Donne. Mito, genio, dignità Giulia P. Di Nicola e Attilio Danese 1. La sapiente ignoranza 2. Antropoteologia e unidualità 3. La differenza e l’indifferenza per la differenza 1. 4. La sapiente ignoranza Dal punto di vista scientifico, mancano gli elementi per qualificare in modo inconfutabile la differenza. Si può dire che in questo campo si registra una grande difficoltà a trovare ricerche non orientate ideologicamente. Anche sul fronte cattolico, vi sono alcune indicazioni di rotta, ma non si può dire che i problemi siano risolti. Il racconto biblico del resto è intriso di mistero riguardo ai tre termini della relazione presentati: sappiano che maschio e femmina sono a immagine di Dio, ma non possiamo conoscere il termine ultimo dell’analogia: Dio. Questo rimando suggerisce piuttosto l’inopportunità di definire, per il fatto che i tre termini dell’analogia sfuggono alle idee “chiare e distinte”. Ci si deve continuamente confrontare con la duplice esigenza: la necessità di tenere ferma in qualche modo una differenza originaria, indispensabile per la reciprocità, e l’impossibilità di giungere a conclusioni certe sul contenuto di tale differenza, fissandolo una volta per tutte e senza cadere nel rischio di essere smentiti dalla storia (quante definizioni della donna sono ormai incompatibili con la realtà!). Del resto Adamo ed Eva non possono conoscersi adeguatamente l’un l’altro: Eva – stando al secondo e più metaforico racconto genesiaco - non può dire chi è realmente Adamo, perché questi la precede e Adamo non conosce Eva, perché dormiva beatamente quando la donna veniva formata da Dio. E’ Dio, il creatore, che li presenta e li svela l’uno all’altra. Meglio dunque proporre indicazioni orientative, sempre aperte alla novità che ogni persona rappresente perché da una parte non ci si può rinchiudere nell’afasia e 1 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 dall’altra occorre essere pronti a ripensar le indicazioni date nel confronto con la realtà contemporanea, con la tradizione, con la storia, con la Parola. Si deve riconoscere a Giovanni Paolo II il merito di aver sdoganato il discorso sulla differenza e di averla posta al centro della questione atropoteologica, rispetto ad una tradizione che aveva dato per scontato la definizione della femminilità e anche rispetto al femminismo che la rifiutava totalmente. La sua rivalutazione della sessualità, del corpo, della donna è ancora un riferimento cardine per il magistero cattolico (Catechesi sull'amore umano, Familiaris consortio, Lettera apostolica Mulieris dignitatem - che rimane una pietra miliare del riferimento magisteriale - e Lettera alle donne). In particolare la Muliebri dignitatem ha rappresentato una rivoluzione culturale, completata poi dalla Lettera alle donne, che riconosciuto il valore dell’attività sociale e politica delle donne, aspetto assente nella Mulieris1. Il registro scelto dal papa nell’affrontare questo tema ha la sua validità nella consapevolezza della necessità di evitare le trappole del biologismo e dell’indifferenza. La formazione filosofica di Giovanni Paolo II consentiva il pieno riconoscimento dell’importanza del corpo che condiziona l’essere uomo e donna, benché non lo determini. La fenomenologia aveva chiarito infatti che la coscienza di sé, del mondo e degli altri viene sempre mediata da una percezione corporea e dunque maschi e femmine gettano prospettive diverse sul mondo. D’altra parte, per non cadere nel determinismo, si deve riconoscere che la persona non vive nel suo corpo come in una prigione, ma è chiamata a interagire con esso, a farne una ermeneutica compatibile con i propri ideali, in qualche modo a trascenderlo in una dialettica nello stesso tempo condizionata e creativa. Non è facile individuare la giusta distanza tra sopravvalutazione del corpo (biologismo) e, al contrario, sottovalutazione (spiritualismo). Giovanni Paolo II ha centrato la sua attenzione su un dato incontrovertibile: il corpo della donna appare strutturato in modo tale da poter generare la vita e pertanto non può esservi percezione di sé senza confrontarsi con questo dato, che costituisce intimamente la sua identità, indipendentemente dal realizzarsi effettivo di un concepimento lungo l’arco della sua vita. Tuttavia, poiché sarebbe ingiusto verso gli uomini sostenere che è solo delle donne l’amore materno e donativo, la Mulieris dignitatem propone 1 Su questi temi si veda: G. P. Di Nicola- A. Danese, Il papa scrive le donne rispondono, Dehoniane, Bolonga 1996. 2 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 interpretazioni del corpo femminile in senso simbolico e personalista. Presentando le figure tipo della sposa, della madre e della vergine, chiarisce che non si tratta di determinismi di natura ma di dimensioni simboliche dell’umano in quanto tale, legate alla persona, maschio e femmina. Il registro della Mulieris è duplice: da una parte il dato corporeo risulta decisivo nel delineare l’identità e il ruolo della donna, per cui a lei si attagliano bene le figure di madre, sposa e vergine, dall’altra occorre prendere atto che tutti gli esseri umani sono spose, madri e vergini, quanto al significato etico e antro-teopologico che queste figure hanno in relazione all’amore, alla cura, alla integralità della persona di fronte a Dio. Questo duplice binario si ritrova nel commento innovativo ad Efesini 5, la lettera paolina che presenta il rapporto nuziale Cristo Chiesa come paradigmatico della relazione marito moglie. Da una parte si assume questa analogia, dall’altra il papa invita a leggere le raccomandazioni di S. Paolo alla luce di Ef 5, 21, che raccomanda la “sottomissione reciproca nel timore di Cristo”. Aggiunge infatti: «La consapevolezza che nel matrimonio c’è la reciproca “sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo”, e non soltanto quella della moglie al marito, deve farsi strada nei cuori, nelle coscienze, nel comportamento, nei costumi» (MD, n. 24). Da questo duplice registro scaturiscono alcuni nodi tuttora problematici su cui ancora ci si interroga, tra i quali: nella sposa in senso simbolico ed etico si riconoscono uomini e donne, mentre nello sposo solo i maschi; se la sottomissione della Chiesa al Cristo non ha bisogno di spiegazioni (l’asimmetria Cristo Chiesa, come Cristo Maria è inerente alla differenza di natura), non altrettanto si può dire della sposa e dello sposo; l’accostamento maschio-Cristo per quel che riguarda l’amare per primi sembra particolarmente legato alla dimensione sessuale2. Quest’ultimo assioma vacilla in una visione integrale del rapporto uomo donna, se non altro perchè la prima esperienza che ciascun essere umano fa venendo al mondo è di essere amato da una madre. Molti studi sottolineano che la madre ama per 2 «Se l'autore della lettera agli Efesini chiama Cristo sposo e la chiesa sposa, egli conferma indirettamente, con tale analogia, la verità sulla donna come sposa. Lo sposo è colui che ama. La sposa viene amata: è colei che riceve l'amore, per amare a sua volta. [...] Quando diciamo che la donna è colei che riceve l'amore per amare a sua volta, non intendiamo solo o anzitutto lo specifico rapporto sponsale del matrimonio. Intendiamo qualcosa di più universale, fondato sul fatto stesso di essere donna… nel contesto dell'analogia biblica e in base allo logica interiore del testo, è proprio la donna colei che manifesta a tutti questa verità: la sposa» (Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, n. 29). 3 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 prima, molto prima che il figlio abbia la possibilità di risponderle sorridendo e chiamandola per nome3. La vocazione della donna sembra in quest’ottica particolarmente rappresentativa della chiamata universale ad amare, come riconosce Giovanni Paolo II quando sollecita il padre ad imparare in qualche modo dalla madre la sua paternità: «Bisogna che l'uomo sia pienamente consapevole di contrarre... uno speciale debito verso la donna. Nessun programma di “parità di diritti” delle donne e degli uomini è valido, se non si tiene presente questo in un modo del tutto essenziale... L'uomo — sia pure con tutta la sua partecipazione all'essere genitore — si trova sempre “all'esterno” del processo della gravidanza e della nascita del bambino, e deve per tanti aspetti imparare dalla madre la sua propria “paternità”» (MD, n.18). La Mulieris ci pone di fronte al riconoscimento di una asimmetria nel cuore della reciprocità, a vantaggio della madre, simmetria confermata dalla presentazione della femminilità come archetipo dell’umanità tutta. Infatti secondo la Mulieris: «La Bibbia ci convince che non si può avere una ermeneutica dell'uomo, ossia di ciò che è umano, senza un adeguato ricorso a ciò che è femminile» (MD, n. 22). E ancora: «Da questo punto di vista [l'elevazione spirituale come finalità dell'esistenza di ogni uomo], la “donna” è la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano: rappresenta l'umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne» (MD, n. 4). I grandi scenari della Mulieris dignitatem, che qui celebriamo, non possono certo mettere la parola fine al mistero dell’uomo e della donna a immagine di Dio. Proprio per l’ampiezza delle problematiche e dei rischi che vi sono connessi, Giovanni Paolo II incoraggia a continuare il lavoro di elaborazione di un'antropologia uniduale, in cui il maschile e il femminile siano l’espressione concreta della struttura comunionale della persona4: «È urgente sviluppare… “una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile”, cercando di “precisare l’identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l’uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato 3 Tra i lavori su questo tema mi permetto di rimandare al mio: Il linguaggio della madre. Aspetti sociologici e antropologici, Città Nuova, Roma 1994. 4 Cf http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2007-01/29-36/Relazione_Farina.doc 4 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 personale» (MP, n. 50). E’ ciò che ha fatto il cardinale Ratzinger, con la sua lettera ai vescovi centrata non tanto sulla donna soltanto quanto sul rapporto uomo donna5. 2. Antropo-teologia e unidualità Ogni essere umano è un unicum dotato di risorse specifiche, di talenti e limiti che costituiscono il suo DNA, non solo in senso genetico ma anche psichico, intellettuale e spirituale. La maturità consiste nel prendere coscienza di tali risorse e limiti e gestirli, ossia nell’orientare il proprio comportamento tenendo conto della dotazione di cui si dispone e facendola fruttare al meglio. La differenza sessuale rientra in questa dotazione di base che costituisce una persona sin dalle prime settimane di vita come maschio e come femmina. Ogni essere che viene al mondo dà senso maturo e personale alla sua esistenza non tanto in virtù dell’obbedienza ai genitori, ad un qualche capo, ai dettati della scuola e dello Stato, neanche ad autoimposizioni frutto di uno sforzo di volontà coercitivo sul proprio corpo e sulla propria psiche, ma assecondando e sviluppando creativamente determinati obiettivi, in accordo con la dotazione naturale di cui dispone. Questo ha a che fare con il senso “laico” universale della vocazione: la differenza uomo donna si colloca nel 5 Cf J. Card. Ratzinger, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 2004. SI tratta di un interessante costante di questo Papa, come si vede dal Messaggio per la giornata della pace del 2007: «All'origine di non poche tensioni che minacciano la pace sono sicuramente le tante ingiuste disuguaglianze ancora tragicamente presenti nel mondo. Tra esse particolarmente insidiose sono, da una parte, le disuguaglianze nell'accesso a beni essenziali, come il cibo, l'acqua, la casa, la salute; dall'altra, le persistenti disuguaglianze tra uomo e donna nell'esercizio dei diritti umani fondamentali… Anche la non sufficiente considerazione per la condizione femminile introduce fattori di instabilità nell'assetto sociale. Penso allo sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di rispetto per la loro dignità; penso anche — in contesto diverso — alle visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all'arbitrio dell'uomo, con conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l'esercizio delle stesse libertà fondamentali. Non ci si può illudere che la pace sia assicurata finché non siano superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale, inscritta dal Creatore in ogni essere umano» (Messaggio per la pace 2007, nn. 6-7). 5 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 cuore dell’antropologia, qualificandola come uniduale, ossia come nello stesso tempo e senza contraddizione, intrinsecamente plurale e unitaria. Parzialità e relazione sono esperienze ineludibili di ogni persona. "L'uomo è fatto per essere superato", sosteneva Nietzsche, in qualche modo intuendo che i limiti della persona possono essere visti come la sua risorsa, perché rendono ontologicamente realizzabile il superamento di sé, sia nella relazione interpersonale che in quella verticale con Dio. La disponibilità ad accogliere serenamente la propria realtà e “lavorarla” a fini ottimali costituisce la differenza fondamentale tra personalismo ed esistenzialismo, come pure tra personalismo comunitario e quei falsi personalismi che pongono al centro la pienezza dell'esistenza in quanto affermazione di sé e dei propri diritti ( va in questa direzione anche la ideologia dei diritti umani che caratterizza alcune organizzazioni mondiali, come l’ONU, la UE, l’OMS, l’UNICEF). Una persona non può avere il fine in se stessa, né in un'altra, né tanto meno nelle cose create, ma si caratterizza per quel dialogo, esplicito o implicito, che è chiamata ad instaurare col suo Creatore. In questa luce va letto il versetto biblico: «A immagine di Dio li creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27), a cui rimanda un cristianesimo del “principio”, che voglia andare alla fonte, per una migliore comprensione antropologica dell'uomo e della donna nella relazione che li rimanda, ciascuno e insieme, al Creatore, oltre che l'uno all'altro. L'altro, la donna per l'uomo e l'uomo per la donna, benché, “carne della carne” e “ossa delle ossa”, non può essere l'altra metà della mela, senza cui la prima resta monca; non può essere il mezzo per realizzare la propria completezza; non può essere confuso con quella fondamentale nostalgia ontologica di unità, appagabile solo da Dio. Eppure resta il necessario tu del riconoscimento, alla cui presenza l'io si risveglia, di cui gioisce, che rende possibile l'esperienza fondamentale della comunicazione e della donazione di sé, nell’integralità della psiche e del corpo, che dà concretezza e visibilità alla stessa esperienza di Dio. L’ideale relazione tra i sessi schizzata nel versetto biblico stenta a realizzarsi nella storia, se non a tratti e in trasparenza. Il travaglio della realtà rispecchia quello del pensiero, che fa fatica a declinare la differenza uomodonna senza incappare nelle trappole dell'uguaglianza e della differenza assolutizzate. La tendenza è piuttosto quella di ridurre ad unum l'uniduale originario. Lacategoria antropologica di Uomo riassume tutte le differenze, 6 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 con l’inevitabile occultamento della donna6. Inafatti la pluralità viene riassunta dalla ragione entro categorie generali e sintetiche, la differenza viene organizzata gearchicamente, status e ruoli prevalgono sulla comunicazione, le definizioni sulla reciprocità, la sintesi sulle relazioni, l’astrazione sulla ricchezza del reale. La differenza non sarebbe che un differire dal modello universale e la femminilità verrebbe a delinearsi in negativo, tutta ritagliata a misura dell'uomo (il quale la definisce specularmente in rapporto a sé: Eva in funzione di Adamo, come in Rousseau, Sofia in funzione di Emilio7) se non ci fosse il rimando al Creatore. Verrebbe dunque occultata tutta la dimensione umana della storia e della società, compresa l'alterità originaria e paritaria della donna e dell'uomo; in particolare la donna risulterebbe “immagine” dell'uomo. Oggi, nel pensiero cattolico, al monismo teistico si va sempre più sostituendo una antropo-teologia trinitaria, che impedisce di scindere il piano antropologico da quello teologico, attribuendo al primo la pluralità e al secondo l'unità indivisibile, giacché, in tal caso, la molteplicità sarebbe solo tollerata come imperfezione della realtà creata. Solo una antropologia trinitaria può dare fondamento alla uni-dualità delle persone ad immagine di un Dio comunitario e non solitario, che qualifica se stesso come Amore (pericoresi). Infatti l'importanza di un tu altro per l'io è in diretta correlazione con la rivelazione di Dio unità di tre persone in comunione tra loro, che illumina il rapporto uomo donna come una relazione tra eguali e distinti. Le differenze risultano intrinsecamente relazionali: ciascuno può essere pienamente se stesso se si mette in gioco nella relazione dinamica che costituisce l'io e il tu in alterità reciproca. La reciprocità, sullo sfondo della teologia trinitaria, appare come la molla che sollecita la qualità delle relazioni verso modelli ottimali facendosi largo in una storia bisognosa di conversione e di ri-nascita dal passato maschilista, come pure dalle più esacerbate reazioni femministe8. 6 Il processo dialettico hegeliano, col suo negare e conservare, (aufheben) è esemplare di un procedimento che dissolve la dualità e dunque l'originalità della differenza, nell'idea. 7 J. J. ROUSSEAU, Emilio o dell'educazione, Armando, Roma 1969, p. 550. 8 Ha scritto Ricoeur: "La struttura dialogica che presiede, a tutti i livelli cui può giungere il pensiero, ai rapporti tra l'uno e il molteplice... è la stessa struttura dialogica, la stessa energia comunicativa che si lascia percepire a diversi livelli... a livello teologico nella dottrina trinitaria, mediante la quale il cristianesimo si distingue da un monoteismo semplice, distinguendo in Dio stesso un aspetto societario, ossia insieme una kenosi nella seconda persona e una ricapitolazione d'amore nella terza persona; la stessa dialettica tra l'uno e il molteplice si ripete analogicamente al livello antropologico, dove la persona sembra costituita dal duplice sforzo di sfuggire alla frammentazione individualista e alla fusione totalitaria; una ripresa analogica della logica trinitaria 7 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 3. La Lettera alle donne, un documento prezioso Dobbiamo riconoscere a Papa Giovanni Paolo II il coraggio di aver posto sul tappeto la questione delle relazioni tra i generi dal punto di vista antropologico e biblico. E’ vero che il Concilio Vaticano II aveva fatto qualche a fondo sul tema, ma la questione femminile, sollevata dalle donne un secolo prima vi era appena sfiorata, anche perchè da Leone XIII a Pio XII prevaleva il timore che il lavoro extradomestico delle donne potesse intaccare la tenuta morale della famiglia e della società. La Lettera del Papa alle donne (1995), preparata in vista della conferenza ONU di Pechino dello stesso anno, rappresenta una importante pietra miliare che integra la Mulieris Dignitatem (1988) con un taglio innovativo e socialmente incisivo9. Benedetto XVI, che il 9 Febbraio del 2008 ha ricevuto i partecipanti al convegno Uomo donna. L’humanum nella sua interessa, organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici, ha ricordato in maniera unitaria i due documenti: «Il rapporto uomo-donna nella rispettiva specificità, reciprocità e complementarità costituisce senz’altro un punto centrale della "questione antropologica", così decisiva nella cultura contemporanea. Numerosi gli interventi e i documenti pontifici che hanno toccato la realtà emergente della questione femminile. Mi limito a ricordare quelli dell’amato mio predecessore Giovanni Paolo II, il quale, nel giugno del 1995, volle scrivere una Lettera alle donne, mentre il 15 agosto del 1988, esattamente venti anni or sono, pubblicò la Lettera apostolica Mulieris dignitatem. Questo testo sulla vocazione e dignità della donna, di grande ricchezza teologica, spirituale e culturale, a sua volta ha ispirato la Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, della Congregazione per la Dottrina della Fede». La Lettera alle donne non è stata scritta con intenti captativi, un puro omaggio alle donne, quasi a compenso della misoginia che tanta parte ha si delinea attraverso una relazione ritmata dalla assunzione di responsabilità, l'annullarsi di fronte all'alterità dell'altro e la ricerca di una comunità che sia persona di persone; è lo stesso ritmo dialettico che si lascia scoprire a livello sociologico, nella misura in cui l'impegno politico, attraverso le lotte sociali, sembra essere la ricerca di un equilibrio mai raggiunto tra la rivendicazione della vita privata, le costrizioni inevitabili nella costruzione di una società più giusta e l'utopia comunitaria, analogo lontano dello Spirito Santo nell'economia del Dio uno e trino" (P. Ricoeur, Préface a A. Danese, Unità e pluralità, Mounier e il ritorno alla persona, cit., p. 14). 9 Su queste tematiche rinvio a: AA.VV., Il Papa scrive. Le donne rispondono, Dehoniane, Roma 1996; Lei & Lui.Comunicazione e reciprocità, Effatà, Cantalupa, 2001. 8 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 avuto nella storia della cultura, ma di una questione antropologica, maturata in anni di esperienza pastorale e nell'ascolto attento della voce dello Spirito, nonché di una sfida di civiltà, nella convinzione che la presenza sociale e politica delle donne apporti un contributo peculiare e insostituibile all’umanizzazione della vita. Vorremmo ricordare i punti più innovativi di tale lettera: 1. La convinzione che il misconoscimento della dignità e dei diritti delle donne rappresenta un impoverimento per la società tutta, privata troppo a lungo della sua risorsa preziosa (n. 3); 2. La consapevolezza che “il grazie non basta”, se non è accompagnato dal giusto riconoscimento dei diritti, in conformità da un lato alla dichiarazione universale dei diritti della persona e dall'altro alla specifica condizione di svantaggio delle donne (nn. 1 e 3). Ne consegue il richiamo ad una «effettiva uguaglianza dei diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a parità di lavoro, tutela della lavoratrice madre, giuste progressioni nella carriera, uguaglianza fra coniugi nel diritto di famiglia, riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri del cittadino in regime democratico» (n. 4); 3. L“ammirazione” «per le donne di buona volontà che si sono dedicate a difendere la dignità della condizione femminile attraverso la conquista di fondamentali diritti sociali, economici e politici… in tempi in cui questo loro impegno veniva considerato un atto di trasgressione, un segno di mancanza di femminilità, una manifestazione di esibizionismo, e magari un peccato!» (n. 6). 4. Il debito di riconoscenza verso le donne che in punta di piedi hanno costruito la storia, dando “un contributo non inferiore a quello degli uomini e il più delle volte in condizioni ben più disagiate. Penso in particolare, alle donne che hanno amato la cultura e l'arte e vi si sono dedicate partendo da condizioni di svantaggio, escluse spesso da un'educazione paritaria, esposte alla sottovalutazione, al misconoscimento ed anche alla sottovalutazione del loro apporto intellettuale. Della molteplice opera delle donne nella storia, purtroppo, molto poco è rimasto di rilevabile con gli strumenti della storiografia scientifica. Per fortuna, se il tempo ne ha sepolto le tracce documentarie, non si può non avvertirne i flussi benefici nella linfa vitale che impasta l'essere delle generazioni che si sono avvicendate fino a noi. Rispetto a questa grande, immensa “tradizione” femminile, l'umanità ha un debito incalcolabile. Quante donne sono state e sono tuttora valutate più per l'aspetto fisico che per la competenza, la professionalità, le opere 9 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 dell'intelligenza, la ricchezza della loro sensibilità e in definitiva per la dignità del loro essere!» (n. 3). 5. L'approfondimento del principio antropologico e biblico dell'aiuto reciproco (n. 7) non solo per quel che riguarda la famiglia, ma anche per tutta l'opera umana della cultura e della costruzione della società. 6. Il riconoscimento e il rammarico per le responsabilità oggettive di “non pochi figli della Chiesa” (n. 3). Questo “coraggio della memoria” e questo “franco riconoscimento delle responsabilità” costituiscono effettivamente un modello paradigmatico di applicazione della giustizia e del perdono nelle relazioni tra popoli, Chiese e gruppi sociali. 7. La sottolineatura, già presente nella Centesimus annus, che l'impegno di tutti a rimuovere le discriminazioni è «un atto di giustizia, ma anche una necessità. I gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa, perché contribuirà a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata su puri criteri di efficienza e produttività e costringerà a riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la “civiltà dell'amore”» (n. 4); 8. La denuncia della sottovalutazione della maternità, spesso più penalizzata che socialmente sostenuta (n. 4), della prostituzione e della violenza sessuale. Ancor più profondamente, il Papa, soffermandosi sulla «lunga e umiliante storia — per quanto spesso sotterranea — di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità», vi collega il male intrinseco dell'aborto: «…Ciò non solo nel quadro delle atrocità che purtroppo si verificano nei contesti di guerra ancora così frequenti nel mondo ma anche con situazioni di benessere e di pace, viziate spesso da una cultura di permissivismo edonistico, in cui più facilmente prosperano anche tendenze di maschilismo aggressivo. In condizioni del genere, la scelta dell'aborto, che pur resta sempre un grave peccato, prima di essere una responsabilità da addossare alle donne, è un crimine da addebitare all'uomo e alla complicità dell'ambiente circostante» (n. 5); 9. L'invito a non arrestarsi alla denuncia delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma ad impegnarsi «per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile» (n. 6). Non è possibile affrontare la questione donna eludendo questa lettera le cui tematiche sono ancora oggetto di un confronto, che vorrebbe restare 10 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 aperto e nello stesso tempo sapiente, ossia capace di non intaccare l’unità della comunione ecclesiale. 3. La differenza e l’indifferenza per la differenza La giusta lotta per il riconoscimento dei diritti e della pari dignità sembra oggi correre il rischio di annullare la differenza, su cui si è a lungo impegnata la ricerca delle donne onde evitare la omologazione al m odello maschile. La cultura relativista contemporanea mette in questione l’identità di genere: c’è chi pensa che la differenza sessuale non abbia in sé alcun valore oggettivo e diffonde la convinzione che ogni individuo possa stabilire a piacimento la propria identità sessuale nel dichiararla alla pubblica amministrazione. L’orientamento sessuale sarebbe una variabile dipendente dai gusti soggettivi, dai contesti, dalle necessità. Su questa linea si collocano le proposte di legge “contro l’omofobia”, promosse dalla UE con budget di sostegno, che vorrebbero tacciare di oscurantismo – e perseguire forse penalmente – eventuali pronunciamenti considerati discriminanti per gli omosessuali da parte di chi non riesce proprio a disgiungere l’orientamento sessuale dalla conformazione fisiologica della persona. Glissando sui termini sessualità, genere (gender) e orientamento sessuale (sexual orientation) e riducendo l’identità sessuale ad una opzione, si dovrebbe promuovere il principio della “neutralità della crescita” nella educazione di bambini e bambine. In altri termini, si nega l’esistenza dei due generi nella loro naturale connotazione, come se il corpo e la natura non esercitassero alcun condizionamento sul nostro modo di essere persone. Un tempo - che non rimpiangiamo - ad una precisa conformazione fisica corrispondevano modelli comportamentali precisi e rigidi del maschile e del femminile, riproposti dall’ambiente circostante: un modello maschile ispirato alla forza, all’autorità e alla razionalità e uno femminile alla emotività, all’obbedienza e all’intuizione. Il superamento di quegli stereotipi rigidi, che oggi cedono di fronte al mutamento del profilo maschile e al protagonismo delle donne, genera ora una controreazione pendolare: l’annullamento delle differenze, la rivendicazione della indipendenza assoluta dalla natura e la libertà di scegliere tra identità equipollenti. Ci troviamo nel mezzo dell’annosa contrapposizione tra naturalismo e culturalismo: da una parte un’antropologia rispettosa della persona si dissocia dalla posizione determinista e biologica, secondo cui tutti i ruoli e 11 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 le relazioni tra i sessi sarebbero fissati in uno statico modello determinato dalla natura; d’altra però, l’essere umano, non essendo idealisticamente soltanto cultura, costruisce la sua storia in un confronto dialettico con la natura e con tutti i suoi condizionamenti. Ciascun essere che viene al mondo, nello sviluppare la propria identità, recepisce i modelli trasmessi dall’educazione, adotta comportamenti e valori acquisiti dalla frequentazione di ambienti diversi con cui viene a contatto, cerca di conformarsi alle sue aspirazioni ideali, ma non può fare ciò senza partire da e attraverso un confronto con - o se si vuole una ermeneutica – il proprio corpo, con tutte le sue specificità morfogeniche, ormonali, fisiologiche. Bisognerebbe interrogarsi sulle possibili conseguenze di una violenza esercitata contro la natura, prima di accusare il pensiero “della Tradizione” di essere “tradizionalista”, e domandarsi se la natura violentata si vendicherà, violentandoci a sua volta, come hanno ben capito gli antichi: “Natura non facit saltus” (Linneo) e “Natura enim non nisi parendo vincitur” (Bacone). A fronte delle approssimazioni attorno a questo tema, occorre prendere in seria considerazione i risultati degli studi delle diverse scienze umane, che approfondiscono i processi di accettazione della sessualità, in gran parte dipendenti dalle esperienze della prima infanzia e dalla qualità del rapporto che il bambino vede tra i genitori. Troppo spesso si passa dal rispetto delle minoranze alla loro esaltazione e infine alla ghettizzazione delle maggioranze. E’ quello che stanno facendo i media, gran cassa di potenti minoranze ovvero di una lobby che sa ben gestire il gusto della novità, della trasgressione, della moda. Questa tendenza è soprattutto rischiosa nel periodo dell’adolescenza che, come si sa, è il periodo più effervescente, ma fragile. Non è sempre agevole riconoscersi fisiologicamente femmina o maschio. Si può concludere per questo che i problemi d’identità vanno risolti incoraggiando la libera scelta del proprio orientamento sessuale? Una ragazza potrebbe voler occultare la propria femminilità, dimenticando (ma come fa?) le mestruazioni, il seno, l’orientamento materno di tutto il suo corpo e optare per il modello di una maschilità che le appare “vincente”?. D’altra parte non pochi maschi, associando maschilità con aggressività, competitività, obbligazioni della vita pubblica, possono maturare il rifiuto dell’appartenenza al proprio sesso. Per tutti potrebbe apparire accattivante, in via ipotetica e almeno in certe fasi della vita, sognare di assumere un identità diversa dalla propria. 12 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 In realtà i fautori dell'unisex, transex, omosex, intaccando l’originaria e originale differenza della natura e colpiscono il cuore dell’antropologia relazionale: l’identità originaria maschio-femmina, che si ritrova in tutti i racconti delle origini, come pure nella Bibbia. Fomentando la libera scelta, minano l’eterosessualità che consente il buon essere della persona con il proprio corpo, il matrimonio e la procreazione. La famiglia naturale viene presentata di conseguenza come una opzione dipendente da soggetti propensi a costumi di vita “tradizionale” rispetto a forme di convivenza presentate come moderne e “aperte”. Non ci pare fuori luogo l’allarme del Magistero cattolico sul rischio della confusione e del boomerang che queste tesi possono provocare. Valga per tutti il parere del “Van Thuan Observatory”: «Si eccede nel separare il sesso dal genere, sostenendo che il primo è un dato fisiologico e il secondo è un dato culturale e storico. E’ vero che la differenza sessuale viene anche gestita e vissuta in modo diverso dentro la cultura e la storia, tuttavia non è giusto separare il genere dal sesso, perché quest’ultimo è un dato antropologico fondamentale per la persona» (Verona, 15 Marzo 2007). Una folla di domande si accavallano. Come si può scambiare l’eccezione con la norma e dare per scontato che esistano cinque possibili sexual orientations, tutte equivalenti10? Si potrà ancora ragionare liberamente di questi temi, oppure con la guerra all’omofobia, sarà persino vietato parlare di differenza sessuale naturale? Le ideologie che vorrebbero scardinare le differenze naturali non contraddicono forse decenni di Women’s Studies del femminismo, centrati proprio sulla consapevole originale differenza? Perchè rivendichiamo l’ecologia dell’ambiente solo quando si tratta della natura da proteggere, delle specie in estinzione, dell’inquinamento, mentre ci facciamo paladini di una libertà astratta quando si tratta del nostro corpo? Come mai si punisce severamente chi ferisce o mutila un cane e invece non si supporta la “ego-sintonia” che ogni persona dovrebbe stabilire col proprio corpo? Noi pensiamo che sia giusto, mentre si difende il principio della biodiversità per la natura e gli animali, che si tenga in conto per l’essere umano l’importanza di una differenza relazionale e reciprocamente arricchente. Rispetto a quella 10 Alfred Kinsey, nel 1948, col saggio Il comportamento sessuale nel maschio umano, cominciò a rivoluzionare il concetto di sesso e a influenzare la coscienze con una serie di «Rapporti Kinsey». Da questi partì il dato del 10% di omosessuali nella popolazione. Eppure quando infatti il presidente Clinton commissionò un'indagine scientifica ai migliori centri statistici universitari, la percentuale si ridusse a un misero 1% circa. 13 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008 che sembra essere considerata oggi la “conquista dell’indifferenza della differenza” ci pare ancora valido il grido di gioia di Adamo di fronte alla meraviglia di un essere uguale e diverso, un tu “altro”, che sarà nella storia sorgente di sofferenza e di gioia incomparabili. 14 Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese – Trento 4 Ottobre 2008