La Religione Naturale Uno dei problemi che maggiormente hanno impegnato i filosofi in ogni età è quello che si potrebbe genericamente definire la questione di Dio. Nell'occidente cristiano, poi, dall'età di Agostino d’Ippona (IV-V sec.) al XVIII secolo tale questione non poteva non avere un'importanza centrale all'interno di qualsiasi sistema di pensiero, poiché il ruolo della religione nella vita culturale era essenziale; invece, nella nostra società ormai laicizzata, il problema è spesso rigettato sullo sfondo anche dalla riflessione filosofica e tuttavia non certo dimenticato. Essendo poi la tradizione occidentale di pensiero fortemente caratterizzata in termini dialettici, non stupisce che il problema fosse inteso come quello di una teologia naturale: si trattava di trovare il modo in cui ogni uomo, utilizzando solo la propria ragione naturale e perciò indipendentemente dalla rivelazione biblica (soprannaturale), potesse convincersi di alcune fondamentali verità di fede, per esempio dell'esistenza di Dio. Fatte queste premesse storiche, vediamo quali sono i più grossi nodi che una "teologia filosofica" ha il compito di affrontare. Si tratta di un ginepraio di questioni: anzitutto, può essere provata l'esistenza di Dio? E poi: cosa significa "Dio"? Che rapporti ci sono fra Dio e il mondo? E tra conoscenza di Dio e moralità? Qual è la natura dell'esperienza di fede? Come si concilia un Dio buono e onnipotente con la presenza del male nel mondo? E altre ancora. Chiaramente, molti fra questi problemi hanno un valore morale più che teoretico (conoscitivo), anche se la distinzione non è così facile, e verranno toccati in questa sede solo di sfuggita. Alcuni poi ne presuppongono altri, per cui non è chiaro quali di essi debbano essere affrontati per primi. La cosa più semplice è sembrata quella di privilegiare la domanda per noi più spontanea e comune, "Esiste Dio?", per vedere poi i diversi modi in cui essa può essere affrontata filosoficamente, il che può significare non solo rispondere "si", "no" o "non so", ma anche rifiutarsi di rispondere, ovviamente con delle buone ragioni. Il primo ostacolo che si oppone ad una risposta immediata consiste nel fatto che molti sostengono che prima è necessario chiarire che cosa si intenda con la parola "Dio", poichè il suo significato non è affatto per sé evidente. Ora, è necessario almeno vedere quali delle risposte date a questo secondo quesito (cosa significa "Dio"?) risultino incompatibili con la stessa formulazione del primo quesito (esiste Dio?): ● innanzitutto, se si concepisce Dio come un essere trascendente il mondo, quale sua causa e suo "senso", la domanda sull'esistenza appare sensata, ma se lo si concepisce come immanente al mondo, come principio che lo anima, come ad esempio nella concezione stoica e in certo neoplatonismo, esso finisce per non distinguersi dalla natura ed interrogarsi sulla sua esistenza appare quantomeno inutile; ● esiste poi un'intera tradizione, ancora curiosamente legata al neoplatonismo, secondo la quale non è proprio possibile dire cosa significhi la parola “Dio” in quanto, essendo Dio radicalmente trascendente, egli è inconcepibile e, a rigore, addirittura innominabile. Sarebbe così possibile dire solo ciò che Dio non è (teologia negativa), mai definirlo positivamente, il che non vuol dire che si debba asserire che Dio non esiste, ma neanche che esiste, essendo Dio al di là dell'essere. E' questo l'atteggiamento di molti mistici, cristiani e non. Ad essi si contrappone però Tommaso d'Aquino (di cui le prove al testo n° 1): egli ritiene che, nonostante l'essenza di Dio sia inconoscibile per il nostro intelletto limitato, siamo però in grado di dimostrarne l'esistenza con dei ragionamenti che potremmo definire "iperbolici"; ● affine per alcuni versi alla teologia negativa è la posizione degli empiristi logici i quali, essendo interessati a tutt'altri problemi, utilizzano la non comprensibilità della parola "Dio" per eliminarla completamente: intendendo "Dio" come indicante qualcosa di trascendente la nostra esperienza, cioè un'entità metafisica, ed assimilando il significato delle parole alle esperienze ad esse corrispondenti, la parola "Dio" risulta per loro inequivocabilmente priva di significato: risulta dunque priva di significato anche la domanda circa la sua esistenza. Con tutte queste precisazioni teoriche possiamo ora passare in rassegna i vari tentativi di asserire filosoficamente l'esistenza di Dio, tenendo presente che essi possono condurre in alcuni casi necessariamente al teismo, cioè alla credenza in un Dio personale, in altri semplicemente al deismo, cioè alla credenza in una causa prima del mondo, posizione quest'ultima assai diffusa nel XVIII secolo e da molti cristiani assimilata all'ateismo. Nell'esporre gli argomenti ci si può rifare in buona parte alla classificazione, ormai quasi canonica, fatta da Kant nella sua Critica della Ragion Pura verso la fine del '700 e aggiungendovi un tipo di argomento, eccentrico rispetto agli altri , che lo stesso Kant adotta invece nella Critica della Ragion Pratica. 1.ARGOMENTO ONTOLOGICO. Si tratta dell'argomento a priori classico. Esso muove dal concetto di "Dio" definito in modo che non lasci adito ad equivoci, in genere come "essere perfettissimo", per giungere alla conclusione della sua necessaria esistenza. Evidentemente i sostenitori di tale argomento non concordano con coloro che negano la possibilità di comprendere cosa sia Dio, anzi addebitano agli atei tale incapacità di comprensione, poichè se essi davvero comprendessero il significato della parola "Dio" si accorgerebbero che negare l'esistenza di Dio equivarrebbe a contraddirsi. Il testo n° 1 presenta la prima formulazione dell'argomento, da parte di Anselmo d'Aosta, nell'XI secolo. Malgrado le confutazioni di tale argomento siano cominciate fin dall'epoca dello stesso Anselmo, esso ha sempre trovato qualcuno disposto a ritenerlo persuasivo. E' famosa la confutazione di Kant secondo la quale il vizio di tale prova consiste nel considerare l'esistenza come un predicato, indicante una qualità delle cose, per concludere che all'idea di Dio come essere perfetto non si potrebbero non attribuire tutte le qualità al massimo grado, tra cui anche l'esistenza. Ma l'esistenza non è un predicato. 2. ARGOMENTO COSMOLOGICO. Tale argomento si dice a posteriori in quanto non muove dalla stessa nozione di Dio ma da una serie di nozioni relative al mondo quale lo conosciamo. Esso pretende di risalire dal mondo a Dio attraverso delle catene concettuali che legano gli enti finiti fra di loro; la più ovvia di esse è la catena causale per cui da una cosa, alla sua causa, alla causa della causa, e così via si deve giungere, per evitare un regresso all'infinito, ad una causa non causata che chiaramente non può che essere Dio. Tale ragionamento iperbolico è già presente nella filosofia aristotelica, a cui si rifà almeno in parte Tommaso d'Aquino. Una versione più popolare di questo argomento è fondata sull'età del mondo: poichè sembra inconcepibile che il mondo sia sempre esistito (cioè che si possa risalire infinitamente indietro nel tempo), si pensa che esso debba essere nato da una causa trascendente, cioè fuori dal tempo e dallo spazio. Le famose "cinque vie" di Tommaso d'Aquino sono riportate nel testo n° 2. Quattro di esse ricalcano questo schema, mentre l'ultima si presenta come una variante dell'argomento teleologico (vedi sotto). La critica kantiana agli argomenti a posteriori si riassume nel fatto che essi si limitano a produrre ipotesi, e che se sembrano conclusivi è perché presuppongono, tacitamente, ancora l'argomento ontologico secondo cui l'essenza di Dio ne implicherebbe logicamente l'esistenza. 3.ARGOMENTO TELEOLOGICO. Quest'altro argomento è certo il più autenticamente a posteriori in quanto muove dall'osservazione dell'ordine del mondo, da cui si conclude attraverso un ragionamento induttivo, per analogia con le produzioni umane, ad un artefice divino che lo avrebbe costruito secondo una finalità positiva. Si tratta forse della prova più antica e naturale, ma è stata fatta propria persino da Newton, il quale attribuisce a Dio il progetto di quel meccanismo perfetto che è il cosmo regolato dalle leggi naturali. L'immagine è qui senz'altro quella di un Dio personale, paragonabile ad un architetto o, meglio ancora, ad un perfetto orologiaio. Il testo n° 3, tratto dai Dialoghi sulla religione naturale di David Hume , presenta un confronto, peraltro non conclusivo, fra un sostenitore di tale argomento ed un suo critico. L'argomento può anche essere reso compatibile con una concezione evoluzionistica della specie: infatti le stesse cause naturali possono essere state concepite da Dio in modo da produrre l'evoluzione del mondo quale noi la conosciamo. 4. ARGOMENTO MORALE. Radicalmente critico verso i tre argomenti precedenti, i quali pretendono di giungere ad una prova dell'esistenza di Dio, Kant mette sostanzialmente fine ai tentativi della ragione teoretica, la quale risulta condannata all'agnosticismo teologico. Tuttavia, spostandosi dalla ragion pura alla ragion pratica, cioè dal piano dell' "essere" a quello del "dover essere", egli ritrova una via per ammettere l'esistenza di Dio come moralmente necessaria. Senza soffermarci su quanto scrive Kant, è il caso qui di ricordare una forma più comune dell'argomento morale: se c'è una legge morale assoluta, valida per tutti gli uomini, quella che - ad esempio - vieta di uccidere o comunque nuocere al prossimo, su cosa può essere fondata se non sui decreti di un legislatore divino? Viceversa - si potrebbe dire - se non ci fosse Dio tutto sarebe giustificato, anche i peggiori crimini (cfr. Dostoevskij, I fratelli Karamazov). Finora sono state considerate le vie razionali per giungere a Dio, sia sul versante teoretico che su quello morale. C'è tuttavia da rilevare che da parte di molti credenti, cristiani e non, tutte queste giustificazioni dell'esistenza di Dio sono considerate non solo discutibili dal punto di vista logico ma assolutamente incapaci di cogliere il carattere di un'autentica esperienza religiosa. Proprio perché Dio trascende il mondo e la nostra ragione, essi sostengono, viene raggiunto in un modo che trascende i nostri consueti modi di conoscenza. Ciò significa, secondo loro, che l'esperienza religiosa non è tanto irrazionale quanto piuttosto ultrarazionale, e costituisce un'esperienza di tipo superiore all'ordinario. Tutta la tradizione mistica, peraltro, è piena di questi riferimenti ad esperienze particolari che, pur non potendo essere, a detta degli stessi mistici, descritte, possiamo dire che in qualche modo comportano una sorta di legame estatico con la realtà assoluta. In questo senso molte immagini sono condivise sia dalla mistica orientale, riscontrabile fin nei più antichi testi induisti, che da quella occidentale (un esempio per tutti: San Giovanni della Croce). Mentre la filosofia religiosa ha prodotto una notevole quantità di tentativi di illustrare le esperienze o le ragioni per arrivare a Dio, non c'è un pensiero ateo altrettanto interessato a provare la non esistenza di Dio: generalmente gli atei (ma in questo caso sarebbe più corretto dire "gli agnostici") si accontentano di confutare le pretese dimostrazioni dei teisti e dei deisti. L'unico classico argomento, se tale si può dire, per la non-esistenza di Dio muove dal tradizionale problema del male nel mondo e suona più o meno così: se esistesse un Dio onnipotente e buono, come mai egli consentirebbe che ci sia al mondo tutto il male che c'è? Il problema, per quanto grave, non è stato mai sollevato da pensatori veramente atei. I cristiani si sono spesso preoccupati di costruire una teodicea, cioè una giustificazione dell'operato di Dio, per rispondere più che altro a concezioni metafisiche diverse dalla loro. Una di queste concezioni è il manicheismo, contro il quale Agostino d'Ippona scatena tutta la sua forza dialettica per sostenere la dottrina, di origine platonica, del male come privazione di bene, dunque come mancanza e "non essere". E’ qui opportuno menzionare la radicale crisi che ogni teodicea attraversa nel mondo attuale, in un’età che – non solo per l’ebraismo – è ormai, simbolicamente, l’età del dopo Auschwitz. L'ateismo è invece soprattutto un prodotto del pensiero occidentale moderno e contemporaneo, sviluppatosi in una società che tende sempre più a quella che in ambito teologico viene chiamata secolarizzazione, cioè alla scomparsa della dimensione religiosa quale elemento portante della società stessa. Il secolo "ateo" per eccellenza si considera il '700, età in cui i cosiddetti "lumi" della ragione si pensava dovessero rischiarare la tenebra ereditata dal passato religioso; ma malgrado i successivi e tutt'ora presenti tentativi di ristabilire la centralità della vita religiosa, l'ateismo ha continuato a diffondersi sempre più in Occidente, parallelamente alla massificazione della cultura ed alla diffusione della mentalità scientifica. Proprio tale mentalità sta alla base di quello che potremmo definire un ateismo antropologico, secondo il quale la religione sarebbe sostanzialmente legata ad uno stadio poco avanzato dell'evoluzione umana, dunque sarebbe destinata a scomparire man mano che lo sviluppo delle scienze renderà l'uomo capace di spiegare quei fenomeni naturali per cui finora si è resa necessaria una risposta religiosa. In altre parole l'uomo, progredendo il suo sapere, potrà fare (e anzi, rendendosi conto di ciò può già fare) senza Dio. Anche la morale, in fondo, è possibile senza Dio. Ludwig Feuerbach, pensatore produttivo intorno alla metà del XIX secolo, rappresenta bene questa mentalità, ancora oggi abbastanza diffusa da suggerirci di prendere alcune sue pagine (testo n° 4) quale esempio per tutto l'ateismo. Egli, riducendo Dio alla natura, in quanto distinta dall'uomo e da cui l'uomo stesso dipende, si propone di ricondurre tutta la teologia all'antropologia, cioè di far prendere coscienza all'uomo che tutte le rappresentazioni della religione non sono altro che proiezioni di se stesso, dei propri bisogni, della propria fantasia, in una parola della propria essenza. Molti altri sono stati gli attacchi alla religione da parte del pensiero ateo, tutti comunque volti, come il precedente, non tanto a confutare (come si è già detto) l'esistenza di Dio, quanto a spiegare perché l'atteggiamento religioso sia così diffuso fra gli uomini. Seguendo una suddivisione del teologo Hans Kung (Dio esiste?, Mondadori, Milano, 1979), possiamo aggiungere a quello già citato altri tre "tipi" di ateismo, che fanno capo a tre autori cui la cultura odierna è ancora molto legata: Marx, Nietzsche, Freud. Con Sigmund Freud abbiamo un ateismo psicologico, che sviluppa quello antropologico ricercando una spiegazione psicogenetica della religione, ispirata agli studi di Darwin sull'evoluzione della specie. Gli stadi dell'evoluzione psichica del genere umano corrisponderebbero a quelli dello sviluppo psichico individuale. La religione nascerebbe storicamente nelle prime fasi dello sviluppo dell'umanità, quando questa si trova ancora ad uno stadio "infantile": come il bambino, ancora inerme, ha bisogno di sentirsi protetto dai pericoli della vita e vede nel padre la fonte della sua salvezza, così l'uomo primitivo proietta in Dio il proprio bisogno di sicurezza; così come il rapporto col padre è ambivalente, caratterizzato dal contrasto di amore-odio verso questa terribile autorità, così l'uccisione del padreDio e il complesso di colpa che ne segue (peccato originale) è alla base sia del totemismo che delle religioni più evolute; e questo permanere della religione nelle società "civilizzate" non è che il perdurare di quell'originaro bisogno di sicurezza così come nell'adulto si conservano sogni e fobie infantili. La religione, dunque, sorta dai desideri più antichi e più forti dell'umanità, non sarebbe che un'illusione infantile della stessa umanità. Potremmo definire quello di Karl Marx un ateismo politico-sociale. In poche parole, secondo questa prospettiva, la religione sarebbe essenzialmente il modo attraverso il quale gli sfruttati di sempre hanno trovato una consolazione delle proprie miserie: è famosa l'affermazione secondo cui essa è "l'oppio del popolo". Marx ammette il carattere di protesta sociale contenuta almeno in alcune religioni, come quella cristiana, ma contesta la sterilità di tale protesta, in quanto essa fornisce una felicità illusoria e non reale; una versione più grezza di questa critica sociale, già presente nell'ateismo illuministico del '700, e ancora prima, riteneva invece la religione niente più che un’invenzione utile a preti o sovrani imbroglioni. In entrambi i casi, comunque, la religione indurrebbe alla rassegnazione ed impedirebbe la liberazione degli oppressi. Forse non è azzardato dire che l’odierna Teologia della liberazione sviluppatasi in America latina si fa carico, intervenendo sul piano sociale e politico, di superare questo tradizionale limite dell’esperienza religiosa. A differenza degli altri, questo ateismo non cerca di spiegare la genesi della religione a partire dalla condizione dell'essere umano in quanto tale, astrattamente considerato, ma a partire dalle condizioni materiali di vita, dai concreti rapporti sociali di sfruttamento in cui si trova inserito. Tuttavia anche qui permane l'idea, già di Feuerbach, di Dio come proiezione di un bisogno umano. E' molto famoso l'annuncio di Friedrich Nietzsche: "Dio è morto". Questa scoperta rappresenta certamente il massimo della consapevolezza raggiunta dall'ateismo. Se infatti da un lato Nietzsche ribadisce anch'egli il carattere consolatorio della religione, cui si unisce in senso negativo tutta la carica di risentimento che i deboli provano verso i forti, dall'altro vuole porre l'attenzione sulle estreme conseguenze dell'eliminazione di Dio dal nostro orizzonte. Perciò, mentre l'ateismo superficiale celebra con sollievo questo evento, qui si manifesta tutto il senso dell' abisso che si apre davanti all'uomo nel contemplare un mondo ormai sdivinizzato. La morte di Dio significa la scomparsa del valore assoluto di tutti gli ideali dell'umanità, come la verità, la giustizia, l'amore; significa anche la fine della fiducia nella capacità della ragione umana di trovare un senso alla vita e al mondo. Si parla a questo proposito di nichilismo (dal latino nihil = nulla), cioè della convinzione della nullità, della mancanza di senso e di valore della realtà. Chi crede nella scienza, o nel comunismo, o in qualche altro valore assoluto, rifiuterebbe perciò – secondo Nietzsche – di prendere coscienza della morte di Dio: avendo ucciso Dio si sentirebbe "orfano". Ecco perchè Nietzsche annuncia il superuomo: il superuomo è l'uomo che non ha paura di vivere in questo mondo senza senso, non ha bisogno né di aiuti soprannaturali né di consolazioni di altro tipo. L'influenza avuta dal pensiero ateo sulla cultura occidentale e sulla stessa teologia contemporanea è enorme, soprattutto per quanto riguarda il nichilismo: si è persino sviluppata una "teologia della morte di Dio". Siamo così giunti ad un punto in cui la religione naturale distrugge se stessa per lasciare il posto a quell'interrogazione inappagata sul senso che è tipica della coscienza nichilistica. Questa estrema coscienza trova forse la sua migliore incarnazione letteraria ne Lo straniero di A. Camus. L'attenzione non è più concentrata su qualche esperienza privilegiata in cui il divino si manifesterebbe, ma su quella che si potrebbe definire l'esperienza fondamentale dell'essere umano, quella dello stupore per lo scaturire immotivato del mondo, l'esperienza dell'assurdo. Tutto quello che viene a ragione o a torto classificato come esistenzialismo filosofico, da quello dichiaratamente ateo di J. P. Sartre a quello dichiaratamente cristiano di K. Jaspers, muove da questo punto.