LA RELATIVITA' GENERALE LA LEZIONE Il principio di equivalenza: il fondamento della relatività generale Nel biennio, una delle esperienze standard è la misura del tempo di caduta di oggetti di diversa massa. L’uguaglianza dei risultati (per gravi in cui l’aria, su brevi tratti, non ha effetti considerevoli) permette allora il calcolo, ipotizzando un moto uniformemente accelerato, del valore di g e la conclusione che l’accelerazione, per i gravi in caduta libera, sia indipendente dalla massa. Si può generalizzare il moto di caduta libera verticale a qualsiasi movimento in cui la massa è soggetta alla sola forza di gravitazione, ad esempio la rotazione di un satellite naturale o artificiale intorno alla Terra. Dal punto di vista di un osservatore a Terra, il satellite “cade” con un’accelerazione costante; anche se è vero che il valore standard 9,8 m/s2 diminuisce con la distanza dal centro della Terra seguendo un andamento del tipo: g(h)= 9,8/(1+h/RT)2 (con h distanza misurata dalla superficie terrestre e RT raggio della Terra), come è facile dimostrare utilizzando la legge di gravitazione universale. Indipendentemente dal valore di g, un osservatore all’interno della navicella muovendosi allo stesso modo della navicella sperimenta un’assenza di gravità, anche se g è variata di pochi valori percentuali. fig.1 Corpi di diversa massa cadono con la stessa accelerazione g in vicinanza della superficie terrestre; fig.2 Rapporto accelerazione di gravità (misurata a un’altezza h) e il valore 2 medio 9,8 m/s , misurato in prossimità della superficie terrestre, rappresentato in funzione dell’altitudine h. Si noti come per h=R il rapporto è uguale a 0,25 T La caduta libera in un campo gravitazionale equivale per l’osservatore interno al sistema, a tutti gli effetti a un riferimento privo della forza di gravità. In tutte queste considerazioni si è parlato semplicemente di massa, ma in realtà alla fine del XIX secolo se avessimo voluto utilizzare il secondo principio della dinamica F=mia, alla grandezza scalare mi avremmo attribuito il termine di massa inerziale, mentre le masse m, M che compaiono nell’espressione di Newton della forza gravitazionale sarebbero state chiamate masse gravitazionali. fig.3 Un’astronauta durante una missione spaziale; fig.4 Bilancia di Eötvös: tale strumento, servì a verificare l'equivalenza della massa inerziale e di quella gravitazionale. L’equivalenza tra la massa gravitazionale e quella inerziale è uno dei modi di esprimere il principio di equivalenza, fondamento della relatività generale. Oggi il principio può considerarsi una conoscenza di senso comune tanto che le bilance di torsione per il confronto tra massa gravitazionale e inerziale sono appena citate nei testi di fisica. Possiamo esprimere alternativamente il principio di equivalenza nel seguente modo: localmente un campo gravitazionale uniforme g equivale a un sistema di riferimento accelerato, ovvero un riferimento in moto accelerato equivale per tutte le leggi della fisica a un riferimento fermo in un campo gravitazionale. Due conseguenze del principio di equivalenza: la deflessione gravitazionale della luce e il redshift gravitazionale Le leggi di natura, secondo la teoria della relatività generale, devono essere uguali in opportuni riferimenti che non si limitano più ai soli riferimenti inerziali, in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Si possono ricavare semplici conclusioni con esperimenti ideali in cui una sorgente puntiforme S emette fotoni soggetti a un’accelerazione di gravità g. Consideriamo inizialmente il caso in cui i fotoni vengano emessi in direzione orizzontale come nel caso di figura 5. fig.5 Teoria della relatività generale. All'interno della navicella spaziale, in moto nello spazio con un'accelerazione costante a, sulla massa M agisce una forza f (misurata dal dinamometro), e la luce emessa dalla sorgente S percorre un arco di parabola SQ essendo sottoposta a un'accelerazione costante trasversale rispetto al moto (A); se la navicella e a terra, sottoposta a un campo gravitazionale caratterizzato da un'accelerazione di gravità g uguale ad a, la forza misurata dal dinamometro e identica a f, e la luce percorre lo stesso arco di parabola SQ; ne segue che i due sistemi di riferimento sono indistinguibili (la deviazione dei raggi luminosi può essere interpretata in entrambi i casi come effetto della curvatura dello spazio-tempo nelle regioni considerate) (B) Quale sarà la loro traiettoria? La risposta della meccanica classica è un segmento orizzontale SP, perché il fotone non è dotato di massa. Eppure se considero il sistema equivalente accelerato con accelerazione a=-g le conclusioni saranno diverse. In questo caso la traiettoria è un ramo di parabola SQ come il lancio un sasso o di qualsiasi altro grave. La deflessione gravitazionale della luce, in prossimità delle masse di una stella, conseguenza del principio di equivalenza, fu una delle prove per l’affermazione della teoria della relatività generale e oggi tra le immagini dei telescopi più avanzati è comune l’effetto dovuto alle galassie detto anello di Einstein. Consideriamo ora sempre il nostro sistema ideale di fotoni racchiusi in una scatola in un campo gravitazionale uniforme g, ma con la sorgente disposta verticalmente. fig.6 Curvatura della luce proveniente da una stella in vicinanza del Sole; fig.7 Schema della formazione di un anello di Einstein (A), osservato dal telescopio spaziale Hubble (B). La radiazione proveniente dalla lontana galassia B 1938+666, a, si incurva lungo il cammino verso la Terra, b, per la presenza lungo la visuale di un'altra galassia, c, che nell'immagine ripresa dal telescopio appare come il disco centrale, d, mentre la galassia lontana appare come un anello, e La misura della lunghezza d’onda emessa dalla sorgente posta nella base della “scatola” b non sarà uguale alla misura e della lunghezza d’onda della radiazione nel punto più alto del campo, osservata all’estremità superiore del sistema. L’effetto è detto redshift gravitazionale perché nel caso della luce corrisponde a uno spostamento verso il rosso (lunghezze d’onda più alte). La spiegazione qualitativa del fenomeno si può avere pensando sempre al sasso lanciato verso l’alto che riduce il suo impulso (nel caso del fotone l’impulso è legato alla frequenza). La trattazione quantitativa del fenomeno si può ricondurre sempre dallo stesso modello, con la sostituzione del campo con un sistema accelerato verso l’alto (a=-g). Il fenomeno diviene allora un effetto Doppler relativistico. Per valori di v (velocità relativa della base nel momento in cui il fotone raggiunge la sommità) piccoli rispetto a quelli di c, e=b(1+v/c). Poiché la velocità si può trasformare secondo l’uguaglianza v= gh/c, otteniamo: /b=gh/c2 che per valori non costanti di g si può generalizzare introducendo la variazione di potenziale gravitazionale al posto del termine gh /b=/c2. La prima verifica sperimentale del redshift gravitazionale è associata ai nomi di R. Pound, G. A. Rebka e J. Snider che tra il 1960 e il 1965 utilizzarono una sorgente di raggi , lontana poco più di 20 metri dal rilevatore. In seguito, nel 1976, grazie al viaggio senza recupero del razzo Scout della NASA che affondò nell’oceano Indiano, R. F. C. Vessot e M. W. Levine confrontarono le frequenze di maser a idrogeno a bordo del razzo con un gemello a Terra confermando il redshift gravitazionale. fig.8 Schematizzazione di un esperimento ideale con una scatola immersa in un campo gravitazionale costante g con fotoni emessi dalla base verso l’estremità superiore; fig.9 Verifica del redshift gravitazionale con il razzo Scout D nel 1980, tramite il confronto tra orologi identici (maser a idrogeno) in diverse posizioni I satelliti GPS e la misura del tempo I satelliti GPS ci permettono di individuare con grande precisione la posizione di un ricevitore sulla superficie terrestre e per il loro funzionamento hanno bisogno di misure di tempi regolate dai più precisi orologi, quelli atomici. Le esperienze con aerei di linea nel 1971 e quelle col razzo Scout avevano confermato l’importanza della teoria della relatività nella misura e nel controllo dei tempi e delle frequenze. Ora, è possibile dire se due orologi gemelli: il primo, situato su un satellite, e l’altro, a Terra a quasi 20.000 km dal primo, funzionino esattamente allo stesso modo? fig.10 GPS – A) schema di funzionamento. La distanza tra un satellite del sistema GPS e il ricevitore, posto all’interno di un’autovettura, viene misurata grazie al tempo di percorrenza di un segnale. Una sola distanza permette di individuare solo un insieme di punti corrispondenti a una superficie sferica. Tramite quattro satelliti, e quindi quattro distanze, è possibile determinare con precisione la posizione spaziale dell’auto. B) display del ricevitore GPS con mappe stradali che visualizzano il tragitto e la posizione dell’autovettura Quando nel 1977 fu lanciato il primo satellite del sistema GPS fu adottata una soluzione di compromesso: a bordo fu sistemato un orologio atomico di frequenza variabile, regolabile a distanza. Non tutti erano ancora convinti che la diversa misura del tempo fosse esattamente calcolabile dalla teoria della relatività. Ritorniamo ai nostri due orologi atomici semplificando al massimo la trattazione, l’uno sul satellite (a una distanza h+RT dal centro della Terra), l’altro di riferimento sulla superficie terrestre. Entrambi hanno nominalmente una frequenza caratteristica f 0=10,23 MHz. Se un fotone con tale frequenza fosse mandato verso Terra, per l’effetto Doppler relativistico, si verificherebbe uno spostamento verso frequenze più alte (se fosse luce si avrebbe uno spostamento opposto al caso discusso in precedenza, non verso il rosso, ma verso il violetto), perché la radiazione è emessa in una regione dove il campo gravitazionale è notevolmente inferiore g=0,58 m/s 2 a quello nelle vicinanze della superficie terrestre. L’errore relativo sulla frequenza si può calcolare semplicemente attraverso la relazione: (sat-ter)/c2=[-GM/(RT+h)+GM/RT]/c2=GMh/ (RT+h) RTc2=g(0)RTh/Rc2 dove si è posto g(0)=GM/RT2. Quindi l’orologio sul satellite viene percepito con una frequenza superiore (va più in fretta) se paragonato al ritmo del suo gemello a Terra. Cosa succede allora agli orologi? Seguendo le parole di Feynman: “Orologi situati in punti diversi in un campo gravitazionale devono sembrare andare a velocità diverse. Ma se uno sembra che vada sempre a una velocità diversa rispetto all’altro, allora, per quanto riguarda il primo, l’altro va a una velocità diversa.” Quale sarà allora la differenza dei due tempi nel caso di un’intera giornata? Se si ipotizza che t/t=g(0)RTh/c2R e si inseriscono i dati odierni di un satellite GPS RT=6.378 km, R=25.678 km, h=19.300 km, g(0)=9,8 m/s 2, c=3 108 m/s, t= 86.400 s, si trova t=45 10-6 s. In un giorno il ritardo del tempo misurato dall’orologio sul satellite rispetto al gemello a Terra è di 45 s. La correzione relativistica dovuta al redshift gravitazionale deve portare ad abbassare la frequenza del clock dell’orologio sul satellite affinché i due orologi non segnino tempi diversi. Valori che in un giorno nelle approssimazioni descritte equivalgano a circa 45 s. Questo è l’effetto del campo gravitazionale per un’orbita perfettamente circolare, ma anche “la dilatazione del tempo” dovuta alle diverse velocità dei due orologi dovrebbe essere messa in conto. Considerando una velocità del satellite prossima a v=(Rg)1/2 (il valore di g è quello che si trova con l’espressione rappresentata in figura 2 a una distanza h da Terra) si trova v=3,8 103m/s e il fattore -2v2/c2 moltiplicato per il tempo di una giornata corrisponde a t=-7 s, stavolta l’effetto è opposto rispetto al caso gravitazionale. Si dovrebbe tener conto di effetti dovuti all’orbita non circolare e alla rotazione della Terra. Tuttavia il calcolo approssimato delle correzioni relativistiche pari a 38 s può essere considerato come valido. Il clock dell’orologio a Terra 10,2300000000000 MHz viene regolato allora sull’orologio a bordo del satellite a 10,2299999954326 MHz. Oggi gli effetti relativistici sono compensati direttamente con segnali opportuni che raggiungono i ricevitori GPS, ma nessun ingegnere può pensare che la relatività generale non abbia implicazioni pratiche.