione
dell’essereumano».50
Nella religione o nella
teologiasipalesadunqueuna
verità
antropologica
capovolta, che può essere
ricollocata
nella
giusta
posizione
solo
dall’antropologia.
Nella
concezione
teologicoreligiosa del divino sono
infatti racchiusi in forma
sublime le nostre attese, le
nostrebrame,inostribisogni,
le nostre potenzialità; e se è
vero che la massima
aspirazione dell’uomo si
sostanzia nell’essere eterno e
senza limiti, allora non
sorprende che l’essenza di
Dio da noi stessi immaginata
consista nell’onnipotenza e
nell’infinitezza: «Nel sorgere
di questo Dio non entrano in
gioco anche i desideri
dell’uomo? Non vuole forse
l’uomoessereliberodailimiti
della corporalità, essere
onnisciente, onnipotente e
onnipresente? Non è dunque
questo Dio l’oggettivazione
del desiderio dell’uomo di
risultare
uno
spirito
infinito?»51. In uno scritto
successivo al suo capolavoro
sull’essenza
del
cristianesimo, nel quale
estendealfenomenoreligioso
ingeneralelesueriflessionie
per questo intitolato Essenza
della religione
(1846),
Feuerbach prova addirittura
ad andare oltre la riduzione
dellateologiaall’antropologia
filosofica, per approdare a
unalettura«naturalistica»o–
come lui stesso dice –
«fisiologica» (dal greco
φύσις, physis, «natura»): «La
fede in un Dio è o la fede
nella natura intesa come
un’essenza umana, ovvero la
fede nell’essenza umana
intesa come l’essenza della
natura»52. Alla fine il
«sentimento di dipendenza
dell’uomo»53, che sta alla
base di ogni credenza
religiosa, ha come oggetto
reale il mondo naturale e
pertantoleproprietàattribuite
a Dio attraverso l’essenza
umanasonogliattributistessi
dellanatura.
Proposizioni tanto nitide
rendono superflua qualsiasi
esigenza
di
ulteriori
spiegazioni e non stupisce
che il frasario feuerbachiano
abbia suscitato l’entusiasmo
dei giovani pensatori della
«Sinistra hegeliana», per poi
essere ripreso da tutto
l’ateismoposteriore.Deltutto
coerente è poi il fatto che
Feuerbach finisca per vedere
nella religione e nel concetto
di Dio più un fenomeno di
aberrazione psicologica che
un atto di vera conoscenza:
«In questo libro – egli scrive
– le immagini della religione
non vengono considerate né
come pensieri […] né come
dati di fatto, ma come
immagini; la teologia, cioè,
non viene trattata né come
una mistica pragmatologia
(come fa la mitologia
cristiana), né come ontologia
(come fa la filosofia
speculativa della religione),
ma
come
patologia
psichica»54. In altre parole,
secondo
un’impostazione
diventata ormai comune
all’ateismo
militante
moderno,Diooildivinonon
sononéintuizionimistichené
concetti di entità realmente
esistenti, bensì farneticazioni
degne dell’attenzione di uno
psichiatra. La colpa peggiore
della teologia è perciò
condensata dal filosofo
bavarese
nel
termine
hegeliano di «alienazione»,
ossia nella separazione
dell’essere umano dalla
proprianatura,finoarenderlo
estraneo a se stesso:
«L’essenza della teologia è
l’essenza
dell’uomo
trascendente, proiettato fuori
dall’uomo; […] la teologia
scindeealienal’uomo»55.
Stando al teologo HenriMariedeLubac(1896-1991),
Feuerbach avrebbe «respinto
il
titolo
di
ateo»,
considerando piuttosto tale
l’idolatra, il quale non
credendo nella divinità dei
valori finisce per «fissarli a
un soggetto fittizio che poi
prende a oggetto delle sue
adorazioni».56 In effetti, il
nostro filosofo non si è mai
preoccupato di fare pubblica
professione di ateismo in
quanto lo considerava una
categoria superata dal fatto
che Dio altro non è che
l’insieme degli attributi che
fannograndel’essereumano,
ècioèlospecchiocheriflette
l’uomo medesimo. Ma se gli
attributi della divinità altro
non sono che gli attributi del
genereumano,allorail«vero
ateo[…]nonècoluichenega
Dio,ilsoggetto,macoluiche
nega gli attributi dell’essere
divino»57,ossiachi«venerae
si dedica interamente alla
materia»58, perché così
finisce per negare la stessa
essenza umana. Allo stesso
modo, il panteismo che non
distingue Dio dall’essenza
della natura e dell’uomo, che
«fa della materia, che è la
negazione di Dio, un
predicato o un attributo di
Dio, dell’essenza divina» e
quindi«congiungeDioconla
negazionediDio»,finisceper
unire anche il teismo con
l’ateismo. Ne consegue che
«il panteismo è l’ateismo
teologico, il materialismo
teologico, la negazione della
teologia, ma dallo stesso
punto di vista della
teologia».59
AncheseaFeuerbachnon
piaceva essere considerato
ateo nel vecchio significato
del
termine,
che
probabilmente pensava si
addicesse di più in senso
praticoaicristiani,nonsipuò
tuttavia disconoscere che la
sua filosofia apre la strada a
un ateismo antropologico
teoricamente fondato e
sistematicamentecostruito,dà
corpo
razionale
a
quell’ateismo
teorico
modernoesplosopoiinforme
diverse, come quella sociopolitica di Marx e quella
psicologico-scientista
di
Freud. Come ha bene
considerato Hans Küng, «per
la prima volta compare nella
storia
dell’umanità
un
ateismo programmatico, ben
meditato,
assolutamente
deciso» e che soprattutto
«rappresenta
una
sfida
permanente per ogni fede in
Dio».60
Va dato infine merito a
Ludwig
Feuerbach
del
tentativoditrasformareilsuo
ateismo antropologico in un
umanesimo
solidaristico,
riassumibile nell’intento di
convincere gli uomini a
passare dall’amore per Dio
all’amore per i propri simili.
Si tratta tuttavia di un
umanesimo che tende a
sacrificare l’individuo alla
collettività; e questo perché
«l’uomo singolo, preso in sé,
[…] non ha in sé l’essenza
dell’uomo.
L’essenza
dell’uomo
è
contenuta
soltanto nella comunità,
nell’unità dell’uomo con
l’uomo»61. Ma proprio nella
fallace
identificazione
dell’autentica
personalità
umana non nel singolo
individuo, bensì nella specie,
proprio in tale enfatizzazione
dellavitacomunitariarispetto
all’esistenza
dell’uomo
singolarmente
inteso,
possiamoscorgerel’elemento
critico
fondamentale
dell’ateismo feuerbachiano e
dell’ateismo antropologico in
generale:
il
passaggio
dall’umanizzazione di Dio
alla
divinizzazione
dell’umanità. Poco oltre i
passicitati,infatti,Feuerbach
giunge a scrivere: «La
solitudine è finitezza e
limitatezza,lavitaincomune
è libertà e infinità; […]
l’uomo con l’uomo, cioè
l’unitàdiioetu,èDio»62.
Ci imbattiamo così in
quella che è stata definita la
«religione dell’uomo» di
Feuerbach, che nei principi
della sua filosofia equivale
per l’essere umano a
considerare sacra la propria
natura,
ad
affermare,
oggettivare,
onorare,
glorificarelapropriaessenza,
perché «soltanto l’amore
incondizionato e indiviso
dell’uomo e per l’uomo»63
rappresenta l’autentico culto
religioso. Ciò consente di
porre tra il teismo, «che si
basasullascissionetratestae
cuore», e il panteismo, che
punta a superare tale
scissione
rendendo
immanente
al
mondo
l’essenza
divina,
un
antropoteismo che «supera la
scissione senza scissione.
L’antropoteismo è il cuore
reso ragionevole […]. La
religioneè[…]lanegazione,
la dissoluzione di Dio
nell’uomo».64 Un modo
questodiintendereilrapporto
Dio-uomo che finisce per
contrapporre e ridurre l’uno
all’altro, facendo prevalere
infine il secondo. Siamo qui
agli antipodi della visione
cristiana, per la quale non si
dà
contrapposizione
o
riduzione tra Dio e gli
uomini, bensì un’alleanza e
una promessa dominate
dall’amore, acciocché non si
possa parlare del Creatore
senza parlare della creatura e
viceversa, pur restando
entrambe due entità ben
distinte.
Cheilconfinetral’attodi
«umanizzare il divino» e
l’atto di «divinizzare l’essere
umano» fosse assai labile lo
si poteva comprendere fin
dall’inizio della riflessione
del filosofo bavarese; e che
tale confine potesse essere in
qualche caso valicato era
ugualmente probabile, come
danno conto affermazioni
tanto marcate nella direzione
di
una
evidente
divinizzazionedell’uomo,per
giunta con un’attribuzione di
onnipotenza alla specie
umana.
Difatti
l’antropoteismo
feuerbachiano si trasforma
infine inevitabilmente in una
«religione autocosciente, la
religione che comprende se
stessa»65.
4.Lademitizzazione
dell’uomo-Dio
Mentre
Ludwig
Feuerbach appariva poco
interessato alla storicità di
Cristo e considerava il
mistero
dell’Incarnazione,
ossia di Dio diventato uomo,
come «la manifestazione
dell’uomo divenuto Dio»,
come l’esternazione del fatto
che l’essere umano «era già
Dio stesso prima che Dio
divenisse uomo»,66 nel
periodo in cui egli risulta
attivo si sviluppò invece una
vivace indagine critica sulla
figura storica di Gesù di
Nazaret,condichiaratiintenti
demitizzatori.
L’obiettivo
esplicitoeraquellodiscrivere
una biografia di Gesù
attraversounmetodocriticoo
razionale, che consentisse di
distinguere con sicurezza ciò
che appartiene effettivamente
alla Storia e ciò che invece è
stato inventato o immaginato
dai primi discepoli del
Nazareno.
Tra i protagonisti di
questo movimento culturale
troviamo David Friedrich
Strauss(1808-1874),chepare
sia stato il primo a utilizzare
l’espressione
«Sinistra
hegeliana» riferendola a se
stesso per rispondere alle
polemiche di altri hegeliani
riguardo al suo corposo
saggio in due volumi del
1835, intitolato La vita di
Gesù o esame critico della
sua storia. Strauss insiste in
maniera particolare sulla
categoriadelmitoeindividua
nei Vangeli delle opere
essenzialmente mitologiche,
perché
ci
restituiscono
prevalentemente l’immagine
mitica o leggendaria di Gesù
e non quella reale. Egli non
intendeva
accusare
gli
evangelisti o i primi apostoli
di essere dei deliberati
falsificatori della verità
storica, bensì semplicemente
applicare
ai
testi
neotestamentari la teoria
hegeliana per cui dietro e
oltre la religione stanno le
verità filosofiche. Questo lo
condusse a interpretare il
contenuto degli scritti biblici
come
rappresentazioni
mitologiche, al di sotto delle
qualisidovevanorintracciare
i presupposti dialettici di
concetti
autenticamente
filosofici.
Proprio
interpretando hegelianamente
l’idea dell’Uomo-Dio riferita
aGesùCristo,eglipromuove
una svolta da lui stesso
definita «chiave dell’intera
cristologia», in base alla
qualenonpuòconcentrarsiin
un unico individuo l’unione
del divino e dell’umano, ma
nell’umanità intera: «In un
individuo concepito come
Uomo-Dio le proprietà e le
funzioni, che la dottrina
ecclesiastica attribuisce a
Cristo, si contraddicono;
nell’idea del genere, invece,
esse
si
armonizzano.
L’umanità è l’unione delle
duenature».67
Nel caso di David
FriedrichStraussèdunquela
cristologia
a
essere
riconvertita in antropologia e
quindi, alla stregua di
Feuerbach,
in
una
divinizzazionenondell’uomo
singolarmente inteso, ma
dell’intero genere umano.
Con questi due pensatori e
con altri della stessa Sinistra
hegeliana come Bruno Bauer
(1809-1882), che giunse
addirittura a porre in
discussione la reale esistenza
storica di Gesù di Nazaret,68
ci imbattiamo nuovamente
nella prima evidenza di
quellocheèillogicoapprodo
della negazione di Dio
attraverso
la
via
antropologica: si svuota il
cielodeldivinoperinnalzarvi
l’essereuomoedareformaa
una
nuova
religione
dell’umanità.
Nella
linea
del
rovesciamento della teologia
nell’antropologia e della
tendenza a umanizzare Dio
possonoesserericondotteper
certi versi le riflessioni di
Nicolai Hartmann (1882-
1950)
sulla
metafisica
teleologica, sebbene il suo
pensierosiadistantedaquello
feuerbachiano
tanto
temporalmente
quanto
strutturalmente. Egli si
collocainfattinellatradizione
fenomenologica e quindi
dell’intenzionalità
della
coscienza, ma è inoltre
attento alla natura aporetica
sia della realtà sia del
pensiero. Lo studio teorico
delle aporie è secondo lui
fondamentaleperoltrepassare
la conoscenza ingenua delle
cose e confrontarsi con i
perenni
e
ineludibili
interrogativi della metafisica,
accettandone però i limiti
epistemologici in quanto
disciplina protesa verso un
oggettochelatrascendeeche
non riesce mai a dominare
totalmente.
Hartmann
presenta la sua ricerca
filosofica come un’ontologia
critica e all’interno di essa si
collocano
appunto
le
considerazioni sul tema della
teleologia,
ossia
sull’interpretazionefinalistica
deifenomenidellanatura,ma
anchedellastoriaedeivalori.
Preso atto che sussiste
una
«seduzione
alla
falsificazione
teleologica
delle rappresentazioni del
mondo», il nostro filosofo
deducelogicamentechese«il
processo cosmico è attività
verso uno scopo, allora deve
stargli
nascosto
dietro
“qualcuno”» in grado di
indirizzare o pianificare
l’intero universo in direzione
di un fine predeterminato;
pertanto «la metafisica
teleologica
conduce
inevitabilmente a Dio». Ma
quella
di
un
essere
trascendente posto dietro il
divenire del mondo è
un’ipotesi collocata «al di là
di ogni dimostrabilità»,
mentresesiosservabenecisi
accorge che dietro a essa in
realtà si cela l’immagine
assolutizzata dello stesso
essere umano: «Questo
concetto teleologico di Dio,
guardato più attentamente, è
in tutto e per tutto il fedele
ritratto dell’uomo, solo
elevato all’assoluto. […]
Anchecosìl’umanizzazioneè
evidente». Alla fine ogni
concezione teologica e
finalistica del reale è una
forma di antropologia e
quindi di riduzione del
trascendente all’umano, al
punto che «ogni teleologia
della natura, dell’essere e del
mondo è necessariamente
antropomorfismo». Ma un
antropomorfismo filosofico
puòfareamenodelconcetto
stesso di Dio, sostituibile
facilmente
con
una
«ipostatizzazionediscopidel
mondo
postulati
assiologicamente»,
cioè
secondo un insieme di valori
chesirivelanotuttiall’uomo.
D’altronde, sul terreno
dell’etica, un mondo che sia
stato prodotto in base a un
piano da una divinità o nel
quale una divinità al di fuori
dell’uomo
disponga
in
qualche modo del futuro,
l’uomo come essere morale,
come persona, sarebbe
totalmente annullato, non
potrebbe più «mettersi in
gara» e questo non è né
accettabilenéammissibile.In
definitiva, per salvare la
libertà nell’agire dell’essere
umano bisogna postulare
l’infondatezza dell’esistenza
diunDioprovvidente,dacui
discende quello che è stato
chiamato
«ateismo
postulatorio
della
responsabilità»
umana.
Bisogna in altri termini
rifiutarequalsiasinozionedel
divino,siaessaquellateistao
quella panteista, perché sotto
questo profilo «distinzioni
altrimenti significative come
quellatrateismoepanteismo
sono
assolutamente
indifferenti»: entrambi sono
negativiperl’etica.69
Ma tanto il tentativo di
Feuerbach di restituire al
genere umano un’essenza
dotata delle stesse virtù
assegnate a Dio (soprattutto
infinitezza
e
amore
sconfinato),
quanto
la
demitizzazione filosofica e
l’ateismo
postulatorio
hartmanniano naufragano al
cospetto
delle
reali
caratteristiche degli uomini
concreti, che ci mostrano
quotidianamente come gli
individui della nostra specie
siano in effetti limitati,
imperfettinelleloropassioni,
combattuti tra l’odio e
l’amore per i propri simili e
non certo sempre razionali
nelle proprie azioni. Come
non è sufficiente sostenere
cheildivinoèunaproiezione
della mente umana per
dimostrare che non esiste,
allo stesso modo non basta
divinizzare l’essere umano
perrenderlodavverosimilea
Dio. In breve, per dirla con
Kant, l’uomo è e resta un
«legno storto», un coacervo
di bene e di male dalla cui
storia difficilmente può
scaturire un esito totalmente
positivo e paragonabile alla
perfezione divina: «Da un
legno storto, come quello di
cui l’uomo è fatto, non può
uscire nulla di interamente
diritto».70
5.LamortediDio
L’ateismo
nichilistico
rappresentaforselaformapiù
radicale
di
rifiuto
dell’esistenza di Dio ed è
l’esito più maturo a cui
approda
l’ateismo
antropologico in epoca
contemporanea, dopo essere
passato per il materialismo
illuministico
e
l’umanizzazione di Dio degli
allievi di Hegel. Esso vanta
come indiscusso protagonista
uno dei filosofi più grandi e
controversi
dell’800:
Friedrich Nietzsche (18441900). Non è facile
inquadrareinunoschemaoin
unacorrentefilosofical’opera
di questo pensatore tedesco,
anzi
probabilmente
è
impossibile; perciò non
sorprendono i tanti equivoci,
le
tante
differenti
classificazioni e anche le
strumentalizzazioni a cui
sonoandatiincontrogliscritti
nietzschiani, specie da parte
delle
diverse
ideologie
politichedel’900.
Tutto dipende dal fatto
che Nietzsche costituisce una
sorta di crocevia della
riflessionefilosofica,incuisi
incontrano e si scontrano
diverse tendenze quali:
l’idealismo romantico, il
pessimismo
schopenhaueriano,
l’irrazionalismo,
l’evoluzionismo e la filosofia
dell’esistenza. Al tempo
stesso però egli si proponeva
disuperareotrasmutaretuttii
valori
del
pensiero
occidentale, a iniziare da
quelli della metafisica di
origine platonica e della fede
cristiana. In uno degli ultimi
suoi scritti a chiara impronta
autobiografica, Ecce Homo.
Come si diventa ciò che si è
(1888), il nostro filosofo
dimostra di aver ben chiara
l’inattualità o la «scomodità»
della sua figura, nonché
l’obiettiva
difficoltà
a
intendere un messaggio
dirompente come il suo e
quindilafacilitàconcuiesso
poteva essere frainteso o
manipolato:
Conosco la mia sorte. Un
giorno sarà legato al mio
nome il ricordo di
qualcosa di enorme: una
crisi, quale mai si era
vista sulla Terra, la più
profonda collisione della
coscienza, una decisione
evocata contro tutto ciò
chefinoraèstatocreduto,
preteso, consacrato. Io
non sono un uomo, sono
dinamite. […] La mia
verità è tremenda: perché
fino a oggi si chiamava
verità la menzogna.
Trasvalutazione di tutti i
valori: questa è la mia
formula.71
Già dal tono profetico ed
enfatico del linguaggio di
Nietzsche si può intuire
l’impatto devastante di un
pensiero che nega in blocco
tutte le visioni del mondo
della tradizione occidentale,
ma anche il motivo per cui a
qualcuno
fece
comodo
utilizzare la malattia mentale
chelocolpìgravementenegli
ultimi anni di vita per
relegare la sua filosofia
nell’ambito della follia. In
realtà, come ha chiarito Karl
Löwith, in quella che può
apparire
pazzia
(ed
effettivamente già lo è in
alcuni brani degli ultimi
scritti
nietzschiani)
è
contenuta una stupefacente
premonizione dei tragici
destini dell’umanità che
caratterizzeranno la prima
metà del ’900 con i due
terribili conflitti mondiali;
infatti,«questo“EcceHomo”,
che porta impresso il segno
del destino europeo, può
sembrare la megalomania di
un demente, ma può apparire
anche come una sapienza
profetica, insieme follia e
profondità»72. Ma il pensiero
di Nietzsche, una volta
trasformatosi in profezia,
cessa di essere solo
riflessionefilosoficaediventa
«in largo senso politica»73,
diventa cioè un impegno e
una sollecitazione per gli
uomini a prendere atto della
fine di un’epoca, degli errori
correntidellafilosofiaedella
religione, nonché della crisi
di tutti i sistemi di governo:
«Il concetto di politica
trapasserà
allora
completamente in quello di
unaguerradeglispiriti,tuttii
centri di potere della vecchia
società salteranno in aria:
sono tutti fondati sulla
menzogna[…].Soloapartire
da me ci sarà sulla Terra
grandepolitica»74.
Qual è dunque il
messaggio di cui si sente
portatore il filosofo tedesco?
Possiamo riassumerlo in un
appello ai valori vitali o
«dionisiaci», in una vera e
propria passione per la vita
nella sua dimensione reale o
terrena(anchesenegativa),in
un ripudio di qualsiasi
concezione illusoria del
mondo, in una ripulsa della
decadenzainiziatadaSocrate
e riassunta prima nella
filosofiaidealisticadiPlatone
e poi nella morale ascetica e
rinunciataria
del
cristianesimo.
Il cristianesimo – scrive
Nietzsche – fu fin
dall’inizio,
essenzialmente
e
fondamentalmente,
nausea e sazietà che la
vita ha della vita, nausea
soltanto
travestita,
soltantonascosta,soltanto
mascherataconlafedein
un’altra o migliore vita.
[…] Contro la morale si
volse dunque allora, con
questolibroproblematico,
il mio istinto, come un
istinto che parla a favore
della vita, e inventò una
sistematica
controvalutazione
e
controdottrina della vita,
una
valutazione
puramente artistica, una
valutazione anticristiana.
Come chiamarla? […] La
chiamai la valutazione
«dionisiaca».75
Nonstaremoquiapassare
in rassegna le disparate
interpretazioni del pensiero
nietzschiano prodotte dalla
critica filosofica dalla morte
del filosofo fino ai giorni
nostri. Ci interessa invece di
più che sia ben chiara la
contrapposizione da un lato
tra una morale e una
concezione
del
mondo
fondatesulrisentimentoverso
lavitatipicodell’uomoinetto
(«Nellamoralelarivoltadegli
schiavihainiziodaquandoil
ressentiment [risentimento]
diventaessostessocreatoree
generavalori»)76; e dall’altro
un’idea dell’esistenza umana
tutta rivolta alla corporeità, a
ciòcheèterrenocomeneiriti
dionisiaci dell’antica Grecia.
Taleèinfattil’appellorivolto
all’umanità nel Così parlò
Zarathustra (1885): «Vi
scongiuro fratelli, rimanete
fedeliallaTerraenoncredete
a quelli che vi parlano di
sovraterrene speranze! Lo
sappiano o no: costoro
esercitanoilveneficio»77.
Non può allora mancare
in Nietzsche una ferma presa
didistanzadaciòchehareso
maggiormente possibile in
Occidente il distacco dalla
vita terrena nella prospettiva
diun’esistenzaultraterrena:la
religione cristiana e la sua
nozione del divino. «Il
concettocristianodiDio[…]
–affermailfilosofotedesco–
èunodeipiùcorrotticoncetti
di Dio che siano mai stati
raggiuntisullaTerra[…].Dio
degenerato fino a contraddire
la vita, invece di esserne la
trasfigurazione».78 Questo
rifiuto di ogni trascendenza,
questa ferma opposizione
contro la metafisica classica
dell’Occidente che ha negato
il significato reale della vita
contenuto nel senso del
tragico della civiltà greca
presocratica, questa critica
ferocemente
anticristiana
sono inspiegabili con il
semplice
ricorso
al
tradizionale ateismo, ma
richiedono
l’introduzione
della più radicale categoria
del «nichilismo». Come del
restoricordalostessofilosofo
tedesco, l’ateismo per lui
«non è un risultato e
tantomeno un avvenimento»,
infatti «come tale non lo
riconosco; io lo intendo per
istinto. Dio è una risposta
grossolana, una indelicatezza
verso noi pensatori».79 Egli
perciò vuole andare oltre
l’ateismo riflettendo sulle
conseguenzenichilisticheche
da esso discendono, sui
risvolti filosofico-esistenziali
e pratici dell’oggettiva e
scontata«mortediDio».
Che cosa si debba
intendere
col
termine
«nichilismo» ce lo spiega lo
stesso
Nietzsche
nei
frammenti di un’opera a cui
stava lavorando allorché fu
colto dalla pazzia e che
posteriormente
furono
pubblicati, a cura dell’amico
Peter Gast (1854-1918) e
della sorella del filosofo
Elisabeth Förster-Nietzsche
(1846-1935), col titolo La
volontà di potenza: «Il
nichilismocomeconseguenza
dell’interpretazionedelvalore
sin
qui
accordato
all’esistenza. Che cosa
significa
nichilismo?
Significacheivalorisupremi
sisvalutano.Mancaloscopo.
Manca la risposta al:
perché?».
Il
nichilista,
dunque,ècoluicherispettoal
senso della realtà, in
particolare della vita umana,
non ha risposte, non vede
valori,
è
insomma
sprofondato nel «nulla» (dal
latino nihil): «Il nichilismo
come condizione psicologica
dovrà subentrare in primo
luogo se avremo cercato un
“senso” in tutto ciò che
avviene, senso che non vi si
trova: così che il cercatore
finisceperperdersid’animo».
Anchelecauseall’origine
del trionfo del nichilismo
sono
per
Nietzsche
abbastanzachiare;essevanno
ricercate nella filosofia
razionalistica
e
nella
decadente etica cristiana che,
in quanto false, hanno finito
appunto per annichilire il
mondo
reale,
quello
testimoniato
dall’atteggiamento dionisiaco
edalverbonietzschiano:
Il nichilismo è davanti
alla porta: donde ci viene
questo che è il più
inquietante fra tutti gli
ospiti?
[…]
In
un’interpretazione
perfettamentedeterminata
[del mondo], in quella
cristiano-morale, sta il
nichilismo. […] «Tutto è
privo di senso»: tratto
buddhistico, l’aspirazione
al nulla. […] La fede
nelle categorie della
ragione è la causa del
nichilismo, noi abbiamo
commisurato il valore del
mondo a categorie che si
riferiscono a un mondo
fittizio.80
Si intravede in filigrana
dietro queste parole del
filosofo
tedesco
il
pessimismo
schopenhauerianoinfluenzato
dallereligioniorientali,chein
sensochiaramentenichilistico
venne fatto proprio anche da
EduardvonHartmann(18421906): un pensatore a lui
contemporaneoperilqualeil
non essere è preferibile
all’essere,perchénonessereè
laperfezioneeilmondodeve
tendere
quindi
ad
annichilarsi, come per altro è
destino avvenga pure per il
cristianesimo.81Manonbasta
ancora, perché Nietzsche
estende coerentemente gli
esiti nichilistici a tutte le
forme di sapere e a tutti gli
atti concreti dell’uomo come
la scienza, la politica,
l’economia, la storia, l’arte e
viadicendo.Ealverticee,al
tempostesso,allefondamenta
del
nichilismo
come
fenomeno che nega qualsiasi
senso alle cose, che svaluta
ognivalore,nonpuòchestare
la totale e definitiva
negazione
della
fonte
supremadeivalori,diciòche
è stato pensato proprio per
spiegare la realtà, per
attribuire un significato
all’essere;inunaparola,Dio.
Aquestonichilismodisegno
decisamente negativo che
dice no a Dio e al
trascendente,
fa
da
contrappuntounnichilismodi
segno positivo che per il
nostro filosofo consiste nel
dire sì alla realtà così come
effettivamente è; un sì alla
vita che si traduce nel
«rimanere fedeli alla terra»,
come
perorava
in
Zarathustra.
È soltanto alla luce di
questo duplice senso del
nichilismonietzschianocheè
possibile capire a fondo il
celebre grido: «Dio è morto
[Gottisttot]».Sussiste,come
si è detto, una relazione di
fondotral’affermazionedella
«morte di Dio» (Tod Gottes)
e il pensiero nichilistico così
com’è stato sviluppato da
Nietzsche. Due sono i testi
principaliacuipossiamofare
riferimento: uno in La gaia
scienza (1882) e l’altro nel
citatoCosìparlòZarathustra.
Il primo testo è una
narrazionepienadipathos:
Avetesentitodiquelfolle
uomo che accese una
lanterna alla chiara luce
del mattino, corse al
mercato e si mise a
gridare incessantemente:
«CercoDio!CercoDio!».
E poiché là si trovavano
molti di quelli che non
credevano in Dio, suscitò
grandi risa. «È forse
perduto?» disse uno. […]
Il folle uomo balzò in
mezzoaloroelitrapassò
conisuoisguardi:«Dove
se n’è andato Dio? Ve lo
voglio dire! Siamo stati
noi a ucciderlo: voi e io!
Siamo noi tutti i suoi
assassini! […] Dio è
morto!
Dio
resta
morto!».82
Nel
secondo
testo
Zarathustra,scendendopresso
gli uomini dal suo eremo
sulla montagna per renderli
partecipi della sua sapienza,
incontra per primo nella
foresta un vecchio solitario
cheaffermadiamareDio,ma
nongliesseriumani;eallora
«quando fu solo così parlò
Zarathustranelsuocuore:“È
mai possibile! Questo santo
vegliardo non ha ancora
sentito dire nella sua foresta
cheDioèmorto!”».83
Un’idea questa della
morte di Dio e dell’umanità,
che si scopre da Lui
abbandonata, che si trovava
in parte già nel Discorso del
Cristo morto (1796) del
romantico tedesco Jean Paul,
pseudonimo di Johann Paul
Friedrich Richter (17631825). Qui, all’interno di un
discorso sulla negazione
dell’esistenza di Dio e sulla
«fede nell’ateismo», Jean
Paul fa domandare a Cristo:
«Non c’è Dio alcuno?»; e
rispondere
da
Lui
seccamente: «Non c’è. Ho
attraversatoimondi,[…]Ma
non c’è Dio alcuno». E agli
uominichechiedonodelloro
Padreceleste,Cristorisponde
facendo intendere che ormai
Dio è come fosse morto:
«Siamo tutti orfani, io e voi,
siamotuttisenzapadre».84
Tornando a Nietzsche,
una
volta
annientato
(assassinato) Dio e con lui
tutti i valori della cultura
umana, si para davanti al
filosofo tedesco come a tutti
noi un enorme vuoto, un
gigantesco nulla, di fronte al
qualesiponeilproblemadel
«riempimento»,
della
«trasvalutazione dei valori»,
che superi quello che lo
stesso filosofo ha definito un
«nichilismo passivo» per
approdare a un «nichilismo
attivo».85Lasoluzione,lavia
di uscita dal nichilismo
passivo, Nietzsche sembra
trovarlaa«6000piedialdilà
dell’uomo e del tempo»,
mentre cammina nei boschi
presso il lago di Silvaplana
nell’Alta
Engadina
(Svizzera); e gli pare come
un’illuminazione,
un
avvenimento del destino
pregnodiconseguenzepersé
e per tutta l’umanità. Per
annunciarealmondointerola
sua scoperta sceglie ancora
una volta la figura miticoreligiosa
del
persiano
Zarathustra,
ossia
del
fondatore dello zoroastrismo
eportatorediunarivelazione
divina. Ma questa scoperta,
questa illuminazione altro
non è che la dottrina
dell’eternoritorno,secondola
quale tutto si ripropone
incessantemente allo stesso
modo. Parafrasando un
versetto del vangelo di
MatteodovePietroeffettuala
sua professione di fede in
Gesù(Mt16,15-16),ilnostro
filosofo
scrive
infatti:
«Giacché le tue bestie,
Zarathustra,sannobenechitu
seiechidevidiventare:ecco,
tu sei il maestro dell’eterno
ritorno, questo ormai è il tuo
destino! […] Vedi, noi
sappiamo ciò che tu insegni:
che tutte le cose eternamente
ritornanoenoiconesse,eche
noi siamo stati già, eterne
volte, e tutte le cose con
noi»86. L’accogliere questa
verità equivale a ciò che
abbiamo chiamato un sì alla
vitacosìcomerealmenteè,a
fare proprio lo spirito
dionisiaco con cui si accetta
senza infingimenti e senza
riserve il mondo nella sua
immanente realtà, anche
negativa.
Lo
struttura
della
riflessione
nietzschiana
adesso ci appare chiara e per
sintetizzarla
ricorriamo
nuovamente alle parole di
Karl Löwith: «Il pensiero
vero e proprio di Nietzsche
consiste in un sistema al cui
principio sta la morte di Dio
[Tod Gottes], nel mezzo il
nichilismo che da quella
deriva,
e
alla
fine
l’autosuperamento
del
nichilismo verso l’eterno
ritorno»87. Si parte dunque
dalla proclamazione della
morte di Dio, inteso come il
Dio ideale cristiano, per
esaltarelafinedituttiivalori
tradizionali e la loro
trasvalutazione nella profezia
dell’eterno ritorno, laddove
l’attenzione è solo per
l’immanente,
per
il
«terrestre». La presa di
coscienza della morte di Dio
rappresenta così uno stadio
ulteriore e positivo rispetto
all’ateismo
storico
anticristiano; qualcosa che
Nietzschesembraconsiderare
ormaiconclamatoerealizzato
in un «ateismo scientifico»:
«Il tramonto della fede nel
Dio cristiano, la vittoria
dell’ateismo scientifico, è un
avvenimento
totalmente
europeoalqualetuttelestirpi
devono avere il loro
contributo di merito e di
onore».88
Di fronte alla morte di
Dio e all’esclusione dell’idea
cristianadeldivinosegueora
l’introduzionediunaltronoto
e spesso frainteso tema
nietzschiano: quello del
«superuomo» o, se si
preferisce,
dell’«oltreuomo»89.
Il
superuomo è colui che «va
oltre» l’umanità precedente
alla venuta di ZarathustraNietzsche, colui che risulta
dotato di spirito libero e
attaccamento alla vita e alla
terra, che non ha bisogno di
alcun Dio perché egli stesso,
nell’eterno
ritorno
dell’uguale, ha preso il posto
degli dei: «Zarathustra parlò
cosìallafolla:Ioviinsegnoil
superuomo [Übermensch].
L’uomo è qualcosa che deve
essere superato. […] Il
superuomo è il senso della
terra. Dica la vostra volontà:
siailsuperuomoilsensodella
terra!».90L’uomosuperioreè
colui che ha preso atto della
morte di Dio e di
conseguenza non riconosce
più l’uguaglianza davanti a
un ente trascendente come
imponevalamoralecristiana;
noncisonoperciòpiùvincoli
al
pieno
realizzarsi
dell’oltreuomo:
«Uomini
superiori, questo Dio era il
vostropiùgravepericolo.Da
quandogiacenellatomba,voi
siete veramente risorti. Solo
ora verrà il grande meriggio,
solo ora l’uomo superiore
diverrà:padrone!».91
Benché il modo di essere
ateo di Nietzsche sia molto
originale, non sfugge tuttavia
al
processo
tipico
dell’ateismo antropologico
chepuntaasostituireDiooil
trascendente con l’uomo, sia
pure in questo caso nella
forma dell’Oltreuomo. Come
abbiamo
accennato
in
precedenza, il carattere
postulatorio
dell’ateismo
nietzschiano era già evidente
per Max Scheler, che lo
individuava soprattutto in
questa argomentazione: «Se
vi fossero degli dei, come
potrei sopportare di non
essere dio! Dunque, non vi
sonodei»,doveèimplicitala
seconda premessa «Non
potrei sopportare di non
esseredio».92
Il
ragionamento
di
Nietzsche,sebbenepresentato
in modo formalmente non
inappuntabile,
serve
benissimo a dimostrare come
il filosofo tedesco postuli la
non esistenza di una o più
divinità per esaltare al
massimo grado l’essere
umano, che secondo lui non
dovrebbe mai accettare di
risultare inferiore a nessun
altro ente, Dio incluso. Sono
per altro tantissime le
lapidarie affermazioni messe
in bocca a Zarathustra nelle
quali l’uomo si sostituisce al
divino, come questa: «Basta
con un dio così! Meglio
nessun dio […]. Meglio
esserenoistessidio!».Enon
a caso, la figura del vecchio
ultimo papa con cui sta
interloquendo
Zarathustra
così risponde: «Che sento
mai! […] O Zarathustra, sei
più devoto di quanto tu non
creda con questa tua
miscredenza! Un qualche dio
dentro di te ti convertì
all’ateismo»93. È quindi del
tuttocomprensibilechecisia
chi tra gli studiosi del
pensiero nietzschiano abbia
colto come «non solo
Nietzsche parli del sacro, del
divino, ma che addirittura il
suo stesso filosofare può
essere considerato come
sacrale». In altre parole, alla
base del suo modo di essere
anti-metafisico si coglie una
«nuova metafisica che può
definirsi come metafisica
tragica».94
Il tentativo di Friedrich
Nietzsche,inultimaanalisi,è
rivolto a unificare la volontà
umana con la dimensione
necessaria del cosmo e per
giungere a tanto deve
eliminare l’ostacolo più
grande che si frappone alla
realizzazione
del
suo
progetto,ossiaall’avventodel
superuomo.Questoostacoloè
il Dio trascendente e solo
allorché il volere e l’essere
saranno
unificati
nel
superuomo, sarà eliminata
l’idea
stessa
della
trascendenza.Maèfacilequi
osservare
che
questo
superuomo od oltreuomo
nella realtà non esiste e non
potrà mai esistere, mentre
esistono gli individui umani
reali, ben diversi dagli
«uomini
superiori»
di
Zarathustra. La filosofia
nietzschiana e il suo
umanesimo ateo riescono
perciò soltanto nell’impresa
nichilistica di dissolvere
l’essere
umano
senza
sostituirlo con alcunché,
condannandocosìl’umanitàa
una nullificante assenza di
valori e di senso: «Non c’è
piùuomo,perchénonc’èpiù
nulla
che
trascenda
l’uomo»95.
6.Tuttoèpermesso
Nel
pensiero
contemporaneo,inparticolare
in quello dell’immediato
secondodopoguerra,unruolo
importante è stato senza
dubbio
rivestito
dall’esistenzialismo
ateo,
perché ha contribuito più di
altre concezioni filosofiche a
dare consistenza al repertorio
fondamentale delle tesi
dell’ateismo del XX secolo,
diventando per un certo
tempo pure un’influente
moda culturale. Prenderemo
quiprevalentementeinesame
alcuni
protagonisti
dell’esistenzialismo
che
fecerodellanegazionediDio
un elemento importante della
loro riflessione e dei loro
scritti. Per due filosofi come
Jean-Paul Sartre e Maurice
Merleau-Ponty,inparticolare,
l’ateismo non è un punto di
approdo bensì un basilare
punto di partenza. Rinviamo
invece la trattazione di un
altro pensatore esistenzialista
ateo, Albert Camus, al
capitolo in cui affronteremo
l’ateismo prometeico e la
rivolta contro il male nel
mondo.96
L’ateismo di Jean-Paul
Sartre(1905-1980)affondale
sue
origini
addirittura
nell’infanziadelfilosofoedè
luistessoaraccontarcelocon
espressioni
molto
significative:
La mia inclinazione a
elevarmi al di sopra dei
beni di questo mondo era
forte proprio perché non
ne possedevo nessuno
[…].Erocredente,dicevo
tutti i giorni la preghiera
[…].
Un
giorno,
consegnaiall’istruttore[di
religionecheeraunprete]
una composizione in
francese sulla Passione
[…]. Ottenne solo la
medaglia d’argento [cioè
il secondo posto]. Questa
delusione mi sprofondò
nell’empietà. […] Ho
appena raccontato la
storia di una vocazione
mancata: avevo bisogno
di Dio, mi fu dato, lo
ricevetti senza capire che
lo cercavo. Non potendo
attecchire nel mio cuore,
Egli ha vegetato in me,
poièmorto.97
Se non si tratta di una
delle sue tante boutade, da
questo resoconto di una
«vocazione
mancata»
apprendiamo che Sartre, uno
degli atei più agguerriti di
tutti i tempi, avrebbe potuto
benissimo diventare un
fervente credente se soltanto
alcune circostanze della sua
vita infantile tutto sommato
banali,comeilmancatopieno
successo in un concorso
poeticoperragazzi,sifossero
svolte diversamente. Ciò per
altrodimostraquantoabbiano
inciso sulle sue scelte
filosoficheleesperienzedella
«vita vissuta» e quanto in
generale
esse
risultino
determinanti per ogni uomo
all’atto della formazione del
suo
atteggiamento
nei
confronti dell’esistenza di
Dioedellafedereligiosa.La
testimonianza del filosofo
franceseinducetuttaviaanche
a un’altra considerazione.
Dopo Feuerbach, ma il
discorsopuòforsevalerepure
per il giovane Marx e per
Nietzsche, ci imbattiamo
nuovamente in un ateo che
prima di diventare tale è
andato
vicinissimo
a
compiere una scelta religiosa
radicale,aessereuncredente
fino al midollo, forsanche
fino al misticismo. Senza
addentrarci in complesse
analisi psicologiche, ciò che
ci sentiamo ragionevolmente
di sostenere è che, a
differenza
dell’ateismo
pratico, l’ateo teorico non è
mai
indifferente
alla
questione dell’esistenza di
Dio; e per quanto la neghi
risolutamente, il problema
della presenza di un Essere
trascendente sorgente di
significato per la vita umana
l’hatoccatoel’hainteressato
profondamente. Guai dunque
a confondere l’ateismo
speculativoconl’indifferenza
inmateriareligiosa:sonodue
fenomeni molto differenti,
specie dal punto di vista del
valore e della dignità
intellettuale.
Che l’ateismo sia un
elemento
fondante
dell’esistenzialismo sartriano
sinotachiaramenteallorchéil
filosofo francese distingue i
pensatoriesistenzialistiindue
categorie:quellichesidicono
cristiani o credono in Dio e
quelli che invece si
proclamano atei. Tra i primi
egli colloca Karl Jaspers
(1883-1969)eGabrielMarcel
(1889-1973), mentre tra i
secondi inserisce Martin
Heideggeresestesso.Ledue
forme di esistenzialismo
avrebbero in comune il
principio
secondo
cui
«l’esistenzaprecedel’essenza
o, se volete, che bisogna
partire dalla soggettività»98,
ma poi si differenzierebbero
sul modo di giustificare o
fondaretaleprincipio,ovvero
sul fatto se esso sia o meno
compatibileconl’esistenzadi
Dio. Certamente quello di
Sartreèunateismopresentato
«comeunatesiesplicitamente
morale e non con argomenti
gnoseologici», perché viene
presuppostocomecondizione
senza la quale «non potrebbe
darsi un’esperienza [umana]
piena, e cioè non evasiva
dellalibertàdiscelta».99
Nel saggio del 1945 dal
titolo L’esistenzialismo è un
umanismo,
il
filosofo
francesedàilmegliodiséper
argomentarelostrettolegame
di necessità razionale che
unisce la negazione di Dio
con l’affermazione della
piena libertà umana; e lo fa
con una verve, con una
capacità di persuasione che
ancora oggi colpiscono e
affascinano il lettore. Il suo
ragionamento
procede
innanzituttodallaspiegazione
di che cosa significa
sostenere che per l’uomo
l’esistenza precede l’essenza.
Secondo un modo di
intendere di una certa
tradizione del pensiero
metafisico gli elementi
primaridiunoggetto,ossiale
caratteristiche che fanno di
una cosa quella cosa (per
esempio l’uomo è un
«animale pensante»), e che
poi sono riassunti nel
concetto o nella definizione
della
cosa
medesima,
costituiscono
l’essenza
dell’oggetto e in quanto tali
devono venire considerati a
essopreesistenti.Nelcasodel
singolo essere umano per
esempio, la natura di
«animale
razionale»
precederebbelasuaesistenza,
dalmomentochetalenaturao
essenza già caratterizza tutta
la specie umana ancor prima
che il singolo uomo compaia
sulla Terra. Come spiega lo
stesso Jean-Paul Sartre
riferendosi
a
questa
impostazione
filosofica,
«l’uomo possiede una natura
umana: questa natura, cioè il
concetto di uomo, si trova
presso tutti gli uomini, il che
significacheogniuomoèun
esempio particolare di un
concetto universale: l’uomo.
[…]Cosìl’essenzadell’uomo
precede
quell’esistenza
storica che incontriamo in
natura».100
Orbene, per certi sistemi
filosofici il concetto o
l’essenza di tutte le cose
esiste addirittura prima della
stessa creazione del mondo e
di solito si trova nella mente
del creatore, a meno che non
si
teorizzi
addirittura
l’esistenza di un «altro
mondo» fatto solo di pure
idee, così come riteneva
Platone. Sartre si concentra
peròsoprattuttosulladottrina
più diffusa in Occidente,
ossia quella cristiana che
chiama in causa un Creatore
intelligente, e afferma: «Dio,
quando crea, sa con
precisionechecosacrea.[…]
Diocreal’uomoispirandosia
una determinata concezione
[un’ideagiàinsuopossesso].
In tal modo l’uomo
individuale incarna un certo
concetto che è nell’intelletto
di Dio». Ma secondo
l’esistenzialismo ateo questa
concezione
filosofica
presenta il grave difetto di
limitare
fortemente
l’autonomiaelaprogettualità
umana, di fare del soggettouomo un individuo non
totalmenteliberoequindinon
molto dissimile da un
qualsiasi altro ente del
mondo. Quindi il filosofo
francese
si
domanda
retoricamente: «L’uomo ha
una dignità più grande che
nonlapietraoiltavolo?».101
Un
essere
umano
totalmente determinato come
una pietra o un tavolo
risulterebbe
fortemente
condizionato
dalla
sua
essenza, che ne stabilisce a
priori la natura e gli
impedisce di essere «un
progetto che vive se stesso
soggettivamente»
e
liberamente, come vorrebbe
precisamente la filosofia
esistenzialistaeprimadiessa
la tradizione umanistica. A
questo punto però, la via di
uscita razionale da questa
concezione
metafisica
dell’essere umano che ne
compromette la piena libertà
eladignitàèunasoltanto:la
negazione
assoluta
dell’esistenza di Dio. Scrive
infattiSartre:
L’esistenzialismo ateo,
che io rappresento è più
coerente. Se Dio non
esiste, esso afferma, c’è
almeno un essere in cui
l’esistenza
precede
l’essenza, un essere che
esiste prima di poter
essere definito da alcun
concetto: quest’essere è
l’uomo. […] L’uomo
innanzitutto esiste, si
trova,sorgenelmondo,e
sidefiniscedopo.L’uomo
nonèdefinibileinquanto
all’inizio non è niente.
Sarà solo in seguito, e
sarà quale si sarà fatto.
Così non c’è una natura
umana,poichénonc’èun
Diochelaconcepisca.102
D’altronde Sartre ritiene
inconcepibile
l’idea
dell’Esseredivinopuredaun
punto di vista strettamente
speculativo,ovveropiùlegato
a una riflessione critica
sull’«ontologia
fenomenologica»(comeluila
chiama),perchélanozionedi
Dio quale causa di se stesso
finisce per essere riassorbita
dalla contingenza: «L’atto di
causalità per cui Dio è causa
sui, è un atto annullatore
comeogniattodiriconquista
disédapartedisestessi[…];
laprimarelazionedinecessità
è un ritorno a sé. E questa
manifestazione originaria, si
manifesta sul fondamento di
unesserecontingente.[…]In
una parola, se Dio esiste, è
contingente»103. La prosa del
filosofo
francese
è
artatamente involuta, ma in
sostanza ci dice che il
concetto di Dio della
metafisica occidentale, in
particolare
quello
di
derivazione cartesiana, è
autocontraddittorioperchénel
tentativo di riacquisire se
stessosiannichiladasolo:nel
linguaggio sartriano assume
contestualmente la forma
«dell’in-sé [gli oggetti del
mondo] e del per-sé [la
coscienza]»104, che sono
caratteristiche
tra
loro
incompatibili. Insomma, una
sintesi ideale della natura e
dell’essere umano in Dio è
impossibile: «È come se il
mondo,l’uomoel’uomo-nelmondo non giungessero a
realizzare che un Dio
mancato.[…]»105.
Ci ritroviamo così di
nuovo nel bel mezzo del
meccanismo classico e ormai
a noi ben noto dell’ateismo
antropologico: quello che fa
della negazione del divino la
premessa o precondizione
dell’affermazione dell’essere
umano, fino al punto di
equiparareoinnalzarel’uomo
stesso alla funzione o
all’essenza di Dio. La più
marcata
differenza
dell’esistenzialismo sartriano
nei confronti del pensiero di
Feuerbach
e
Nietzsche
consiste
nel
privilegio
accordato al soggetto-uomo
rispetto al genere o alla
comunità umana, l’individuo
come progetto di se stesso,
come «ciò che ha coscienza
di
progettarsi
verso
l’avvenire»106. Tuttavia resta
anche qui evidente la
rappresentazione di un essere
umanoprotesoaeguagliareil
trascendente e in tal senso
alcune affermazioni di JeanPaul Sartre sono illuminanti:
«Ciò che rende meglio
concepibile
il
progetto
fondamentale della realtà
umana, è che l’uomo è
l’esserecheprogettadiessere
Dio […], valore e scopo
supremo della trascendenza a
partiredalqualel’uomosifa
annunciare ciò che è. […]
Essereuomosignificatendere
a essere Dio; o, se si
preferisce,
l’uomo
è
fondamentalmente desiderio
diessereDio»107.
Dalpuntodivistapratico
per il filosofo francese, una
volta eliminato o superato
Dio quale «ipotesi inutile e
costosa»108, ogni singolo
individuo umano diventa
pienamente artefice di se
stesso, può fare di sé ciò che
vuole, perché non è più
determinato da nessuna
essenza o natura prestabilita:
«L’uomo non è altro che ciò
chesifa.Questoèilprincipio
primo dell’esistenzialismo.
Ed è anche quello che si
chiama la soggettività»109.
L’eliminazione di Dio però
presenta anche altri risvolti,
non del tutto gradevoli per
l’uomo; comporta un alto
prezzodapagare,alcontrario
di quanto immagina «una
certa morale laica che
vorrebbe togliere di mezzo
Dio con la minima spesa». E
le
conseguenze
maggiormente rilevanti si
palesano proprio nel campo
dell’etica, dove vengono a
mancare i valori assoluti
garantiti dalla presenza di
Dio,enelcampoesistenziale
dove la responsabilità della
scelta, che ora ricade
completamente su ogni
singolo individuo, provoca
spesso uno «stato di
abbandono», a cui sono
compagne l’angoscia e la
disperazione. Sartre qui è
ancora una volta molto
esplicito: «Dostoevskij ha
scritto: “Se Dio non esiste
tutto è permesso”. Ecco il
punto
di
partenza
dell’esistenzialismo.
Effettivamente tutto è lecito
se Dio non esiste, e di
conseguenza
l’uomo
è
abbandonato perché non
trova,néinsénéfuoridisé,
possibilità di ancorarsi. […]
Siamo soli, senza scuse.
L’uomo è condannato a
esserelibero»110.
Non c’è alcun dubbio:
siamo al cospetto di una
visione molto impegnativa
dellavita.Tuttaviailfilosofo
francese ha buon gioco
nell’affermare che almeno si
tratta di una visione
disincantata:
«Non
c’è
bisogno di sperare per agire
[…]saròsenzaillusioni,farò
quello che posso»111. E
comunque a suo giudizio è
l’unicacapacediassecondare
unaesistenzaumanalibera:la
solitudine e la piena
responsabilità diventano così
il prezzo (altissimo) di una
libertàassoluta.
Molti anni dopo, quando
era ormai piuttosto avanti
negli anni, Jean-Paul Sartre
ammise di aver talvolta
scritto
per
mera
provocazione,perilsemplice
piacere di polemizzare, di
pubblicare opere originali e
adatte a stabilire una moda:
sembra per esempio che ciò
accadde per il suo poderoso
saggioL’essereeilnulla,nel
quale tra l’altro si trova la
famosa frase divenuta un
mantra dell’esistenzialismo:
«L’uomo è una passione
inutile»112. Questo tuttavia
non ci pare sia avvenuto con
il suo ateismo, con la
negazione di Dio che
considerava
antropologicamente
il
postulato
imprescindibile
dell’autoprogettualità di ogni
singolo individuo umano. Da
quanto ci ha infatti lui stesso
raccontato,selasuasceltadi
dirsiateomaturaall’etàdi12
anni una mattina a La
Rochelle, mentre aspettando
dei compagni di scuola in
ritardo,perdistrarsidecidedi
pensare all’Onnipotente e
conclude con uno stupore di
cortesia«nonesisteecredette
risolto il problema»113,
ancora settantenne (morì
quando mancava poco ai 75
anni)
continuava
a
«scommetteresull’uomo,non
su Dio»114. Tutto ciò però
senza ormai nascondere
qualche
delusione
nei
confrontidegliesseriumanie
riconoscendo che non vi è
nulla di meno sicuro del
futuro
di
un’umanità
abbandonataasestessa.
7.Unaquestionesenza
importanza
Comesièvisto,Jean-Paul
Sartre ha classificato tra gli
esistenzialisti atei oltre a se
stesso anche il filosofo
tedesco Martin Heidegger
(1889-1976), vale a dire uno
dei pensatori più influenti di
tutto il ’900. Benché
dell’ultimo Heidegger sia
spesso citata l’affermazione
fin troppo celebre «Ormai
solo un Dio ci può
salvare»115, rimane difficile
esprimere
un
giudizio
definitivo sulla sua personale
posizione nei confronti della
noncredenza.Ècertochenel
pensiero
heideggeriano
maturo Dio appare come un
concettononsignificativonel
percorso di ricerca del senso
dell’essere,
specie
se
paragonato alla centralità del
Dasein (l’«esserci» ovvero
l’uomo);
dunque
è
speculativamente ininfluente.
Riflettendo su Friedrich
Hölderlin (1770-1843) e sui
«poeti nel tempo della
povertà», Heidegger ha
individuato
proprio
nell’indifferenza
la
conseguenza filosofica e
pratica dell’assenza di Dio
nell’epoca contemporanea,
ossia di quella che il poeta
tedescochiamava«lafinedel
giorno degli Dei» e che ha
prodotto una «mancanza di
Dio che non nega la
persistenza
di
un
atteggiamento
cristiano»
versoildivino,quindidiuna
fede religiosa da parte dei
singoli e delle Chiese, ma
piuttosto fa spegnere «lo
splendore di Dio nella Storia
universale» e fa «venir meno
al mondo ogni fondamento
chefondi»116.
Il filosofo tedesco non
pare però volersi adagiare
sugli
esiti
ateistici
dell’indifferenza religiosa e
nella
Lettera
sull’«umanismo»
rifiuta
l’esegesi atea della sua
filosofia:
Con la determinazione
esistenziale dell’essenza
dell’uomo, nulla è ancora
deciso circa l’«esserci di
Dio» o il suo «nonessere» e così pure sulla
possibilità
o
l’impossibilità degli dei.
Perciò non solo è
affrettato, ma è già
sbagliato come modo di
procedere affermare che
sia
ateismo
l’interpretazione
dell’essenza dell’uomo
che parte dal riferimento
di questa essenza alla
veritàdell’essere.117
Tuttavia, poco oltre nello
stesso scritto, Heidegger ci
dice anche che dal punto di
vista teoretico nei confronti
del problema di Dio come di
altri analoghi è necessario
«un rispetto dei limiti che
sono posti al pensiero come
tale»; e un pensiero siffatto,
ossia«cherimandaallaverità
dell’esserecomeciòcheèda
pensare, non intende affatto
aver deciso per il teismo».
Dettoinbreve,perHeidegger
unpensierocomeilsuo«non
puòessereteistapiùdiquanto
non possa essere ateo»118;
perciò
la
questione
dell’esistenzadiDionellasua
filosofia, come per altro in
quelladimoltipensatoriatei,
sembra evaporare nel nulla:
«In principio non è il caos o
l’essere o l’idea o l’uno o
Dio, ma in principio è il
Nulla»119.
A
cavallo
tra
fenomenologiahusserlianaed
esistenzialismo positivo si
colloca un altro pensatore
francese che pone al centro
della sua riflessione la
relazione tra uomo e mondo,
maancheinsiemelareciproca
trascendenza:
Maurice
Merleau-Ponty (1908-1961).
Prima amico e poi critico di
Jean-Paul Sartre, come
quest’ultimo ritiene scontata
l’impossibilità di credere in
Dio perché non serve e non
ha senso pensare l’assoluto e
fondare qualcosa su di esso.
Alla fin fine gli individui
umani
devono
contare
soltanto su se stessi; infatti,
«che ci sia o no un pensiero
assoluto e, in ogni problema
pratico, una valutazione
assoluta,
per
giudicare
dispongosolodiopinionimie
che, per quanto severamente
le discuta, restano capaci di
errori. […] Quando non è
inutile, il ricorso a un
fondamento
assoluto
distrugge proprio quel che
deve fondare». Tra l’altro il
meta-empirico non è una
conoscenza sicura e allorché
collochiamo
«fuori
dell’esperienza progressiva il
fondamento della verità o
della moralità», come si fa
appuntoconl’ideadiDio,«lo
travestiamo in certezze
assolute, e allora lasciamo il
verificabileperlaverità,ossia
la preda per l’ombra». In
breve
«la
coscienza
metafisica e morale muore a
contattoconl’assolutoperché
è proprio lei, al di là del
mondo piatto della coscienza
abituata e addormentata, la
viva connessione di me con
meedimeconaltri»120.
Nel criticare il pensiero
metafisico
Merleau-Ponty
giunge perfino a rivalutare il
cristianesimo, ma non certo
perlasuateologiadogmatica
e non sicuramente per la sua
scuola filosofica tomista
(difatti per lui il tomismo «è
ben lungi da essere la sola
tradizione cristiana»), ma per
il rifiuto del Dio dei filosofi
quando si presenta come
«religione della morte di
Dio», quando si impegna ad
«annunciare un Dio che
assume
la
condizione
umana», diventando parte
della cultura non già come
«un dogma e neppure come
credenza,
bensì
come
grido»121. Qui il suo
umanismo non è distante da
quello
degli
altri
esistenzialisti:
dell’uomo
vede la condizione tragica e
nello stesso tempo la sua
apertura ontologica alla
libertà. E anche qualora la
libertà
per
l’individuo
consistesse,comepretendono
i tomisti, «nel realizzare la
suanaturaprestabilitaelasua
forma, si è pur costretti ad
ammettere
che
tale
realizzazione è nell’uomo
facoltativa, che dipende da
lui, e a introdurre così una
seconda libertà, radicale
svolta,checonsistenelpotere
assoluto di dire sì o no».122
Ma se Dio esiste, allora «la
perfezione è già realizzata al
di qua del mondo» e per gli
esseri umani «non rimane
letteralmente niente da fare»,
perché al cospetto di questo
«sguardo infinito» l’uomo è
«senza segreto, ma anche
senza
libertà,
senza
avvenire».123
In un celebre saggio del
1953 intitolato Elogio della
filosofiailfilosofofrancesesi
preoccupa di porre in
discussione due assoluti
filosofici:DioelaStoria.Per
il primo dei due assoluti si
sofferma sul modo con cui
due pensatori cristiani come
De Lubac e Maritain
affrontano
l’ateismo
contemporaneo e conclude
che tendono a giudicarlo
«come se ogni filosofia,
quando non sia teologica, si
riducesse alla negazione di
Dio». Maritain in particolare
parladell’ateismocomediun
«attodifedeallarovescia»,di
«anti-teismo»,diuna«sfidaa
Dio», ma non si rende conto
che «essendo teologia alla
rovescia, non è una filosofia;
[…] sicché si riduce tutto a
una polemica fra teismo e
antropoteismo, i quali si
rimandano
l’un
l’altro
l’accusa
risentita
di
alienazione». La filosofia
invece non dovrebbe essere
chiamata a scegliere tra una
visione teologica della realtà
ela«misticadelsuperuomo»,
anzi dovrebbe evitare tanto
«l’umanismo
prometeico
quanto le affermazioni rivali
della teologia», perché essa
«non sostiene che sia
possibile un superamento
finale delle contraddizioni
umane, né che l’uomo totale
ci attende nel futuro: come
tutti,nonnesanulla»124.
Su queste basi MerleauPonty rifiuta di definire la
filosofiaunumanismo,«sesi
intende per uomo un
principio esplicativo che si
tratterebbe di sostituire ad
altri principi. Non si spiega
nullaconl’uomo,poichéesso
non è una forza, ma una
debolezza
nel
cuore
dell’essere»125.
Qui
la
polemica è ancora con la
teologia,che«nonconstatala
contingenza
dell’essere
umanosenonperderivarlada
un Essere necessario vale a
dire per disfarsene», ma
anche con Jean-Paul Sartre e
soprattutto
con
Martin
Heidegger perché esaltano
entrambi oltre misura il
Dasein (l’«esserci»), ossia
l’uomo
come
ente
«privilegiato» o comunque
uniconelcontestodellarealtà
mondana. Quindi ha torto il
teologo Henri-Marie de
Lubac quando si scaglia
contro l’ateismo filosofico
contemporaneo perché, a suo
modo di vedere, vorrebbe
sopprimere
perfino
il
problema
del
senso
dell’essere e della nostra
esistenza che aveva fatto
nascere Dio nella nostra
coscienza.
In realtà per MerleauPonty il vero filosofo non
sopprime il problema del
significato delle cose e in
particolare della vita umana,
caso mai lo radicalizza,
poiché «lo pone al di sopra
delle “soluzioni” che lo
soffocano»,
oltre
tanto
all’idea di un Essere
necessario quanto a quella
della materia eterna oppure a
quella dell’«uomo totale».
Egli vede piuttosto una sorta
di contingenza continua, un
continuo
«sorgere
dei
fenomeni in ogni stadio del
mondo», per cui il mondo
costantemente ricomincia e
«noi non dobbiamo giudicare
ilsuofuturoinbaseaciòche
è stato il suo passato». È
evidente che con questa
impostazione,
che
definiremmo«contingentista»
o comunque da pensiero
debole ante litteram («Il
nostropensieroèunpensiero
in ritirata o in ripiegamento»
dice Merleau-Ponty), non c’è
spazio per nessun assoluto,
quindi tantomeno per un
Essere trascendente; anzi nel
buonfilosofarenoncisideve
preoccupare
di
questo
concetto, «non si deve
affermare Dio e neppure
negarlo»,epertanto«silascia
da parte la vera filosofia
quando la si definisce come
ateismo».Insomma,MerleauPontyètalmenteoltreleidee
di divino, di sacro e di
assolutocheperluil’ateismo
diventa una questione senza
sensoesenzavalore,anchese
è cosciente che una filosofia
come la sua «sarà sempre
esposta a questo tipo di
rimprovero»,126ossiaaessere
considerataatea.
Sembrerebbe a questo
puntocheilfilosofofrancese
faccia eccezione rispetto al
processo
di
inversione
dell’ateismo antropologico
che finisce per sostituire
l’uomo a Dio; e in effetti
risulta più marcata che in
Sartre la comprensione dei
limiti della progettualità
esistenziale
di
ciascun
individuo. Sebbene infatti
pure per lui l’esistenza è
liberaesiattuasottoilsegno
della possibilità, in quanto
può sempre modificare il
proprio punto di partenza
inserendolo in un progetto
fondato su un atto di
riappropriazionedellapropria
vita, il significato autentico
dell’essenza
umana
si
manifesta solo nel suo essere
nel mondo. Ma tale
costitutivo radicamento nel
mondo opacizza il senso
dell’esistenza e rende la
libertà
umana
non
incondizionata, non assoluta,
ma limitata nel raggio della
sua
autonomia.
Anche
all’essere umano si estende
così il carattere precario e
contingente del mondo, per
cui il senso non può mai
sovrastare definitivamente il
non senso. Del resto, nelle
analisi delle percezioni
umane
in
ambito
fenomenologico il nostro
pensatore arriva a concludere
che il modo di essere
dell’uomo
è
ambiguo,
intendendoconciòchenonè
nésoggettivonéoggettivo.127
Tuttavia, nonostante il
maggiorsensodellimiteedei
condizionamenti a cui sono
sottoposte le potenzialità o i
progettiesistenzialidiciascun
individuo,
Merleau-Ponty
rischia paradossalmente di
farepropriodellacontingenza
della condizione umana un
nuovo assoluto. Infatti la sua
filosofia, benché non ponga
«la sua speranza in alcun
destinoanchesefavorevole»,
la pone invece «in ciò che in
noi non è destino, nella
contingenza della nostra
storia». Come pressoché tutti
coloro che cercano di negare
l’esistenza
di
principi
assoluti, il filosofo francese
intuisce di non riuscire a
esorcizzare il problema di
trovareunfondamentostabile
alla
sua
speculazione
filosoficaefiniscecosìanche
lui per attribuire all’essere
umanounruolosuperiorealla
sua natura. L’uomo, sebbene
descritto come contingente e
quindi non risulti certamente
un fattore cosmologico,
diventa però addirittura «il
luogoincuituttiglielementi
cosmologici,
per
una
mutazione che non è mai
compiuta, cambiano di senso
ediventanostoria».128
Nell’ambiente
culturalmente dinamico della
Francia dagli anni ’30 agli
anni ’50 si forma anche
Claude Lévi-Strauss (19082009) che, pur non essendo
un filosofo, si è inserito con
lasuaantropologiastrutturale
nel dibattito filosofico sul
significato
dell’esistenza,
dimostrandosi
sostanzialmenteconcordecon
l’ateismo antropologico. A
suo giudizio, «l’esistenza, a
rigore, non ha alcun senso»,
ancheperché«ilproblemadel
senso può essere posto solo
rispetto
all’insignificante
avvenimento che è il
passaggio
dell’uomo
nell’universo»129. Si deve
quindi con crudo realismo
prendereattochel’uomonon
è sempre esistito sulla faccia
dellaterraedèprobabileche
non esisterà per sempre,
dunque non risulta un ente
più significante di tutti gli
altri:«Ilmondoècominciato
senzal’uomoefiniràsenzadi
lui.[…]Quantoallecreazioni
dello spirito umano, il loro
senso non esiste che in
rapporto all’uomo e si
confonderanno nel disordine
quando
egli
sarà
scomparso»130.
Seguendo il naturalismo
di Claude Lévi-Strauss,
constatiamo come i problemi
che oggi ci assillano un
giorno non esisteranno più
perché non esisterà più in
natura un essere umano
intelligente che li possa
formulare. In altre parole
l’uomo come individuo e
come specie è ab origine
condannato a morte, non
diversamente da quanto è
accaduto in precedenza con
l’estinzione di molti altri
esseri viventi sul pianeta
Terra. Egli deve allora al più
presto rendersi conto che «le
suefatiche,lesuepene,lesue
gioie,lesuesperanzeelesue
opere, diverranno come se
non fossero mai esistite, non
essendoci
più
alcuna
coscienza per conservare
almenoilricordodiqueimoti
effimeri»131. In un simile
scenario, per il nostro
antropologo
strutturalista
quella dell’esistenza di Dio è
una
questione
senza
fondamento e l’ateismo può
tranquillamente qualificarsi
come «l’assenza di certi
problemi, di certe domande,
di certi interrogativi»132 che
hanno a che fare con le
speculazioni filosofiche sul
senso del mondo e della vita
umana. Non ci sorprende
pertanto apprendere dalla sua
stessavocecheilproblemadi
Dio non ha mai albergato
nellasuamente,senoncome
conseguenza degli studi
etnologici sulla religione
delle diverse popolazioni
umane con cui è entrato in
contatto.
Insintesi,conunateismo
sfoggiato
davvero
con
nonchalance Claude LéviStraussciprospettaunmondo
dove conta soltanto ciò che
ogni singolo uomo fa
momento per momento e in
cui a essere enfatizzate sono
le strutture prodotte dai
fenomeni
socio-culturali,
all’interno delle quali i
singoli
individui
non
possiedono alcun significato
in sé, ma lo assumono solo
restando nel contesto di un
sistema,diunaretestrutturale
indipendente: «Eppure io
esisto. Non certo come
individuo […]. L’Io non è
soltanto odioso; esso non ha
posto fra un “noi” e un
“nulla”. E se finalmente
scelgoquesto“noi”,èperché
[…] non ho che una sola
scelta possibile fra questa
apparenza e il nulla»133.
Sussiste in altri termini una
struttura
profonda
che
organizza
e
fornisce
significato a tutti i singoli
uomini e a tutti i fenomeni
umani; qualcosa dunque che
fonda
il
tutto
non
diversamente dai principi
metafisici classici come
quello di Essere supremo.
Struttura che forse non
accidentalmente
l’antropologo
francese
chiamavainizialmente,perla
suaformapsichica,«spirito».
In
conclusione
lo
strutturalismo,mentresembra
bandire Dio, assolutizza le
strutture e ci elargisce senza
avvedersene o ammetterlo
unametafisicastrutturalista.
Con questa disincantata
visionecheparlaapertamente
di estinzione dell’essere
umano anche sotto il profilo
spirituale,
Lévi-Strauss
sembra
incontrarsi
perfettamente
con
l’interpretazione della morte
di Dio che più tardi proporrà
un filosofo francese vicino
allo strutturalismo come
MichelFoucault(1926-1984).
A giudizio di quest’ultimo,
infatti, con il «Dio è morto!»
di Nietzsche si proclama
«non tanto l’assenza o la
morte di Dio, quanto la fine
dell’uomo»,perchéinfondoè
prerogativadell’ultimoessere
umano uccidere Dio e
occupare il posto del divino,
affermando così il proprio
integraleliberoarbitrio.
LamortediDioel’ultimo
uomo–scriveFoucault–
sono strettamente legati:
non è appunto l’ultimo
uomo che annuncia di
aver ucciso Dio, ponendo
in tal modo il proprio
linguaggio, il proprio
pensiero, il proprio riso
nello spazio del Dio già
morto, ma proponendosi
anche come colui che ha
ucciso Dio e la cui
esistenzaincludelalibertà
e la decisione di tale
delitto?
Foucault pensa dunque a
un essere umano che avendo
uccisoDiosisostituiscealui
per scoprire tutta la sua
finitudine, ossia di aver in
fondo ucciso se stesso, di
aver segnato col deicidio le
premesse
della
propria
scomparsa:«Oggiilfattoche
la filosofia sia sempre e
ancora sul punto di
scomparire, e il fatto che
forse in essa, ma più ancora
fuoridiessaecontrodiessa,
nella letteratura come nella
riflessioneformale,siponeil
problema del linguaggio,
dimostrano
probabilmente
che l’uomo sta sparendo».134
Foucault
segue
qui
l’impostazione di base della
sua indagine filosofica e si
pone pertanto dal punto di
vista del linguaggio inteso
come sistema culturale. Lo
scandaglio archeologico del
sapere lo conduce a
concluderecheuncrollodelle
disposizioni
fondamentali
della
struttura
della
conoscenza
(episteme)
segnerebbe concretamente la
fine dell’essere umano a noi
noto; fine per altro già
implicita nella filosofia
nietzschiana:
«L’uomo
sarebbe cancellato, come
sull’orlodelmareunvoltodi
sabbia»135.
Traendo le somme,
l’esaltazione
dell’essere
umano da una parte e il
nichilismo dall’altra sono i
dueelementiricorrentidacui
prendonoavvioleconclusioni
negative su Dio dell’ateismo
antropologico.
L’enfasi
antropocentrica secondo la
quale l’«uomo è tutto» tende
così a debordare in una sorta
di
assolutizzazione
dell’umanità e della sua
storia, che diventa a tutti gli
effettiunsurrogatodeldivino
o del trascendente. In breve:
«LareligionedelDiochesiè
fatto uomo si scontra con la
religione dell’uomo che si è
fatto Dio»136. Per contro,
l’accentuazione sul versante
nichilistico della condizione
tragica della vita umana
conduce a una visione
radicalmente
pessimistica,
all’interno della quale ogni
individuorisultaabbandonato
a se stesso nell’eterno fluire
delle cose e ha come unico e
inesorabile destino quello di
scomparirenelnulla.
1 Vedi B. Telesio, De rerum natura
iuxta propria principia. La natura
secondo i suoi principi, Bompiani,
Milano2009.
2 N. Cusano, Le congetture, II, 143,
Rusconi,Milano1988,p.336.
3 G. Pico della Mirandola, Oratio de
hominis dignitate, Vallecchi, Firenze
1942,pp.103e108.
4R.Lenoble,Storiadell’ideadinatura,
Guida,Napoli1974,p.331.
5 G. Cardano, De subtilitate rerum,
libroXIX,CambridgeUniversityPress,
Cambridge1967.
6P.Masterson,AtheismandAlienation,
Penguin Books, Harmondsworth 1973,
p.13.
7 C. Fabro, Editoriale, «La Civiltà
Cattolica»del5maggio1984,p.210.
8 M. Scheler, Uomo e storia, in Lo
spirito del capitalismo e altri saggi,
Guida,Napoli1988,p.285.
9 G. Morra, Ateismo e non-credenza
nelle società occidentali, in AA.VV.,
L’ateismo. Natura e cause, Massimo,
Milano1981,p.92.
10 Vedi I. Kant, Critica della ragion
pratica, A 238-239, in Scritti morali,
Utet,Torino1970,pp.280-81.
11CitazionidaScheler,Uomoestoria,
in Lo spirito del capitalismo e altri
saggicit.,pp.285-86.
12 Vedi supra cap. 1, par. 1 e cap. 2,
par.1.
13 Vedi J. Habermas, Il pensiero postmetafisico,Laterza,Bari1991.
14 Vedi P. Hazard, La crisi della
coscienzaeuropea,Utet,Torino2007.
15 Vedi D. Pennac, La fata carabina,
Feltrinelli, Milano 2013, p. 18.
L’aforisma completo dello scrittore
francese è: «Se Dio esiste, spero che
abbiaunascusavalida».
16 Citata in F. Nietzsche, Ecce homo.
Come si diventa ciò che si è, Adelphi,
Milano1992,p.42.
17S.Bertelli,IllibertinismoinEuropa,
Ricciardi,Milano-Napoli1980,p.3.
18AttidegliApostoli6,9.
19VediMolière,DomJuanoulefestin
de pierre (Don Giovanni), Rizzoli,
Milano1980.
20 Per G.C. Vanini vedi Anfiteatro
dell’Eterna
Provvidenza
e
I
meravigliosi segreti della Natura,
regina e dea dei mortali, in Tutte le
opere, Bompiani, Milano 2010. Per M.
de Montaigne vedi Apologia di
Raymond Sebond, in Saggi, Bompiani,
Milano2012.
21 C. Fabro, Introduzione all’ateismo
moderno,Studium,Roma1969,p.190.
22P.Bayle,Pensierisullacometa,par.
171,Laterza,Bari1995,p.322.
23Ivi,par.143-144,Laterza,Bari1995,
pp.269-70.
24 P. Bayle, Dizionario storico-critico,
Laterza,Bari1976,pp.101-02.
25 M. Onfray, L’età dei libertini.
Controstoria della filosofia, vol. III,
Fazi,Roma2009,p.10.
26 Vedi P. Casini (a cura di),
Enciclopedia o dizionario ragionato
delle scienze, delle arti e dei mestieri
ordinato da Diderot e D’Alembert,
Laterza,Bari2003.
27 P.-H.T. d’Holbach, Sistema della
natura,Utet,Torino1978,p.75.
28 G.V. Plekhanov, Saggio sullo
sviluppodellaconcezionemonistadella
storia, in Opere scelte, Edizioni
Progress,Mosca1985,p.101.
29 Vedi G.V. Plekhanov, Contributi
alla storia del materialismo (Holbach,
Helvetius,Marx),Iskra,Milano1979.
30D’Holbach,Sistemadellanaturacit.,
p.88.
31Ivi,p.379.
32Ivi,p.434.
33P.-H.T.d’Holbach,Ilverosensodel
sistema della natura, in Sistema della
naturacit.,p.715.LoscrittoVrai sens
duSystèmedelaNature,pubblicatonel
1774, è una specie di compendio
dell’operaprincipale.
34D’Holbach,Sistemadellanaturacit.,
p.76.
35Vediivi,tomoII,capitoloXI(Motivi
cheportanoall’ateismo),pp.631sgg.
36 In una lettera all’amico D’Alembert
del 29 luglio 1775, Voltaire giudicherà
non a caso il libretto di D’Holbach un
libro«terribile»,nelquale«c’èpiùche
buon senso» e perciò non mancherà di
far seguire delle sue brevi osservazioni
critiche. Vedi Voltaire, Œuvres
complètes,vol.50,Garnier,Paris1885.
37
F.M.
von
Grimm
in
«Correspondance
littéraire,
philosophique et critique», gennaio
1773
38LecitazionidaP.-H.T.d’Holbach,Il
buonsenso,Garzanti,Milano2005,pp.
59, 109 e 136. Sulla disgiunzione
esclusivaeladimostrazioneperassurdo
utilizzate da D’Holbach vedi R.G.
Timossi, Imparare a ragionare. Un
manuale di logica, Marietti, Milano
2011.
39 Vedi J.O. de La Mettrie, L’uomo
macchina,inOperefilosofiche,Laterza,
Bari1974.
40D’Holbach,Ilverosensodelsistema
della natura, in Sistema della natura
cit.,pp.721-22.
41 S. Timpanaro, «Introduzione» a
D’Holbach, Il buon senso cit., p.
XXVIII.
42Ivi,p.LIV.
43 L. Feuerbach, Frammenti per
caratterizzare il mio curriculum vitae
filosofico, in Scritti filosofici, Laterza,
Bari1976,p.306.
44 G.V. Plekhanov, Le questioni
fondamentali del marxismo, in Opere
sceltecit.,p.370.
45L.Feuerbach,Principidellafilosofia
dell’avvenire,inScrittifilosoficicit.,p.
201.
46L.Feuerbach,Vorlesungenüberdas
Wesen der Religion, in Sämtliche
Werke,vol.8,Wigand,Leipzig1851,p.
29.
47 L. Feuerbach, L’essenza del
cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1975,
p.286.
48 Feuerbach, Vorlesungen über das
WesenderReligioncit.,p.28.
49
Feuerbach,
L’essenza
del
cristianesimocit.,pp.34-36.
50Ivi,p.215.
51 Feuerbach, Vorlesungen über das
WesenderReligioncit.,p.29.
52 L. Feuerbach, Essenza della
religione,Laterza,Bari1993,p.111.
53Ivi,p.39.
54L.Feuerbach,Prefazioneallaprima
edizionedell’essenzadelcristianesimo,
inScrittifilosoficicit.,p.102.
55 Feuerbach, Tesi preliminari per la
riforma della filosofia, in Scritti
filosoficicit.,p.180.
56 H. de Lubac, Il dramma
dell’umanesimo ateo, Morcelliana,
Brescia1985,p.23.
57
Feuerbach,
L’essenza
del
cristianesimocit.,p.43.
58 Feuerbach, Principi della filosofia
dell’avvenirecit.,p.220.
59Ivi.
60 H. Küng, Dio esiste?, Mondadori,
Milano1979,p.240.
61Ivi,p.272.
62Ivi,p.273.
63Feuerbach,SämtlicheWerkecit.,vol.
9,pp.226-27.
64 Feuerbach, Tesi preliminari per la
riformadellafilosofiacit.,p.190.
65Ivi,p.190.
66
Feuerbach,
L’essenza
del
cristianesimocit.,p.71.
67 D.F. Strauss, La vita di Gesù o
esamecriticodellasuastoria,Sanvito,
Milano1863,vol.II,p.734.
68VediB.Bauer,KritikderEvangelien
und Geschichte ihres Ursprungs,
Hempel,Berlin1850-1851.
69 Le citazioni da N. Hartmann, Etica,
vol. I (Fenomenologia dei costumi),
Guida, Napoli 1969, pp. 261-65. Per il
concetto di ateismo postulatorio della
responsabilitàvedisupra,cap.3,par.1.
70I.Kant,Ideadiunastoriauniversale
dal punto di vista cosmopolitico, VI
tesi, in Scritti di filosofia politica, La
NuovaItalia,Firenze1995,p.11.
71 F. Nietzsche, Ecce homo. Come si
diventa ciò che si è, Adelphi, Milano
1992,p.127.
72 K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche,
Einaudi,Torino1974,pp.287-88.
73 G. Vattimo, Introduzione a
Nietzsche,Laterza1985,p.72.
74Nietzsche,Eccehomocit.,p.128.
75 F. Nietzsche, Tentativo di
autocritica, in La nascita della
tragedia,Adelphi,Milano1994,pp.1011.
76 F. Nietzsche, Genealogia della
morale, Adelphi, Milano 1993, pp. 2526.
77
F. Nietzsche, Così parlò
Zarathustra, Adelphi, Milano 1993, p.
6.
78
F. Nietzsche, L’Anticristo.
Maledizionedelcristianesimo,Adelphi,
Milano1995,p.21.
79Nietzsche,Eccehomocit.,p.33.
80Lecitazioniprecedentisonotratteda
F. Nietzsche, La volontà di potenza,
Bompiani,Milano1995,pp.7-14.
81
Vedi E. Hartmann, Die
SelbstzersetzungdesChristenthumsund
die Religion der Zukunft, C. Duncker
Verlag,Berlin1874.
82 F. Nietzsche, La gaia scienza,
Adelphi,Milano1989,pp.129-30.
83 Nietzsche, Così parlò Zarathustra
cit.,p.5.
84JeanPaul,DiscorsosulCristomorto,
in Scritti sul nichilismo, Morcelliana,
Brescia1997,pp.24-27.
85Nietzsche,Lavolontàdipotenzacit.,
p.17.
86 Nietzsche, Così parlò Zarathustra
cit.,p.259.
87Löwith,DaHegelaNietzschecit.,p.
294.
88 Nietzsche, La gaia scienza cit., p.
228. L’«ateismo scientifico» di cui
parla Nietzsche non va ovviamente
confuso con l’ateismo scientifico o
scientista più recente collegato alla
scienzamoderna.
89Sullatraduzionedelterminetedesco
Übermensch con «oltreuomo», invece
checon«superuomo»,vediG.Vattimo,
Il soggetto e la maschera, Bompiani,
Milano1994.
90 Nietzsche, Così parlò Zarathustra
cit.,pp.5-6.
91Ivi,p.333.
92Ivi,pp.94-95.
93Ivi,pp.303-04.
94 G. Penzo, Nietzsche allo specchio,
Laterza,Bari1995,pp.159e195.
95
De
Lubac,
Il
dramma
dell’umanesimoateocit.,p.41.
96Vediinfra,cap.6,par.6.
97J.-P.Sartre,Leparole,IlSaggiatore,
Milano1994,pp.71-73.
98 J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un
umanismo, Mursia, Milano 1990, pp.
46-47.
99E.Melandri,«Esistenzialismo»inG.
Preti (a cura di), Filosofia, Feltrinelli,
Milano1966,p.52.
100 Sartre, L’esistenzialismo è un
umanismocit.,p.49.
101Ivi,p.51.
102Ivi,pp.49-50.
103 J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Il
Saggiatore,Milano1975,pp.125-26.
104Ivi,p.136.
105Ivi,p.747.
106 Sartre, L’esistenzialismo è un
umanismocit.,p.51.
107 Sartre, L’essere e il nulla cit., p.
680.
108 Sartre, L’esistenzialismo è un
umanismocit.,p.61.
109Ivi,p.51.
110Ivi,p.62.
111Ivi,p.76.
112 Sartre, L’essere e il nulla cit., p.
738.
113Sartre,Leparolecit.,p.173.
114
J.-P. Sartre, Autoritratto a
settant’anni, Il Saggiatore, Milano
2005,p.100.
115M.Heidegger,OrmaisolounDioci
può salvare. Intervista con lo
«Spiegel»,Guanda,Parma2011,p.149.
116M.Heidegger,Sentieriinterrotti,La
NuovaItalia,Firenze1997,pp.247-48.
117
M.
Heidegger,
Lettera
sull’«umanismo», Adelphi, Milano
1995,pp.84-85.
118Perlecitazioniprecedentiivi,p.86.
119 M.F. Sciacca, La filosofia, oggi,
Mondadori,Milano1945,p.237.
120 M. Merleau-Ponty, Senso e non
senso, Il Saggiatore, Milano 2009, pp.
118-19.
121Ivi,p.120.
122Ivi,p.100.
123Ivi,pp.205e208
124 Le citazioni precedenti da M.
Merleau-Ponty, Elogio della filosofia,
SE,Milano2008,pp.47-48.
125Ivi,pp.48-49.
126Lecitazionidaivi,pp.46-51.
127
Vedi
M.
Merleau-Ponty,
Fenomenologia della percezione,
Bompiani,Milano2003.
128 Merleau-Ponty, Elogio della
filosofiacit.,p.49.
129 C. Chabanis, Dio esiste? No,
rispondono…, Mondadori, Milano
1974,p.90.
130 C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, Il
Saggiatore,Milano1994,pp.402-03.
131Chabanis,Dioesiste?cit.,p.90.
132Ivi,p.85.
133 Lévi-Strauss, Tristi tropici cit., p.
403.
134 M. Foucault, Le parole e le cose.
Un’archeologia delle scienze umane,
Rizzoli,Milano1967,pp.411-12.
135Ivi,p.414.
136 Paolo VI (Giovanni Battista
Montini), Allocuzione al Concilio
VaticanoII,7dicembre1965.
4
L’oppiodeipopoli
1.Lasocietàdegliatei
Abbiamo ormai chiaro
comel’ateismoantropologico
fondi sul presupposto della
negazione dell’esistenza di
Diolacompletarealizzazione
della dignità e della
grandezza dell’uomo, con un
particolareriguardoperlasua
libertà.Finquisièassistitoa
una liberazione esistenziale
dell’uomo dal divino o dal
trascendente, finalizzata a
renderloassolutoprotagonista
nel
progettare
autonomamente la propria
vita, come in Jean-Paul
Sartre, oppure a farne l’ente
specialissimo attraverso il
quale
si
tenta
la
comprensione del significato
dell’essere, come in Martin
Heidegger.Machisièinvece
preoccupato di più dei
condizionamenti
della
credenza in una divinità o in
una religione sulla «libertà
pubblica» della credenza in
una divinità o in una
religione,
ossia
sulla
possibilità dell’individuo di
essereliberonell’ambitodella
società in cui vive e della
contesa
politica,
ha
sviluppatounrifiutodiDioe
della fede religiosa che è
corretto definire «ateismo
socio-politico». Stando a
esso, l’autodeterminazione
politica del soggetto umano
nella società civile, oltre a
ricevere grave nocumento
dalla religione, sarebbe resa
addirittura impossibile dal
teismo per il fatto che esso
pone sopra le coscienze
individuali
e
collettive
un’autorità
superiore
e
trascendente: quella di Dio.
Un essere divino già con la
sua sola presenza limiterebbe
l’autonomia dell’individuo,
ma
soprattutto
rappresenterebbe
la
legittimazione delle altre
autorità terrene che vogliono
condizionare o addirittura
reprimerelalibertàumana.
Bisognastareattentiquia
nonconfondereilripudiodel
culto religioso di una o più
divinità come conseguenza
del rifiuto della teoria del
poteredeldirittodivinonelle
monarchie assolute o nei
governi teocratici con la
negazione
razionale
dell’esistenza di Dio quale
presupposto o postulato
teorico della libertà sociale e
politica dell’uomo. Il vero
ateismo socio-politico non è
infatti tanto quello di chi
contesta l’uso della credenza
religiosa quale instrumentum
regni, bensì quello di coloro
che oltre all’autoritarismo
della religione contestano
l’autoritàdivinanellanozione
stessa di Dio e nel rapporto
con la libertà umana sia
individuale sia comunitaria.
In tal senso il libero arbitrio
risulterebbe incompatibile e
inconciliabileconlapresenza
di un ente trascendente,
perché questi eserciterebbe
una
sovranità
talmente
assoluta
da
rendere
impossibile nell’uomo alcuna
autentica autonomia pratica e
perfino mentale. In sostanza
affinchél’essereumanopossa
risultarepienamentesestesso
in tutta la sua dignità, e
quindi totalmente libero e
padrone del proprio destino
anche nel contesto politicosociale, l’idea di Dio deve
essere
definitivamente
confutata e la religione deve
uscire per sempre dalla
Storia. Secondo le parole del
teologo Jürgen Moltmann:
«Dio oppure la libertà?
Questo è il problema
dell’uomo moderno, che
prende in mano la sua vita e
senesenteresponsabiledopo
la Rivoluzione Francese».1 E
a partire dal 1789, a partire
dallo
sconvolgimento
rivoluzionario della Francia
dell’Ancien régime si è
assistito progressivamente a
unalottacontroilteismoche
ha visto addirittura un
paradossale rovesciamento di
prospettiva con l’avvento
degli Stati ufficialmente atei
come quelli comunisti già
citati nei quali la professione
di ateismo è diventata a sua
volta il nuovo instrumentum
regnidiunpoteredispotico.
Volendo individuare il
primo
rappresentante
moderno dell’ateismo sociopolitico, dobbiamo però
guardare a prima del 1789,
cioèaprimadellapresadella
Bastiglia a Parigi, rimanendo
comunque in Francia perché
dobbiamo trattare di un
presbitero di Étrépigny e di
Balaives-et-Butz
nella
Champagne-Ardenne: Jean
Meslier
(1664-1729).
Diventato famoso tra gli
illuministi e gli atei dopo la
sua morte, assistiamo con lui
aunfenomenopercertiversi
sorprendente,
ma
probabilmente non isolato in
un Paese in cui si stavano
diffondendo rapidamente gli
ideali
dell’Illuminismo.
Benché infatti Meslier per
tuttalavitasisiacomportato
da chierico irreprensibile,
officiando
regolarmente
messaeoccupandosiconcura
delle anime del suo paese di
campagna fino al punto da
ricevere
attestati
di
apprezzamento dai suoi
superiori, in realtà covava
nella sua testa un pensiero
ateo e materialista. Pensiero
daluistessopoiconsegnatoa
tre corposi manoscritti,
compostidapiùdimillefogli
e riprodotti in diverse copie,
dei quali solo di recente è
stata resa disponibile una
nuovaversioneintegrale.2La
pubblicazione nel 1735 di un
estratto denominato Le
testament du curé Meslier fu
seguita personalmente da
Voltaire, che ovviamente
aveva trovato interessante il
pensierodiquellocheèstato
definito «il curato ateo»3.
Successivamente, nel 1772,
ancheilbaroneD’Holbachne
pubblicò una sintesi in
appendice al suo Il buon
sensoelaintitolòLebonsens
du
curé
Meslier,
riconoscendo in tale scritto
una forte consonanza con il
suo materialismo ateo. Nel
Testament trovano infatti
ampio spazio la denuncia
delle
religioni
come
fenomeno
umano,
l’inesistenza dell’anima e
quindi dello spirito, la falsità
delle credenze cristiane utili
solo a soggiogare il popolo
diseredato e mantenuto
volutamenteincolto,lacritica
dituttoilpoterecostituitonei
confronti del quale si
esprimono
posizioni
anticipatrici dell’anarchismo
comunistico.
Inpremessaalsuoscritto
postumoJeanMesliersenteil
doveredigiustificarsiversoi
propri parrocchiani, ai quali
per altro è espressamente
diretto il suo lascito
spirituale,peraverliingannati
per tanto tempo fingendosi
cristiano e sacerdote devoto,
mentre in effetti non credeva
praticamente nulla di quanto
andava loro predicando.
Dimostrando una buona dose
di codardia, ammette di non
aver palesato prima i suoi
reali convincimenti per
timore delle conseguenze
negative sulla sua persona e
quindi sulla tranquillità della
propria
esistenza,
non
trovando inoltre niente di
meglio che scaricare sui
parenti la responsabilità della
sua scelta di diventare prete:
«Se ho abbracciato una
professione
così
diametralmente opposta ai
mieisentimenti,nonèaffatto
per cupidigia: ho obbedito ai
miei genitori».4 Completa
infine il tutto con la patetica
precisazionedinonaveremai
svilitoilministerosacerdotale
o essersi avvalso della sua
funzione per pretendere
prebende personali oppure
sfruttatolacredulitàpopolare
per
ottenerne
«somme
considerevoli per comprare
preghiere», come facevano
molti altri preti irridenti
dell’ingenuità del volgo e
miscredenti quanto o forse
più di lui. Nonostante la
probabile sincerità di questa
excusatio,èinevitabilecheun
cristiano convinto giudichi il
curato di Étrépigny «una
speciedidonAbbondiodelle
idee, che ha covato per tutta
la vita il malumore di una
sceltasbagliata,senzaavereil
coraggiodiesseresincerocon
se stesso e con gli altri»,
meritevole alla fine più di
compassione che di «sdegno
omeraviglia»5.
JeanMeslierproponeuna
serie di argomenti critici nei
confronti della religione
ebraico-cristiana e di ciò che
è riportato nella Bibbia,
soprattutto nei Vangeli.
Effettua insomma un esame
critico dei testi biblici, con
peculiare attenzione agli
scritti evangelici, precorritore
della meglio strutturata e
documentatacriticastoricadi
Hermann Samuel Reimarus
(1694-1768), un illuminista
docente di ebraico e lingue
orientali per il quale Gesù di
Nazaret era un uomo, e
nient’altro che un uomo, che
perseguivaunmessianismodi
tipo politico.6 Tutto questo
per concludere che le
religioni in generale e quella
cristiana in particolare sono
delleinvenzioniumane,delle
pure falsità dense di
contraddizioni e di miracoli
incredibili, manipolate dai
potenti
per
sfruttare
l’ignoranza delle classi più
deboli per il loro esclusivo
vantaggioeconomico-sociale.
Ne discende allora che i
re, gli aristocratici e il clero
sono dei parassiti che il
popolodevecombattereunito
perriappropriarsidellalibertà
e diventare padrone della
terra che coltiva e di tutti i
prodotti che fabbrica con le
propriemani.Ilnostrocurato
ateo si spinge perfino a
rivolgere alla sua gente un
appello all’unità e alla
ribellionecontroipotentiche
la tiranneggiano e contro
qualsiasi
forma
di
superstizione
religiosa:
«Alzatevi, unitevi contro i
vostri nemici, contro coloro
che vi opprimono con la
miseria
e
l’ignoranza.
Rifiutatecompletamentetutte
le
pratiche
vane
e
superstiziose delle religioni.
La vostra salvezza è nelle
vostre mani, la vostra
liberazione non dipende che
davoi[…].Unitevidunque,o
popolo!Unitevitutti,seavete
coraggio, per liberarvi dalle
vostre comuni miserie».
Senza pronunciare il termine
comunismo, suggerisce alla
plebe un vero e proprio
esproprio
delle
risorse
destinate normalmente alla
classedominante:«Trattenete
con le vostre mani tutte
questericchezzeetuttiibeni
che producete col sudore del
corpo, non date niente a
questi superbi e inutili
fannulloni, niente a tutti
questi monaci e questi
ecclesiastici che vivono
inutilmente sulla terra, niente
aquestiorgogliositiranniche
vidisprezzano».7
La sensazione di avere a
chefareconunrivoluzionario
giacobino o socialista è
evidentemente molto marcata
e difatti il suo messaggio ha
conosciuto e tuttora conosce
grande successo presso gli
anarchici, i comunisti e i
materialisti atei. Sebbene
pressoché ignorato da Karl
Marx, in quanto relegato nel
materialismo ingenuo o non
scientifico e nel socialismo
utopistico,ottennetuttaviaun
riconoscimento
ufficiale
dall’Unione
Sovietica,
allorché il suo nome venne
inciso su una lapide posta a
ridosso delle mura del
Cremlinoecontenenteinomi
dei padri ispiratori del
comunismo. Meslier però
aveva in fondo in mente una
comunità perfetta di eguali e
di non credenti, molto simile
allasocietàdegliateidiPierre
Bayle.
Qualora avessimo a
disposizione il solo estratto
del Testament del curato di
Étrépigny edito da Voltaire,
potremmo pensare di avere a
chefareconundeista;infatti
l’edizione voltairiana si
conclude con frasi di questo
genere:
FiniròcolsupplicareDio,
così oltraggiato da questa
setta, di degnarsi di
ricondurci alla religione
naturale, di cui il
cristianesimo è il nemico
dichiarato; a questa
religionesantacheDioha
messo nel cuore d’ogni
uomo[…].Diocihadato
questa religione dandoci
la ragione. Possa il
fanatismo
non
corromperla più! Morirò
più pieno di desideri che
disperanze.8
In realtà i manoscritti
integrali di Jean Meslier
contengono
precise
e
inequivocabili affermazioni
da cui si evince senza ombra
di dubbio che era un ateo
convinto, i cui argomenti
spaziavanodallaconfutazione
delle
prove
filosofiche
dell’esistenza
di
Dio
all’antiteodicea.C’èdifattiun
capitolo intitolato: «Dio non
esiste. Se esistesse sarebbe
evidente».
Segue
poi
un’argomentazione razionale
nellaqualesisostieneche
se ci fosse veramente
qualchedivinitàoqualche
essere
infinitamente
perfetto, che volesse
essere amato e adorato
dagli uomini, farebbe
parte della sua stessa
ragion d’essere, […]
manifestarsi, o almeno
farsiconoscereinqualche
modo da quelli da cui
vorrebbe essere amato,
adorato e servito. […]
D’altronde, a che scopo
un essere così perfetto
avrebbe
creato
un
universotantomiserabile,
pienodimale?
A questo ragionamento
confutatorio basato sul buon
senso e l’antiteodicea ne
vengono fatti seguire altri
contro le prove tradizionali
dell’esistenza di Dio sia
filosofiche sia religiose. La
teoria
aristotelico-tomista
dellacausaprimaimmota,ad
esempio,vienerespintacome
semplicemente
infondata:
«Da dove si deduce che un
dio immutabile e immobile
per sua natura possa
comunque muovere dei
corpi?».
A questo punto è palese
come
sull’illuminista
Voltaire,chesappiamoessere
statounseguacedeldeismoe
non già un ateo, gravi il
fondato sospetto di aver
volutamente
selezionato
l’estratto del Testament in
mododalasciarefuorileparti
da lui meno condivise. In tal
modo, come in una specie di
legge del contrappasso, pur
essendo stato uno degli
acerrimi contestatori di ogni
forma di censura (a iniziare
ovviamente
da
quella
religiosa),finisceperapparire
a sua volta un censore più o
meno consapevole. Cornelio
Fabro,ritenendochelesintesi
diVoltaireel’elaborazionedi
D’Holbach del Testament
riportassero effettivamente
«quanto
d’interessante
conteneva
l’ammasso
caotico»
dell’opera
meslieriana,
giunse
a
paragonare
Meslier
ad
«alcune
figure
del
modernismo
cattolico
all’iniziodelXXsecolo»;ma
una volta letto tutto il testo
originale, tale paragone non
sembra molto azzeccato.
Condivisibile è invece il
giudizio di Fabro laddove
sottolinea come la cultura
storico-religiosa del curato di
Étrépigny
risulti
«inversamente proporzionale
al linguaggio contro Dio e
Gesùcristo».9
Rispetto all’indiscutibile
ateismo di Jean Meslier
possiamoalloraconfermarela
sua origine e la sua finalità
prevalentemente
sociopolitica, in quanto considera
Dio come un’invenzione di
«certiuominipiùaffinati,più
astuti,
più
sottili
e
probabilmente anche più
maligni e cattivi, che per
ambizione hanno voluto
elevarsi al di sopra degli
altri» attribuendosi «qualità
divine e di supremo
Signore»10. Egli confida
pertanto
nella
futura
liberazione totale delle
coscienze e nel riscatto
sociale del popolo vessato
dalle gerarchie aristocraticosacerdotali e inebetito dalle
falsità religiose. Siamo in
ultima analisi al cospetto di
un ateo integrale che prima
dello
stesso
barone
D’Holbach è riuscito a
selezionare,
sia
pure
disordinatamente, le tesi
centrali
dell’ateismo
moderno: l’indimostrabilità
razionale dell’esistenza di
Dio, il carattere mitologico
della religione cristiana, la
rilevanza del problema del
male e la liberazione sociopoliticadell’uomo.
2.L’uomononèunoschiavo
Nel novero delle filosofie
politico-socialiquellachepiù
ha contestato radicalmente
qualsiasi forma di autorità
costituitaequalsiasigeneredi
istituzione è sicuramente
l’anarchismo. Tra i suoi due
estremi dell’individualismo
solipsista
e
del
comunitarismocollettivista,si
sono generati nel corso della
Storiadiversetendenze,tanto
da consentirci di dire con un
giro di parole che gli
anarchici appaiono ancora
oggi «anarchicamente divisi»
e disseminati in svariati
rivoli,insofferenticomesono
a qualsiasi forma di
organizzazione
o
di
movimento
non
spontaneistico. Sulla base
delle due posizioni estreme,
possiamo
comunque
individuare due gruppi
principali: gli anarchici
social-rivoluzionari e gli
anarchiciindividualisti.
L’anarchismo
socialrivoluzionario ha come
traguardounacomunitàincui
ilsolovincolotraisingolisia
rappresentato dalla mutua
solidarietà:tuttiprestootardi
dovranno
vivere
in
aggregazioni sociali nelle
quali non vige forma di
autorità alcuna, in cui è stato
eliminato qualsiasi genere di
competizione tra gli uomini.
L’anarchismo individualista
per contro esalta sopra ogni
altra
cosa
l’autarchia
dell’individuo e rifugge da
qualsivoglia
tipo
di
agglomerato
sociale
organizzato potenzialmente
sempre antilibertario, fino al
punto che diversi suoi
esponenti
arrivano
all’egotismo e a concentrarsi
sul singolo essere umano in
quanto unico, il quale può
convivere solo in un’unione
di soggetti «egoisti». È
evidentecheperentrambigli
indirizzi
l’affermazione
dell’autonomia
assoluta
dell’uomo si traduce in
un’incompatibilità logica con
ogni idea di Essere assoluto
che possa sovrastare o
interferire con la libertà
umana. Iniziando dal filone
social-rivoluzionario, i suoi
esponenti di primo piano
sono stati il francese PierreJoseph Proudhon e il russo
Michail
Aleksandrovič
Bakunin.
L’autodidatta
PierreJoseph Proudhon (18091865), che si formò da solo
una buona cultura teologica
quale correttore di bozze di
testi religiosi in una
stamperia, è considerato uno
dei padri del movimento
anarchico. Emblematica per
capire la sua concezione
dell’ateismo è l’affermazione
a lui attribuita secondo cui
«l’uomo diventa ateo quando
si sente migliore del proprio
Dio»11. Da essa appare
evidente come l’ateismo si
fondi su una rivendicazione
antropologica che punta tutto
su una totale libertà
dell’individuo
e
sulle
autonome potenzialità della
naturaumana.Inquestosenso
per l’anarchico francese il
concettodiDioènegativoper
gli esseri umani, se non
nefasto, e «il primo dovere
dell’uomo intelligente e
libero è di scacciare
incessantemente dal suo
spirito e dalla sua coscienza
l’idea di Dio. Perché Dio, se
esiste, è essenzialmente
nemico della nostra natura, e
noi non guadagniamo alcuna
cosa dalla sua autorità»;
perciòvacondannatotantoin
nome della rivoluzione
sociale quanto sulla scorta di
quella che lui definisce
«teologiadell’immanenza».12
Nel contesto di questa
concezione viene altresì
enfatizzato il problema del
male, inconciliabile con la
realtà di un Ente supremo
espressione del sommo bene:
«Comemettered’accordo–si
chiede infatti Proudhon – la
presenza del male con l’idea
di un Dio sovranamente
buono, saggio, potente?».13
Di fronte alle contraddizioni
della nozione occidentale
dell’Essere divino dobbiamo
allora aprire finalmente gli
occhi comprendendone la
palese inutilità o, ancor
peggio, la negatività, nonché
laconseguentenecessitàdiun
rifiuto:«Nonsidica:leviedi
Dio sono impenetrabili! Noi
siamopenetratiinquestevie,
abbiamo letto in caratteri di
sangue
le
prove
dell’impotenza, se non del
cattivo volere di Dio».14
Proudhon non condivide la
riduzione antropologica del
divino di Feuerbach e
pretendeche«nonsifacciadi
Diol’umanità,poichésarebbe
calunniare l’uno e l’altra»15.
Eglifiniscecosìsenzavolere
per mettere in piena luce la
struttura
antropologica
dell’ateismo, perché nel
negare valore al dogma
dell’esistenza di Dio, che
rispetto
agli
uomini
«appartiene nello stesso
tempo alla loro coscienza e
alla loro ragione», riconosce
che l’essere umano «dopo
aver fatto Dio a propria
immagine, volle anche
appropriarsene» e «lo trattò
come un patrimonio, suo
bene,cosasua».16
Da molti autori Proudhon
è stato reputato un ateo a
metà o uno pseudoateo, sia
perché accetta di considerare
valida «l’ipotesi di Dio»17,
sia
perché
«negando
l’esistenza di Dio nega
l’esistenza di un ente di
ragione che lui chiama Dio,
machenonèDio»18.Oppure
èstatovistosoltantocomeun
antireligioso e anticattolico,
perché il suo antiteismo «si
rivolge contro l’idea di
religioneintesacomeforzadi
conservazione e di coesione
sociale»19.Maabenguardare
eglirisultaatuttiglieffettiun
vero ateo, sebbene pare non
gli piacesse essere designato
cometale;unateoperilquale
Dio va «detronizzato e
infranto»,mentreilsuostesso
nomedovràesseresottoposto
«al disprezzo e all’anatema,
sarà fischiato dagli uomini».
In sintesi per lui «Dio è
sciocchezza e viltà, è
ipocrisia e menzogna, è
tirannia e miseria; Dio è il
male».20 Di questo suo
ateismofaparteapienotitolo
la critica socio-politica al
cattolicesimo quale massima
espressione del carattere
autoritario tipico di qualsiasi
confessione
religiosa
organizzata: «Ho espresso
sull’insegnamento
della
Chiesa un biasimo severo;
dovevofarlo»,perchéfacapo
a un principio «vero nel suo
oggetto e falso nel nostro
modo di intenderlo, […]
anticocomel’umanità».21
Michail Aleksandrovič
Bakunin
(1814-1876)
rappresenta invece nel modo
più diretto un sottoinsieme
dell’ateismopostulatorio,che
nel suo caso possiamo
definire «ateismo libertario».
Essosiriassumeinquesto:la
liberazione
etico-politica
dell’essere umano esige che
sipostulil’estinzionediDioe
si realizzi la soppressione di
qualsiasicultoreligiosoverso
ildivino.L’anarchicorussosi
è caratterizzato storicamente
per essere stato un individuo
combattivo disposto a lottare
convigoreperleproprieidee,
un grande ammiratore degli
uomini
d’azione
come
Giuseppe
Garibaldi
e
dell’Italia in cui soggiornò
spesso, mentre per contro
polemizzò duramente con
Giuseppe Mazzini e il suo
Stato teocratico. A tratti però
assomiglia a uno dei molti
russi stravaganti dell’800,
tantocheinluilarivoluzione
anarchica fatica a conciliarsi
col suo atteggiamento ancora
daaristocratico.
Quel che appare certo è
che fece della questione
dell’esistenza di Dio un
aspetto importante del suo
programma
di
totale
liberazionedell’uomodaogni
forma di asservimento, sia
esso materiale o intellettuale.
Del resto il suo pensiero di
fondo è quello di un
materialistasettecentesco,nel
quale la natura equivale alla
materia, anche se poi viene
concepita non soltanto come
causalità,maeticamentepure
come solidarietà, ponendo
l’essere umano al vertice del
processo evolutivo della vita.
Sembracheperluiamuovere
larealtànaturalecifosseuna
forza sottostante, definita
«causalità universale»: «La
causalità universale crea i
mondi.Essahadeterminatola
configurazione meccanica,
fisica, chimica, geologica e
geografica della nostra Terra
e, dopo avere rivestito la sua
superficie di tutti gli
splendoridellavitavegetalee
animale,continuaacrearenel
mondoumanolasocietà,con
tutti i suoi sviluppi passati,
presentiefuturi».22
Piuttosto
che
un
materialismo naturalistico,
quello di Bakunin appare
come
un
materialismo
romantico,
nel
quale
l’universo
sembra
spontaneamente armonizzarsi
in se stesso e in cui tutto si
evolve unitariamente; perciò
le leggi naturali non possono
risultaremaiincontrastocon
il libero sviluppo dell’essere
umano,cheèilfineultimoa
cui tutto tende. Siamo qui in
presenza di una strana
relazionecausaledirettatrail
determinismo in natura e il
libero arbitrio degli uomini,
ma ciò non deve stupire
perché
il
pensiero
dell’anarchico russo mostra
spesso delle incoerenze ed è
per suo carattere rapsodico.
Difattiperlui
le leggi dell’equilibrio,
della combinazione e
dell’azionereciprocadelle
forze e del movimento
meccanico, le leggi del
peso, del calore, della
vibrazionedeicorpi,della
luce,dell’elettricità,come
quelledellacomposizione
e scomposizione chimica
dei
corpi,
sono
assolutamente inerenti a
tuttelecosecheesistono,
comprese le diverse
manifestazioni
del
sentimento, della volontà
edellospirito.23
Negare Dio a questo
punto per il nostro anarchico
non è tanto un problema
filosofico,
quanto
una
questionedi«utilitàmoralee
sociale». Le religioni e le
divinità, infatti, «furono
create dalla fantasia credula
degli uomini non ancora
giunti al pieno sviluppo e al
pieno possesso delle loro
facoltà
intellettuali»24;
tuttaviaunavoltaritenutaper
vera l’esistenza di Dio,
seguono
ineluttabilmente
conseguenze ben peggiori
della semplice ingenua
credulità popolare: «Una
volta insediata la divinità
questa fu naturalmente
proclamata la causa, la
ragione, l’arbitra e la
dispensatrice assoluta di tutte
le cose: il mondo non fu più
nulla; e l’uomo, suo vero
creatore, dopo averla tratta
dal nulla a sua insaputa,
s’inginocchiò davanti a essa,
l’adorò e si dichiarò creatura
esuoschiavo»25.
Nonostante consideri la
fede religiosa una chiara
rinuncia alla ragione, un
«ripetereconTertulliano[…]
Credo quia absurdum»26, a
differenza di Karl Marx e di
Friedrich Engels, Bakunin
vede nella religione e
nell’esistenzadiDioqualcosa
di più dell’oppio dei popoli,
qualcosa di più pericoloso di
unadrogaadattaaesercitaree
consolidare il potere, perché
liconsideraautoingannidella
menteappartenentiallestesse
deviazionidellanostranatura;
autoinganni che producono
l’asservimento
della
coscienza e dell’intelligenza,
essendo modi di interpretare
la realtà che limitano
ontologicamente la libertà e
l’autonomia
dell’essere
umano. In tal senso la
sudditanza ai poteri terreni
della Chiesa e dello Stato
manifesta a seconda dei casi
tantol’effettoquantolacausa
della credenza religiosa. Da
ciòconsegueche«poichéDio
è tutto, il mondo reale e
l’uomo sono nulla. […]
Poiché Dio è il padrone,
l’uomo è lo schiavo […],
perché contro la Ragione
divinanonc’èragioneumana
e contro la Giustizia di Dio
non vi è giustizia terrena che
tenga. Schiavi di Dio, gli
uomini devono esserlo anche
della Chiesa e dello Stato».
Ma allora, «a meno di volere
la schiavitù e l’umiliazione
degli uomini […], noi non
possiamo e non dobbiamo
fare la minima concessione
néalDiodellateologia,néa
quellodellametafisica».27
Pareoraevidentecomeil
rifiuto dell’esistenza di Dio
sia diventato il presupposto
imprescindibileperaffermare
la piena dignità umana; e chi
persegue davvero il bene
dell’uomo,
chi
intende
sostenerne la completa
emancipazione, è pertanto
obbligato a concludere per
l’inesistenza
di
Dio.
L’anarchico russo espone le
sue idee col seguente
sillogismo nella forma di un
modustollens:
Se Dio esiste, allora
l’uomoèschiavo;
Ora, l’uomo può e deve
esserelibero;
DunqueDiononesiste.28
L’argomento bakuniano
punta a mettere in luce come
siano logicamente alternative
la nozione di Dio e di un
soggetto libero (l’uomo),
come«ladignità,lagiustizia,
l’uguaglianza, la fratellanza,
la prosperità degli uomini»
non possano sussistere
insieme alla presenza di un
essere che è «il padrone
eterno, supremo, assoluto»;
infatti, «se questo Padrone
esiste, l’uomo è schiavo».
Così viene smascherata la
«contraddizione nella quale
cadono coloro che parlano
insiemediDioedellalibertà
umana»,29 anche perché se
tutto è conosciuto e previsto
in anticipo dalla mente
divina, allora nessun atto
umano potrà mai costituire
davvero una libera scelta. È
adesso
evidente
come
l’anarchismo, in quanto
affermazione della libertà
assoluta contro qualsiasi
autorità imposta dall’esterno
all’individuo, non possa non
risultare
necessariamente
ateo. Un anarchico che
credesse in Dio cadrebbe
infatti
nella
stessa
contraddizione dei credenti
chevoglionotenerecongiunti
il libero arbitrio e l’esistenza
di un Dio onnipotente e
onnisciente: se tutto è
conosciuto in anticipo e
quindi prestabilito, non può
mai darsi una libera scelta,
ma
solo
azioni
predeterminate.
Nel pensiero di Bakunin
c’è infine spazio per
l’ateismoprometeico,peruna
negazionediDiochediventa
scontro epico con Lui, che si
trasforma in opposizione
aperta e solidale di tutto il
genereumanoaunapresenza
del divino nell’ordine del
mondo.
Va
pertanto
rovesciata
la
celebre
affermazione attribuita a
Voltairesecondocui«SiDieu
n’existait pas, il faudrait
l’inventer» (se Dio non
esistesse
bisognerebbe
inventarlo)30,
facendola
diventare: «Se Dio esistesse
realmente,
bisognerebbe
abolirlo»31. L’essere umano
di Bakunin ha d’altronde un
bisogno naturale di ribellarsi
all’autoritàenellasuaazione
realizza ciò che intende
diventare:ciòchel’uomoèo
saràdeverisultareilprodotto
delsuoagirepercambiareun
mondodominatodaunacieca
e iniqua necessità. Per
conseguire
l’obiettivo
dobbiamo necessariamente
puntareaprendereilpostodi
un Dio che non esiste e
generare da soli un ordine
migliore confacente alla
nostrapienalibertà.
3.L’Unicoeilnulla
Il
secondo
filone
principale del pensiero
anarchicohacomeindiscusso
profeta
Johann
Caspar
Schmidt(1806-1856),meglio
noto con lo pseudonimo di
Max Stirner, che con il suo
saggio L’Unico e la sua
proprietà (1844) offre una
specieditestosacroatuttigli
anarco-individualisti.
Alla
stregua di Bakunin anche lui
ritiene che qualsiasi autorità
posta
al
di
sopra
dell’individuo umano finisca
perrenderloschiavo;equesto
vale per tutte le dottrine
filosofiche,
religiose,
politiche e scientifiche che
pretendono di condizionare il
singolouomo,ilqualeinvece
devecrederesoloinsestesso.
Va però detto subito che non
si dichiarò apertamente
anarchico e la sua riflessione
fu più orientata dal dibattito
del post-hegelismo, o più
precisamente alla reazione
contro l’hegelismo, con
approdiedesitimarcatamente
nichilistici.
Come
ha
giustamente notato Karl
Löwith, Stirner più che «il
prodotto di un anarchismo
eccentrico […] è un’estrema
conseguenza
della
costruzionestoricauniversale
di Hegel».32 Un riferimento
costante della sua critica
filosoficafuinfattiilfilosofo
dellaSinistrahegelianaBruno
Bauer; uno dei pochi amici
che il suo temperamento
scontroso gli permise di
conservarefinoallafinedella
sua vita e che fu tra le
pochissime persone che
parteciparonoalsuofunerale.
La polemica di Stirner è
tutta incentrata sul rifiuto
tanto
dell’assolutismo
hegeliano
quanto
dell’umanitarismo
degli
esponenti
neohegeliani,
quest’ultimo sia nella forma
del liberalismo di Bauer sia
del comunitarismo socialista
di Marx ed Engels. A tali
posizionieglicontrapponeun
individualismo radicale, un
egoismo psicologico, che
tuttavia non ha nulla a che
spartire con il classico
solipsismo filosofico, ma
piuttosto con l’esaltazione
dell’unicità del singolo, con
la libertà di un soggetto
unico, con l’Io autentico
capace di risultare norma
soltanto per se stesso e non
per l’umanità intera, come
invece pretendeva la legge
etica fondamentale della
Critica della ragion pratica
diImmanuelKant33. «Perché
– provoca Stirner – non
volete avere il coraggio di
fare veramente di voi stessi,
completamente e in ogni
caso, il centro, la cosa
fondamentale?». Perché, è la
risposta, piuttosto preferiamo
lasciarci condizionare da un
fantomatico volere divino
oppuredallamoralecorrente:
«Maeccocheunosichiedea
bassa voce che cosa ne
penserà il suo Dio […] e un
altro si preoccupa del
giudizio del suo senso
morale, della sua coscienza,
delsuosensodeldovere,eun
terzopensaachecosadiràla
gente».34
Tutto
ciò
finì
inevitabilmenteperattiraresu
di lui i duri e sferzanti
attacchi del giovane Karl
Marx e di Friedrich Engels
che, nel prendere le distanze
dalla «filosofia giovanehegeliana» con cui erano
venuti in quel periodo in
contatto, dovettero reputarlo
alquanto pericoloso se nella
loro Ideologia tedesca gli
dedicarono ben 370 pagine,
intitolandosarcasticamentela
sezione «San Max [Stirner]».
In quest’opera marxianoengelsiana,
pubblicata
postumasoltantonel1932,si
mette proficuamente in
mostralafortedipendenzadi
Stirner dalla filosofia della
storia hegeliana e lo si irride
perché egli pare non
accorgersene:
«La
particolarità e l’unicità
dell’attitudine
stirneriana
verso la Storia consiste in
questo: che l’egoista si
trasforma in un goffo copista
diHegel».35
Stirner scelse come titolo
dellapremessaalsuolibroun
verso del lied Vanitas!
Vanitatum Vanitas di Johann
Wolfgang Goethe (17491832),
che
ci
svela
immediatamente la radicalità
della visione stirneriana: Ich
hab’ mein’ Sach’ auf Nichts
gestellt(hoposto[fondato]la
mia causa su nulla)36.
Secondo lo studioso italiano
Franco Volpi (1952-2009),
questa è «la prima autentica
teorizzazione
di
una
posizionefilosoficachepossa
essere
definita
come
nichilismo»;37 e infatti con
tuttaprobabilitàilpensierodi
Stirner ha influenzato quello
di Friedrich Nietzsche, anche
se quest’ultimo si è mostrato
reticente
a
volerlo
riconoscere. D’altronde in
uno scritto minore di Stirner
si usa l’espressione «fate del
vostro Dio un cadavere»,38
che ricorda in modo
impressionante
il
nietzschiano «Dio è morto!»
di La gaia scienza.39 Albert
Camus occupandosi del
pensiero
nichilistico
dell’autore di L’Unico e la
sua proprietà, l’ha tuttavia
posto in contrasto con quello
cupo nietzschiano e l’ha
definito
«nichilismo
soddisfatto», dal momento
che «Stirner ride nel vicolo
cieco in cui si è ridotto,
Nietzsche invece si avventa
controimuri».40
Riguardo alla frase posta
come motto iniziale di
L’Unico e la sua proprietà
occorre prestare attenzione al
fattochevièscritto«sunulla
(aufNichts)»enon«sulnulla
(auf das Nichts), per non
commettere
l’errore
di
LudwigFeuerbach(edopodi
lui di altri), che trasformò
l’espressione in Ich hab’
mein’ Sach’ auf das Nichts
gestellt («Io ho posto
[fondato] la mia causa sul
nulla»).Comefecenotareper
primo lo stesso Stirner41, la
differenza è sostanziale
perché con «sul nulla» si
potrebbepensareauntrattato
sul problema filosofico del
«Nulla» che affonda le sue
antiche origini addirittura nel
filosofogrecoParmenide(VIV secolo a.C.), mentre al
contrario si vuole segnalare
da parte dell’autore il suo
risoluto e irreversibile rifiuto
di
ogni
fondamento
metafisico,
di
ogni
riferimento alla trascendenza,
siaessaquelladiDioodello
Spirito(Geist)diHegel.
Il tentativo stirneriano di
aggirare
il
problema
parmenideo del non-essere
tuttavianonriesceeilripudio
radicaledeltrascendentedeve
pertantovenireintesocomela
negazione
di
qualsiasi
pulsione ad andare oltre
l’unica
realtà
effettiva
dell’individuo, che è la sua
singolarità assoluta; quindi
come una netta presa di
distanze da una filosofia
come quella feuerbachiana
chetendeaesaltarel’umanità
come entità assoluta, a
considerare l’essenza umana
espressa non dall’uomo
singolo, ma dalla specie in
quanto tale, dalla comunità.
L’Io irripetibile di ciascuno
diventa così padrone della
propria
realtà,
perché
solamente
l’Unico
disincantato
che
non
partecipa né del regno
cristiano di Dio né del regno
hegelianodelloSpiritoèinse
stesso l’intera storia del
mondo.
Max Stirner dichiara
infatti con un linguaggio
estremamente chiaro che la
sua causa non è né quella di
Dio né quella dell’umanità,
néquelladellaveritàobiettiva
né quella dello spirito, né
quella del popolo o della
patria né quella di un
principe.Inunaparola,nonè
quelladiqualcosadiassoluto,
di
intersoggettivo,
di
comunitario, bensì la causa
personaledelsuoegounicoe
irripetibile: «Dio e l’umanità
hanno fondato la loro causa
su nulla, su null’altro che se
stessi. Allo stesso modo io
fondo allora la mia causa su
me stesso, io che, al pari di
Dio, sono il nulla di ogni
altro,chesonoilmiotutto,io
chesonol’unico[…].Ionon
sono nulla nel senso della
vuotezza,mailnullacreatore,
ilnulladalqualeiostesso,in
quantocreatore,creotutto».42
Einaltrepartidellasuaopera
principale si chiarisce che
sussistono due dimensioni
dell’io, una autentica e una
inautentica: l’autentica è data
dalla
«mia
proprietà»;
l’inautenticaècostituitadallo
spirito, che è invece
«qualcosa
di
diverso
dall’io».43 Tutto questo
perché «l’io trova il suo
fondamento ultimo in un
orizzonte dell’essere come
proprietà, per cui essere e
proprietàdenotanounastessa
dimensioneesistenziale».44
Viene qui in mente una
sentenzaattribuitaalsapiente
greco Cleobulo di Lindo (VI
sec. a.C.), secondo la quale
«l’ateo non ha altro criterio
delverocheisensi;nonaltra
esistenza che la propria; non
altro bene al di fuori di sé;
non altri doveri che verso sé
medesimo».45 Con Stirner
siamocertamenteinpresenza
di una forma di egoismo, ma
non quello banale degli
individuicheall’internodella
società perseguono il loro
esclusivo
vantaggio
a
discapitodialtri,bensìquello
di chi punta all’unicità del
singolo svincolato da tutti e
addirittura superiore a tutto,
che è cioè fine di se stesso e
legge a se stesso, al di fuori
del quale non sussiste
letteralmente nulla. L’esito
dirompente e abissale di
questo pensiero è lontano
tanto dalla categoria del
«singolo» del filosofo danese
Søren Aabye Kierkegaard
(1813-1855),concuiquestisi
oppone a sua volta al
predominio del sistema
filosofico hegeliano, quanto
dal pessimismo di Arthur
Schopenhauer (1788-1860);
pensatori entrambi pressoché
contemporanei a Stirner.
Schopenhauer in particolare,
meditandosullostessolieddi
Goethe,
perviene
a
conclusioni non egoistiche e
nichilistiche,perchéperluiil
verso goethiano «significa
propriamentechesoloquando
l’uomo dovrà abbandonare
tutte le sue pretese e sarà
ricondotto a un’esistenza
nuda e spoglia, egli potrà
partecipare
di
quella
tranquillità di spirito […]
indispensabile per gustare il
presente, e quindi tutta la
vita».46
Nonpuòdunquestupire,e
infatti non stupisce, che un
autore così radicalmente
contrario
a
qualsiasi
trascendenza e che intende
l’Io come unico risulti tanto
integralmente ateo da far
perdere persino significato
alla distinzione corrente tra
ateismoeteismo,tracredenza
e non credenza; e questo in
misura addirittura maggiore
di quanto abbiamo visto
verificarsi
in
Ludwig
Feuerbach
e
Friedrich
Nietzsche.Intalsensononha
torto Max Stirner a
considerare
l’ateismo
feuerbachiano
come
meramente apparente e
neppure ha torto Nietzsche a
temeresegretamentediessere
considerato un epigono della
filosofia stirneriana, che era
già
potentemente
anticristiana. Scrive infatti
Stirner: «Per il cristiano la
storiauniversaleè[…]storia
di Cristo o “dell’uomo”; per
l’egoistasololapropriastoria
ha valore, perché egli vuole
svilupparesolosestesso,non
l’ideadiumanità,nonilpiano
diDio[…].Cheilsingolosia
per sé storia universale e che
possegga la rimanente storia
universalecomesuaproprietà
è qualcosa che oltrepassa il
momento cristiano». Il
pensiero
stirneriano
è
pertanto
ben
più
antimetafisico di quello di
Nietzsche,checomeabbiamo
visto in realtà prospetta una
nuova metafisica tragica,
tanto che va condiviso il
giudizio di chi ritiene «il
pensare antimetafisico di
Stirner […] alla base del
pensieronietzschiano»47.
Per l’ateismo stirneriano
la religione e l’idea di Dio
rappresentano un limite non
per la libertà dell’uomo in
generale e in quanto essere
sociale come in Bakunin,
bensì per la libertà dello
spirito soggettivo quale
espressione dell’autonomia
assoluta
del
singolo:
«Proprietario del mio potere
sono io stesso e lo sono nel
momento che so di essere
unico».48 In tal maniera il
problema
tipicamente
anarchicodelrapportoconla
proprietà viene risolto da
Stirner in modo definitivo
con
un
semplice
ragionamento:
la mia potenza è la mia
proprietà;
la mia potenza mi dà la
miaproprietà;
dunque la mia potenza
sono io stesso e grazie a
essa io sono la mia
proprietà.49
L’Unico
sfugge
a
qualsiasi vincolo, perfino a
quello di una definizione
concettuale, che altro non
risulta
se
non
puro
nominalismo:«SidicediDio:
“Nessun
nome
può
dominarti”. Ciò vale per me:
nessun concetto mi esprime,
niente di quanto viene
indicatocomemiaessenzami
esaurisce:sonosolonomi».50
Se Feuerbach cerca
ancora l’essenza dell’uomo
nell’umanità
e
innalza
l’essere umano come specie
al posto del divino, Stirner
punta
direttamente
all’enfatizzazione
dell’Io
nella sua singolarità, il quale
non è l’uomo in senso
feuerbachiano, non è cioè
l’uomo in generale, bensì un
Unico. Ma allora, anche se
Stirner lo nega, è questo
Unico a essere di fatto
sostituito a Dio in una tipica
forma
di
ateismo
antropologico-politico;
un
ateismo che, in quanto
postulatorio, finisce per
inserirsiinuncircolovizioso
chenonapprodaadalcunché.
Emerge
così
l’aspetto
paradossale del nichilismo
stirneriano,
facilmente
riscontrabile nella profetica
tautologia posta a logica
conclusione di L’Unico e la
sua proprietà: «Nell’unico il
proprietario stesso rientra nel
suonullacreatore,dalqualeè
nato.[…]Seiofondolamia
causasudime,l’Unico,essa
poggia sull’effimero, mortale
creatore di sé che se stesso
consuma, e io posso dire: Io
ho fondato la mia causa su
nulla».51
Stirnerterminacosìcome
ha iniziato e non poteva
accadere altrimenti: partendo
danulla(l’Io)sigiraavuoto
e si torna sempre a nulla
(l’Unico).Giàperlasaggezza
anticalaviadelnonessere«è
un sentiero su cui niente si
apprende.Infatti,nonpotresti
conoscere ciò che non è,
perchénonècosafattibile,né
potrestiesprimerlo».52
4.Unasovrastruttura
Dalla riflessione critica
sulla filosofia di Ludwig
Feuerbach prese lo spunto
pure un altro tipo di ateismo
socio-politico,
certamente
oggi più celebre di quello di
Max Stirner: quello di Karl
HeinrichMarx(1818-1883)e
del suo inseparabile amico
Friedrich Engels (18201895). Alla base del rifiuto
dell’idea di Dio dei due
fondatori del cosiddetto
«socialismo scientifico» si
trova
una
concezione
materialistica
rielaborata
tramite il ricorso alla
dialettica hegeliana e per la
quale «il mondo non deve
essere concepito come un
complesso di cose compiute,
ma come un complesso di
processi»53. La realtà è
qualcosa in perenne divenire
sulla base di continue reali
contraddizioni, che sfociano
in un loro superamento
secondolatriadehegelianadi
tesi,antitesiesintesi.
Questa
impostazione
definita
«materialismo
dialettico» conduce entrambi
i nostri autori a vedere in
Ludwig Feuerbach uno degli
artefici
della
svolta
materialistica in filosofia e
della definitiva liquidazione
dell’idealismo assoluto di
Hegel. Scrive infatti Engels,
facendo un bilancio quasi al
terminedellasuavita:
Allora apparve l’Essenza
del cristianesimo di
Feuerbach. D’un colpo
essa ridusse in polvere la
contraddizione
[quella
alienante dell’idealismo
cheponevalarealtàdello
Spirito fuori dell’uomo],
rimettendosultronosenza
preamboliilmaterialismo.
La
natura
esiste
indipendentemente
da
ogni filosofia […] Oltre
alla natura e agli uomini,
non esiste nulla […].
L’incanto era rotto; il
«sistema» [hegeliano] era
spezzato e gettato in un
canto; la contraddizione
era rimossa, in quanto
esistente
soltanto
nell’immaginazione. […]
L’entusiasmofugenerale:
in
un
momento
diventammo
tutti
feuerbachiani.54
Le premesse di un
ateismo
materialistico
conseguente alla lettura
dell’opera principale di
Feuerbach sono qui del tutto
evidenti e difatti Engels
ricorda esplicitamente che
«gli esseri più elevati che ha
creato la nostra fantasia
religiosa sono soltanto il
riflesso fantastico del nostro
proprio essere».55 D’altro
canto già in gioventù
FriedrichEngelsavevaintuito
come lo sviluppo della
filosofia
hegeliana
rappresentasseilsuperamento
della nozione cristiana della
divinità,dalmomentoche«il
Dio di Hegel non può essere
mai e poi mai una persona
individuale perché da lui è
rimosso ogni elemento
arbitrario». Mentre in una
fase
successiva
della
riflessione
filosofica
il
pensiero hegeliano sfocia
definitivamente nell’ateismo
attraverso
l’opera
di
Feuerbach,ilquale«riducele
determinazioni religiose a
statiumanisoggettivi».56
A onor del vero, la
filosofia feuerbachiana non
era
così
rigorosamente
materialistica
come
la
intendeva
Engels
o
quantomeno non lo era
abbastanza da soddisfare uno
come
Karl
Marx.
Quest’ultimo infatti, nelle
famose Tesi su Feuerbach
(1845), la considera ancora
troppo astratta e soprattutto
lontana dall’uomo concreto e
dallasuadimensionepratica:
Feuerbachrisolvel’essere
religioso
nell’essere
umano. Ma l’essere
umano
non
è
un’astrazione immanente
all’individuo
singolo.
Nella sua realtà, esso è
l’insieme dei rapporti
sociali. Feuerbach, che
non s’addentra nella
critica di questo essere
reale,èperciòcostretto:a
fare astrazione dal corso
della Storia, a fissare il
sentimento religioso per
sé e a presupporre un
individuo umano astratto,
isolato […]. Perciò
Feuerbachnonvedecheil
«sentimento religioso» è
anch’esso un prodotto
sociale e che l’individuo
astratto,cheeglianalizza,
in realtà appartiene a una
determinata
forma
sociale.57
Proprio qui, proprio in
questomaterialismoattentoal
corsodellaStoriadiunessere
umano socialmente concreto,
si situa il punto focale
dell’interpretazione marxista
della
religione
e
di
conseguenza della questione
dell’esistenza di Dio. Pur
dando atto e grande merito
alla riflessione feuerbachiana
peraver«messogliuominial
posto del vecchio ciarpame»
dell’idealismo,
dell’autocoscienza infinita e
dello spirito divino, Marx
tuttavia ritiene essa conservi
ancora qualcosa del «sacro»,
quasi fosse una specie di
ateismo religioso, mentre
tutto deve essere ricondotto
alla categoria del «profano».
Il
capovolgimento
antropologico della teologia
attuato da Feuerbach non
realizza pienamente quella
conversione
materialistica
integrale
che
consiste
nell’individuare l’origine del
divino nell’ambito della
Storia economico-sociale e
perciò risulta incapace di
risolvere
un
problema
fondamentale: spiegare come
mai l’uomo ha sentito il
bisogno di creare Dio e la
religione. A tale problema
risponde invece facilmente
l’interpretazione marxiana
della Storia (denominata poi
«materialismo
storico»),
perché postula la stretta
dipendenza della natura dei
singoli
individui
dalle
condizioni socio-economiche
incuisitrovanostoricamente
avivere;dipendenzanonsolo
pratica, ma anche mentale, a
tal punto che «non è la
coscienza degli uomini che
determinailloroessere,maal
contrario è il loro essere
sociale che determina la loro
coscienza».58 Ovvero, ancora
più esplicitamente: «La
produzione
delle
rappresentazioni,
della
coscienza, è in primo luogo
direttamente
intrecciata
all’attività materiale e alle
relazioni materiali degli
uomini, linguaggio della vita
reale»;59 difatti «le idee
dominanti di un’epoca sono
sempre unicamente le idee
della classe dominante».60
Qui secondo Marx risiede
pure il limite principale della
filosofia dell’Unico di Max
Stirner: si è soffermata sui
rapportidicoscienzaenonsi
è di conseguenza svincolata
dai reali rapporti sociali
borghesi di cui risulta un
riflesso.
Per Karl Heinrich Marx,
erede nella città di Treviri di
una famiglia di rabbini dalle
profonde tradizioni religiose
(anche se il padre Herschel
Mordechaieraunvolterianoe
si era convertito pro forma
alla religione luterana per
sfuggire
alle
misure
antisemite del governo
prussiano),
l’adesione
all’ateismo
materialista
avviene molto presto, già
prima della sua tesi di laurea
del 1841 intitolata Differenza
fralafilosofiadellanaturadi
Democrito e quella di
Epicuro.
Quest’ultima
iniziava nella prefazione con
l’elevazione di Prometeo
dispregiatoredeglideia«più
grande santo e martire del
calendario filosofico» e si
concludeva con la netta
affermazione secondo cui
«tutte le prove dell’esistenza
di Dio sono prove della sua
non esistenza».61 Per il
filosofodiTrevirilareligione
o comunque la vita dello
spirito e l’attenzione per il
divino non sono più il
fondamento
dell’esistenza
umana, ma a essi si
sostituisconoirapportisocioeconomici, le relazioni
concrete tra le classi
determinate dai modi di
produrrebenieconomicinelle
diverse fasi storiche (tribale,
schiavistica antica, feudale e
capitalistica): «Il complesso
di tali rapporti di produzione
costituisce
la
struttura
economica della società, la
baserealesucuisielevauna
sovrastruttura giuridica e
politicaeacuicorrispondono
determinate
forme
di
coscienza sociale. Il modo di
produzione
della
vita
materiale
è
ciò
che
condiziona
il
processo
sociale,
politico
e
spirituale»62.
Le analisi economiche
chenoninterpretanoinsenso
rigidamente
storicomaterialistico la società sono
criticate e sbeffeggiate da
Marx, come accadde perfino
al saggio Philosophie de la
misère
dell’anarchico
francese
Pierre-Joseph
Proudhon. Esso non sarebbe
infatti «un trattato di
economia politica puro e
semplice»,bensì«unaBibbia:
Misteri, Segreti strappati dal
senodiDio,Rivelazioni,non
vimancanulla»;tantopiùche
un suo intero capitolo viene
dedicato alla Provvidenza,
trasformata
così
nella
«locomotiva che fa andare
avanti tutto il bagaglio
economico».63
Oltre alla caratteristica di
semplice
«sovrastruttura»,
ovvero di elemento non
essenziale o di secondaria
rilevanza,lareligioneassume
un
aspetto
fortemente
negativo allorché diventa
strumento di dominio della
classe al potere, poiché
quest’ultima
ha
tutto
l’interesse a perpetuare il
processo di alienazione per
cui gli uomini proiettano se
stessiinundioimmaginarioe
vi
cercano
la
loro
consolazione o realizzazione.
Tuttavia «l’uomo non è
niente di astratto, un essere
rannicchiatofuoridelmondo.
L’uomo è il mondo
dell’uomo, lo Stato, la
società. Questo Stato, questa
società
producono
la
religione, una coscienza
capovolta del mondo, perché
sono un mondo capovolto»;
infatti «il fondamento della
critica religiosa è: l’uomo fa
la religione e non già la
religionefal’uomo».64Ilche
sta pure a significare che
«poiché il contenuto della
religione è il contenuto di un
difetto, la fonte di questo
difettosipuòcercaresoltanto
nella natura dello Stato»,65
ossia nel carattere autoritario
delle istituzioni politiche in
quanto instrumentum regni
dellaclassedominante.
Inquestocontestoperfino
l’ateismo,perfinoilproblema
dellanegazionediDio,perde
significato
e
diventa
secondario rispetto alla vera
questione di liberare l’uomo
dalle
catene
dello
sfruttamentosociale;sicchéla
religione rappresenta a un
tempo uno dei tanti mezzi
coercitivi del predominio di
classe e una manifestazione
dell’anelito di liberazione da
parte degli oppressi sotto le
mentite
spoglie
dell’aspirazione
a
una
salvezza
eterna.
Ecco
comunque le celebri e dure
parole del filosofo tedesco:
«Lamiseriareligiosaèdauna
parte l’espressione della
miseria reale e da un’altra
parte la protesta contro di
essa. La religione è il
singhiozzo della creatura
oppressa, è il senso effettivo
di un mondo senza cuore,
come è lo spirito di una vita
privadispirito.Essaèl’oppio
deipopoli».66
L’ateismo socio-politico
diMarxèindubbiamenteuno
deipiùdrasticiecoerentimai
teorizzati.
Le
sue
argomentazioni
per
dimostrarelefinalitàpolitiche
e
strumentali
della
costruzionediunagigantesca
allucinazione
collettiva,
rappresentatadallareligioneo
dalla fede nell’esistenza di
Dio,sonotalmenteefficacida
aver condotto all’ateismo
moltissimiintellettuali,alcuni
dei
quali
sinceramente
convinti della scientificità
delle sue teorie economicofilosofiche,
ma
anche
tantissime
persone
del
popolo.Forsenessunfilosofo
puòvantarediaveresercitato
unainfluenzatantopregnante
sia in ambito culturale sia
sullavitapraticaequotidiana
di milioni di individui. Con
lui e con Engels la scelta di
essere atei si trasforma e
diventa un tutt’uno con la
contesa politica, per cui
l’ateismo è la logica
conseguenza della necessaria
lotta di classe degli oppressi
controglioppressori.Ecome
soltanto la società senza
classi consente la piena
realizzazione della libera
natura umana, allo stesso
modo «l’eliminazione della
religione come illusoria
felicità del popolo è la
condizione della sua felicità
reale»; difatti «lo stimolo a
dissipare le illusioni del
proprio stato è lo stimolo a
eliminare uno Stato che ha
bisogno delle illusioni. La
critica della religione è,
perciò, in germe, la critica
della valle di lagrime, di cui
la religione è il riflesso
sacro».67
Èalloraevidentecomela
strada
maestra
della
rivoluzione
e
dell’emancipazione sociale,
sovvertendo le strutture
classiste dell’economia e
realizzando il socialismo,
condurrà
fatalmente
all’eliminazione di qualsiasi
forma di religione o di
qualsiasi ideologia di classe
che professa l’esistenza di
Dio. Marx ed Engels
interpretano e giustificano le
preoccupazioni religiose e le
filosofie metafisiche degli
uomini da un lato con la
condizione
di
oppressi
ingannati («drogati») dal
potere, in particolare dalle
caste sacerdotali, e dall’altro
con
la
volontaria
mistificazione dei chierici al
servizio
della
classe
dominante, che invece di
svelare il mondo materiale
per quello che realmente è,
inventano il sopramondo
dello spirito, dell’immortalità
dell’anima e delle sostanze
divine. Ma gli individui
«eliminano le loro anguste
vedute religiose appena si
disfano di certi vincoli
terreni. Noi non convertiamo
le questioni terrene in
teologiche;
convertiamo
invece le teologiche in
terrene».68
Cionondimeno, bisogna
guardarsi
bene
dal
semplificare o sottovalutare
troppoilproblemadellaforza
delle religioni ed è appunto
quanto fa notare nel 1882
Friedrich Engels riferendosi
al cristianesimo durante la
commemorazionedellamorte
di Bruno Bauer: «Una
religionechehasottomessoa
sél’imperomondialeromano,
e che ha dominato per 1800
anni la massima parte
dell’umanità civile, non si
liquida
spiegandola
puramente e semplicemente
come un insieme di assurdità
originatedaimpostori»,bensì
individuando le condizioni
storicheperlequali«lemasse
popolari dell’impero romano
preferirono questa assurdità,
perdipiùpredicatadaschiavi
e da oppressi, a tutte le altre
religioni».
Certamente
incuriosito
assai
più
dell’amico
Marx
dal
cristianesimo delle origini,
egli ne attribuisce lo
straordinario
successo
nell’età tardoantica sia alla
crisi
economico-sociale
dell’impero romano, sia alla
promessadiunasalvezzaper
tutti gli uomini senza
distinzione di classe che
andava
incontro
all’aspettativa di redenzione
delle
masse
oppresse:
«Offriva, col sacrificio del
suo giudice [Cristo], una
forma
facilmente
comprensibile per tutti della
sospirata redenzione interiore
dal mondo corrotto e della
consolazione della coscienza;
esso dimostrava la sua
capacitàdidiventarereligione
mondiale: una religione, in
verità, adatta proprio al
mondocheesistevaallora».69
Engels per altro dedicò alla
Chiesa delle origini e alla
prima letteratura cristiana
altriduebreviscritti–Illibro
della Rivelazione (1883) e
Per
la
storia
del
cristianesimo
primitivo
(1895)–,neiqualisiatteggia
a storico ed esegeta
neotestamentario,
abbandonandosi talvolta a
giudizi e interpretazioni a dir
pocoimprobabili.70
Se la teologia si interessa
di temi irrilevanti o irreali,
nondimeno ciò accade pure
per l’ateismo filosofico,
poiché entrambi si occupano
dellostessovacuoargomento:
l’esistenza o meno di un
essere trascendente. Per
questa
ragione
alcuni
interpreti contemporanei di
Marx, quali per esempio
Louis Althusser (19181990)71, sono arrivati a
concludere che la questione
dell’ateismo sia nella sua
opera del tutto secondaria.
Comunque la si pensi, sta di
fatto che alla luce del
rovesciamento operato dal
materialismo storico, per cui
sono i concreti rapporti
economico-sociali
a
determinare la coscienza
individuale e i fenomeni
culturali e mai viceversa, «la
questione di un essere
estraneo, di un essere al di
sopra della natura dell’uomo
è divenuta praticamente
impossibile […]. L’ateismo,
come negazione di questa
inessenzialità, non ha più
senso,poichél’ateismoèuna
negazione di Dio e pone
l’esistenza
dell’uomo
mediante questa negazione.
Ma il socialismo in quanto
socialismononhabisognodi
una tale mediazione».72
L’ateismo d’altronde manca
di concretezza perché se è
corretto affermare che «il
comunismo comincia subito
con
l’ateismo»,
come
sosteneva
il
socialista
utopistico Robert Owen
(1771-1858), è altresì vero
che «l’ateismo è da principio
ancora
ben
lontano
dall’essere
comunismo,
essendo invece piuttosto
un’astrazione».73 Alla fine
della Storia, con l’avvento
dellasocietàcomunista,tanto
la credenza in Dio e nella
religione quanto l’ateismo
risulteranno superflui e
saranno abbandonati insieme
atuttelealtresovrastrutture.
Con Karl Marx e
Friedrich Engels siamo
approdati a una forma di
ateismo
antropologicomaterialisticoesocio-politico
che per affermare l’uomo
quale
soggetto
esclusivamente sociale esige
non solo di negare Dio, ma
addirittura di superare la
stessa negazione del divino,
ossia l’ateismo stesso, in una
dimensione esclusivamente
storico-politica: quella della
rivoluzione socialista. Lo
stesso problema del male
naturale in rapporto a Dio
viene eliminato facilmente
nel contesto della teoria del
materialismo
dialettico,
riconducendo tutto alle
dinamiche evolutive della
materia; ed Engels mette
indirettamente in mostra tale
propensione
all’estinzione
materialistica di qualsiasi
questione
inerente
alla
teologia, alla psicologia e
all’eticanelsuoAnti-Dühring
(1878). In questo scritto, nel
difendere anche per conto di
Marx il loro rigoroso
materialismodialetticoeateo
contro il filosofo positivista
Karl Eugen Dühring (18331921), giunge a imputare il
suo bersaglio polemico non
solo di essere un superficiale
«sottoprodotto illuministico
del superficiale illuminismo
tedesco»,74 ma di non
dimostrarsi sufficientemente
ateo,inquantoilsuopensiero
lascerebbe ancora spazio in
campo teoretico a una
filosofia etico-religiosa e in
campo politico alla religione
veraepropria.
Aquestopuntononsipuò
non far osservare come la
comunità umana senza classi
e
senza
religione
preannunciata da Marx ed
Engels, come il loro ordine
comunista della felicità
terrenaedell’armoniatratutti
gliindividuiassomiglimolto,
forse troppo, al giardino
dell’Eden (Gn 2,8-15 e Ap
22,1)oalmessianicoregnodi
Dio(Sap10,10eMc1,15)di
cui parla la Bibbia. Sembra
insomma sinceramente che i
due pensatori pretendano di
realizzare un regno divino
sulla Terra senza la presenza
di Dio. Del resto il
proletariato trasformato nella
classe universale, ossia nella
classe che realizzerà la
società senza classi, ricorda
molto e nuovamente forse
troppol’ebraicopopoloeletto
destinato a salvare con se
stesso«tuttelefamigliedella
Terra» (Gn 12,3), tutta
l’umanità.Maallafine,come
risaputo, la realtà storica
concretadeiregimicomunisti
è stata tragicamente molto
diversa da quella da loro
profetizzata.
Nel
’900
dalle
teorizzazioni
sull’ateismo
socio-politico di Engels e
Marxsipassòbenprestocon
le
prime
rivoluzioni
comuniste
all’ateismo
imposto politicamente, alla
prescrizione
forzata
dell’ideologia ateista quale
dottrinadelloStatosocialista.
Uncontributodecisivonelfar
trasferire l’ateismo sociopolitico dal piano teorico a
quello della prassi politica è
venuto dalla stessa persona
che ha tradotto il marxismo
da teoria filosofica e socioeconomicainconcretaazione
rivoluzionaria: Vladimir Il’ič
Ul’janov, meglio noto come
Nikolaj Lenin (1870-1924).
Materialista convinto e
rigoroso,ritennecheMarxed
Engels
avessero
definitivamente superato le
forme idealistiche ancora
presenti in Feuerbach: «Ne
abbiamo
abbastanza
dell’idealismo sia filosofico
sia politico; vogliamo essere
deimaterialistipolitici».75
D’altrondenel1909,nella
sua opera filosofica più
impegnativa
intitolata
Materialismo
ed
empiriocriticismo,
mentre
sostiene che la materia è
l’unica realtà oggettiva
«rispecchiata» attraverso i
sensi, afferma che l’intera
storia della filosofia si
riassume
nella
contrapposizione tra idealisti
e materialisti. Critica inoltre
perfino
il
principale
esponente del materialismo
russo Georgij Valentinovič
Plekhanov
per
essersi
dimostrato a suo giudizio
troppo
aperturista
nei
confronti
degli
empiriocriticisti, secondo lui
parecchio lontani dall’unico
materialismo
autentico:
quello
dialettico.76
Esprimendosi sempre nello
stesso anno su quale dovesse
essere il punto di vista del
partito operaio nei confronti
della
religione,
il
rivoluzionario russo precisa
esplicitamente che la «base
filosofica del marxismo,
come Marx ed Engels hanno
più volte affermato, è il
materialismo dialettico, che
hacompletamentefattesuele
tradizioni
storiche
del
materialismo del XVIII
secolo in Francia e di
Feuerbach (prima metà del
XIX secolo) in Germania,
materialismo
incondizionatamente
ateo,
risolutamente ostile a ogni
religione».77 E non a caso
subito
dopo
richiama
l’invettivadiFriedrichEngels
sul
materialismo
non
coerentemente
ateo
di
Dühring, di cui abbiamo
riferitoinprecedenza.
C’è allora più che da
attendersi che da una simile
prospettiva
filosofica
scaturisca
un
«ateismo
militante», come ebbe a
definirlo lo stesso Lenin;78
cioèunateismoperilqualeil
problemadiDioeilproblema
della religione altro non
risultano se non una
questionepoliticadarisolvere
con
strumenti
politici.
«Materialismo
contro
teologia e idealismo», annota
neisuoiQuadernifilosofici,79
e
questo
principio
programmatico si trasforma
per lui ben presto nella
dittatura del proletariato in
una comunità socialista
rigorosamente atea, ossia
senza religione e filosofie
spiritualistiche. In effetti, in
linea di principio, nello Stato
socialista
la
religione
potrebbe
anche
essere
tollerata
come
«affare
privato»,magiàEngelsaveva
precisato
«che
la
socialdemocraziaconsiderala
religione come un affare
privato di fronte allo Stato,
non già di fronte a se stessa,
al marxismo, al partito
operaio»;80 per quest’ultimo
essa resta sempre l’oppio del
popolo,ovvero«unaspeciedi
acquavite spirituale nella
qualeaffoganoillorovoltodi
uomini gli schiavi del
capitale».81 In altre parole, il
partito del proletariato ha il
diritto di pretendere che lo
Stato dichiari la religione un
fatto privato, senza tuttavia
«perquestoritenereaffattoun
affare privato la lotta contro
l’oppio del popolo, la lotta
contro
le
superstizioni
religiose».82
In definitiva, sebbene la
via di uscita dal problema
religioso sia come per Marx
rappresentata dal successo
della lotta di classe delle
masse
sfruttate
sugli
sfruttatori e «la propaganda
ateistica
della
socialdemocrazia
debba
essere subordinata a questo
compito fondamentale», non
va
pragmaticamente
dimenticato che «tutte le
religioni e le Chiese oggi
esistenti,tuttequalichesiano
le organizzazioni religiose
sonosemprestateconsiderate
dalmarxismocomestrumenti
della reazione borghese, che
servono a difendere lo
sfruttamento e a stordire la
classe operaia»;83 quindi
cometalivannopoliticamente
sradicate per impedire che i
proletari continuino a essere
anche mentalmente ingannati
e sfruttati dai ceti dominanti.
L’ateismo antropologico di
Feuerbach, passato attraverso
quello socio-politico del
materialismo
dialettico
marxista,
sfocia
così
inesorabilmente nell’ateismo
giacobino-leninista;edèstato
questo malauguratamente un
passaggio
quanto
mai
doloroso per molti credenti.
Col consueto pratico cinismo
politico, una volta diventato
capo della rivoluzione russa,
nelmarzo1922VladimirIl’ič
Lenin ordinava un’offensiva
generale contro la Chiesa
ortodossa, che portò in breve
tempo alla distruzione di
innumerevolicentridicultoe
provocòoltre8000mortitrai
religiosi.84Erasolol’iniziodi
un attacco spietato alla
religione che con il suo
successore
Josif
Vissarionovič
Džugašvili,
passato alla storia col
soprannome di Stalin (18781953), raggiungerà livelli di
terrore
ed
efferatezza
impressionanti. Ben presto
l’ateismodiStatoprovocherà
lestesseterribiliconseguenze
nei confronti delle credenze
religioseintuttiiPaesiincui
andràalpotereilcomunismo.
5.Lacrisidellamodernità
In un contesto di
crescente delusione per il
socialismo reale dell’Unione
Sovietica e di crisi della
ragione tra i due conflitti
mondiali del secolo XX, un
filosofo marxista «eretico»
come Ernst Bloch (18851977) sentirà la necessità di
scegliereunprincipiodiverso
da quelli dell’economia e
della lotta di classe come
motore della Storia per dare
un senso alla vita umana che
prescindadaDioocomunque
dalla trascendenza. La sua
scelta ricade sul principio
speranza (Prinzip Hoffnung),
che è in fondo un modo per
rivestire l’utopia di nuovi
abiticonl’intentodiresistere
alla decostruzione di tutte le
«narrazioni» compiuta dalla
postmodernità. Il nuovo
concetto di utopia si colloca
alle origini della ricerca
filosofica blochiana e risulta
chiaramente
espresso
dall’obiettivodiintraprendere
la via di una fantasia
costruttiva, invocando cioè
ciò che non c’è ancora,
cercando il vero o il reale
laddove il puro dato di fatto
scompare, dando quindi
rinnovatorisaltoall’arteealla
letteratura. Si deve tuttavia
distinguere tra l’utopistico,
chenonesprimeuncontenuto
realistico, dall’utopico che
invece, anche se non
chiaramente definito, è
concretamente possibile e
delinea la via da percorrere
per raggiungere il traguardo
prefisso.Siamoinpresenzadi
un programma a lunga
scadenza, ma razionalmente
plausibile, perché la verità
non è data immediatamente,
ma è utopia che trascende il
presente in direzione del
futuro.85
Sebbene alla base del
pensieroutopicoblochianoci
sia la dialettica, si tratta però
di una dialettica dinamica e
aperta, quindi diversa da
quella hegeliana. Lo stesso
Marx,acuiBlochguardacol
rispetto dovuto a un maestro,
criticando il socialismo
utopistico avrebbe ecceduto
nell’accentuare i riferimenti
agli aspetti economici e
scientifici del socialismo. E i
suoi seguaci posteriori hanno
commesso a loro volta un
grave errore privandosi
dell’elemento utopico e
sottovalutando
le
più
profonde e ampie aspirazioni
dell’uomo
nei
campi
dell’arte,dellareligione,della
letteratura e della filosofia.
Bloch concepisce pure un
«nuovo materialismo», che
cerca di saldare in se stesso
l’apporto del materialismo
dialettico marxiano e gli
«aerei sogni» del pensiero
libertario-utopico.Lanozione
blochiana di materia va
perciòintesasoprattuttocome
«potenzialità», al punto che
«la categoria “possibilità” è
[…] sinonimo di materia. Il
nomemateriavienedamater,
madre. Materia significa
gravidanzaoluogodelparto,
in cui nasce qualcosa che
finora non c’era. […]
L’utopiaèunafunzionedella
materia,insitainmodoaffatto
necessario nella materia, a
motivo del suo carattere di
gravidamater».86
Alla fine sembra proprio
che ci sia qualcosa di
teleologico nel materialismo
di Bloch e conseguentemente
la sua antropologia viene
costruita per sostenere una
filosofia della speranza, per
superarelacondizioneumana
dell’alienazione proiettandosi
versoilnonancora.Iltermine
alienazione è ovviamente
recuperato dallo hegelismo e
dal marxismo, ma i primari
fattori alienanti non sono
identificati nelle condizioni
socio-economiche
degli
individui.
L’alienazione
blochiana risale alle sue
motivazioni
ontologiche,
consistenti
nell’incompiutezza
dell’essere umano nel mondo
e nella sua tensione verso un
compimento. E tutto ciò
perché la realtà autentica è
soprattutto quella del «non
ancora» ossia del possibile
che è pure l’origine e il
fondamento della speranza e
dell’utopia antropologica. Il
filosofo
tedesco,
nell’esplorare la dimensione
utopica dell’uomo in tutte le
suemolteplicimanifestazioni,
ritienesidebbaguardareoltre
il principio del piacere e le
vecchieutopiecostruitesudi
esso, oltre il principio di
realtà inteso come passiva
accettazione del «già dato».
Eglidelineacosìun’ontologia
del «non essere ancora»
(Ontologie des Noch-NichtSeins)
basata
su
un’impostazione filosofica
che trova espressione negli
stati utopici e sulla cui
fenomenologia
nelle
manifestazioniartisticheonei
miti collettivi si sofferma
attentamente la sua analisi.
Ciòavvieneprincipalmentein
una monumentale opera
blochiana
intitolata
Il
principio speranza (iniziata
nel 1938 e pubblicata per la
primavoltanel1959).
In
questo
testo
fondamentale per la filosofia
contemporanea, Ernst Bloch
individua nel suo principio
speranza il miglior antidoto
contro il nichilismo e
l’angoscia
esistenziale,
badando però bene a non
promettere redenzione e
salvezza,anonconfonderela
caduta di alcuni idoli con la
cadutadegliideali.Mentrela
speranza è la propensione
dinamica dell’uomo verso il
fine,
l’utopia
è
la
rappresentazione figurata di
tale fine: «L’importante è
imparare a sperare. Il lavoro
della speranza non è
rinunciatarioperchédipersé
desideraaversuccessoinvece
che fallire».87 Si tratta in
brevediun’ontologiafondata
sullapotenzialitàdell’esseree
sull’apertura al cambiamento
di ciascun individuo umano,
che si reputa capace di
esorcizzare pure l’«ultimo
nemico» costituito dalla
morte.
Nell’idea
del
«non
ancora» e nella sua
espressione teleologica è
naturalmente insita una
dimensione escatologica che
risulta
propedeutica
all’interesse
del
nostro
filosofo per la religione e in
particolare
per
il
messianismo.QuiperòilDio
«totalmente Altro» di Karl
Barth viene concepito come
la raffigurazione del futuro
speranzaedell’utopico,come
la «meta finale» (Endziel)
perseguitadagliesseriumani.
In questa direzione viene
reinterpretata la storia biblica
di Israele dall’abbandono
dell’Egitto all’esodo verso la
terra promessa; esodo che è
visto come l’emblema dello
«spirito
dell’utopia»
all’internodellastoriaumana.
Nella filosofia blochiana non
è tuttavia possibile che
alberghi
il
concetto
tradizionale di trascendenza
metafisica
e
l’attesa
escatologica non è perciò
rivoltaversounregnodiDio
ultramondano, bensì a un
evento
immanente
o
mondano, che permette di
pensare a un cristianesimo
senza Dio e quindi «ateo».88
Il
pensiero
utopico
concepisce così al tempo
stesso una trascendenza
nell’immanenza
e
un’immanenza
nella
trascendenza, nonché una
visione
dinamica
della
materialità. L’immagine di
Dio pertanto non supporta
l’antica nozione di Ente
sommo della metafisica
classica cristiana e della
teologia scolastica, la cui
esistenza è per altro
razionalmente indimostrabile,
ma quanto si denominava
l’Ens perfectissimum et
realissimum
si
risolve
nell’antropologia
dell’integralmenteutopico,in
un «contenuto di speranza
incondizionatoetotale»89.
Ilmaterialismoimpedisce
infatti a Bloch di accettare la
presenza di un qualsiasi ente
(fosse anche «divino»)
collocato all’esterno della
materia, perché quest’ultima
rimanda solo a se stessa ed è
l’unica realtà sicuramente
esistente. Pertanto il mistero
delDeusabsconditusebraicocristiano
rinvia
necessariamente a quello
dell’homo
absconditus,
contrapposto qui all’homo
editus, che è compito della
riflessione filosofica svelare.
Dio è allora l’«ideale
utopicamente ipostatizzato
dell’uomo ignoto».90 È così
evidente
come
una
concezione
materialistica
imperniata sul tentativo di
unificare all’interno della
materia trascendenza e
immanenza, a valorizzare
all’interno della tradizione
marxista quella spinta al
trascendimentodisépresente
nell’animo umano, che si
chiamasperanzaedèsovente
inverata dall’utopia, possa
presentare in Ernst Bloch un
solo approdo possibile:
l’ateismo antropocentrico. La
negazione di Dio da parte
dell’ateo rispecchia infatti il
momento dell’autocoscienza
attraverso il quale l’essere
esclusivodellamateria-natura
si manifesta nella coscienza
critica degli uomini, quindi
contro ogni forma di
alienazioneequalepossibilità
concreta, seppur latente,
offerta dal suo grembo di
mater.
Cercando
l’identità
dell’ateo ed esaminando il
rapporto tra cristianesimo e
ateismo, abbiamo già avuto
occasione di accennare
all’importanza che Bloch
attribuiscealconfrontoconla
religione, in particolare con
quella ebraico-cristiana.91 In
effetti il filosofo neomarxista
tedesco
trova
riduttivo
ricondurre tutto il fenomeno
religioso a «oppio del
popolo», perché nella realtà
storica le religioni hanno
sempre oscillato tra l’essere
strumentideicetidominantie
percorsi di contestazione del
potere, ideologie repressive e
aneliti alla libertà. Marx pare
dunque caduto nell’errore di
confondere il sincero spirito
religioso degli esseri umani
con
l’istituzionalizzazione
della religione nelle sue
diverseformestoriche,anche
perché non va tralasciato il
fatto che il sentimento
religioso è sempre presente
laddove sussiste la speranza.
Selareligionesia
oppio dei popoli – scrive
Bloch
–
oppure
rafforzamento del valore
infinito
dell’anima
propria e di conseguenza
rafforzamento
della
volontà di non lasciarsi
trattarecomebestie,eciò
da ora, tutto questo
dipende dagli uomini e
dalle situazioni a cui e in
cui si è predicato del
cielo; per esempio la
predica
di
Thomas
Müntzer, sebbene per più
aspetti riferita ai «servi
celesti», non fu oppio del
popolo.92
È proprio in Thomas
Müntzer (1489-1525), figura
quasi mitica di riformatore
religioso e rivoluzionario
comunista tra i contadini
tedeschi del XVI secolo, che
Bloch vede anticipata la
sintesi finale della sua
speculazione filosofica volta
atenereinsiemel’immanenza
del materialismo dialettico
con la trascendenza della
speranza
e
dell’utopia.
Riflettendoinfattisull’eredità
della religione, al termine di
Ateismo nel cristianesimo.
Per la religione dell’Esodo e
delRegno (1968) esplicita in
maniera definitiva il legame
tra
messianismo
e
illuminismocometraateismo
eutopia:
Il messianico è il rosso
segreto
di
ogni
illuminismo
che
si
mantiene rivoluzionario e
pregnante.[…]L’ateismo
è
il
presupposto
dell’utopia concreta, così
comelaconcretautopiaè
l’irrinunciabile
implicazione
dell’ateismo. L’ateismo e
la concreta utopia sono
insieme, nello stesso atto
fondamentale,
l’annientamento
della
religioneelasuasperanza
eretica che cammina su
piediumani.93
A
questo
punto,
procedendo
dalla
sua
convinzione della stretta
interrelazione
tra
cristianesimo autentico e
ateismo autentico, per cui
solamenteunateopuòessere
un buon cristiano e soltanto
un cristiano può essere un
buon ateo, Bloch giunge a
preconizzare anche per il
futuro una possibile alleanza
rivoluzionaria tra i veri
marxistieivericristiani:
Se il cristiano ancora
pensa all’emancipazione
degli oppressi e degli
affaticati, se per il
marxistalaprofonditàdel
regno
della
libertà
permane e realmente si
identifica col contenuto
sostanzializzante
della
coscienza rivoluzionaria,
allora l’alleanza tra
rivoluzione
e
cristianesimo nelle guerre
deicontadini[diMüntzer]
non sarà stata l’ultima; e
questa volta essa avrà
successo.94
Possiamoquinotarecome
unasovrabbondanzadiutopia
rischifacilmenteditramutarsi
nell’utopistico e finisca così
per alimentarsi solo di se
stessa, come per altro
inesorabilmente accade allo
stesso
ateismo:
tanto
l’eccesso di utopia quanto
l’ateismo sfociano sempre in
unvuotonulla.
Con la conclusione del II
millennio dell’era cristiana e
la
caduta
catastrofica
dell’utopia
rivoluzionaria
marxista, e con essa di altre
utopie
sorte
con
la
contestazione studentesca del
maggio francese del 1968 e
tramontate
tutte
definitivamentecolcrollodel
muro di Berlino del 1989,
l’ateismo socio-politico entra
in forte crisi e viene
progressivamente sovrastato
dall’ateismo scientista, che è
oggi
predominante
in
Occidente, ma pure in via di
rapida diffusione anche nella
cultura orientale. Già il
teologo Romano Guardini
aveva intuito l’approssimarsi
della fine della modernità,95
poi apertamente teorizzata da
pensatori a lui successivi
come Jean-François Lyotard
(1924-1998). Quest’ultimo
designa
col
termine
«postmodernità»lostatodella
cultura dopo le profonde
trasformazioni subite dalla
scienza, dalla letteratura e
dalle arti a partire dalla fine
del XIX secolo. In tal modo
diventa
postmoderna
soprattutto «l’incredulità nei
confronti
delle
metanarrazioni»,96 come appunto
quelle
delle
trionfanti
ideologie socio-politiche, ma
pure quelle dell’esaltazione
del potere taumaturgico della
scienza e della tecnologia
contenute nella filosofia
positivista o del ruolo
ottimisticamente progressivo
dell’economia di mercato
sostenuta da certo liberismo.
Ma ora, col crollo definitivo
dei miti collettivi, nella
postmodernità ogni singolo
uomo si scopre solo con se
stesso, senza la possibilità di
ricorrere a consolanti grandi
narrazioniideologiche.
Lacrisidellamodernitàsi
trasformaalloranellacrisidel
mondo
contemporaneo
costruito
sull’idea
di
progresso e sulle visioni
utopistiche
nate
con
l’Illuminismo ed esplose
nell’800; crisi in altri termini
di ideologie foriere di effetti
storicamente spaventosi nel
’900 quali le dittature nazifasciste e comuniste e gli
orrori dei due conflitti
mondiali. In un celebre
saggio del 1947 intitolato
Dialettica dell’Illuminismo,
Max Horkheimer (18951973) e Theodor Adorno
(1903-1969), fondatori della
cosiddetta
Scuola
di
Francoforte, hanno formulato
unateoriacriticadellasocietà
che mette in luce quella che
secondo loro è stata la strana
parabola della filosofia dei
Lumi:laragioneilluministica
tesa a promuovere la
maggiorelibertàpossibileper
l’individuohadialetticamente
prodotto l’esatto opposto,
vale a dire una nuova forma
di totalitarismo. La ragione
emancipatrice
degli
illuministi si sarebbe dunque
tramutata
in
«ragione
strumentale»,
perché
l’Illuminismo «si rapporta
allecosecomeildittatoretra
gli uomini (li conosce in
quanto è in grado di
manipolarli)»97efinisceintal
modo con l’autocontraddirsi,
quindi col dare avvio alla
propriaautodistruzione.
Seguendo questa linea di
presa di distanza da tutte le
principali
categorie
illuministiche,iFrancofortesi
hannocriticatoinugualmodo
l’ateismo, il deismo e il
teismo.
Horkheimer
in
particolare ha radicalmente
escluso che possa venire
rintracciato un qualsiasi
surrogato immanente per Dio
come fanno gli atei
razionalisti,
ma
ha
contemporaneamenterifiutato
l’immagine del Dio buono e
giusto dell’Occidente. Anche
qui come in tutti gli ateismi
antropologici e socio-politici
la questione di Dio diventa
secondaria rispetto a quella
dell’uomo concreto e della
sualibertà.
Adorno si è in seguito
sostanzialmente mantenuto
sulla via di una dialettica
negativa
che
diventa
materialistica e conduce agli
esiti tragici di un pensiero
umano prigioniero di se
stesso.98 Horkheimer invece,
in una delle sue ultime
interviste, è giunto a
sostenere che il mondo finito
e contingente in cui viviamo,
sebbene sia l’unico di cui
possiamo trattare, non è
necessariamente
l’unico
esistente. E comunque la
realtàfinitaecontingentenon
basta per dare un senso al
Tutto: essa è sì l’unico
oggetto di una conoscenza
razionale, ma la sua finitezza
evoca
quell’inattingibile
altrove,queltotalmenteAltro
dove percepiamo potrebbe
risiedere il significato della
nostra esistenza.99 Il filosofo
francofortese, pur rimanendo
estraneo a qualsiasi fede
religiosa positiva, intuisce
dunque che non si può
comprendere veramente la
natura umana senza fare i
conti con il problema del
senso e con l’esigenza a essa
intrinseca dell’attesa di un
«oltre», di una «redenzione»,
che è poi in fondo la stessa
esigenza che ha condotto il
neomarxista Ernst Bloch a
parlare di principio speranza
ediaspirazioneutopica.
Ma l’incredulità nelle
meta-narrazioni teorizzata da
Lyotard segna pure la caduta
definitiva della fede ingenua
nellecredenzereligiose,acui
possiamo dire sia seguito un
diffondersi
spontaneo
dell’ateismo
pratico
o
dell’indifferenza
consumistica e nichilistica.
Sovente anche il cosiddetto
«risveglio del sacro» è in
realtà una forma di
stravolgimento delle religioni
monoteistiche
e
una
regressione
a
culti
premoderni, per certi versi
neopagani; e d’altronde la
rivisitazione del premoderno
è una delle caratteristiche
salienti della postmodernità.
Vanotatoperaltroperinciso
come tanto la diffusione
dell’ateismoalivellidimassa
nelle società postindustriali
quanto il ritorno ricorrente
del sacro costituiscono una
palese smentita storica della
teoria
marxista-leninista
secondo cui la religione e in
generale la credenza in Dio
sarebbero scomparse soltanto
con
l’avvento
della
rivoluzione
socialista:
abbiamo
infatti
paradossalmente assistito a
una forte adesione alla
religione cristiana nei paesi
comunisti (per esempio la
Polonia di papa Wojtyła)
prima del tracollo dell’89 e
per converso a una rapida
crescita
esponenziale
dell’ateismo sia teorico sia
pratico negli stessi Stati una
volta entrati prepotentemente
nel mondo capitalista. A ben
riflettere, questa palese
sfiducia nei confronti di
quantohaprodottolaragione
umana con la modernità è in
effetti una sfiducia nelle
possibilità
dell’individuo
umano: essa rappresenta il
negativorisultatofinaleacui
hanno condotto le ideologie
ottocentesche e le filosofie
atee
che
le
hanno
accompagnate.
Facendo un bilancio
conclusivo,
possiamo
sottolineare come l’ateismo
socio-politicoabbiautilizzato
e utilizzi principalmente due
argomenti contro Dio e la
religione:
– la credenza in un Essere
sovrannaturaleeleistituzioni
religioseaessacollegatesono
instrumentum regni, sono
invenzioni dei detentori del
potere per narcotizzare le
masse e soggiogarle più
facilmente (la religione come
«oppio del popolo» di Karl
Marx);
–
la
semplice
idea
dell’esistenza di un Ente
supremo compromette la
libertà e la dignità umana (il
«Se Dio esiste, l’uomo è uno
schiavo»
di
Michail
AleksandrovičBakunin).
Tutti e due gli argomenti
sonointrinsecamentedebolie
mancano
l’obiettivo
di
confutare
o
rendere
impossibile
credere
razionalmente nell’esistenza
di Dio e sviluppare una fede
religiosa. Alla prima tesi è
facilecontrapporreildatoper
cui le credenze religiose
antecedono e di molto la
costituzione di un potere
organizzato, in grado cioè di
ideare e pianificare un uso
strumentale della religione.
Le prime tracce di culto
risalgono infatti almeno ai
Paleantropi (per esempio al
celebre uomo di Neanderthal
vissuto tra i 200.000 e i
40.000 anni fa) e su questo
fatto non c’è più discussione
tra gli studiosi: «Oggi si è
concordinell’ammetterechei
Paleantropi avessero una
religione»100.
Inoltre
è
risultato
oggettivamente
impossibile individuare per il
genere umano la cosiddetta
«epoca
pre-religiosa»
teorizzata nel ’900 da alcuni
autori101; segno questo che
con tutta probabilità la
credenza religiosa sorse
spontaneamente già tra gli
ominidi
del
medio
Pleistocene e qualcosa di
analogo sicuramente avvenne
anche tra i primi individui
della nostra specie, a
dimostrazione pure del fatto
che quello religioso è un
fenomeno personale ancor
prima che sociale. Inoltre la
religione non sempre è stata
succubadell’ordinecostituito,
masièpureschierataadversa
regni, contro il potere
regnante,comenelcitatocaso
del
cristianesimo
rivoluzionario di Thomas
Müntzer.
L’idea del divino e il
sentimento
religioso
sussistono
dunque
a
prescindere
dall’uso
strumentale che ne possono
fare un ceto dominante o
un’istituzione di potere. Allo
stesso
modo
le
strumentalizzazioni
delle
convinzioni teiste e religiose
dapartedeipotenti,chepure
cisonostateecisonotuttora,
non potranno mai servire
come
confutazione
dell’effettivaesistenzadiDio
edelledottrinereligiose:una
verità resta infatti sempre
tale, anche qualora venga
strumentalizzatadaqualcuno.
Quanto alla seconda tesi
perlaqualeilconcettodiDio
comprometterebbe l’umana
dignità e il libero arbitrio, si
deve osservare in primo
luogo che può valere
esclusivamente per chi
interpreta la libertà degli
esseriumanicometotalmente
incondizionata o comunque
nonsoggettaadalcunvincolo
posto dall’etica e dalla
convivenza sociale: in breve,
vale effettivamente solo per
l’anarchismorivoluzionarioo
per l’Unico di Stirner. Ma
oltre a questo, la teoria non
costituisce comunque un
argomento cogente al punto
da confutare l’esistenza
teorica di una divinità che
abbiaconcessoaognisingolo
uomo
l’autonomia
di
scegliere se ubbidire o meno
ai suoi comandamenti o alle
stesse leggi naturali, come
professa per esempio la
dottrina
ebraico-cristiana.
Avverso a essa si può per
giunta
portare
quale
controesempio confutatorio il
fatto che una religione o la
propensione
religiosa
possono rappresentare non
una limitazione per gli
individui, ma una spinta
liberatoria e di piena
realizzazionedellacondizione
umana, specie se marcate da
unaforteattesaredentivaoda
unafortesperanzadiriscatto,
come pare aver compreso
bene il marxista Ernst Bloch
riconoscendochenonsempre
enonnecessariamentelafede
si trasforma in «oppio dei
popoli».
1 J. Moltmann, Le radici cristiane
dell’ateismo moderno, in AA.VV.,
L’ateismo. Natura e cause, Massimo,
Milano1981,p.162.
2 Vedi J. Meslier, Mémoire contre la
religion,Coda,Paris2007.
3VediM.Onfray,Illuminismoestremo.
Controstoria della filosofia IV, Salani-
Ponte alle Grazie, Milano 2010, p. 33.
Cornelio Fabro ha fatto notare il dato
singolare di tre abbés (abati o curati)
sostenitori di due chiari fondamenti
logici
dell’ateismo
come
il
materialismoeilsensismo,ossia:Pierre
Gassendi,ÉtienneBonnotdeCondillac
(1715-1780) e Jean Meslier. Vedi C.
Fabro,
Introduzione
all’ateismo
moderno,Studium,Roma1969,p.465.
4 Voltaire (a cura di), Estratto del
testamento di Jean Meslier ovvero
Sentimenti del curato d’Étrépigny e di
But indirizzati ai suoi parrocchiani,
traduzione di Franco Virzo, Il
Razionalista2006,p.2.
5 Fabro, Introduzione all’ateismo
modernocit.,p.469.
6 Vedi H.S. Reimarus, I frammenti
dell’Anonimo
di
Wolfenbüttel
pubblicatodaG.E.Lessing,Bibliopolis,
Napoli 1977. Su Reimarus e la critica
storica vedi R.G. Timossi, Decidere di
credere, San Paolo, Cinisello Balsamo
2012,pp.166sgg.
7 Meslier, Mémoire contre la religion
cit.,pp.208-25,(traduzionenostra).
8 Voltaire, Estratto del testamento di
JeanMesliercit.,p.26.
9 Le citazioni da Fabro, Introduzione
all’ateismomodernocit.,pp.466e468.
10 J. Meslier, Le testament, Charles,
Amsterdam1864,p.298.
11 Citata da A. Vergote, Psicologia
religiosa,Borla,Roma1979,p.260.
12 J.-P. Proudhon, Système des
contradictions
économiques
ou
Philosophiedelamisère,Rivière,Paris
1923,tomoI,p.382.Vediintraduzione
italiana J.-P. Proudhon, Sistema delle
contraddizioni economiche o Filosofia
della Miseria, Utet, Torino 1975, p.
272.
13Ivi,p.378(ed.it.,p.270).
14Ivi,p.382(ed.it.,p.272).
15Ivi,p.391(ed.it.,p.301).
16 J.-P. Proudhon, Che cos’è la
proprietà?ORicerchesulprincipiodel
diritto e del governo, Laterza, Bari
1967,p.29.
17
Proudhon,
Système
des
contradictionséconomiquescit.,tomoI,
p.50(ed.it.,p.34).
18J.Maritain,AteismoericercadiDio,
Massimo,Milano1982,p.208.
19 A. Del Noce, Il problema
dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1990,
p. 338. Vedi inoltre H. de Lubac,
Proudhon et le christianisme, Éditions
duSeuil,Paris1945.
20
Proudhon,
Système
des
contradictionséconomiquescit.,tomoI,
p.384(ed.it.,pp.272-73).
21 Proudhon, Che cos’è la proprietà?
cit.,p.7.
22
M. Bakunin, Considerazioni
filosofiche sul fantasma divino, il
mondo reale e l’uomo, La Baronata,
Carrara-Lugano2000,p.17.
23Ivi,p.18.
24 M. Bakunin, Dio e lo Stato, RL
Edizioni,Pistoia1974,p.32.
25Ivi,p.33.
26 Ivi, p. 23. L’affermazione Credo
quia absurdum (credo perché è
assurdo), o più precisamente Certum
est, quia impossibile (è certo, perché
impossibile),ènelDeCarneChristi di
Quintino Settimio Fiorente Tertulliano
(155-230 d.C. ca). Vedi Q.F.S.
Tertulliano,Apologiadelcristianesimo.
La carne di Cristo, Rizzoli, Milano
1984,pp.368-69.
27Bakunin,DioeloStato cit., pp. 3334.
28 Ivi, p. 34. Una formulazione più
correttadelragionamentoèlaseguente:
Se Dio esiste, allora l’uomo è uno
schiavo;Mal’uomononèunoschiavo;
dunque Dio non esiste. Sul modus
tollens vedi R.G. Timossi, Imparare a
ragionare. Un manuale di logica,
Marietti,Milano2011,pp.348sgg.
29Ivi,pp.37e39.
30 Voltaire, Épître 104. Épître à
l’auteurdulivredestroisimposteurs,v.
22.
31Bakunin,DioeloStatocit.,p.38.
32 K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche,
Einaudi,Torino1974,p.162.
33Laleggekantianaacuicisiriferisce
è la seguente: «Agisci in modo che la
massimadellatuavolontàpossasempre
valere come principio di una
legislazione universale». Vedi I. Kant,
Criticadellaragionpratica,A54,Utet,
Torino1970,p.167.
34 M. Stirner, L’Unico e la sua
proprietà, Adelphi, Milano 2011, p.
171.
35 K. Marx, F. Engels, L’ideologia
tedesca,EditoriRiuniti,Roma1979,p.
152.VediancheG.W.F.Hegel,Lezioni
sullafilosofiadellastoria,Laterza,Bari
2003.
36 Vedi J.W. Goethe, Tutte le poesie,
Mondadori,Milano1997.
37F.Volpi,Ilnichilismo,Laterza,Bari
1996,p.25.
38M.Stirner,SullibrodiB.Bauer:La
tromba del Giudizio Universale in
Scritti minori, Treves, Milano 1923, p.
22.
39 Roberto Calasso, nel suo saggio
Accompagnamento alla lettura di
Stirner, sostiene in modo convincente
cheNietzschehalettoL’Unicoelasua
proprietà. Vedi R. Calasso in Stirner,
L’Unicoelasuaproprietàcit.,pp.40910.
40 A. Camus, L’uomo in rivolta,
Bompiani, Milano 1994, p. 73. Camus
per altro non emette un giudizio
positivo su Stirner, ma neppure
dimostra di aver compreso a pieno la
suafilosofia.
41 Vedi M. Stirner, Scritti minori e
Risposte alle critiche mosse alla sua
opera «L’Unico e la sua proprietà»
deglianni1842-1847, Patron, Bologna
1983,p.138.
42 Stirner, L’Unico e la sua proprietà
cit.,p.13.
43 M. Stirner, L’Unico e la sua
proprietà, Mursia, Milano 1990, p. 69.
Preferiamo in questo punto la
traduzionediGiorgioPenzo(Mursia)a
quella di Leonardo Amoroso (Adelphi)
inprecedenzaseguita.
44 G. Penzo, Max Stirner. La rivolta
esistenziale, Marietti, Torino 1971, pp.
162-63.
45VediG.Reale,Storiadellafilosofia
antica, Vita e Pensiero, Milano 1975,
vol.I,pp.209-10.
46 A. Schopenhauer, Parerga e
paralipomena, Adelphi, Milano 2007,
vol.I,pp.561-62.
47 G. Penzo, Nietzsche allo specchio,
Laterza,Bari1995,p.159.
48 Stirner, L’Unico e la sua proprietà
cit.,p.380.
49Ivi,p.195.
50Ivi,p.380.
51Ivi,pp.380-81.
52Parmenide,Frammenti, DK 28 B 2,
in H. Diels, W. Krans, I Presocratici,
Bompiani,Milano2006,p.483.
53 F. Engels, Ludovico Feuerbach e il
punto di approdo della filosofia
classica tedesca, in Scritti maggio
1883-dicembre1889, Lotta Comunista,
Genova2014,p.279.
54Ivi,pp.10-11.
55Ivi,p.11.
56LecitazionidaF.Engels,Schellinge
la rivelazione, in Anti-Schelling,
Laterza,Bari1972,pp.116e119.
57 K. Marx, Tesi su Feuerbach, VI e
VII,inOpere,NewtonCompton,Roma
2011,p.143.
58 K. Marx, Per la critica
dell’economiapolitica,inOperecit.,p.
547.
59 Marx, Engels, L’ideologia tedesca
cit.,p.13.
60 K. Marx, F. Engels, Manifesto del
partitocomunista,inOperecit.,p.340.
61 K. Marx, Differenza fra la filosofia
della natura di Democrito e quella di
Epicuro, Bompiani, Milano 2004, pp.
99e227.
62 Marx, Per la critica dell’economia
politica,inOperecit.,p.547.
63 K. Marx, Miseria della filosofia, in
Operecit.,pp.155e207.
64K.Marx,Perlacriticadellafilosofia
hegeliana del diritto, in Opere cit., p.
19.
65 K. Marx, La questione ebraica, in
Operecit.,p.34.
66 Marx, Per la critica della filosofia
hegeliana del diritto, in Opere cit., p.
19.
67Ivi.
68 Marx, La questione ebraica, in
Operecit.,p.34.
69 F. Engels, Bruno Bauer e il
cristianesimo
primitivo,
«Il
Bolscevico»,n.31del2009.
70 Vedi F. Engels, Sulle origini del
cristianesimo, Editori Riuniti, Roma
2000.
71 Vedi L. Althusser, Per Marx,
Mimesis,Milano2008.
72 K. Marx, Manoscritti economicofilosoficidel1844,inOperecit.,p.110.
73Ivi,p.104.
74 F. Engels, Anti-Dühring, Editori
Riuniti,Roma1968,p.153.
75 V.I. Lenin, Riassuntodelle«Lezioni
sulla essenza della religione» di
Feuerbach, in Opere scelte, Editori
Riuniti,Roma1973,vol.III,p.347.
76 V.I. Lenin, Materialismo ed
empiriocriticismo, in Opere scelte cit.,
pp.121-23.
77 V.I. Lenin, L’atteggiamento del
partito operaio verso la religione, in
Opere complete, Editori Riuniti, Roma
1967,vol.XV,p.381.
78 Vedi V.I. Lenin, Sul significato del
materialismomilitante, in Opere scelte
cit.,vol.VI.
79 V.I. Lenin, Riassuntodelle«Lezioni
sulla essenza della religione» di
Feuerbach,inOperesceltecit.,vol.III,
p.354.
80 V.I. Lenin, L’atteggiamento del
partito operaio verso la religione, in
Operecompletecit.,vol.XV,p.382.
81V.I.Lenin,Sullareligione,Rinascita,
Roma1949,pp.20-31.
82 Lenin, L’atteggiamento del partito
operaio verso la religione, in Opere
completecit.,vol.XV,p.386.
83Ivi,pp.381-84.
84VediR.Pipes, Ilregimebolscevico.
Dal terrore rosso alla morte di Lenin,
A. Mondadori, Milano 1999, pp. 390
sgg.
85VediE.Bloch,Lospiritodell’utopia,
Rizzoli,Milano2009.
86E.Bloch,Marxismoeutopia,Editori
Riuniti,Roma1984,pp.157-59.
87 E. Bloch, Il principio speranza,
Garzanti,Milano1994,vol.I,p.5.
88 Vedi E. Bloch, Ateismo nel
cristianesimo, Feltrinelli, Milano 2005,
pp.165-232.
89Bloch,Ilprincipiosperanzacit.,vol.
III,p.1388.
90Ivi,p.1481.
91Vedisupracap.1,par.3.
92Bloch,Ilprincipiosperanzacit.,vol.
III,pp.1281-1282.
93Bloch,Ateismonelcristianesimocit.,
pp.298-99.
94Ivi,p.331.
95VediR.Guardini,Lafinedell’epoca
moderna,Morcelliana,Brescia1960.
96 J.-F. Lyotard, La condizione
postmoderna, Feltrinelli, Milano 2004,
p.6.
97
M. Horkheimer, T. Adorno,
Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi,
Torino1966,p.17.
98VediT.Adorno,Dialetticanegativa,
Einaudi,Torino2004.
99 Vedi M. Horkheimer, La nostalgia
del totalmente Altro, Queriniana,
Brescia1972.
100 M. Eliade, Storia delle credenze e
delle idee religiose, Rizzoli, Milano
2006,vol.I,p.16.
101 Vedi F. Heiler, Storia delle
religioni,Sansoni,Firenze1972,vol.I,
pp.39sgg.
5
Ildestinodi
un’illusione
1.Ilparadigmadominante
Tra
gli
aspetti
caratterizzantidellacrisidella
modernità o, come qualcuno
preferisce, della nostra epoca
tardomoderna s’inserisce in
ambito culturale un evento
specifico, iniziato con il
positivismo ottocentesco, ma
rafforzatosi con i primi anni
del secolo scorso e poi
diventato predominante dopo
glianni’50.Ciriferiamoallo
strano rovesciamento di
prospettiva per cui alle
questioni dell’esistenza di
Dio e della religione si sono
dedicati maggiormente gli
scienziati dei filosofi. Come
abbiamo visto trattando
dell’ateismoantropologico,la
filosofiacontemporaneanella
maggior parte dei casi ha
rinunciato a dedicarsi alla
speculazione
metafisica,
quando addirittura non l’ha
ripudiata apertamente senza
troppeesitazioni.Siaifilosofi
analitici sia i filosofi
continentali sono apparsi e
appaiono perfino imbarazzati
di fronte alle domande sulle
cause prime e ultime, ovvero
al cospetto dei classici
interrogativi filosofici sul
senso dell’essere e della vita
umana,mentred’altrocantoi
teologiinmoltecircostanzesi
limitano
a
riproporre
argomentazionicomprensibili
soltantoinuncontestosocioculturale ormai lontano da
quello predominate nel
mondo d’oggi, che ha invece
come quadro di riferimento
principale la conoscenza
scientifica e lo sviluppo
tecnologico. Facilitati da
questo vuoto teologicofilosofico, gli uomini di
scienza abbandonano sempre
più spesso il loro campo di
specializzazione e affrontano
con discreta disinvoltura i
temi della necessità di una
creazione, del problema del
male, della predisposizione
naturale
alla
credenza
religiosa e dei fondamenti
veritatividellereligioni.
Sono inoltre sempre di
più i libri scritti da scienziati
dedicatiadargomentiqualila
presenza o meno di un
disegnointelligenteinnatura,
la sussistenza dell’anima in
rapporto con le conquiste
delleneuroscienze,l’esigenza
di un «primo attore» per
spiegare l’origine del cosmo,
le difficoltà di assegnare un
destino
speciale
e
sovrannaturale all’uomo alla
lucedelleteorieevoluzioniste
in biologia. Ancor più di
sovente capita che gli
scienziati in propri saggi di
divulgazione
scientifica
trovino il destro per inserire
delle digressioni su materie
teologiche e religiose, anche
perché sanno bene quanto il
vasto pubblico sia interessato
ai problemi metafisicoreligiosi, purché trattati in
manieranontroppoastrattao
con linguaggio da iniziati,
bensì con riferimenti ai
risultati
concreti
delle
scoperte scientifiche. Come
ha fatto notare l’astronomo e
cosmologo americano Robert
Jastrow (1925-2008), un
tempo quando uno scienziato
tirava in ballo nei suoi testi
Dio, i suoi colleghi
concludevano che ormai
«aveva già un piede nella
fossa» oppure che stava
«diventando
matto»,1
nell’epoca attuale invece gli
scienziati paiono fare a gara
nell’inserireneiloroscrittidi
divulgazione scientifica, e
talvoltanonsoloinquelli,un
riferimento a un Ente
supremocreatoreeordinatore
del cosmo o a una «mente
divina».
Sia ben chiaro, che gli
uominidiscienzasioccupino
di tematiche teologiche e
religiose
non
è
né
sconvolgente né tantomeno
una novità, visto che l’hanno
fatto pressoché tutti i grandi
scienziati dalla nascita della
scienza moderna a oggi,
anche perché moltissimi di
loro erano credenti e non di
rado uomini di Chiesa. E
d’altronde il ricercatore
scientifico come ogni altro
individuocustodiscedentrodi
sé l’interrogativo sul senso
dellapropriaesistenzaesente
l’impellente bisogno di
trovare a esso una risposta
convincente. Nello scienziato
come persona convivono
infatti incessantemente sia le
istanze epistemologiche sia
quelle antropologiche, sia il
metodo scientifico sia le
questioni esistenziali. È
pertanto
non
solo
ammissibile, ma addirittura
ammirevole che chi cerca di
comprendere com’è fatto il
mondo naturale si ponga
congiuntamente le domande
fondamentalisuciòchec’era
prima e su ciò che ci sarà
dopo, ossia affronti gli eterni
enigmi sull’esistenza di Dio,
sulla presenza nel cosmo di
un ordine teleologico e sul
significato della vita, in
particolare
di
quella
intelligente.
Diverso
e
non
condivisibileèinvecequando
gli scienziati pretendono di
essere gli unici titolati a dire
una parola certa e definitiva
sulla religione e in generale
sui temi metafisici. Questo è
quantoinpartestaavvenendo
dagli ultimi decenni del XX
secolo, soprattutto a opera di
una schiera di scienziati
dichiaratamente non credenti
che giungono talvolta a
professare
un
ateismo
militante,nondiradoperfino
aggressivo.
Essi
rappresentano il nucleo forte
diquellocheèstatochiamato
«ateismo scientifico» oppure
«ateismo scientista», in
quanto
si
fonda
su
un’estensione del metodo e
delle
conoscenze
delle
scienzenaturaliallequestioni
di Dio e del valore della
religione, in particolare di
quella cristiana che viene a
più riprese attaccata e
accusata di atteggiamento
antiscientifico.
Come ha correttamente
osservatoalcunianniorsono
papa Giovanni Paolo II, lo
scientismo è una concezione
filosofica che «rifiuta di
ammetterecomevalideforme
di conoscenza diverse da
quelle che sono proprie delle
scienze positive, relegando
nei confini della mera
immaginazione
sia
la
conoscenza religiosa e la
teologia,siailsapereeticoed
estetico»2. Detto in altre
parole, l’esclusivo modo per
conoscere la realtà è more
scientifico, ovvero seguire il
metodo
delle
scienze
empiriche. Ma non basta
ancora, perché lo scientismo
pretende pure di imporre il
linguaggio scientifico come
l’unico davvero significante,
il solo dotato di un effettivo
riferimento al mondo reale,
«tacciando di “impreciso” il
linguaggio ordinario e di
“irrilevanti”gliassertirelativi
a eventuali realtà che non
sono oggetto di verifica
empirica»3.
E
nelle
manifestazioni più recenti lo
scientismo si è spinto
addirittura
oltre
questa
svalutazione della cultura e
dellinguaggiononscientifici,
giungendo a concepire la
scienza come la vera
religione: quella della natura
edelleconoscenzeesatte.4
Nel
loro
impeto
combattivo,gliscientistisono
giuntitral’altroadivulgareil
datosecondocuilasceltaatea
equindidinonappartenerea
nessuna religione sarebbe
tipica
della
stragrande
maggioranza degli uomini di
scienza,
ma
questa
conclusione non è tuttora
accertata
in
maniera
attendibile
perché
non
sussiste nessun sondaggio
completo in materia. Lo
zoologo
e
biologo
evoluzionista
Richard
Dawkinshainvecetagliatola
testa al toro etichettando
come «scientificamente da
analfabeti»5 ogni teismo e
ogni fede religiosa. A suo
dire, in parole semplici,
poiché la scienza implica
l’ateismo, è inevitabile
stabilire
una
perfetta
coincidenza
tra
essere
scienziato ed essere ateo;
tuttavia non vale l’inverso:
tutti gli scienziati sono atei,
ma non tutti gli atei sono
necessariamentescienziati.Di
conseguenza, stando a questa
impostazionelascienzaviene
ridotta a un sottoinsieme
dell’ateismo. Atei scientisti
come Dawkins e il filosofo
cognitivista
Daniel
C.
Dennett sembrano infatti
coltivare come loro elemento
prioritarioladistruzionedella
religioneodellacredenzaDio
tramite«crociateateistiche».6
In sostanza l’ateismo
scientista
o
scientifico
contrappone
a
un’interpretazione
teoteleologica
del
mondo
un’ontologia
naturalistica,
cheaffondalesuepiùremote
radici
nel
naturalismo
rinascimentale ed esclude
qualsiasi finalismo. I suoi
argomenti principali sono
perciò
facilmente
individuabili:
–
la
scienza
ha
definitivamente confutato o
reso superflua l’ipotesi
dell’esistenza di Dio in tutte
le sue forme e in maniera
particolare in quella del
Creatoreintelligente;
–lafedereligiosaelascienza
sonotraloroincompatibili:la
primaènondimostrataenon
dimostrabile, la seconda è
fondata sui dati oggettivi e
verificabili;
– la religione teme e avversa
ilprogressoscientifico.
In base al primo assunto
scientista l’universo, gli
elementi che lo compongono
e la presenza dei viventi e
della vita intelligente si
giustificano da soli, ossia
sono tutti nelle condizioni di
esisterecosìcomesonosenza
una causa esterna o
un’intelligenza creatrice e
senza un disegno finalistico.
Dio è un’ipotesi non
necessaria per spiegare la
struttura cosmica, come ebbe
a rimarcare Pierre-Simon de
Laplace
(1749-1827)
rispondendo a una precisa
domanda di Napoleone
Bonaparte («Sire, je n’avais
pas
besoin
de
cette
hypothèse-là[Sire,nonavevo
bisogno di quell’ipotesi]»)7.
La teoria dell’evoluzione di
Charles Darwin (1809-1882)
ha poi esteso questa
conclusione anche al mondo
dei viventi e in particolare
alla presenza della specie
umana. Negli ultimi tempi
l’idea di Dio è diventata
pertantoperalcuninuoviatei
nonsoloininfluentedalpunto
di vista scientifico ed etico,
ma perfino fuorviante e
dannosa.
Quest’ultima posizione si
collega direttamente con il
terzo postulato scientista
secondo cui la religione
sarebbenemicadellascienza;
epoichéilbersagliopolemico
è
costituito
quasi
esclusivamente dalle tre
grandi religioni monoteiste,
risultaovviochelanozionedi
un
Creatore
venga
considerata la prima da
confutare nel contrasto
antireligioso. Implicito è qui
pure il secondo assunto
scientista che pone le
religioni e la teologia agli
antipodi
delle
scienze
naturali. Mentre infatti la
scienza si alimenta di fatti
empirici,lecredenzereligiose
(Dio,anima,vitaultraterrena,
miracoli
ecc.)
e
le
speculazioni teologiche su di
esse sono evidenti invenzioni
dell’umana
fantasia
in
rispostaabisogniprimordiali,
quali quelli della difesa
psicologica
contro
le
avversitànaturali(inprimisle
catastrofi, le malattie e la
morte),nonchéall’impellente
necessitàdinormeimperative
intorno a cui costruire una
comunitàsocialeordinata.
Il perno intorno a cui si
muove
la
tesi
dell’incompatibilità
e
dell’inevitabile scontro tra la
religioneelascienza,intorno
a
cui
si
organizza
storicamente la polemica
antireligiosa
degli
atei
scientisti contro i credenti
nonsolocristiani,èilcelebre
«caso Galilei». Ci riferiamo
all’arcinota vicenda del
processo inquisitorio e della
conseguente abiura cui fu
costretto Galileo Galilei
(1564-1642) dal Sant’Uffizio
nell’anno domini 1633;
vicenda che continua ancora
oggiaessereimpugnatacome
una clava dai proseliti del
nuovo ateismo. Benché
l’evento storico sia ormai
stato sviscerato in tutti i suoi
aspetti anche più reconditi e
ne sia emersa una serie di
fatti che documentano da un
lato
l’atteggiamento
di
resistenza e timore del
cambiamento della Chiesa in
una difficile fase della sua
storia, e dall’altro qualche
errore «epistemologico» di
Galileo, benché lo stesso
Magistero cattolico abbia
riconosciuto che la condanna
fu ingiusta (pronunciamento
pubblico del 31 ottobre
1992), molti atei scientisti
continuano ad assumere la
disavventura toccata allo
scienziato pisano quale
esempio per negare la
possibilità di un costruttivo
confronto
tra
sapere
scientifico e credo religioso,
tra conoscenza scientifica e
teologia, se non addirittura
per
proclamare
l’inammissibilità di una
pacifica convivenza tra
comunità
scientifica
e
comunitàreligiosa.8
L’elemento di novità
dell’ateismo
scientifico
rispetto a quello della
tradizione storica precedente
risiede però soprattutto nella
sua dichiarata presunzione di
poter dedurre direttamente
dalle scienze della natura la
dimostrazione
dell’inesistenzadiDioedella
falsità di tutte le religioni. In
alcuni casi estremi c’è poi
perfino chi ritiene di poter
matematicamente conseguire
tale prova, come ha fatto il
matematico statunitense John
AllenPaulos,masitrattacon
tutta
evidenza
di
un’assurdità.9Ilprogressonel
sapere
scientifico
assicurerebbe
inoltre
un’elevazione generalizzata
delle coscienze e della
cultura, nonché un benessere
talmente diffuso da rendere
pragmaticamente inutili tanto
leteoriemetafisichequantole
convinzioni religiose. Molto
esplicito nel prospettare
questa convinzione è stato il
genetista
neodarwiniano
Julian Sorell Huxley (18871975),
allorché
ha
sentenziato: «Presto per un
uomo o una donna istruiti
credere in Dio sarà
impossibile quanto lo è il
crederechelaTerraèpiana».
Inserendosi inoltre dalla
sponda evoluzionistica nel
programma
degli
atei
scientisti per farci transitare
da
un’interpretazione
teologica del mondo a una
naturalistica, ha aggiunto che
è necessario cambiare «la
forma del nostro pensiero
religiosodaunochesicentra
su Dio a uno che si centra
sull’evoluzione»10. In breve,
perl’ateismoscientistapresto
solamente gli ignoranti o le
persone in malafede non
sarannodichiaratamenteatei.
Nella loro frenetica
attività propagandistica, gli
atei
scientisti
risultano
favoriti non poco dalla
mentalità
positivistica
generalmente
diffusa
nell’opinione
pubblica
occidentale e in via di
crescente
consolidamento
anche nelle altre regioni del
globo terrestre. Questo
paradigma culturale oggi
ancoradominantesisostanzia
in una concezione erronea
delle scienze naturali quali
uniche forme di conoscenza
significativaeoggettivamente
sicura. L’idea della scienza
come suprema e unica forma
di sapere non ha tutto
sommato
un’origine
lontanissima, dal momento
che
la
venerazione
incondizionata per i risultati
della ricerca scientifica risale
alla corrente del positivismo
filosofico attiva dal XIX
secolo, per la quale fuori
dalle discipline scientifiche
«positive»(dallatinopositum
–ciòcheè«posto»,nelsenso
di «fondato») si incontra
esclusivamente un esercizio
soggettivodellamenteumana
a cui non corrisponde niente
di reale od oggettivo: solo
idee vuote o insiemi a
estensione nulla. Sono stati
successivamente i cosiddetti
«neopositivisti» con i loro
studi logico-linguistici a
rinverdire nel ’900 una
visione scientifica del mondo
che prende le distanze dalla
metafisica e dalla religione:
«Il metafisico e il teologo
credono, a torto, di asserire
qualcosa, di rappresentare
statidifatto,medianteleloro
proposizioni.
Viceversa,
l’analisi mostra che simili
proposizioni non dicono
nulla, esprimendo solo
atteggiamentiemotivi».11
In estrema sintesi, il
positivista dell’immaginario
collettivo è un individuo
dotato di una mentalità
scientifica rigorosa, che
analizzaifatticonoggettività
e assoluto distacco emotivo
ricorrendo
alla
strumentazione tecnologica
più avanzata; qualcuno
sempreprontoadapplicareil
metodo sperimentale e alla
ricercadiconoscenzeesattee
incontrovertibili.Unapersona
di
tal
fatta
crede
esclusivamenteaciòchevede
o a ciò che tocca e rifiuta
qualsiasi riferimento al
soprannaturale
o
al
trascendente: per lui esistono
soltanto i fatti nudi e crudi, i
fenomeni
empiricamente
verificabili, mentre tutto il
resto rappresenta o una
creazione fantastica o un
vaneggiamento della mente
umana. La sua filosofia di
fondo è pertanto quella
materialistica, reinterpretata
secondo le teorie più recenti
del moderno naturalismo
evoluzionistico che esclude
l’esistenza di qualsiasi realtà
oltre quella della natura o
della materia descritta dalla
conoscenza scientifica e
propone «una concezione
soltantonaturaledelmondoe
dell’uomo».12Qualcunoloha
perciò pure denominato
«naturalismo
scientifico»,
generandocosìunaperniciosa
confusione sul carattere della
filosofia naturalistica che è
opportunochiarire.
Puressendoilconcettodi
naturalismotuttoraoggettodi
discussione,
possiamo
distinguerne almeno due
tipologie: il naturalismo
metodologicoeilnaturalismo
metafisico od ontologico.13
Definiamo
«naturalismo
metodologico» quello posto
allabasedellascienzaechesi
propone di fornire soltanto
spiegazioni
naturali
o
empiriche, escludendo come
regola metodica la possibilità
diindagareciòcheesorbitala
realtà spazio-temporale; in
breve «gli scienziati non si
appellano
a
entità
soprannaturali
quando
spiegano
i
fenomeni
naturali».14 Il naturalismo
metafisico od ontologico per
contro non solo nega la
possibilità di un’indagine
razionaleintornoaunarealtà
meta-empirica, ma proclama
l’esclusivarealeesistenzadel
mondo fisico o della natura,
per cui per principio non
sussiste nulla oltre la
dimensione naturale: la sua
manifestazione più nota è
infatti
quella
del
materialismo. Il naturalismo
dellascienzaoscientificonon
puòdunquecheessereditipo
metodologico, mentre il
naturalismo evoluzionistico o
positivistico si dimostra a
tuttiglieffettiunnaturalismo
ontologico,
ossia
una
concezione filosofica e
talvoltaideologicadelmondo
che esclude per principio il
meta-naturale
o
il
soprannaturale.15
Da attendibili indagini
sociologiche, la credenza più
diffusa nel mondo intorno
alla scienza è il cosiddetto
approccio copy theory,
«basatosullaconvinzioneche
la conoscenza scientifica sia
la copia fedele del mondo e
che gli scienziati possano
sbagliare o non essere a
conoscenza di qualcosa solo
perché non hanno guardato
affatto o a sufficienza un
determinato fenomeno della
natura»16. Sono invece
scarsamente presenti nel
comune
sentire
le
informazioni sui limiti dei
metodi
scientifici
ben
individuati dalla filosofia
della scienza contemporanea
esullelimitazioniintrinseche
alle stesse possibilità della
conoscenza scientifica, che
emergono da principi come
quello di indeterminazione di
Werner
Heisenberg
(impossibilità di stabilire
contestualmente per una
particella la posizione e la
quantità di moto) e nei
teoremi di incompletezza di
Kurt
Gödel
(esistono
enunciati non dimostrabili
all’interno di un sistema
logico-formale)onelteorema
in qualche modo collegato di
Gregory Chaitin (non esiste
alcuna regola generale per
riconoscere la casualità e
quindi nessuna comprensione
dellarealtàèdefinitiva).
Queste sono dunque le
basi
teorico-pratiche
dell’ateismo scientista o
scientifico,
interpretate
ovviamente in maniera
differente
dai
suoi
protagonisti, che negli ultimi
tempi
risultano
prevalentemente
degli
scienziati,inspecialmododei
biologi o dei teorici
dell’evoluzionismo
darwiniano.Maperprocedere
con ordine, è preferibile
iniziare l’esame critico delle
posizioni dei diversi atei
scientisti dai presupposti
storici dello scientismo e
quindi dai fondatori della
filosofiapositivista.
2.Lostadiopositivo
Iltermine«positivismo»è
stato utilizzato per la prima
volta dal pensatore francese
Claude-Henri de Rouvroy
conte di Saint-Simon (17601825) – il profeta di Le
Nouveau
Christianisme
(1825) ossia di un nuovo
cristianesimo
umanisticosociale – per indicare il
metodo oggettivo delle
scienze naturali. Il fondatore
indiscusso
dell’indirizzo
positivista è tuttavia un altro
cittadino di Francia: Auguste
Comte
(1798-1857).
Quest’ultimo concepisce la
parola «positivo» come
sinonimodireale,difondato,
di utile, di certo o sicuro, di
preciso e di oggettivo. Il
«positivo»
corrisponde
pertanto essenzialmente al
fatto empirico, mentre il
termine contrario «ideale» è
l’equivalente di chimerico,
illusorio, fatuo, effimero,
quindi di ciò che non trova
corrispondenza nei dati
empirici.
Egli
intende
insomma perseguire una
concezione del mondo non
idealistica, bensì conforme a
quello che chiama esprit
positif (spirito positivo),
ovvero alla realtà dei fatti
accreditati
innanzitutto
tramite
l’esperienza
sensoriale. Questa forma di
sapere risiede perciò soltanto
nella scienza moderna che fa
ricorsoalmetodoempirico,in
particolar modo ovviamente
nelle scienze della natura
definite appunto «scienze
positive», al cui vertice
starebbelafisica.Lafilosofia
percontro,almenofinoaquel
momento,
si
sarebbe
cimentatainunsaperefittizio
e irreale, rappresentato
magistralmente
dalla
metafisica. Il compito che si
autoassegna Comte consiste
nell’introdurre
e
far
riconoscere il primato del
metodo scientifico anche
nell’ambito
dell’indagine
filosofica, orientandola così
finalmente verso un oggetto
concreto
ovvero
positivamente verificabile, il
quale non consisterà certo
nella ricerca di fantomatici
primi principi, essenze o
fondamenti metafisici delle
cose, bensì nel vasto settore
dei
fenomeni
sociali
osservabili empiricamente.
Infatti «la filosofia positiva è
innanzitutto profondamente
caratterizzata, in qualsiasi
soggetto,
da
questa
subordinazione necessaria e
permanente
dell’immaginazione
all’osservazione, il che
costituisce soprattutto lo
spirito
scientifico
propriamente
detto,
in
opposizione allo spirito
teologicoometafisico».17
Latesidellavacuitàdella
metafisica ha come ispiratore
primario l’empirista scozzese
David Hume (1711-1776),
che lo stesso Auguste Comte
indica come suo «principale
precursore in filosofia». La
criticaantimetafisicahumiana
è
di
una
radicalità
straordinaria e capace di
impressionare
tuttora
chiunque vi si imbatta, come
per altro capitò al grande
Immanuel Kant, il quale le
attribuì apertamente il merito
di averlo svegliato dal suo
torpore metafisico: «Lo
confessofrancamente–scrive
nel1783ilfilosofotedesco–
l’avvertimento di David
Hume fu proprio quello che,
molti anni or sono, primo mi
svegliò
dal
sonno
dogmatico».18 Il filosofo
scozzese negava infatti
qualsiasi valore assoluto ai
concettimetafisiciconsolidati
della tradizione occidentale e
dellafilosofiamoderna,come
adesempioquellidicausalità,
sostanza materiale (res
extensa) e sostanza spirituale
o cogitante (res cogitans), e
viadicendo.Delleentitàacui
associamo tali concetti (es.
causa prima, essenza e
anima), non possediamo
infatti nessuna esperienza o
impressionesensorialediretta
epertantononc’ènullacheci
consenta di confermarne la
reale esistenza. È l’abitudine
che ci induce a vedere nella
contiguità spazio-temporale
di due eventi una relazione
causale, nelle impressioni
esteriorideglioggetti(colore,
forma ecc.) la presenza di
entità sottostanti che le
produconoeneinostristatidi
coscienza
(sentimenti,
pensieri, passioni ecc.) le
manifestazioni di un’entità
sottostante
di
natura
spirituale. L’abitudine, in
altreparole,suscitainnoiuna
serie di «credenze» che non
rappresentano
mai
una
conoscenza
certa,
ma
piuttosto
una
pulsione
naturale,unsentimentosucui
sentiamo la necessità di
impostarelanostraesistenza.
Non sorprende pertanto
che per Hume la teologia
naturale risulti una disciplina
senza valore conoscitivo e
perciò inutile. Se come
sosteranno
gli
stessi
positivisti, ogni credenza
presumibilmente vera è
costituitasoltantoda«materia
di fatto» ossia empirica, non
si può non concludere che
tutte le prove razionali
dell’esistenza di Dio, in
quanto meta-empiriche, non
rientrano tra le conoscenze
attendibili. E le conseguenze
pratiche da trarre sono allora
addiritturadevastanti:
Quando scorriamo i libri
diunabiblioteca,persuasi
di questi principi, che
cosa
dobbiamo
distruggere? Se ci viene
allemaniqualchevolume
per esempio di teologia o
di metafisica scolastica,
domandiamoci: contiene
qualche
ragionamento
astratto sulle quantità e
suinumeri?No!Contiene
qualche
ragionamento
sperimentale su questioni
di fatto e di esistenza?
No! E allora gettiamolo
nel fuoco, perché non
contiene che sofisticherie
einganni.19
Scetticoversoimiracolie
nei confronti delle dottrine
cristiane, come per altro di
qualsiasi altra religione
storica, Hume è però un
agnostico o un deista
piuttosto che un ateo, mentre
nel positivismo filosofico si
possono
certamente
riconoscere degli agnostici,
ma
difficilmente
si
troveranno dei deisti e ancor
menodeiteisti,almassimoci
sarà
qualche
panteista.
Comte,dopoaverdistruttosu
basi humiane la metafisica
qualevacuoragionareintorno
a idee astratte, fittizie e
meramentespeculative,come
lateoriadelleideediPlatone
o le «forme» aristoteliche, si
esprime negativamente anche
sulla realtà di Dio proprio
perchénonpuòdirsiinalcun
modo un ente «positivo»
oggetto
di
conoscenza
empirica. Analogo discorso
vienedaluiestesoamaggior
ragione alle religioni, che
intorno a una nozione
evanescente di divinità
costruiscono un insieme di
credenze lontanissime dalla
possibilitàdiessereverificate
su basi empirico-razionali e
appartenenti a fasi immature
del sapere e della condizione
socialedell’umanità.
Piuttosto nota è in
proposito
la
cosiddetta
«grande legge dei tre stadi»,
espostanelCorsodifilosofia
positiva (pubblicato tra il
1830eil1842)edaassumere
quale tesi centrale di una
filosofia
della
storia
evoluzionistica.
Studiando lo sviluppo
dell’intelligenza umana –
affermaComte–[…]dal
suo primo manifestarsi a
oggi, io credo di aver
scopertounagrandelegge
fondamentale
[…].
Questa legge consiste in
ciò: che ciascuna delle
nostre
concezioni
principali, ciascun ramo
delle nostre conoscenze
passanecessariamenteper
tre stadi teorici differenti
[…]. Di qui tre tipi di
filosofia, o di sistemi
concettuali
generali,
sull’insieme
dei
fenomeni,
che
si
escludono
reciprocamente. Il primo
è un punto di partenza
necessario
dell’intelligenzaumana;il
terzoèilsuostatofissoe
definitivo; il secondo è
unicamente destinato a
servire come tappa di
transizione.20
Il progresso intellettuale
umano avrebbe in sostanza
attraversato tre fasi o età
cruciali, di cui la prima di
avvio del processo evolutivo,
la seconda di passaggio e la
terza definitiva. Ecco i tre
stadicomtiani:
–teologicoofittizio
–metafisicooastratto
–positivooscientifico.
Nel primo stadio, quello
teologico o fittizio, ci
troviamo
nell’infanzia
dell’umanità e gli uomini
sperano di controllare i
fenomeni naturali ricorrendo
a
esseri
divini
o
soprannaturali inventati, del
tutto irreali perché esistono
soltanto nella nostra mente.
Questa età va ripartita in tre
momenti
direttamente
corrispondenti allo sviluppo
delle credenze religiose: il
feticismo, il politeismo e il
monoteismo. Nello stadio
metafisico o astratto si entra
invece nell’adolescenza del
genere umano e si passa
quindi dalle fantasie o dalle
visioni mitologiche alla
riflessione
filosoficometafisica,
la
quale
concepisce
per
pura
astrazione enti, essenze,
principi o forze ideali (per
esempio la res extensa e la
res cogitans di Cartesio, la
sostanza unica di Spinoza, il
Dio grande architetto dei
deisti ecc.) allo scopo di
ordinare
e
giustificare
razionalmente il mondo
fenomenico. La funzione del
secondo stadio è utile al
superamentodellareligionee
della mitologia, ma non
costituisce ancora il vero
sapere,
l’autentica
conoscenza della realtà, l’età
adulta dell’uomo o «stato
virile
dell’intelligenza».
Quest’ultima
infatti
appartiene unicamente al
terzo e definitivo stadio,
quello positivo o scientifico,
nel quale l’intelletto umano
giunge a comprendere che
non ha alcun senso inseguire
fondamentioprincipiassoluti
dellecoseesiconcentrasullo
studio scientifico delle leggi
naturali che regolano l’intero
universo:
Nello stadio positivo lo
spirito
umano
nel
riconoscere
l’impossibilità di ottenere
delle nozioni assolute,
rinuncia a investigare
sull’origine e la finalità
dell’universo,
e
a
conoscere le cause intime
dei
fenomeni,
per
applicarsiunicamentealla
scopertaattraversounuso
proporzionato
del
ragionamento
e
dell’osservazione, le loro
leggi effettive, ossia le
loro relazioni invariabili
di successione e di
similitudine.21
L’ateismo del fondatore
della filosofia positivista si
esprime dunque nel rifiuto di
qualsiasi
rilevanza
dei
principiassolutieingenerale
delle realtà sovrannaturali,
presentate come retaggio di
una
fase
dell’umanità
appartenente
a
un’età
adolescenziale o giovanile se
si tratta della teologia
filosofica,
mentre
è
sicuramente infantile quella
delle credenze religiose.
L’attacco
alle
prove
dell’esistenza di Dio si fa
allora molto esplicito e
diretto; esse infatti avrebbero
conseguito come principale
risultato non quello di
diffondere
certezze
teologiche, bensì di seminare
dubbi.
Non solo le innumerevoli
dimostrazioni
dell’esistenza di Dio –
afferma Comte – diffuse,
con tanto clamore, a
cominciare
dal
XII
secolo,
constatano
altamente lo slancio dei
dubbi arditi di cui questo
principio era già allora
l’oggetto diretto, ma si
può assicurare pure che
esse hanno contribuito
molto a propagarli […].
Mi pare che Pascal sia il
solo filosofo di questa
scuola
che
abbia
realmente compreso e
abbia
decisamente
segnalato il pericolo
radicale insito in queste
imprudenti dimostrazioni
teologiche.22
In altre parole, se la
teologia
filosofica
ha
l’esigenza di argomentare
razionalmente l’esistenza del
divinoèproprioperchénonsi
sente sicura, perché è
consapevole di quanto tale
esistenza sia incerta e di
quante perplessità scettiche
travagliano la mente degli
stessi teologi. Avrebbe
pertanto visto giusto Blaise
Pascal (1623-1662) allorché
ha manifestato la propria
perplessità
rispetto
all’efficacia
delle
vie
razionali per dimostrare
l’esistenza di Dio, rispetto al
cosiddetto
«Dio
dei
filosofi».23
Tuttavia anche Comte,
pur partendo da basi
scientiste, sembra alla fine
seguire
la
parabola
dell’ateismo antropologico,
perché una volta eliminata la
nozione del trascendente e
dell’Ente supremo quale
spiegazione universale delle
cose si ritrova assillato dal
problema di attribuire un
significato unitario alla realtà
e in particolare alla vita
umana. Egli d’altronde era
ben
consapevole
della
naturale religiosità dell’uomo
e lui stesso probabilmente
nutriva nascostamente un
profondo
sentimento
religioso, almeno a giudicare
dal comportamento ieratico e
profeticodeisuoiultimianni.
Così come infatti all’inizio
della sua attività di filosofo
aveva tramutato la scienza in
filosofia, nella fase finale
arriva incredibilmente a
trasformare la filosofia in
religione, compiendo la
singolare operazione per cui
«dopo essere stato Aristotele
nella prima parte della sua
vita, sarà san Paolo nella
seconda»24.
In opere quali Sistema di
politica positiva (1851-1854)
e Catechismo positivista
(1852),Comtesiautopropone
e
autoproclama
guida
spirituale e capo carismatico
di un nuovo credo religioso
capacedisostituirealcultodi
Dio quello dell’umanità, da
lui definita Grand Être. Il
«Grande Essere» difatti altro
nonèsenonl’insiemeditutti
gli esseri umani di tutti i
tempi, passati, futuri e
presenti, i quali costituiscono
la «popolazione soggettiva»
da distinguere attentamente
dalla«popolazioneoggettiva»
degli uomini del presente. A
questapopolazionesoggettiva
va assegnato il merito di
concorrere liberamente a
perfezionare
l’ordine
universale delle cose. Nella
nuova religione comtiana al
culto cristiano dei santi si
sostituisce quello degli eroi
della scienza e della civiltà,
mentre
l’aldilà
è
rappresentato dalla memoria
delle
buone
opere
«positiviste» compiute. E
ovviamente
i
sacerdoti
officianti di questa singolare
religione sono l’intellettuale
positivista, lo scienziato e
soprattutto il sociologo. La
sociologiaèinfattiperComte
la nuova importante «scienza
dell’umanità» da porre al
verticedellaclassificaditutte
le scienze positive. Viene
insomma fondata una vera e
propria Chiesa positivista,
che tra l’altro pare vantare
tuttora nel mondo qualche
adepto e qualche cappella in
cui riunirsi (per esempio a
Parigi e a Porto Alegre).
Quellacheilfilosofofrancese
chiama «religione senza
Dio», ossia la nuova
«religione
dell’umanità»,
rappresenta il compimento
naturale
dello
stadio
positivista; ma sebbene lui
non se ne renda conto, è
anchedifattolarivalsadiuna
teologia che alle divinità
tradizionalinesostituisceuna
nuova:l’umanità.
Se qualcuno è rimasto
meravigliatodiquestoritorno
neanche troppo sotto mentite
spoglie allo stadio teologico,
farebbe invece bene a
riflettere su quanto questo
approdoreligiososiadeltutto
conseguente alla tesi che fa
della scienza un sapere
assoluto e lo strumento di un
progresso
illimitato,
probabilmente infinito. E se
la conoscenza scientifica
diventa
oggetto
di
venerazione, se la scienza
diventa una nuova forma di
fede, allora la specie umana
che l’ha creata finisce
inevitabilmentepersostituirsi
a Dio secondo il classico
percorso postulatorio e
antropologico dell’ateismo.
Ecco
del
resto
le
emblematiche parole di
Comte:
La vera religione del
Grande Essere: al suo
principio affettivo, il
positivismo
deve
collegare un centro
unitario, che comprenda
contemporaneamente il
sentimento, la ragione e
l’azione. […] Essa è
interamente soddisfatta
dalla
convergenza
naturaledituttigliaspetti
positivi verso la grande
concezione dell’umanità,
che
elimina
irrevocabilmentequelladi
Dio.25
Il tentativo di Comte di
sostituire
alle
religioni
tradizionali
una
nuova
religionecheveneril’umanità
invece di qualche fittizia
divinità
si
può
tranquillamente
definire
«scientista», anche perché
questo termine non ha
valenzanegativanelpensiero
comtiano. Émile Durkheim
(1858-1917), un altro grande
sociologo francese non
credente,riflettendonel1912
sulla«religionedell’umanità»
nesancivailtotalefallimento
e ne individuava a ragione la
causa nel suo carattere
artificioso e al tempo stesso
imitativodicultistoricamente
esistenti: «È questo che ha
reso vano il tentativo di
Comte di organizzare una
religione in base a vecchi
ricordi storici, artificialmente
risvegliati: è soltanto dalla
vita stessa, e non già da un
passato morto, che può
scaturireuncultonuovo».26
Dopo il fallimento del
progetto feuerbachiano di
umanizzazione
di
Dio,
assistiamo allora pure al
fallimento del progetto di
divinizzazione
dell’uomo
fondato
sulla
scienza
moderna.
Risulta
così
evidente la contraddizione
fondamentale non solo
dell’ateismo scientista, ma di
qualsiasi forma di ateismo
fino a ora incontrato. L’ateo
sostituisce infatti sempre alla
deprecata idea di un Ente
assoluto trascendente un
Assoluto immanente, finendo
spesso con l’attribuire più o
meno
consapevolmente
all’essere umano qualità
«trascendenti»checertamente
nongliappartengono.
3.Igermoglidelpositivismo
Il clima positivistico
ottocentesco costituì un
humus fertile per la
diffusione
dell’ateismo
scientista
o
comunque
ispirato dal metodo e dalle
conquiste della scienza.
L’approccio
filosofico
comtiano incontrò subito
molti estimatori e imitatori,
specie nell’ambito della
culturadilinguafrancese,che
cercarono di applicarlo in
diversi rami del sapere. Per
glistudisullareligionedaun
punto di vista scientifico e
soprattutto per la critica
storica al cristianesimo con
orientamento scettico spicca
lafiguradelfilologoestorico
Joseph-Ernest Renan (18231892). La sua opzione
culturaledibaseeraperaltro
già chiara intorno ai
venticinque anni, quando
consigliava di «non cercare
l’assoluto che nella scienza»,
perché «la scienza è una
religione:essasoloormaipuò
produrre i simboli, essa sola
può risolvere all’uomo gli
eterni problemi, dei quali la
sua
natura
esige
imperiosamente
la
soluzione».27
Professore di lingue
semitiche, Renan diventò
piuttosto celebre per una sua
Vie de Jésus (1863), primo
volume di una storia delle
origini del cristianesimo
costituitadabenottotomi.In
essa indica subito quale
compito principale dello
storicoquellodiescludereda
una biografia come la sua
tutto ciò che si rivela
inverificabile
o
indimostrabile
per
via
empirico-razionale. Questa
indicazione
metodologica
lasciafacilmenteintuirecome
lasuaintenzionefossequella
di puntare da un’ottica
rigorosamente
storicofilologica a un profondo
riesame delle verità su Gesù
di Nazaret, sui Vangeli e in
generale
sul
protocristianesimo. E il
successo straordinario per
quei tempi del suo libro, che
vendette in breve tempo in
Francia oltre sessantamila
copie e superò perfino quelle
di prima uscita del romanzo
Madame Bovary di Gustave
Flaubert, dà il segno di
quanto l’ideale positivista
risultasseormaidiffusotrale
personecolte.
Il filologo francese
s’inserì così a pieno titolo
nellaQuestfortheHistorical
Jesus [Ricerca del Gesù
storico] e più precisamente
nella sua prima fase
denominataOldQuestoFirst
Quest[AnticaricercaoPrima
ricerca],laqualeavevacome
scopo
prioritario
la
ricostruzione della figura
storicadiGesùdiNazaretcon
l’ausilio
esclusivo
di
metodologie storico-critiche.
Si affiancava in tal modo a
studiosi del livello di
Hermann Samuel Reimarus
(1694-1768),HeinrichPaulus
(1761-1851),DavidFriedrich
Strauss, Ferdinand Christian
Baur (1792-1860) e Bruno
Bauer,iqualidadiversifronti
(esegetico,
filologico,
filosofico, teologico ecc.)
entravano in contrasto col
cristianesimo ufficiale e
ponevano in discussione il
valorestoricodeitestibiblici,
in particolare dei Vangeli,
puntando a plasmare una
nuova immagine di Gesù più
aderenteallastoriarealeopiù
facilmente a una moderna
filosofia
della
storia.28
Perlomeno
inizialmente
l’impostazione scientifica di
Renan non aveva però alcun
intento
polemico
nei
confronti della Chiesa (o
delle Chiese, visto che si
occupava anche delle Sacre
Scritture ebraiche) e non
cercava neppure di attaccare
direttamente le dottrine
cristiane; ma sta di fatto che
la scelta di considerare
fondato soltanto ciò che nei
testi biblici resisteva ai
metodi
della
scienza
filologica e al razionalismo
storico
poneva
inevitabilmente
in
discussione molta parte della
teologia,riversandoun’ombra
sulla veridicità degli stessi
dogmicristiani.
Rilevare con spirito
scientifico incongruenze, dati
incerti o dubbi e falsità
storiche o di datazione negli
scritti neotestamentari non
poteva del resto non avere
cogenti conseguenze sotto
l’aspetto
della
verità
oggettiva: «Il problema di
sapere – sostiene infatti
Renan – se ci sono
contraddizioni tra il quarto
Vangelo e i Sinottici è un
problema di fatto. Ora, io
vedo queste contraddizioni
conun’evidenzaassoluta,che
ciscommettereisopralavita,
anche la mia eterna
salvezza»29. Da giovane
credente frequentatore del
seminario Saint-Sulpice di
Issy-les-Moulineaux vicino a
Parigi, dove tra l’altro pare
apprezzasse
pure
gli
insegnamenti di filosofia,
sotto
l’influsso
della
mentalità positivistica che lo
conduceva a considerare
valido solo ciò che veniva
confermato dalla scienza, si
trasformò così in un critico
della teologia e del credo
cristiano
ufficiale:
«Si
cercherebbe inutilmente nel
Vangelo una proposizione
teologica.Tutteleprofessioni
di fede sono travisamenti
dell’idea di Gesù. Se Gesù
ritornasse tra noi, non
riconoscerebbe per suoi
discepoli
coloro
che
pretendono di rinchiuderlo
tutto in alcune frasi del
catechismo»30.
La critica storica e
filologicanonimpedìtuttavia
a Renan di esprimere grande
ammirazione nei confronti
della persona di Gesù di
Nazaret, che reputava «un
uomo
di
proporzioni
colossali» e nei confronti del
quale il miglior atto di
rispettoincoerenzaconlasua
predicazione consisteva nel
collocarlo«nellapiùaltavetta
della grandezza umana». Per
altrolareligionecristiananon
poteva realisticamente essere
il prodotto della sua sola
azione, bensì dell’attività di
tutta una tradizione storica
lunghissima e proteiforme:
infatti «noi riconosciamo
certamente nel cristianesimo
un’opera troppo complessa,
per essere stata creata da un
uomo solo; vi ha collaborato
l’umanità intera». Gesù è
quindiunodegliindividuipiù
elevati che hanno calcato la
Storia, ma deve restare per
noi soltanto un uomo, perché
noncisonoprovescientifiche
enonpotrannoprobabilmente
essercene mai che fosse
qualcosa di più di un
semplice vivente della nostra
specie.Questod’altrondeèil
rigore che si richiede a chi
come Renan «ha consacrato
lapropriavitaallascienza»e
così facendo «ha fondato un
nuovo ideale di moralità». A
chi è tenuto ad applicare una
simile
nuova
etica
positivistica, se gli si
domanda se «è permesso
chiamare divina questa
sublime
persona
[del
Nazareno]», può rispondere
favorevolmente «non perché
Gesù abbia in se stesso
assorbito tutto quanto il
divino, ma perché Gesù è
l’individuo che fece fare alla
sua specie il massimo passo
verso il divino. […] In lui si
condensò quanto la nostra
natura ha di elevato e di
buono».31
Come si può notare
ritroviamoquipiùdiqualche
traccia del programma di
umanizzazionediDioportato
avanti in filosofia da Ludwig
Feuerbach, con la differenza
che in questo caso viene
applicato a un uomo solo o
comunqueaqueipochiesseri
umani elevabili allo stesso
livello di Gesù di Nazaret.
Individui
costoro
che
innalzano il genere umano
all’altezza del divino, tanto
che Renan conclude con un
eloquente
invito:
«Inchiniamoci davanti a
questi semidei».32 Di fatto
assistiamo
contemporaneamente
a
un’umanizzazione del Gesù
concepito
come
Cristo
Signore
e
a
una
semidivinizzazionedell’uomo
di Nazaret. Giunge in tal
modo a compimento da un
duplice
versante
l’equiparazioneantropologica
dell’uomoaDio:daunlatola
teologia viene ridotta ad
antropologiaconFeuerbache
dall’altro
l’antropologia
diventateologiaconRenan.È
corretto allora sostenere che
«le due forme più diffuse di
ateismo ottocentesco sono
entrambe forme di ateismo
sostitutivo» e procedono
entrambe
dall’assunto
feuerbachiano«Homohomini
deus».33
Se Renan contribuì
oggettivamente a diffondere
l’ateismo positivista, resta
però difficile affermare con
sicurezza
che
fosse
convintamenteateo;forseera
piuttosto
un
panteista,
perlomeno se si possono
attribuire a lui queste parole
messe
in
bocca
al
personaggio di Teoctiste nei
suoi
Dialogues
philosophiques (scritti nel
1871 sotto l’influsso dei
tragici eventi della Comune
di Parigi e pubblicati nel
1876): «L’universo sarà così
compiuto in un solo essere,
nell’infinito del quale si
riassumeranno miliardi e
miliardi di vite, a un tempo
passate e presenti. Tutta la
natura vivente produrrà una
vita centrale […]. Ci sarà
un’unica coscienza per tutti
[…]. L’universo sarà un
insieme
smisurato
di
polipi»34. Inoltre in uno dei
suoi frammenti precisa: «Dio
= la coscienza del polipo»35.
D’altronde egli continuò fino
all’ultimo a riconoscere
aspetti etici importanti in un
rapporto
sincero
degli
individui umani con Dio,
perfino da parte del
bestemmiatore:
«Ogni
riflessione che trasporta
l’uomo fuori dal cerchio
ristretto del suo egoismo è
salutare e buona per l’anima
[…]. La bestemmia del
grande intelletto è a Dio più
gradita che la preghiera
interessatadell’uomovolgare,
perché […] racchiude una
parte di giusta protesta,
mentre
l’egoismo
non
contiene nessuna parte di
verità».36
Per fare un sintetico
bilancio, sono da apprezzare
lebuoneintenzionidiJosephErnest Renan nell’estendere
glistrumentidiindaginedella
filologia scientifica ai testi
sacri, secondo lo spirito
positivisticodelsuotempo,e
ugualmente
vanno
riconosciuti i meriti del
metodo
storico-critico
applicatoallaBibbia.Sideve
tuttavia
contestualmente
porre in chiaro che tramite
tanto l’esegesi filologica
quantolacriticastoricanonsi
potrà mai conseguire una
descrizione sicura del «Gesù
reale» e tantomeno confutare
il fondamento della fede
cristiana.Cometraiprimiha
messoinevidenzailmedicoe
teologo
tedesco
Albert
Schweitzer (1875-1965), chi
come Renan si è spinto
troppo oltre nel tentare di
identificare l’autentico Gesù
storico ha finito per fornirci
una raffigurazione molto
personale e talvolta perfino
ideologica del Nazareno;
raffigurazione che ha poco o
nulla a che spartire con
l’oggettivitàscientifica.37
Sicuramente
e
risolutamente ateo fu invece
unaltropersonaggiofrancese
influenzato dal positivismo:
FelixLeDantec(1869-1917).
Biologo e docente di
fisiologia ed embriologia alla
Sorbona, riprese il pensiero
del materialista Paul-Henry
Thiry d’Holbach e fu
probabilmente il primo a
utilizzare
l’espressione
«ateismo scientifico» per
definire il suo modo di
considerarsi ateo. Riteneva
infatti che le credenze
metafisiche,eticheereligiose
altro non fossero se non
invenzioni
erronee
tramandate per abitudine
ereditaria,
destinate
inesorabilmente a essere
cancellate dal progresso
scientifico. Il suo era un
ateismo evoluzionistico di
stampo lamarckiano, ossia
convinto dell’ereditarietà dei
caratteri acquisiti all’interno
di una specie vivente, e
pertanto «l’esistenza di Dio
non spiegava nulla, poiché
nontrovavoalcunsensoatale
formula; ricercavo perciò di
preferenza le spiegazioni che
sono chiamate materialiste;
l’anima mi era tanto estranea
quanto Dio, era per me una
parola che celava un errore».
A chi gli faceva notare come
l’ipotesi
Dio
fosse
indispensabile per spiegare
l’esistenza del cosmo, egli
rispondeva di non vedere
«per nulla la necessità che
qualcuno abbia creato il
mondo. Se mi si chiede, al
contrario, qual è stata
l’origine
del
mondo?
Risponderò umilmente: non
so; non vedo neanche una
ragione perché il mondo
abbia
dovuto
avere
un’origine,uninizio».38
Con Le Dantec ci
troviamo in presenza di un
monismo
materialista,
iatromeccanicistico
in
fisiologia
umana
(l’organismo umano è un
insieme di «macchine»
oppure un’unica macchina
complessa),quindisensibilea
una
spiegazione
meccanicistica della vita, ma
che a differenza degli atei
scientisti odierni sembra
almeno in apparenza più
disponibile ad «ammettere la
buona fede dei propri
contradditori, anche quando
si è nell’impossibilità di
rappresentarsi
la
loro
mentalità
con
qualche
verosimiglianza».39
Tutto
questoancheselaprimaparte
della sua opera filosofica più
celebre–L’athéisme(1907)–
punta a porre in evidenza
l’assurdità
di
qualsiasi
dimostrazione dell’esistenza
di Dio, che in effetti
servirebbe solo a confermare
la convinzione di chi già
crede: «Una cosa mi ha
sempre
profondamente
sorpreso, ed è che i credenti
d’ogni epoca abbiano cercato
e fornito prove dell’esistenza
di Dio. Naturalmente esse
sono inconfutabili per coloro
che
le
utilizzano;
sfortunatamente,losonosolo
per loro, provano che essi
credono in Dio e questo è
tutto». Se infatti un teorema
di geometria vale per tutti,
«nei credenti, invece, la
certezza dell’esistenza di Dio
è
preesistente
alla
dimostrazione che non vi
aggiunge nulla. […] La
presenza d’atei dimostra
proprio che le prove
dell’esistenza di Dio non
valgononulla».Cercaredelle
prove può allora risultare
addirittura controproducente,
come per altro qualsiasi
tentativo di affermare la
propriafede,perché«unateo,
ritenendole insufficienti, si
sentirà, proprio per questo,
maggiormente autorizzato a
proclamarsi ateo»; tanto è
vero che a suo giudizio «i
Pensieri di Pascal sono il
libro maggiormente in grado
di rinforzare l’ateismo di un
ateo».40
Qui Le Dantec dimostra
però di aver compreso assai
menobenediAugusteComte
ilpensierodiBlaisePascal,il
qualeerainrealtàperlomeno
tiepido nei confronti delle
proverazionaliasostegnodel
«Dieu des philosophes et des
savants» (Dio dei filosofi e
dei dotti)41 e cercava
piuttosto le raisons du cœur
(ragioni del cuore) che «la
ragione non conosce».42 Per
altro l’ateismo di Le Dantec
si fondava erroneamente su
un determinismo assoluto
derivante
dalle
sue
convinzionibiologichebasate
sulletesilamarckiane,chelui
ovviamente
reputava
scientifiche,
mentre
considerava non scientifiche
leteoriediDarwin:«Checché
ne pensino i neodarwinisti,
[…] le cause di variazione
sconosciute diffuse nel
mondosonoimpotenticontro
la necessità tratta dalle due
leggibiologiche».43
È per noi oggi scontato
che in fatto di evoluzione
biologicatraJean-Baptistede
Lamarck (1744-1829) e
CharlesDarwinavevatortoil
primo e ragione il secondo,
quindi ci è facile concludere
chepureLeDantecsbagliava
conlasuavisionescientifica.
Ci viene anche spontaneo
esclamare «per fortuna!», dal
momento che il suo
determinismo
biologico
avrebbe cancellato davvero
l’umanoliberoarbitrio.Mase
è tanto facile sbagliare nella
valutazione delle verità
scientifiche,
dobbiamo
correttamente concludere che
lo sarà ancora di più e con
maggiore probabilità quando
si ritiene di poter fondare
scientificamente
l’ateismo
come pretendeva di fare Le
Dantec.Iltentativopositivista
di estendere i metodi delle
scienze naturali al problema
dell’esistenza di Dio e al
valoresalvificodellereligioni
è infatti oggi giustamente
considerato assurdo dalla
stragrande maggioranza degli
scienziati e da tutta la
modernaepistemologia.44
4.Unaproiezioneinconscia
Dopo il successo nella
seconda metà dell’800 della
visione scientifica del mondo
del
positivismo,
per
pressochétuttalaprimametà
del XX secolo alcuni
scienziati e filosofi hanno
continuatoaritenerepossibile
l’estensione delle spiegazioni
naturalistiche a tutti i
fenomeni umani, religione
compresa.
Un
simile
atteggiamento è facilmente
rintracciabile nel pensiero e
negli studi del padre della
psicoanalisi Sigmund Freud
(1856-1939), che difatti
reputava
«inammissibile
concepire la scienza come
una sfera di attività dello
spiritoumanoelareligionee
la filosofia come altre sfere
almeno equivalenti, nelle
quali la scienza non deve
interferire», anche perché le
affermazioni
filosoficoreligiosenonpossonovantare
«uguale pretesa di verità». In
breve,
sussiste
una
«Weltanschauung
scientifica»,
alla
quale
competono «tutti i campi
dell’attivitàumanaechehail
dovere
di
diventare
inesorabilmente critica» con
chi gli contrappone una
perniciosa «Weltanschauung
antiscientifica», rappresentata
inprimoluogodallereligioni
e dalle filosofie speculative
che non riconoscono il
primato della scienza.45 È
ovviamente opinabile che tra
gli scopi della conoscenza
scientifica ci sia quello di
formulare
una
Weltanschauung (visione del
mondo), anzi oggi si tende a
pensarepropriol’opposto;ma
all’epoca del nostro illustre
psicoanalista
era
una
convinzione
positivista
abbastanza diffusa e che
avrebbe fatto certamente da
sfondo a tutta la sua attività
scientificaefilosofica.
Benché di discendenza
ebraica, Sigmund Freud si
professava ateo convinto,
anzi per la precisione «un
ebreo del tutto ateo»46; e
sebbene proclamasse la
psicoanalisi uno strumento
neutrale («in sé non è più
religiosa che irreligiosa»),47
individuava nella religione
«un
nemico
serio»,
certamente più pericoloso
della filosofia metafisica per
l’impatto
emotivo
che
esercita sulla psicologia di
tutti gli individui: la
metafisicaèinfattiriservataa
un numero esiguo di
specialisti, mentre le dottrine
eicultireligiosicoinvolgono
le masse. Dopo aver
compreso che la causa della
nevrosi risiede in un trauma
rimosso dalla coscienza del
soggetto nevrotico e averne
individuata
l’origine
prevalente
nei
conflitti
sessuali in età infantile o
durante lo sviluppo della
personalità,
estende
discutibilmente
questi
fenomeni alle manifestazioni
sacrali religiose, finendo per
cogliere in esse una forte
rassomiglianza
con
i
«cerimoniali nevrotici» e
quindi per descriverle come
nevrosicollettive.Intalsenso
i rituali del nevrotico
costituiscono «azioni private,
in
contrapposizione
al
carattere
pubblico
e
associativo delle pratiche
religiose», per cui i disturbi
psichici
ossessivi
equivalgono a una forma di
religione personale: «Una
nevrosi ossessiva rappresenta
laparodia,ametàcomicaea
metàtragica,diunareligione
privata».48
Freud riconduce buona
parte delle credenze nel
soprannaturale a forme di
superstizione
magico-
religiosa, dove gli eventi
casuali e l’invisibile o lo
sconosciuto
vengono
interpretati in maniera non
accettabile da una mentalità
positivistica.Equellocheper
il superstizioso è l’occulto,
per lo psicoanalista è
l’inconscio:ilprimo«proietta
all’esternociòcheilsecondo
cerca nell’intimo».49 Nel
pensiero
freudiano
il
meccanismo della proiezione
costituisce lo strumento
«tecnico» atto a spiegare i
fenomeni psicologici della
credenza nel divino e delle
credenze religiose in genere,
col risultato che «gran parte
della concezione mitologica
del mondo, che ha le sue
propaggini nelle religioni
moderne, non è altro che
psicologia proiettata sul
mondo esterno». Ma su
questo processo proiettivo,
analogo a quello dei
paranoici, non può non
inserirsi l’attività euristica e
demitizzante
dello
psicoanalista, che punta
nientemeno che a ridurre il
metafisicoalpsicologico:
L’oscura conoscenza (per
così dire la percezione
endopsichica)deifattorie
rapporti psichici inerenti
all’inconsciosirispecchia
[…] nella costruzione di
una realtà sovrannaturale,
che la scienza deve
trasformare in psicologia
dell’inconscio.
Si
potrebbe osare risolvere
in tal modo i miti del
paradiso e del peccato
originale,diDio,delbene
e
del
male,
dell’immortalità,eccetera,
traducendo la metafisica
inmetapsicologia.50
EssendolanozionediDio
al centro delle principali fedi
religiose,èovviocheversodi
essa il nostro psicoanalista
rivolga una pesante opera di
demolizione,
ricorrendo
principalmente alla teoria
della proiezione inconscia.
Fin dal 1910, in uno scritto
giustamente celebre sulla
personalità di Leonardo da
Vinci,
Sigmund
Freud
sottolineava
come
«la
psicoanalisi ci ha fatto
conoscere
l’intimo
collegamentotrailcomplesso
delpadreelafedeinDio;ci
ha mostrato che un Dio
personale, psicologicamente,
non è altro che un padre
esaltato». A riprova di ciò
starebbeildatooggettivoper
ilquale«igiovaniperdonola
loro fede religiosa nel
momento stesso in cui crolla
l’autorità paterna».51 Egli
tornava poi risolutamente
sullo stesso tema in Totem e
tabù (1913), dove indicava
con chiarezza la presenza
dell’idea del divino come
mera proiezione della figura
paterna già presso le
popolazioni primitive e
interpretava il totemismo
comeespressionediunasorta
di«nostalgiadelpadre».
Freud dunque riconduce
la motivazione profonda di
tale processo psicologicoreligioso sulla figura paterna
diDioalfamoso«complesso
di Edipo», vale a dire al
desiderio
libidico
del
bambino verso la madre e al
contestuale
contrasto
competitivo col padre visto
comeunrivale:
Dall’esame psicoanalitico
dell’individuo scaturisce
con particolare evidenza
che ciascuno conforma il
proprio dio a immagine
del
padre,
che
l’atteggiamento
di
ciascunoneiconfrontidel
dio dipende dal suo
atteggiamento
nei
confronti del proprio
padre carnale […]; e che
infondoildiononèaltro
cheunpadrediunordine
piùelevato.52
Per lui, in altri termini,
l’idea di Dio è un prodotto
della parte inconscia della
psiche
umana,
una
sublimazione dell’archetipo
del padre verso il quale di
solito si provano timore e
amore, ma anche odio,
desiderio di emulazione e di
sostituzione. Come nel caso
della
figura
paterna,
ricorriamo a Dio soprattutto
nei momenti cruciali o di
maggior
«bisogno
psicologico di protezione»;
difatti «la Weltanschauung
religiosa è determinata dalla
situazione
tipica
dell’infanzia», dallo «stato
indifesodelbambino[…],dai
suoi desideri e dai suoi
bisogni,protrattisisinnell’età
adulta».53 Qui non può non
venire in mente ancora una
voltailparagoneconLudwig
Feuerbach e alcune analogie
indubbiamente sussistono,
sebbene nel filosofo tedesco
l’uomo
alieni
inconsapevolmente in Dio
tutte le sue potenzialità e
quindi in prospettiva il
fenomenopossatramutarsiin
un rovesciamento positivo,
mentre in Freud si traduce
solo in una fase negativa di
immaturità psicologica da
superare con la piena
emancipazione della psiche.
In breve, in Feuerbach la
teologia viene ridotta ad
antropologia e in Freud la
metafisica a psicologia o, nel
suo linguaggio, a metapsicologia.
Col tempo Freud diventa
tuttavia
sempre
più
consapevole che le credenze
religiose non sono mai un
fattomeramenteindividualeo
personale, ma presentano
quasisempreunacomponente
comunitaria o sociale. Egli
prende cioè piena coscienza
di quanto esse siano
saldamente
radicate
all’internodellastoriaumana,
giungendo a riconoscere «un
nucleo di verità storica nei
fenomeni religiosi, da cui
discende che la verità della
religione non è “materiale”,
ma “storica”»54. In uno dei
suoi ultimi scritti riconosce
infatticheapartiredalsaggio
Totemetabùnonhacambiato
opinione sulla possibilità di
«intendere
i
fenomeni
religiosi solamente usando il
modellodeisintominevrotici
individuali»
alquanto
familiariaglipsicologi,maha
inoltre compreso che essi
vanno
teoricamente
interpretati «come ritorni di
significativi eventi da lungo
dimenticati della storia
primordiale della famiglia
umana»; pertanto si deve
concludere «che agiscono
sugliuominiinforzadelloro
contenuto
di
verità
“storica”».55 Lo psicoanalista
austriaco approda così a una
letturadelraccontobiblicosu
Mosè e dell’origine del
monoteismo ebraico nella
quale, come nel caso di
Renan per Gesù Cristo, si
ipotizza che all’origine di
tutto ci sarebbe «un
personaggio unico, il quale a
quell’epoca dovette apparire
gigantescoechepoitornònel
ricordodegliuominielevatoa
divinità»56.
Unacriticaarticolatadella
religione e delle prove
dell’esistenza di Dio si trova
infine nel saggio L’avvenire
di
un’illusione
(1927).
L’illusioneacuiquisiguarda
è ovviamente quella della
presenzaattivadeldivinonel
mondo e delle aspettative
religiose dei credenti, perché
la religione non ha alcunché
di reale da qualsiasi punto di
vista la si osservi, sia esso
psicologico,
storico,
sociologicooppurefilosofico.
L’illusione secondo il nostro
psicoanalista non va confusa
con un errore cognitivo, ma
risultasemprequalcosadipiù
perché sua caratteristica «è il
derivaredaidesideriumani;e
pertaleaspettosiavvicinaai
deliri
psichiatrici».
Le
dottrine religiose sono tutte
«illusioniindimostrabilieche
nessunopuòesserecostrettoa
tenerlepervere,acrederci»;e
pertanto, come i deliri
psichici, non hanno avvenire,
sono già sulla strada del
tramonto
e
saranno
definitivamente
cancellate
dall’avanzare del progresso
culturaleecivile,perchéperi
buoni positivisti «il lavoro
scientifico è l’unica via che
possa
condurre
alla
conoscenza della realtà
esterna». Freud ammette che
«sarebbedavveromoltobello
checifosseroundiocreatore
dell’universo e una benigna
Provvidenza, un ordine
morale universale e una vita
ultraterrena; ma è almeno
moltostranochetuttociòsia
così come non possiamo fare
amenodidesiderarechesia».
Detto in breve: soltanto «la
nostra scienza non è
un’illusione»,57
mentre
l’esistenza di Dio è un’idea
troppo bella per essere vera.
Infine, per sostenere il suo
ateismo in modo davvero
persuasivo, Freud non trova
di meglio che ricorrere come
pressoché tutti gli atei al
classico argomento della
teodicea,
al
problema
dell’esistenza del male nel
mondo: «Non corrisponde a
veritàchenell’universovisia
un potere che vegli con
paterna sollecitudine […]. Al
contrario, i destini degli
uomini non sono conciliabili
né con l’ipotesi della bontà
universale, né con quella di
una giustizia universale.
Terremoti,
mareggiate,
incendi non fanno alcuna
distinzione fra il buono e il
pio e il malvagio o
l’infedele».58
Del resto, a ben guardare
neppureletesidellacredenza
in un Essere trascendente e
della religione quali risposte
all’ansia individuale generata
dalle paure naturali o dalla
morte rappresentavano una
teoria nuova per gli atei. La
principale
innovazione
dell’ateismo
freudiano
sembradunquerisiederenello
sforzo di precisare meglio i
meccanismi inconsci del
fenomeno religioso o del
teismo, che per altro poco
apportano sotto l’aspetto
teoreticoalleteorieprincipali
dell’ateismo moderno. Pure
per
questo
aspetto
psicologico, tuttavia, non ci
troviamo al cospetto di una
novità assoluta, perché altri
studiosi di psicologia si sono
soffermati anche prima di
Freud su queste dinamiche
psichiche, come ad esempio:
GranvilleStanleyHall(18441924), che ha interpretato la
religionecomeilportatodella
crisi adolescenziale59; Edwin
Diller Starbuck (1866-1947),
che si concentra sui risvolti
religiosi
del
passaggio
dall’egocentrismo
dell’infanzia
all’eterocentrismo
dell’adolescenza60;
James
Henry Leuba (1867-1946),
che ha introdotto la
proiezione di qualcosa di
interiore
nell’atto
di
conversioneaDio61.
La
debolezza
dell’approccio di Sigmund
Freud alla credenza nel
divinoeallareligioneappare
piuttosto
evidente
dal
confrontocomparatodituttii
suoi scritti in cui tratta di
questo argomento, come del
resto è significativo il fatto
che abbia dedicato al tema
tanta parte delle sue
riflessioni,perchécifacapire
quanto il problema religioso
fosse presente sia nella sua
vigile
coscienza,
sia
probabilmente
nel
suo
inconsciogravato(standoalle
sue stesse teorie) dalla
millenaria tradizione del
«popolo eletto». La sua
ricerca
risulta
infatti
perennemente in mezzo al
guado tra metodo scientifico
da un lato e valutazioni
fenomenologico-filosofiche
dall’altro; sicché il suo
progetto
scientista
di
sostituire
l’antropologia
filosofica
con
un’antropologia scientifica
fondatasullameta-psicologia,
di estirpare le credenze
metafisico-religiose e i
problemi esistenziali a esse
connessi con la scienza della
psiche, si dimostra in
definitiva fallimentare e si
rivela quindi, come in una
nemesi,
un’autentica
illusione. Infatti, secondo le
parole del teologo Hans
Küng, «la psicoanalisi può
certamente
togliere
i
sentimenti nevrotici di colpa,
ma non liberare dalla colpa
reale, […] non dare una
risposta agli interrogativi
ultimi sul senso o meno del
vivereodelmorire».62
Dal
versante
epistemologico molti filosofi
della scienza, come ad
esempio Karl Raimund
Popper (1902-1994)63, hanno
criticato la psicoanalisi tanto
sotto il profilo della
verificabilità quanto sotto
quello della falsificabilità,
concludendo per la non
scientificità della psicoanalisi
come scienza naturale.
Tuttora svariati psicoanalisti,
alcuni dei quali credenti,
separano
il
paradigma
positivista
della
teoria
psicoanalitica freudiana dalla
prassi clinica, evitando così
accuratamente
le
sue
implicanze filosofiche e
religiose.Esempredalfronte
della psicanalisi si è
incominciato a far notare
come da un lato sia
palesemente riduttivo il
meccanismo
proiettivo
applicato alla credenza
religiosa,
perché
«contrariamenteaquantodice
Freud, Dio è ben altro che
una semplice proiezione
dell’immagine paterna», e
come dall’altro esista pure
indiscutibilmente
in
psicologia un «ateismo
nevrotico», che spesso è «in
realtàlareazionenevroticadi
una persona assetata di
religione e di amore».64 Non
risulta insomma sufficiente
constatarecheDioassomiglia
alla figura paterna nel
bambino o a una nostra
rappresentazionedell’ideadel
padre per concludere in
maniera probante che la
credenza religiosa o le
convinzioni teologiche sono
solo forme di nevrosi
ossessiva.
Dal punto di vista
teoretico
il
tentativo
freudiano
di
confutare
l’esistenza di Dio e il valore
della fede religiosa è
ugualmente infondato e
inconcludente. Non basta
rilevare che alcuni aspetti
della religione sono utili a
superare il problema della
morte o a placare le nostre
angosce
esistenziali
e
rispondono a un bisogno
intrinseco all’animo umano,
per poter definire in maniera
cogenteDioelereligionisolo
una nostra pura invenzione,
perché
gli
elementi
psicologici
e
adattativi
presenti nelle credenze
metafisiche e religiose non
dimostrano di per sé la loro
falsità. Potrebbe infatti
rivelarsi
vero
l’esatto
contrario: proprio perché
l’anelito al divino e alla fede
religiosa
è
costitutivo
dell’essere umano, proprio
perché il bisogno di credere
in Dio risulta presente dalla
nascita in ciascun individuo
della nostra specie quasi
come la necessità di nutrirsi,
èammissibileconcludereche
può davvero esistere un Ente
trascendente: l’esigenza di
confidare in Dio sarebbe
insomma il segno tangibile
dell’esistenzadiunCreatore.
In proposito lo psicologo
evoluzionista inglese Justin
Barrett si è giustamente
chiesto: «Perché Dio non
avrebbe dovuto disegnarci in
modo
tale
da
farci
considerarelafedeneldivino
unfattonaturale?».Ineffetti,
che cosa c’è di anomalo e di
contrario alla religiosità o
all’esistenza di un Creatore
nel riscontrare che certi
fenomenipsicologicicomela
fede in Dio e i culti religiosi
hanno tanto una spiegazione
scientifica quanto un loro
fondamento nella stessa
natura umana? Come ancora
ha correttamente osservato
Barrett, anche se la scienza
riuscisse «a dare una
spiegazione convincente sul
perché io credo che mia
moglie mi ami», non certo
per questo «dovrei smettere
dicrederecheelladavveromi
ami».65 Allo stesso modo, se
la psicologia, l’antropologia,
l’etologia ed eventuali altre
scienzeriesconoafornireuna
spiegazione naturalistica del
perché si crede in Dio, di
sicuro non per tale ragione
diventa insensato o non più
razionalecrederci.Quelcheè
certo secondo lo psichiatra
austriaco Viktor Emil Frankl
(1905-1997)
è
che,
contrariamente a quello che
riteneva Freud, proprio
l’assenza della credenza
religiosa può condurre alla
nevrosi. Frankl è il fondatore
della cosiddetta terza scuola
viennese di psicoterapia,
conosciuta
come
«logoterapia» e «analisi
esistenziale»:
metodiche
queste concepite come un
intervento
per
aiutare
l’individuo a ritrovare il
senso della propria esistenza.
Ancheluidifamigliaebreae
particolarmente attento alle
questioni esistenziali in
psicologia,feceun’esperienza
indelebileconladeportazione
ad Auschwitz, dalla quale
rafforzòlaconvinzionechein
mancanza di un significato
autotrascendenteperlanostra
esistenza siamo annichiliti e
come vuoti dentro. La
«volontà di senso» è infatti
ciòchecaratterizzal’uomoin
quanto tale, è l’umano
nell’uomo, per cui il
significato ultimo della vita
che potrebbe stare oltre la
dimensione mondana è
qualcosa che bisogna credere
e cercare non solo per
l’equilibrio della nostra
psiche, ma per realizzare la
proprianaturadiuomini.66
5.IlnonsensodiDio
Dopo le critiche mosse
nel ’700 alla metafisica da
David Hume e da Immanuel
Kant, era probabilmente
inevitabile che si affermasse
nella cultura occidentale una
forte tendenza antimetafisica,
a cui hanno poi fatto
puntualmente
seguito
rigurgiti antiteologici e
antireligiosi.
Questo
orientamento contrario sia
allateologiafilosoficasiaalla
teologia religiosa è sfociato,
come abbiamo visto, nel
positivismo e in generale nel
pensieropostmetafisico.Seil
filone positivista sviluppa un
vero e proprio culto della
scienzacontrolateologiaela
religione,
il
filone
postmetafisico contesta tanto
il progresso scientificotecnologicoquantolateologia
razionale, preferendo un
approccio «debole» alla
verità. Il positivismo e le
filosofie postmetafisiche di
diversa natura sono infatti
accomunati dalla diffidenza
verso l’uso speculativo della
ragioneedallacriticaradicale
dellareligione.
Dallatradizioneempirista
e positivista trae origine la
corrente
filosofica
del
neopositivismo o positivismo
logico,
detta
pure
neoempirismo o empirismo
logico, che ha il suo primo
importante centro nella
Vienna degli inizi del ’900,
grazieall’attivitàdiunnucleo
dipensatoricheorbitaintorno
alla figura di Moritz Schlick
(1882-1936):fisicoefilosofo
di rilievo, nonché uomo di
grande
statura
morale,
assassinatoinunattentatoper
la sua opposizione al
nazismo.
Il
confronto
all’interno di questo gruppo
di intellettuali verte sui
fondamenti della scienza e il
dibattito viene inizialmente
stimolato
soprattutto
dall’empiriocriticismo
del
viennese Ernst Mach (18381916),dicuisappiamoessersi
occupato
da
filosofo
materialista anche Nikolaj
Lenin. Rispetto a quello
positivista, si tratta in
sostanza di un empirismo
meno ingenuo e più critico,
che intende determinare i
limitidivaliditàdellascienza
partendo
dall’esperienza
sensibile pura, cioè sgombra
da qualsiasi dato soggettivo.
In questo contesto le teorie
scientifichenonassumonoun
valore assoluto, non sono
vere o false, ma sono più o
meno utili a «economizzare»
esperienze, mentre gli stessi
risultati delle osservazioni
sperimentali hanno carattere
ipotetico,dacuidiscendeuna
scienza in divenire e che
procede «per congetture e
confronti».67 Oltre a Mach,
gli altri principali riferimenti
dei Viennesi furono i filosofi
BertrandRussell(1872-1970)
eLudwigWittgenstein(18891951), mentre non poco
entusiasmosuscitaronoaquel
tempolescopertescientifiche
di Albert Einstein (18791955).
IlprimoWittgenstein,pur
non essendo ateo, influenza i
neoempirsti con la sua
demarcazionetraciòdicuisi
puòparlareinquantosensato,
come gli oggetti della
scienza, e ciò di cui si deve
tacere, come le insensatezze
della metafisica: «Nulla dire
se non ciò che può dirsi;
dunque, proposizioni della
scienza naturale […], e poi
ognivoltacheunaltrovoglia
dire qualcosa di metafisico,
mostragli che, a certi segni
nelle sue proposizioni, egli
non ha dato significato
alcuno»; pertanto, «su ciò, di
cuinonsipuòparlare,sideve
tacere».68 Si tratta per certi
versi di una parziale ripresa
del metodo della teologia
negativa o «apofatica», che
asserisce l’impossibilità di
esprimersi direttamente sulla
naturadivina,mentresarebbe
ammissibile soltanto un
accostamento indiretto o
negativo, meglio se mistico.
Non è dunque casuale la
convivenzainWittgensteindi
ricerca logica e tensioni
mistiche: «Non come il
mondoè,èilMistico,mache
essoè.Lavisionedelmondo
subspecieaeternièlavisione
del mondo come totalità,
delimitata. Il sentimento del
mondo
come
totalità
delimitata è il sentimento
mistico. […] La risoluzione
del problema della vita si
scorgeallosparirdiesso.Ma
v’è dell’ineffabile. Esso
mostrasé,èilMistico».69
Il
filosofo
gallese
Bertrand Russell aderiva
invece a una posizione
fortemente
critica
nei
confronti delle credenze
religiose e della teologia
filosofica, in quanto esse
contrastavano con la sua
concezione scientifica del
mondo; posizione questa che
incise non poco sulla netta
presa di distanze di molti dei
neopositivistidallareligionee
dall’idea dell’esistenza di un
creatore. Egli innanzitutto
contestava
la
validità
razionale
delle
prove
dell’esistenza di Dio, in
particolare
di
quelle
cosmologiche, mentre si
lascia affascinare da quella
ontologica di Anselmo
d’Aosta, sebbene alla fine la
reputasse non risolutiva: «È
chiaro che un argomento che
ha una storia così insigne va
trattato con rispetto, sia esso
valido o no».70 La necessità
ditrovareunacausaprima,su
cui si imperniano tutti i
tentativi
di
dimostrare
l’esistenza di un Essere
supremo, conduce secondo
lui a un ragionamento
tautologico perché nella
pretesa di porre termine al
regressus ad infinitum nella
ricerca del primo agente che
ha dato inizio al cosmo,
finisce in effetti per
perpetuare
il
regresso
all’infinito:«Ilprincipiodella
CausaPrimanonreggedase
stesso […]. Se tutto deve
avere una causa, anche Dio
deve averla. Se niente può
esistere senza una causa, la
stessa cosa può valere tanto
per il mondo quanto per
Dio».71
In definitiva per il
filosofo gallese il fatto che
l’universo esista e si presenti
ordinato non implica per
nulla la necessità di
individuare un Primo motore
per il suo divenire, un
Legislatore superiore per le
leggi naturali e neppure un
Demiurgo per la materia, dal
momento che per spiegare
tutti i fenomeni osservabili o
possibili
è
sufficiente
ricorrere alla conoscenza
scientifica, che ci fornisce
l’unica descrizione vera del
mondo. «Dobbiamo dedurre
che il mondo fu fatto da un
Creatore? – si domanda
retoricamente il filosofo
gallese. – No di certo, se
dobbiamo aderire ai canoni
delle
valide
deduzioni
scientifiche.
Non
c’è
nessunissima ragione per cui
l’universo non avrebbe
dovuto
cominciare
spontaneamente».72 Secondo
Russell la religione (in
particolare
la
Chiesa
cattolica)
ha
sempre
avversato
il
progresso
scientifico per contrastare
l’affermarsi di una «visione
scientifica del mondo», per
cui «fra la religione e la
scienza si è protratto un
contrastoprolungato»,manel
XX secolo «la scienza si è
rivelata
immancabilmente
vittoriosa».73
Benchérispondendoauna
precisa domanda sulla sua
posizione filosofica intorno a
Dio il filosofo gallese abbia
affermato
«io
sono
agnostico»74,
le
argomentazioniportatecontro
l’esistenza Dio e soprattutto
l’approccio alle tematiche
religiose lo rendono ipso
facto più vicino all’ateismo
che all’agnosticismo. Il suo
dichiarato scetticismo nei
confronti della metafisica e
dellereligioni,insiemeconla
sua convinzione che sia
percorribile
solo
un’interpretazione scientifica
o naturalistica del reale,
costituiscono un chiaro
sbilanciamento del suo
pensiero dalla parte della
negazione atea piuttosto che
dell’imparzialità agnostica.
Per altro tale giudizio va
esteso a pressoché tutti gli
empiristilogici,perchédietro
al loro semplice rifiuto del
problema teologico come
insensato si cela la maniera
probabilmente più drastica di
negare Dio. Non è perciò
condivisibile la posizione di
chi preferirebbe considerare i
neopositivisti degli atei in
senso debole o non
negazionista,
quindi
sostanzialmente
degli
agnostici,
magari
riconoscendocontestualmente
che «non si può parlare
neppure di un atteggiamento
di neutralità»75 riguardo
all’esistenza di Dio: essi
invece sono a tutti gli effetti
degliateiinsensoforte.
Gli scienziati e filosofi
neopositivisti
che
componevano la cerchia di
Schlick sono ormai noti con
la denominazione di Circolo
diVienna(WienerKreis).Di
esso hanno fatto parte più o
menodirettamenteimportanti
personalità come il logico
Rudolf Carnap, il sociologo
Otto Neurath (1882-1945), il
matematico Hans Hahn
(1879-1934),
i
filosofi
Herbert Feigl (1902-1988) e
Friedrich Waismann (18961959), il logico-matematico
Kurt Gödel (1906-1978). Chi
vi aderiva generalmente
praticava un empirismo
radicale e considerava unico
veicolo dell’autentico sapere
il metodo scientifico delle
scienze
naturali,
accompagnato dal ricorso a
una logica formale di tipo
simbolicoomatematicoquale
strumento di analisi e di
chiarificazione
del
linguaggio.
Feigl
in
particolare fu anche tra i
primi ad applicare il
fisicalismo (tutto ciò che
esiste è di natura materiale e
si spiega con la fisica) al
problema
della
mente,
riducendo quest’ultima a una
semplicemanifestazionedella
materia
cerebrale.76
I
neopositivisti riconoscevano
perciò anche loro quale sola
vera forma di conoscenza
quella di tipo scientifico e
riponevano
in
essa
un’assoluta fiducia, specie al
fine di decostruire le false
questioni della filosofia: «La
conoscenza scientifica del
mondo non conosce enigmi
insolubili. Il chiarimento
delle questioni filosofiche
tradizionaliconduce,inparte,
a smascherarle quali pseudo-
problemi; in parte, a
convertirle in questioni
empiriche, soggette, quindi,
al giudizio della scienza
sperimentale». A differenza
deipositivisti,ineopositivisti
sidotanodiunostrumentodi
indagine rigoroso: «Siffatto
metodo dell’analisi logica è
ciò
che
distingue
essenzialmente il nuovo
empirismo e positivismo da
quello anteriore, che era
orientato in senso più
biologico-psicologico».
L’essenza
del
neopositivismo logico risiede
nel cosiddetto «principio di
verificazione»
o
di
«verificabilità», vale a dire
nellaconvinzionesecondocui
ogni proposizione e ogni
teoria scientifica è valida e
sensata se, e soltanto se, può
essere sottoposta a un
procedimento di verifica
empirica. Il criterio di
demarcazione tra ciò che è
scienza o conoscenza vera e
ciò che non lo è va dunque
cercato nelle osservazioni
empiriche o, se si preferisce,
nei riscontri oggettivi forniti
dall’esperienza
sensoriale.
Sapere autentico è dunque
solamente quello provato
empiricamente, per cui le
teorie valide si fondano
esclusivamente su fatti
empirici
verificabili
direttamente da tutti; il
carattere oggettivo delle
dimostrazioni scientifiche si
pone perciò al di fuori e
distante dalle convinzioni od
opinioni soggettive, dalle
mere creazioni della mente
umana. In quest’ultimo
novero rientrano svariate
forme dell’espressione: da
quellareligiosaaquellaetica,
dallamusicaall’estetica,dalla
letteratura all’arte e per certi
versiallafilosofia.
L’altrotrattocaratteristico
del
neopositivismo
o
empirismo
logico
è
l’opposizione a qualsiasi tipo
dimetafisicanontantoperché
falsa, ma perché considerata
una «chiacchiera insensata»,
un’attività
intellettuale
totalmente
priva
di
riferimento alla realtà del
mondo. Stando infatti alle
parole dello stesso fondatore
del Circolo di Vienna Moritz
Schlick, «il senso di una
proposizione
risiede
evidentemente solo nel suo
esprimere un determinato
stato di fatto» e gli stati di
fatto sono esclusivamente
quelli
determinati
empiricamente e quindi
presentabili ostensivamente:
«Il significato delle parole
deve in ultima analisi essere
“mostrato”, cioè essere
“dato”. Ciò avviene con un
atto
ostensivo».77
Gli
empiristi logici individuano
proprioneidiscorsimetafisici
moltissimi termini privi di
senso
e
vedono
di
conseguenza nel filosofo
metafisico un «creativo» non
troppodistantedaunletterato
o comunque da un autore di
opere dal puro significato
emotivo,contuttavialagrave
differenza di pretendere di
spacciare
dei
concetti
assolutamente astratti e
inventati di sana pianta (per
esempio
«sostanza»,
«principio primo», «causa
formale» ecc.) per vere
conoscenze, per vocaboli
dotati di un significato
referenziale a enti reali che
invece non sussiste per
l’assenza di un adeguato
riferimento a dati sensoriali
oggettivi:«Qualcosaè“reale”
nella misura in cui risulta
inserito nel quadro generale
dell’esperienza […]. Esiste
unconfineprecisofraduetipi
di
asserzioni.
All’uno
appartengono gli asserti
formulati nella scienza
empirica[…].Glialtriasserti
[della metafisica] si rivelano
affatto privi di significato».
Ne consegue che se
un’affermazionelinguisticadi
tipo metafisico vuole trovare
la sua legittima collocazione,
«lo strumento espressivo
adeguatoèl’arte,peresempio
la lirica o la musica». In
breve,ifilosofimetafisicinon
cifornisconoinformazionisu
come stanno le cose nella
realtàfattuale,nonproducono
teorie cognitive, «bensì
poesie o miti». Del resto con
lastessaestremafranchezzae
chiarezza, i positivisti logici
dichiaravano che il loro
«intento comune era un
atteggiamento non solo ametafisico,
bensì
antimetafisico»,
quindi
di
contestazione dura e serrata
di ogni concetto metaempiricoosovrannaturale.
Da
un’opera
di
demolizione della metafisica
di questa portata non si
salvano
ovviamente
l’esistenza di Dio e la
credenza religiosa, che per
loro stessa natura guardano a
una
dimensione
metaempirica; anzi esse vengono
assunte dai neopositivisti
qualiarchetipiesemplaridelle
questionidareputareprivedi
senso: «Se qualcuno afferma
“esiste un Dio” […], non gli
rispondiamo “quanto dici è
falso”,bensìanostravoltagli
poniamo un quesito: “Che
cosa intendi dire con i tuoi
asserti?”».78Ilmetafisicoeil
teologo non sono in grado di
rispondere a tale domanda
indicandounentereale,ossia
documentato dall’esperienza
sensibile, quindi dovranno
coerentementeammettereche
l’enunciato «Dio esiste» è
totalmente
privo
di
significato.
D’altronde,
essendo come si è detto gli
assertidellametafisicaedella
religione non verificabili o
controllabili ricorrendo a
riscontriempirici,nondirado
i metafisici e i teologi
riescono a replicare a
eventuali critiche demolitrici
delle loro tesi ricorrendo a
nuove ipotesi inventate ad
hoc.Inpropositoècelebrela
cosiddetta «parabola del
giardiniere invisibile» del
filosofo
analitico
John
Wisdom (1904-1993), poi
rielaborata da Anthony Flew
nel suo periodo ateo. Eccola:
imbattendosi
in
un
fantomaticogiardinopostoin
una radura, due esploratori
(uno scettico e un credente)
ragionano sull’esistenza o
meno di un ipotetico
giardinieresenzavederlomai,
con il credente che di fronte
all’impossibilitàdiverificarne
empiricamente
l’esistenza
giunge a teorizzare che si
tratti di un giardiniere
invisibile.79
Nella
sua
abiurata fase ateistica anche
Flewsposadunqueinqualche
modo l’ateismo semantico,
perchéritieneche«nemmeno
il più accurato studio
filologicopotràfornirealcuna
garanziacheiltermine“Dio”
siriferiscaosiariferibileaun
oggettodato».80
Unavoltadipiù,dunque,
«laconoscenzascientificadel
mondo
respinge
la
metafisica» e con essa il
concetto stesso di Dio in
quanto privi di significato
referenziale o estensionale;
perciò questo modo di essere
atei scientifici è stato
correttamente
definito
«ateismo semantico». Qui
infatti la negazione di Dio
nonsibasasuargomentazioni
tratte da una cosmologia
naturalistica o da una
concezione
squisitamente
materialistica della realtà e
neppure da considerazioni
antropologiche, bensì dalla
questione linguistica del
significato. Seguendo un
approccio semantico, si
considerano dotati di senso
cognitivo soltanto i termini o
le proposizioni con precisi
riferimentiempiriciofattuali,
mentre tutte le altre
espressioni
linguistiche
(filosofiche,
teologiche,
religiose, morali, artistiche
ecc.) ne sono assolutamente
prive,
quindi
non
rappresentano
forme
autentiche di conoscenza. Si
tratta in definitiva del
modello di ateismo più
radicale che si possa
concepire:
«Non
si
oppongono
prove
all’esistenza
di
Dio,
semplicemente si nega di
riconoscere
senso
all’espressione“Dioesiste”,e
pertanto se ne rifiuta il
problema
stesso»81,
distruggendo così dalle
fondamenta la possibilità di
un qualsiasi discorso sul
divino.
Ragionare
del
trascendente,
dell’anima,
dell’immortalità
o
di
qualcos’altro di metafisico e
religiosoèunesercizioinutile
perché senza vero significato
referenziale;quindisitrattadi
unmeroflatusvocis.
Se
cerchiamo
un
antesignano
dell’ateismo
semantico, stranamente non
lo rintracciamo tra i filosofi
della
scienza
o
del
linguaggio, ma tra i politici
atei e precisamente nella
figura di Charles Bradlaugh
(1833-1891), il quale fu tra i
primi ad affermare: «L’ateo
non dice “Non esiste nessun
Dio”, ma “Non so che cosa
intendete con Dio; […] per
me la parola Dio è un suono
che non comunica nessuna
affermazione
chiara
e
distinta”»82. Siamo tuttavia
ancora in presenza di un
pronunciamento polemico e
non sistematico, mentre la
formulazione
organica
migliore della negazione
semanticadiDiovaascrittaal
filosofo e logico Rudolf
Carnap(1891-1970).
Appartieneaquest’ultimo
pensatore la definizione
ormaiclassicadellaposizione
antimetafisica degli empiristi
logici, che è inclusa in uno
scritto programmaticamente
intitolato Il superamento
della metafisica mediante
l’analisi
logica
del
linguaggio (1932). In esso,
sulla base del principio di
verificazione, si proclamano
inutili,vuoteeprivedisenso
tutte
le
proposizioni
metafisiche,
in
quanto
costruite su termini ambigui
oppure privi di significato
referenziale,
ossia
non
collegati protocollarmente a
oggettiempirici.Scriveinfatti
Carnap:
Prendiamo come esempio
la parola «Dio». […]
Nell’uso
linguistico
metafisico «Dio» designa
qualcosa
di
extraempirico. Il significato di
unesserecorporeoodiun
essere spirituale che si
nasconde
nei
corpi
[quindi in qualche modo
con riferimento empirico]
viene espressamente tolto
alla parola. E, dal
momentochenonlesidà
alcun significato nuovo,
essa diventa priva di
significato. […] Le
proposizioni cosiddette
metafisiche non hanno
nessun
senso,
non
vogliono dire nulla, e
sono solamente pseudoproposizioni [Scheinsätze
=
proposizioni
apparenti].83
Per Rudolf Carnap come
per tutti i neopositivisti la
questione del significato dei
termini o delle proposizioni
con referenti empirici è
dunque dirimente nella
distinzione tra ciò che è
sensatoedicuisipuòparlare
e ciò che invece non lo è. In
tal modo ancora una volta
vera conoscenza è soltanto
quella del metodo scientifico
basatosull’esperienza,quindi
corrispondente
a
una
concezione scientifica del
mondo,mentretuttoilrestoè
pseudo-conoscenza. Secondo
una diretta testimonianza del
nostro autore, durante il
periodo
viennese
fu
soprattutto la lettura di
Ludwig Wittgenstein a
influenzare il suo impegno
antimetafisico, conducendolo
«a sostenere il punto di vista
chemoltetesidellametafisica
tradizionale non solo sono
inutili, ma anche prive di
contenuto cognitivo: sono
pseudo-enunciati, vale a dire
tesi che sembrano fare
asserzioni […], mentre di
fatto non asseriscono nulla,
non
esprimono
alcuna
proposizione, non sono
dunque né vere né false». E
naturalmente «la concezione
che questi enunciati e
problemi [metafisici] non
sono cognitivi, si basava sul
principio di verificabilità».84
Ne discende allora che le
credenzeteologico-religiosee
metafisiche, non essendo
empiricamente verificabili,
non hanno nessun valore
conoscitivo o significato
universale: «Esiste senza
dubbio il fenomeno della
fede,siareligiosa,siadialtro
tipo […]. Si può anche
concedere che in questi
fenomeni si comprenda, in
qualche modo, qualcosa. Ma
questaespressionemetaforica
non
può
portare
all’ammissione che in questi
fenomeni venga guadagnata
unaconoscenza».85
Ancorpiùradicaleappare
la posizione di un altro
positivista logico, il filosofo
britannico Alfred Jules Ayer
(1910-1989).Questi,findalla
sua prima e famosa opera
Linguaggio, verità e logica
(1936) scritta a soli ventisei
anni, proclama tutte le
dimostrazioni dell’esistenza
di Dio delle mere tautologie,
ossia delle ovvietà logicolinguistiche del tipo «I
quadrupedi sono animali con
quattrozampe»o«Gliscapoli
sono uomini non sposati»,
che
trasposte
in
un
ragionamento fanno sì che la
conclusione ripeta in modo
circolare la stessa cosa già
contenuta nelle premesse. Da
ciò egli conclude facilmente
che «da un insieme di
tautologienonsipuòdedurre
inmodovalidonull’altroche
una tautologia di più. Ne
consegue che non si dà
nessuna
possibilità
di
dimostrarel’esistenzadiDio.
[…] Dire “Dio esiste”
significa
produrre
un’espressione che non può
essereveraofalsa».
Finquisiamoinpresenza
di un’affermazione più
agnostica che atea; tuttavia il
nostro pensatore intende
spingersi
ben
oltre
l’agnosticismo e diventare
così il miglior teorico
dell’ateismosemantico.Ayer,
partendodall’assunto«percui
tutte le espressioni intorno
alla natura di Dio sono non
sensi», ossia non sono
definibili né vere né false in
quanto trattano di concetti
sovra-empirici, giunge a
decretare come privo di
significato qualsiasi asserto
relativo al divino o al
trascendente; e ciò a
prescindere dal fatto che si
trattidiaffermazioniafavore
del credente, di quelle
negative dell’ateo oppure
anche di quelle neutrali
dell’agnostico. Il filosofo
britannico infatti scrive con
chiarezza: «Se l’asserzione
dell’esistenzadiDioèunnon
senso, allora l’asserzione
ateistica dell’inesistenza di
Dioèaltrettantounnonsenso
[…]. Quanto all’agnostico
[…]
egli
non
nega
l’autenticità della questione
[…]. E ciò significa che
anche l’agnostico è escluso
[ossia anche la sua posizione
èun“nonsenso”]».
In conclusione, per Ayer
la domanda sull’esistenza del
soprannaturale non solo è
irresolubile, ma non è
neppure ammissibile come
problema,perché«se“Dio”è
un termine metafisico, allora
che esista un dio non può
essere neppure probabile»,
dal momento che provabili e
probabili sono soltanto gli
asserti fondati su dati
empirici.Intalmodol’ideadi
Dio o l’ipotesi di una
conoscenzareligiosanonsolo
sonostateestromessedaogni
possibile
spiegazione
razionale della realtà, ma
sono
state
espunte
dall’ambito dei discorsi
sensati: «L’enunciato “Esiste
un Dio trascendente” non ha
nessun significato letterale».
L’affermazione sull’esistenza
di un ente divino potrebbe
avere
un
significato
nell’ambitodiunareligioneo
all’interno del linguaggio
religioso,masidàilcasoche
«il fatto che la gente abbia
esperienze
religiose
è
interessantedalpuntodivista
psicologico, ma non implica
in nessun modo la possibilità
diunaconoscenzareligiosa».
In breve nelle religioni ci
sono
soltanto
delle
conoscenze
presunte
o
pseudo-conoscenze,
dei
semplici autoinganni, perché
il teista «non riesce a
formulare
la
sua
“conoscenza” in proposizioni
empiricamente verificabili»
ed è pertanto «lecito essere
sicuri
che
si
sta
ingannando».86
Tra i filosofi che si sono
ispirati
a
Ludwig
Wittgenstein ci sono però
anche quelli «analitici», i
quali da un punto di vista
strettamente
logicolinguisticohannopresomolto
sul serio le dimostrazioni
dell’esistenza di Dio, specie
di quella logica per
eccellenza:
l’argomento
ontologico.
Merita
in
proposito di essere ricordato
il rovesciamento della prova
anselmiana
attuato,
ricorrendoallalogicamodale,
dal filosofo John Niemeyer
Findlay (1903-1987) nel
seguente modo: «Se è
possibile, e in un certo senso
logico e non soltanto
epistemologico,chenoncisia
Dio, allora l’esistenza di Dio
non è soltanto dubbia, ma
impossibile,
in
quanto
nessuna cosa capace di non
esistenza potrebbe essere
Dio».87
Laddove
la
formulazione modale della
prova ontologica (sviluppata
soprattutto da Leibniz) in
estrema sintesi sosteneva che
«Se Dio è possibile, allora
esiste», Findlay invece
concludecheèveropiuttosto
l’esattocontrario,ossia:«Seè
possibile che Dio non esista,
allora non solo è dubbio che
esista, ma è impossibile che
esista».88
L’importanza e il peso
dell’ateismo semantico nel
pensiero contemporaneo è
stato ed è alquanto rilevante,
probabilmente perfino ben
oltre quello che si percepisce
normalmente
o
che
percepiscono gli atei stessi;
difatti, «se c’è un carattere
che caratterizza in maniera
veramente propria l’ateismo
contemporaneo, è di essere e
di dichiararsi un ateismo
semantico».89Nonostanteciò,
esso
si
dimostra
teoreticamente debole per le
medesimeragionipercuisiè
rivelata in generale debole la
filosofia
neopositivista,
ovvero per la criticità
epistemologica insita nel
principio di verificazione e
nellademarcazionetraasserti
sensati e asserti insensati.
Sotto l’aspetto metodologico,
il
punto
di
vista
verificazionistaeilcriteriodi
demarcazione
della
verificabilità
empirica
poggiano infatti su enunciati
tratti
direttamente
dall’esperienza fattuale, ossia
da una serie di singoli fatti
empirici,
che
quindi
richiedono il ricorso a un
ragionamento induttivo nel
quale
procedendo
da
premessediordineparticolare
(peresempio:Questocignoè
bianco; Quest’altro cigno è
bianco ecc.) si «induce» una
conclusione
di
ordine
generale(peresempio:Tuttii
cigni sono bianchi). Tali
premesseparticolariperònon
garantiscono in maniera
assoluta la verità della
conclusione e al massimo ci
forniscono una garanzia di
tipo probabilistico (per
esempio:Èprobabilechetutti
i cigni siano bianchi). In
sostanzaselepremessediun
argomento induttivo sono
tuttevere,laconclusionenon
è necessariamente vera, ma
presenta soltanto un certo
livello di probabilità di
esserlo. È appunto sulla
debolezza
dell’argomentazioneinduttiva
posta alla base tanto del
principio di verificazione
quanto di quello della
demarcazione semantica che
sisonoinnestatelecritichedi
colui che è stato giustamente
definito il «killer del
neopositivismo»90:
Karl
RaimundPopper.
Rifacendosi
alle
considerazioni sul metodo
induttivo di David Hume,
Popper ha fatto notare come
nessun numero di dati
osservativi
tra
loro
coincidenti riferiti allo stesso
fenomeno (per esempio il
colore bianco dei cigni) sia
sufficiente a dimostrare la
verità
definitiva
di
un’asserzione di ordine
generale(peresempio:Tuttii
cigni sono bianchi), poiché
nessuno può escludere in
lineadiprincipiochesussista
almeno un fatto empirico a
essa contrario non ancora
osservato (per esempio un
cigno nero, che poi si è
scoperto
effettivamente
esistere in Australia: il
Cygnus
atratus)91.
Al
malsicuro
principio
di
verificabilità Karl Popper ha
pertanto sostituito quello di
falsificabilità, per il quale il
criterio di scientificità non
risiede più nella capacità di
verificare empiricamente le
teoriescientifiche,bensìnella
possibilità di confutarle a
partire innanzitutto dalle
previsionidifenomeniancora
sconosciuti che esse sono in
grado di formulare. Il
principiodiverificazionenon
puòdunqueserviredanorma
didemarcazionetrascienzae
pseudo-scienza,
tra
conoscenze autentiche e
pseudo-conoscenze
come
pretendevano i neoempiristi:
«Come
criterio
di
demarcazione non si deve
prendere la verificabilità, ma
lafalsificabilitàdiunsistema.
Inaltreparole:daunsistema
scientificononesigeròchesia
capace di essere scelto, in
senso positivo, una volta per
tutte; ma esigerò che la sua
forma logica sia tale che
possa essere messo in
evidenza, per mezzo di
controlli empirici, in senso
negativo»92.
A sua volta il filosofo
americano Willard Van
OrmanQuine(1908-2000)ha
messo in luce il carattere
dogmatico dello stesso
pensiero
neopositivistico,
rilevandoche
l’empirismo moderno è
stato in larga misura
condizionato da due
dogmi. Il primo è la
credenza
in
una
fondamentale separazione
tra verità che sono
analitiche, o fondate sui
significati
indipendentemente dai
fatti, e verità che sono
sintetiche, o fondate sui
fatti. Il secondo dogma è
il
riduzionismo:
la
credenza che ciascuna
asserzione dotata di
significatosiaequivalente
aqualchecostruttologico
in termini che si
riferiscono all’esperienza
immediata.93
Insomma, perfino gli
enunciatideipositivistilogici
non sempre sono verificabili
per via empirica e spesso
sono tautologici come quelli
daloroattribuitiaimetafisici
o
ai
teologi.
Viene
conseguentemente superata
pureladistinzionetratermini
eproposizionidotatedisenso
e parole ed enunciati privi di
senso, perché ora ci si deve
riferire a una demarcazione
tra conoscenza scientifica e
sapere metafisico effettuata
non sulla base del significato
referenziale
o
della
corrispondenza dei termini
all’esperienzasensibile,bensì
sulla
falsificabilità
o
confutabilità delle teorie: «Si
deve poter dire: questo è un
problema
interessante,
purtroppo non è scientifico,
mametafisico.[…]Èridicolo
proibire di dire qualcosa che
nonappartieneallascienzaed
èquestoquellochehatentato
di fare il Circolo di
Vienna»94.
D’altrondel’erroreèstato
riconosciuto dallo stesso
RudolfCarnapneisuoiultimi
annidivita,quandohascritto
che
«sfortunatamente,
seguendo
Wittgenstein,
formulammo il nostro punto
di vista al Circolo di Vienna
in modo troppo semplificato,
dicendo che certe tesi
metafisiche sono prive di
significato», sebbene poi
abbia in qualche modo
perseveratosostenendochele
tesi metafisiche «mancano di
significato
cognitivo
o
teorico,maspessohannoaltre
componentidisignificato,per
esempio
emotive
o
motivazionali,lequali,anche
se non cognitive, possono
avere
forti
effetti
psicologici». Ma anche dopo
questa sua imbarazzata
precisazione, accompagnata
dalla contestuale sostituzione
del criticato principio di
verificabilità «con il più
liberale
principio
di
confermabilità»95, resta il
fatto che i principi dei
neopositivisti sono privi del
requisito
tanto
della
verificabilitàquantodellanon
troppodissimileepocosicura
confermabilità. Risulta così
ormaiassodatochenonèper
nullaverochegliuniciasserti
dotati di valore cognitivo
sono quelli delle scienze
empiriche
e
che
le
proposizioni
metafisiche
possono a loro volta dirsi
cognitive qualora procedano
da elementi empirici o
scientifici
e
risultino
razionalmente
criticabili.
Sussistono infatti certamente
nella scienza dimostrazioni o
argomentazioni dimostrative
non necessariamente tratte
dall’induzione, ovvero non
per
forza
collegate
direttamente a stati di fatto
«mostrabili» e quindi non
definibili
in
maniera
ostensiva: è per esempio il
caso della ricostruzione
«storica» di certi processi
astronomiciocosmologicidel
passato (per esempio il Big
Bang) e dei modelli della
fisica atomica e subatomica
(nessuno potrà mai osservare
direttamente
una
microparticella, anche per i
limiti conoscitivi imposti dal
principio
di
indeterminazione). Per non
parlareinfinedituttociòche
si trova al di là delle
possibilità cognitive del
metodo scientifico, che
tuttavianonèmenorealeea
cui si può attingere con la
sola forza del ragionamento
logico.
Quanto
all’anatema
neopositivista sull’obbligo di
tacere su ciò che riguarda il
trascendente, le migliori
smentite sono venute proprio
da alcuni esponenti della
filosofia analitica, i quali
hanno battuto di nuovo le
strade
della
teologia
razionale, dimostrando così
una volta di più la vitalità
della metafisica e della
riflessione sulla religione96.
Insomma non c’è bisogno di
ricorrere a soluzioni che
aggirino il problema della
significatività del linguaggio
teologico-metafisico
e
religioso, come ha fatto
sbagliandoilteologoradicale
Paul van Buren (1924-1998)
quando ha accettato di
definirlo non cognitivo e con
solovalored’usosoggettivoo
etico-operativo.97 Si può e si
deve invece apertamente e
senza remore dichiarare
sensato il discorso su Dio e
l’argomentazione razionale
dellasuaesistenza,facendoin
tal
modo
cadere
definitivamenteilpregiudizio
di insensatezza dell’ateismo
semantico.
6.Qualcosadalnulla
In epoca contemporanea
si è diffuso con vigore e con
un certo successo sia
editoriale sia massmediatico
una forma di ateismo
scientista o scientifico che
non si limita a considerare
Dio un’ipotesi superflua per
la scienza e a relegare la
teologia, la religione e ogni
principio metafisico tra le
pseudo-conoscenze o gli
pseudo-concetti, come hanno
fatto i positivisti e i
neopositivisti, ma arriva a
sostenere che il sapere
scientifico confuta più o
menodirettamentel’esistenza
di un Creatore e pressoché
tutte le credenze religiose. Si
punta dunque ad andare ben
oltre l’ateismo metodologico,
che esclude per principio di
ricorrere all’idea di Dio
nell’indagine della natura
perché – come ha detto il
biologo Jean Rostand (18941977) – con un intervento
divino «nello svolgimento
della catena causale non si
potrebbe fare più scienza»98;
e si va ben oltre anche lo
stesso ateismo semantico che
giudica
insensato
il
linguaggioteologico-religioso
e metafisico. L’obiettivo è
infatti quello di contrapporre
frontalmente la scienza alle
convinzioni
metafisicoreligiose,sostenendononsolo
che
la
prima
finirà
inesorabilmente
per
cancellareleseconde,mache
si tratta di due visioni della
realtà che non possono
neppure coesistere in uno
stesso individuo: o si è
scienziati ed estimatori della
conoscenzascientificaoppure
sièdeipateticiinseguitoridi
chimere e dei superstiziosi.
Sotto questo profilo, lo
scandalo maggiore sarebbe
rappresentato dagli scienziati
credenti,
i
quali
costituirebberounaspeciedel
tutto anomala, una sorta di
contraddizione
vivente
destinata a scomparire:
«Esiste una minoranza di
scienziati
indubbiamente
preparatichepureprofessaun
credo religioso. […] E sì che
gli scienziati dovrebbero
avere il culto della ragione;
eppure,
di
norma
trincerandosi dietro l’adusata
argomentazione delle aree di
competenza, trovano anche
loro uno spazio per
credere».99 Questo perché,
come ha scritto il biologo e
premioNobelFrançoisJacob,
«la scienza è questione di
conoscenza e la fede
questionedigusto»100.
In altre parole il sapere
scientifico possiede una
natura razionale e oggettiva,
mentre
le
convinzioni
teologiche e religiose sono
soltanto una faccenda di
appetenza soggettiva come
un’opera d’arte o il piatto di
uno chef: possono piacere o
non piacere a seconda del
gusto personale, ma giammai
dirsivereofalse(degustibus
non est disputandum). Come
si può notare, si tratta della
riproposizione in una veste
più aggressiva degli stessi
dogmi del neoempirismo,
questa volta supportati da
un’interpretazione
rigorosamente naturalistica
dei traguardi raggiunti in
cosmologia,inastrofisicaein
biologia, su cui si fonda un
rinnovato «orgoglio ateo».101
Per il nuovo ateismo
scientifico
le
recenti
acquisizioni della scienza
rafforzano e innovano la
concezione materialistica o
naturalistica del mondo;
concezioneinbaseallaquale
è ineluttabile concludere che
l’essere, ovvero tutto quanto
esiste sotto forma di energiamateria, è autosufficiente e
spiega se stesso, quindi non
ha bisogno di ricorrere a
qualcosa
d’altro
per
giustificare
la
propria
esistenza.
Fornendoci una prova
certa
dell’autarchia
dell’ordine
cosmico
e
dell’assoluta
accidentalità
dellavita,ivicompresaquella
intelligente,
il
sapere
scientifico farebbe in tal
modo crollare tutte le
argomentazioni
fisicocosmologiche a sostegno
dell’esistenza di Dio e
renderebbe insensata la
teologia naturale, sottraendo
così
ogni
motivazione
razionale alla fede religiosa.
In definitiva l’universo degli
atei
scientifici
risulta
dominato
contemporaneamente dalle
mitologiche figure di Tyche,
ossia l’incertezza del caso, e
di
Ananke,
ovvero
l’inflessibile necessità delle
leggi di natura, come recita
del resto il titolo del saggio
Le hasard et la nécessité
(1970) del biologo francese
Jacques Lucien Monod102.
Quando addirittura non ci si
spinge oltre assegnando un
ruolo decisivo a Chaos, il
mitico abisso dell’informe e
dell’indistinto,chesecondoil
chimico-fisico Ilya Prigogine
(1917-2003) «ci obbliga a
generalizzare la nozione di
legge della natura e a
introdurvi i concetti di
probabilità e irreversibilità»,
quindi a pensare a un nuovo
paradigma tanto scientifico
quanto
filosofico
(il
cosiddetto
«caos
deterministico»).103
Nonèraroperaltrochele
tesi naturalistiche di fondo
del
nuovo
ateismo
contemporaneo vengano fatte
proprie anche da alcuni
credenti, i quali da quel
momento sono obbligati a
porsiilproblemadicomedar
conto della fede alla luce
della moderna «coscienza
laica» e quindi a ricorrere ad
argomenti concordistici poco
convincenti tanto sul piano
scientifico quanto su quello
filosofico. Bisogna invece
sempreevitaredisovrapporre
lascienzaeisuoimetodialla
teologia sia filosofica sia
religiosa,perchécosìfacendo
si produce una sorta di
ibridazione del tutto sterile,
utileunicamenteaconfondere
dipiùleidee.
Su
questo
terreno
andrebbe
costantemente
seguito
l’esempio
del
neurobiologoepremioNobel
John C. Eccles, il quale
accettava «tutte le scoperte e
tutte
le
ipotesi
ben
corroborate della scienza» e
tuttavia
contestualmente
riconosceva che «esiste un
importante residuo non
spiegatodallascienza,anzial
di là di ogni futura
spiegazione scientifica. Ciò
conduce al tema della
teologia naturale, con l’idea
di un soprannaturale che si
trova oltre il potere
esplicativo della scienza».104
Di questa esigenza non vi è
quasi mai traccia nei nuovi
atei;anzisipuòaffermareche
dal mancato rispetto o
riconoscimento di questi
diversilivelliodiverseforme
del sapere, su cui da un altro
versanteavevariflettutoasuo
tempo il filosofo Jacques
Maritain105,
discende
pressoché
tutta
l’impostazione di fondo dei
moderni ateismi scientifici o
scientisti. Il Dio contro cui
essi si scagliano è perciò
concepitoocomeunCreatore
intelligente che opera sia
come
«agente
fisico»
originario sia con intenti
finalistici, oppure come una
manifestazione
della
superstizione
o
dell’irrazionalitàumana:tutte
idee
e
comportamenti
incompatibili con l’unica
verità scientifica e che per
contro
possono
essere
spiegati naturalisticamente
dalle scienze biologiche, in
particolare
dalla
psicobiologia. Non mancano
infinenell’ateismoscientifico
alcune incursioni nel campo
della teodicea e quindi sul
problema della presenza del
maleinnatura.
In linea di massima
possiamo allora individuare
due contesti dai quali
provengono tanto il moderno
ateismo scientista quanto in
generale i suoi protagonisti:
quello fisico-cosmologico e
quello biologico. Nel caso
dell’ateismodioriginefisicocosmologicasiprivilegianole
conoscenze provenienti dalla
fisica, dall’astrofisica e dalla
cosmologiaperprovaredaun
lato l’insussistenza di un
primordialeinizionell’attuale
ordine cosmico e quindi
l’inutilitàdiunaCausaPrima
o di un Primo Agente,
dall’altro
l’assenza
del
finalismo in natura e perciò
l’improponibilità di un
Creatore
Intelligente
o
Supremo Artefice. Con
l’ateismo di derivazione
biologica si radica invece
sulle teorie dell’evoluzione
darwiniana e neodarwiniana
l’inesistenza
di
un
qualsivoglia progetto nella
comparsa di tutte le specie
viventi e in particolare
dell’Homo sapiens sapiens,
per affermare la conseguente
impossibilità della presenza
diunDiocreatoredellavitae
di un ruolo straordinario
assegnatoall’essereumano.
Il modello di riferimento
dell’ateismo
fisicocosmologico è riconoscibile
in una sintetica e citatissima
affermazione del fisico e
premio
Nobel
Steven
Weinberg: «Più affiniamo la
nostra concezione di Dio per
rendere plausibile questa
idea,piùessaciapparesenza
senso».106 Questa lapidaria
conclusione di Weinberg non
ha niente a che vedere con
l’ateismo semantico perché
qui non si pone la questione
della significanza linguistica
dellaparolaodelconcettodi
Dio rispetto ai dati empirici,
bensì quello più pregnante
dell’insignificanza dell’idea
di un Ente divino creatore e
causa prima del cosmo di
fronte alle ultime conoscenze
scientifiche. Se quello dei
neopositivisti è stato talvolta
definito
un
ateismo
«negativo», nel senso che
negaapriorilapossibilitàdel
discorso teologico senza
entrare nel merito della
questione,quellodiWeinberg
è invece sicuramente un
ateismo «positivo» perché
prospetta una confutazione
direttaefortedellanozionedi
Dio sulla base delle più
recenti
scoperte
cosmologiche e astrofisiche.
D’altronde
questa
conclusione è del tutto
coerente con quanto gli era
capitato di affermare in
precedenza
trattando
dell’origine del cosmo nel
saggio intitolato I primi tre
minuti (1977), laddove aveva
cosìsentenziato:«Quantopiù
l’universo
ci
appare
comprensibile, tanto più ci
appare
senza
scopo
[pointless]».107 È infatti
razionalmente esplicito che
qualora l’ordine cosmico sia
in modo evidente privo di
scopoodisenso,qualoracioè
sia sorto in maniera
accidentale
e
risulti
determinato soltanto dal caso
quantistico e dalle necessità
delle leggi fisiche, l’esigenza
dipostularelapresenzadiun
Creatore
o
anche
semplicemente
di
un
Demiurgo ordinatore viene
inesorabilmenteacadere.
Dietro le considerazioni
di Weinberg si colloca la
domanda
radicalmente
filosofica sul «perché esiste
qualcosa anziché niente» del
filosofo Gottfried Wilhelm
Leibniz108 e la conseguente
plausibilità di due uniche
risposte ragionevoli tra loro
alternative:ol’operadiDioo
il dominio di caso-necessità,
o un disegno prestabilito o il
gioco di casualità e
determinismosenzascopo.Se
infatti com’è ovvio tra
l’essereeilnonesserenonsi
può porre una terza via
(qualcosa esiste oppure non
esiste, tertium non datur), le
soluzioni
all’interrogativo
leibniziano sono: o esiste un
Essere intelligente creatore,
ordinatore e causa prima,
oppure
nella
materia
interagisconosoloilcasoele
leggi naturali. La scelta del
nostroillustrepremioNobela
favore dell’opzione casonecessità in assenza di alcun
fine è dunque chiara e
ripetutamente argomentata
nei suoi testi divulgativi, non
foss’altro perché egli è
convinto che tutto sia
riconducibile a una «teoria
finale» della fisica intesa
come «punto di partenza al
quale è possibile far risalire
tutte le spiegazioni»,109 per
cuinongli«sembracheserva
a qualcosa identificare le
leggi naturali, come faceva
Einstein, con un qualche Dio
remotoedisinteressato»110.
L’altra grande celebrità
della scienza contemporanea
che si è espressa contro la
necessità di congetturare
l’esistenza di un creatore e/o
ordinatore
cosmico,
collocandosi così di fatto
nell’ateismo
fisicocosmologico, è Stephen
Hawking. Già a partire dal
suo best seller Dal Big Bang
aibuchineri.Brevestoriadel
tempo (1988) egli si è
ritrovato a girare intorno al
problema
del
Creatore
intelligente e si è arrovellato
sull’opportunità di mantenere
il riferimento finale del libro
alla mente di Dio: «In bozze
fui sul punto di tagliare
l’ultima frase del libro:
“Giacché
allora
conosceremmo la mente di
Dio”.Seloavessifatto,avrei
forse
dimezzato
le
vendite».111 Non è tuttavia
convincente ritenere che il
fisicoematematicoinglesesi
occupidellamentediunEnte
supremoedellasuaesistenza
solamenteperincrementareil
proprio successo editoriale o
per essere in linea con la
modadioccuparsiditeologia
filosofica diffusa tra gli
scienziati della nostra epoca,
ma riteniamo che sotto ci sia
qualcosa di più importante e
fondamentale: il cosiddetto
«problema
della
prima
mossa».
Se il cosmo in cui
viviamonecessitaperesistere
ed evolversi di precise
condizioni
iniziali,
si
pongono
inevitabilmente
alcune logiche domande che
gli astrofisici cinesi Fang Li
Zhi (1936-2012) e Li Shu
Xianesprimonocosì:«Qualè
la causa prima del nostro
universo?Comesièprodotta
la prima mossa da cui
discende anche la nostra
esistenza?». E qualora si
riescaarispondereinmaniera
convincente
a
questi
interrogativi,qualorasiriesca
cioè a individuare la o le
condizioni
iniziali,
immediatamente
seguono
altri
quesiti
altrettanto
impegnativi e che sembrano
richiedere soluzioni che
vanno oltre la scienza:
«Perché l’universo ha scelto
questa piuttosto che quella
condizione iniziale? Se non
possiamo rispondere a questa
domanda,
ammettiamo
tacitamente che la fisica può
solo spiegare il mondo in
questo modo: le cose sono
cosìperchélaprimamossafu
così. Ovviamente, questa è
scienzaametà»112.Arendere
particolarmente cogente il
problema della prima mossa
ha contribuito lo stesso
Stephen Hawking con alcuni
suoi studi cosmologici, come
quello che l’ha condotto a
formulare insieme al fisico e
matematico Roger Penrose il
teorema della singolarità, il
quale
procede
dalla
considerazione secondo cui
l’universo ha avuto inizio in
un istante dato o «tempo
zero» (t = 0) e conclude che
«deve esserci stata una
singolarità del Big Bang».113
Tale
«singolarità»
rappresenta uno stato fisico,
un punto intorno a cui
l’attrazione
gravitazionale
tendeall’infinitoedifrontea
cui si arrestano le nostre
conoscenze; dunque una
condizione
del
cosmo
primordiale
del
tutto
insondabile per la mente
umana, perlomeno con i suoi
attuali
strumenti:
«Mostrammo–diceHawking
riferendosi al suo lavoro con
Penrose – che […] qualsiasi
modello ragionevole di
universo doveva iniziare con
una
singolarità.
Ciò
significava che la scienza
poteva predire che l’universo
doveva aver avuto un inizio,
ma che non poteva predire
come l’universo doveva
cominciare, poiché tale
compitoeradicompetenzadi
Dio».114
Nonostante
questo
continuo riferimento a un
contesto nel quale la risposta
va cercata oltre la fisica,
perché riguarda un divino
Primo Motore e dunque la
metafisica,Hawkinghaspeso
buona parte delle sue
riflessioni a cercare di
aggirare il problema della
singolarità o delle condizioni
iniziali per non lasciare
appunto
campo
libero
all’ipotesi di una prima
mossa.Inunprimotempoha
propostoilmodelloteoricodi
ununiversosenzacontornoo
confini, ossia senza necessità
di speciali o singolari
condizioni iniziali, e lo ha
fatto non nascondendo che
esso era stato appositamente
concepito per eliminare
l’ipotesidiDio:
Lateoriaquantisticadella
gravità è venuta a
dischiudere una nuova
possibilità: quella che lo
spazio-tempo non abbia
un confine e che, di
conseguenza, non ci sia
necessità di determinare
che cosa avviene in
corrispondenza di questo
confine.Noncisarebbero
singolarità
[…]
né
margini estremi dello
spazio-tempo arrivati ai
quali potremmo solo
appellarci a Dio. […]
L’ideapercuilospazioe
il tempo possono formare
una superficie chiusa, ma
privadiconfini,haquindi
delle
profonde
implicazioni per quanto
riguarda il ruolo di Dio
nelle
vicende
dell’universo.115
In altre parole, se lo
spazio-tempo non ha un
confine o delle condizioni al
contorno che lo delimitano,
nonsièmaideterminatouno
stato iniziale totalmente
«singolare»nelqualeleleggi
normali della fisica non
valevano ancora; quindi tutto
rientra nell’ordinarietà della
fisicael’esistenzadelcosmo
si giustifica da sé, senza
bisogno di un attore esterno
chiamatoDio.
Più di recente Hawking è
ritornato sulla questione del
superamento delle condizioni
iniziali o della singolarità
primordiale con un nuovo
saggio di tenore filosofico,
scritto
con
il
fisico
californiano
Leonard
Mlodinow,
ed
emblematicamente intitolato
TheGrandDesign(2010).In
esso,
ripercorrendo
rapidamente la storia della
fisica moderna e della
cosmologia con speciale
attenzione alle teorie della
gravità e della meccanica
quantistica, i due autori
sostengono che l’universo
non ha una singola storia
bensì tante storie simultanee,
che ogni cosa si sarebbe
originata da fluttuazioni
quantistiche, compresa la
presenza
di
molteplici
universi emersi dal «nulla
quantistico».Tuttoquestoper
concludere che il Big Bang
sarebbe
appunto
un’inesorabile conseguenza
delle leggi della fisica, in
particolare della gravità
spiegata anche in termini
quantistici con una teoria del
Tutto o M-theory. E
adottando la teoria del
Multiverso (il Tutto sarebbe
costituitodamolteplicicosmi
oltre al nostro), non c’è più
bisogno di un Creatore, non
risulta
cioè
necessario
«appellarsi a Dio per
accenderelamicciaemettere
in moto l’universo»,116
poiché bastano le attuali
conoscenze
fisiche
per
stabilire che il cosmo può
crearsi da sé e che presto o
tardi dalla pletora dei
molteplici universi della
«teoria M» dovette scaturire
necessariamente
e
spontaneamente anche il
nostro.
L’assenza di scopo o di
un disegno del cosmo,
l’origine dell’universo senza
contornoossiasenzasingolari
condizioni iniziali e la teoria
degliuniversimolteplicinelle
sue svariate formulazioni
(bolle-universo,
universi
paralleli, cosmo pulsante,
Multiverso
ecc.)
rappresentano dunque le
principali tesi a cui ricorre
l’ateismo fisico-cosmologico
per provare scientificamente
chesipuòfareamenodiDio.
Oltre
ai
menzionati
Weinberg,
Hawking
e
Mlodinow, si sono collocati
su questa scia nomi famosi
comel’astronomoCarlSagan
(1934-1996), il fisico delle
particelleVictorJohnStenger
e l’astrofisico Lawrence
MaxwellKrauss.
Sagan, pur preferendo
definirsi agnostico, persegue
difattounaformadiateismo
stratoniano per cui l’onere
della prova dell’esistenza di
Dio spetta al credente, ma è
anche evidente che detta
provanonsussiste.Egli,tanto
in una serie di trasmissioni
televisive intitolate Cosmos
(messe in onda negli Stati
Uniti nel 1980) quanto
nell’omonimo libro, allorché
sitrovadifrontealproblema
della prima mossa ripropone
gli argomenti di Bertrand
Russell sull’obbligo di
chiedersianche«dadoveDio
sia venuto. E se diciamo che
questaèunadomandacuinon
si può dare risposta, perché
alloranonconcluderecheèla
stessa origine dell’universo a
cui non si può dare
risposta?»117.
La
sua
posizione è indiscutibilmente
quella
del
naturalismo
evoluzionista, non fosse altro
perché è stato tra i primi a
estendere
la
teoria
dell’evoluzione
all’intero
ordine cosmico. In tal senso,
il cosmo è semplicemente
«tutto ciò che è o è stato o
sempre sarà»118, senza
bisogno di porsi la questione
di chi l’ha creato. Difatti il
nostro
astronomo
e
divulgatorescientificoplaude
al tentativo di Hawking di
prospettare
un’origine
cosmicadovenonsianeppure
ipotizzabile ricorrere all’idea
di Dio, quindi «un universo
senza confini nello spazio,
senzainizioofineneltempo,
e con nulla da fare per un
creatore»119.
Degli altri due scienziati
sopra menzionati, ricordiamo
in breve che Victor John
Stenger si descrive come un
ateo cresciuto in un quartiere
cattolico del New Jersey e
pensa che le osservazioni
scientifiche della natura non
facciano altro che condurci
allaconclusionecheilmondo
è costruito «come se non ci
fosse
alcun
Dio».120
Lawrence Maxwell Krauss
segueinvecepureluilastrada
dell’universochepuòsorgere
dalnullaquantisticoeriflette
positivamente sull’ipotesi del
Multiverso per concludere
«unavoltadipiùcheDionon
è necessario, o come minimo
èridondante»;equestorisulta
vero anche se «un mondo
senza Dio o senza scopo può
sembrare sgradevole o privo
disenso».121
Ma tanta sicurezza nel
concludere che le leggi della
fisica spiegano ormai tutto
delle origini dell’universo
appare sospetta e in odore di
essere viziata da un eccesso
diottimismo,tantopiùcheci
troviamo nel campo di teorie
non
ancora
neppure
lontanamente confermate o
ben
corroborate,
come
appunto la M-theory. La
stessa assenza di uno scopo
fisico del nostro sistema
cosmologico
è
un’affermazione di per sé
banale, tanto che l’astrofisica
statunitense Margaret Geller
ha così replicato a Steven
Weinberg: «Perché dovrebbe
avere uno scopo? Quale
scopo? È solo un sistema
fisico,chescopoc’è?».122La
mancanza di un fine in un
sistema fisico c’entra infatti
poco o niente con la
questione dello scopo in
senso
teleologico,
con
l’eventuale presenza o meno
di un progetto finalistico
tanto
naturale
quanto
soprannaturale. Per altro non
mancanoifisicichedalpunto
di
vista
del
senso
dell’esistenza umana nel
cosmo non rinunciano alla
ricerca di uno «scopo» e non
possono fare a meno di
«combattere
con
il
significato»: «Per me – ha
confessato il premio Nobel
ArnoAllanPenzias–sarebbe
orribileaverelasensazionedi
vivere in un mondo senza
significato». La dimensione
ontologica del senso e con
essa quella di Dio restano
dunque aperte all’indagine
razionale, anche perché gli
scienziati devono prendere
atto che ci sono «limiti alla
scienza oltre i quali la
comprensione non sarà mai
possibile»,123
mentre
rimangono sempre praticabili
le vie della speculazione
teologico-filosofica.
Sarebbe dunque meglio
per gli atei scientifici o
scientisti essere più cauti
nelle conclusioni tanto più
che, come ha riconosciuto lo
stesso Hawking, per ora
siamoalmassimoinpossesso
di modelli matematici che
esistono soltanto nella nostra
mente. La possibilità di far
scaturire l’intero cosmo dal
nulla quantistico a seguito di
una fluttuazione quantica
costituisce
infatti
una
congettura non verificata
empiricamente
e
assai
difficilmente
verificabile,
neppure per via indiretta
come avviene con le
particelle subatomiche in una
camera a bolle. Per battere
questa
strada
occorre
probabilmente andare oltre la
fisica,comeperaltroqualche
scienziato ritiene già di poter
fareconlacosmologia.124Ma
risponderealladomandasulle
origini e sul perché c’è
l’essere piuttosto che il nulla
andando oltre la fisica
significa
evidentemente
entrarenellameta-fisica,dove
qualsiasi
approccio
cosmologico non sarà più
scientifico, bensì filosofico.
Del resto l’immagine stessa
del Multiverso costituisce
un’idea «astratta» ossia non
verificabile o falsificabile
empiricamente, perché dal
nostro universo, in cui siamo
rinchiusisenzapoterinalcun
modouscire,nonsaremomai
in grado di osservare o
semplicemente percepire la
presenza di altri universi.
Siamo in altri termini al
cospetto di teorie meramente
speculative, ossia meta-
empiriche e, in quanto tali,
inidonee
a
confutare
scientificamentel’esistenzadi
Dio. E lo stesso naturalismo
evoluzionistico esteso al
cosmo che si trova alla base
di tali ideazioni teoriche non
rappresenta una spiegazione
scientifica, bensì un modo
discutibile di fare ricorso a
teorie scientifiche per dar
conto
di
questioni
metafisiche.125
7.Casoenecessità
L’ateismo biologico si
configura
indubbiamente
come la punta avanzata
dell’ateismo scientista o
comunque come l’approccio
argomentativo più vigoroso
contro l’esistenza di un
Creatore
intelligente
e
perfetto; questo perlomeno a
partire dalla fine dell’800 e
pertuttoilXXsecolo.Nonsi
può
disconoscere
che
l’introduzione della teoria
darwiniana dell’evoluzione
quale
paradigma
fondamentale delle scienze
biologiche ha messo in crisi
una tradizione teologica che
vedeva nella specie umana il
prodotto di una creazione
diretta e la destinataria di un
precisoeprivilegiatodisegno
divino. Per gli atei scientifici
di matrice biologica la crisi
della teologia occidentale
sarebbe ormai definitiva e
trascinerebbeinesorabilmente
con sé l’idea metafisica di
Dio della tradizione ebraicocristiana:
l’evolversi
spontaneo della vita dalla
materiaedellespeciedaaltre
specieprecedentirendeinfatti
superflua la presenza di un
creatore e di un ordinatore
teistico. A differenza di
quanto
qualcuno
ha
sostenuto,
contro
tale
posizione non rappresenta
una valida difesa neppure il
ricorso
alla
teoria
cosmologica nota come
principio antropico, la quale
nella sua versione forte (in
siglaSAP–StrongAnthropic
Principle) sostiene che il
nostro
universo
deve
necessariamente presentare
quelle proprietà favorevoli
allosviluppodellavitaumana
in almeno una fase della sua
storia.126Anzi,seinterpretato
in senso marcatamente
deterministico
e
materialistico, il principio
antropico forte si traduce in
una
tesi
a
sostegno
dell’ateismo
scientifico,
perché prospetta per la
dimensione naturale che
include la specie umana «un
necessario
determinismo
legato all’essere stesso del
cosmo, inteso come realtà
ultima»127 autosufficiente,
quindi non bisognosa di una
giustificazioneodiunacausa
aessatrascendente.
È evidente che in questo
contestobiologicoeinquesta
direzione
interpretativa
l’esistenza degli esseri umani
risulta del tutto priva di un
valore specifico e di un
significato sia in termini
biologici sia in termini
cosmologici. «Ho sempre
pensato – ha affermato il
chimico ateo Peter William
Atkins
–
di
essere
insignificante. […] E penso
che
anche
il
resto
dell’umanità
dovrebbe
rendersi conto di quanto sia
insignificante. Voglio dire,
siamosolounpo’difangosu
un pianeta che appartiene a
unsole.Potrebberoessercene
miliardidialtri».128Daciòsi
dovrebbe anche arguire che
l’idea di Dio non solo è
insensata,marappresentauna
complicazione inutile, specie
per una mentalità scientifica
abituataadapplicareilrasoio
di Ockham della soluzione
piùsemplice.Infatti«undioè
la definitiva antisemplicità,
una complessità al di là di
ogni comprensione». In altri
termini, Dio è per lui
sinonimo di fallimento
intellettuale, rappresenta il
pessimismo
estremo,
l’antitesi della fiducia nelle
facoltà
umane,
nell’ottimistica forza che
guidalascienza.Indefinitiva
allora la scienza «riduce la
complessità del mondo e fa
diminuireilbisognodiundio
che crea e controlla»,129 in
particolare per la specie
umana.
In generale questo è il
punto di vista che sottende
tutto
il
naturalismo
neodarwiniano
e
ultradarwiniano:
esso
sottolinea la semplicità della
spiegazione evoluzionistica
del mondo naturale e la
marginalità delle singole
specieviventi.Tantoilcosmo
quanto i viventi sono
sottoposti
al
vortice
tempestoso del gioco delle
forze della natura e degli
eventi casuali, che fa della
presenza degli esseri umani
unfattodeltuttooccasionale.
Il
primo
protagonista
dell’ateismo
biologico
moderno è stato il già
menzionato Jacques Lucien
Monod (1910-1976) con la
pubblicazionedelsuoIlcaso
e la necessità (1970): in
questo
piccolo
libro
contestava
efficacemente
l’idea della presenza di un
finalismo o di un progetto
all’interno del mondo dei
viventiericonducevalarealtà
biologica all’imprevedibile
intersecarsi della casualità e
del determinismo delle leggi
naturali. Sostenitore della
teoria
sintetica
dell’evoluzione
(basata
essenzialmente
sull’integrazione
della
selezione naturale con le
scoperte della genetica), egli
ammetteva da un lato che
«l’oggettività ci obbliga a
riconoscere il carattere
teleonomico degli esseri
viventi»,
ma
dall’altro
rifiutava il finalismo naturale
e concludeva che «il
problema centrale della
biologia consiste proprio in
questa contraddizione che
occorre risolvere se essa è
solo apparente, o dimostrare
insolubileseèreale».130
Il programma scientifico
diMonodsiprefiggevainfatti
di spiegare i caratteri dei
viventi riconducendoli tutti
all’interazionetramolecoledi
variogenereepertalemotivo
è giustamente considerato
uno dei pionieri della
modernabiologiamolecolare.
IllibrodiMonodèatuttigli
effetti un testo di filosofia
della biologia, perché vi si
prende in attento esame il
rapporto tra essere umano e
naturadall’Antichitàaigiorni
nostri, tenendo conto di tutte
le concezioni metafisiche o
naturalistiche che ne sono
scaturite.Ese
l’ambizione ultima della
scienza consiste proprio
nel chiarire la relazione
tra uomo e universo,
allorabisognariconoscere
alla biologia un posto
centrale poiché, tra tutte
lediscipline,essatentadi
raggiungere
più
direttamente il nocciolo
delle questioni che è
indispensabile risolvere
primadipoteranchesolo
porre in termini non
metafisici il problema
dellanaturaumana.131
Possiamoalloraaffermare
che il vero obiettivo del
saggio monodiano consiste
nell’eliminare
qualsiasi
tentazione vitalista e teistica,
dalla scienza spiegando il
regno della vita e del cosmo
senza alcun ricorso al
trascendente
o
all’immateriale.
L’intera
storia delle idee a partire dal
1600, ossia dalla rivoluzione
scientifica,
viene
così
interpretatacomeuntentativo
da parte di filosofi, scienziati
e teologi di evitare la
catastrofe, di impedire che si
spezzi quella che Monod
definiscel’«AnticaAlleanza»
trauomoenatura.Inbreve,il
pensiero
moderno
assomiglierebbe a un enorme
sforzo (fallimentare) di
forgiare un «nuovo anello»
che ci mantenga legati a un
ordine cosmico sensato,
ovvero che funzioni come il
principio teleonomico dei
viventi, e quindi serva a
preservare lo spazio di Dio.
Si deve invece riconoscere
che«ilcasopuro,ilsolocaso,
libertà assoluta ma cieca,
costituiscelaradicestessadel
prodigioso
edificio
dell’evoluzione: oggi questa
nozione
centrale
della
biologia non è più un’ipotesi
fra le molte possibili o
perlomeno concepibili, ma è
la sola concepibile in quanto
è l’unica compatibile con la
realtàqualecelamostranole
osservazioniel’esperienza».
Dagli
studi
sulle
alterazioni del DNA emerge
infatti che sono eventi
«accidentali, avvengono a
caso. E poiché esse
rappresentano la sola fonte
possibiledimodificazionedel
testo genetico, a sua volta
unico depositario delle
strutture
ereditarie
dell’organismo, ne consegue
necessariamente che soltanto
il caso è all’origine di ogni
novità,diognicreazionenella
biosfera».132 La necessità
delleleggidinatura,chepure
esiste, pare così sottostare al
primatodelcasoocomunque
dipendereinbuonamisurada
esso:
«L’avvenimento
singolare, e in quanto tale
essenzialmente
imprevedibile,
verrà
automaticamente
e
fedelmente
replicato
e
tradotto,
cioè
contemporaneamente
moltiplicato e trasposto in
milioni o miliardi di
esemplari.Uscitodall’ambito
del puro caso, esso entra in
quello della necessità, delle
più
inesorabili
determinazioni».133
In
definitiva Jacques Monod,
inserendosi nel filone del
pensierotichistico,«hamesso
in piedi qualcosa che si
potrebbe chiamare un’antiteologia naturale»,134 dove il
caso vince sull’idea di Dio e
su qualsiasi altra forma
religiosa di interpretare la
natura. Il termine «tichismo»
d’altronde deriva dal greco
τύχη (tyche) e indica la
prioritàolapredominanzadel
caso o della sorte nell’ordine
naturale. È stato infatti
utilizzatodalfilosofoCharles
Sanders Peirce (1839-1914)
per sostenere, rifacendosi
all’atomismo greco e al
darwinismo,chelarealtàtutta
è immersa nel dominio della
casualità
e
dell’imprevedibilità.
Ci
dobbiamo perciò rassegnare:
«L’antica alleanza è infranta;
l’uomo finalmente sa di
essere solo nell’immensità
indifferente dell’universo da
cuièemersopercaso».135
Molto vicino e spesso in
sintonia con Monod è il
biologo François Jacob
(1920-2013), che con lui è
anche co-intestatario del
premioNobel.Provenienteda
famiglia di religione ebraica,
racconta di essere diventato
convintamente
ateo
prestissimo, all’età del bar
mitzvah,
ossia
al
raggiungimento
della
maturitàebraicachecadeper
imaschiintornoai13anni.136
Anch’egli reputa senza senso
cercare un qualche finalismo
nell’evoluzione della vita,
perché «Darwin ha eliminato
sia la finalità del mondo
vivente sia la vecchia
teleologia aristotelica»; e
questononostanteilfattoche
«la finalità dell’organismo
abbia
ricevuto
una
consacrazione
ufficiale»,
perché ciò è avvenuto
soltanto in qualità di
«concetto
operativo
o
strumento di analisi».137
Jacob del resto considera
l’evoluzione neodarwiniana
una specie di bricolage
proprio perché in essa è
completamente assente un
piano precostituito e ben
organizzato in vista di un
fine; pertanto chi volesse
pensare a un Creatore
dovrebbe concepirlo non
come un Supremo Architetto
o Sublime Artefice, bensì
come un semplice bricoleur,
un dilettante con l’hobby del
bricolage che assembla le
forme viventi come meglio
può in base al materiale
messo di volta in volta a sua
disposizionedalcaso.138
Il messaggio del biologo
francese sta a significare che
per lui come per Monod non
sussiste nessun disegno
divino, nessun Intelligent
Designercheabbiaprogettato
con ordine e precisione
l’evoluzione dei viventi o
anche semplicemente la
presenza finale della specie
umana
come
scopo
preordinato. Se esiste una
«logica
del
vivente»,
quest’ultima è condizionata
dalcaso,cioèdatuttoquanto
lelegginaturali(geneticheed
evolutive)«trovanoingiro»o
per strada: «Esorcizzando
l’idea di necessità, la teoria
dell’evoluzione libera il
mondodegliesseriviventida
ogni residuo di trascendenza
[…].
La
teoria
dell’evoluzione liquida l’idea
diun’armoniaprestabilitache
abbia imposto agli esseri
viventi
un
determinato
sistema di relazioni. Alla
necessità del mondo vivente
si sostituisce la contingenza,
che già regnava nel mondo
dei corpi celesti e in quello
delle cose inanimate».139 Ne
deriva che «l’introduzione
della contingenza nel mondo
delviventeaoperadiDarwin
e di Wallace rappresenta, per
la biologia, il “tutto è
permesso”
di
Ivan
Karamazov».140
Nelle menti e nella
propaganda
degli
atei
scientisti
la
teoria
dell’evoluzione per selezione
naturale di Charles Darwin
(1809-1882)
è
dunque
diventata la prova cruciale
dell’impossibilità
o
dell’inutilità di Dio, come si
capisce bene leggendo il
saggiodelfilosofoamericano
Daniel Clement Dennett
intitolatoL’ideapericolosadi
Darwin. L’evoluzione e i
significati della vita (1995),
che è diventato il principale
testo di riferimento per tutto
l’ateismobiologico.Perilsuo
autore
lateoriadarwinianaèuna
teoria scientifica, una
grande teoria scientifica,
ma questo non è tutto.
[…] L’idea pericolosa di
Darwin intacca la trama
delle nostre convinzioni
dibase.[…]IlDiogentile
che con amore ha dato
forma a ciascuno di noi
(tuttelecreature,grandie
piccole) e ha cosparso il
cielodistellebrillantiper
il nostro diletto, quel Dio
è,comeBabboNatale,un
mitodell’infanzia.141
Dennett
vuole
fare
dell’evoluzionismo biologico
un principio radicale in
favore di un naturalismo
evoluzionistico che non può
accettare sbavature rispetto
alla presunta ortodossia
darwiniana e al suo
meccanismo a un tempo
deterministico e casuale: «La
mia ispirazione fondamentale
è il naturalismo, l’idea
secondo la quale le indagini
filosofichenonsonosuperiori
né preliminari alle indagini
delle scienze naturali, ma
agiscono in armonia con tali
scienze, nell’andare alla
ricerca della verità»142.Tutto
dunque è sottomesso al
giudiziodellescienzenaturali
fondate
sul
paradigma
ultradarwiniano, al punto da
innescare attacchi vigorosi
perfinocontrodarwinianinon
credenti o agnostici perché
considerati
non
sufficientemente ortodossi,
qualiadesempioStephenJay
Gould(1941-2002)conilsuo
principio dei «Magisteri non
sovrapposti»
(NonOverlapping Magisteria –
NOMA) di scienza e
religione.143 A Gould il
filosofo
americano
rimprovera
di
cercare
comunque dei «ganci appesi
al cielo», evitando così la
lettura integralista dell’idea
pericolosa di Darwin per cui
«l’evoluzionerisultainultima
analisi soltanto un processo
algoritmico»,144 un puro
processo meccanico simile a
un calcolo matematico.
L’algoritmo è infatti un
modello
matematico
deterministico, in quanto
presuppone una ben precisa
catena di eventi sul tipo
causa-effetto, quindi con un
meccanismo ad andamento
consolidato;edaciòdiscende
che
anche
la
teoria
dell’evoluzione per selezione
naturale costruisce una serie
di accadimenti biologici
rigidamente determinati dal
manifestarsi delle pressioni
selettive,percuiacertidatidi
partenza
corrispondono
altrettantidatifinali.
Ma
se
tutto
è
predeterminato
dai
meccanismi della selezione
naturale,nonsorprendeallora
cheDanielC.Dennettritenga
di poter «riprogettare l’etica
lungo
una
linea
darwiniana»145, facendo pure
definitivamente
della
religione «un fenomeno
naturale, nel senso che non è
soprannaturale, che è un
fenomeno umano fatto di
eventi, organismi, strutture e
formesimilicheobbediscono
alle leggi della fisica o della
biologia e che dunque non
implicanoalcunmiracolo»146.
La credenza religiosa in Dio
perciò altro non sarebbe se
non una risposta a fattori
ambientali selettivi, se non
l’interazione tra un fattore
intenzionale
innato
o
biologico e alcuni fenomeni
culturali
indotti
dalla
necessità di un adattamento
utile a produrre effetti
psicologici positivi sia a
livello individuale sia a
livello di specie, ovvero
funzionando sul singolo
individuo quale antidoto
all’ansia prodotta dalla lotta
per la vita e sulle comunità
quale
strumento
di
autodisciplina all’interno di
un ordine sociale. D’altronde
appare tipico degli atei
naturalisti ridurre la religione
a
un
epifenomeno
dell’evoluzione delle specie,
fino addirittura a parlare con
il sociobiologo Edward
OsborneWilsondiun«istinto
religioso» che si fonda
sull’istinto di sopravvivenza
contro i pericoli della natura:
«Lapaura,comediceilpoeta
Lucrezio,fulaprimaragione
per cui vennero creati gli
dei».147
A onor del vero Daniel
Clement Dennett sembra
ammettere che per l’ateismo
costituisca uno scoglio
problematico la presenza
dellacredenzareligiosacome
elemento «ubiquitario delle
civiltà umane», ossia diffuso
ovunque nella geografia e
nellastoriapassateepresenti
dell’umanità. Essa risulta
tanto più problematica se
come gli atei scientisti si
partedalpresuppostosecondo
cui «la fede in Dio non può
essere giustificata da alcuna
argomentazione scientifica o
logica» e quindi dovrebbe
venire
considerata
spontaneamente
come
irrazionale e illusoria da tutti
gli individui pensanti. Il
dovere di dare conto delle
credenze religiose in termini
naturalistici si tramuta così
per il filosofo americano in
«una parte dell’onere della
prova
dell’ateo
spesso
dimenticata». Per uscire da
una situazione di obiettiva
difficoltà,nontrovaperòalla
fine niente di meglio che
appellarsi al fatto che la
biologia evoluzionistica in
futuro sarà certamente in
gradodifornire«unastruttura
esplicativa» anche per «la
genealogia della teologia»,
come dimostrerebbero alcune
ipotesi di «lavori recenti nel
campo
delle
scienze
evoluzionistiche sociali».148
Tuttociòsenzarendersiconto
chestaasuavoltacompiendo
un atto di fede: quello nel
naturalismo evoluzionistico
che accomuna tanti atei
scientifici.
Altro grande teorico
dell’ateismo biologico ed
evoluzionistico
contemporaneo è lo zoologo
RichardDawkins.Nontroppo
distante
da
Dennett
nell’impostazionedifondo,si
è caratterizzato come il
nemico militante dei teisti e
inparticolaredeicreazionisti,
non meno passionale – come
lui stesso ha riconosciuto –
dei fondamentalisti religiosi,
e
quindi
come
loro
fermamente convinto di
essere nel giusto. Tuttavia
solo la sua passione «si basa
sulle prove. La loro [quella
dei fondamentalisti], sfida
apertamente l’evidenza, e
sololaloroèintegralista»149.
Riconosciamo qui subito
l’impostazione positivista del
suo pensiero, poiché traccia
con nettezza un solco tra ciò
che è provato empiricamente
eciòchenonloè,traquanto
derivadalsaperescientificoe
quanto invece da mera
ideologia; difatti, come
sappiamo, per lui credere in
Dio e nelle religioni è da
analfabeti scientifici. Per
giunta di fronte alle
contraddizioniviventiditanti
suoi colleghi scienziati
credenti, egli non sa fare di
meglio che negare l’evidenza
sostenendo che «i grandi
scienziati del nostro tempo
che a prima vista sembrano
religiosi non lo sono se si
compie
un’analisi
più
attenta»150.
Anche per Dawkins la
teoria
darwiniana
dell’evoluzione
ha
definitivamente falsificato e
resoimpossibilequalsiasitipo
di credenza religiosa e ogni
forma di teismo, come
avrebbe
evidenziato
in
qualche modo lo stesso
Charles Darwin parlando del
suo libro sull’origine delle
speciecomeilprodottodiun
«CappellanodelDiavolo»151.
Difatti il nostro zoologo si è
riproposto proprio di imitare
Darwin intitolando A Devil’s
Chaplain(2003)unodeisuoi
tanti saggi di propaganda
ateista e antireligiosa.152 Nel
farlo non ha tuttavia
trascurato il fatto che se la
scienzaconlabiologiarisulta
unasicurabaseperl’ateismo,
non altrettanto rischia di
avvenire nel campo delle
scienze fisico-cosmologiche;
pertanto si è preoccupato di
difendere con argomenti
statistici la teoria del
Multiverso in opposizione a
tutte le ipotesi teologiche
sull’origine del cosmo: «La
differenza fondamentale tra
l’ipotesi di Dio, che è
effettivamente un lusso, e
l’ipotesidelMultiverso,cheè
solounlussoapparente,èuna
differenza di improbabilità
statistica.
Per
quanto
lussuoso, il Multiverso è
semplice. Dio […] è molto
improbabile».153 Abbiamo
trattato in precedenza delle
difficoltà scientifiche di fare
della teoria del Multiverso
una risposta convincente
all’esistenza
dell’attuale
ordine cosmico, tuttavia
pensare di risolvere tutti i
problemi dichiarando Dio
statisticamente
più
improbabile di tale teoria ci
pare, ancor prima che
un’assurdità, un’incredibile
ingenuità,specieperunuomo
di scienza. Del resto «la
statistica va applicata a
posteriori e non a priori»,
come fa invece qui Dawkins,
e pertanto il suo concetto di
improbabilitànonèbasatosu
valutazioni scientifiche, ma
tuttalpiù «è solo un’opinione
personale».154
Per tornare sul terreno
della biologia, va ricordato
che lo zoologo inglese si è
caratterizzato come uno dei
maggiori
critici
dell’Intelligent
Design,
ovvero delle presunte prove
biologiche avanzate dagli
assertori
del
disegno
intelligente
a
partire
dall’argomento dell’orologio
e dell’orologiaio (o Design
Argument)
del
teologo
anglicano William Paley
(1743-1805)155. Influenzato
comemoltialtriateiscientisti
da David Hume156, ma
spingendosi ben oltre lo
scetticismo
illuministico,
Dawkins propugna la tesi
radicale di un’evoluzione
naturale
che
procede
completamente alla cieca,
ossia come un «orologiaio
cieco perché non vede
dinanzi a sé, non pianifica
conseguenze, non ha in vista
alcun fine». Nonostante ciò,
la teoria darwiniana sarebbe
comunque
adeguata
a
spiegarecomemai«irisultati
viventi
della
selezione
naturale
ci
danno
un’impressione
molto
efficace dell’esistenza di un
disegno intenzionale di un
maestro orologiaio».157 Nel
suo scritto più famoso
intitolato Il gene egoista
(1976), Dawkins aveva già
descritto gli esseri viventi
come le strutture più
complicate
presenti
nell’universo, ma anche in
fondo
come
tutte
riconducibiliallareplicazione
di un gene, ossia di quella
molecolaegoista(selfish)che
hacomefineesclusivolasua
immortalità e che per
conseguirlanonsifascrupolo
di utilizzare lo strumento
dell’estinzione di forme
viventi meno adatte o
biologicamente
meno
competitive: «I geni sono
potenzialmente
immortali,
mentreicorpielealtreunità
superiori [di viventi] sono
temporanei»158. Come egli
stessoriconosce,lateoriadel
gene
egoista
è
una
«derivazione logica del
neodarwinismo
ortodosso»159, quindi di quel
rifiuto del finalismo naturale
e
dell’adesione
all’impostazione
casonecessità tipica dell’ateismo
evoluzionista.
Sempre e solo la
selezione naturale sembra
dunque l’unica risposta
possibile alla difficoltà di
ritenere
meramente
accidentalelacomplessitàela
perfetta funzionalità degli
organismi
viventi
che
osserviamo continuamente in
natura. Sebbene Dawkins
ammetta che è evidente che
tuttociò«nonèavvenutoper
caso», tuttavia insiste nel
sostenere che «il progetto
intelligentenonèl’alternativa
giusta. La selezione naturale
non è solo una soluzione
economica plausibile ed
elegante, ma è anche l’unica
alternativa concreta alla
casualità che sia mai stata
formulata». L’accumularsi
progressivo di tante piccole
variazioni
nei
viventi
spiegherebbe alla fine quelle
complessità organiche che se
concepite
come
realtà
prodottesi in un unico
momentosarebberoaltamente
aleatorie
e
quindi
difficilmente
giustificabili
anche sul piano scientifico.
Da ateo può pertanto
concludere affermando che
«il creazionista non coglie il
punto: egli infatti si ostina a
trattare
la
genesi
dell’improbabilità statistica
come un evento unico e
straordinario. Non capisce il
potere
dell’accumulazione».160
D’altronde se «Dio esiste
o non esiste è una questione
scientifica»dicui«ungiorno
conosceremo la risposta».161
Allo stesso modo «la
religione è cattiva scienza» e
chinoncredenell’evoluzione
è una persona «ignorante,
stupida o pazza (o in
malafede, ma preferisco non
considerare
questa
ipotesi)».162 Per questo
Richard Dawkins è molto
critico pure nei confronti
degli agnostici, al punto che
nel suo The God Delusion
(2006) giunge a titolare un
paragrafo
«Miseria
dell’agnosticismo». A suo
dire «va benissimo essere
agnostici quando mancano le
prove a favore dell’una o
dell’altra ipotesi. È una
posizione
ragionevole».
Tuttavia sulla questione di
Diolecosenonstannocosìe
l’agnosticismononèpertanto
ammesso,
perché
«l’inesistenza di Dio è un
fatto scientifico inerente
all’universo, dimostrabile in
teoria, se non in pratica»;163
un elemento dunque non
ipotetico, ma certo al pari di
qualsiasi
conoscenza
scientifica.
Quanto
al
problema di un significato
dell’esistenza umana che
vadaoltreilriduzionismodel
gene egoista, Dawkins la
pensa grosso modo come
Steven Weinberg: la vita
assume«ilsenso,lapienezza
e la bellezza che noi stessi
decidiamo di assegnarle»164.
Ma osserviamo qui che non
basta certo la volontà o la
capacità di attribuire da soli
un significato alla propria
singolaesistenzaperrisolvere
la questione universale del
«senso», tanto più che
individualmente non tutte le
vite sono soddisfacenti e
fortunate come quelle di
scienziati e scrittori di
successo.
Da un punto di vista
strettamente scientifico o in
generale dell’argomentazione
logica non è però fondata la
pretesa di trasformare la
teoria dell’evoluzione per
selezione naturale in uno
strumento di confutazione
dell’esistenza di un Dio
creatore e di un progetto
intelligente. Questo fatto era
fin dall’inizio ben presente
allostessoCharlesDarwin,il
quale rispetto all’esistenza di
Dio
si
dimostrava
interiormentecombattuto,ma
certamente poi dichiarava di
non avere «alcuna intenzione
di scrivere da ateo». E
nonostantelesuedifficoltà«a
vedere con la stessa
semplicità di altri […] le
prove del disegno e della
benevolenza divini» come
tantoavrebbedesiderato,non
riuscivaa«considerarequesto
meraviglioso universo, e
soprattutto
la
natura
dell’uomo, e concludere che
ogni cosa è il risultato della
forzabruta».Spronatodalsuo
amico botanico Asa Gray
(1810-1888),
Darwin
riconoscevainoltrechelesue
idee «non sono affatto
necessariamente atee» e che
nulla impedisce che le leggi
naturali tanto fisiche quanto
biologiche «possano essere
state
espressamente
progettate da un Creatore
onnisciente»,165 anche se lui
comunque permaneva in una
posizioneagnostica.
Sull’inefficacia teoretica
dell’evoluzionismo biologico
quale
prova
definitiva
dell’insussistenza di un
disegno intelligente ha finito
per
concordare
(contraddicendosi)perfinoun
ateo incallito come Daniel
Clement
Dennett,
che
incalzato
dal
filosofo
analitico Alvin Plantinga si è
detto«d’accordosulfattoche
la teoria evoluzionistica
contemporanea non dimostra
l’assenza di un progetto
intelligente e un biologo che
volesse insistere dicendo che
è possibile andrebbe sopra le
righe».166 Resta dunque il
dato oggettivo per cui una
serie di fasi del processo
evolutivocosmico,nellequali
avviene il passaggio da stati
di minore complessità della
materia a stati di maggiore
complessità o a complessità
crescente,nonpossonoessere
spiegate dal solo principio
evoluzionistico, ivi incluso
quello per selezione naturale
delleformeviventi,marisulta
necessario
ricorrere
all’intervento
di
un’interazione «eterogena».
Così diventano evidenti tutte
le difficoltà di quella che
sempre Plantinga ha definito
naturalatheology(«ateologia
naturale»).167
D’altra parte il ferreo
combinarsi di casualità e
determinismo
del
meccanismo monodiano è
intrinsecamente incapace di
dar conto della realtà
materiale nel suo complesso,
al punto che «alcuni
evoluzionisti
hanno
cominciatoasostenerechela
bipartizione classica di
Jacques
Monod
risulta
fuorviante e che la storia
naturale
non
è
un
compromessofraledueforze
fondamentali del puro caso e
della
rigida
necessità
selettiva»168. A questo punto
tanto il nichilismo biologico
monodiano
quanto
il
nichilismo cosmologico di
Weinberg,periqualil’ordine
naturale dei viventi e
l’universo intero sarebbero
privi di senso, non appaiono
le uniche soluzioni possibili
partendo
dalle
attuali
conoscenze
scientifiche.
All’interno della stessa
comunità degli scienziati si
confrontano infatti due
oppostevisioni:daunlato
c’è la scienza ortodossa,
con la sua filosofia
nichilista di un universo
senza senso, di leggi
impersonali ignare di
qualunque scopo, di un
cosmo in cui la vita e
l’intelligenza,lascienzae
l’arte, la speranza e la
paurasonosoloifortuitie
accessori abbellimenti di
un
affresco
dell’irreversibile
corruzione
cosmica.
Dall’altra c’è […] la
visione di un universo
autorganizzato
che
accresce
la
propria
complessità,governatoda
leggi ingegnose che
spingono la materia a
evolversiversolavitaela
coscienza.Ununiversoin
cui l’emergere di esseri
pensantièparteintegrante
e
fondamentale
dell’ordine complessivo
delle cose. Un universo
nel quale non siamo
soli.169
Con la seconda delle due
visioni, quella dell’universo
autorganizzato e finalistico,
può concordare il teismo
evoluzionistasecondocuiDio
opererebbe come l’autore di
una commedia dell’arte,
limitandosicioèaredigereun
«canovaccio» o «scenario»
contenente le trame possibili
(i tracciati dell’evoluzione
cosmologica),
le
parti
principali(ilruolodelleforze
dellanatura,dellaselezionee
dellemutazionigenetiche)eil
finale (la vita intelligente),
lasciando poi ampio spazio
all’improvvisazione casuale
dei diversi attori presenti sul
palcoscenico del mondo
naturale. Nonostante il ruolo
importante
del
caso,
sussisterebbe comunque una
fitness of the cosmos for life
(idoneità del cosmo per la
vita)170 per la quale
l’evoluzione
dell’universo
rimanda a una causa
superiore esterna all’universo
e per quanto ci riguarda
direttamentecomespecie,«in
una visione che va oltre
l’orizzonte
empirico,
possiamo dire che non siamo
uominipercasoeneppureper
necessità, e che la vicenda
umana ha un senso e una
direzione segnati da un
disegnosuperiore».171
1 Vedi R. Jastrow, God and the
Astronomers,
W.W.
Norton
&
Company, New York-London 1992, p.
9.Lafraseinlinguaoriginaleè:«Heis
eitheroverthehillorgoingbronkers».
2 Giovanni Paolo II, Fides et ratio,
Letteraenciclica,n.88.
3F.T.Arecchi,I.Arecchi,Isimboliela
realtà. Temi e metodi della scienza,
JacaBook,Milano1990,p.27.
4 In proposito vedi P. Odifreddi, S.
Valzania, La Via Lattea, Longanesi,
Milano2008.
5 Vedi H. Swain (a cura di), I grandi
interrogatividellascienza,Dedalo,Bari
2004,p.16.
6 Vedi A.W. Geertz, New Atheistic
ApproachesintheCognitiveScienceof
Religion, in M. Stausberg (a cura di),
Contemporary Theories of Religion. A
Critical
Companion,
Routledge,
London-NewYork2009,p.243.
7Lafraseparesiastatapronunciatada
Laplace alla presentazione del suo
trattatocosmologicoMécaniquecéleste.
Vedi P.-S. de Laplace, Opere, Utet,
Torino1967.
8SulcasoGalileiesuirisvolticonnessi
al rapporto scienza-fede vedi R.
Timossi, Dio e la scienza moderna. Il
dilemma della prima mossa, A.
Mondadori,Milano1999,pp.43-75.
9 Vedi J.A. Paulos, La prova
matematica dell’inesistenza di Dio,
Rizzoli, Milano 2008. In Italia aveva
già provato a fare qualcosa di simile
l’ingegnere Roberto Vacca ricorrendo
all’algebrabooleananelsaggioDioeil
computer,Bompiani,Milano1984.
10 Vedi J.S. Huxley, Religion without
Revelation,TheNewAmericanLibrary
(NAL),NewYork1958,p.223.
11H.Hahn,O.Neurath,R.Carnap,La
concezione scientifica del mondo,
Laterza,Bari1979,pp.76-77.
12Sulnaturalismoevoluzionisticovedi
O.Franceschelli,T.Pievani,L’outingdi
Ratzinger contro il darwinismo,
«Micromega», n. 5/2007, pp. 111-27.
Vedi anche F. Facchini, Le sfide
dell’evoluzioneinarmoniatrascienzae
fede, Jaca Book, Milano 2008, pp. 88
sgg.
13 Alcuni studiosi individuano anche
una terza tipologia: quella del
«naturalismo epistemologico». Con
esso si reputano conoscibili soltanto le
entità di cui si può avere esperienza
diretta o riconducibile a un nesso
casuale con un’esperienza diretta. Noi
riteniamo invece che tanto il
naturalismo metodologico quanto
quello ontologico implichino quello
epistemologico.
Sul
tema
del
naturalismo filosofico vedi M.
Micheletti, Teismo e naturalismo nella
recente filosofia analitica, in V.
Possenti (a cura di), Ritorno della
religione? Tra ragione, fede e società,
Annuario di filosofia 2009, Guerini,
Milano2009,pp.97-116.VediancheF.
Laudisa, Naturalismo, Laterza, Bari
2014.
14 P.R. Draper, God, Science and
Naturalism,inW.J.Wainwright(acura
di), The Oxford Handbook of
Philosophy of Religion, Oxford
UniversityPress,Oxford2005,p.279.
15 Sul carattere metafisico e non
scientifico del naturalismo degli atei
scientisti vedi G.M. Hoff, Die neuen
Atheismen.
Eine
notwendige
Provokation,Topos-Pustet,Regensburg
2009.Perladefinizionedi«naturalismo
scientifico» nel pensiero di D. Dennett
vedi J.F. Haught, Dio e il nuovo
ateismo, Queriniana, Brescia 2009, p.
16.
16L.Mason,Veritàecertezze.Naturae
sviluppo delle epistemologie ingenue,
Carocci,Roma2004,p.162.
17 A. Comte, Corso di filosofia
positiva, Utet, Torino 1967, vol. I, p.
202.
18I.Kant,Prolegomeni ad ogni futura
metafisica che si presenterà come
scienza,
Laterza,
Bari
1972,
«Prefazione»,p.41.
19 D. Hume, Ricerca sull’intelletto
umano, in Opere, Laterza, Bari 1971,
vol.II,p.175.
20 Comte, Corso di filosofia positiva
cit.,primalezione,vol.I,p.2.Inlingua
originale vedi A. Comte, Cours de
philosophie positive, Schleicher Frères,
Paris1907-1908.
21Ivi,p.3.
22 Comte, Cours de philosophie
positivecit.,vol.V.
23 Sul pensiero di Pascal vedi R.G.
Timossi, Decidere di credere, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp.
211-32.
24ParolediAugusteComtecitateinD.
Morin,L’ateismomoderno,Queriniana,
Brescia1996,p.35.
25 A. Comte, Système de politique
positive ou Traité de sociologie.
Istituant la religion de l’umanité,
Mathias,Paris1854,vol.IV.
26 É. Durkheim, Le forme elementari
della vita religiosa, Meltemi, Roma
2005,p.493.
27 E. Renan, L’avenir de la science.
Penséesde1848,Larousse,Paris1954,
pp.41e54.
28 Sulla ricerca del Gesù storico vedi
Timossi, Decidere di credere cit.,
capitoloIII.
29 Citato da Bruno Revel nella
prefazione a J.E. Renan, La vita di
Gesù,Feltrinelli,Milano1972,p.9.
30Renan,LavitadiGesùcit.,p.187.
31Lecitazionidaivi,pp.187-92.
32Ivi,p.192.
33 G. Morra, L’ateismo fra moderno e
post-moderno, in S. Burgalassi, C.
Prandi,S.Martelli(acuradi),Immagini
della religiosità in Italia, Franco
Angeli,Milano1993,p.43.
34 E. Renan, Dialoghi filosofici, ETS,
Pisa1992,p.147.
35E.Renan,Dialoguesphilosophiques,
fr.[112],CNRS,Paris1992,p.34.
36Renan,Dialoghifilosoficicit.,p.71.
37 Vedi A. Schweitzer, Storia della
ricerca sulla vita di Gesù, Paideia,
Brescia2003.
38 Le citazioni sono tratte da F. Le
Dantec, L’athéisme, Flammarion, Paris
1907, pp. 13 e 38 (trad. it. di Franco
Virzo,pp.8e22).
39 Le citazioni da ivi, pp. 14 e 19 (ed.
it.,pp.9e11).
40Lecitazionidaivi,pp.24-25(ed.it.,
pp.14-15).
41 B. Pascal, Memoriale, in Pensieri,
Opuscoli, Lettere, Rusconi, Milano
1984,p.302.
42 B. Pascal, Pensées, 423 (277). Vedi
B. Pascal, Frammenti, Rizzoli, Milano
1983.
43LeDantec,L’athéismecit.,pp.54-55
(ed. it., pp. 30-31). Le due leggi
biologiche lamarckiane sono quelle
dellacontinuitànecessariadellestirpie
dell’ereditarietàdeicaratteriacquisiti.
44 Vedi D. Oldroyd, Storia della
filosofia della scienza, Il Saggiatore,
Milano1989,pp.220sgg.
45 S. Freud, Introduzione alla
psicoanalisi,BollatiBoringhieri,Torino
1970,p.355.
46 Lettera del 9 ottobre 1918 a Oskar
Pfister (1873-1956), pastore luterano
svizzero
ed
estimatore
della
psicoanalisi. Vedi S. Freud, O. Pfister,
Psicanalisiefede:letteretraFreudeil
pastore Pfister (1909-1939), Bollati
Boringhieri, Torino 1990. Vedi anche
P.Gay,UnebreosenzaDio,IlMulino,
Bologna1989.
47Letteradel9febbraio1909aPfister,
inFreud,Pfister,Psicanalisiefede cit.
VediancheA.Plé,Freudelareligione,
CittàNuova,Roma1978,p.29.
48S.Freud,Comportamentiossessivie
pratichereligiose,inOpere1886-1921,
Newton Compton, Roma 1993, vol. II,
p.148.
49 S. Freud, Psicopatologia della vita
quotidiana, Bollati Boringhieri, Torino
1970,p.220.
50Lecitazioniprecedentidaivi,p.221.
51 S. Freud, Un ricordo d’infanzia di
LeonardodaVinci,inOpere1886-1921
cit.,vol.II,p.400.
52 S. Freud, Totem e tabù, in Opere
1886-1921cit.,vol.II,p.643.
53Freud,Introduzioneallapsicoanalisi
cit.,p.559.
54 F.S. Trincia, Il Dio di Freud, Il
Saggiatore,Milano1992,p.227.
55S.Freud,L’uomoMosèelareligione
monoteistica. Tre saggi, Bollati
Boringhieri,Torino2002,pp.66-67.
56Ivi,p.142.
57LecitazionidaS.Freud, L’avvenire
diun’illusione,sonotrattedaIldisagio
della civiltà e altri saggi, Bollati
Boringhieri,Torino2001,pp.171-73e
196.
58Freud,Introduzioneallapsicoanalisi
cit.,p.561.
59 Vedi G.S. Hall, Adolescence. Its
Psychology and Its Relations to
Physiology, Anthropology, Sociology,
Sex, Crime, Religion and Education,
HesperidesPress,London2006.
60VediE.D.Starbuck,ThePsychology
of Religion, The Walter Scott, London
1899.
61 J.H. Leuba, The Psychological
Origin and the Nature of Religion,
Constable,London1909.
62 H. Kung, Dio esiste?, Fazi, Roma
2012,p.420.
63 Vedi K.R. Popper, Congetture e
confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972;
Poscritto alla Logica della scoperta
scientifica, Il Saggiatore, Milano 1984,
vol.I.
64 I. Lepp, Psicanalisi dell’ateismo
moderno,Borla,Roma1966,pp.47-48.
65 Vedi A. Dulles, Dio e
l’evoluzionismo: punti fermi per un
dialogo, «Vita e Pensiero», n. 2/2008,
p.73.
66VediV.E.Frankl,Allaricercadiun
significato della vita, Mursia, Milano
2012; Dio nell’inconscio. Psicoterapia
ereligione, Morcelliana, Brescia 2014;
Ciò che non è scritto nei miei libri.
Appunti autobiografici sulla vita come
compito,FrancoAngeli,Milano2012.
67VediE.Mach,Lameccanicanelsuo
sviluppo
storico-critico,
Bollati
Boringhieri,Torino2001,pp.493-95.
68 L. Wittgenstein, Tractatus logico-
philosophicus,6.53e7,Einaudi,Torino
1995,p.109.
69Ivi,6.44,6.45e6.522,pp.108-09.
70 B. Russell, Storia della filosofia
occidentale, Tea, Milano 1993, p. 403.
La prova ontologica cerca com’è noto
didimostrarel’esistenzadiDiopervia
puramentelogicaoapriori.
71 B. Russell, Perché non sono
cristiano, Longanesi, Milano 1973, pp.
6-7.
72B.Russell,Lavisionescientificadel
mondo,Laterza,Bari1988,p.82.
73B.Russell,Scienzaereligione, Tea,
Milano1994,p.9.
74VediL’esistenzadiDio(dibattitodel
1948 tra B. Russell e padre F.C.
Copleston),inRussell,Perchénonsono
cristianocit.,p.137.
75
J.
Ladrière,
Ateismo
e
neopositivismo, in AA.VV., L’ateismo
contemporaneo, SEI, Torino 19671969,vol.II,p.408.
76 Vedi H. Feigl, The Mental and the
Physical, in H. Feigl, M. Scriven, G.
Maxwell,Concepts,TheoriesandMBP
(Mind-Body Problem), Minnesota
UniversityPress,Minneapolis1958,pp.
370-497.
77 Le citazioni da M. Schlick,
Positivismo e realismo, in Il
neoempirismo, a cura di Alberto
Pasquinelli,Utet,Torino1969,pp.27071.
78Lecitazioniprecedentisonotratteda
Hahn, Neurath, Carnap, La concezione
scientificadelmondocit.,pp.70-79.
79 Vedi A. Flew, Theology and
Falsification, in A. MacIntyre (a cura
di), New Essays in Philosophical
Theology, SCH Press, London 1966
(ed. it.: Nuovi saggi di teologia
filosofica, EDB, Bologna 1971). Per il
testo originale della parabola del
giardiniere vedi J. Wisdom, La logica
di Dio e altri saggi sulla religione,
Quodlibet,Macerata2010,pp.9-10.
80A.Flew,GodandPhilosophy,Delta
Book,NewYork1966,p.32.
81 P. Prini, Alle radici dell’ateismo
semantico, in AA.VV., Il problema
dell’ateismo, Morcelliana, Brescia
1966,p.242.
82 Ch. Bradlaugh, A Plea for Atheism,
inG.Stein(acuradi),AnAnthologyof
Atheism and Rationalism, Prometheus
Books,Buffalo1980,p.10.
83 R. Carnap, Il superamento della
metafisicamediantel’analisilogicadel
linguaggio,inIlneoempirismocit.,pp.
512-13.
84
R.
Carnap,
Autobiografia
intellettuale,inP.A.Schlipp(acuradi),
La filosofia di Rudolf Carnap, Il
Saggiatore,Milano1974,vol.I,p.45.
85R.Carnap,Lacostruzionelogicadel
mondo,Fabbri,Milano1966,p.355.
86 Per le citazioni precedenti vedi A.J.
Ayer, Linguaggio, verità e logica,
Feltrinelli,Milano1987,pp.149-58.
87 J.N. Findlay, Language, Mind and
Value, Allen & Unwin, London 1963,
p.8.
88 Sulle varie formulazioni della prova
ontologica vedi R.G. Timossi, Prove
logiche dell’esistenza di Dio da
Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia
critica degli argomenti ontologici,
Marietti,Genova-Milano2005.
89 Prini, Alle radici dell’ateismo
semanticocit.,p.242.
90M.Dorato,Cosac’entral’animacon
gli atomi? Introduzione alla filosofia
della scienza, Laterza, Bari 2007, p.
142.
91 Vedi N.N. Taleb, Il cigno nero.
Come l’improbabile governa la nostra
vita,IlSaggiatore,Milano2014.
92 K.R. Popper, Logica della scoperta
scientifica,Einaudi,Torino1970,p.22.
93 W.V.O. Quine, Due dogmi
dell’empirismo,inDaunpuntodivista
logico. Saggi logico-filosofici, Cortina,
Milano2004,p.35.
94 Vedi Atti del Simposio per
l’ottantesimocompleannodiK.Popper,
in K. Popper, K. Lorenz, Il futuro è
aperto,Rusconi,Milano1989,p.94.
95
Le citazioni da Carnap,
Autobiografiaintellettuale, vengono da
Schlipp, La filosofia di Rudolf Carnap
cit.,vol.I,pp.45-46.Percontrastarele
critichealprincipiodiverificazione,nel
1937 Carnap aveva messo in campo il
cosiddetto«processodiliberalizzazione
dell’empirismo», sostituendo al criterio
forte della verificabilità di una teoria
quello più debole del «grado di
confermabilità» o di «incremento
graduale della conferma» empirica.
VediControllabilitàesignificato,inR.
Carnap, Analiticità, significanza,
induzione,IlMulino,Bologna1971.
96 Sulla svolta teologica della filosofia
analiticavediM.Damonte,Una nuova
teologianaturale,Carocci,Roma2011.
97 Di P. van Buren vedi Il significato
secolare dell’evangelo, Gribaudi,
Torino 1969, e Linguistic Analysis in
Christian
Education,
«Religious
Education», vol. 60, gennaio-febbraio
1965.
98 Vedi F. Russo, La science et
l’incroyance,
«Nouvelle
Revue
Théologique»,marzo1974,pp.246-65.
99 D. Mainardi, L’animale irrazionale.
L’uomo, la natura e i limiti della
ragione, A. Mondadori, Milano 2002,
p.4.
100 Citato alla voce «Concordismo» in
Dizionario interdisciplinare di scienza
efede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A.
Strumia,
Città
Nuova-Urbaniana
University Press, Città del VaticanoRoma2002,vol.I,p.266.
101 R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le
ragionipernoncredere,A.Mondadori,
Milano2007,p.16.
102 Vedi J. Monod, Il caso e la
necessità,Mondadori,Milano1997.
103 I. Prigogine, Le leggi del caos,
Laterza, Bari 1993, p. 3. Vedi anche I.
Prigogine, I. Stengers, La nuova
alleanza. Metamorfosi della scienza,
Einaudi, Torino 1993. Sulle teorie del
caos deterministico vedi R. Timossi,
Dio e la scienza moderna. Il dilemma
della prima mossa, A. Mondadori,
Milano1999,pp.317sgg.
104 J.C. Eccles, Il mistero uomo, Il
Saggiatore,Milano1990,p.18.
105 Vedi J. Maritain, Distinguere per
unire. I gradi del sapere, Morcelliana,
Brescia 2013; Scienza e saggezza,
Borla,Roma1980.
106 S. Weinberg, Il sogno dell’unità
dell’universo, A. Mondadori, Milano
1993,p.264.
107S.Weinberg,Iprimitreminuti, A.
Mondadori,Milano1990,p.170.
108 Vedi G.W. Leibniz, Principi della
natura e della grazia fondati sulla
ragione, n. 7, in Scritti filosofici, Utet,
Torino1967,vol.I,p.278.
109 S. Weinberg, Il sogno dell’unità
dell’universo, A. Mondadori, Milano
1993p.10.
110Ivi,p.264.
111 S. Hawking, Buchi neri e universi
neonati e altri saggi, Rizzoli, Milano
1995,p.62.
112 Le citazioni da tratte da Fang Li
Zhi, Li Shu Xian, La creazione
dell’universo,Garzanti,Milano1990,p.
204.
113 S.W. Hawking, Dal Big Bang ai
buchi neri. Breve storia del tempo,
Rizzoli,Milano1989,pp.68-69.
114
S.W. Hawking, L’origine
dell’universo, in Buchi neri e universi
neonaticit.,p.103.
115 S.W. Hawking, La teoria del tutto.
Origineedestinodell’universo,Rizzoli,
Milano2003,pp.125e130.
116 S. Hawking, L. Mlodinow, Il
grande disegno, Mondadori, Milano
2011,p.171.La«teoriaM»oM-theory
è una sorta di rete di teorie, dove «M»
sta per «membrana» o «matrice» in
gradodispiegareunambitocircoscritto
difenomeni.
117 C. Sagan, Cosmo, Mondadori,
Milano1981,p.258.
118LafraseèstatapronunciatadaCarl
Sagan nella quarta puntata della serie
televisivaCosmos.
119
C. Sagan, «Introduzione» a
Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri
cit.,p.10.
120V.J.Stenger,Perchélascienzanon
crede in Dio. La sfida perduta della
fedeallaragione, Orme, Milano 2008,
p.163.
121 L.M. Krauss, L’universo dal nulla,
Macro,Cesena2013,pp.8e170.
122 S. Weinberg, Il sogno dell’unità
dell’universo, A. Mondadori, Milano
1993p.263.VediancheH.Park,Does
God Exist? Yes, Here Is the Evidence,
iUniverse, Bloomington 2013, pp. 112
sgg.
123 Le citazioni di Penzias in R.
Chiaberge,
La
variabile
Dio,
Longanesi,Milano2008,p.33.
124VediM.Novello,Qualcosaanziché
il nulla. La rivoluzione del pensiero
cosmologico, Einaudi, Torino 2011, p.
173.
125Perunadiscussioneapprofonditadi
questi temi vedi R.G. Timossi,
L’illusione dell’ateismo. Perché la
scienza non nega Dio, San Paolo,
CiniselloBalsamo2009,cap.3.
126 Vedi J.D. Barrow, F.J. Tipler, Il
principio antropico, Adelphi, Milano
2002.
127 G. Tanzella-Nitti, Theologia
Physica? Razionalità scientifica e
domanda su Dio, in Nuovi ateismi e
antiche idolatrie, Hermeneutica –
Annuario di filosofia e teologia,
Morcelliana, Brescia 2012, p. 41. Sui
limitidelprincipioantropicovedianche
G. Martelet, Evoluzione e creazione,
JacaBook,Milano2003,pp.220-22.
128R.Stannard,Lascienzaeimiracoli,
Longanesi, Milano 1998, pp. 21-22.
Vedi anche P. Atkins, La creazione:
Saggio sul riduzionismo estremo e sul
razionalismo militante, Zanichelli,
Bologna1985.
129 Le citazioni sono tratte da P.
Atkins, Ragione e fede. Perché non
possiamo dirci credenti, «L’Unità», 25
ottobre 2010. Il rasoio di Ockham
(formulato dal filosofo Guglielmo di
Ockham 1285-1349) è un metodo
euristico col quale si sancisce per
principio l’inutilità di formulare più
ipotesi di quelle che siano strettamente
necessarieperspiegareunfenomeno.
130Monod,Ilcasoelanecessitàcit.,p.
33.
131Ivi,p.11.
132Ivi,p.113.
133Ivi,p.118.
134 D.J. Bartholomew, Dio e il caso,
SEI,Torino1987,p.13.
135 Monod, Il caso e la necessità cit.,
pp. 171-72. Per l’atomismo greco è
famoso il frammento attribuito al
filosofo Leucippo di Mileto (V sec.
a.C.):«Ilcosmosiformòstrutturandosi
secondo una forma curva, […] poiché
gli atomi sono soggetti a un moto
casuale e disordinato». Vedi Leucippo,
Vita e dottrina, DK 67 A 24, in H.
Diels, W. Krans, I Presocratici,
Bompiani,Milano2006,p.1175.
136 Vedi F. Jacob, La statua interiore,
IlSaggiatore,Milano1988,p.53.
137 Evoluzione e realismo, in F. Jacob
Evoluzioneebricolage,Einaudi,Torino
1978,p.40.
138VediJacob,Evoluzioneebricolage
cit.,pp.15-17.
139 F. Jacob, La logica del vivente,
Einaudi,Torino1971pp.199e206.
140 Jacob, Evoluzione e bricolage cit.,
p.215.PerDostoevskijvedisupra,cap.
3,par.6.
141 D.C. Dennett, L’idea pericolosa di
Darwin. L’evoluzione e i significati
della vita, Bollati Boringhieri, Torino
1997,p.20.
142 D.C. Dennett, Freedom Evolves,
Viking,NewYork2003,pp.14-15.
143 Vedi S.J. Gould, I pilastri del
tempo, Il Saggiatore, Milano 2000, pp.
13sgg.
144 Dennett, L’idea pericolosa di
Darwincit.,p.336.
145Ivi,p.652.
146
D.C.
Dennett,
Rompere
l’incantesimo. La religione come
fenomeno naturale, Cortina, Milano
2007,p.26.
147
E.O.
Wilson,
L’armonia
meravigliosa,Mondadori,Milano1999,
p.294.
148 Le citazioni sono tratte da D.C.
Dennett,Ateismoedevoluzione(Perché
non abbiamo più bisogno di Dio),
«Micromega»,n.5/2013,p.157.
149 R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le
ragioni per non credere, Mondadori,
Milano2007,p.9.
150Ivi,p.24.
151VedilaletteradiDarwinall’amico
Joseph Dalton Hooker del 13 luglio
1856 in R.C. Stauffer (a cura di),
Charles Darwin’s Natural Selection:
BeingtoSecondPartofHisBigSpecies
Book Written from 1856 to 1858,
Cambridge
University
Press,
Cambridge1975.
152VediR.Dawkins,Ilcappellanodel
diavolo,Cortina,Milano2004.
153Dawkins,L’illusionediDiocit.,pp.
149-50.
154 I. Mazzitelli, E se Dio esistesse? I
limiti della conoscenza scientifica
quandosiindaganoDioelareligione,
Gremese,Roma2008,pp.14e114-15.
SulMultiversovedisupra,par.6.
155 William Paley sosteneva che come
la complessità perfetta di un orologio
rimandaallapresenzadiunsuoartefice
dotato di intelletto, le perfezioni della
natura rimandano a un Creatore
intelligente. Vedi William Paley,
Natural Theology, Oxford University
Press,NewYork2008.
156 Vedi D. Hume, Dialoghi sulla
religione naturale, in Opere, Laterza,
Bari1971,vol.I,pp.758-81.
157 R. Dawkins, L’orologiaio cieco.
Creazione o evoluzione?, Mondadori,
Milano2003,p.41.
158 R. Dawkins, Il gene egoista. La
parte immortale di ogni essere vivente,
Mondadori-De Agostini, Novara 1995,
p.43.
159Ivi,p.IX.
160 Le citazioni precedenti sono tratte
daDawkins,L’illusionediDiocit.,pp.
121-23.
161Ivi,p.55.
162 Vedi il dibattito tra L.M. Krauss e
R. Dawkins su Scienza e fede, «Le
Scienze»,n.469,settembre2007,p.99.
163Ivi,pp.53-56.
164Ivi,p.353.
165 Lettera di Charles Darwin ad Asa
Gray del 22 maggio 1860, in Ch.
Darwin, Lettere sulla religione,
Einaudi,Torino2013,pp.44-47.
166D.C.Dennett,A.Plantinga,Scienza
e religione sono compatibili?, ETS,
Pisa2012,p.45.
167 Vedi A. Plantinga, God and Other
Minds,CornellUniversityPress,IthacaLondon1967.
168 T. Pievani, Introduzione alla
filosofia della biologia, Laterza, Bari
2005,p.82.
169P.Davies,Dadovevienelavita.Il
mistero dell’origine sulla Terra e in
altri mondi, Mondadori, Milano 2000,
p.308
170VediJ.Barrow,S.ConwayMorris,
S. Freeland, Ch. Harper (a cura di),
Fitness of the Cosmos for Life:
Biochemistry
and
Fine-Tuning,
CambridgeUniversityPress,NewYork
2008
171F.Facchini,L’avventuradell’uomo.
Casooprogetto?, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2006, pp. 18 e 69. Per il
teismoevoluzionistavediR.G.Timossi,
L’illusione dell’ateismo cit., pp. 320
sgg. Vedi anche Ch. Southgate, God,
Humanity and the Cosmos,T&TClark
International,London2005.
6
Loscandalodelmale
1.Ilfiumedellavita
Mentre
cercano
di
confutare l’esistenza di un
Creatore su basi scientifiche,
gli atei scientifici o scientisti
finiscono pressoché tutti per
approdare
all’argomento
probabilmente più antico
contro la presenza di un Dio
buono: quello del male. Già
Agostino di Ippona si
domandava «Si Deus est,
unde malum?»,1 facendo
dell’interrogativo sul male in
relazione
alla
natura
onnipotente,
sommamente
giusta e benevola di Dio una
delle questioni più dibattute
dalla teologia cristiana. Il
problema si è fatto ancor più
assillante dopo l’orrore
dell’Olocausto durante la
seconda guerra mondiale,
quando
lo
sterminio
organizzato degli ebrei ha
rappresentato l’apoteosi del
male gratuito, di una
malvagità
talmente
immotivata e insensata da
sembrare perfino «banale» a
chi commetteva crimini così
gravi contro i propri simili.2
Émmanuel Lévinas (19061955), filosofo francese di
discendenza ebraica internato
in un campo tedesco per
prigionieri di guerra, ha
perciòsostenutochelaprima
domanda della filosofia non
deve essere la leibniziana
«Perché c’è qualcosa e non
piuttosto il nulla?», bensì
«Perché c’è il male e non
piuttostoilbene?»,poiché«la
differenza ontologica [tra
essere e non essere] è
preceduta dalla differenza tra
ilbeneeilmale».3
Non è certo assurdo
immaginare che chi si è
trovato da credente, ma
certamente anche da ateo, in
uncampodisterminionazista
nonabbiapotutofareameno
di interrogarsi su quella
scandalosa assenza di Dio di
fronte a tanta sofferenza
innocente, tanta efferata
crudeltà e tanta smisurata
iniquità. È quanto ci ha
testimoniatoloscrittoreebreo
Elie Wiesel nel suo celebre
racconto dell’esecuzione di
un bambino nel sottocampo
di concentramento di Buna
(dipendenza del campo
principale di Auschwitz IIIMonowitz):
Un giorno che tornavamo
dal lavoro vedemmo tre
forche
drizzate
sul
piazzaledell’appello[…].
Tre condannati incatenati
e fra loro il piccolo
«pipel», l’angelo dagli
occhi tristi. […] Tutti gli
occhi erano fissati sul
bambino.Eralivido,quasi
calmo, e si mordeva le
labbra. […] I tre
condannati
salirono
insieme
sulle
loro
seggiole. […] «Dov’è il
Buon Dio? Dov’è?»,
domandò qualcuno dietro
di me. A un cenno del
capo del campo le tre
seggiole vennero tolte.
[…] I due adulti non
vivevanopiù.Malaterza
corda non era immobile:
anche se lievemente il
bambino viveva ancora…
Piùdiunamezz’orarestò
così,alottarefralavitae
la morte, agonizzando
sotto i nostri occhi. […]
Dietrodimeudiiilsolito
uomodomandare:«Dov’è
dunqueDio?».
Soggiogati
dall’impatto
emotivodiquestadomandaè
difficile
articolare
una
risposta e costruire una
«teodicea», una convincente
difesa o giustificazione
razionale di Dio inteso come
Summum bonum (Sommo
bene), appare un’impresa
titanica,mentregliateihanno
gioco facile a reputarla
decisamente impossibile. La
soluzione per certi versi
paradossale di Elie Wiesel è
che Dio soffre con l’uomo,
patisce insieme a lui le sue
sofferenze: «E io sentivo in
me una voce che gli
rispondeva: “Dov’è? Eccolo:
è appeso lì, a quella
forca…”».4 Ma si tratta con
tuttaevidenzadiunarisposta
di fede, per altro non
dissimile da quella ancor più
sconcertante del sacrificio
della Croce predicato della
religione cristiana, dove Dio
nella persona trinitaria del
Figlio addirittura soffre e si
lascia martirizzare come
uomo per la salvezza di tutto
il genere umano: «Noi –
scrive Paolo di Tarso –
predichiamo Cristo crocifisso
scandalo per i giudei e
stoltezzaperipagani»(1Cor
1,23).
Forse proprio perché
hanno percepito la debolezza
dei
loro
argomenti
«scientifici» a sostegno delle
tesi atee, insieme con
l’indubbia difficoltà a essere
compresi da un vasto
pubblico poco formato nelle
scienze naturali, i nuovi atei
come Dawkins, Weinberg e
Stenger
hanno
sentito
l’irrefrenabile esigenza di
cercare anche loro sostegno
nell’ateismo antiteodicetico,
cioè in quella forma di
ateismo che nega la
compatibilità
razionale
dell’idea di un Creatore
perfettissimo con la presenza
del male nel mondo, in
special modo sotto forma di
dolore dei viventi, di
catastrofi ambientali e di
malformazioni naturali o di
handicap
mentali.
Emblematico in proposito è
quanto il drammaturgo e
rivoluzionario tedesco Karl
Georg Büchner (1813-1837)
fa dire a un personaggio del
dramma Dantons Tod (La
morte di Danton, 1835), da
lui composto due anni prima
di morire all’età di soli
ventiquattro anni: «Eliminate
l’imperfetto e soltanto allora
potretedimostraredio.Sipuò
negare il male, ma non il
dolore […]. Perché soffro?
Questa
è
la
roccia
dell’ateismo. Il più piccolo
trasalimento del dolore
provocaunlaceramentodella
creazione».5
La presenza del male
gratuito,
ossia
delle
sofferenze e delle morti
innocenti che un Essere
sommamente buono avrebbe
dovuto
impedire
senza
compromettere un bene
maggiore, viene tramutata
dagli atei scientisti nella
principale prova a sostegno
dell’assenza di un progetto o
di uno scopo nel mondo
naturale, anche se in effetti
non
si
tratta
di
un’argomentazione
scientifica,bensìfilosofica.
Il giorno in cui scrissi la
prima stesura di questo
paragrafo
–
annota
RichardDawkinsallafine
del quarto capitolo de Il
fiume della vita (titolo
originale River Out of
Eden) del 1995 – tutti i
quotidiani
britannici
pubblicavano la terribile
notizia che un autobus
carico di bambini di una
scuola cattolica aveva
avuto un incidente che
aveva causato la perdita
di molte vite. […] Un
corrispondente
del
quotidiano «The Sunday
Telegraph»
aveva
formulato l’interrogativo
teologico: «Come si può
credere in un Dio
onnipotente
e
misericordioso
che
permette il verificarsi di
una simile tragedia?».
Ebbene,[…]sel’universo
fossecompostosolamente
dielettroniegeniegoisti,
tragedie insensate come
questa
sarebbero
esattamente ciò che
dovremmo
aspettarci,
insieme con una buona
fortuna
ugualmente
insensata.6
Com’è facile notare, il
fattodicronacaraccontatoda
Dawkins è diverso da quello
dell’esecuzione
di
un
bambino a opera degli
aguzzini nazisti narrato da
Wiesel per la circostanza
importante che ad Auschwitz
il
male
dipendeva
sicuramente e colpevolmente
dalla volontà umana; tuttavia
rimane allo stesso modo
un’accusa aperta all’idea di
Dio. Del resto un altro
famoso ateo scientifico come
Steven Weinberg, dopo aver
chiamatoincausacontroDio
leimperfezionicongenitealla
nostra specie, menziona
proprio l’esempio dello
sterminio degli ebrei: «I
credenti lottano da millenni
con la teodicea […]. Il
ricordodell’Olocaustononmi
consentenessunasimpatiaper
i tentativi di giustificare il
comportamento di Dio verso
l’uomo.Sec’èunDiocheha
qualche progetto particolare
per gli umani, è stato ben
attento a nascondere il suo
interesse per noi».7 Victor
JohnStengerparlainvecedel
doloreiniquoegratuitocome
qualcosa di scientificamente
inconcepibile se messo a
confronto con l’idea di un
Creatore: «Nel linguaggio
dellascienza,ildatoempirico
della sofferenza inutile non è
conforme con un Dio
onnisciente, onnipotente e
onnibenevolo.
Le
osservazioni sulla sofferenza
degli esseri umani e degli
animali
hanno
le
caratteristiche che ci si
aspetterebbe se non esistesse
alcunDio».8
Questa
sorta
di
naturalizzazione scientifica
del problema teologico del
male si può far risalire allo
stesso
Charles
Darwin
quando,
corrispondendo
ancora con il botanico Asa
Gray,affermava:
Per quanto riguarda la
prospettiva teologica, si
tratta di un tema sempre
penoso per me. Sono
confuso. Non avevo
alcuna intenzione di
scrivere da ateo. Ma
riconosco che non riesco
a vedere con la stessa
semplicitàdialtri,ecome
vorrei tanto riuscire a
fare, le prove del disegno
e della benevolenza
[divini] tutt’attorno a noi.
Misembrachenelmondo
visiatroppamiseria.Non
riesco a persuadermi del
fattocheunDiobenevolo
eonnipotenteabbiacreato
di
proposito
gli
Ichneumonidae con la
precisa intenzione che si
nutrissero del corpo dei
bruchi
ancora
vivi,
divorandolo dall’interno;
o che un gatto dovesse
giocareconitopi.9
Qui Darwin porta in
primopianonontantoilmale
o i mali genericamente
presenti in natura, che
sappiamo
essere
innumerevolifinoalpuntoda
risultare incommensurabili
(«Nel minuto che mi occorre
percompletarequestafrase–
scrive ancora Dawkins –
migliaia di animali vengono
mangiati vivi»)10, quanto il
male più profondamente
iniquo e scandaloso: la
malvagità immotivata e
perversa di chi infligge
sofferenza solo per provare
piacere, come nel caso del
gatto che gioca col topo.
Questogeneredimalvagitàè
purtroppo
ampiamente
diffuso nella genia umana,
come
dimostra
quanto
avvenuto con dimensione di
massaneicampidisterminio
nazisti, ma desta maggiore
impressioneritrovarlainaltre
specie viventi: nell’homo
sapiens può essere infatti
attribuita alla volontà del
Creatore di concedergli il
libero arbitrio, per cui il
singolo
uomo
diventa
direttamente responsabile del
malechecompie;inunfelino
invece dipende in modo
necessitato dalla sua natura
cosìcomeessasiègenerata.
Non è perciò senza
fondamento la distinzione
tradizionale tra male etico o
morale (malum morale) e
malenaturaleofisico(malum
physicum), talvolta detto
anche «esistenziale».11 Il
primo dipende dall’autonoma
scelta
comportamentale
dell’individuo quale soggetto
dotatodilibertà;ilsecondoè
intrinseco al modo di essere
dellecoseecorrispondeaciò
che in natura, senza
intervento
volontario
dell’uomo, è foriero di
conseguenze negative tanto
per la nostra specie quanto
per tutte le altre. In tal senso
si considerano mali naturali
non solo la malattia, le
menomazioni fisiche e le
nefaste catastrofi ambientali,
ma anche gli atti violenti di
un vivente contro un altro
vivente nell’ambito della
cosiddetta
«catena
alimentare» (gli erbivori si
cibano dei vegetali e i
carnivori di altri animali)
oppure
imposti
dalla
competizione
per
la
sopravvivenza (perfino le
piante in una foresta si
contendono la luce del sole).
Sostenere questa distinzione
significa ovviamente non
seguire coloro che come
Daniel Clement Dennett
fanno dell’identità umana un
elemento
integralmente
naturale,
che
contro
l’evidenzadeifattiaffermano
che la coscienza (o
l’autocoscienza) non sussiste
come fattore specificamente
ed esclusivamente umano,
perché con tale tesi
verrebbero a cadere anche la
libertà e la responsabilità del
singolo, per cui non avrebbe
più senso parlare di malum
morale, con la conseguenza
che soltanto su Dio
ricadrebbelaresponsabilitàdi
tutto il male che c’è nel
mondo.12 E qualora Dio non
esistesse, per le teorie più
radicali o nichiliste sul male
non si dovrebbe addossare la
colpa ai singoli viventi, ma
andrebbe considerato come
unmerodatonaturalealdilà
diognieticauniversalistica.
In
effetti,
come
asseriscono questa volta
correttamente
gli
atei
scientifici, il male naturale
assurge
a
problema
esclusivamente nel momento
incuisiipotizzal’esistenzadi
un Dio creatore, o anche
semplicemente
ordinatore
dell’universo, insignito degli
attributi della perfezione:
onnipotenza,
razionalità,
onniscienza e bontà assoluta.
In assenza dell’ipotesi di una
divinitàcreatricechiaramente
«positiva» (sono state infatti
concepite nel corso della
Storia anche delle divinità
malvagie), nella visione
dell’ateismo materialistico o
naturalistico il problema del
male svanisce nella suprema
indifferenza di un ordine
naturale dominato dal caso e
dalla necessità delle leggi
fisicheebiologiche.
Nonostante la tendenza
alla
cosiddetta
«biologizzazione
dell’etica»13, ossia a fare
della morale un tema
scientifico riconducibile alle
leggi e ai processi della
natura come qualsiasi altro
fenomeno
umano
o
genericamente animale, la
questionedellapresenzatanto
del male etico quanto del
male naturale resta una
problema teologico-filosofico
importante, specie se riferito
alla credenza in un Dio
buono. Stupisce per altro che
degli scienziati, passati più o
meno consapevolmente dalla
scienza al ragionamento
teologico-filosofico con la
pretesa di portare in esso lo
stessa
cogenza
degli
argomenti scientifici, si
sforzino di confutare ciò che
invece risulta di per sé
evidente come la capacità
degli esseri umani in
condizione
psicofisica
normaledidistingueretraciò
che è bene (o comunque è
reputato tale in una certa
comunità)eciòcheèmale.In
relazione al tentativo di
Dennett di eliminare l’idea
stessadicoscienzaèpertanto
lecito sospettare che il suo
pregiudizio
naturalistico
faccia premio sull’analisi
obiettiva dei fatti e lo
conduca
a
costruire
un’interpretazione
non
scientificaenonlogica,bensì
condizionata
dal
suo
ultradarwinismoideologico.
Delrestolarielaborazione
naturalisticadelproblemadel
male operata dall’ateismo
scientifico sfocia di solito in
una patente contraddizione:
da un lato si ritiene
impossibile
distinguere
nell’ordinenaturaleciòcheè
buono e ciò che è cattivo, si
nega cioè «ogni fondamento
all’esistenza di un male
oggettivo e si vincola il
concettostessodimaleauna
nostra
valutazione»
soggettiva14; dall’altro si
pretende
di
giudicare
negativamente l’azione di un
Creatore (nella quale per
giunta non si crede) in
ragione di quello stesso male
che
si
considera
oggettivamente inesistente. È
difatti di per sé evidente che
«parlare di male cosmico
significaintrodurreuncriterio
valutativochevaaldilàdella
pura sequenza dei fenomeni»
naturali e si finisce con
l’attestarsi su una concezione
negativa della natura che
corrisponde
a
«una
condizione del mondo che
l’osservatore umano ritiene
meno preferibile o meno
auspicabile di altre».15 Ci si
colloca insomma nell’ambito
del soggettivo, del giudizio
strettamente
personale,
ovvero
al
livello
dell’opinione
che
è
esattamente l’opposto della
scientificità ostentata dai
fautori del naturalismo
filosofico e dell’ateismo
scientista.
Detto altrimenti, o si
riconosce al male una realtà
ontologica e allora si può
porre la questione della sua
compatibilità con l’idea di
Dio sommamente buono e
onnipotente; oppure non si
riconosce a esso nessuna
realtà sostanziale o effettiva,
come fanno appunto gli atei
scientifici, ma allora non si
può neppure chiamare in
causa o attribuirne la colpa a
un ipotetico Creatore. In
effetti la via percorsa dai
neoplatonici e dal pensiero
cristianodaessiinfluenzatoè
stata proprio quella di non
riconoscere
al
male
un’esistenza reale e di
considerarlo piuttosto come
«non essere», o più
precisamente
come
privazione del bene che
coincideconl’essere.Plotino
(203/205-270 d.C.) fondatore
del neoplatonismo assegna
infatti le proprietà del male
alla materia sensibile in
quanto privazione estrema
dell’Uno,cheèinveceilbene
edèprincipiodituttelecose
tramite «processione» o
«emanazione». Poiché «ciò
che è meno vicino al bene è
più vicino al male»16, più ci
siallontanadall’Unoepiùci
siapprossimaalmale;perciò
la materia, che costituisce il
termine estremo o ultimo
rispetto
all’Uno,
«non
possiede nulla del bene.
Questa è la necessità del
male».17 Ne consegue che il
male non è concepito come
un polo negativo che si
oppone a un polo positivo,
bensì come mancanza o
privazione del «positivo»,
ossia del bene che è l’essere;
quindiinultimaistanzacome
nonessere:«Ilmalenonsarà
né negli esseri, né in quella
realtà trascendente: infatti
sono buone queste cose.
Resta dunque che esso,
poiché esiste, esista nel non
essere».18
Questaèprobabilmentela
prima forma occidentale di
teodiceafilosofica:Diononè
causa del male e non ne è
responsabile semplicemente
perché è il creatore
dell’essere, mentre il male è
non essere, quindi non ha
sostanza e non rientra nella
creazione. La teodicea del
malecomenonesserepenetra
nel pensiero cristiano con
Dionigi l’Areopagita (o
Pseudo-Dionigi) vissuto nel
V-VIsecolod.C.,perilquale
«il male è debolezza e
privazione del bene. […]
Perciòilmalenonhaunasua
sussistenza,
ma
una
controsussistenza […]. È
senzavia,senzascopo,senza
natura, senza causa, senza
principio […]. Non esiste il
male in quanto male e non è
negli esseri».19 In questo
filone
interpretativo
si
collocano prima Agostino di
Ippona, che afferma che «il
malenonèsenonprivazione
delbenefinoalnullaassoluto
[…], dunque tutto ciò che
esisteèbene,eilmalenonè
una sostanza»;20 e poi
Tommasod’Aquinocolquale
si consacra l’impossibilità
«che il male indichi un
qualsiasi essere, oppure una
realtà o una forma positiva.
Rimane dunque che col
termine male si indica una
carenzadibene.Perquestosi
dice che il male “non è
esistente”, e neppure è un
bene».21
2.Ivelenidellareligione
Sulla validità della teoria
del male come non essere,
ovvero privato di ogni realtà
ontologica, oggi sussistono
molti legittimi dubbi tra i
filosofi.Lostessoneotomista
Jacques
Maritain,
pur
attribuendoaDiolacausadel
solo bene, ha criticato quella
che chiamava la bonne école
del tomismo rigido o
«tomismo ciclopico», perché
appunto vedeva soltanto la
prospettiva dell’essere e
quindi del bene e non quella
delmale.22 Per i nostri scopi
interessa
però
qui
approfondire la questione
dell’iniquità
del
male
concretamente inteso o
storicamente inteso, nella
particolare prospettiva a essa
impressa dal nuovo ateismo
antireligioso.Comesièdetto,
nella storia umana il tema
della sofferenza immotivata
alcospettodiunDiobuonoe
giusto è un dato ricorrente e
su cui si sono spesso
arrovellati i credenti di ogni
tempo.Perilcredenteilmale
patito dai malvagi e dagli
ingiusti è infatti in linea di
principio giustificabile e
tollerabile quale punizione di
una colpa grave, mentre non
lo sono le malvagità o le
cattive
azione
rimaste
impunite: «In questo sta la
causa, e anzi la causa più
grave della mia afflizione, –
scrive il filosofo Anicio
Manlio Severino Boezio
(480-526) – e cioè che, pur
essendo il mondo governato
da un essere [Dio] che si
identifica con il bene,
possano comunque esserci
malierestarenonpuniti?[…]
A dettar legge e a prosperare
èl’iniquità»23.
L’interrogativo si pone in
maniera più straziante se il
male colpisce gli incolpevoli
per antonomasia, ossia i
bambini, come ci ricorda la
celebre requisitoria di Ivan
nei Fratelli Karamazov
(1879) di Fëdor Michailovič
Dostoevskij,chevalelapena
di riportare per esteso perché
mette magistralmente in luce
la tragicità del dolore
innocente:
Non è che io non accetti
Dio,capiscimibene,maè
questo mondo creato da
Lui, che io non accetto e
nonpossorassegnarmiad
accettare. […] Volevo
parlare delle sofferenze
dell’umanità in generale,
ma è meglio che ci
fermiamo soltanto alle
sofferenze dei bambini.
[…] I bambini non sono
ancora colpevoli di nulla.
[…] Un innocente non
puòsoffrireperunaltro,e
tanto più un innocente
simile![…].Nonriescoa
capireperchéilmondosia
congegnato in questo
modo […]. Mi rifiuto
assolutamentediaccettare
questa armonia eterna.
Essa non vale le lacrime
di
quell’unica
creaturina.24
Nell’invettiva di Ivan
KaramazovcontroDiononsi
bada molto alla distinzione
tra male naturale e male
morale, ma le sofferenze di
qualsiasi tipo patite dagli
innocenti sono tutte valide a
giustificare la ribellione
controilCreatore;esuquesta
strada si sono incamminati
pressoché tutti gli atei
antiteodicetici. Tuttavia per
l’eticaèunproblematantola
presenza del male quanto
quella del bene, come aveva
già intuito lo stesso Boezio,
che
riformulava
così
l’interrogativo agostiniano:
«“Si quidem deus”, inquit
“est, unde mala? Bona vero
unde, si non est?”» (Se c’è
Dio,dondevengonoimali?E
donde i beni, se Dio non
c’è?)25.Inaltreparole,conun
Dio buono non si spiega il
male,masenzaunDiobuono
non si spiega l’origine del
bene.SullapresenzadiDiole
religioni fondano infatti
normalmente una morale
universalistica e anche per
questo motivo il nuovo
ateismonellasuaversionepiù
aggressiva ha attaccato
direttamente le religioni
storiche, attribuendo a esse
una precisa responsabilità
nella diffusione del male nel
mondo. La fede religiosa
sarebbe
pericolosa
e
distruttiva nella Storia del
genere
umano
perché
fomentatrice di divisioni, di
reciproche intolleranze e di
persecuzioni; inoltre essa
risulterebbe
fondamentalmenteirrazionale
e per giunta ostacolerebbe
apertamente il progresso
scientifico.Conleaccusealla
religione di essere fonte di
sofferenze e malvagità non
siamoperaltroinpresenzadi
una novità assoluta, se
consideriamochegiàilpoeta
Tito Lucrezio Caro si
scagliava come sappiamo
contro i crimini indotti dalle
credenzereligiose.26
Dal momento che la
presenza di una religione
positiva
presuppone
la
credenza
in
Dio,
è
logicamente conseguenziale
per i nuovi atei militanti
decretare
la
necessità
impellente della diffusione
dell’ateismo
su
scala
mondiale. In linea con
l’umanesimo
ateo
che
contrappone l’uomo a Dio,
l’invenzione del divino
rappresenta per loro il lato
oscuro della mente umana, il
momento in cui gli uomini
fanno del male a se stessi
limitando il proprio libero
arbitrio, la propria possibilità
di progettare autonomamente
la propria esistenza. Non
siamo evidentemente distanti
da quanto sostenuto in
precedenzadapensatoricome
Feuerbach,Stirner,Nietzsche,
Bakunin e Sartre, per i quali
la negazione di Dio è il
fattore determinante per la
piena
realizzazione
dell’uomo,ainiziareappunto
dalla sua totale libertà. In
questo il nuovo ateismo
postmoderno non è poi così
diversodall’ateismomoderno
o anche da quello antico,
perchéinradiceusaglistessi
argomenti antiteistici di
sempre, tanto è vero che le
obiezioni,lecriticheeperfino
le calunnie messe in campo
contro i teisti di oggi non
sono differenti da quelle
mosse contro i credenti di
ognitempo.27
Nel
sottolineare
la
funzione perniciosa della
religione, per il nuovo
ateismo si è distinto
innanzitutto il francese
neoilluminista e neolibertino
Michel Onfray, ottenendone
per altro fama e popolarità
editoriale, come del resto
quasi tutti i nuovi atei della
nostra epoca. Dopo essersi
definitoathéedeservice(ateo
di servizio, ossia militante) e
dopo aver ripetuto vecchie
formule dell’ateismo come
quella secondo cui Dio è
un’invenzione umana «per
scongiurare la morte» e
chiudere gli occhi «per non
riconoscere
l’evidente
tragicità del mondo», si è
scagliato contro coloro che
organizzanoil«commerciodi
espedienti metafisici, […] il
commercio di oltremondi»
rassicuranti,
quindi
in
definitivacontroisacerdotio
i promotori dei culti religiosi
in cui magari non credono
loro per primi: «Il vicario
degli Dei monoteisti impone
il proprio mondo per
rafforzare
la
[sua]
conversione giorno dopo
giorno».
Finché la religione resta
una questione privata o
individuale, anche un ateo la
può tollerare e trattare come
un problema di nevrosi o
psicosi da consegnare allo
psicoanalista, o nei casi
peggiori allo psichiatra;
infatti, a ciascuno sono
consentite«leperversioniche
può, fin quando esse non
minaccianoononmettonoin
pericolo la vita degli altri».
Lo scenario muta invece
radicalmente quando queste
perversioni
religiose
diventano un fatto sociale e
«in nome di una patologia
mentale
personale
si
organizza conseguentemente
anche il mondo degli altri»,
perché allora l’ateo militante
deve mettersi in azione per
far trionfare i lumi della
ragionecontrol’oscurantismo
di tutte le Chiese. Ben
sapendo
tuttavia
che
«l’ateismo non è una terapia,
ma una salute mentale
recuperata».28
PerSamHarris–unaltro
ateo militante di successo –
l’intolleranza
fanatica
costituisceinvecel’essenzadi
ogni fede religiosa, come
dimostrano l’attentato alle
torri
gemelle
dell’11
settembre 2001. È pertanto
contraddittorio
e
controproducente concepire
la tolleranza verso le
«ideologie religiose», perché
le religioni sono tutte
integraliste e come tali
rappresentano una minaccia
alla libertà e alla pacifica
convivenza umana. Per altro
il metodo da seguire intorno
all’esistenza di Dio e alle
presunteveritàdellareligione
è quello della falsificabilità
scientifica; da cui segue
l’ovvia conclusione che le
credenze religiose sono non
falsificabili e impediscono
perciò la loro verifica o
confutazione sul piano della
coerenza razionale e dei fatti
oggettivi. Le credenze della
fede fanno infatti valere il
sistema
del
cosiddetto
«pagamento rateale»: credi
ora, sulla base di un’ipotesi
non verificabile, e dopo la
morte scoprirai se hai
ragione.29
La prossimità di Harris
all’ateismo scientifico è qui
evidenteenonostanteciòegli
si distingue dagli atei
scientistiperlaricercadiuna
spiritualità
cosmica
in
accordo con la razionalità;
ricerca che lo avvicina al
monismo mistico delle
filosofie orientali. In un
articolo del 2006 intitolato
Dieci miti e dieci verità
sull’ateismo ha infatti scritto:
«Nonv’ènullacheimpedisca
a un ateo di provare amore,
estasi, senso di rapimento e
soggezione; gli atei possono
tenere in alta considerazione
queste esperienze e cercarle
con regolarità. Ciò che gli
atei non sono propensi a fare
è utilizzare tali esperienze
comebasediingiustificate(e
ingiustificabili) affermazioni
sullanaturadellarealtà».30
Unterzonomecelebredel
nuovo ateismo è quello del
giornalista e critico letterario
Christopher Hitchens (19492011), il quale ha attaccato
frontalmente le religioni e il
teismo come fonti di male e
di nefasti misfatti storici. Il
suo saggio più noto è
esplicito fin dal titolo: Dio
non è grande. Come la
religione avvelena ogni cosa
(2007). Quando poi se ne
legge qualche pagina, ci si
trovaallapresenzadituttigli
stereotipi
ideologici
dell’ateismo antireligioso e
anticlericale, per cui le
religioni sono strumenti di
sopraffazione, di divisione
fratricida e di gravi violenze
sia fisiche sia psicologiche
inferte perfino ai bambini (e
quiilrichiamoallapedofiliaè
scontato). Oltre a ciò,
«restano ancora quattro
inaggirabili obiezioni nei
confrontidellafedereligiosa:
distorce completamente le
origini dell’uomo e del
cosmo; riesce a combinare il
massimodellaservilitàconil
massimodelsolipsismo;èsia
l’esito che la causa della
dannosarepressionesessuale;
e, infine, si fonda sulla
credenza in ciò che si
desidera sia vero», ma che
quasi sempre è falso.31
Influenzato moltissimo dal
saggio
L’avvenire
di
un’illusione di Sigmund
Freud, considera l’impulso
religioso difficile da frenare
se non si riesce ad aprire in
qualche modo gli occhi alla
specie umana, affinché
«superi la sua paura della
morteelatendenzaacredere
ingratificantichimere».32
Va da sé che la via
maestra per svegliare gli
uomini dai loro sogni o dalle
loro illusioni è quella delle
conoscenze scientifiche, in
particolare
della
teoria
dell’evoluzione darwiniana.
Hitchens difatti si preoccupa
di confutare la teoria
dell’Intelligent
ricorrendo
all’argomento
imperfezioni
ovunqueinnatura:
Design
proprio
delle
presenti
Anch’io ho provato
stupore di fronte alle
piccole
e
morbide
orecchiedelmiorampollo
femmina, ma mai senza
notare che: a) hanno
semprebisognodiunpo’
di pulizia; b) che
sembrano prodotte in
serie […], che man mano
che si invecchia si
rivelano sempre più
assurdesevistedadietro;
c) che molti animali
inferiori, come i gatti e i
pipistrelli,hannoorecchie
molto più affascinanti,
grazioseepotenti.33
Insomma nessuno spazio
e nessuna speranza per
attribuire un significato
particolare o trascendente
all’esistenzaumana,mentreè
evidente il fatto che
l’atteggiamento
della
religioneversolascienza(per
esempio la medicina) risulta
sempre diffidente e molto
spesso inevitabilmente ostile,
perché il sapere scientifico
infrange il monopolio della
religione.
E
anche
sforzandosidiammetterecon
il citato biologo Stephen Jay
Gouldchescienzaereligione
sono
magisteri
non
sovrapponibili,ciònontoglie
che
«non
siano
antagonisti».34
Va
rilevato
come
l’ateismo antireligioso dei
nuovi atei sembra avere
essenzialmente preso di mira
le religioni monoteiste della
storia occidentale (ebraismo,
cristianesimo e islamismo),
mentre maggiore indulgenza
si prospetta per le religioni
orientali,
forse
perché
giudicate meno integraliste,
più tolleranti e distanti dalla
questioneDio-maleperilloro
panteismo di fondo. Il
problema del male è infatti
normalmente irrilevante per i
panteisti, dal momento che
l’immanenza del divino nel
mondo trasforma in assoluta
necessità tutto quanto accade
e le stesse nozioni di bene e
di male diventano sfumate:
«Perquelcheriguardailbene
e il male – scrive il panteista
Baruch Spinoza – nemmeno
essi indicano alcunché di
positivo nelle cose in sé
considerate, e non sono altro
che modi del pensare o
nozioni che formiamo per il
fattocheparagoniamolecose
l’una all’altra».35 Benché il
contrasto Dio-male non vanti
una specifica tradizione
pressolereligioniorientali,in
quasitutteèperòbenmarcato
e importante l’elemento della
sofferenza. Non a caso
Siddharta Gautama inizia la
suaviaperdiventareBuddha
(«Risvegliato»)
dopo
l’incontroconunvecchio,un
infermoeunmorto,mentrele
sue «Quattro Nobili Verità»
sono
tutte
meditazioni
sull’esistenza e la natura del
dolore36.
Per completezza giova
infinericordarecheesisteuna
versionemenoaggressivadel
nuovo
ateismo
ovvero
esistono degli atei dialoganti
come ad esempio Julia
Kristeva, André ComteSponville, Alain de Botton,
Duccio Demetrio e Salvatore
Natoli. In linea di massima
costoro, pur continuando a
ritenere valido l’argomento
delmalecontrol’esistenzadi
Dio, si dimostrano più
disponibiliariconosceredegli
aspetti
positivi
nella
religione, specie in campo
etico-sociale.
ComteSponville in particolare
accetta che anche l’ateismo
possa essere una forma di
credenzaechequindil’attodi
fede degli atei è quello nella
nonesistenzadiDio,nelnon
senso del mondo e in un
destinosegnatodalnulla.37
In conclusione l’ateismo
contemporaneo antireligioso
piùinvogaèquellomilitante,
che si distingue per la
riproposizione di attacchi
spessooffensivineiconfronti
dei credenti, considerati
spesso come affetti da una
forma di malattia o
aberrazione mentale, e delle
religioniqualifomentatricidi
divisione, odio e violenza. In
realtà, però, la violenza e
l’odio non dipendono tanto
dall’essere o non essere
religiosi quanto dalla natura
stessa dell’uomo, dalla sua
imperfezione
costitutiva,
inserito com’è da sempre in
mezzo al conflitto tra bene e
male. C’è chi come Dawkins
ha fatto fatica a vederlo o a
riconoscerlo, eppure molti
non credenti hanno ceduto
alla seduzione del male e
molti Stati o regimi
proclamatisi atei hanno dato
un pessimo esempio di
malvagità gratuita con stragi
feroci e spaventosi gulag,
come nel caso dei Paesi
comunisti dell’ex URSS,
della Cina, dell’Indocina,
della Corea, dell’Albania e
dell’ex Jugoslavia. I malvagi
nonsitrovanodunquemaida
una parte sola e le azioni
negative non albergano
soltanto nelle istituzioni
religiose: tutti gli esseri
umani sono imperfetti e
perciò possono sbagliare e
commettereilmale,sianoessi
credentioatei.
3.IldilemmadiEpicuro
In
ogni
religione
conosciutaèforteildesiderio
di redenzione e, come ha
notato Max Weber, «dalle
speranze di redenzione nasce
una qualche teodicea della
sofferenza»;enonsitrattadi
una necessità istintiva come
sostengono gli atei, bensì di
un «bisogno razionale».38 Si
può congetturare che la
domandasulrapportotraDio
e il male nasca con le prime
forme di culto religioso e
difattileconoscenzeinnostro
possessocidocumentanouna
presenza inconsapevole del
problema già nell’antica
religione babilonese e in
particolare nei miti della
creazione dell’intera area
mesopotamica, come quello
raccontato nel poema Enûma
ElishrisalentealIImillennio
a.C. Qui viene descritto il
conflitto tra due divinità
raffiguranti il bene e il male,
Marduk e Tiāmat, al quale
faranno seguito le dottrine
dualistichedellozoroastrismo
o mazdeismo, ossia la lotta
tra il dio del bene Ahura
Mazdā e lo spirito del male
Angra Mainyu o Ahriman.39
È tuttavia nella mitologia
greca e soprattutto nell’opera
dei grandi tragediografi greci
che le questioni teodicetiche
incominciano a farsi largo in
forme speculative nella
cultura occidentale. Se
qualche spunto si può
rintracciarenella Teogoniadi
Esiodo(VIII-VIIsec.a.C.),è
perònelletragediediEschilo,
maancheinquellediSofocle
ed Euripide, che si trovano
vasti
richiami
al
comportamento iniquo o
talvolta crudele delle divinità
rispetto all’uomo, come ad
esempio testimonia la storia
diPrometeo,chenonacasoè
stato sovente innalzato a
vessillo dell’ateismo (per
esempioinBakunin,inMarx,
in Camus ecc.).40 D’altra
parte nel già menzionato
frammento
ateo
del
Bellerofonte, Euripide dice
chiaramente che davanti alla
constatazione che molti Stati
devoti agli dei «vengono
dominatidaun’autoritàempia
e resi schiavi» si può solo
concludere per la non
esistenza delle possenti
divinitàolimpiche.41
Con questi importanti
contributi
i
racconti
mitologici ponevano «la
questione “Donde viene il
male?”», ma non si
dimostrarono in grado di
rispondere
«interamente
all’aspettativa degli uomini
che agiscono e soffrono»;
infatti«ilmitolasciavasenza
risposta una parte importante
della
questione:
non
solamente perché, ma perché
io?».42 Il compito di
rispondere razionalmente a
queste domande non poteva
chespettareallafilosofiaeun
primo importante tentativo
veniva compiuto da Platone.
Sia pure ancora sotto
l’influsso della mitologia
ellenica, dell’orfismo e delle
opere dei tragici greci, il
filosofo ateniese imposta
l’interrogativo sul male in
rapporto alla giustizia e nella
dimensione
della
trascendenza.Peraffermarela
libertà
dell’uomo
nel
compiere il male escludendo
una predestinazione divina e
per introdurre nello stesso
tempo una qualche forma di
equo giudizio dopo la morte
per l’anima immortale,
Platonenonpuòfarealtroche
ricorrere a sua volta al
racconto mitologico, nella
fattispecie al mito di Er.
Questo mitico personaggio,
ritornato inaspettatamente in
vita dopo la morte in
battaglia, narra di essersi
trovato di fronte a una sorta
di giudizio ultraterreno, dove
i buoni venivano compensati
eimalvagipunitiduramente:
In mezzo sedevano i
giudici,iqualiaogniloro
sentenza ordinavano ai
giustididirigersiinaltoe
adestra,attraversoilcielo
[…] e gli ingiusti di
muovere verso la parte
sinistra in basso […].
Quelle [le anime] reduci
dalla terra [il basso] si
informavano
[…]
ricordando quali e quante
sofferenze avevano patito
e
visto
patire,
sconsolatamente
piangevano, le altre che
venivano
dal
cielo
raccontavano
di
esperienze e visioni di
straordinariabellezza.43
L’esistenzadelmaleperil
grande filosofo ateniese
dipende in sostanza dalle
decisioniumaneenonsipuò
attribuirne la colpa agli dei o
al demiurgo creatore: «La
responsabilità, pertanto, è di
chi sceglie. Il dio non ne ha
colpa».44 Si riprendeva così
una tradizione risalente
addiritturaaOmero(VIIIsec.
a.C.) e che stigmatizzava la
pessima abitudine umana di
incolpare del male sempre e
soltantoledivinità:
Ah quante colpe fanno i
mortaliaglidei!
Da noi [dei] dicon essi
che vengono i mali, ma
invece
Peilorofollidelitticontro
ildovutohandolori.45
In un orizzonte culturale
diverso,sipuòrilevareinvece
che con la dottrina del
peccato originale (narrato nel
terzo capitolo del Genesi)
l’irruzione nel mondo del
male non solo etico, ma
anche
naturale
venga
attribuita direttamente alla
responsabilità
dell’uomo.
Stando al testo biblico, Dio
aveva collocato l’uomo nel
giardinodell’Eden,facendolo
vivere in armonia con il
creato. In quel luogo però
c’erano pure due alberi
particolari,quellodellavitae
quello della conoscenza del
bene e del male, che per
espressa volontà di Dio non
dovevano essere toccati. Ma
com’è ampiamente risaputo,
l’ordine divino e il timore
dellapunizionenonbastarono
a vincere l’umana tentazione
di cibarsi di quei frutti e
Adamo ed Eva, istigati dal
serpente, esercitarono la
propria libertà disobbedendo
a Dio. L’umanità incominciò
così a conoscere il male e la
sofferenza, e con essi la
colpa;eperresponsabilitàdei
primi esseri umani, una
creazione buona per tutti i
viventi si trasformò nello
scenario attuale: «Maledetto
il suolo per causa tua! Con
dolore ne trarrai il cibo per
tutti i giorni della tua vita.
[…] Con il sudore del tuo
voltomangeraiilpanefinché
non ritornerai alla terra […]:
polvere tu sei e in polvere
tornerai!»46.
Tornando al mondo
greco, in Aristotele il tema
del male in senso teodicetico
sembra
dissolversi,
diventando esclusivamente
una questione etica e quindi
interamente legata alle azioni
sbagliate degli individui
umani.
Le
presunte
imperfezionidellanaturanon
vanno per lui attribuite a un
demiurgo maligno, ma
dipendono
dalle
caratteristiche proprie degli
enti materiali o naturali,
anche perché in una logica
teleologica,
ossia
dell’esistenza di cause finali,
se il fine ultimo a cui tutto
tende è perfettissimo (il
PrimoMotoreimmobile),non
si può per contro prescindere
dal fatto che la dimensione
delle cose terrene (il
cosiddetto
«mondo
sublunare») è corruttibile e
dunque sempre imperfetta.
Standoperòadalcunistudiosi
del pensiero aristotelico,
sarebberogiàpresentiinnuce
nel filosofo di Stagira i
presupposti della teoria del
male
come
privazione
dell’essere, successivamente
ripresa e rielaborata dai
neoplatonici.
Ciò
si
evidenzierebbe in particolare
nel concetto di «privazione
della forma» a cui andrebbe
soggetto
il
«substrato
materiale»; il che farebbe in
qualche modo della materia
informeunelementonegativo
dell’essere.47
Ma dal punto di vista
dell’ateismo antiteodicetico
già nell’antica Grecia c’era
chi non risultava per nulla
d’accordo sul discolpare le
divinità di fronte alla
devastantepresenzadelmale,
come ad esempio uno dei
presunti protoatei: il già
menzionato poeta lirico
Diagora
di
Melo.
Quest’ultimo pare fosse
rimasto oltremodo deluso
dalla mancanza di giustizia
nel mondo e ne avesse tratto
la conclusione che sarebbe
stato preferibile che non
esistessero gli dei, perché
qualora fossero davvero
esistiti, gli uomini avrebbero
dovuto ribellarsi a essi, in
quanto certamente o ingiusti
o indifferenti alla sofferenza
umana. Per gli esseri divini
infatti «non fa alcuna
differenza
per
quanto
riguardalabuonaolacattiva
sorte quale tu sia o come hai
vissuto».48Èperaltrorimasto
celebreildialogotraDiagora
di Melo e un suo conoscente
avvenuto presso il santuario
panellenico dell’isola di
Samotracia,
allora
particolarmente rinomato per
lapresenzadiungrannumero
di ex voto. Allo scopo di
confutare la sua convinzione
secondo
cui
gli
dei
trascurerebbero le vicende
umane, l’amico gli domanda:
«Non noti tutte queste tavole
votive che testimoniano di
quanti abbiano sfuggito la
violenza della tempesta e
siano arrivati sani e salvi al
porto grazie ai loro voti?». E
ilpoetaseccamenterisponde:
«Certo [che le noto], perché
non c’è alcun ex voto di
quelli che fecero naufragio e
morirono in mare».49 Come
dire: agli dei non importa
proprio niente se un uomo
sopravvive oppure muore in
una
burrasca
marina
supplicandoli di essere
salvatoeaportaregliexvoto
sono solo i fortunati, non i
beneficiatidaunagrazia.
Il principale vigoroso
attacco alle responsabilità di
Dio nei confronti del male
all’interno della cultura
ellenistica venne però dal
filosofoEpicuroeingenerale
dalla sua scuola, che
probabilmente avevano preso
espressamente di mira la
prototeodicea di Platone.
Nell’ambito dello scopo
fondamentale
dell’etica
epicureadiliberareilsingolo
individuo dalla paura del
dolore e della morte per
condurlo
all’atarassia
(imperturbabilità), ci si
preoccupava infatti pure di
affrancarlo dal timore degli
deiponendoinprimopianoil
lorocompletodisinteresseper
le vicende umane. È appunto
con questa intenzione che
Epicuro pronuncia, secondo
la
testimonianza
dell’apologetacristianoLucio
Cecilio Firmiano Lattanzio
(250-303/317 d.C. ca), il
seguentediscorsoapodittico:
Dio o vuole eliminare i
mali e non può, oppure
può e non vuole, oppure
non vuole e non può, o
infine vuole e può. Se
vuoleenonpuò,èdebole,
il che non appartiene alla
sua natura. Se può e non
vuole, è malevolo, cosa
ugualmente aliena dalla
natura di Dio. Se non
vuole e al contempo non
può,alloraèsiamalevolo
sia debole, e per questo
nonènemmenoDio.Seè
vero che vuole e può, e
soltanto questo può
convenire a Dio, da dove
vengono allora i mali?
[undeergosuntmala?]O
perché non li elimina?
[Autcurillanontollit?].50
Undeergosuntmala?Aut
cur illa non tollit? Si tratta
come sappiamo dei due
interrogativi costitutivi di
ogni teodicea, che qui
volutamente la tradizione
epicurea pone nella forma
logica
del
dilemma
costruttivo, ossia di un
ragionamento che prospetta
tesi o soluzioni tra loro
alternative (o l’una o l’altra,
mai entrambe insieme)
rispetto alle quali è difficile
effettuare
una
scelta
razionale, salvo quella di
ammettere che non c’è via
d’uscitaochel’oggettostesso
dell’antinomia(lapresenzadi
Dio
oppure
la
sua
provvidenza) è assurdo,
quindi
non
vero.
Quest’ultimo è l’evidente
intento dell’argomentazione
attribuita a Epicuro, anche se
va rammentato che egli non
erapernullaateo,perchénon
rifiutaval’esistenzadeglidei,
mailmodoconcuivenivano
concepitierappresentatinelle
religioni popolari del suo
tempo. Per il filosofo greco
infatti gli dei non sono né la
causa del cosmo né dei corpi
celesti,
né
tantomeno
interferiscono sulla natura o
si preoccupano delle vicende
umane: «Dio non si cura di
nulla».51
AllecritichediDiagorae
di Epicuro che colpiscono
direttamente l’idea della
provvidenzadivinahatentato
di rispondere la teologia
cristiana in tutte le epoche,
ma con argomenti che
l’erudito e libertino Giulio
Cesare Vanini reputava
insufficienti: «Se Dio non
volesse che si diffondessero
nel mondo azioni pessime e
delittuose, senza dubbio, con
unsolcenno,annienterebbee
bandirebbe fuori dai confini
dell’universo ogni infamia.
Chi di noi, infatti, può
resistere alla volontà di Dio?
[…] Confesso onestamente
cheastentopossoaccettarela
distinzione scolastica tra
volere efficace e volere
compiacente di Dio».52 In
altreparole,secondoiteologi
cristianidelXVI-XVIIsecolo
Dioonnipotentevuolesempre
il bene e non lo si deve
incolpare se invece c’è il
male, perché ciò avviene per
rispettare il nostro libero
arbitrio, quindi mettendo in
campo
una
«volontà
compiacente» e non una
«volontà efficace». Tuttavia,
come sosteneva Vanini,
questa tesi difensiva lascia
insoddisfatti al cospetto del
proliferare dell’iniquità nel
mondo e bisogna pertanto
ammettere che il dilemma
epicureoconservatuttalasua
forza di fronte alla dilagante
realtà del male nell’ordine
naturale e nel consesso
umano,specieaigiorninostri
dopo l’esperienza storica dei
campidisterminionazisti.
Il filosofo tedesco di
origine ebraica Hans Jonas
(1903-1993) ha scritto parole
molto chiare sull’assenza e il
silenzio di Dio al cospetto di
tantascelleratacrudeltàcome
quella di «Auschwitz che
divorò bambini che non
possedevano ancora l’uso
della parola». Secondo il suo
pensiero
di fronte alle cose
veramente inaudite che
nelcreatoalcunecreature,
fatte a sua somiglianza,
hanno fatto ad altre
creature innocenti, ci si
dovrebbe aspettare che il
Dio, somma bontà, […]
intervenga
con
un
miracolo di salvezza. Ma
questo miracolo non c’è
stato; durante gli anni in
cui si scatenò la furia di
Auschwitz Dio restò
muto. […] Dio tacque
[…]. Quale Dio ha
permesso
che
ciò
accadesse?
Al cospetto della Shoah
non si può dunque non
concludere che «una Divinità
onnipotenteoèprivadibontà
o
è
totalmente
incomprensibile».
D’altronde andando oltre
le azioni inique della storia
umana, perfino i testi biblici
nonnascondonol’evidenzadi
un contesto naturale in cui la
malattia e la sorte avversa si
abbattono sui buoni, mentre
soventerisparmianoimalvagi
nell’apparente indifferenza
della giustizia divina. È
questo il senso del «grido di
Giobbe» nell’omonimo libro
sapienziale, in cui si impreca
addirittura contro lo stesso
dono della vita: «Dopo,
Giobbe aprì la bocca e
maledisseilsuogiorno.Prese
a dire: “Perisca il giorno in
cui nacqui […]. Quel giorno
sia tenebra, non lo ricerchi
Dio
dall’alto”».53
Il
protagonista del racconto
biblico è un uomo buono,
giusto e profondamente
devoto al Signore che, dopo
un periodo di prospera
esistenza,
conosce
un’incredibile
serie
di
ingiustizie e di rovesci della
fortuna: i predoni gli rubano
tutti gli averi e ammazzano i
servi, un meteorite fa strazio
dei suoi armenti, i parenti gli
muoiono tutti e infine è pure
colpitoda«unapiagamaligna
dalla pianta dei piedi fino in
cima al capo»54. Giobbe a
questopuntononriescepiùa
sopportare con remissività le
sue sventure e chiama in
causa direttamente Dio,
chiedendogli perché in egual
modo«faperirel’innocentee
il
reo»55.
L’oggettiva
arbitrarietànelladistribuzione
deibeniedeimalitraigiusti
e i malvagi mette qui in crisi
la teoria del male come
retribuzione di una colpa,
comepunizionediunpeccato
individuale oppure collettivo,
che è presente in alcuni testi
biblici come prima forma di
eticareligiosa.56
Da tutto ciò emerge
appunto con chiarezza il
sensodelladomandadiHans
Jonas,ovverosedifrontealla
sfida del male, per salvare
l’attributo divino della bontà
noncorral’obbligodimettere
in discussione l’attributo
dell’onnipotenza. A cercare
infatti di concepire Dio al
medesimo
tempo
onnibenevoloeonnipotentesi
finisce nel vicolo cieco
dell’aporia
logica,
del
dilemma epicureo di un
Essere perfettissimo che
vorrebbe eliminare il male,
ma non è in grado di farlo,
oppurechepotrebbefarlo,ma
non vuole o comunque che
alla fine non lo fa. Scrive
ancora con efficacia Hans
Jonas: «Certamente Dio
dovrebbe
essere
incomprensibile se con la
bontà assoluta gli venisse
attribuita
anche
l’onnipotenza.
Dopo
Auschwitz
possiamo
e
dobbiamo affermare con
estrema decisione che una
Divinitàonnipotenteoèpriva
di bontà o è totalmente
incomprensibile». In breve,
l’unica valida teodicea è
soltanto quella per cui Dio
non ha impedito la tragedia
della Shoah come qualsiasi
altra che accade nel mondo
«non perché non volle, ma
perché non fu in condizione
di farlo» e ciò a ragione del
fatto
che
«concedendo
all’uomo la libertà, Dio ha
rinunciato alla sua potenza».
Un Dio dunque che secondo
la dottrina ebraica dello
Tzimtzùm
si
«ritira»,
autolimita il suo potere
assoluto per fare spazio al
creatoeall’essereumano.57
4.Ilmiglioredeimondi
possibili
Chi in epoca moderna ha
tentatolarispostaasuomodo
più spiazzante al problema
della relazione di Dio col
male è stato Gottfried
Wilhelm Leibniz (16461716), che come sappiamo è
pure l’inventore del termine
«teodicea». Nei suoi scritti
intitolati Saggi di teodicea
(1710) cerca appunto di
dimostrare in modo razionale
l’assoluta bontà di Dio. Lo
scritto leibniziano è in parte
una replica all’illuminista
francesePierreBayle,chenel
suoDictionnairehistoriqueet
critique (1697) avanzava
conclusionialquantoscettiche
sulla possibilità della ragione
di risolvere le questioni
relative al male, alla
provvidenza,allalibertàealla
grazia divina. In particolare
Bayleritenevacheladottrina
del male come non essere e
l’antropocentrismo cristiano
rendessero impraticabile una
soluzione
razionale
al
problema, perché di Dio si
predicavano attributi tra loro
incompatibili come l’infinita
bontà e l’onnipotenza. Egli
consideravainfattileevidenti
iniquesofferenzeumanedelle
vere e proprie prove
empiriche
della
realtà
sostanziale del male e
reputava
inoltre
improponibile
conciliare
l’attributo dell’onniscienza
con l’umano libero arbitrio:
se infatti Dio conosce già le
nostre decisioni allora esse
non sono libere, ma
predeterminate; se per contro
lenostresceltesonodeltutto
autonome e quindi non
predeterminate, allora Dio
non può conoscerle in
anticipo e pertanto non è
onnisciente.
Con l’ironia tipica di
questo periodo (ricordiamoci
in proposito di Montaigne e
dei pensatori libertini), Bayle
poneinboccaaddiritturaaun
abate
le
obiezioni
sull’incompatibilità tra il
male etico e l’onnipotenza
divina:
È evidente che si deve
impedire il male quando
si può […]. Tuttavia la
nostra teologia ci rivela
che tutto ciò è falso;
secondo
il
suo
insegnamento infatti, Dio
non fa nulla che sia
indegno
delle
sue
perfezioni, quando tollera
tutti i disordini di questo
mondo,disordinichepure
poteva
facilmente
prevenire. […] I nostri
teologicidiconocheDio,
pur potendo scegliere fra
un mondo perfettamente
regolato,ornatodituttele
virtù,eunmondocomeil
nostro, dove dominano il
peccato e il disordine, ha
preferitoquestoaquello.
Di fronte a queste patenti
contraddizioni, l’unica cosa
che tanto i teologi quanto i
filosofi sono riusciti a fare è
stato ricorrere all’assunto
dell’indiscutibilità
o
incontrovertibilità
dell’autorità di Dio e delle
SacreScrittureconimperativi
del tipo «Dio l’ha detto, Dio
l’ha voluto, Dio l’ha
permesso!»;
oppure
affermando
che
«non
dobbiamo misurare il dovere
diDioconilmetrodeinostri
doveri», impedendo ed
evitandocosìsulnascereogni
confronto critico con la
ragione58.
Leibniz pensa invece che
la causa di Dio non sia
separabile dalla causa della
ragione, perciò accetta la
sfida di Bayle e ritiene di
poter radicare su elementi
razionali tanto l’esistenza di
Dio quanto la provvidenza
divina, superando così il
conflitto logico tra una
divinitàassolutamentebuona,
provvidente e onnipotente, e
la presenza del male, specie
diquellodegliinnocentiedei
giusti. Lo fa procedendo dai
principi fondanti della sua
speculazione filosofica, a
iniziare da quello di ragion
sufficiente, secondo cui
«nulla accade senza che sia
possibile, a chi conosce in
profondità le cose, indicare
una ragione che sia
sufficiente a determinare
perchélacosaèaccadutacosì
e non altrimenti».59 Il
principiodiragionsufficiente
è tuttavia ben più di un
postulato logico, perché
rappresenta un elemento di
intelligibilità
o
di
comprensibilità e quindi di
razionalità intrinseco alla
natura stessa delle cose;
elemento in base al quale
possiamo cogliere l’ordine
cosmicoemeta-cosmico.Ein
tale
armonia
cosmica,
secondo il nostro filosofo, è
contuttaevidenzagarantitala
libertà.Libertàinnanzituttodi
Dio, ossia della causa prima
necessaria
delle
realtà
mondane, e libertà della
creaturafattaasuaimmagine
e somiglianza: l’uomo. È
allora altrettanto indiscutibile
che, seguendo il percorso
della metafisica tradizionale
integrato con la logica
modale,
questa ragion sufficiente
dell’universo
non
potrebbe trovarsi nella
serie
delle
cose
contingenti
[…];
è
necessario che la ragion
sufficiente, che non ha
bisogno di un’altra
ragione, sia fuori della
serie
delle
realtà
contingenti e si trovi in
unasostanza,chenesiala
causa, che sia un Essere
necessario che porti la
ragione
della
sua
esistenza con sé. […]
Questa ragione ultima
delle cose è chiamata
Dio.60
Il principio di ragion
sufficiente nei Saggi di
teodicea
è
chiamato
«principio della ragione
determinante», in quanto
serve «a rendere ragione a
priori perché una cosa è
esistente […] e perché è così
piuttosto che in un altro
modo».61 Se si tiene conto
che «necessario» si definisce
«ciò che non può non
esserci»,
mentre
«contingente»equivalea«ciò
che c’è ma poteva non
esserci», allora applicando il
principio
di
ragione
determinante o sufficiente
può
venire
dimostrata
l’esistenza di Dio sulla base
del fatto che il contingente o
meramente possibile per
sussistere ha bisogno del
necessario. Gli enti materiali
sono infatti tutti contingenti,
sono cioè tutti possibili
quanto a esistenza, ma non
necessariamente
esistenti,
pertanto per esistere hanno
avuto bisogno di un Essere
necessarioimmaterialecheha
già in sé l’esistenza e non la
riceve da altro. Siccome tale
Essere
necessario
è
ovviamente
perfettissimo,
non può non risultare dotato
di potenza assoluta, di
suprema intelligenza e di
totale volontà del bene: «E
questa causa intelligente
[Dio] deve essere infinita in
tutti i sensi, assolutamente
perfetta nella potenza, nella
saggezzaenellabontàperché
si dirige a tutto il
possibile».62
Ma
se
l’Essere
perfettissimo è assolutamente
buono, appare pure subito
evidente che non può aver
deliberatamente voluto il
malenell’essenzastessadelle
cose; quindi quello che il
filosofo tedesco chiama
«male metafisico» è stato
permesso da Dio soltanto in
quanto affatto indispensabile
perrealizzareilmondoquale
noi lo conosciamo. Si
sostieneinaltriterminichese
il mondo è così com’è, se in
essoesistonoimalinaturalie
morali,significacheDionon
avrebbe potuto fare qualcosa
di meglio, perché «agisce
semprenelmodopiùperfetto
e desiderabile che sia
possibile».63 Questa nostra
realtà è pertanto la migliore
tra tutte le infinite realtà
possibili
contemplate
dall’intelligenza divina: «Ora
questa suprema saggezza
[Dio], congiunta a una bontà
che non è meno infinita di
quella,nonpotevamancaredi
scegliere il meglio. […] Vi
sarebbeunainfinitàdimondi
possibili fra i quali bisogna
che Dio abbia scelto il
migliore, perché Egli non fa
nulla senza agire secondo la
ragione suprema».64 Quello
incuicitroviamoèdunqueil
migliore dei mondi possibili,
valeadireunordinecosmico
corrispondente al «miglior
piano possibile, nel quale la
più grande varietà (possibile)
è congiunta al massimo
ordine(possibile)».65
Entra in tal maniera in
giocolacategoriadei«mondi
possibili» ormai ricorrente
nellamodernalogicamodale,
vale a dire dei modelli di
realtà pensati in maniera tale
danonpresentareinséstessi
alcuna contraddizione, da
apparire cioè intrinsecamente
coerenti e quindi razionali.66
Postalanaturaassolutamente
buona dell’Essere necessario,
per Leibniz di tutti i mondi
teorici concepibili dalla
mente divina il nostro deve
risultare indiscutibilmente il
migliore.Ebenchéilmalein
esso
presente
sia
indubbiamente ab origine
riconducibile come tutte le
altre cose alla creazione
divina, non si può tuttavia
darne colpa a Dio, perché
nella sua assoluta libertà non
avrebbe potuto realizzare
niente di meglio: «Bisogna
che vi siano un’infinità di
mondi possibili, che il male
entri in molti di essi e che
anche il migliore di essi ne
racchiuda;ilcheèciòcheha
determinato Dio a permettere
il male».67 E noi che siamo
chiamati a vivere in questo
universo dobbiamo accettare
conserenitàlasofferenzaeil
male, nella certezza che
anch’essi
rientrano
nel
disegnodellagiustiziaedella
bontà divina: «Quando si è
rassegnatiallavolontàdiDio
esisacheciòcheEglivuole
è sempre il meglio, si è
sempre contenti di ciò che
accade».68
Contro la teodicea di
Leibniz si può dire si scagli,
piùomenodirettamenteepiù
o meno consapevolmente,
tuttol’ateismoantiteodicetico
dal periodo illuministico in
poi. Avverso la teoria del
migliore dei mondi possibili
si pronunciarono anche molti
deisti e pure qualche teista.
Non sappiamo se il curato
ateoJeanMeslierscrivendoil
suo Testament avesse avuto
notizia dei Saggi di teodicea
di Leibniz, ma quello che è
certo è che alcune sue
domande retoriche come «A
che scopo un essere così
perfetto avrebbe creato un
universo tanto miserabile,
pieno di male, di vizio e di
malvagità, in cui gli uomini
soffronoemuoiono?»oppure
«Come si può parlare di
meraviglie della natura, la
quale è un territorio chiuso
nel quale tutti gli esseri
viventisopravvivonosoltanto
eliminandosi a vicenda?»
sembranoaperteprovocazioni
mosse contro il grande
filosofo tedesco, mentre la
sua sconsolata conclusione
anticipa l’antiteodicea degli
scienziati atei: «Il male è
congenito
alla
natura,
indispensabile, altrimenti ci
sarebbe
una
rapida
proliferazione di uomini e di
animali, e la Terra non
potrebbecontenerli»69.
Siamoinvecesicuricheil
primo editore dell’opera di
Jean Meslier, il filosofo
francese Voltaire, aveva
proprio
l’intenzione
di
replicare a Leibniz quando
scrisse il suo famoso e
irriverenteraccontofilosofico
intitolato
Candide
ou
l’optimisme (1759). Benché
egli non fosse ateo, anche da
deista non poteva accettare
l’idea teistica del dio
provvidente e soprattutto
sopportare
l’ottimismo
leibnizianocheaveval’ardire
di proclamare il migliore
possibile un mondo così
palesemente
iniquo
e
malvagio. Prendendo spunto
dal terrificante terremoto di
Lisbona del 1755, che fece
innumerevoli vittime (si è
parlato di più di 30 mila
persone) e che suscitò un
ampiodibattitotragliuomini
diculturadeltempo,Voltaire
immagina come un filosofo
ottimista avrebbe potuto
comportarsi al cospetto di un
fenomeno naturale così
catastrofico:
«Pangloss
[l’alter ego di Leibniz] li
consolò [i superstiti di
Lisbona] assicurandoli che le
cose non potevano andare
altrimenti: perché, diceva,
tutto questo è quanto c’è di
meglio. Perché tutto è bene.
[…] Perché la caduta
dell’uomo e la maledizione
entravano necessariamente
nel migliore dei mondi
possibili». Ma poco oltre
Candido, il protagonista del
racconto, sommerso dalle
disgraziemetteallaberlinala
filosofia di Pangloss-Leibniz
con
questa
semplice
riflessione: «Se questo è il
migliore dei mondi possibili,
cosasarannomaiglialtri?».70
Dei risvolti filosofici del
terremotodiLisbonaebberoa
occuparsiancheJean-Jacques
Rousseau,indirettapolemica
con Voltaire, e Immanuel
Kant.71 Quest’ultimo, diversi
decenni dopo, giunse a
prefigurare all’interno dei
limitidellaragionemetafisica
il sicuro insuccesso di
qualsiasi teodicea filosofica,
perchélanaturael’intenzione
finale di Dio rispetto
all’essere umano e al bene
supremo è inattingibile al
sapere umano: «Tale idea la
può capire soltanto colui che
sispingefinoallaconoscenza
del mondo sovrasensibile e
comprende il modo in cui
esso sta a fondamento del
mondo sensibile. Su questa
conoscenza soltanto può
essere fondata la prova della
saggezzamoraledelCreatore
nelmondosensibile[…].Ma
a tale conoscenza nessun
mortale può pervenire».72
Nella visione kantiana la
teodicea è infatti una
questione di fede e non di
ragione come pretendeva
Leibniz. E perfino in ambito
etico bisogna prendere atto
che l’uomo è «cattivo per
natura», non nel senso che
tale qualità possa essere
ricavata
dall’idea
che
abbiamo della specie umana,
perché altrimenti gli uomini
sarebbero sempre cattivi, ma
nel senso che anche
nell’individuo
umano
migliore «c’è una tendenza
naturale al male […] che va
ricercata nel libero arbitrio».
Tendenza che Kant chiama
«male radicale», perché
«corrompe il fondamento di
tuttelemassime[morali]ein
quanto propensione naturale
nonpuòesseresradicatodalle
forzeumane».73
5.Ilmalediesistere
La negazione di Dio di
fronte alla presenza della
sofferenza
innocente
e
l’ateismo antireligioso che di
solito l’accompagna hanno
inevitabilmente
dovuto
confrontarsi col problema
etico e quindi con la
questionedelbeneedelmale
nell’agire umano. Chi rifiuta
l’esistenza di un Essere
sommamente buono rifiuta
normalmentequalsiasimorale
religiosa e si trova quindi
davanti alla questione dei
fondamenti dell’etica in una
«società di atei». Se si
afferma infatti che non può
esistereunDioonnipotentee
benevolo
perché
incompatibile con il dilagare
del male nel mondo, non si
può neppure radicare il
comportamento etico sulla
volontà divina, sull’equa
riparazionedelleafflizionidei
giusti e sulla punizione delle
colpe
dei
malvagi.
Mettendoci dal loro punto di
vista,èfacilenotarecomegli
atei antiteodicetici abbiano
solo due vie di uscite dal
problema:quelladitentaredi
dare forma a un’etica atea o
(come si dice oggi) «laica» e
quelladelripudiodiqualsiasi
morale fino all’aperta e
sfrontataimmoralità.
Già
a
partire
dall’Illuminismo l’ateismo
antiteodicetico ha percorso
tutte e due queste strade, con
il risultato paradossale di far
sì che una tendenza
contraddicesse
l’altra,
indebolendo e rendendo così
poco credibili entrambe. Se
infatti, da un versante,
pensatori come D’Holbach e
Diderot, in polemica con i
credenti che associavano
l’ateismo alla distruzione
dellamorale,hannosostenuto
l’ammissibilità dell’etica in
una comunità di atei e hanno
cercato di dare consistenza
teorica alla figura bayleiana
dell’«ateovirtuoso»,tentando
una fondazione materialistica
della morale; dall’altro
versante, filosofi come La
Mettrie ed eruditi come il
marcheseDeSadelihannodi
fatto contraddetti con le loro
opere atee sbilanciate verso
l’immoralismo teorico nel
primo
caso
e
verso
l’immoralità pratica nel
secondo.Inquestocontestoil
fenomeno più significativo
perl’ateismoantiteodiceticoè
sicuramente quello degli atei
teoretici che ripudiano con
l’idea del Dio buono anche
quella dell’etica; fenomeno
chedall’etàdeiLumiainostri
giorni vanta un’importante
tradizione,
con
molte
sfaccettature di cui ora
diremo.74
Julien Offray de La
Mettrie
(1709-1751),
presumibilmente influenzato
dal panteismo spinoziano, ha
recisamente
negato
l’esistenza di un Dio
trascendente
e
buono
sposando un materialismo
rigoroso, senza cedimenti o
sbavature nei confronti della
res cogitans cartesiana. Da
questa posizione ritenne
coerente inoltrarsi lungo il
sentiero del relativismo etico
integrale ovvero dell’assenza
di una morale di estensione
generale, perché nell’ottica
della conoscenza sensibile o
empirica non si danno valori
etici universali e tantomeno
assoluti. Esiste infatti per lui
soltanto
la
dimensione
sensitivadell’uomoepertanto
anche i comportamenti o le
scelte umane vanno calibrate
sulle sensazioni personali di
piacere e di dolore: «Più una
sensazione
è
durevole,
deliziosa, piacevole e non
interrotta o turbata da
checchessia,piùsièfelici»75.
Ci troviamo insomma in
presenza di un edonismo
materialistico
e
potenzialmente egoistico che
è distantissimo dalla morale
stoica
contro
cui
è
dichiaratamente
rivolto
(«Come ci sentiamo antistoici! Questi filosofi sono
severi, tristi e duri»)76, ma
puredallamoralecristiana.È
ilnostroorganismoda«uomo
macchina» a condizionare le
nostre azioni senza una vera
possibilità di scelta, perché
«siamo trascinati da un
determinismo assolutamente
necessario»,
e
quando
facciamo il bene o il male,
quando
siamo
virtuosi
piuttostocheviziosi«lacausa
di tutto ciò è il nostro
sangue»; mentre il nostro
egoismodipendedalfattoche
«siamo
macchinalmente
portati a realizzare il nostro
bene» e «ogni individuo, nel
preferirsi a ogni altro […],
non fa che seguire l’ordine
della natura».77 In breve non
più semplicemente «tutto è
permesso»diDostoevskij,ma
«tutto è necessitato» dal
nostro corpo, compreso il
male.
Tuttavia La Mettrie non
giunge
a
sostenere
apertamente i malvagi contro
i buoni, si limita piuttosto a
prendere atto che la scelta di
quanto viene considerato
vizio o abiezione morale
risulta imposto dalla natura
stessa degli esseri umani:
«Non sostengo affatto, Dio
non voglia!, la malvagità,
troppo contraria al mio
carattere:
piuttosto
la
compatisco, perché ne trovo
la
giustificazione
nell’organismo
stesso
dell’uomo»78. Ne consegue
che i malvagi non meritano
una condanna morale più di
quanto i buoni non meritano
unpremio;esequestoinvece
avviene, è perché la società,
la religione e il potere
costituito si difendono con le
leggieiprecettietici.Chiper
contro compirà il salto
ulteriore, chi porrà il male al
di sopra del bene in una
direzione
addirittura
antiumanistica sarà un’altra
celebre figura di ateo e
libertino:Donatien-AlphonseFrançois de Sade (17401814).
In
De
Sade
il
materialismo, il sensismo e
l’antimoralismodiLaMettrie
vengono condotti agli esiti
maggiormente autodistruttivi
per l’individuo umano e per
la stessa comunità umana,
assumendo la veste di un
annichilimento parossistico
nel piacere, che si trasforma
in realtà in profonda
sofferenza per sé e per il
prossimo.NelDialogueentre
un prêtre et un moribond,
scrittonel1782nellaprigione
di Vincennes, il «divin
marchese»79 chiarisce subito
come i presunti peccati della
carne e della volontà non
siano altro che «bisogni
preordinati dalla natura o
conseguenze
ineluttabili»,
alla stregua di come grosso
modo la pensava La Mettrie.
Seperòsiipotizzal’esistenza
di un Dio creatore, allora
della corruttibile natura
umana si deve attribuire
totalmente a Lui la colpa; e
nonvalesostenere,comefail
prete nel nostro dialogo, che
tutto ciò è dipeso dalla
necessità di preservare la
libertà
umana
perché
l’onnipotenza divina poteva
essere esercitata altrimenti.
L’attributo dell’onniscienza
permette poi a Dio di
conoscere in anticipo come
agiranno i singoli uomini e
quindi bisogna concludere
che essi sono predestinati al
bene o al male dalla volontà
divina:
Sicché – chiede il
moribondo al sacerdote –
il tuo dio ha voluto far
tutto di traverso, soltanto
per tentare o provare la
sua creatura; ma non la
conosceva dunque? […]
Aqualfine,sesapevagià
quale partito ella avrebbe
abbracciato e se non
dipendeva che da lui,
poiché
lo
dici
onnipotente?
D’altronde per spiegare il
mondo basta la conoscenza
empirica, basta l’esperienza
della materia e non c’è
bisogno di ricorrere all’idea
di un Creatore come quello
descritto dalla religione:
«Perfeziona la tua fisica –
dice ancora il carcerato
moribondo – e comprenderai
meglio la natura, depura la
tua ragione, metti al bando i
tuoipregiudiziefaraiameno
deltuodio».80
A questo punto per De
Sade non ha senso porre
confini alla ricerca del
piacere, perché esso è il
principale impulso che
proviene dalla nostra natura
predeterminata;epureilimiti
della legge in difesa della
società, riconosciuti ancora
validi da La Mettrie,
diventanoinefficacisefareil
male o ciò che si definisce
tale suscita un piacere
superiore a quello di fare il
bene. «Amanti del piacere
[…] – pontifica il «divin
marchese»inLa filosofia nel
boudoir (1795) – è a voi soli
che dedico la mia opera:
nutritevi dei suoi principi,
essi favoriscono le vostre
passioni, e queste passioni,
che i freddi e piatti moralisti
vi
dipingono
come
spaventose, altro non sono
cheimezzidicuilanaturasi
serve per condurre l’uomo a
realizzare i disegni che essa
stessahasudilui»81.
Nonc’èDio,noncisono
sostanzespirituali,c’èsolola
materiasensibile,epertantoil
piacere corporale è l’unico
vero scopo dell’umana
esistenza.Inassenzadivalori
universali, l’unica ovvia e
forzata
prospettiva
per
ciascuno di noi è quella
dell’edonismo non soltanto
egoistico, ma solipsistico e
crudele verso gli altri, che
riduce il nostro prossimo a
mero strumento di piacere:
«Solo sacrificando tutto alla
voluttà, quell’essere infelice
che ha nome uomo e che si
trovagettatosuomalgradoin
questo triste universo, può
riuscire a seminare qualche
rosa sulle spine»82. Qui il
nostro dissoluto libertino
sembra perfino anticipare
alcune
tesi
dell’esistenzialismo e in
particolare quella dell’essere
umano «gettato nel mondo»
(Geworfenheit)
di
Heidegger83, mentre è meno
credibile che abbia davvero
realizzato in vita tutte le
perversionicheraccontainLe
120 giornate di Sodoma
(1785): in queste come in
altre circostanze di cui si
vanta, non va mai preso
troppoallalettera.84
In De Sade l’ateo,
l’immorale e il malvagio
convivono sempre nella
stessa
persona
e
si
identificano; infatti per lui
non si può essere atei e non
essere immorali e malvagi e
viceversa: «È famoso per il
suo ateismo – dice il
personaggio del Chevalier
(Cavaliere),
il
cinico
Dolmancé in La filosofia nel
boudoir – è l’uomo più
immorale… la corruzione
fatta persona, l’individuo più
perfidoemalvagiocheesista
sullaTerra»85.Perunateoper
sua natura immorale l’unica
ideaammissibiledeldivinoè
quella di una divinità
malvagia:«Dioc’è,unamano
qualunque
ha
necessariamente creato tutto
ciòchevedo,malohacreato
soltanto per il male, non si
divertechenelmale,ilmaleè
la sua essenza […] Cosa
importa a lui che io possa
soffrirequestomale,vistoche
gliènecessario?»86.
È ovvio che il dio
malvagio rappresenta nelle
intenzionidelnostrodissoluto
libertino una provocazione
anticristiana e antideista; e
questo perché dopo la
religione cristiana l’altro suo
principalebersagliopolemico
èildeismomoderato.Conciò
tuttavia rivela senza volerlo
l’autentica essenza del suo
ateismo: è un postulato
indispensabilepergiustificare
laricercadelpiaceresfrenato
emalvagioqualesensodiuna
vita in effetti senza senso.
L’ateismo autodistruttivo di
De Sade segue dunque a suo
modo la parabola nichilistica
che sta alla base di tutte le
forme di negazione di Dio e
finisce col fare del nulla il
fondamentodell’esistenza.Al
sacerdote del Dialogo fra un
preteeunmoribondochegli
domanda quale ordinamento
ritenga sussistere dopo la
morte, il moribondo risponde
infatti così: «Quale, amico
mio? Quello del nulla. Non
mihamaispaventatoenonci
vedo altro che non sia
semplice e consolante. Tutti
gli altri sistemi sono opera
dell’orgoglio, quello solo
dellaragione».87
Il filone nichilistico e
pessimistico,checonsiderala
vita stessa un male e però al
contempo reputa non sia una
via di uscita o una
consolazione dissolvere se
stessinelpiacerecomefaDe
Sade, è quello prevalente tra
gli atei teorici, anche perché
risale con tutta probabilità ai
poetigrecicomeTeognidedi
Megara(563-480a.C.ca):
Non nascere è per gli
uominilamigliorcosané
vedere i raggi acuti del
sole, ma una volta che
siano nati varcare al più
prestoleportedell’Adee
giacere sotto un tumulo
alto.88
Teognide fu caro a
Nietzsche,cheglidedicòuna
dissertazione al momento di
congedarsi dalla scuola
ginnasiale di Pforta89, come
per altro gli fu caro e fu
determinante per la sua
formazione
il
filosofo
pessimista tedesco Arthur
Schopenhauer,daluireputato
«il primo ateo dichiarato e
irremovibile che noi tedeschi
abbiamo
avuto».
Per
Schopenhauer l’assenza del
divino era «qualcosa di dato,
dipalpabile,diindiscutibile»,
per cui «l’ateismo assoluto,
onesto, è appunto il
presupposto
della
sua
problematica,[…]èl’attopiù
ricco di conseguenze di una
bimillenaria educazione alla
verità, che nel suo momento
conclusivo si proibisce la
menzogna della fede in
Dio».90
In
effetti
per
Schopenhauer l’ateismo è un
fatto
scontato
perché
semplicemente l’infelicità, il
maleeildisordinedelmondo
sono ragioni forti e
insuperabilicontrol’esistenza
del dio di tutte le concezioni
teistiche. Nonostante tutti i
tentativi e i sofismi della
teologia cristiana, qualora si
intenda ipotizzare l’esistenza
di Dio, la responsabilità del
malenelmondoedelmondo
(malamundiemalummundi)
comelaresponsabilitàditutte
le sventure umane ricade
unicamente su di Lui; infatti
il Creatore di tutto quanto
esiste non poteva non sapere
comesarebberostatalarealtà
mondana e la nostra triste
umana condizione, eppure
l’ha comunque create. Il
carattere
deludente
e
deprimentedellavitaumanaè
per il filosofo tedesco di per
sé evidente: essa non è
«niente all’infuori della
noia»91 e «si presenta come
un eterno inganno, nel
piccolo come nel grande.
Quando
promette,
non
mantiene»92.
Un pessimista integrale
come Schopenhauer, per il
quale la palese negatività del
mondo rende ipso facto
inconcepibile l’idea di un
essere divino creatore e
provvidente,nonpuòaquesto
punto non prendersela con
quello che ritiene «il
fondatore
dell’ottimismo
sistematico», cioè Gottfried
Wilhelm Leibniz e la sua
giustificazionediDio.Perlui
lateodicearappresentainfatti
una «metodica e ampia
esposizione dell’ottimismo»,
laqualetuttaviaavrebbesolo
un pregio: «Aver dato
occasione al grande Voltaire
di scrivere l’immortale
Candide».Conquasilostesso
sarcasmo
del
filosofo
francese si impegna quindi a
confutare il leibniziano
«migliore
dei
mondi
possibili»,dimostrandochein
realtà è «il peggiore dei
mondi possibili»: «Questo
mondoècostruito,cosìcome
doveva essere costruito, per
poter a mala pena sussistere:
se fosse appena un poco
peggiore, non potrebbe già
più esistere. Di conseguenza,
un mondo peggiore non è
possibile, dal momento che
non potrebbe esistere, e il
nostroèdunquetraipeggiori
diquellipossibili».Ecomesi
potrebbe dire diversamente,
visto
che
palesemente
l’esistenza di ogni singolo
individuo trascorre in una
continua lotta per la propria
sopravvivenza; lotta che per
altrosoventeterminaconuna
disastrosa sconfitta: quindi,
«comedovevasidimostrare,il
mondoètantocattivoquanto
può esserlo, se deve poter
esistere».93
Non vi è dubbio che per
Schopenhauer come per De
Sade l’unica via d’uscita
dall’esistenza
è
l’annichilimento della vita
stessa, è il nulla e soltanto il
nulla; con la differenza che
mentre il «divin marchese»
da sensista e materialista
crede che l’obiettivo sia
raggiungibile affogando nei
piaceri carnali, il filosofo
tedesco
antihegeliano
propone invece un processo
di liberazione basato sulla
rinuncia
totale
alla
concupiscenza, perché «la
soddisfazione dei nostri
desideri è simile alla carità
che oggi mantiene in vita il
mendicante,perfarlodomani
languire nuovamente nella
fame».94Sesisollevail«velo
di māyā», se si va oltre
l’illusione fenomenica che
offusca la nostra conoscenza
della realtà autentica, si
comprende
come
la
liberazione passi attraverso il
superamento del principium
individuationis, ossia la
soppressione
delle
«differenze tra la nostra
persona e le altre»,95 a cui
segue la rassegnazione che
culmina in un ascetismo nel
qualelavoluntassitrasforma
in noluntas e non si ha più
timore di sprofondare nel
nulla: «Per coloro in cui la
volontà si è convertita e
soppressa, è proprio questo
mondo così reale, con tutti i
suoisolielesuevielattee,a
essereilnulla».96
Considerandolesoluzioni
nichilistiche al problema del
sensodellanostraesistenzadi
DeSade,diSchopenhauer,di
Nietzsche e di molti altri,
vengono in mente le parole
dell’anarchico Pierre-Joseph
Proudhon
allorquando
rispettoalproblemadelmale
sosteneva: «Gli attributi
dell’Entepereccellenza[Dio]
si trovano essere gli stessi di
quelli del nulla» e pertanto
«l’ateismo giace in fondo a
ogniteodicea».97
6.LarivoltadiPrometeo
Contro una concezione
radicalmente
e
pregiudizialmente
pessimistica della realtà, che
rifiuta tanto il mondo quanto
il desiderio di vivere, che
come per il poeta Giacomo
Leopardi (1798-1837) «cosa
certa e non da burla si è che
l’esistenzaèunmalepertutte
le parti che compongono
l’universo» e «non si
comprende come dal male di
tutti gli individui senza
eccezione possa risultare il
bene dell’universalità»98, il
concetto
medesimo
di
teodicea non ha significato,
cosìcomeperaltrononloha
neppure quello di Dio o di
mondo, perché tutto quanto
esiste «fonda l’ordine nel
male» e «il male è
nell’ordine». All’ordine è
allora preferibile il disordine,
infatti «se nel mondo vi
fossero disordini, i mali
sarebbero
straordinari,
accidentali» e l’opera della
naturasarebbe«imperfetta»e
non «cattiva»;99 pertanto
all’essere, che è ordine,
sarebbe preferibile il non
essere,cioèildisordine.
Ci
imbattiamo
con
Leopardi in una tradizione
nella quale sono egualmente
presenti i temi del suicidio
come problema filosofico e
della lotta solidale e
prometeica contro la tragicità
della vita umana. Il grande
poeta
di
Recanati,
indubbiamente
ateo
nonostante i tentativi di
alcuni di cooptarlo tra i
(quasi) credenti,100 non ha
perso occasione per accusare
(spesso larvatamente per non
incorrere negli strali della
censura)lareligionecristiana
di diffondere il timore della
morte, che costituisce invece
per lui la liberazione da una
condizione di sofferenza
esistenziale senza limiti. In
questo senso egli interpreta
negativamente la condanna
del suicidio da parte della
Chiesa cattolica, benché
comunque
alla
scelta
individualeditogliersilavita
preferisca quella dell’unione
solidaleconiproprisimiliin
unoscontrotitanicocontrole
avversità naturali della
condizione umana. In una
delle sue Operette morali, il
Dialogo di Plotino e di
Porfirio,vainscenacontono
sostenuto
proprio
una
controversia sul suicidio, che
vede da un lato la sua
giustificazione razionale da
parte
del
filosofo
neoplatonico
Porfirio
(233/234-305
d.C.)
e
dall’altro il suo ripudio da
partedelsuomaestroPlotino,
conunaconclusionenegativa
rispettoallasceltadelsuicida
tuttaall’insegnadiunospirito
di solidarietà che deve
prevalere nella comunità
degli uomini vessata da un
tristedestinonaturale:
Vogli piuttosto aiutarci –
dicePlotinoaPorfiriocon
un’espressione accorata –
a sofferir la vita […].
Viviamo e confortiamoci
insieme:nonricusiamodi
portarequellapartecheil
destino ci ha stabilita dei
mali della nostra specie.
Sì bene attendiamoci a
tenerci compagnia l’un
l’altro; e andiamoci
incoraggiando e dando
mano
e
soccorso
scambievole;
per
compiere nel miglior
modo questa fatica della
vita.101
In
breve
contro
l’indifferenza della Natura o
di un Dio creatore per le
umaneesistenzefatteditedio,
di sofferenza e di assenza di
significato, l’unica difesa, o
meglio, l’unico lenitivo che
resta ai singoli individui è
quellodiunirsifraternamente
e sostenersi a vicenda per
ridurre almeno un poco il
gravame del «male di
vivere». Questo è quanto è
stato definito da qualche
criticoil«pessimismoeroico»
di Leopardi, perché sfocia in
un ateismo prometeico che
«control’empianaturastrinse
imortaliinsocialcatena»102,
che proclama a voce alta e
sfrontatamente un’alleanza di
tutta l’umanità sofferente
contro un potere assoluto
impassibile e invincibile, sia
esso quello divino o quello
dell’ordinenaturale.
Protagonista indiscusso
nel XX secolo dell’ateismo
antiteodiceticoeprometeicoè
stato lo scrittore francese
Albert Camus (1913-1960),
che ci ha lasciato una
versione indiscutibilmente
tragica dell’esistenzialismo.
Già nel suo primo romanzo
del1942intitolatoL’étranger
(Lo straniero) compare il
tema
del
distacco,
dell’estraneità dell’uomo dal
mondo:larealtànonhaalcun
senso, i fatti accadono senza
avereunprecisosignificato,e
se anche l’avessero il nostro
pensiero
non
potrebbe
coglierlotantosiamospaesati
e ci sentiamo stranieri in
questoimmensouniverso.La
dimensione
normale
e
costitutivadellavitaumanaè
insomma l’assurdità, nella
duplice
accezione
di
mancanzadiunfondamentoa
tutto ciò che esiste e di
assoluta vanità delle azioni
umane. Allora, come accade
al protagonista del romanzo
Meursault, possiamo perfino
arrivare a uccidere un uomo
senza nessun vero motivo,
senza nemmeno sapere bene
chi egli sia o perché
commettiamo un assassinio,
restandoinfineassolutamente
indifferenti
o,
più
esattamente, provando una
sensazione di inverosimile
estraneità, quasi la cosa non
ci riguardasse o non fosse
opera nostra anche davanti a
una meritata condanna a
morte. E questo perché tutto
ciòchecicircondaèprivodi
consistenza,nonciappartiene
veramente ed è insensibile
nonsoloallenostredisgrazie,
ma alla stessa nostra
presenza.
Èdeltuttoevidentechedi
fronteall’assurditàdelmondo
diventa altrettanto assurdo
affaticarsi
intorno
al
problema dell’esistenza di un
Ente supremo: se la realtà
tutta è senza senso, neppure
Dio, che dovrebbe attribuire
un significato alle cose, ha
ragionediesistereodiessere
cercato. Il protagonista di
L’étranger, rinchiuso in una
cellainattesadell’esecuzione
capitale, rifiuta qualsiasi
conforto religioso e del
dialogo col prete che gli
chiede «Perché rifiuti le mie
visite?»cosìciriferisce:«Ho
risposto che non credevo in
Dio. Ha voluto sapere se ne
ero ben sicuro e gli ho detto
che non avevo bisogno di
chiedermelo: mi sembrava
una
questione
senza
importanza».103 Ecco dunque
che pure in quel momento
crucialeperogniuomocheè
il confronto con la morte, la
questionediDioapparesenza
rilevanza, anzi del tutto
indifferente. Ci imbattiamo
qui in un esito radicalmente
nichilistico perché a risultare
senza valore non è soltanto
Dio, ma l’essere in quanto
tale.Citroviamoscaraventati
inuncontestonelqualenulla
contanotantoilviverequanto
ilmoriredegliesseriumanie
degli altri viventi. In questo
assoluto non senso della
realtà, l’esistenza o meno di
un Ente trascendente non
modifica alcunché: la sua
eventuale presenza non può
infatti sottrarci all’assurdità,
anzisitrasformanelmassimo
emblema dell’assurdo, nella
contraddizione
delle
contraddizioni, per cui chi
dovrebbe donare il senso
(Dio) e non lo dona, o non è
ingradodidonarlo,sirivelaa
sua volta indifferente ancor
primacheinsensato.
Come si può notare, il
concetto di ateismo rischia
addirittura di andare stretto a
Camus, dal momento che lo
scrittore,
individuando
nell’assenza di significato di
ogni singolo ente la cifra
interpretativa del mondo,
oltrepassa di slancio la
questionedelsensodellecose
edellanostravitachestaalla
base di tutti gli interrogativi
sull’esistenza di Dio, dando
così forma a una sorta di
meta-ateismo. Dopo aver
individuato anche lui nel
suicidio l’unico «problema
filosofico veramente serio
[…] per giudicare se la vita
valga o non valga la pena di
essere vissuta»104, dedicando
nel 1942 alla «sensibilità
assurda» un’intera opera dal
titoloevocativo–Lemythede
Sisyphe (Il mito di Sisifo.
Saggio sull’assurdo) –, lo
scrittore francese indica con
maggioreprecisioneilmotivo
per cui non solo è assurdo
concepire la presenza di un
dio, ma perché occorre
definirla un’«idea folle» e
quindi da respingere senza
esitazione. Ciò che rende al
contempo impossibile e
improponibile il concetto
stesso di un ente divino è la
presenzadelmalenelmondo,
della sofferenza, specie di
quellaingiusta,comenelcaso
dei bambini straziati da una
vita infelice o strappati
prematuramente dalla morte.
Per altro un’esperienza
personale sembra segnare
questa sensibilità di Camus:
in gioventù aveva assistito
alla terribile fine di una
bambinaaseguitodiungrave
incidentestradale.
In un secondo celebre
romanzo intitolato La peste
(1947) le vicissitudini, i
conflitti,
gli
egoismi
miserevoli, ma anche le
solidarietà che si scatenano
tra gli individui confinati
nella città algerina di Orano
colpita da un’epidemia di
pestilenza bubbonica, sono
tutte occasioni per riflettere
sul tragico destino collettivo
dell’umanità. Un destino che
hacostantementesullosfondo
ildatovergognosodeldolore
degli innocenti e della morte
prematura di persone buone
che invece meriterebbero di
vivere: tutti fatti di fronte ai
quali è preferibile non avere
fedeinDioepensarechenon
esista. «Ma se l’ordine del
mondoèregolatodallamorte
–scriveinfattiCamus–,forse
valmeglioperDiochenonsi
creda in lui e che si lotti con
tutte le nostre forze contro la
morte, senza levare gli occhi
verso il cielo dove lui
tace».105
Quanto
resta
incomprensibile
per
lo
scrittore francese e si
configura come un vero
scandalo nello scandalo è
proprio il silenzio di Dio al
cospetto del dolore umano.
SemprenellaPesteungesuita
di nome Paneloux, mentre
assiste alle convulsioni
dolorosissime di un giovane
gravemente colpito dalla
malattia e ormai prossimo
alla morte, invoca in
ginocchio: «Mio Dio, salva
questo
ragazzo!».
Ma
l’appellocadenelvuoto,anzi
«il ragazzo continuava a
gridare. […] Il dottore
riconobbe allora che il grido
del ragazzo si era indebolito,
che scemava ancora, che
stava per finire»; e poi
inesorabilmente finisce: «Il
ragazzo riposava nella buca
delle coperte in disordine,
rimpiccolito di colpo, con
resti di lacrime sul viso».
Davanti a eventi come questi
per il nostro autore non c’è
nessuna
spiegazione
filosofica plausibile, ma
neppure si può accettare la
rassegnazione e tantomeno
ricorrereallamotivazioneche
dobbiamo
rinunciare
a
comprendereidisegnidiDio
in quanto più grandi di noi.
Sono allora per lui più che
legittimati il rifiuto e
l’indignazione, anzi possono
e devono trasformarsi in
rivoltacontroDioecontrola
natura.ApadrePaneloux,che
dopo la morte del ragazzo
esclama «è rivoltante perché
supera la nostra misura, ma
forse dobbiamo amare quello
che non possiamo capire»,
risponde infatti così il
protagonista del romanzo, il
dottor Bernard Rieux: «No
Padre, io mi faccio un’altra
ideadell’amore;emirifiuterò
sino alla morte di amare
questa creazione dove i
bambinisonotorturati»106.La
somiglianza di questo brano
conlacitatainvettivadiIvan
nei Fratelli Karamazov di
Dostoevskijèditaleevidenza
danonrichiedereneppureun
commento;edelrestoènoto
quantoloscrittorerussoabbia
influenzato gli esistenzialisti
francesi.
Se si fosse fermato a
questa denuncia e repulsa
della sofferenza innocente o
meglio del malum mundi
attestato dai mala mundi,
l’ateismo di Camus sarebbe
risultato
semplicemente
antiteodicetico. Introducendo
invece il tema della rivolta
dell’umanità contro il male
nel mondo, in cui alcuni
studiosi hanno colto la parte
positiva
del
suo
esistenzialismo,
diventa
prepotentemente anche e
soprattutto
un
ateismo
prometeico. A questa idea
della ribellione egli dedica
una serie di saggi intitolata
L’homme révolté (L’uomo in
rivolta, del 1951), ossia il
libro che pare abbia di più
contribuito
alla
rottura
dell’amicizia e del sodalizio
culturale con Jean-Paul
Sartre,ancheseirapportitrai
due scrittori francesi erano
già minati da un dissidio
politico (Sartre divenne
filocomunista, mentre Camus
rimase anticomunista). In
quest’opera torna appunto la
figura di Ivan Karamazov,
l’ateo che non sopportava di
veder soffrire i bambini, che
vieneinterpretatacomequella
dichi«vadalmotodirivolta
all’insurrezione metafisica
[controDio]»;esitratterebbe
di una rivolta «dal carattere
straziato. Il dramma di Ivan
nasce dall’esservi troppo
amore senza oggetto. Questo
amore che, negato Dio,
rimane inutilizzato, ci si
decide allora a trasferirlo
all’essere umano in nome di
una generosa complicità».107
Ma la ribellione non è da
intendersi
semplicemente
comeunaquestionepersonale
e quasi solipsistica, al
contrario deve estendersi
leopardianamente a tutta
l’umanità, allo scopo di
contrastare almeno i mali del
mondo (mala mundi) fatti di
ingiustizia, intolleranza e
violenza
dell’uomo
sull’uomo.
Incontriamo
così
nuovamente
una
manifestazionediateismodal
carattere
marcatamente
postulatorio, che in questo
caso assume un connotato
prometeico, cioè di aperta
sfida a Dio e alla sua
esistenza. Come nel famoso
mito,
Prometeo
si
contrappone
apertamente
all’autorità di Zeus alla
stregua di quanto Camus
pensa debba fare l’essere
umanodifronteallasuatriste
condizione esistenziale.108
Ancora
una
volta
riconosciamo dunque nello
scrittorefranceseunamaniera
di essere ateo che postula la
negazione di Dio in presenza
del male nel mondo e inoltre
si ribella alla sua esistenza
per riaffermare la totale
libertà del genere umano. In
Camus dal ripudio di Dio
trasformato in sollevazione
contro Dio scaturisce la
nuova identità dell’essere
umano, perché il valore della
rivolta «sta nella rivolta
stessa»econessa
ilmalecheunsolouomo
provava diviene peste
collettiva. In quella che è
la
nostra
prova
quotidiana, la rivolta
svolge la stessa funzione
del cogito nell’ordine del
pensiero: è la prima
evidenza. Ma questa
evidenza trae l’individuo
dalla solitudine. È un
luogo comune che fonda
sututtigliuominiilprimo
valore.Mirivolto,dunque
siamo.109
Resta tuttavia difficile
pensare che l’unica risposta
alla spietata ingiustizia della
natura e alla presenza nel
male nel mondo sia la
protestacontroDiooilrifiuto
della sua esistenza, se non
addirittura del suo stesso
concetto. Come ha notato il
marxista
Ernst
Bloch
riflettendo sul biblico Libro
di Giobbe, la soluzione del
problema della teodicea non
puòessere«quedieun’existe
pas [che Dio non esiste],
giacché poi emergono le
questioni sullo stesso corso
del mondo del tutto
insensibile verso di noi,
tenebrosamente maculato, e
sulla materia difficile che in
esso si muove». Occorre
invece pensare a «un nuovo
esodo» che fornisca una
nuovasperanza,percuianche
chi si rivolta contro l’idea di
una divinità onnipotente che
consente l’iniquità del male,
anche «il ribelle possieda
fiducia in Dio senza credere
in Dio».110 Vivere nella
sofferenza sotto una natura
leopardianamente matrigna e
senza la speranza di
rintracciareunsensopertutto
ciò che esiste è infatti una
condizione di gran lunga
peggiore di un’esistenza
dolorosa, ma accompagnata
dallaragionevoleattesadiun
significato,
aperta
alla
possibilità dell’essere, del
divino e non sprofondata nel
nulla.
1«SeDioesiste[edèbuono],dadove
proviene il male?». Vedi Agostino di
Ippona,Confessioni,VII,5,7.
2VediH.Arendt,Labanalitàdelmale.
Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli,
Milano1964.VediancheP.P.Portinaro
(acuradi),Iconcettidelmale,Einaudi,
Torino2002.
3 E. Lévinas, Trascendenza e male, in
Di Dio che viene all’idea, Jaca Book,
Milano1983,p.158.
4E.Wiesel,Lanotte,Giuntina,Firenze
1980, pp. 66-67. Pipel in yiddish
significa«ragazzino».
5 G. Büchner, La morte di Danton, in
Teatro,Adelphi,Milano2000,p.54.
6 R. Dawkins, Il fiume della vita,
Sansoni, Firenze 1995, p. 130. Sulla
nozione di «male gratuito» rispetto al
problema di Dio vedi R.M. Gale, A.R.
Pruss(acuradi),TheExistenceofGod,
Ashgate,Aldershot2003,pp.XX-XXI.
7 S. Weinberg, Il sogno dell’unità
dell’universo, A. Mondadori, Milano
1993,pp.258-59.
8 V.J. Stenger, Perché la scienza non
crede in Dio. La sfida perduta della
fedeallaragione,OrmeEditori,Milano
2008,pp.163e218.
9 Lettera di Charles Darwin ad Asa
Gray del 22 maggio 1860, in Ch.
Darwin, Lettere sulla religione,
Einaudi, Torino 2013, p. 46. Gli
icneumonidi (ichneumonidae) sono
degli insetti parassitoidi dell’ordine
degliimenotteri,chedepongonoleuova
dentro il corpo di altri insetti (di solito
bruchi,cavalletteeapi).
10 Dawkins, Il fiume della vita cit., p.
130.
11VediD.Morin, L’ateismo moderno,
Queriniana,Brescia1996,pp.176-78.
12 La posizione di Dennett sulla
coscienza è infatti nota come
«eliminativismo». In proposito vedi
D.C. Dennett, Sweet Dreams. Illusioni
filosofiche sulla coscienza, Cortina,
Milano2006,eCoscienza.Checosaè?,
Laterza,Bari2009.
13VediE.O.Wilson,Sociobiologia.La
nuova sintesi, Zanichelli, Bologna
1979,p.569.
14 E. Boncinelli, Il male. Storia
naturale e sociale della sofferenza,
Mondadori,Milano2007,p.249.
15
Le
citazioni
precedenti
dall’introduzione a Creazione e male
delcosmo.Scandaloperl’uomoesfida
per il credente, a cura di G. Colzani,
Edizioni Messaggero, Padova 1995, p.
13.
16Plotino, Enneadi,II,4,15,Rusconi,
Milano1992,p.253.
17Ivi,I,8,7,ed.cit.,p.161.
18Ivi,I,8,3,ed.cit.,p.151.
19DionigiAreopagita,Nomidivini,IV,
30-33, in Tutte le opere, Rusconi,
Milano1999,pp.330-32.
20 Agostino, Confessioni, III, 7, 12 e
VII, 12, 18, Città Nuova, Roma 1991,
pp.69e201-03.
21 Tommaso d’Aquino, La somma
teologica, I, q. 48, a. 1, ESD, Bologna
1996,vol.I,p.457
22 Vedi J. Maritain, Dio e la
permissione del male, Morcelliana,
Brescia 1983, pp. 21 sgg. I tomisti
«rigidi» o ciclopici della «buona
scuola» sono soprattutto i teologi
domenicani Domingo Báñez (15281604) e Giovanni di San Tommaso
(1589-1644), nonché i carmelitani
seicenteschidelCollegiodiSalamanca.
Sullecriticheallateoriadelmalecome
non essere vedi anche L. Pareyson,
Ontologia della libertà. Il male e la
sofferenza,Einaudi,Torino1995.
23 A.M.S. Boezio, De consolatione
philosophiae, IV, 1, Rizzoli, Milano
1977,p.267.
24 F.M. Dostoevskij, I fratelli
Karamazov, parte II, libro V, Sansoni,
Firenze 1969, pp. 343-56. Sulla
«Leggenda del Grande Inquisitore»
vedi F. Cassano, L’umiltà del male,
Laterza,Bari2011.
25
Boezio,
De
consolatione
philosophiae cit., I, 4, ed. cit., pp. 9697.
26Vedisupra,cap.1,par.3.
27 Vedi J.F. Haught, Dio e il nuovo
ateismo, Queriniana, Brescia 2009, pp.
19e23-40.
28 M. Onfray, Trattato di ateologia.
Fisica della metafisica, Fazi, Roma
2005,pp.19-20.
29 Vedi S. Harris, La fine della fede.
Religione, terrore e il futuro della
ragione, Nuovi Mondi, San Lazzaro di
Savena2006.
30 S. Harris, 10 Myths and 10 Truths
about Atheism, «The Los Angeles
Times»,24dicembre2006.
31 C. Hitchens, Dio non è grande.
Come la religione avvelena ogni cosa,
Einaudi,Torino2007,p.6.
32Ivi,p.236.SuFreudvedisupracap.
5,par.4.
33Ivi,p.74.
34 Ivi, p. 270. Sui «Magisteri non
sovrapposti» di Gould vedi supra cap.
5,par.7.
35 B. Spinoza, Etica, Parte IV,
«Prefazione», Bollati Boringhieri,
Torino1971,p.214.
36 Le Quattro Nobili Verità sono: 1.
Veritàdeldolore;2.Veritàdell’origine
del dolore; 3. Verità della cessazione
del dolore; 4. Verità della via alla
cessazionedeldolore.
37VediA.Comte-Sponville,Lospirito
dell’ateismo. Introduzione a una
spiritualità senza Dio, Ponte alle
Grazie, Milano 2007; J. Kristeva,
Bisogno di credere. Un punto di vista
laico, Donzelli, Roma 2006; A. De
Botton, Del buon uso della religione.
Una guida per i non credenti,Guanda,
Milano 2011; D. Demetrio, La
religiosità degli increduli: per
incontrare i «Gentili», EMP, Padova
2011; S. Natoli, Il cristianesimo di un
noncredente,Qiqajon,Magnano2002
38 M. Weber, L’etica economica delle
grandi religioni, in Sociologia della
religione,Utet,Torino2008,pp.344e
347.
39 Sui miti mesopotamici vedi H.
McCall,
Miti
mesopotamici,
Mondadori, Milano 1995. In generale
sui miti della creazione vedi R.J.
Stewart, Miti della creazione, Xenia,
Milano1993;M.Bielawski(acuradi),
In principio. Racconti sull’origine del
mondo,Garzanti,Milano2014.
40 Per le teogonie, Esiodo, Teogonia,
Rizzoli, Milano 1997. Per le tragedie
greche vedi Eschilo, Sofocle, Euripide,
Tragicigreci,Mondadori,Milano1992.
41 Euripide, Bellerofonte, fr. n. 286.
Vedi M. Curnis, Il «Bellerofonte» di
Euripide,
Edizioni
dell’Orso,
Alessandria 2003. Per l’affermazione
ateadiEuripidevedisupra,cap.1,par.
3.
42 P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla
filosofia e alla teologia, Morcelliana,
Brescia1993,pp.19-20.
43Platone,Repubblica,libroX,614C615 A, in Tutti gli scritti, Rusconi,
Milano1991,p.1323.
44Ivi,libroX,617E,ed.cit.,p.1325.
45 Omero, Odissea, I, 30, Mondadori,
Milano1969,p.40.
46Genesi3,17-19.
47 Vedi J.-M. Narbonne, Aristote et le
mal, in Documenti e studi sulla
tradizione filosofica medievale, VIII, a
cura di S.I.S.M.E.L., Brepols-Edizioni
del Galluzzo, Turnhout-Firenze 1997,
pp. 87-103. Com’è noto, Aristotele ha
individuato
quattro
cause
del
mutamento o del divenire: formale (il
«modello» delle cose); materiale (la
materia); efficiente (la causa attiva del
divenire o del moto); finale (lo scopo
ultimoacuiognicosatende).
48 M.T. Cicerone, De natura deorum,
III, 37, 89, Rizzoli, Milano 1992, p.
391.
49Ivi,III,37,89,ed.cit.,p.391.
50 Lattanzio, De ira dei, 13, 19, in H.
Usener (a cura di), Epicurea, n. 374,
Bompiani, Milano 2002, p. 551. Lo
stesso argomento antiteodicetico è
menzionato da Sesto Empirico, ma
senza citare la fonte: vedi Schizzi
Pirroniani, III, 9-12, Laterza, Bari
1988,pp.123-24.
51 Lattanzio, De ira dei, 17, 1, in
Usener, Epicurea cit., n. 360, p. 527.
Sulla teologia di Epicuro vedi supra,
cap. 1, par. 3. Per un’analisi del
dilemma epicureo vedi R.G. Timossi,
Imparare a ragionare. Un manuale di
logica,Marietti,Milano2011,pp.37276.
52 G.C. Vanini, Anfiteatro dell’Eterna
Provvidenza, Exercitatio XVI, in Tutte
le opere, Bompiani, Milano 2010, pp.
474-75.UnapartedelletesidiEpicuro
viene da Vanini attribuita al sofista
Protagora di Abdera (vedi Anfiteatro
dell’Eterna Provvidenza cit., pp. 45457).
53 Giobbe 3,1-4. Vedi M. Bizzotto, Il
grido di Giobbe, San Paolo, Cinisello
Balsamo1995.
54Giobbe2,7.
55Giobbe9,22.
56VediGeremia16,10-13.
57 Le citazioni di Jonas sono tratte dal
suoIl concetto di Dio dopo Auschwitz,
IlMelangolo,Genova1993,pp.34-38.
La dottrina dello Tzimtzùm (cioè
contrazione,
ripiegamento,
autolimitazione di Dio al momento
della creazione per fare spazio al
mondo)èdelmisticoebraicoIsaacben
SolomonLuria(1534-1572).
58LecitazionidaP.Bayle, Dizionario
storico-critico, Laterza, Bari 1976, pp.
110-11.Vedianchesupracap.3,par.1.
59 G.W. Leibniz, Principi della natura
e della grazia fondati sulla ragione, n.
7, in Scritti filosofici, Utet, Torino
1967,p.278.
60Ivi,n.8,p.278.Lalogicamodaleè
quella branca della logica che studia
enunciati nei quali sono coinvolte
espressioni come «è possibile», «è
impossibile», «è necessario», «è
contingente»ealtreaesseaffini.
61 G.W. Leibniz, Saggi di teodicea, I,
44,inScrittifilosoficicit.,p.484.
62Ivi,I,7,pp.461-62.
63
G.W. Leibniz, Discorso di
metafisica,IV,inScrittifilosoficicit.,p.
66.
64 Leibniz, Saggi di teodicea, I, 8, in
Scrittifilosoficicit.,p.462.Vedianche
G.W. Leibniz, Monadologia, n. 55, in
Scrittifilosoficicit.,p.292.
65Leibniz,Principidellanaturaedella
grazia,n.10,inScrittifilosoficicit.,p.
279.
66Sullateoriadeimondipossibilivedi
P.Casalegno,Filosofia del linguaggio.
Un’introduzione, La Nuova Italia,
Roma1997,pp.119-69.VediancheS.
Kripke, Nome e necessità, Bollati
Boringhieri,Torino1982.
67Leibniz,Saggi di teodicea, I, 21, in
Scrittifilosoficicit.,p.471.
68Ivi,«Prefazione»,n.1,p.378.
69 J. Meslier, Il testamento, Guaraldi,
Rimini 1972, p. 255. Su Meslier vedi
supracap.4,par1.
70
Voltaire,
Candido
ovvero
dell’ottimismo, cap. V e VI, Bompiani,
Milano1987,pp.19e21.
71 Vedi Voltaire, J.-J. Rousseau, I.
Kant, Sulla catastrofe. L’Illuminismo e
lafilosofiadeldisastro, B. Mondadori,
Milano2004.
72 I. Kant, Sull’insuccesso di ogni
tentativo filosofico in teodicea, in
Questioni di confine. Saggi polemici,
1786-1800, Marietti, Genova 1990, p.
31.
73I.Kant,La religione nei limiti della
sempliceragione,B27eB35,inScritti
morali, Utet, Torino 1970, pp. 352 e
357. Vedi anche I. Kant, Il male
radicale,Garzanti,Milano2014.
74 Oltre alla dizione «etica atea»
ricorrono anche: «etica senza Dio»,
«morale laica», «etica naturalistica»,
«etica materialista». Per Diderot e
D’Holbachvedisupra cap. 2, par. 4, e
cap.3,par.2.
75 J.O. de La Mettrie, Antiseneca
ovverodiscorsosullafelicità, in Opere
filosofiche,Laterza,Bari1974,p.303.
76Ivi,p.302.
77Ivi,p.330.
78Ivi,p.358.
79CosìDeSadeèstatosoprannominato
dal critico André Breton (1896-1966).
VediA.Breton,P.Éluard,Dictionnaire
abrégé du surréalisme, Galerie des
Beaux-Arts,Paris1938.
80 D.-A.-F. de Sade, Dialogo fra un
prete e un moribondo, in Opere,
Mondadori,Milano1976,pp.11-13.
81 D.-A.-F. de Sade, La filosofia nel
boudoir,inOperecit.,p.25.
82Ivi,p.25.
83M.Heidegger,Essereetempo,§38,
Utet,Torino1969,pp.279-85.
84 Vedi D.-A.-F. de Sade, Le 120
giornatediSodoma,NewtonCompton,
Roma1993.Perl’insinceritàdiDeSade
vediS.Neiman,Incielocomeinterra.
Storiafilosoficadelmale,Laterza,Bari
2011,p.164.
85DeSade,Lafilosofianelboudoir,in
Operecit.,p.30.
86 D.-A.-F. de Sade, Juliette ovvero la
prosperitàdelvizio, Newton Compton,
Roma1993,p.295.
87 De Sade, Dialogo fra un prete e un
moribondo,inOperecit.,p.20.
88TeognidediMegara,Elegie,vv.425428,Rizzoli,Milano1989,pp.142-43.
89DissertatiodeTheognideMegarensi
(1864).VediF.Nietzsche,Teognide di
Megara,Laterza,Bari1985.
90 Le citazioni sono tratte da F.
Nietzsche,Lagaiascienza,libroV,par.
357,Adelphi,Milano1997,pp.228-29.
91 A. Schopenhauer, Il mondo come
volontàerappresentazione, libro IV, §
57,Mondadori,Milano1995,p.442.
92 A. Schopenhauer, Supplementi al
Mondo
come
volontà
e
rappresentazione, Supplementi al IV
libro,cap.46,inIlmondocomevolontà
erappresentazionecit.,p.1486.
93Ivi,cap.46,ed.cit.pp.1499-1502.
94 Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione cit., libro
IV,§68,ed.cit.p.546.
95 Ivi, ed. cit. p. 531. Nelle dottrine
filosofico-religiose
indiane,
in
particolare nei Veda, il termine māyā
indica tanto il potere della creazione
quanto le illusioni fenomeniche
prodottedall’attivitàcreatrice.
96Ivi,libroIV,§71,ed.cit.p.576.
97 J.-P. Proudhon, Système des
contradictions
économiques
ou
Philosophiedelamisère,Rivière,Paris
1923,tomoI,p.38.VediinitalianoJ.P.
Proudhon,
Sistema
delle
contraddizioni economiche o Filosofia
della Miseria, Utet, Torino 1975. Su
Proudhonvedisupra,cap.4,par.2.
98 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri,
n.4175,Garzanti,Milano1991,vol.II,
p.2297.
99Ivi,n.4511,ed.cit.p.2581.
100 Vedi D. Barsotti, La religione di
Giacomo Leopardi, Morcelliana,
Brescia1975.
101G.Leopardi,DialogodiPlotinoedi
Porfirio, in Operette morali, Garzanti,
Milano1982,p.363.
102 G. Leopardi, La ginestra o il fiore
del deserto, vv. 148-149, in Canti,
Garzanti, Milano 1975, p. 315. Sul
pessimismo di Leopardi vedi E.
Severino,Ilnullaelapoesia.Allafine
dell’età della tecnica: Leopardi,
Rizzoli,Milano1990.
103 A. Camus, Lo straniero, Garzanti,
Milano1974,p.131.
104 A. Camus, Il mito di Sisifo,
Bompiani,Milano1994,p.7.
105 A. Camus, La peste, Bompiani,
Milano1993,pp.98-99.
106Ivi,pp.167-69.
107 A. Camus, L’uomo in rivolta,
Bompiani, Milano 1994, p. 23. Per
l’invettiva di Ivan Karamazov, vedi
supracap.6,par.2.
108VediEschilo,Prometeoincatenato,
Rizzoli, Milano 2004. Prometeo nella
mitologiagrecaèilTitanochesottrasse
«semidifuoco»aglideiperdonarliagli
uomini e per questo fu punito con un
tremendosupplizio.
109Camus,L’uomoinrivoltacit.,p.27.
Chiaroilriferimentoalcogitoergosum
diCartesio.
110E.Bloch,Ateismonelcristianesimo,
Feltrinelli,Milano2005,p.161.
Conclusione
Prendendo in esame e
tentando di delineare le
svariate sfumature nel modo
di dichiararsi atei ci si rende
contodialcunecaratteristiche
peculiari
e
ricorrenti
dell’ateismo.
Innanzitutto
esso
nasce
più
per
contrapposizione al teismo o
comunqueaun’ideapeculiare
di Dio (di solito quella
ebraico-cristiana), piuttosto
checomeconcettoautonomo.
Se gettiamo uno sguardo alla
Storia, tutte le prime civiltà
appaionocontrassegnatedalla
credenza in qualcosa che sta
dietro ai fenomeni naturali e
dacuituttodipende;qualcosa
cherappresentapureilprimo
tentativo di fornire una
spiegazione unitaria o di
trovare un fondamento alle
cose
sul
quale
fare
affidamento, anche per scopi
pratici (per esempio riti
propiziatori, preghiere ecc.).
Ma allorché nell’antica
Greciasiverificailpassaggio
dal mito alla filosofia,
assistiamo con chiarezza alle
prime manifestazioni di
antiteismoodinegazionedel
divino, che sul piano
razionale si configurano
innanzitutto come un rifiuto
degli dei pagani: così accade
infatti tanto in Evemero di
MessinaquantoinDiagoradi
Melo, tanto per Prodico di
Ceo quanto per Teodoro
l’Ateo e per Crizia il
Giovane.Conlaspeculazione
filosofica greca, specie con
quellediPlatoneeAristotele,
si inizia inoltre a definire
meglio il ruolo di Dio in
rapporto
all’universo
(Demiurgo oppure Primo
MotoreImmoto)eciòcreale
premesse
del
moderno
ateismo
teorico.
Probabilmente una prima
forma
di
passaggio
dall’antiteismo
originario
all’ateismo si produce già
nello stesso mondo classico,
ma purtroppo le nostre fonti
sono esigue, frammentarie e
per lo più indirette. Le
espressioni meglio acclarate
di ateismo iniziano soltanto
col
Rinascimento
e
procedono poi di buon passo
col pensiero materialista e
scettico del ’600, per
conoscereinfineunosviluppo
decisamente accelerato a
partire dall’Illuminismo e
arrivare in un costante
crescendo rossiniano fino ai
giorninostri.
In perfetta coerenza con
l’evoluzione testé delineata
risulta un’altra caratteristica
ricorrente dell’ateismo: il
rifiuto di una concezione
dualistica del reale, in
particolare del dualismo Diomondo, e la conseguente
opzione per una metafisica
dell’immanenza, sia di tipo
materialistico
come
in
D’Holbach oppure idealistico
come nell’ateismo implicito
diHegel.Ricordiamoquiper
inciso che risulta piuttosto
controversa la classificazione
del
pensiero
hegeliano
rispetto
al
problema
dell’ateismo, al punto che
sono state prospettate dagli
studiosi tutte le posizioni
immaginabili: c’è chi come
KarlLöwithloharitenutoun
teista, chi come Réginald
Garrigou-Lagrange ne ha
fatto un panteista, chi come
Cornelio Fabro ha parlato di
panteismo sbilanciato verso
l’ateismo e chi infine di un
ateo tout court come
Alexandre Kojève. Noi
preferiamo invece la tesi del
teologo Georges Cottier, che
vede nella teologia hegeliana
una forma di ateismo non
espressamente dichiarato1. A
ogni buon conto, per tutti gli
atei
esiste
una
sola
dimensione dell’essere, una
sola
realtà
immanente
identificabileoconlamateria
oppure con una sostanza non
materiale (res cogitans,
spirito o Geist, energia
speciale, forza vitale ecc.);
quindi
appare
loro
inaccettabile ogni forma di
credenza in qualcosa di
trascendente
totalmente
separato dal nostro mondo.
PerNietzschelacredenzanel
trascendente
rappresenta
addirittura la fuga dal reale,
dalla vita autentica, e
costituisce
l’ostacolo
maggiore alla trasvalutazione
di tutti i valori, all’avvento
dell’oltreuomo.
Un’altra
peculiarità
ricorrenteintutteletipologie
di ateismo è quella di
intendere l’idea di Dio non
solo come una mera
invenzione della mente
umana, che è di per sé un
fatto piuttosto scontato, ma
anche come la proiezione o
alienazione nel divino di
aspetti inespressi della natura
umana; ed è ciò che si
verifica
sotto
diverse
modalitàchevannodaquella
antropologica di Ludwig
Feuerbach
a
quella
psicologicaopsicoanaliticadi
SigmundFreud,passandoper
quella socio-politica di Karl
Marx. Si può così affermare
che il tema dell’alienazione
sottende tutte le forme di
ateismo, ivi compreso quello
scientistaoscientifico,quello
esistenzialista
e
quello
nichilistico.
L’ateismo moderno ha
dunqueinultimaanalisiquale
obiettivo primario quello di
eliminare
definitivamente
l’ideadiDiodallacoscienzae
dalla Storia al fine di
consentire all’essere umano,
come singolo e come
collettività, di esprimere
compiutamente e liberamente
se stesso. Coscienza e Storia
costituiscono, direttamente o
indirettamente, i due pilastri
dell’ateismo della nostra
epoca: il problema di Dio è
visto al contempo come una
questione interiore riferibile
al singolo individuo e come
un fenomeno connesso al
progresso
storico
dell’umanità. Un ateismo in
cui la Storia e la coscienza
risultano, ancor più che
strumenti per interpretare e
confutare l’esistenza di un
Ente supremo, il fine
programmatico di una nuova
concezione del mondo e del
genereumano.
D’altra parte nell’esporre
le motivazioni degli atei non
ci siamo quasi mai imbattuti
in argomenti razionali volti a
negare
semplicemente
l’esistenza di Dio, non
abbiamo incontrato delle
confutazioni che fossero fini
a se stesse, che si limitassero
a inficiare per via logica il
teismo o il deismo, ma ci
siamoinvecetrovatidifronte
a prese di posizione nelle
quali si faceva del rifiuto di
Dio
il
postulato
indispensabile di tesi o
conclusioni già in qualche
misura
precostituite
e
ovviamente assunte per vere.
Non
quindi
autentici
ragionamenti logici di tipo
confutatorio, ma petizioni di
principio,
quando
non
argomentazioni strumentali e
di comodo. Per chiarire
meglio portiamo qualche
esempio di questi argomenti
postulatori:
Dio non può esistere
(postulato) perché l’uomo
deveesserelibero(Bakunine
Sartre);
Dio è l’oppio dei popoli
(postulato), pertanto solo la
lotta di classe e la società
comunista sono la via di
salvezza del genere umano
(MarxedEngels);
Dio è una mera proiezione
dell’essenza
umana
(postulato),quindilateologia
può
essere
ricondotta
all’antropologia(Feuerbach);
Dio è morto (postulato):
questo è il punto di partenza
perlatrasvalutazionedituttii
valori e per l’avvento del
superuomo(Nietzsche);
Il termine «dio» e il suo
concetto sono privi di
significato
(postulato),
altrimenti sarebbe falso che
unicamente
gli
asserti
verificabili sono dotati di
senso
(positivisti,
neopositivistiescientisti);
L’immagine del divino è una
proiezione
psicologica
(postulato), così si conferma
che l’inconscio determina
tutte
le
manifestazioni
psichiche(Freud);
Bisogna ribellarsi contro dio
(postulato): è l’unico modo
peraffermareilgenereumano
contro «l’empia natura»
(LeopardieCamus).
In sintesi pressoché tutto
l’ateismo finisce per essere
postulatorio, per presupporre
per certa la non esistenza di
Diosenzadavverodimostrare
la falsità delle affermazioni
deiteistiodeideisti;equesto
perché, per sostenere le sue
tesi fondamentali, risulta
indispensabile a ogni ateo
negare pregiudizialmente il
dualismoelatrascendenza.A
ben guardare la natura
postulatoria dell’ateismo si
tramuta in ultima istanza in
un approccio teologico, in
una forma di teologia che
intende sostituire al divino
l’uomo singolo oppure la
specie umana. Perfino negli
atei scientifici o nei filosofi
positivisti traspare infatti
l’obiettivo programmatico e
preconcetto di un riscatto del
genere umano, le cui
potenzialità sarebbero state
conculcate dalla credenza in
Dio e dalle istituzioni
religiose. In tal modo si è
giunti non di rado a
divinizzare
scopertamente
l’uomo, che è poi il rischio
sempre
ricorrente
dell’atteggiamento
ateo,
oppure
quantomeno
a
esagerarne le potenzialità e
l’effettivo ruolo ontologico,
sostituendo così a una
metafisica teocentrica una
metafisicaantropocentrica.
Come negare del resto la
fondatezza delle critiche di
chi ha visto nella «specie
umanainfinita»diFeuerbach,
nella «classe universale» (il
proletariato) di Marx ed
Engels, nell’«oltreuomo» di
Nietzsche, nell’«uomo quale
si fa» di Sartre, nel «Grande
Essere (l’Umanità)» di
Comte,nell’ideadellascienza
come «sapere senza enigmi
insolubili» degli scientisti,
altrettante
forme
di
elevazione
agli
altari
dell’essereumano?Comenon
rilevare che certo ateismo
sembraricusareDioinquanto
ente assoluto per poi
sostituirlo con altre modalità
o concetti di assoluto,
cadendo in un’evidente
contraddizioneeinuncircolo
vizioso? E se questi atei
contestano alla nozione di
Dio di essere un’espressione
mitologica, non è allora
possibile
ribaltare
con
estrema facilità tale accusa
anche sulle loro teorie
fondate su nuovi «assoluti»
umani
e
mondani?
L’umanesimo assoluto è
autocontraddittorioepertanto
inconsistente
sia
sotto
l’aspetto logico sia sotto
quello filosofico: esso perciò
rilancia
indirettamente
l’esigenza razionale di Dio
quale fondamento dell’essere
edell’esistenzaumana.
L’inconsistenza oggettiva
dei tentativi postulatori di
eliminare l’idea del divino
con argomenti antropologici,
sociologici, psicologici e
scientifici, pone in evidenza
come l’unico argomento
dell’ateismo di una certa
efficaciarestiallafinequello
del male, quello cioè della
sofferenza
innocente
e
dell’indifferenza della natura.
Di questo fatto si sono
probabilmente accorti gli atei
medesimi o perlomeno
dimostrano di averlo intuito,
dal momento che hanno
ripetutamente integrato le
loro
specifiche
argomentazioni
teoretiche
con un richiamo ricorrente
alloscandalodelmale.Come
Immanuel Kant nella sua
Critica della ragion pura
(1781) giunge a considerare
che in fondo tutte le prove
dell’esistenza
di
Dio
presuppongono
e
riconducono alla sola prova
ontologica (a suo giudizio
ugualmente non valida),2
possiamo qui analogamente
concludere che tutti gli
argomenti forti degli atei si
riducono in ultima istanza al
solo argomento del male,
ossia
all’ateismo
antiteodicetico.
Ma dopo un lungo
periodo nel quale la teodicea
del migliore dei mondi
possibili
sembrava
inesorabilmente sepolta sotto
l’ironiadiVoltaireesottoun
nichilistico e irredimibile
«male ontologico», negli
ultimi tempi si è assistito a
una
rivalutazione
dell’argomento leibniziano,
per giunta da un versante da
cui forse meno ce lo si
attendeva:
quello
della
rigorosa filosofia analitica. Il
filosofoJohnWisdom(19041993),allievodiWittgenstein
e suo successore sulla
cattedra di Cambridge, ha ad
esempio affrontato da un
punto di vista logico la
questione se la presenza del
male può essere considerata
una prova dell’inesistenza di
un essere perfettissimo
onnipotenteehaconclusoche
«lo sarebbe soltanto se
sapessimo che nessun mondo
contenente del male può
essere il migliore dei mondi
logicamente possibili»3; e
però questo non può essere
evidentemente affermato con
certezza da nessuno. Ne
conseguechenonèpernulla
irrazionale credere che il
nostro sia il migliore dei
mondi possibili e quindi le
critiche
dell’ateismo
antiteodicetico all’ipotesi di
Leibniz sono logicamente
sterili.
Rispetto
invece
all’individuazione
delle
ragioni della presenza del
male nel nostro ordine
mondano, Wisdom resta
scettico sulla dimostrabilità
della teoria della sua
permissionedapartediDioin
vista di un bene maggiore;
benechetuttavianelpensiero
cristiano
risulterebbe
perlomenoduplice:daunlato
lalibertàumanaedall’altrola
salvezzaeterna.
Per un altro pensatore
analitico
contemporaneo
come Robert Audi non
soltanto l’argomento del
miglioredeimondipossibiliè
degno di considerazione, ma
ci si può spingere anche più
in là, supponendo «che Dio
non creerebbe un mondo
senza sapere che il risultato
complessivo
[…]
sarà
buono». Con un paragone
preso
dall’estetica,
per
l’Essere
perfettissimo
«potrebbe valere la pena di
dipingere
un
quadro
imperfetto»; esso resterebbe
comunquedegnodelsuoatto
creativo,sesitienecontoche
lecreatureumanesonoesseri
dotati di libero arbitrio e
pertanto
«neppure
la
creazione da parte di un
essere onnicompetente» può
fare in modo «che gli esseri
liberi siano immuni da
errori»,
altrimenti
non
sarebberopiùtali,bensìdelle
speciediautomi.Adifferenza
infattidellamacchinachenon
sbaglia mai, l’uomo cade in
erroreproprioperchéèlibero.
E rispetto al male commesso
dagli uomini, se essere amati
daDioè«unodeipresupposti
della bontà della creazione
divina del mondo», non
necessariamente tutto deve
risultare
assolutamente
perfetto
nell’uomo
per
consentirgli di meritare
l’amore divino, perché
«l’amorenonèunaquestione
dimerito».4
Con questi presupposti
entrambi i filosofi analitici
apronolaviaallaconclusione
che il male di per sé non è
ostativo alla possibilità
razionale dell’esistenza di un
Essere onnipotente, perché
«non ci sono fatti necessari
cheinsiemecolmalepossano
escludere la perfezione
completamente
potente»,5
cioèDio.Inoltreilmalenonè
d’ostacolo a una fede
ragionevole, anzi per il
cristiano il sacrificio della
croce si trasforma in una
totale vicinanza di Dio agli
uominiproprioapartiredalla
sofferenza e dalla morte. In
ultima analisi, il male «non
impedisce la fede-fiducia
razionale»eanchealcospetto
«dei terribili mali che
vediamo tutti i giorni, […]
un’ardente speranza teistica
potrebbe comunque essere
razionale».6
A ciò va aggiunto che la
sofferenzadipersénontoglie
senso alla vita umana, anzi
secondo lo psichiatra Viktor
Emil Frankl da essa può
derivare «una possibilità di
significato […] se cambia in
meglio se stessi»,7 anche se
ovviamenteciònonvuoldire
sostenerechesianecessarioil
dolore per trovare uno scopo
esistenziale, bensì «che il
significato
è
possibile
attraverso il dolore, per non
dire anche attraverso il
dolore» qualora quest’ultimo
risulti inevitabile in quanto
«le sue cause non possono
essere eliminate»,8 come
accade in certe malattie
incurabili. E il poeta e
filosofo spagnolo Miguel de
Unamuno
(1864-1936)
andava
perfino
oltre,
collegando strettamente la
sofferenza di qualsiasi tipo
(dicuilapiùelevataèperlui
l’angoscia religiosa) al
significato
dell’esistenza,
assegnandole così un valore
ontologico: «Il dolore è la
sostanzadellavitaelaradice
dellapersonalità,giacchésolo
soffrendosièpersona.[…]E
ciò che chiamiamo volontà,
chealtroèsenondolore?».9
D’altronde anche qualora
si volesse fantasticare di un
ordinenaturaleidilliacoincui
risultasse assente qualsiasi
fenomeno apportatore di
sofferenza e morte per i
viventi, nel quale cioè non
fosse presente nessuna forma
di evoluzione per selezione
naturale, nessun evento
accidentale negativo sia su
scala locale (terremoti,
alluvioni,
eruzioni
vulcaniche, malattie ecc.) sia
su scala cosmica (nascita e
mortedellestelle,derivadelle
galassie, collisioni con
asteroidi ecc.), quindi di un
mondo
necessariamente
deterministico, alla fine a
essere sacrificato sarebbe
sicuramente il nostro libero
arbitrio.Perquestaragionelo
scrittore Clive Staples Lewis
(1898-1963) ci sfidava
giustamente a provare «a
escludere la possibilità di
soffrire, implicita nell’ordine
della natura e nell’esistenza
del libero arbitrio: troverete
che avete escluso la
possibilitàdellavitastessa»10
così come la si reputa
normalmente possibile e
accettabile.
Se ne desume che quella
che potremmo chiamare
«libertàdellanatura»,ovvero
lapresenzainessadelcasoe
deifenomenidacuisiorigina
quellocheconsideriamomale
naturale, è il presupposto
indispensabile tanto per la
vitaingeneralequantoperla
libertà umana. E poiché il
libero arbitrio è inseparabile
dall’intelligenza
autocosciente,l’assenzadiun
rigidodeterminismoinnatura
è anche la condizione
imprescindibile
per
l’esistenza
di
esseri
intelligenti quali noi siamo.
Come
ha
osservato
acutamente
il
teologo
Gerhard Lohfink, un ordine
senza libertà assomiglierebbe
a Il mondo nuovo (1932) del
romanzo di Aldous Huxley
(1894-1963), nel quale in un
immaginario Stato totalitario
delfuturoicittadininonsono
più oppressi da fame, guerra,
malattieepossonoaccederea
ogni piacere materiale, ma in
cambio devono rinunciare a
ogni libera espressione
individuale.11 Se ci si riflette
bene,
nessuna
persona
avveduta vorrebbe vivere
così.
In conclusione anche le
prove antiteodicetiche non si
dimostrano razionalmente in
gradodiconfutarel’esistenza
di un Dio onnipotente e
buono, perché se non si può
provare con certezza che il
nostroèilmiglioredeimondi
possibili, non si può però
neppure provare il contrario,
ovvero che effettivamente
non lo sia. Si tratta di un
argomento
antinomico,
rispetto al quale cioè
sussistono due soluzioni
egualmente plausibili («Il
nostroèilmiglioredeimondi
possibili»e«Ilnostrononèil
migliore
dei
mondi
possibili»), pertanto esso
risultadimostrativamentenon
risolutivo
e
quindi
teoricamente inefficace. Per
sancire infatti che il nostro
non è il mondo migliore
possibile non basta certo la
salace ironia del Candide
volteriano,allaqualeperaltro
si può rispondere dubitando
della bontà per noi di un
ordine naturale rigidamente
deterministico, ma occorrono
elementi oggettivi che vanno
ben oltre le nostre facoltà
cognitive.
Perquantimondimigliori
del
nostro
possiamo
concepire
con
l’immaginazione,nonsaremo
dunque mai in grado di
stabilire non soltanto se sono
realmente possibili, ma
perfino se una volta creati
risulteranno davvero più
perfetti o semplicemente
preferibili a quello in cui
viviamo. A meno che non ci
venga rivelato in modo
soprannaturale, non ci è
consentito conoscere la
maniera in cui un Dio
onnipotente e provvidente
può esercitare al meglio la
sua onnipotenza e la sua
provvidenza,
quindi
tantomeno siamo in grado
con la sola ragione di
esprimere
argomenti
confutatoridellasuaesistenza
fondati sulla presenza del
male. Permane valida per
controlaconstatazionechela
presenzadelmaletantofisico
quanto morale in assenza di
un significato per l’esistenza
risulta
per
noi
incomprensibile
e
inaccettabile, motivo per cui
c’è chi ha coerentemente
sostenuto che Dio deve
esistere proprio perché
altrimentinonsispiegherebbe
la sofferenza innocente.
L’ateismo
antiteodicetico
sarebbeinsommacostruitosu
un sofisma: «Il dolore e il
male sono inspiegabili,
dunque non c’è un Dio. Ma
[in realtà] sono inspiegabili
appunto perché si è negato
Dio. […] Gli uomini sentono
la vita come un peso assurdo
solo se si presuppone che
nessuno si cura di loro, cioè
sesiègiàatei».12
Il nostro concetto di Dio
serve in definitiva per dare
conto dell’esistenza di un
ordine cosmico che senza un
Creatore non avrebbe potuto
esistere,econtestualmentead
attribuire
un
senso
all’esistenza
umana,
rendendolaaccettabilepureal
cospettodelmale.D’altronde
anche qualora si ammettesse
solo in linea di principio
l’argomento
dell’ateismo
stratoniano, che fa ricadere
l’onere
della
prova
dell’esistenza di Dio su chi
l’afferma, perché spetta a chi
sostiene una tesi dimostrarne
la validità, nel merito l’ateo
resterebbe pur sempre tenuto
almeno quanto il credente a
rispondere alle questioni sul
senso e sull’origine di tutto
quantoesiste,quindiatrovare
una soluzione alternativa a
quelladelteista.Poichéallora
la negazione di Dio implica
necessariamente
una
soluzionealternativaattasiaa
spiegare l’attuale ordine
cosmologico sia ad attribuire
un significato all’esistenza
umana,
la
cosiddetta
«presunzionediateismo»non
può essere data per scontata
neppuresubasestratonianae
richiede a sua volta di essere
provata almeno quanto il
teismooildeismo.Altrimenti
il rischio è quello di cadere
nellafallaciaadignorantiam,
di negare cioè erroneamente
l’esistenzadiDioperchélosi
ritiene
pregiudizialmente
indimostrabile.
Nonostantetuttiitentativi
di negarne la rilevanza, i
problemi dell’origine del
mondo e del senso della
nostra vita di esseri
intelligenti
restano
fondamentali e ineludibili.
Gli ultradarwinisti Dennett e
Dawkins, così come il fisico
ateoWeinberg,hannotentato
di fare della questione del
significato esistenziale un
mero fatto di appagamento
biologico, psicologico e
sociale
dell’individuo,
scontrandosi però col dato
obiettivo della persistente
insufficienzadiquestogenere
di risposta, dal momento che
soltanto a una minoranza di
individui
è
concessa
l’opportunità di conseguire
una
simile
piena
autorealizzazione,
mentre
resiste in noi la sensazione
dell’assurdità di una vita
senza
senso.
L’insoddisfazioneesistenziale
è infatti presente in
moltissimi di coloro che
secondo i canoni degli atei
scientificidovrebberosentirsi
realizzati in virtù dei loro
successi personali, tanto è
vero che «lo psichiatra
incontra
abbastanza
di
frequente questa “volontà di
significato” sotto la forma
della sua frustrazione»13.
ViktorEmilFrankl,aseguito
dei suoi attenti studi
psicologici,hadimostratocon
chiarezza
che
quella
dell’autorealizzazione è una
falsa prospettiva, che il
significato
valido
per
l’esistenza umana «non
risiede nell’appagamento e
nellarealizzazionedisestessi
per mezzo di se stessi, […]
comesel’uomoesistessesolo
per soddisfare dei bisogni»;
anzi è proprio questa
rappresentazione della vita a
risultare
«estremamente
traditrice o ingannatrice». E
forse«l’uomononèfattoper
appagarsi e realizzarsi» in se
stesso, ma per traguardare
una «auto-trascendenza, […]
qualcosa o qualcuno che ci
trascende,chestaaldilàeal
disopradinoistessi».14
La questione del senso è
talmente impossibile da
risolvere in termini di
soddisfazione psicologica e
materiale da costringere chi
vuole sostenere il contrario a
rimanere in uno stato di
confusionetautologica,com’è
accaduto al teorico della
letteratura Terry Eagleton.
Quest’ultimo,
criticando
apertamente Dawkins e il
nuovo ateismo, ha pensato di
riuscire ad ampliare il
significatoprofondodellavita
dall’angusta
felicità
individuale
degli
atei
scientifici
alla
felicità
associata all’amore per il
prossimo in una comunità,
ossia al «creare per l’altro lo
spazio in cui egli possa
svilupparsi,
mentre
contemporaneamente l’altro
fa lo stesso per noi». Egli ha
portato come esempio di
questocompimentodisensoi
suonatori di un’orchestra di
jazz impegnati in una jam
session: qui la «libera
espressione musicale di
ognuno dei membri agisce
come base per la libera
espressione degli altri». A
conclusione
delle
sue
riflessioni
filosofiche,
chiaramente influenzate dal
suo comunitarismo marxista,
è stato tuttavia costretto a
riconoscere che la sua è in
effetti
«un’aspirazione
utopica», perché insegue
«una
forma
di
vita
completamente
inutile,
proprio com’è inutile una
sessione di jazz», per cui «il
senso
della
vita
è
curiosamente
prossimo
all’insensatezza».
Si tratta con tutta
evidenza di un modo
rassegnatodiargomentareper
paradossi col quale Eagleton
cerca di celare un palese
insuccesso, consolandosi per
giuntaconlaconvinzioneche
in fondo è «una caratteristica
dellamodernitànonriuscirea
risolvere le questioni più
importanti».15 Si tratta, in
altreparole,diuntentativodi
arrampicarsisuglispecchiper
non riconoscere il carattere
trascendente
e
quindi
metafisico delle questioni di
senso. Non si può infatti
fondare il significato del
mondo e della nostra
esistenza
su
elementi
accidentali e utopici, su
fattori casuali o su attese
illusorie, altrimenti si deve
riconoscereconStirnerchesi
fonda la propria causa sul
nulla.16
Questo sembra del resto
l’esito finale della parabola
dell’ateismo contemporaneo:
si parte dalla negazione di
Dio
per
affermare
maggiormente l’uomo, si dà
spazio al caso per negare la
presenza di un Creatore, ma
si approda soltanto al
nichilismo dissolutorio; si
finisce cioè per nullificare
qualsiasi cosa, per far
sprofondare la causa umana
nel
vuoto
esistenziale.
Volendousareun’espressione
di Richard Dawkins, il fiume
della vita che sgorga dal
Giardinodell’Eden(Riverout
of Eden) per gli atei scorre
inesorabilmenteversoilnulla
edègiàinunnulladisenso.
Ma se il nulla fosse davvero
la verità ultima, anche l’ateo
ne uscirebbe sconfitto e non
avrebbe di che gioire o
trionfare,perchéallamortedi
Dio seguirebbe la moderna
morte dell’uomo di cui ha
parlato lo psicanalista Erich
Fromm.17 Occorre invece
ammettereche«dietroilcaso
apparentemente
tale
vi
potrebbe essere un senso più
elevato o più profondo, un
senso ultimo»18 che nessuno
puòrinunciareacercare.
Il perfetto ateo sta sul
penultimo gradino prima
della fede più perfetta.
(Fëdor
Michailovič
Dostoevskij)
1 Vedi G.M.M. Cottier, L’athéisme du
jeune Marx. Ses origines hégéliennes,
Vrin,Paris1959.
2 Vedi I. Kant, Critica della ragion
pura, «L’ideale della ragion pura»,
sezioni V-VII (B 595/A 567-B 670-A
642),Utet,Torino1967,pp.461-508.
3 J. Wisdom, La logica di Dio e altri
saggi sulla religione, Quodlibet,
Macerata2010,p.69.
4 R. Audi, La razionalità della
religione, Cortina, Milano 2014, pp.
256-57.
5 Wisdom, La logica di Dio e altri
saggicit.,p.69.
6 Audi, La razionalità della religione
cit.,p.287.
7V.E.Frankl,Lasofferenzadiunavita
senza senso, Elledici, Torino 1978, p.
34.OraancheMursia,Milano2013.
8 V.E. Frankl, Logoterapia medicina
dell’anima,Gribaudi,Milano2001,pp.
252-53.
9 M. de Unamuno, Del sentimento
tragicodellavita, SE, Milano 2003, p.
184.
10 C.S. Lewis, Il problema della
sofferenza,GBU,Roma1988,p.32.
11VediG.Lohfink,Diononesiste!Gli
argomenti del nuovo ateismo, San
Paolo,CiniselloBalsamo2010,p.104.
12M.F.Sciacca,Filosofiaemetafisica,
Marzorati, Milano 1962, vol. II, p. 22.
Sciacca attribuisce questo sofisma
all’ateismo pratico, ma a nostro
giudizio risulta valido anche per
l’ateismoteoretico.
13 V.E. Frankl, Alla ricerca di un
significato della vita, Mursia, Milano
1974,p.73.
14Ivi,pp.83-84.
15T.Eagleton,Ilsensodellavita.Una
introduzione filosofica, Ponte alle
Grazie,Milano2011.
16 M. Stirner, L’Unico e la sua
proprietà, Adelphi, Milano 1999, p.
381.
17 Vedi E. Fromm, Psicanalisi della
società contemporanea, Comunità,
Milano1960,p.386.
18V.E.Frankl,Ciòchenonèscrittonei
miei libri. Appunti autobiografici sulla
vita come compito, Franco Angeli,
Milano2012,p.55.
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Indice
Prefazione
1.Lasfidadello«stolto»
Deusnonest!(Il
problemadiDio)
QualeDio?(Teismo,
deismoepanteismo)
L’ateismoclassico(Gli
ateiinGreciaeinRoma)
L’ateismomoderno
(ComeseDiononci
fosse)
2.Fedeeateismo
Interpretazioni
dell’ateismo(Perchési
diventaatei)
Cristianesimoeateismo
(Unasfidaperil
credente)
Chiesacattolicaeateismo
(L’erroreel’errante)
Vecchienuoviateismi
(Formedell’ateismo)
Metamorfosidell’ateo
(Quattrotipidiateismo)
3.L’uomocontroDio
Lanaturaumanaeisuoi
principi(P.Bayleei
pensatorilibertini)
Ilbuonsensodell’ateo
(P.-H.T.d’Holbach)
L’umanizzazionediDio
(L.Feuerbach)
Lademitizzazione
dell’uomo-Dio(D.F.
Strauss,B.Bauer,N.
Hartmann)
LamortediDio(F.
Nietzsche)
Tuttoèpermesso(J.-P.
Sartre)
Unaquestionesenza
importanza(M.
Heidegger,M.MerleauPonty,C.Lévi-Strauss,M.
Foucault)
4.L’oppiodeipopoli
Lasocietàdegliatei(J.
Meslier)
L’uomononèuno
schiavo(P.-J.Proudhon,
M.Bakunin)
L’Unicoeilnulla(M.
Stirner)
Unasovrastruttura(K.
Marx,F.Engels,G.V.
Plekhanov,N.Lenin)
Lacrisidellamodernità
(E.Bloch,J.-F.Lyotard,
M.Horkheimer,Th.
Adorno)
5.Ildestinodiun’illusione
Ilparadigmadominante
(Scienzaeateismo)
Lostadiopositivo(A.
Comte,É.Durkheim)
Igermoglidelpositivismo
(J.-E.Renan,F.Le
Dantec)
Unaproiezioneinconscia
(S.Freud)
IlnonsensodiDio(B.
Russell,A.Flew,R.
Carnap,J.N.Findlay)
Qualcosadalnulla(S.
Weinberg,S.Hawking,C.
Sagan,V.J.Stenger,L.M.
Krauss)
Casoenecessità(P.W.
Atkins,J.Monod,F.
Jacob,D.C.Dennett,R.
Dawkins)
6.Loscandalodelmale
Ilfiumedellavita
(Naturalizzazionedel
male)
Ivelenidellareligione
(M.Onfray,S.Harris,Ch.
Hitchens)
IldilemmadiEpicuro(Il
mondoclassico,G.C.
Vanini,H.Jonas)
Ilmiglioredeimondi
possibili(G.W.Leibniz,
Voltaire,I.Kant)
Ilmalediesistere(J.O.de
LaMettrie,D.-A.-F.de
Sade,A.Schopenhauer)
LarivoltadiPrometeo
(G.Leopardi,A.Camus)
Conclusione
Bibliografia