La nuova disciplina in materia di trasparenza amministrativa

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La nuova disciplina in materia di trasparenza amministrativa ............................................................................................3
1. Premessa. ................................................................................................................................................................................3
2. L’accesso alla documentazione amministrativa ................................................................................................................4
2.1. Quadro delle fonti normative in materia di accesso ai documenti ........................................................................4
2.2. I presupposti e la funzione dell’accesso. ....................................................................................................................7
2.2.1. L’accesso agli atti dei gestori di pubblici servizi............................................................................................. 13
2.3. I limiti all’accesso........................................................................................................................................................ 13
2.3.1. Il limite della riservatezza dei terzi. .................................................................................................................. 16
2.3.2. Il potere di differimento dell’accesso .............................................................................................................. 20
2.4. Il procedimento amministrativo di accesso ed i controinteressati ..................................................................... 21
2.5. La natura della posizione giuridica “accesso” e brevi cenni alla sua tutela giurisdizionale ............................. 22
3. La trasparenza amministrativa ......................................................................................................................................... 22
3.1. Premesse generali: la trasparenza quale meccanismo di contrasto della corruzione. ...................................... 22
3.2. Quadro generale delle misure introdotte dalla legge n. 190/2012...................................................................... 26
3.3. Il decreto legislativo n. 33/2013 e le altre fonti sulla trasparenza ...................................................................... 30
3.4. L’ambito di applicazione e i destinatari della nuova disciplina in materia di trasparenza amministrativa.
Alcune norme specificamente rivolte alle strutture del servizio sanitario nazionale............................................... 30
3.5. L’oggetto dei nuovi obblighi di trasparenza. .......................................................................................................... 31
3.5.1. I cd. “dati ulteriori” ............................................................................................................................................ 37
3.5.2. La qualità delle informazioni............................................................................................................................. 38
3.5.3. I limiti alla trasparenza. Il ruolo del Garante della protezione dei dati personali. .................................... 40
3.6. Il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità. ........................................................................................ 48
3.6.1. Tempistica e procedimento di approvazione del Programma per la trasparenza e l’integrità. Rapporti
con i piani per la prevenzione della corruzione. ....................................................................................................... 49
3.6.2. I contenuti del Programma nel dettaglio e l’indice indicato dalla CIVIT .................................................. 52
3.6.3. Rapporti tra Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e Piano delle performance ............... 53
3.7. Le figure responsabili della trasparenza. Il Responsabile della trasparenza e il nuovo Codice di
comportamento dei pubblici dipendenti. ....................................................................................................................... 54
3.8. L’accesso civico .......................................................................................................................................................... 60
3.9. La vigilanza sugli adempimenti in tema di trasparenza amministrativa ............................................................. 63
3.10. Responsabilità e sanzioni ........................................................................................................................................ 64
3.11. La disciplina del conflitto di interessi nelle pubbliche amministrazioni. ......................................................... 66
3.12. La trasparenza in materia di autorizzazione e conferimento di incarichi ai dipendenti delle pubbliche
amministrazioni .................................................................................................................................................................. 67
3.13. Gli incarichi extraistituzionali dei dipendenti pubblici ....................................................................................... 68
3.14. Gli incarichi di vertice all’interno dell’amministrazione di appartenenza ....................................................... 75
3.15. Un nuovo disegno di legge in materia di trasparenza amministrativa. ............................................................ 77
La nuova disciplina in materia di trasparenza amministrativa
1. Premessa.
La trasparenza amministrativa è argomento assai articolato e complesso, che investe sia gli
aspetti organizzativi sia l’attività delle pubbliche amministrazioni.
Difatti, all’esito di una lunga evoluzione normativa, culminata nel d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33
(nuove misure concernenti gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni
da parte delle pubbliche amministrazioni, in attuazione della delega di cui ai commi 35 e 36
dell’articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190), quella della trasparenza è divenuta una
vera e propria “filosofia di fondo” cui la pubblica amministrazione deve adeguare
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struttura e moduli organizzativi, prima ancora delle proprie condotte concrete.
La nuova disciplina si inserisce nell’ambito di una più generale concezione -da tempo
affermatasi in altri settori dell’ordinamento (si pensi, ad esempio, alla normativa in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro, evolutasi “in senso organizzativo” ormai da diversi
decenni)- secondo cui si può dare “una vera svolta” in settori cardine della società e della vita
pubblica solo riformando i meccanismi organizzativi e di programmazione che li governano.
Questa impostazione, certamente condivisibile nei suoi obiettivi, ha però complicato sia lo
studio dei settori ordinamentali implicati che la stessa prassi operativa delle pubbliche
amministrazioni, costrette ad una serie di adempimenti formali spesso vissuti come “inutili e
dispendiosi orpelli”, incapaci di produrre reali benefici.
Al fine di evitare una simile deriva, che rischia di frustrare gli obiettivi del legislatore, occorre
assumere un approccio interpretativo volto a cogliere “il reale substrato sostanziale” della
nuova disciplina ed a fornire soluzioni (oltre che giuridicamente sostenibili) sufficientemente
pragmatiche e in grado di migliorare davvero la qualità delle prestazioni offerte al cittadino; tale
sarà, dunque, il leitmotiv della presente trattazione, che prenderà le mosse dallo studio della
normativa sull’accesso alla documentazione amministrativa in senso classico, di cui la recente
disciplina sulla trasparenza costituisce il più moderno sviluppo.
2. L’accesso alla documentazione amministrativa
La trattazione che segue (sino al paragrafo 3, dal quale prende le mosse l’esame della nuova
disciplina sulla trasparenza amministrativa) tocca gli aspetti più importanti della normativa in
materia di accesso ai documenti amministrativi, anche in relazione ad alcuni temi di specifico
interesse per le aziende sanitarie locali.
2.1. Quadro delle fonti normative in materia di accesso ai documenti
L’accesso ai documenti trova la propria disciplina sostanziale di riferimento negli artt. 22 e
segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo, in parte
modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.
Il diritto di accesso è poi dotato di “copertura costituzionale”1, sia in virtù della generale
previsione di cui all’art. 97 della Carta sul buon andamento e l’imparzialità della pubblica
amministrazione (di cui l’accesso costituisce un importante aspetto), sia perché il nuovo testo
dell’art. 22, comma 2, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005, nel definire
l’accesso un “principio generale dell’attività amministrativa”, lo riconduce alla finalità di favorire la
partecipazione e assicurare l’imparzialità e la trasparenza e, soprattutto, lo ascrive “ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale ai sensi dell’art. 117 secondo comma lettera m) della Costituzione”: quest’ultima previsione
1. Cfr., ex multis, F. Castiello, La nuova attività amministrativa, Maggioli 2006, p. 551 e segg.; ma si veda anche Corte
Costituzionale, 23 luglio 1997, n. 262.
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normativa, oltre a fugare ogni possibile incertezza circa la competenza legislativa statale in
materia di accesso (giacché la lett. m dell’art. 117 Costituzione rientra, per l’appunto, in tale
ambito)2, conferma l’intervenuta copertura costituzionale dello stesso.
La disciplina di dettaglio si rinviene in alcune fonti regolamentari, primo fra tutti il d.p.r. 12
aprile 2006, n. 184, regolamento governativo adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988 n. 400, che ha sostituito il precedente d.p.r. 27 giugno 1992, n. 352 (di cui ha
però fatto salvo l’art. 8, in via transitoria: vedi infra).
Il testo originario dell’art. 24 della legge n. 241/90 attribuiva al regolamento governativo un
duplice compito: disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e individuare casi di
esclusione ulteriori rispetto a quelli già previsti dallo stesso art. 24, comma 1, della legge sul
procedimento, tanto è vero che il d.p.r. n. 352/1992 si occupa di entrambe queste tematiche,
elencando, in particolare all’art. 8, le ipotesi (solo) regolamentari di esclusione. Ora, invece, nel
testo modificato dalla novella del 2005, l’art. 24 non rinvia più al regolamento governativo per
la disciplina delle modalità di accesso, mentre -dopo aver individuato direttamente alcune
ipotesi di esclusione dell’accesso (segreto di stato, procedimenti tributari, atti amministrativi
normativi e generali, dati relativi a test psicoattitudinali)- attribuisce al regolamento governativo
il compito di individuarne ulteriori, seppure all’interno di ambiti teleologici predeterminati in
termini generali dallo stesso art. 24, al comma 63.
2. Sull’argomento si veda C. Taglienti, Accesso ai documenti amministrativi: Aggiornamenti giurisprudenziali, su
www.giustizia-amministrativa.it, il quale osserva che “in conformità al riparto costituzionale delle fonti di diritto secondo la riforma
introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001”, la richiamata previsione normativa attribuisce alle regioni (ed anche agli enti
locali) la sola “possibilità di garantire livelli ulteriori di tutela: la normativa nazionale cioè costituisce il minimo indispensabile di tutela per il
cittadino (ma, come si dirà, non solo per lui) in ordine alla conoscenza degli atti della pubblica amministrazione che in qualche misura lo possano
riguardare”; tanto è vero che l’art. 29 “stabilisce (comma 1) la diretta applicazione della legge 241/90 alle amministrazioni statali e
nazionali, ed il potere di regioni ed enti locali (comma 2) di disciplinare autonomamente la materia, nel rispetto dei principi costituzionali e delle
garanzie minime del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, come previste dalla legge generale sulla trasparenza”, mentre l’art 22
della legge n. 15/2005, nel dettare la disciplina transitoria “prevede che fino all’adozione delle discipline regionali nuove, continuano ad
applicarsi le leggi regionali pregresse in materia, e, solo ove mancanti, direttamente la legge n. 241/90. In definitiva le regioni sono tenute a
rispettare le garanzie minime come definite dai principi stabiliti dalla legge generale”.
3. L’art. 24, comma 6, della legge n. 241/1990, così dispone: “Con regolamento, adottato ai sensi dell' articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400 , il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: a) quando, al di fuori delle ipotesi
disciplinate dall' articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla
sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con
particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione; b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi
di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le
dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,
all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone
fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario,
industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si
riferiscono; e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi
all'espletamento del relativo mandato. il d.p.r. n. 184/2006, che ha integralmente sostituito il precedente, si preoccupa soltanto di disciplinare le
modalità di esercizio dell’accesso, mentre all’art. 15, comma 1, rinvia ad altro regolamento governativo (da adottarsi ai sensi dell’art. 24, comma
6, della legge n. 241/1990, come introdotto dalla novella n. 15/2005) il compito di individuare casi di esclusione del diritto di accesso ultra
legem; il quale invero non prevede anche una disciplina generale sulle modalità di accesso, ma solo l’individuazione degli ulteriori casi di esclusione;
disciplina generale regolamentare sulle modalità dell’esercizio prevista, come detto, nel comma 2 dell’art. 24, che ora però risulta sostituito con una
disposizione di diversa natura, che rinvia alle singole amministrazioni l’individuazione delle specifiche categorie di documenti sottratti all’accesso in
base all’articolo 24 comma 1”.
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Infine l’art. 24, comma 2, statuisce che “Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di
documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma
1”.
Quanto al ruolo della normativa regionale, il richiamo operato all’art. 117, lett. m), della
Costituzione ha implicitamente autorizzato il regolamento statale a dilatare la propria normale
sfera d’azione ed è per questo che l’art. 14 del d.p.r. n. 184/2006 prevede espressamente
l’applicabilità anche alle regioni e agli enti locali della disciplina nazionale volta ad assicurare “i
livelli essenziali delle prestazioni” in materia di accesso, ferma restando la potestà delle
amministrazioni territoriali di adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, misure
organizzative in grado di assicurare, in relazione alle caratteristiche specifiche dei rispettivi
territori ed uffici, ancora migliori livelli di tutela del diritto di accesso.
Riassumendo, l’assetto delle fonti in materia di accesso è attualmente strutturato nel
modo seguente:
- la legge statale stabilisce in via esclusiva la disciplina fondamentale in materia di accesso, sotto
il profilo delle garanzie minime, comprese le modalità di esercizio del diritto di accesso (anche
se non è vietato anche un intervento regolamentare di tipo esecutivo, sia governativo che delle
singole amministrazioni, finalizzato a dettagliare ulteriormente la disciplina sulle modalità di
accesso, magari adattandola alle caratteristiche organizzative di ciascun ente);
- il regolamento governativo è deputato a individuare ipotesi praeter legem in cui l’accesso è
escluso all’interno degli ambiti e obiettivi delineati dall’art. 24, comma 6, della legge n.
241/1990, nonché a dettare norme di dettaglio per l’attuazione della disciplina statale;
- la legge regionale può introdurre proprie disposizioni, ma al solo fine di aumentare le garanzie
di accesso, mentre le è vietato ridurle;
- i regolamenti regionali, allo stesso modo, possono a loro volta introdurre disposizioni di tipo
organizzativo e di dettaglio, in attuazione della legge regionale, quali ad esempio, modalità di
compilazione delle istanze di accesso, la disciplina organizzativa delle strutture burocratiche
deputate alla valutazione delle istanze, individuazione dei diritti di segreteria dovuti per le copie
dei documenti, etc.
- i regolamenti delle singole amministrazioni possono, ai sensi dell’art. 24, comma 2, della legge
n. 241/1990, individuare “le categorie di documenti” sottratte all’accesso ai sensi del comma 1
dell’art. 24 (quindi nell’ambito dei soli di esclusione direttamente previsti dalla legge); in
particolare si tratta di predisporre un “elencazione tipologica” dei documenti non accessibili, al
fine di rendere più chiara la disciplina di quei casi di esclusione, mentre i regolamenti degli enti
non possono più -come invece accadeva prima della novella del 2005- individuare ipotesi di
esclusione dell’accesso ulteriori rispetto a quelle individuate dalla legge e dal regolamento
governativo.
Peraltro deve osservarsi che tale assetto normativo non ha trovato attuazione puntuale,
in quanto:
- ancora non è stato emanato un regolamento governativo che individui, in termini in generali, i
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casi di esclusione dell’accesso praeter legem; difatti il d.p.r. n. 184/2006, cioè il regolamento
governativo sull’accesso che ha sostituito il “vecchio” d.p.r. n. 352/1992, non si occupa di
questo aspetto e all’art. 10 rinvia sul punto ad altro regolamento governativo, tuttora non
adottato; nelle more si applicano le ipotesi praeter legem di esclusione indicate dall’art. 8 del d.p.r.
n. 352/1992, espressamente fatto salvo “in via transitoria” dall’art. 14 del d.p.r. n. 184/2006 (e,
tra esse, vi è anche la tutela della riservatezza);
- viceversa lo stesso d.p.r. n. 184/2006, all’art. 1, si dichiara espressamente volto a disciplinare
“le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel
capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241” (comma 1) e precisa, altresì, che “I provvedimenti generali
organizzatori occorrenti per l'esercizio del diritto di accesso sono adottati dalle amministrazioni interessate, entro
il termine di cui all'articolo 14, comma 1, decorrente dalla data di entrata in vigore del presente regolamento,
dandone comunicazione alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita ai sensi dell'articolo
27 della legge” (comma 2); di conseguenza il d.p.r. n. 184/2006 si pone concretamente alla
stregua di regolamento esecutivo per la disciplina di dettaglio sulle modalità di esercizio del
diritto di accesso e attribuisce ai regolamenti delle singole amministrazioni l’ulteriore compito di
introdurre le “misure organizzatorie” necessarie a rendere efficiente l’esercizio di tale diritto;
- in concreto, pertanto, il compito delle singole amministrazioni è, per un verso, quello di
individuare le singole categorie di documenti escluse dall’accesso ai sensi del comma 1 dell’art.
24 e, per altro verso, quello di organizzare i propri uffici in modo da consentire che il diritto di
accesso possa essere esercitato in modo efficiente e compatibile con la struttura burocratica
dell’ente.
Si osserva, infine, che tra le fonti sopra citate esiste un rapporto di gerarchia, per cui
un’eventuale norma regolamentare che si ponesse in contrasto con le previsioni statali potrebbe
essere annullata ovvero disapplicata dal giudice chiamato a pronunciarsi su di un’istanza di
accesso4.
2.2. I presupposti e la funzione dell’accesso.
I presupposti del diritto di accesso sono di tipo soggettivo e oggettivo.
Sul piano soggettivo occorre subito precisare che il diritto di accesso non può tradursi in
un’azione popolare, né in un controllo generalizzato sull’operato della P.A., per cui il
richiedente accesso deve dimostrare la titolarità di un interesse personale e concreto inciso dai
documenti che richiede. Sono esplicite in tal senso le previsioni contenute nell’art. 22, comma 1,
lett. b), della legge n. 241/1990 (che definisce “interessati”, “tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso) e nell’art. 2 del d.p.r.
n. 184/2006 (ove si afferma che l’interesse del richiedente deve essere “diretto, concreto ed attuale,
4. Si cita, a titolo di esempio, la fattispecie esaminata da T.A.R. Napoli, Sez. V, 3 marzo 2010, n. 1282, in cui il giudice
amministrativo ha ritenuto di poter valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione, il contrasto tra il
regolamento adottato da una ASL campana e l'art. 24, lett. d), della legge n. 241/1990: il TAR ha disapplicato il regolamento
nella parte in cui consentiva, in contrasto con la citata disposizione legislativa, l’accesso a informazioni di carattere
psicoattitudinale riguardanti soggetti diversi dai richiedenti accesso.
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corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento richiesto”), così come l’art.
24, comma 3, della legge sul procedimento precisa che “3. Non sono ammissibili istanze di accesso
preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni”.
Peraltro le espressioni utilizzate dal legislatore lasciano qualche margine di incertezza in ordine
al “grado di qualificazione” che l’interesse esibito dal richiedente deve possedere per
legittimarne l’accesso, laddove lo descrivono come (oltre che concreto e attuale) correlato “ad
una situazione giuridicamente tutelata”, il che potrebbe indurre a identificare l’interesse che legittima
l’accesso con una posizione soggettiva qualificata dall’ordinamento in misura non inferiore
all’interesse legittimo.
Tuttavia l’interpretazione giurisprudenziale dimostra che ai fini dell’accesso è sufficiente
“qualcosa di meno” di un vero e proprio interesse legittimo, dovendo la P.A. limitarsi a
verificare che il richiedente abbia esposto ragioni degne di tutela, astenendosi dal valutarne sia la
reale fondatezza (limitandosi, cioè, a verificare l’astratta configurabilità di tali ragioni, mentre un
accertamento sulle concrete prospettive di tutela processuale è richiesto solo nei casi di
conflitto tra accesso e riservatezza, come si vedrà più avanti), sia “l’attualità” dell’esigenza di
tutela prospettata; in sostanza è sufficiente che l’istante evidenzi ragioni chiare e precise di
interesse, tra cui, ad esempio, anche un interesse morale purché non irrilevante ovvero una
effettiva necessità di “organizzazione delle proprie scelte” (come nel classico caso di colui che
chieda accesso ai propri elaborati in un concorso dall’esito per lui non positivo), purché il tutto
sia ricollegabile ad esigenze meritevoli di tutela proprie dell’individuo e non a mere curiosità o
“interessi di tipo non individuale”5.
L’approccio della giurisprudenza diviene, invece, più rigoroso laddove l’istanza di accesso si
riferisca ad un procedimento destinato a sfociare in atti non produttivi di effetti nei confronti
del richiedente (si pensi, ad esempio, ad un accesso “seriale” ad atti di una certa tipologia, per
ragioni di studio), perché allora è necessario verificare che l’interesse esibito sia in ogni caso tale
da scongiurare l’eventualità di un accesso per mera curiosità o con l’intento surrettizio di
5. Per concretizzare il discorso appena svolto si fa riferimento a un recente pronunciato giurisprudenziale (la massima è
tratta da Lexitalia.it).
Con sentenza 13 gennaio 2012, n. 116, la III Sezione del Consiglio di Stato ha riconosciuto ad un dirigente medico di
un’azienda ospedaliera il diritto di accedere al decreto di nomina (ed al relativo contratto) del dirigente dell’ufficio legale della
stessa azienda, nonché a tutti gli atti della procedura concorsuale che hanno preceduto la nomina, essendo l’interesse
all’accesso giustificato dalla circostanza che il dirigente medico istante era stato convenuto in un giudizio (di risarcimento dei
danni) nel corso del quale era stato difeso dal dirigente dell’ufficio legale e che l’eventuale illegittimità della nomina di
quest’ultimo, con consequenziale annullamento o revoca della stessa, avrebbe determinato l’inefficacia del mandato e degli
atti giudiziali posti in essere dal “dirigente-legale”; in tal caso, infatti, in capo al dirigente medico istante è stato riconosciuto
un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti di
cui ha chiesto l’accesso.
In tale pronuncia il Consiglio ha poi chiarito, in termini generali, che il “collegamento” tra l’interesse giuridicamente
rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza non può che essere inteso in
senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell'interesse e non
strumento di prova diretta della lesione di tale interesse. E ancora che ai fini dell’accesso agli atti amministrativi, la necessaria
sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto di accedere, non significa che l’accesso sia stato configurato dal legislatore con carattere
meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante, giacché esso assume invece una valenza
autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale.
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esercitare un controllo diffuso sull’azione amministrativa6.
Nel delineare i presupposti soggettivi dell’accesso un tema assai delicato è quello degli enti
esponenziali di interessi diffusi e collettivi, quali associazioni sindacali, associazioni di
consumatori, etc.
Va subito osservato che l’art. 4 del d.p.r. n. 184/2006 -nel ribadire quanto incidentalmente
affermato dall’art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241/1990- statuisce che “Le disposizioni
sulle modalità del diritto di accesso di cui al presente regolamento si applicano anche ai soggetti portatori di
interessi diffusi o collettivi” e ciò comporta che i parametri di valutazione dell’interesse all’accesso
da parte di enti esponenziali siano astrattamente gli stessi applicabili ai soggetti individuali.
Tuttavia una certa peculiarità della fattispecie “è nelle cose”, ove si consideri che la posizione
soggettiva di un ente esponenziale è per definizione individualizzabile solo compatibilmente
con il dato di fatto che lo stesso ente agisce come rappresentativo di interessi di categorie
plurisoggettive, unificate soltanto dall’omogeneità degli interessi affidati alle sue cure, per cui
appare inevitabile un “indiretto allargamento della legittimazione all’accesso”, che non deve
però, comunque, trasformarlo in controllo sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Il punto di contemperamento viene cercato osservando che “la titolarità (o la rappresentatività) degli
interessi diffusi non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di tutti i documenti
riferiti all'attività di un gestore del servizio e non collegati alla prestazione dei servizi all'utenza, ma legittima
l’accesso solo a quegli atti, relativi ai servizi rivolti ai consumatori, che incidono in via diretta e immediata, e non
in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi dei consumatori stessi”7 e questa impostazione, più
volte affermata in giurisprudenza, trova conferma nell’art. 26, comma 2, della legge 7 dicembre
2000 n. 383, ove si indicano quali posizioni soggettive legittimanti l’accesso da parte delle
associazioni di promozione sociale solo quelle direttamente riferibili agli scopi statutari
dell’ente.
Il Consiglio di Stato ha proprio recentemente ribadito tali assunti con specifico riferimento al
6. Così, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 novembre 2012, n. 5936, ha chiarito che: “In materia di diritto di accesso, per
l'applicazione del comma 7 dell'art. 24, l. n. 241/1990, "occorre...la dimostrazione di una rigida "necessità" e non mera "utilità" del
documento" cui si chiede di accedere "tanto più nei casi in cui l'accesso sia esercitato non già in relazione agli atti di un procedimento
amministrativo di cui il richiedente è parte, ma in relazione agli atti di procedimenti amministrativi rispetto ai quali il richiedente è terzo", non
configurandosi, di conseguenza, la posizione legittimante quando "i documenti richiesti non sono necessari per la difesa in giudizio ma solo utili per
articolare la difesa in giudizio secondo una particolare modalità, ossia per articolare una particolare censura" (Sezione VI, 12 gennaio 2011, n.
117), configurandosi altrimenti, si deve soggiungere, la fattispecie del mero controllo generalizzato dell'attività amministrativa precluso dall'art. 24,
comma 3, della l. n. 241 del 1990. Ne deriva che l'accesso non può riconoscersi per il solo interesse strumentale alla rinnovazione della procedura
di gara, non sussistendo una regola generale di indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso con esercizio perciò dell'accesso a fini di cura
o difesa di interessi giuridici collegati basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore potenzialmente aspirante all'indizione di una
nuova gara, salvo i casi del contrasto in radice della scelta della stazione appaltante di indire la procedura, dell'affidamento senza gara e della
previsione nel bando di una specifica e lesiva clausola escludente” (massima tratta da De Jure - Giuffrè).
Viceversa TAR Lazio, Sez. III, 22 febbraio 2007, n. 1600, ha riconosciuto, nonostante la formale estraneità al procedimento
implicato, il diritto -da parte di un paziente che aveva perso un occhio in seguito ad un intervento chirurgico- di visionare le
cartelle cliniche di altre operazioni simili, in presenza di una inchiesta per infezione verificatasi ai suoi danni in sala
operatoria, ovviamente omettendo i nomi dei pazienti (esempio trattato da C. Taglienti, op. cit.).
7. Così P. Jori, La peculiare vis espansiva del diritto di accesso nell’ordinamento interno, su Lexitalia.it.
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Codacons8, cui ha riconosciuto legittimazione all’accesso solo in relazione ai documenti (o parti
di essi) richiesti per tutelare interessi direttamente riferibili ai consumatori e agli utenti di
pubblici servizi (naturalmente, ma questo va da sé, la legittimazione degli enti esponenziali si
estende anche ai documenti riferibili agli interessi dell’ente in quanto tale, come, ad esempio, nel
caso di un procedimento inerente il mancato rilascio di un finanziamento richiesto dall’ente per
lo svolgimento della propria attività).
In questo stesso contesto, anche se con qualche particolarità, si inserisce la legittimazione
all’accesso delle organizzazioni sindacali.
Anche qui, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, l’accesso può innanzitutto
avere ad oggetto documenti incidenti su prerogative del sindacato in quanto tale: si pensi, ad
esempio, ad una richiesta di accesso ai documenti inerenti le decisioni assunte
dall’Amministrazione in relazione alle prerogative del rappresentante sindacale aziendale.
Inoltre un sindacato è legittimato ad accedere agli atti inerenti la posizione lavorativa di singoli
iscritti a tutela dei quali sta svolgendo proprie iniziative.
In un recente caso giurisprudenziale, relativo all’istanza di accesso formulata da un sindacato di
polizia su provvedimenti di assegnazione temporanea del personale, il Consiglio di Stato9 ha
affermato quanto segue:
- in linea generale alle organizzazioni sindacali va riconosciuta piena legittimazione ad
esercitare il diritto di accesso anche nei confronti di atti relativi alla posizione lavorativa
dei propri iscritti, purché esso non configuri una forma di preventivo e generalizzato
controllo dell'intera attività dell'Amministrazione datrice di lavoro; ovviamente tale
accesso è sottoposto ai limiti generali previsti dalla normativa in materia, compreso
quello inerente la tutela della riservatezza di terzi;
- l'esercizio del diritto di accesso costituisce, rispetto ai diritti di informazione riconosciuti
per legge al sindacato, uno strumento autonomo, anche se legittimato dallo stesso tipo
d'interesse e dalla stessa ratio di fondo a base delle norme sul diritto d'informazione
sindacale; alla base della legittimazione vi è un interesse specifico e proprio del
sindacato, del tutto distinto da quello che gli associati potrebbero far valere
singolarmente, che deve essere anche concreto e attuale, id est strumentale allo
svolgimento di iniziative del sindacato a tutela dell'intera categoria rappresentata, la quale
è nel suo complesso interessata ad evitare disparità di trattamento tra dipendenti, siano o
meno iscritti al sindacato, mentre i singoli associati, ove avvantaggiati, potrebbero anche
non esserlo;
- nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Collegio ha confermato la sentenza di primo
grado che aveva ordinato al Ministero di concedere accesso ai provvedimenti inerenti
l’assegnazione temporanea del personale di polizia, ritenendo che la sua legittimazione
8. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 aprile 2012, n. 7.
9. Consiglio di Stato, Sez. III, 4 maggio 2012, n. 2559 (massima tratta da De Jure - Giuffrè).
10
fosse ricollegabile all’interesse, statutariamente proprio del sindacato, a tutelare le
prerogative di lavoro dei propri iscritti.
In argomento è interessante richiamare anche un’altra pronuncia del Consiglio di Stato10, che ha
riconosciuto alle organizzazioni sindacali il diritto di accedere agli atti amministrativi
conseguenti ad un accordo tra il Governo e le parti sociali finalizzato a regolare il reclutamento
di lavoratori nelle pubbliche amministrazioni, osservando che l’oggetto di quell’accordo
attribuiva sufficiente concretezza all’interesse esibito dalle organizzazioni sindacali a conoscere
tutta l’attività amministrativa posta in essere in pretesa esecuzione dello stesso, per cui la
relativa richiesta di accesso non poteva considerarsi volta ad una generica verifica sulla
legittimità ed efficienza dell’azione amministrativa.
Ciò posto, si passa all’esame dei presupposti oggettivi del diritto di accesso, tema sul quale
molti sono gli aspetti da prendere in considerazione.
Innanzitutto viene in rilievo la nozione di documento amministrativo accessibile, che ai sensi
dell’art. 22 della legge n. 241/1990 è “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o
di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento,
detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla
natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
Si evidenziano, al riguardo, i seguenti aspetti:
- oggetto dell’accesso è testualmente “la rappresentazione del contenuto di atti”, per cui si
abbandona la vecchia nozione (propria dell’originaria versione dell’art. 22) che limitava
l’accesso ai soli atti “formati” dalla pubblica amministrazione: ora è sufficiente che l’atto
sia detenuto dalla stessa, anche laddove si trattasse, ad esempio, di un contratto, purché
l’amministrazione lo detenga per ragioni di pubblico interesse11 (quest’ultima limitazione,
peraltro di carattere generale, è imposta dalla dall’art. 22, comma 1, lett. e, della legge n.
241/1990, in base al quale sono destinatari dell’accesso “i soggetti di diritto pubblico e i
soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto
nazionale o comunitario”, per cui si esclude, ad esempio, che l’istanza di accesso possa
vertere su di un “comunicato stampa”)12;
- a differenza che nell’originaria versione della norma sono ora accessibili anche gli atti
“interni e non relativi ad uno specifico provvedimento”, il che assume una duplice ricaduta:
innanzitutto (ma questo è sostanzialmente ovvio e infatti lo si affermava anche prima
della novella del 2005) sono accessibili anche gli atti endoprocedimentali ovvero gli atti
non destinati a sfociare in uno specifico provvedimento, purché pur sempre ricollegabili
10. Sez. VI, 23 febbraio 2012, n. 1034.
11. Cfr., ad esempio, T.A.R. Catania, Sez. IV, 7 novembre 2011, n. 2640, che ha riconosciuto il diritto di accesso ad un atto
contrattuale di trasferimento di azienda farmaceutica tra parenti, anche in relazione al connesso decreto di autorizzazione
all’esercizio dell’attività nella nuova veste, richiesto da uno degli eredi al fine di tutelare il proprio diritto successorio.
12. Cfr. TAR Sicilia, Catania, Sez.III 10 gennaio 2005, n. 14.
11
all’attività istituzionale dell’ente (si pensi, ad esempio, ai verbali di un consiglio di
amministrazione o comunque di un organo collegiale dell’ente13); mentre tali non sono
eventuali atti neppure teoricamente destinati ad assumere rilievo ai fini dell’attività di
pubblico interesse svolta dall’amministrazione (si pensi, ad esempio, ad una mera
indagine di mercato a fini conoscitivi), come tali non suscettibili di accesso 14; in secondo
luogo (ed è questa la principale novità) sono ora accessibili anche atti non inseriti in un
particolare procedimento amministrativo: un esempio si rinviene nella fattispecie
esaminata da T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 5 novembre 2008, n. 9637, in cui è stato
riconosciuto il diritto di accedere agli atti raccolti dall’amministrazione al fine di
elaborare una risposta ad un’interrogazione parlamentare, atti della cui esistenza il
richiedente aveva rinvenuto traccia all’interno del proprio fascicolo personale, essendo
egli un dipendente della stessa amministrazione cui aveva poi rivolto l’istanza di accesso;
- l’irrilevanza della natura privatistica o privatistica dell’atto di cui si chiede accesso, ora
espressamente affermata dal legislatore, comporta l’assoggettamento alla disciplina
dell’accesso di fattispecie che in passato furono oggetti di notevoli incertezze
ricostruttive; si fa riferimento, in particolare, ai soggetti che svolgono attività in regime
privatistico ma comunque connotata da rilevanza pubblicistica; si pensi, ad esempio, a
un soggetto privato che gestisce una residenza sanitaria per anziani accreditata con il
servizio sanitario nazionale ovvero all’attività svolta dai tesorieri delle aziende sanitarie15:
in casi di questo genere la giurisprudenza ha ravvisato gli estremi dell’attività di pubblico
interesse, benché svolta in regime privatistico, e di conseguenza ha ritenuto applicabile la
disciplina in materia di accesso16.
Inoltre l’art. 2, comma 2, del d.p.r. n. 184/2006 statuisce espressamente che l’amministrazione
non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso per soddisfare la domanda di accesso, per cui
l’istanza di accesso può avere ad oggetto esclusivamente un documento già esistente e
fisicamente formato17. Peraltro questa previsione normativa non deve essere interpretata
formalisticamente, giungendo a pretendere dal richiedente la puntuale indicazione degli estremi
13. Cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2005, n. 658. Un altro esempio significativo si trae da T.A.R. Palermo, Sez.
III, 15 giugno 2007, n. 1675, ove si è affermato che la documentazione sanitaria relativa ad un ricovero e intervento
chirurgico, con i correlativi esami diagnostici, rientra nella nozione di “documento amministrativo” di cui all'art. 22 comma
1, lett. d), l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atti (seppure interni) detenuti dall'azienda ospedaliera in relazione all'attività
di pubblico interesse svolta al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria.
14. Conforme, sul punto, Jori, op. cit., pag. 4.
15. Gli esempi sono tratti da Taglienti, op cit.
16. Cfr. TAR Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1875, in materia di attività delle strutture sanitarie private e Consiglio di Stato,
Sez. V, 13 agosto 2007, n. 4442, circa l’attività dei tesorieri di aziende sanitarie.
17. Quindi non sono ammesse richieste di informativa generiche, come del resto precisa espressamente anche il comma 4
dell’art. 22 delle legge n. 241/1990: cfr. TAR Milano, Sez. I, 25 maggio 2005, n. 1076, ove è stato escluso il diritto di accesso
“in blocco” ai nominativi di tutti gli impiegati addetti al pronto soccorso, ai fini di possibili azioni risarcitorie.
12
dell’atto richiesto, essendo sufficiente una descrizione sufficientemente compiuta di uno o più
atti amministrativi già esistenti, cui si desidera avere accesso18.
2.2.1. L’accesso agli atti dei gestori di pubblici servizi.
Merita un breve approfondimento la disciplina dell’accesso agli atti di soggetti gestori di
pubblici servizi, la cui peculiarità non risiede più nella natura formalmente privatistica o
pubblicistica degli atti dagli stessi adottati (come detto non più rilevante: vedi par. precedente),
bensì nella necessità di verificare di volta in volta -in relazione al singolo atto adottato dal
gestore- se lo stesso costituisca espressione di un’attività di pubblico interesse.
Al riguardo è opportuno occorre distinguere tre differenti ambiti:
- atti del gestore che costituiscano esercizio di funzioni tipicamente pubblicistiche, come, ad
esempio, nel caso di un gestore di pubblico servizio che -nell’indire una gara per l’affidamento
di un appalto- presenti tutte le caratteristiche proprie dell’organismo di diritto pubblico: in
questa ipotesi l’operatività della disciplina sull’accesso è piena e indiscussa;
- atti mediante i quali il gestore del servizio eroga le prestazioni che costituiscono l’oggetto
specifico del suo mandato nei confronti dei cittadini, come, ad esempio, nel caso dei servizi
assicurati ai cittadini dalle azienda sanitarie locali: anche in questo nessun dubbio circa
l’applicabilità della disciplina in materia di accesso, anche in relazione agli atti che governano o
misurano in termini generali la qualità del servizio offerto;
- atti che attengono alla sfera organizzativa interna del gestore, come, ad esempio, gli atti che
attengono alla gestione dei rapporti di lavoro tra la società che gestisce il servizio pubblico ed i
propri dipendenti): è questo il caso più problematico, perché la natura privatistica del soggetto
che esercita il servizio -combinata con la natura privatistica dei rapporti implicati e dell’attività
svolta- potrebbe far scolorire il presupposto applicativo della disciplina in materia di accesso;
ma in ogni caso questo problema non si pone per le aziende sanitarie locali, pacificamente
inquadrate nella categoria generale delle pubbliche amministrazioni.
2.3. I limiti all’accesso
Come già si è accennato, esaminando in generale il sistema delle fonti, i limiti al diritto di
accesso sono strutturati secondo un duplice binario:
In primo luogo vengono in rilievo i limiti previsti direttamente dall’art. 24 della legge n.
241/1990 e s.m.i.
Si tratta, in particolare dei seguenti casi:
- art. 24, comma 1, lett. a): documenti coperti da segreto di Stato o la cui divulgazione è
comunque vietata da leggi speciali, quali, ad esempio, le norme penali sull’inviolabilità di
18. Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 8 febbraio 2013, n. 731, secondo cui, pur restando inammissibile il diritto di accesso
esercitato in maniera generica ed indifferenziata, non può però considerarsi tale una richiesta di accesso che indichi
precisamente il contenuto degli atti, ignorandone il richiedente soltanto gli estremi, purché quanto indicato consenta
all’amministrazione una sicura identificazione degli stessi.
13
alcuni segreti, come i segreti scientifici e industriali, tra i quali, ad esempio, il c.d. know
how (art. 623 c.p.), l’art. 326 c.p. sul segreto istruttorio, le norme che vietano la
rivelazione di segreti professionali (tra i quali assume particolare rilievo il segreto avente
ad oggetto i pareri resi dagli avvocati, in ordine ai quali la giurisprudenza distingue tra
pareri resi in vista della strategia defensionale, coperti totalmente da segreto19 (anche se
intervenuti in fase precontenziosa o in relazione ad una lite solo potenziale20) e pareri
resi a supporto consulenziale dell’attività amministrativa, questi, invece, pienamente
accessibili;
- art. 24, comma 1, lett. b): atti dei procedimenti tributari;
- art. 24, comma 1, lett. c): attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di
atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali
restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;
- art. 24, comma 1, lett. d): atti contenenti informazioni relative ai requisiti psicoattitudinali di candidati a concorsi pubblici ed a prove selettive in generale (per esempio
anche trasferimenti o promozioni).
Vi sono poi le ipotesi ostative all’accesso che dovrebbero essere individuate da apposito
regolamento governativo ai sensi dell’art. 24, comma 6, della legge n. 241/1990, nell’ambito
delle seguenti ipotesi individuate in via generale dal legislatore:
- ulteriori casi, oltre il segreto di Stato, in cui negare l’accesso sia necessario per la
sicurezza e la difesa nazionale;
- qualora l’accesso possa arrecare pregiudizio alla politica monetaria e valutaria;
- documenti relativi alle strutture, ai mezzi e alle dotazioni utilizzate per la tutela
dell’ordine pubblico;
- documenti che riguardino la vita privata e la riservatezza di persone fisiche o giuridiche;
- documenti riguardanti l’attività in corso di contrattazione collettiva.
Come già si è osservato (vedi par. 2.1.) il regolamento governativo adottato dopo la novella del
2005, con d.p.r. n. 184/2006 -nell’abrogare il precedente d.p.r. n. 352/1992- si è occupato
soltanto di dettare la disciplina di dettaglio sulle modalità di esercizio del diritto di accesso,
19. Cfr. TAR Lazio, Sez. III, 26 ottobre 2005, n. 9849; TAR Lombardia Milano, Sez. I, 14 novembre 2005, n. 3975; TAR
Lazio, Sez. I, 9 gennaio 2006, n. 158, in merito ai pareri dell’Avvocatura dello Stato, i quali sono oggetto di specifico
regolamento approvato con d.p.c.m. 26 gennaio 1996, n. 200: cfr. Taglienti, op. cit.
20. Sul punto assume rilievo Consiglio di Stato, Sez. V, 23 giugno 2011, n. 3812, che si è occupata di accesso ai pareri
acquisiti dalla stazione appaltante pubblica nell'ambito di una procedura di gara, sui quali l’art. 13, comma 5, lett. c), del d.lgs.
n. 163/2006 stabilisce che sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione “ai pareri legali acquisiti dai
soggetti tenuti all'applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici”.
Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, tale disposizione è suscettibile di interpretazione restrittiva, trattandosi di norma
eccezionale in quanto derogatoria rispetto alle ordinarie regole in materia di accesso, per cui la stessa sarebbe riferibile alla
sola fase di stipulazione dei contratti pubblici di cui all'art. 12 d.lg. n. 163/2006 e non anche alle fasi precedenti. Per
converso il Consiglio ha precisato che il principio della riservatezza della consulenza legale si manifesta anche nelle ipotesi in
cui la richiesta del parere intervenga in una fase successiva alla definizione del rapporto amministrativo, all'esito del
procedimento ma prima dell'instaurazione di un giudizio o l'avvio dell'eventuale procedimento precontenzioso, purché il
ricorso alla consulenza legale persegua lo scopo di consentire all'amministrazione di articolare le proprie strategie difensive,
in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, possa considerarsi quanto meno potenziale.
14
rinviando ad altro apposito regolamento l’individuazione dei limiti all’accesso di cui all’art. 24,
comma 6, della legge n. 241/1990; tuttavia l’art. 14 del d.p.r. n. 184/2006 ha decretato
espressamente la “sopravivenza in via transitoria” (cioè sino all’adozione del nuovo
regolamento governativo) dell’art. 8 del d.p.r. n. 352/1992 e quest’ultima disposizione, a sua
volta, individua le seguenti ipotesi di “ulteriore esclusione” dell’accesso:
 “quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro
divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale,
nonché all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni
internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di
attuazione;
 quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della
politica monetaria e valutaria;
 quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente
strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, all’identità delle fonti di informazione e alla sicurezza
dei beni e delle persone coinvolte, nonché all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;
 quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche,
gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario,
professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi
dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”.
Quindi la sopravissuta norma regolamentare poco aggiunge rispetto alle previsioni generali
contenute nell’art. 24, comma 6, contribuendo soltanto a renderle formalmente operative;
inoltre va osservato che alcune delle ipotesi limitative individuate dal comma 6 sono state poi
oggetto di ulteriori interventi normativi anche di rango primario, come nel caso della
riservatezza (su cui vedi infra).
Infine si deve richiamare, in relazione ad entrambi i gruppi di ipotesi limitative sopra descritte,
la disposizione contenuta nel nuovo comma 7 dell’art. 24, secondo cui “Deve comunque essere
garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per
difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è
consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”: ne
consegue che non esistono più atti tout court inaccessibili, perché l’accesso deve comunque
essere garantito ove realmente necessario alla tutela e cura di uno specifico interesse giuridico (e
qui si richiede all’amministrazione un “accertamento in concreto” in ordine a tale necessità: vedi
infra). Questa disposizione, di carattere generale perché operante sia per il primo che per il
secondo gruppo di casi di esclusione, si presenta di non facile interpretazione se confrontata
con quella generale dell’art. 22, lettera b, la quale definisce “interessati” (e quindi aventi diritto)
all’accesso, “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un
interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
15
documento al quale è chiesto l'accesso”; ci si chiede, infatti, cosa significhi esattamente “necessità per la
cura e la tutela di un interesse giuridico”-come richiede l’art.24, comma 7- visto che già l’art. 22,
lettera b), individua quale presupposto generale d’accesso la titolarità di un interesse diretto,
concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso: significa forse che, per applicarsi l’art. 24, comma 7,
occorre anche dimostrare la propria concreta intenzione di agire in giudizio o, addirittura, l’aver
già agito in giudizio?
Se così fosse la norma assumerebbe connotati contrastanti con l’esigenza di deflazionare il
contenzioso, perché costringerebbe gli interessati, in questi casi, a proporre prima ricorso al
buio per poi poter chiedere l’accesso; è, quindi, preferibile ritenere che, nei casi di cui all’art. 24,
comma 7, la richiesta di accesso debba essere analiticamente motivata in modo da dimostrarne
all’amministrazione la strumentalità rispetto alla tutela della posizione soggettiva vantata, a
prescindere dalla già avvenuta proposizione del ricorso o di altra iniziativa di tutela processuale.
2.3.1. Il limite della riservatezza dei terzi.
A questo particolare limite al diritto di accesso dedichiamo un paragrafo ad hoc, sia perché è
certamente il più importante nella prassi operativa sia perché il bilanciamento tra i due valori accesso e riservatezza- ha rappresentato un vero e proprio “nodo gordiano”, sollecitando
ripetuti interventi legislativi e giurisprudenziali.
Giova ricordare che l’art. 24 comma 2, della legge n. 241/1990, nel testo precedente alla
novella del 2005, per i casi di contrasto tra accesso e riservatezza rimetteva al regolamento
governativo il compito di delineare concretamente i rapporti tra i due valori in gioco,
prevedendo però essa stessa che agli interessati doveva essere quanto meno assicurata la
possibilità di visionare (senza estrazione di copia) gli atti la cui conoscenza fosse necessaria per
curare o per difendere i loro interessi giuridici.
A livello di prassi si era poi sviluppata la convinzione che, in caso di contrasto con la
riservatezza, l’accesso fosse concedibile solo ove necessario alla tutela di una posizione giuridica
di rango almeno costituzionalmente pari a quest’ultima (salute, integrità fisica e morale, identità
personale, etc.), ma in realtà il dato normativo non pareva consentire un simile slancio a favore
della privacy, giacché il legislatore aveva effettuato egli stesso il bilanciamento tra i due valori,
consentendo l’accesso laddove (e solo ove) esso non fosse genericamente strumentale alla tutela
di una posizione soggettiva qualificata (come di regola), bensì risultasse concretamente
necessario alla difesa (si intende in sede processuale o almeno amministrativa o disciplinare) di
una posizione soggettiva giuridicamente tutelata dall’ordinamento, a prescindere dal rango della
stessa, peraltro limitatamente alla sola visione degli atti (con esclusione, quindi, dell’estrazione di
copia).
Su questi aspetti intervenne poi l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato21, la quale statuì che
l’accesso assumeva carattere prevalente sulla riservatezza tutte le volte in cui il richiedente
21. Cfr. Adunanza Plenaria 5 febbraio 1997, n. 5.
16
dimostrasse di richiederlo per la tutela processuale di una posizione soggettiva giuridicamente
rilevante (anche se non necessariamente di rango costituzionalmente pari alla riservatezza).
In tal modo il pendolo si spostava concretamente in favore dell’accesso, a discapito della privacy,
per tre ordini di ragioni:
perché è spesso difficile sindacare quando un atto sia effettivamente necessario o meno
alla tutela processuale del richiedente (la cui posizione processuale e personale
l’amministrazione che deve decidere sull’istanza di accesso spesso neppure può compiutamente
conoscere), a meno di voler pretendere l’allegazione all’istanza di accesso dello stesso ricorso
giurisdizionale, conclusione, questa, obiettivamente insostenibile; ne discende che la P.A., in
sede di valutazione dell’istanza di accesso, incontra inevitabili difficoltà nel verificare la
“effettiva necessità difensiva” del documento richiesto, non potendo conoscere sino in fondo
fondo le esigenze difensive del richiedente, per cui -nella prassi operativa- il criterio postulato
dalla Plenaria si è spesso risolto in una semplice esternazione delle proprie esigenze difensive da
parte del richiedente, che l’amministrazione può ritenere non sufficienti solo ove ictu oculi
scollegate rispetto al contenuto del documento richiesto;
perché il concetto di “esigenza difensiva”, che la Plenaria aveva posto a fondamento
della ritenuta prevalenza dell’accesso sulla riservatezza, si presta ad essere esteso non soltanto
alla tutela in sede processuale ma anche a quella in sede disciplinare e amministrativa in genere,
per cui, in definitiva, l’accesso ha finito per essere escluso solo in casi di evidente scollegamento
con tale esigenza (come nel caso classico di istanza di accesso al procedimento già sfociato in
un provvedimento ormai divenuto inoppugnabile)
perché, d’altra parte, la scelta di limitare l’accesso alla sola estrazione di copia si è rivelato
un rimedio non completamente efficace a garanzia della riservatezza, non potendo ovviamente
tradursi nell’inutilizzabilità processuale del dato comunque conosciuto mediante visione, per cui
il successivo svolgersi della vicenda processuale finisce spesso per frustrare la riservatezza del
terzo titolare del dato.
A fronte di una problematica così intricata, gli interventi del legislatore sono stati
molteplici e non sempre ben coordinati.
Cominceremo l’analisi partendo dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy o della
protezione dei dati personali), che ha abrogato sia la legge 31 dicembre 1996, n. 675 che il
decreto legislativo 1 maggio 1999, n. 135, precedentemente operanti in materia.
Innanzitutto l’art. 4 comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 196/2003 definisce “dato personale, qualunque
informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a
qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”; quindi l’ambito materiale
del diritto alla riservatezza è, almeno teoricamente, altrettanto ampio e comprende, ad esempio,
anche i dati afferenti alla vita lavorativa, mentre sul piano soggettivo tale diritto non è più
riferibile alle persone giuridiche, sia pubbliche che private, le quali non possono ora più
accampare alcuna pretesa di riservatezza al fine di ostacolare il libero esplicarsi delle istanze di
17
accesso22.
A fianco ai comuni “dati personali”, il d.lgs. n. 196/2003 individua poi alcune categorie
particolari di dati, che si giovano di una tutela rafforzata: si tratta, in particolare, dei cd. “dati
sensibili”, cioè i dati “idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro
genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso,
filosofico, politico o sindacale”) ed i cd. “dati supersensibili” (anche detti “sensibilissimi”), cioè i dati
“idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”: art. 4, comma 1, lett. d).
Ciò posto passiamo all’analisi della disciplina che regola specificamente i rapporti tra accesso e
riservatezza.
L’art.59 del Codice della privacy stabilisce che “Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 60, i presupposti,
le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la
relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e
dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che
concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta
di accesso. Le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina si considerano di rilevante interesse
pubblico”.
L’art. 60 dello stesso Codice aggiunge che “1. Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo
stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende
tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato,
ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”.
Queste norme vanno poi messe a confronto con la disciplina contenuta nella legge n.
241/1990 (come modificata dalla legge n. 15/2005), cui esse stesse rinviano.
Il testo dell’art. 24 della legge n. 241/1990, come novellato nel 2005 è, per quanto ora
specificamente interessa, il seguente: “6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti
amministrativi:.. d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone
giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario,
professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano
forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono; 7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti
l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi
giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,
in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La lettura comparata dei due insiemi normativi conduce alle seguenti conclusioni:
per i dati comuni ed ai dati sensibili -ad esclusione, quindi, dei soli dati cd.
“supersensibili” o “sensibilissimi” (salute e vita sessuale)- l’art. 59 del d.lgs. n. 196/2003 rinvia
alle disposizioni della legge n. 241/1990, la quale a sua volta prevede, quanto ai dati comuni e
sensibili, che le limitazioni all’accesso siano individuate dal regolamento governativo (non più
22. Cfr. Jori, op. cit.
18
anche dalle singole amministrazioni, come prevedeva originariamente la legge n. 241/1990), in
questo momento rappresentato dal solo art. 8 del d.p.r. n. 352/1992 (vedi precedenti paragrafi),
che semplicemente conferma la possibilità di escludere l’accesso per ragioni di riservatezza dei
terzi titolari dei dati contenuti nei documenti richiesti; ma in ogni caso l’art. 24, comma 7, prima
parte, della legge n. 241/1990 precisa che l’accesso deve essere, comunque, garantito “per i
documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” 23,
per cui resta ferma la necessità di operare caso per caso questa valutazione;
per i dati cd. supersibili (attinenti la salute e la sfera sessuale), sono richiesti anche due
ulteriori requisiti: che la situazione giuridicamente rilevante a tutela della quale si invoca
l’accesso sia almeno di pari rango rispetto alla riservatezza del dato richiesto (così l’art. 60 del
decreto legislativo 196/2003, al quale rinvia il nuovo testo dell’art.24, comma 7, ultima parte,
della legge n. 241/1990); che la conoscenza dei dati sia -non solo “necessaria”, bensì“strettamente indispensabile” (così l’art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990), il che rende
assai più stringente la valutazione di necessità del dato a fini di tutela24.
Inoltre va osservato, in relazione a tutti i tipi di dati, che lo stesso art. 24, comma 7, della legge
23. In relazione ai dati personali “comuni”, la tendenza generale della giurisprudenza è quella a privilegiare l’accesso, senza
“calcare troppo la mano” sulla verifica circa la necessità dei documenti richiesti ai fini della tutela di sottostanti posizioni
soggettive. Sul punto si richiama, ad esempio, T.A.R. Venezia, Sez. III, 4 ottobre 2012, n. 1235, secondo cui “Con riguardo
all'istanza presentata all'Inps da parte di una cooperativa di accedere, mediante visione ed estrazione di copia, agli atti, documenti e verbali delle
dichiarazioni assunte durante gli accessi ispettivi conclusi con il verbale unico di accertamento e notificazione, allorché, secondo prassi consolidata
dell'Istituto, in applicazione del proprio regolamento sia stata negata l'ostensione delle dichiarazioni rilasciate da lavoratori che costituiscano base
per la redazione del verbale ispettivo in quanto "sottratto, per motivi legati alla riservatezza di terzi, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni
o ritorsioni ai danni dei lavoratori stessi", va rilevato come la richiesta motivata in punto di necessità della documentazione a fini difensivi in
giudizio rientri in quelle ipotesi di accesso difensivo che si pongono come controlimite ai casi di esclusione del diritto di accesso ex art. 24, l. n. 241
del 1990, sicché anche il regolamento Inps non può frapporsi alla soddisfazione di esigenze di tutela della difesa di propri interessi giuridici,
garantita dal comma 7 del citato articolo, esigenze di riservatezza, peraltro, adeguatamente salvaguardate dalla previa espunzione delle generalità
dei dichiaranti e di quanto può essere utile alla eventuale identificazione e riconoscimento degli stessi” (massima tratta da De Jure - Giuffrè).
24. La casistica giurisprudenziale sull’applicazione della disciplina dettata dagli artt. 60 del Codice e 24, comma 7, ultima
parte, della legge n. 241/1990, in materia di dati cd. “sensibilissimi”, evidenzia, invece, una spiccata tendenza a verificare
l’effettiva indispensabilità del dato richiesto in relazione ad una vicenda giudiziaria specifica.
Si cita, ad esempio, Tar Bologna, Sez. II, 26 gennaio 2012 n. 67, ove si è affermato che se l’accesso riguarda dati
supersensibili al richiedente non basta esporre la propria intenzione di intraprendere un’iniziativa giudiziaria, dovendo,
invece, fare riferimento ad un giudizio già promosso e dimostrare che in quell’ambito gli ordinari strumenti processuali non
sono sufficienti a garantire pienamente la tutela dei propri interessi, il che rende indispensabile l’accesso alla documentazione
richiesta. Sul punto si veda Jori, op. cit. ove si osserva che “spetta al giudice investito della controversia valutare in che misura la
conoscenza dei dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale si riveli effettivamente necessaria ai fini della definizione del giudizio;
infatti, nell'ambito del processo, la titolarità del trattamento spetta all'autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze,
rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo”.
Tuttavia la giurisprudenza tende ad assumere un atteggiamento proporzionalmente più incline a consentire l’accesso man
mano che cresce il rango della posizione soggettiva a tutela della quale agisce l’istante. Si richiama, al riguardo, l’interessante
vicenda di cui si è occupato Consiglio di Stato, Sez. III, 7 agosto 2012, n. 4530, secondo cui “Vi è pari valenza costituzionale tra
il diritto alla riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute del coniuge ed il diritto dell'altro coniuge di conoscere se si è legati da valido vincolo
coniugale concordatario con persona asseritamente afflitta da non lievi disturbi psichici. In materia di accesso, non spetta alla p.a., che detiene la
documentazione cui accedere, di delibare la fondatezza della pretesa sostanziale per la quale occorrano gli atti richiesti o sindacare sulla utilità
effettiva di questi, quand'anche siano implicate conoscenze su dati sensibili: invero, il diritto d'accesso è conformato dalla legge per offrire al titolare,
più che utilità finali (caratteristica, questa, ormai riconoscibile non solo ai diritti soggettivi, ma anche agli interessi legittimi), poteri autonomi di
natura procedimentale, volti ad implementare la tutela di un interesse (o bisogno) giuridicamente rilevante. Pertanto, il limite di valutazione della
p.a. sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso, che è correlativamente pure il requisito di ammissibilità della
relativa azione, si sostanzia solo nel giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i
documenti, purché non preordinato a un controllo generalizzato ed indiscriminato di chiunque sull'azione amministrativa (espressamente vietato
dall'art. 24, comma 3, l. 241/1990) (massima tratta da De Jure - Giuffrè).
19
241, nella versione ora vigente dopo la novella del 2005, non parla più di “mera visione” degli
atti (come, invece, la normativa precedente per il caso di contrasto tra accesso e riservatezza),
bensì genericamente di “accesso”, per cui -in base alla definizione generale contenuta nel nuovo
art. 22 della stessa legge- nel diritto di accesso deve sempre ritenersi ricompreso anche quello di
estrazione di copia25.
2.3.2. Il potere di differimento dell’accesso
L’art. 24, comma 6, della legge n. 241/1990, nella sua versione originaria, autorizzava
l’amministrazione a differire l’accesso per un periodo non superiore a sei mesi laddove lo stesso
potesse “impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa” e questa disposizione
si combinava con l’art. 7, comma 2, del d.p.r. n. 352/1992, che identificava le ipotesi di
possibile differimento con le stesse previste per il diniego di accesso.
Invece la disciplina ora vigente, successiva alla novella del 2005, non contiene più alcun limite
temporale massimo al potere di differimento, limitandosi a prevedere che “L'accesso ai documenti
amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento” (art. 24, comma
4, della legge n. 241/1990), che “Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi
e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati” (art. 25, comma 3, della legge n. 241/1990),
che “Il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi
di cui all'articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie
nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon
andamento dell'azione amministrativa” (art. 9, comma 2, del d.p.r. n. 184/2006) e che “L'atto che
dispone il differimento dell'accesso ne indica la durata” (art. 9, comma 2, del d.p.r. n. 184/2006).
Il pericolo insito nel differimento -per di più in assenza di una durata massima prestabilita dal
legislatore- è quello di un suo uso meramente dilatorio ed è per questo che la giurisprudenza
esige quanto meno una motivazione particolarmente accurata e sostenendo che in alcuni casi la
normativa di settore possa sovrapporsi a quella generale di cui alla legge n. 241/1990, privando
la P.A. del potere di differimento o limitandone la durata26.
25. Cfr, sul punto, T.A.R. Salerno, Sez. I, 17 maggio 2012, n. 935, ove si osserva che: “Con riferimento ai rapporti tra diritto di
accesso e tutela della riservatezza, la nuova disciplina contenuta nell'art. 24, l. n. 241 del 1990, come sostituito dall'art. 16, l. n. 15 del 2005,
appresta al primo una tutela più ampia che in passato, sotto due distinti profili: innanzitutto, l'individuazione dei casi in cui l'accesso può essere
escluso per ragioni, tra l'altro, di riservatezza, può aver luogo solo con il regolamento governativo (comma 6 lett. d), mentre alle singole
amministrazioni viene sottratta ogni potestà d'intervento in materia; in secondo luogo, mentre nell'originaria versione dell'art. 24, secondo quanto
prevedeva il comma 2 lett. d), l'accesso ai documenti riservati era limitato alla sola visione degli atti amministrativi necessari alla cura dei propri
interessi, nell'attuale versione dell'art. 24, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, ai sensi del quale deve comunque essere garantito ai
richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici; in sostanza,
la tutela dell'istante, prima limitata alla visione degli atti, viene ora estesa all'onnicomprensivo concetto di "accesso", che secondo la definizione
contenuta nell'art. 22 comma 1 lett. a), l. n. 241 del 1990 include sia la visione degli atti che l'estrazione di copia”; conforme T.A.R. Lazio,
Roma, Sez. II, 1 dicembre 2011, n. 9469.
26. È quanto sostenuto dal Tar Lazio con la sentenza n. 6127/2002, in materia di accesso alle prove scritte di una procedura
concorsuale, ove l’amministrazione aveva tentato di differirlo sino alla conclusione dell’intera procedura, mentre il Tar ha
ritenuto che il differimento sia ammissibile solo sino alla conclusione della correzione degli scritti.
20
2.4. Il procedimento amministrativo di accesso ed i controinteressati
Per espressa previsione normativa la richiesta di accesso deve essere motivata, per
consentire all’amministrazione di comprendere quale sia l’interesse giuridico collegato alla
documentazione richiesta, nonché di individuare quali siano gli stessi documenti oggetto di
interesse del richiedente.
Il d.p.r. n. 184/2006 contempla sia una richiesta di accesso informale, che può essere formulata
anche oralmente ed è possibile solo ove non ci siano controinteressati né dubbi sulla
legittimazione del richiedente (art. 5), sia una richiesta formale (art. 6), che deve essere
formulata per iscritto e obbliga l’amministrazione a rilasciare ricevuta.
Ove individui controinteressati27 all’accesso, l’amministrazione deve loro comunicare l’istanza
secondo le modalità previste dall’art. 3 del d.p.r. n. 184/2006, a mente del quale “1. Fermo quanto
previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti
controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi,
mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione”; questo ovviamente non esonera il ricorrente dall’onere di
notificare l’eventuale ricorso giurisdizionale avverso il silenzio o il diniego serbati
dall’amministrazione ad almeno un controinteressato, perché in questo caso operano comunque
le regole generali sul processo amministrativo28.
27. L’individuazione dei controinteressati in sede procedimentale è effettuata dall’amministrazione secondo quanto previsto
dall’art. 22, comma 1, lett. c), della legge n. 241/1990, in base al quale si intendono per “controinteressati”, tutti i soggetti,
individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro
diritto alla riservatezza”; ma anche in base a quanto previsto dall’art. 3 del d.p.r. n. 184/2006, secondo cui “I soggetti
controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2”.
Al fine di meglio concretizzare la nozione di “controinteressato all’accesso in sede procedimentale”, si fa riferimento ad
alcuni esempi giurisprudenziali, tratti da C. Taglienti, op. cit.:
- in un ricorso avverso il diniego di accesso alla documentazione dalla quale l’istante intende evincere l’esistenza di altri dipendenti che hanno
presentato domanda di trasferimento, è stato escluso che questi possano assumere la posizione di controinteressati, dovendosi per tali intendere coloro
ai quali si riferiscono i documenti richiesti per l’accesso e che possono quindi avere interesse ad opporsi alla loro visione (Cons. di St. sez. V 18
settembre 2006 n. 5343).
- è stato escluso trattarsi di controinteressati per i dipendenti di società di servizi comunali inseriti nei piani annuali di trasferimento del personale
alle dipendenze del comune, rispetto ad una istanza di accesso a detti piani da parte di un dipendente di detta società, trattandosi di atti generali
inidonei ad incidere direttamente sulle posizioni di tali soggetti (TAR Lombardia Milano sez. I 7 giugno 2006 n. 1327);
- in una graduatoria scolastica la documentazione di precedenza di alcuni insegnanti deve essere esibita all’insegnante pretermesso; questi sono
chiaramente controinteressati (TAR Lazio Latina 14 aprile 2006 n. 257); ciò vale in generale per tutte le graduatorie concorsuali rispetto
alla documentazione relativa ai titoli valutati ai candidati che precedono l’interessato (TAR Lazio sez. II 12 giugno 2007 n. 5365; così l’ex
membro di commissione ed i nuovi soggetti inseriti in detta commissione configurano interessato e controinteressati (TAR Latina 12 aprile 2006
n. 252).
- così la domanda di accesso alle istanze di partecipazione a procedura selettiva e alle relative valutazioni configura controinteressati necessari
(TAR Lombardia Milano sez. I^ 27 marzo 2006 n. 698).
28. Si noti che il c.p.a. ha ora espressamente previsto l’obbligo di notifica del ricorso giurisdizionale ai controinteressati; si
veda, infatti, l’art. 116, comma 1, del Codice, a mente del quale “1.Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso
ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del
silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati. Si applica l’articolo 49. V. anche l’art. 3 del D.P.R.
12.04.2006 n° 184 , G.U. 18.05.2006 (reg. attuazione diritto di accesso): Notifica ai controinteressati: 1. Fermo quanto previsto dall'articolo
5, la pubblica amministrazione cui e' indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1,
lettera c), della legge, e' tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via
telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del
contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2. 2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i
controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica
amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1.
21
Sempre in base alle disposizioni dettate dal regolamento governativo di attuazione “Entro dieci
giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata
opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione
provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1”.
Anche la risposta dell’amministrazione -se in tutto o in parte negativa, ma anche se positiva
laddove ci siano controinteressati- deve essere motivata (art. 25, comma 3, della legge n.
241/1990), in relazione alle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la scelta adottata.
2.5. La natura della posizione giuridica “accesso” e brevi cenni alla sua tutela giurisdizionale
Leggendo la normativa vigente si trae l’impressione che il legislatore abbia inteso configurare
l'accesso quale diritto soggettivo perfetto; difatti l'art. 22, c. 1, lett. a), della legge n.
241/1990 definisce l’accesso come “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di
documenti amministrativi” e l'art. 22, comma 2, lo fa assurgere a “principio generale dell'attività
amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale”.
Tuttavia permangono ancora significativi ostacoli normativi alla sua qualificazione
come diritto, non essendo stato chiarito, prima di tutto, se il giudizio sul diniego di accesso
rientri nella giurisdizione generale di legittimità ovvero nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
La difficoltà di individuare con precisione la natura giuridica dell’accesso emerge con
tutta evidenza dalle due pronunce “gemelle” (n. 6 e n. 7 del 2006) con cui l’Adunanza
plenaria del Consiglio Stato ha di fatto “eluso la questione”, da un lato affermandone
l’irrilevanza e poi osservando, quanto alla disciplina processuale applicabile, che l’infruttuoso
spirare del termine di 30 giorni (dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla
formazione del silenzio significativo), previsto per la proposizione dei relativi gravami, ha
natura decadenziale, non consentendo la reiterazione dell'istanza né l'impugnazione
dell’eventuale secondo diniego laddove meramente confermativo del primo; mentre per la
Plenaria è concepibile una reiterazione dell’istanza (con diritto alla conseguente risposta) solo in
presenza di fatti (anche non sopravvenuti) non esposti nell'originaria istanza, ovvero in caso di
una prospettazione sostanzialmente diversa della posizione legittimante all'accesso.
Il dibattito su tale questione -di evidente interesse anche teorico - è tuttora in corso, ma
ovviamente non è questa la sede per esaminarlo compiutamente.
3. La trasparenza amministrativa
3.1. Premesse generali: la trasparenza quale meccanismo di contrasto della corruzione.
La legge 6 novembre 2012, n. 190, approvata a seguito di un travagliato iter parlamentare, ha
22
introdotto una serie di misure tendenti alla prevenzione ed alla lotta contro la corruzione nelle
pubbliche amministrazioni29.
È nell’ambito di tale complessivo intervento riformatore che si inserisce a buon diritto la nuova
disciplina in materia di trasparenza amministrativa, oggetto della delega legislativa introdotta
dall’art. 1, comma 35, della legge n. 190/2012, cui il Governo ha poi dato attuazione con il
d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
L’elemento più qualificante della “nuova trasparenza” -quello che “salta subito agli occhi”- è la
scelta del legislatore di assicurare a chiunque, senza alcuna necessaria correlazione con un
interesse personale e qualificato, il diritto di avere conoscenza costante e immediata di
informazioni di estrema rilevanza concernenti l’operato dell’amministrazione ed i suoi risultati, i
costi economici della sua azione, il comportamento ed i compensi dei dipendenti e dei dirigenti,
etc; si tratta, in altre parole, di un nuovo modo di concepire i rapporti tra pubblica
amministrazione e cittadino, potendo quest’ultimo, ben al di là degli stretti confini dell’accesso
ai documenti in senso tradizionale30, avere cognizione diretta dell’intero “patrimonio informativo
delle pubbliche amministrazioni”31.
Un risultato così ambizioso viene perseguito dando vita ad una rinnovata “strutturazione
burocratica” delle amministrazioni, chiamate a predisporre, sulla scia del Codice
dell'amministrazione digitale e soprattutto del d.lgs. 27 ottobre n 2009, n. 150, un sistema
permanente di pubblicazione di tutti i dati che attengono alla sua attività e organizzazione, da
attuarsi anche (e prima di tutto) mediante l’inserimento degli stessi nei siti web istituzionali così
da agevolarne la materiale fruizione da parte del pubblico.
Particolarmente espressivo dello spirito generale che sovrintende alla riforma è il tenore testuale
dell’art. 1, comma 15, della legge n. 190/2012, a mente del quale “Ai fini della presente legge, la
trasparenza dell'attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti
sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto
all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti
web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi,
secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in
materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle
29. Per una descrizione dei lavori preparatori e del dibattito generale che ha preceduto l’approvazione della legge cfr. P.
Canaparo, Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33: i nuovi confini della trasparenza pubblica e il diritto alla conoscibilità
dell’azione amministrativa, ove si mette in evidenza la correlazione culturale tra l’intervento riformatore e il modello del
Freedom of Information Act, legge sulla libertà di informazione emanata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966 dal presidente Lyndon
B. Johnson.
30. Come evidenzia il “Rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e
prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione. Analisi
del
fenomeno,
profili
internazionali
e
proposte
di
riforma,
28
ottobre
2012”,
su
http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti/20121022/rapporto_corruzioneDEF.pdf.
31. Cfr. R. Garofoli, Il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n. 190, il decreto di trasparenza e le politiche
necessarie, in www.giustizia-amministrativa.it.
23
amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di
realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono
pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, che ne cura altresì la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di
consentirne un’agevole comparazione”32.
Previsione, questa, poi “bissata” dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, a mente del quale le
norme dello stesso decreto (e quelle attuative adottate ai sensi dell’art. 48), “costituiscono altresì
esercizio della funzione di coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione
statale, regionale e locale, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione”.
Inoltre viene in evidenza la disposizione contenuta nel comma 2 dello stesso art. 1 del d.lgs.
n. 33/2013, secondo cui “La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di
segreto d'ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico
e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza
nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle
libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona
amministrazione e concorre alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino”.
Come è stato correttamente evidenziato33, “l’ampliamento sostanziale dei confini della pubblicazione
obbligatoria costituisce lo snodo centrale per il consolidamento nel nostro ordinamento del c.d. rule of law,
locuzione con cui nel linguaggio anglosassone si fa riferimento alla pari dignità di ogni persona di fronte alla legge
ed alla tutela da qualsiasi forma di arbitrio che ne possa ledere i diritti fondamentali. I benefici attesi sono
evidenti: quando le informazioni di origine amministrativa sono aperte allo scrutinio pubblico, diventa difficile
per ciascun potere istituzionale, a qualsiasi livello, operare filtri impropri sulla conoscenza di fatti e atti che
dovrebbero essere di dominio comune. Inoltre, rompere il monopolio delle informazioni permette ai cittadini, specie
se organizzati, di partecipare alle politiche che incidono sulla qualità della loro vita e sul loro futuro ed esercitare
quel controllo diffuso per prevenire e contrastare ipotesi di corruzione ed illegalità”.
L’adozione del decreto legislativo n. 33/2013 costituisce, in tal senso, un importante passo
verso l’attuazione del sistema di prevenzione e di contrasto ai fenomeni di corruzione ed
illegalità disegnato dalla legge n. 190/2012, la quale -anche sulla base delle indicazioni fornite da
strumenti sovranazionali già ratificati in Italia- fa dell’ampliamento del principio di trasparenza
un importante strumento dissuasivo dei comportamenti che spesso costituiscono presupposto
di potenziali episodi di corruzione.
Pertanto va tenuta ben presente la stretta correlazione tra contrasto della corruzione
(intesa, in senso ampio, quale “malcostume politico e amministrativo”34) e la trasparenza (intesa
come massima ostensione e conoscibilità dei dati dai quali è possibile evincere l’esistenza di
32. Peraltro l’art. 11 del d.lgs. n. 150/2009 è stato abrogato dall’art. 53, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 33/2013, essendo il suo
contenuto stato recepito dalla nuova disciplina.
33. Così Canaparo, op. cit.
34. Cfr. B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/2013, pag. 123 ss.
24
fenomeni corruttivi), in chiave sia preventiva che repressiva: la pubblicità dei dati, per un verso,
disincentiva e dissuade gli interessati a porre in essere condotte corruttive e, per altro verso,
consente ai cittadini ed agli organi preposti di intervenire più facilmente per punire l’eventuale
commissione di tali condotte, sulla base di un “patrimonio conoscitivo automatico e
generalizzato”.
Senza trascurare altre -correlate ma ulteriori- ricadute positive della trasparenza, in quanto “il
riconoscimento dell’accessibilità totale alle informazioni pubbliche è ritenuta la modalità più efficace, da un lato,
per assicurare il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa e, dall’altro,
per agevolare la maggiore partecipazione della collettività alla vita politica e amministrativa, ed in questo modo
favorire l’indispensabile controllo sociale sulla legalità, qualità e appropriatezza dell’operato delle
amministrazioni. Ciò al fine di rafforzare con il necessario rispetto della regolarità formale anche l’efficienza,
efficacia, economicità e qualità dell’azione amministrativa (la c.d. legalità sostanziale) e concorrere, insieme agli
interventi in tema di semplificazioni, liberalizzazioni, digitalizzazione dei servizi e riduzione selettiva della
spesa e del perimetro pubblico (la c.d. spending review), al recupero di quella integrità e produttività nel settore
pubblico affinché quest’ultimo, ormai il centro dell’erogazione di servizi finali a cittadini e imprese, costituisca un
volano, piuttosto che un ostacolo, allo sviluppo e alla competitività del Paese. La trasparenza totale consente,
peraltro, anche di attivare una economia legata a dati pubblicati in formato aperto e rielaborabile. Le aziende e i
privati possono infatti utilizzare i dati pubblici (anche quelli che nascondono un’immediata utilità nel contesto
delle pubbliche amministrazioni) per realizzare servizi a valore aggiunto e per migliorare la qualità della vita dei
cittadini”35.
Al riguardo è significativa anche la previsione normativa contenuta nell’art. 10, comma 9, del
d.lgs. n. 33/2013, secondo cui “La trasparenza rileva, altresì, come dimensione principale ai fini della
determinazione degli standard di qualità dei servizi pubblici da adottare con le carte dei servizi ai sensi
dell'articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, così come modificato dall'articolo 28 del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150” e ciò concretamente significa che nelle carte dei servizi pubblici
le amministrazioni dovranno dar conto delle misure e dei risultati raggiunti in chiave di
trasparenza e che, inoltre, il rispetto delle misure sulla trasparenza incide sulla “misurazione
della qualità dei servizi”, anche ai fini dell’eventuale indennizzo automatico per mancato
rispetto di tali standards36 .
Da quanto sin qui esposto ben si comprende come la nuova disciplina amministrativa debba
essere analizzata -non già come un elemento isolato nel sistema, bensì- alla stregua di un tassello
35. Così Canaparo, op. cit.
36 Si ricorda che, ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 150/2009, 1. “Il comma 2 dell'articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
286, e' sostituito dal seguente: “2. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di
adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di
indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente,
del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni
pubbliche. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e
coordinamento adottati d'intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta della Commissione
per la valutazione, la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche”.
25
del più complessivo “disegno anticorruzione” che ispira tutta la legge n. 190/2012 e proprio per
questa ragione -prima di entrare nel merito della disciplina sulla trasparenza- è opportuno
introdurre un quadro di insieme delle nuove previsioni “anticorruzione”.
3.2. Quadro generale delle misure introdotte dalla legge n. 190/2012.
In estrema sintesi l’art. 1 della legge n. 190/2012 ha introdotto le seguenti novità:
- quanto alle misure specificamente dedicate all’anticorruzione:
a) affida alla CIVIT (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle
amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 150/2009), i compiti di Autorità
nazionale anticorruzione (commi 1-3), in virtù dei quali la Commissione “collabora con i paritetici
organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti”, “approva il Piano nazionale
anticorruzione predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica”, “analizza le cause e i fattori della
corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto”, “esprime pareri
facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le amministrazioni pubbliche…in materia di conformità di atti e
comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali,
regolanti il rapporto di lavoro pubblico”, “esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni” allo
svolgimento di incarichi extraistituzionali da parte dei dipendenti pubblici, vigila sull'effettiva
applicazione e sull'efficacia delle misure anticorruzione adottate dalle pubbliche amministrazioni
e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dalla legge,
“riferisce al Parlamento, presentando una relazione entro il 31 dicembre di ciascun anno, sull'attività di
contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e sull'efficacia delle disposizioni vigenti
in materia”;
b) affida al Dipartimento della funzione pubblica importanti funzioni di coordinamento delle
strategie di prevenzione e contrasto della corruzione (comma 4); in particolare il Dipartimento
coordina l'attuazione delle strategie anticorruzione elaborate a livello nazionale e internazionale,
“promuove e definisce norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione”, predispone il Piano
nazionale anticorruzione (la cui approvazione è rimessa alla CIVIT), definisce modelli standard
delle informazioni e dei dati occorrenti per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla legge
n. 190/2012, “secondo modalità che consentano la loro gestione ed analisi informatizzata” e “definisce criteri
per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per
evitare…cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici”;
c) individua l’ambito applicativo delle disposizioni contenute nella legge n. 190/2012 (commi
34, 59 e 60);
d) prevede l’obbligo generalizzato per tutte le amministrazioni, sia centrali che locali, di
adottare il Piano triennale di prevenzione della corruzione (commi 5 e 60), disciplina le
procedure di approvazione dello stesso Piano (commi 6 e 8), i suoi contenuti (comma 9),
nonché i suoi rapporti con il Piano nazionale anticorruzione (comma 4) e con il Programma
triennale per la trasparenza e l’integrità di cui all’art. 11 del decreto legislativo n. 150/2009;
e) individua la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione (comma 7), ne
26
definisce i compiti (commi 8 e 10) e le responsabilità (commi 12, 13 e 14);
f) delinea i nuovi compiti affidati ai dirigenti generali (dall’art. 16 del decreto legislativo n.
165/2001, come modificato dal decreto legge n. 95/2012) in tema di prevenzione della
corruzione, per il cui raggiungimento la legge n. 190/2012 attribuisce alle singole
amministrazioni il compito di definire “procedure appropriate” (comma 5).
- quanto alla trasparenza amministrativa:
a) delega il Governo “ad adottare…entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un
decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di
informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni
vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità, nel rispetto dei seguenti principi e criteri
direttivi”; la delega è stata poi, in effetti, esercitata dal Governo, mediante il d.lgs. n. 33/2013;
b) individua i seguenti criteri direttivi per l’esercizio di tali poteri delegati:
- ricognizione e coordinamento delle disposizioni che prevedono obblighi di pubblicità a
carico delle amministrazioni pubbliche;
- previsione di forme di pubblicità sull’uso delle risorse pubbliche, nonché sullo
svolgimento ed i risultati delle funzioni amministrative;
- precisazione degli obblighi di pubblicità dei dati relativi ai titolari di incarichi politici, sia
statale che locale, che devono assicurare la conoscenza della situazione patrimoniale
complessiva del titolare al momento dell'assunzione della carica, la titolarità di imprese,
le partecipazioni azionarie proprie e dei parenti e affini stretti, nonché tutti i compensi
connessi alla carica;
- pubblicazione nei siti web istituzionali, di informazioni relative ai titolari degli incarichi
dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni;
- definizione delle categorie di informazioni che le amministrazioni sono tenute a
pubblicare e delle modalità di elaborazione dei relativi formati;
- obbligo di pubblicazione di tutti gli atti, documenti e informazioni anche in formato
elettronico elaborabile e in formati di dati fruibili on line in formati non proprietari;
- individuazione della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione
obbligatoria;
- individuazione delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato, ritardato o inesatto
adempimento degli obblighi di pubblicazione;
c) precisa che le disposizioni adottate dal Governo in esercizio della delega di cui al comma 35
in materia di trasparenza “integrano l'individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle
amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva
amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e costituiscono
altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione
statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione”; in questo
modo la trasparenza, al pari dell’accesso, viene dotata di copertura costituzionale ai sensi degli
artt. 97 e 117 della Carta e la sua disciplina è, pertanto, riservata -in chiave di garanzia minima27
alla competenza legislativa statale;
d) aggiunge all'articolo 1, comma ter, parte finale, della legge n. 241/1990, le parole “con un livello
di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui
alla presente legge”, per cui il nuovo testo del comma 1 ter è il seguente: “I soggetti privati preposti
all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un
livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni
di cui alla presente legge”; a sua volta il comma 1 individua quali principi e criteri e direttivi cui sono
tenute le pubbliche amministrazioni quelli di “economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di
trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli
procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario”, per cui la disciplina complessivamente
risultante comporta che anche i soggetti privati, nel momento in cui esercitano attività di
pubblico interesse, siano tenuti ad assicurare i medesimi livelli di trasparenza richiesti alle
pubbliche amministrazioni in senso stretto;
- quanto alle misure ulteriori:
a) dedica specifica attenzione al rispetto dei tempi di conclusione del procedimento
amministrativo, prevedendo la possibilità che le amministrazioni, ove ravvisino “la manifesta
irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda”, concludano “il procedimento
con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” (comma 38), nonché il dovere di provvedere
ad un “monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali, attraverso la tempestiva eliminazione delle
anomalie. I risultati del monitoraggio sono consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione”
(comma 28), per cui anche i risultati del monitoraggio periodico sono soggetti al principio di
trasparenza; sempre al fine di perseguire l’obiettivo del rispetto dei termini procedimentali,
l’art.1, comma 48, della legge n. 190/2012 delega il Governo “ad adottare, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la disciplina organica degli illeciti, e relative
sanzioni disciplinari, correlati al superamento dei termini di definizione dei procedimenti amministrativi, secondo
i seguenti principi e criteri direttivi: a) omogeneità degli illeciti connessi al ritardo, superando le logiche specifiche
dei differenti settori delle pubbliche amministrazioni; b) omogeneità dei controlli da parte dei dirigenti, volti a
evitare ritardi; c) omogeneità, certezza e cogenza nel sistema delle sanzioni, sempre in relazione al mancato
rispetto dei termini”;
b) introduce nuovi elementi ostativi (legati a precedenti penali o vicende similari) a far parte di
commissioni di gara e di concorso (comma 46);
c) incide sulla disciplina in materia di codici di comportamento dei pubblici dipendenti, di cui
all’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, attribuendo al Governo il compito di definire un Codice
generale, da recepire in un d.p.r., che contenga una specifica sezione dedicata ai dirigenti e
preveda, altresì, che la violazione dei doveri contenuti nel Codice, compresi quelli relativi
all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, sia fonte di responsabilità disciplinare e
possa rilevare ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile, ogniqualvolta tali
violazioni siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti (comma 44); il
28
nuovo Codice di comportamento è stato poi, in effetti, approvato con d.p.r. 16 aprile 2013, n.
62;
d) il comma 41 della legge n. 190/2012 introduce il nuovo art. 6-bis della legge n. 241/1990,
che contiene una nuova disciplina del conflitto d’interessi e degli obblighi di astensione dei
pubblici dipendenti, ove si stabilisce che “1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici
competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale
devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”
(comma 41); sul punto incide anche il nuovo Codice di comportamento dei pubblici
dipendenti37 (sul punto si tornerà ampiamente nel prosieguo della trattazione);
e) modifica l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, introducendo rilevanti novità in tema di
incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi da affidare a dipendenti pubblici (commi 42 e
43); in questa materia è poi entrato in vigore anche il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, sul quale si
tornerà più avanti;
f) introduce speciali forme di tutela per il dipendente pubblico che segnala illeciti; difatti, al di
fuori dei casi di calunnia o diffamazione, “il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o
alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza
in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura
discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o
indirettamente alla denuncia” (comma 51 della legge n. 190/2012); tra l’altro il secondo comma di
tale disposizione precisa che l’identità del dipendente autore della segnalazione non può essere
rivelata senza il suo consenso, neppure nell’ambito del procedimento disciplinare
eventualmente aperto a carico del segnalato, a condizione “che la contestazione dell'addebito
disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione” e con la precisazione
che “Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata
ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato”; per garantire la coerenza del
sistema il quarto comma precisa anche che “La denuncia è sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e
seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”;
g) aggiunge al comma 2 dell’articolo 11 della legge n. 241/1990 una disposizione secondo cui
gli accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento devono essere motivati, con l’indicazione
dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (comma 47 della legge n.
190/2012);
h) delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per introdurre una disciplina organica
degli illeciti e delle sanzioni disciplinari correlati al superamento dei termini di definizione dei
procedimenti amministrativi;
h) introduce nuove misure in tema di controlli sulle attività imprenditoriali a rischio di
infiltrazione mafiosa (commi 52-57 della legge n. 190/2012).
37. D.p.r. 16 aprile 2013, n. 62, art. 3.
29
3.3. Il decreto legislativo n. 33/2013 e le altre fonti sulla trasparenza
Il nuovo sistema di tutela della trasparenza amministrativa ha il proprio fulcro nel d.lgs. n.
33/2013, attuativo della delega legislativa specificamente prevista in subiecta materia dall’art. 1,
comma 35, della legge. n. 190/2012. Il decreto ha contenuto sostanzialmente onnicomprensivo
in materia di trasparenza, per cui molte delle previsioni in esso contenute si sovrappongono
ovvero specificano ulteriormente quelle già presenti nella legge delega.
Nel prosieguo della trattazione si farà, altresì, riferimento al Codice sul trattamento dei dati
personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) e al Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 7
marzo 2005, n. 82), che contengono alcune disposizioni di interesse ai fini della presente
trattazione.
Il quadro normativo si completa poi con la Circolare del Dipartimento della Funzione
Pubblica 25 gennaio 2013, n. 1 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e con la Circolare del medesimo
Dipartimento 19 luglio 2013, n. 2 (Attuazione della trasparenza).
Infine assumono particolare rilevanza, anche in divenire, gli interventi interpretativi e di
indirizzo della CIVIT, autorità amministrativa indipendente istituzionalmente deputata a
promuovere la prevenzione della corruzione e l’attuazione della trasparenza, nonché a vigilare
sul rispetto della relativa disciplina38.
Analogo discorso vale per le “Linee Guida” e le decisioni del Garante per la protezione
dei dati personali, che assumono rilievo con riguardo ai rapporti tra la “nuova trasparenza” e
la tutela della riservatezza (vedi infra).
3.4. L’ambito di applicazione e i destinatari della nuova disciplina in materia di trasparenza
amministrativa. Alcune norme specificamente rivolte alle strutture del servizio sanitario nazionale.
Quanto al rapporto tra la disciplina nazionale sulla trasparenza e le fonti regionali e
locali, il sistema è retto dal principio di cui all’art. 1, comma 36, della legge n. 190/2012, a
mente del quale “Le disposizioni di cui al decreto legislativo adottato ai sensi del comma 35 (cioè il decreto
sulla trasparenza, id est il d.lgs. n. 33/2012: n.d.r.) integrano l'individuazione del livello essenziale delle
prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione
38. Un importante esempio è rappresentato dalla deliberazione CIVIT 15 luglio 2013, n. 59, recante significative indicazioni
in tema di “Pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti
pubblici e privati: artt. 26 e 27, d.lgs. n. 33/2013”.
Per un primo commento di tale deliberazione si veda S. Usai, Trasparenza in tema di concessione di sovvenzioni e
contributi: è davvero obbligatorio pubblicare anche la determinazione di assegnazione?, su Lexitalia.it. L’Autore sottolinea,
tra l’altro, che “con la deliberazione si è definitivamente chiarito che oggetto di pubblicazione…non sono gli importi qualificabili come
corrispettivi di prestazioni (appalti) o di consulenze (oggetto di trasparenza in altri ambiti del decreto) ma nel caso di specie “sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai
sensi dell’art. 12 della l. n. 241/1990, di importo superiore a mille euro”, sia “se erogati con un unico atto, sia con atti diversi ma che nel corso
dell’anno solare superino il tetto dei mille euro nei confronti di un unico beneficiario…In tali casi, l’amministrazione deve necessariamente
pubblicare, come condizione legale di efficacia, l’atto che comporta il superamento della soglia dei mille euro, facendo peraltro riferimento anche alle
pregresse attribuzioni che complessivamente hanno concorso al suddetto superamento della soglia”.
30
e della cattiva amministrazione, a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e
costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della
Costituzione”.
Ciò comporta che la trasparenza è oggetto di competenza legislativa statale esclusiva,
quanto meno in relazione ai “livelli minimi di trasparenza dalla stessa garantiti”, per cui
la legislazione regionale ed i regolamenti locali possono dettare esclusivamente disposizioni
organizzative e di dettaglio, comunque soltanto migliorative delle garanzie minime introdotte
dalle norme statali, similmente a quanto si è già osservato per l’accesso ai documenti.
Peraltro, al fine di evitare che ciò si traduca in un “pericoloso livellamento” della disciplina
applicabile, incapace di tenere conto delle differenze esistenti tra un’amministrazione e l’altra e
tra una realtà territoriale e l’altra, l’art. 61 del d.lgs. n. 33/2013 statuisce che “Attraverso intese in
sede di Conferenza unificata sono altresì definiti gli adempimenti attuativi delle disposizioni dei decreti legislativi
previsti dalla presente legge da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti
locali, nonché degli enti pubblici e dei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo”; inoltre la
Conferenza unificata è indicata dall’art. 60 della legge n. 190/2012 quale luogo deputato a
promuovere l’attuazione in sede regionale degli adempimenti in materia di Piano
anticorruzione39.
Per quanto riguarda le Amministrazioni destinatarie dei nuovi adempimenti in materia
di trasparenza assume rilievo l’art. 12 del d.lgs. n. 33/2013, a mente del quale “1. Ai fini del
presente decreto per “pubbliche amministrazioni” si intendono tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. 2. Alle società partecipate
dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 e alle società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del
codice civile si applicano, limitatamente alla attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
dell'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190. 3.
Le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all'attuazione di quanto previsto della
normativa vigente in materia di trasparenza secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti”.
Non vi è dubbio, quindi che la nuova disciplina sulla trasparenza si applichi in toto
anche alle aziende sanitarie locali, che rientrano nell’elenco delle “pubbliche amministrazioni
di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001”; tra l’altro il d.lgs. n. 33/2013 dedica alle
strutture sanitarie una disciplina specifica sugli obblighi di pubblicazione, che approfondiremo
fra breve in un paragrafo apposito.
3.5. L’oggetto dei nuovi obblighi di trasparenza.
Il nuovo canone della trasparenza si declina prima di tutto in una serie di obblighi di
39. Resta il fatto che l’intervento legislativo in esame appare connotato da un elevato tasso di “accentramento delle scelte” a
livello statale, dato che le intese con le regioni, più che a completare la normazione, sembrano finalizzate a garantire
l’attuazione delle stesse scelte legislative statali: cfr., in tal senso. Canaparo, op cit. e Mattarella, op. cit.
31
pubblicazione, che gravano sulle pubbliche amministrazioni quale oggetto di un compito
istituzionale loro affidato, a prescindere da richieste o iniziative individuali.
L’articolato insieme di questi nuovi obblighi trova una “sede riassuntiva” nel d.lgs. n. 33/2013,
ma già la stessa legge n. 190/2012 aveva individuato alcuni dati oggetto di pubblicazione
obbligatoria sui siti web istituzionali, in forma direttamente consultabile e accessibile.
In particolare, i dati la cui pubblicazione è stata prevista direttamente dalla legge n.
190/2012 riguardano ambiti particolarmente sensibili -sotto il profilo della rilevanza economicosociale e dei rischi di corruzione e di mala amministrazione- e sono, in sintesi, i seguenti:
- informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità,
completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di
Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali (comma 15 dell’art. 1 della legge n.
190/2012); questa previsione va messa in correlazione con quanto previsto dal comma 30 della
stessa legge, secondo cui “Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti
amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n.241, e successive modificazioni, in materia di
procedimento amministrativo, hanno l'obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite
strumenti di identificazione informatica di cui all'articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7
marzo 2005, n.82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti
amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo
specifico ufficio competente in ogni singola fase”: si tratta, in buona sostanza, di una complessiva
informatizzazione dei meccanismi di accesso individuale, finalizzati a renderlo più agevole e
costantemente effettuabile, ovviamente nei limiti in cui un sistema di questo genere sia
compatibile con i limiti generali in materia di accesso (si pensi al possibile contrasto con la
riservatezza di alcuni dati che incidono sul procedimento de quo);
- bilanci, conti consuntivi, costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei
servizi erogati ai cittadini; le informazioni sui costi unitari delle opere pubbliche sono pubblicate
sulla base di uno schema redatto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (comma 15
dell’art. 1 della legge n. 190/2012);
- provvedimenti di concessione e autorizzazione, (comma 16 dell’art. 1 della legge n. 190/2012);
- provvedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, di
concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari (comma 16 dell’art.
1 della legge n. 190/2012); al riguardo, il comma 32 della legge n. 190/2012 precisa: che le
stazioni appaltanti sono tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali le seguenti
informazioni: la struttura proponente, l’oggetto del bando, l'elenco degli operatori invitati a
presentare offerte, l’aggiudicatario, l’importo di aggiudicazione, i tempi di completamento
dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate; tale pubblicazione va effettuata
entro il 31 gennaio di ogni anno, mediante tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un
formato digitale standard aperto, che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i
dati informatici; inoltre le informazioni in questione devono essere trasmesse all’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, sulla base di una deliberazione della stessa Autorità che individua
32
le informazioni a tal fine rilevanti e le modalità di trasmissione40; inoltre l’Autorità, una volta
ricevuti i dati, li pubblica a sua volta nel proprio sito web, in una sezione liberamente consultabile
da tutti i cittadini, catalogati in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione ed entro il
30 aprile di ciascun anno trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno
omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al presente comma
in formato digitale standard aperto; si applica l'articolo 6, comma 11, del Codice dei contratti
pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria fino a
euro 25.822 in caso di rifiuto ovvero di omissione e sino a euro 51.545 ove siano fornite
informazioni non veritiere;
- dati relativi a concorsi e prove selettive per l’assunzione di personale e per le progressioni in
carriera (comma 16 dell’art. 1 della legge n. 190/2012);
- risultati del monitoraggio in ordine al rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti
amministrativi (comma 28 dell’art. 1 della legge n. 190/2012);
- almeno un indirizzo di posta elettronica certificata “cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere
istanze ai sensi dell'articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e
successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo
riguardano” (art. 1, comma 29, della legge n. 190/2012).
Per alcuni dati, infine, la legge n. 190/2012 prevede un obbligo di comunicazione ad altri soggetti
pubblici, come (oltre ai dati da trasmettere all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, cui si
faceva prima riferimento) nel caso del comma 39, in base al quale “tutti i dati utili a rilevare le
posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate
discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione” (comma 39 dell’art.
40. Al fine di dare attuazione a questa previsione normativa l’Autorità per la vigilanza sui contrati pubblici ha adottato
la deliberazione 22 maggio 2013, n. 26, nella quale ha precisato che l’invio dei dati da parte delle singole amministrazioni
deve avvenire sulla base della seguente tabella riassuntiva:
Descrizione
Dato
CIG
Codice Identificativo Gara rilasciato dall’Autorità
Struttura proponente
Codice fiscale e denominazione della Stazione Appaltante
responsabile del procedimento di scelta del contraente
Oggetto del bando
Oggetto del lotto identificato dal CIG
Procedura di scelta del contraente
Procedura di scelta del contraente
Elenco degli operatori invitati a presentare offerte
Elenco degli OE partecipanti alla procedura di scelta del
contraente. Per ciascun soggetto partecipante vanno
specificati: codice fiscale, ragione sociale e ruolo in caso di
partecipazione in associazione con altri soggetti
Aggiudicatario
Elenco degli OE risultati aggiudicatari della procedura di
scelta del contraente. Per ciascun soggetto aggiudicatario
vanno specificati: codice fiscale, ragione sociale e ruolo in
caso di partecipazione in associazione con altri soggetti
Importo di aggiudicazione
Importo di aggiudicazione al lordo degli oneri di sicurezza
ed al netto dell’IVA
Tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura
Data di effettivo inizio lavori, servizi o forniture
Data di ultimazione lavori, servizi o forniture
Importo delle somme liquidate
Importo complessivo dell’appalto al netto dell’IVA
33
della legge n. 190/2012) -comprensivi anche “dei titoli e i curricula riferiti ai soggetti di cui al comma 39”
(comma 40), destinati a confluire nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36,
comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001- devono essere trasmessi alla CIVIT per
consentirle l’efficiente espletamento dei propri compiti di vigilanza e impulso.
Da notare che la mancata o incompleta pubblicazione delle informazioni relative ai dati cui ai
commi 15 e 16 (bilanci, costi delle opere e dei servizi pubblici, procedure di scelta del contraente,
concorsi e selezioni pubbliche, autorizzazioni, concessioni e sovvenzioni) “costituisce violazione degli
standard qualitativi ed economici ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n.
198, ed è comunque valutata ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni. Eventuali ritardi nell'aggiornamento dei contenuti sugli strumenti informatici sono sanzionati a
carico dei responsabili del servizio” (art. 1, comma 33, della legge n. 190/2012).
Su questo “primo impianto” introdotto dalla legge n. 190/2012 si è poi inserito quello previsto
dal d.lgs. n. 33/2013, il quale -essendo connotato da un grado di dettaglio superiore- in parte si
sovrappone al primo.
Gli obblighi di pubblicazione previsti dal d.lgs. n. 33/2013 sono schematizzabili nei
termini di seguito esposti:
quanto all’organizzazione delle pubbliche amministrazioni:
dati e informazioni sulla gestione del personale e qui le esigenze di trasparenza e controllo
sull’imparzialità si coniugano con quelle di contenimento della spesa, che la recente normativa
sulla spending review indica quali obiettivi fondamentali da perseguire mediante la razionalizzazione
organizzativa ed il corretto impiego delle risorse umane, tutti aspetti sui quali il “controllo
diffuso” assicurato dalla disciplina sulla trasparenza potrebbe dare una spinta importante; tanto è
vero che il d.lgs. n. 33/2013 indica espressamente, quale oggetto dell’obbligo di pubblicazione, la
dotazione organica, il costo del personale a tempo indeterminato, il conto annuale delle spese
sostenute per il personale e i tassi di assenza trimestrali dei dipendenti, distinti per uffici di livello
dirigenziale (art. 16 del decreto), mentre per il personale a tempo determinato richiede la
pubblicazione dell’elenco dei titolari dei contratti, delle loro mansioni e della loro distribuzione tra
gli uffici, nonché del costo complessivo trimestrale del personale, con particolare riguardo a
quello assegnato agli uffici di diretta collaborazione con gli organi d’indirizzo politico41;
dati relativi all’organizzazione, quali l’organigramma, l’elenco dei numeri di telefono e di
posta elettronica cui il cittadino può rivolgersi per ottenere i servizi42.
dati relativi alla valutazione della performance e alla distribuzione dei premi al personale (in
base a quanto previsto, per queste fattispecie, dal d.lgs. n. 150/2009) e quelli relativi al cd.
“benessere organizzativo”; nonché i dati relativi alla contrattazione collettiva (vale a dire i
riferimenti necessari per la consultazione dei contratti e accordi collettivi nazionali applicabili al
personale dell’ufficio, le eventuali interpretazioni autentiche degli stessi, i contratti integrativi
41. Art 17 del decreto.
42. Art. 17 del decreto.
34
stipulati, con la relazione tecnico-finanziaria e quella illustrativa certificate dagli organi di
controllo)43;
notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una
funzione pubblica e la relativa valutazione; al riguardo, il legislatore precisa però, a garanzia dei
lavoratori interessati, che “Non sono invece ostensibili, se non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti
la natura delle infermità e degli impedimenti personali o familiari che causino l'astensione dal lavoro, nonché le
componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e
l'amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto
legislativo n. 196 del 2003”44 (si tratta dei cd. “dati sensibili”, idonei a rivelare l'origine razziale ed
etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a
partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o
sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale)”;
elenco di tutti gli incarichi extraistituzionali conferiti o autorizzati a personale dipendente
da parte di un’amministrazione diversa da quella di appartenenza o da soggetti privati, recanti
l’indicazione della durata e del compenso spettante, oltre alla pubblicazione del singolo incarico
sul sito dell’amministrazione conferente, diversa da quella di appartenenza45; mentre l’elenco di
tutti gli incarichi conferiti a soggetti esterni all’amministrazione è ricavabile consultando la banca
dati del Dipartimento della funzione pubblica;
dati relativi ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e dirigenziali a qualsiasi titolo
conferiti dall’amministrazione, anche per collaborazione e consulenza e anche se conferiti a
soggetti esterni all’organico dell’amministrazione; il contenuto dell’obbligo di pubblicazione
investe gli estremi dell’atto di conferimento, i dati relativi all’assunzione di altri incarichi, la
titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione e
allo svolgimento di attività professionali, al compenso percepito46;
bilancio di previsione e conto consuntivo di ciascun anno (in forma sintetica, aggregata e
semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche, al fine di assicurare la piena
accessibilità e comprensibilità; “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio”, che indica
gli obiettivi, i risultati e l’andamento effettivo della spesa a livello di interventi e servizi e
forniture47;
dati relativi alla gestione del patrimonio immobiliare48;
43. Artt. 20 e 21 del decreto, mentre l’art. 10, comma 4, in termini più generali, impone alle amministrazioni pubbliche di dare
massima trasparenza a ogni fase del ciclo di gestione della performance.
44. Art. 4, comma 3, del decreto.
45. Art. 18 del decreto.
46. Art. 15 del decreto.
47. Art. 29 del decreto.
48. Art. 30 del decreto.
35
rilievi effettuati dagli organi di controllo sugli atti relativi all’organizzazione dell’attività
dell’amministrazione49;
quanto all’attività amministrativa:
dati relativi all’attività amministrativa, in forma aggregata per settori di attività, competenza
degli organi e degli uffici e per tipologia dei procedimenti;
risultati del monitoraggio periodico sul rispetto dei tempi procedimentali, effettuato ai
sensi dell’art. 1, comma 28, della legge anticorruzione50;
dati relativi ai servizi erogati al pubblico 51;
dati relativi ai tempi di pagamento tenuti dall’amministrazione (il c.d. “indicatore di
tempestività dei pagamenti”)52;
elenchi semestrali dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai
dirigenti, con particolare riferimento ad autorizzazioni e concessioni, atti di scelta del contraente
dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e modalità di selezione, attribuzione di vantaggi
economici a persone ed enti pubblici e privati, concorsi e prove selettive53;
elenco delle tipologie di controllo cui sono assoggettate le imprese in ragione della
dimensione e del settore di attività, nonché l’elenco degli obblighi e degli adempimenti oggetto
delle attività di controllo che le imprese sono tenute a rispettare54;
atti di predeterminazione di criteri e modalità per la concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici a persone ed enti
pubblici e privati55;
processi di pianificazione, realizzazione e valutazione delle opere pubbliche56;
per i contratti pubblici, sui siti istituzionali devono essere rese pubblicate, oltre al bando e
alla determina di aggiudicazione definitiva (pubblicati integralmente), le informazioni riguardanti
la struttura proponente, l’oggetto del bando, l’oggetto dell’eventuale delibera a contrarre,
l’importo di aggiudicazione, l’aggiudicatario, l’eventuale base d’asta, la procedura e la modalità di
selezione perla scelta del contraente, il numero di offerenti che hanno partecipato al
procedimento, i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura, l’importo delle somme
49. Art. 31 del decreto.
50. Art. 24 del decreto; l’obbligo di pubblicazione decorre dal termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto (art. 49,
comma 1, del decreto).
51. Art. 32 del decreto.
52. Art. 33 del decreto.
53. Art. 23 del decreto; al riguardo, per ciascuno di tali provvedimenti gli elenchi devono indicare il contenuto, l’oggetto,
l’eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento de quo; la
pubblicazione avviene mediante una scheda sintetica prodotta automaticamente in sede di formazione del documento che
contiene l’atto.
54. Art. 25 del decreto.
55. Art. 26 del decreto; sul punto vedi anche quanto osservato alla nota 36.
56. Art. 38 del decreto (sul punto vedi anche quanto già osservato al par. 3.5.).
36
liquidate, le eventuali modifiche contrattuali, le decisioni di ritiro e il recesso dei contratti; per i
contratti di lavori, è richiesta la pubblicazione anche del processo verbale di consegna, del
certificato di ultimazione e del conto finale dei lavori; delibera a contrarre nell’ipotesi di procedura
negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara di cui all’art. 57 comma 6 del Codice dei
contratti pubblici57.
3.5.1. Gli specifici obblighi di pubblicazione delle strutture sanitarie
L’art. 41 dello stesso d.lgs. n. 33/2013, intitolato “ Trasparenza del servizio sanitario
nazionale”, aggiunge che “1. Le amministrazioni e gli enti del servizio sanitario nazionale, dei servizi
sanitari regionali, ivi comprese le aziende sanitarie territoriali ed ospedaliere, le agenzie e gli altri enti ed
organismi pubblici che svolgono attività di programmazione e fornitura dei servizi sanitari, sono tenute
all'adempimento di tutti gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente”.
Inoltre la stessa disposizione introduce alcune previsioni ad hoc proprio per le
strutture sanitarie, statuendo:
- al comma 2, che le “aziende e strutture pubblicano tutte le informazioni e i dati concernenti le
procedure di conferimento degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo,
nonché degli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse, ivi compresi i bandi e
gli avvisi di selezione, lo svolgimento delle relative procedure, gli atti di conferimento ”;
- al comma 3, che “Alla dirigenza sanitaria di cui al comma 2, fatta eccezione per i
responsabili di strutture semplici , si applicano gli obblighi di pubblicazione di cui
all'articolo 15 (norma che descrive analiticamente gli obblighi di pubblicazione relativi ai
titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza, tema sul quale torneremo
amplius più avanti: n.d.r.). Per attività professionali, ai sensi del comma 1, lettera c)
dell'articolo 15, si intendono anche le prestazioni professionali svolte in regime
intramurario”;
- al comma 4, l’obbligo di pubblicare “annualmente aggiornato l'elenco delle strutture
sanitarie private accreditate. Sono altresì pubblicati gli accordi con esse intercorsi ”;
con l’ulteriore precisazione (al comma 5), che “Le regioni includono il rispetto di obblighi di
pubblicità previsti dalla normativa vigente fra i requisiti necessari all'accreditamento delle strutture sanitarie”;
- al comma 6, che “Gli enti, le aziende e le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni per conto
del servizio sanitario sono tenuti ad indicare nel proprio sito , in un’apposita sezione
denominata “Liste di attesa”, i tempi di attesa previsti e i tempi medi effettivi di
attesa per ciascuna tipologia di prestazione erogata” .
3.5.2. I cd. “dati ulteriori”
57. Per la pubblicazione dei dati relativi ai contratti pubblici vedi anche quanto osservato nella precedente nota 40 e nel relativo
paragrafo di riferimento.
37
Con deliberazione 4 luglio 2013, n. 50, la CIVIT, richiamando la propria precedente
deliberazione 5 gennaio 2012, n. 558, ha evidenziato come la nuova trasparenza, intesa quale
“accessibilità totale”, impegni le amministrazioni si impegnino -seppur nell’ambito delle
necessarie valutazioni discrezionali- a pubblicare sui propri siti istituzionali anche “dati
ulteriori” rispetto a quelli espressamente indicati dal d.lgs. n. 33/2013, come del resto
espressamente prevedono la legge n. 190/2012 (nell’ambito dei Piani triennali di prevenzione
della corruzione59) e lo stesso d.lgs. n. 33/201360; quest’ultimo, in particolare, all’art. 1, comma
1, nel definire in via generale l’oggetto della trasparenza in relazione alla “organizzazione e l’attività
delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, crea di fatto un sistema elastico, in base al quale
l’amministrazione deve valutare discrezionalmente -tenendo conto delle proprie caratteristiche
strutturali e funzionali e delle richieste di conoscenza dei portatori di interesse- quali “dati
ulteriori” pubblicare, evitando inutili dispendi di risorse economiche e lavorative.
In quest’ottica la CIVIT osserva che “ad esempio, potrebbe essere utile, oltre che una più attenta “funzione
di ascolto” dei portatori di interesse, un’analisi delle richieste di accesso ai dati ai sensi della legge n. 241/1990,
per individuare tipologie di informazioni che, a prescindere da interessi prettamente individuali, rispondono a
richieste frequenti e che, pertanto, possa essere opportuno rendere pubbliche nella logica dell’accessibilità totale”;
rilievo, questo, di particolare interesse, perché sostanzialmente ipotizza un rapporto diretto tra
la disciplina in materia di “accesso tradizionale” e quella sulla trasparenza, con la seconda che
potrebbe fortemente agevolare (anche se non giuridicamente sostituire) l’espletamento degli
incombenti derivanti dalla prima.
Inoltre la CIVIT osserva che i “dati ulteriori” “possono anche consistere in un’elaborazione di “secondo
livello” di dati e informazioni obbligatori, resi più comprensibili per gli interlocutori che non hanno specifiche
competenze tecniche. A titolo esemplificativo si richiamano alcune categorie di dati già indicate dal paragrafo n. 5
della delibera CIVIT n. 2/2012, quali ad esempio quelli sulle tipologie di spesa e sulle tipologie di entrata,
quelli sull’attività ispettiva e quelli sul sistema della responsabilità disciplinare e, per quanto riguarda i
pagamenti, i dati sulle fatture, i mandati e i relativi tempi di pagamento”.
In ogni caso nel Programma triennale per la trasparenza e l’integrità “le amministrazioni
indicheranno, in tabelle pubblicate in formato aperto, i dati ulteriori individuati ai fini della pubblicazione entro
la fine dell’anno e nel triennio. Come riportato nell’allegato 1 alla delibera, i dati, le informazioni e i documenti
ulteriori per i quali non sussiste un espresso obbligo di pubblicazione dovranno essere pubblicati nella sottosezione di primo livello “Altri contenuti - Dati ulteriori”, laddove non sia possibile ricondurli ad alcuna delle
sotto-sezioni in cui deve articolarsi la sezione “Amministrazione trasparente”.
3.5.3. La qualità delle informazioni
58. Su queste delibere si tornerà diffusamente nel prosieguo della trattazione.
59 Art. 1, comma 9, lett. f), della legge n. 190/2012.
60. Art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 33/2012.
38
Gli obblighi in materia di trasparenza sono diventati automaticamente esecutivi all’entrata in
vigore della nuova normativa, non avendo il legislatore previsto (tranne che per qualche
aspetto specifico61) alcuna sospensione temporale: la trasparenza comporta la “spontanea e
tempestiva pubblicazione” sui siti web istituzionali delle amministrazioni ed il
correlativo diritto di chiunque di accedervi senza autenticazione e identificazione 62.
In termini generali la qualità delle informazioni è assicurata dall’art. 6 del d.lgs. n. 33/2013, a
mente del quale “1. Le pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei
siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l'integrità, il
costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità,
l'omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso
dell'amministrazione, l'indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto
dall'articolo 7. 2. L'esigenza di assicurare adeguata qualità delle informazioni diffuse non può, in ogni caso,
costituire motivo per l'omessa o ritardata pubblicazione dei dati, delle informazioni e dei documenti”. A sua
volta l’art. 7 del d.lgs. n. 33/2013 precisa che “1. I documenti, le informazioni e i dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente, resi disponibili anche a seguito dell'accesso civico di
cui all'articolo 5, sono pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell'articolo 68 del Codice
dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e sono riutilizzabili ai sensi
del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, senza ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la fonte e di
rispettarne l'integrità”.
Peraltro il legislatore ha dimostrato in questa occasione una notevole attenzione ai dettagli,
introducendo una disciplina sulle modalità tecniche di pubblicazione particolarmente analitica
e precisa, al fine di assicurare la piena e tempestiva realizzazione in concreto degli obiettivi
descritti dagli artt. 6 e 7 dianzi richiamati (tanto è vero che la circolare n. 2/2013 del
Dipartimento della Funzione Pubblica non aggiunge niente circa le modalità tecniche di
pubblicazione descritte dal d.lgs. n. 33/2013, limitandosi a rimarcare la necessità di assicurare
la completezza e facilità di consultazione delle informazioni).
Ciò si spiega tenendo conto del fatto che, in una materia come questa, l’effettiva e agevole
conoscibilità e utilizzabilità delle informazioni è condizione imprescindibile per “rendere effettivo
quel principio di accessibilità totale delle informazioni che rischierebbe, altrimenti, di non godere di adeguate
garanzie di attuazione. Se l’accessibilità totale è funzionale allo scopo di consentire il controllo democratico
sull’azione dei pubblici poteri per verificarne la rispondenza alle regole di imparzialità e buona
61. Al riguardo si segnala la previsione dell’art. 15, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013, secondo cui, in materia di conferimento
di incarichi dirigenziali, “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati cui ai commi 1 e 2 entro tre mesi dal conferimento dell'incarico e per
i tre anni successivi alla cessazione dell'incarico”.
62. Cfr. l’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, a mente del quale “Ai fini del presente decreto, per pubblicazione si intende la
pubblicazione, in conformità alle specifiche e alle regole tecniche di cui all'allegato A, nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni dei
documenti, delle informazioni e dei dati concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, cui corrisponde il diritto di
chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione”.
39
amministrazione, allora l’obiettivo non può essere solo (o meglio, non deve essere solo) quello di rendere
pubbliche le informazioni relative all’attività amministrativa, ma anche quello di garantirne integrità e
completezza e rendere le stesse comprensibili” 63.
Le modalità di pubblicazione sono individuate dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013,
che rinvia alle specifiche tecniche descritte nell’Allegato A ed all’art. 9 dello stesso decreto.
All’art. 9 si legge che:
- “nell’home page dei siti istituzionali è collocata un'apposita sezione denominata “Amministrazione
trasparente”, al cui interno sono contenuti i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi della
normativa vigente;
- le amministrazioni non possono disporre filtri e altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca
web di indicizzare ed effettuare ricerche all'interno della sezione “Amministrazione trasparente”.
- “alla scadenza del termine di durata dell'obbligo di pubblicazione…le informazioni e i dati sono comunque
conservati e resi disponibili…all'interno di distinte sezioni del sito di archivio, collocate e debitamente segnalate
nell'ambito della sezione “Amministrazione trasparente”.
L’Allegato A descrive il modello di pubblicazione dei dati nel modo seguente:
- “la sezione dei siti istituzionali denominata “Amministrazione trasparente” deve essere organizzata in sottosezioni, all'interno delle quali devono essere inseriti i documenti, le informazioni e i dati previsti dal presente
decreto” (la struttura delle sottosezioni è analiticamente descritta nella stessa Tabella A.: n.d.r.);
- la sezione “Amministrazione trasparente” deve essere organizzata in modo che cliccando sull'identificativo di
una sotto-sezione sia possibile accedere ai contenuti della sotto-sezione stessa, o all'interno della stessa pagina
“Amministrazione trasparente” o in una pagina specifica relativa alla sotto-sezione…è necessario che i
collegamenti ipertestuali associati alle singole sotto-sezioni siano mantenute invariate nel tempo, per evitare
situazioni di "collegamento non raggiungibile" da parte di accessi esterni”;
- l'elenco dei contenuti indicati per ogni sotto-sezione sono da considerarsi i contenuti minimi che devono essere
presenti nella sotto-sezione stessa, ai sensi del presente decreto. In ogni sotto-sezione possono essere comunque
inseriti altri contenuti, riconducibili all'argomento a cui si riferisce la sotto-sezione stessa, ritenuti utili per
garantire un maggior livello di trasparenza. Eventuali ulteriori contenuti da pubblicare ai fini di trasparenza e
non riconducibili a nessuna delle sotto-sezioni indicate devono essere pubblicati nella sotto-sezione "Altri
contenuti".
3.5.4. I limiti alla trasparenza. Il ruolo del Garante della protezione dei dati personali.
Il d.lgs. n. 33/2013 contiene alcune disposizioni in materia di “limiti alla trasparenza”,
che è opportuno prima di tutto richiamare nel loro tenore testuale.
In base all’art. 2 del d.lgs. “la trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di
segreto d'ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio
democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia
ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione”.
63. Così Canaparo, op. cit.
40
Vi è poi l’art. 4 dello stesso d.lgs., secondo cui:
“4. Nei casi in cui norme di legge o di regolamento prevedano la pubblicazione di atti o documenti, le pubbliche
amministrazioni provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari,
non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della pubblicazione.
5. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la
relativa valutazione sono rese accessibili dall'amministrazione di appartenenza. Non sono invece ostensibili, se
non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti la natura delle infermità e degli impedimenti personali o
familiari che causino l'astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il
rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l'amministrazione idonee a rivelare taluna delle informazioni di
cui all'articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 196 del 2003 64.
6. Restano fermi i limiti alla diffusione e all'accesso delle informazioni di cui all'articolo 24, comma 1 e 6,
della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche, di tutti i dati di cui all'articolo 9 del decreto
legislativo 6 settembre 1989, n. 322, di quelli previsti dalla normativa europea in materia di tutela del segreto
statistico e di quelli che siano espressamente qualificati come riservati dalla normativa nazionale ed europea in
materia statistica, nonché quelli relativi alla diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale.
8. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente decreto i servizi di aggregazione, estrazione e
trasmissione massiva degli atti memorizzati in banche dati rese disponibili sul web”.
Inoltre va ricordato che l’art. 50 del Codice dell’amministrazione digitale -oltre a prevedere che
“i dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle
condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati”- fa
espressamente salvi “i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in
materia di protezione dei dati personali”.
Pertanto, al di là delle disposizioni specifiche contenuta nell’art. 4, deve in via generale
osservarsi che -soprattutto richiamando all’art. 2 l’intero impianto normativo sulla protezione
dei dati personali- il legislatore ha inteso “far interagire” la nuova disciplina sulla trasparenza
con i limiti generali previsti in materia di accesso, primo fra tutti la tutela della riservatezza, il
che dovrebbe condurre ad applicare in subiecta materia le disposizioni di cui all’art. 24 della legge
n. 241/1990, nonché quelle (a tale disposizione correlate) contenute negli artt. 59 e 60 del
d.lgs. n. 196/2003.
Questa scelta ha però delle ricadute operative di non facile lettura, nella parte in cui dà vita ad
una “acrobatico tentativo di mediazione” tra due obiettivi che possono apparire a prima vista
inconciliabili: quello di creare un nuovo sistema di aperta e incondizionata ostensione dei dati e
quello di tutelare, comunque, la riservatezza dei terzi titolari dei dati stessi 65.
64. Si tratta dei cd. dati sensibili, “idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni
politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
65. Osserva, al riguardo, G. Cumin, Il “nuovo” diritto civico di accesso, con particolare riguardo alla giurisdizione del G.A.,
su Lexitialia.it: “Qui il profilo problematico attiene alla impossibilità di esattamente configurare ex ante il perimetro dell’area da proteggere,
41
Ad ogni modo, nel tentativo di trovare delle soluzioni convincenti, si propone una possibile
schematizzazione dei limiti alla “nuova trasparenza” nei termini di seguito esposti:
- non sono ostensibili le notizie concernenti le malattie e gli impedimenti familiari dei
dipendenti dell’amministrazione, i dati utilizzati per la loro valutazione e le notizie
idonee a rivelare dati sensibili degli stessi lavoratori (viceversa tutti gli altri dati inerenti
alla prestazione lavorativa, specialmente intesa come performance, sono soggetti alla
trasparenza);
- non sono ostensibili i dati squisitamente tecnici relativi alle operazioni che consentono
l’aggregazione, l’estrazione e la trasmissione dei dati nei data base (sia perché si tratta di
dati non utili alla collettività, sia per proteggere le stesse banche dati da “aggressioni
esterne”);
- vengono trasfusi in materia di trasparenza i limiti già previsti dalla normativa vigente in
materia di “accesso tradizionale”: sia i “limiti fondamentali” previsti dal comma 1
dell’art. 24 della legge n. 241/1990 (segreto di Stato; procedimenti tributari; atti
amministrativi normativi, generali, di pianificazione e di programmazione; dati
psicoattitudinali di terzi acquisiti in concorsi o selezioni pubbliche), sia i “limiti
fondamentali ulteriori” delineati dal regolamento governativo all’interno degli ambiti
individuati dal comma 6 dell’art. 24 legge n. 241/1990 (lesione alla sicurezza, difesa e
sovranità nazionale ovvero alle relazioni internazionali; pregiudizio alla politica
monetaria e valutaria; tutela dell'ordine pubblico e della lotta alla criminalità; tutela della
riservatezza di terzi; contrattazione collettiva nazionale di lavoro), sia, infine, quelli
relativi al cd. “segreto statistico” e quelli relativi ai dati cd. “supersensibili” delle
persone (salute e vita sessuale).
Inoltre assume rilievo la disposizione contenuta all’art. 11 del Codice sulla protezione dei
dati personali, secondo cui: “1. I dati personali oggetto di trattamento sono: a) trattati in modo lecito e
secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre
operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d)
pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e)
conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a
quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”; e qui ai nostri fini
giacché la riservatezza alla cui tutela ciascun singolo individuo ritiene di aver diritto non può prescindere in modo assoluto dalla dimensione
idiosincratica del proprio percepirsi in relazione agli altri. La P.A. in possesso di dati che, resi conoscibili all’esterno, siano tali da ledere il diritto
alla riservatezza di singoli individui, sarà dunque costretta ad attivare un apposito procedimento amministrativo, al cui interno acquisire l’interesse
dei titolari dei dati in considerazione alla loro diffusione o meno. Con il procedimentalizzarsi della funzione però emerge proprio quella struttura di
potere dalla quale legislatore delegato aveva voluto affrancarsi con la creazione del diritto civico di accesso. Ove il diritto civico di accesso interferisca
con la tutela dei dati personali il legislatore delegato è costretto a contraddirsi, ammettendo in tesi quanto negato in ipotesi: ovverossia
l’omologazione fra diritto civico di accesso e diritto di accesso ai documenti amministrativi. Infatti se, come meglio si preciserà in seguito, la
posizione della P.A. in possesso dei dati sensibili in precedenza considerati, in relazione al diritto civico d’accesso che li riguardi, venga prefigurata
come di obbligo non condizionato, piuttosto che come di potere "debole", non è dato comprendere come l’esercizio delle prerogative di cui al
combinato disposto degli art. 60, D.Lgs. n. 196/2003 e 24, ultimo comma, della legge n. 241/1990 possa ritenersi compatibile con i canoni
prefigurati dall’art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013. La clausola di salvezza di cui al secondo comma dell’art. 2 del D.Lgs.n. 33/2013 potrà quindi
rendere giuridicamente compatibili privacy ed obbligo di pubblicazione dei provvedimenti amministrativi: ma non senza compromettere in radice la
intrinseca coerenza della nuova figura giuridica della quale ci stiamo occupando”.
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rilevano soprattutto il principio di esattezza dei dati e quello di proporzionalità del trattamento,
con il corollario della “non eccedenza” del dato e della durata del suo trattamento rispetto alla
finalità della raccolta (che in questo caso è ovviamente la trasparenza).
La difficoltà di contemperare l’attuazione della nuova trasparenza con tutti questi limiti posti a
tutela della riservatezza è accentuata dal fatto che i due valori in gioco -trasparenza e
riservatezza- sono affidati alle cure di due autorità indipendenti distinte -la CIVIT ed il
Garante per la protezione dei dati personali- le quali non necessariamente coordinano la loro
attività interpretativa, tanto è vero che le due già citate deliberazioni della CIVIT (n. 2/2012 e
n. 50/2013) non affrontano nello specifico il tema dei limiti alla trasparenza, così come la
Circolare n. 2/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica dedica loro un capoverso assai
sintetico e generico.
In definitiva di questa problematica si è occupato a fondo soprattutto il Garante per la
protezione dei dati personali, prima di tutto sollevando una serie di rilievi (in gran parte
recepiti) allo schema di d.lgs. n. 33/2013 sulla trasparenza dei dati personali.
Ma soprattutto il Garante, con deliberazione 2 marzo 2011, n. 88, ha approvato specifiche
“Linee guida in materia di trattamento di dati personali effettuato da soggetti pubblici per finalità di
pubblicazione e di diffusione sul web di atti e documenti adottati dalle pubbliche amministrazioni”66, le quali
-pur essendo state adottate quando ancora non esisteva il d.lgs. n. 33/2013- conservano parte
della loro attualità, giacchè, come si è osservato, un primo nucleo fondamentale di misure in
chiave di trasparenza delle pubbliche amministrazioni era stato in precedenza introdotto dal
d.lgs. n. 150/2009.
Nella citata deliberazione il Garante ha osservato che -a fronte delle numerose disposizioni che
prevedono la pubblicazione on line di atti e documenti amministrativi contenenti dati personali“occorre individuare idonei accorgimenti volti ad assicurare forme corrette e proporzionate di conoscibilità di tali
informazioni impedendo la loro indiscriminata e incondizionata reperibilità in Internet, garantendo il rispetto
dei principi di qualità ed esattezza dei dati e delimitando la durata della loro disponibilità on line”67,
individuando sia accorgimenti riferibili a qualunque tipo di dato personale sia misure
applicabili alle specifiche tipologie di dati personali per le quali è prevista la pubblicazione
obbligatoria.
66. Tali “Linee guida” costituiscono il naturale approfondimento dei rilievi già svolti dal Garante con la deliberazione 19
aprile 2007, n. 17, recante “Linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e
documenti di enti locali”.
67. Il Garante ha evidenziato altresì che “la diffusione indiscriminata di dati personali basata su un malinteso e dilatato principio di
trasparenza può determinare conseguenze gravi e pregiudizievoli tanto della dignità delle persone quanto della stessa convivenza sociale. Pericoli
questi che si dilatano ulteriormente quando la diffusione dei dati e la loro messa a disposizione avvenga on line. Infatti, questo metodo di diffusione
presenta pericoli e criticità specifiche che vanno dalla difficoltà di garantire che i dati siano a disposizione solo per un periodo determinato dalla
normativa di settore (nei casi in cui tali norme prevedano un termine), sia che i dati siano conosciuti solo da chi abbia diritto a conoscerli (nei casi
in cui il diritto non è esteso a tutti ma solo a certe categorie di cittadini) sia, infine, che i dati non possano essere manipolati o indebitamente
acquisiti e archiviati da chi dovrebbe al massimo limitarsi a prenderne conoscenza (come avviene nel caso in cui non siano adottate adeguate misure
di sicurezza). Infine, deve sempre essere tenuto presente il pericolo oggettivo costituito dai motori di ricerca che “decontestualizzano il dato”
estrapolandolo dal sito in cui è contenuto, e trasformandolo in una parte, non controllata e non controllabile, delle informazioni che di una persona
sono date dal motore di ricerca stesso, secondo una “logica” di priorità di importanza del tutto sconosciuta e non conoscibile all’utente”.
43
Gli accorgimenti di carattere generale riguardano i motori di ricerca, il periodo di
diffusione dei dati, i rischi connessi alla duplicazione massiva dei file contenenti dati personali,
l’esigenza di garantire l’aggiornamento e l’esattezza di tali dati.
Quanto ai motori di ricerca, in primo luogo, è necessario preliminarmente verificare se i dati
possano essere reperiti anche mediante motori di ricerca esterni del web ovvero solo all’interno
dei siti istituzionali e la seconda soluzione va privilegiata, “in quanto assicura accessi maggiormente
selettivi e coerenti con le finalità di volta in volta sottese alla pubblicazione assicurando, nel contempo, la
conoscibilità sui siti istituzionali delle informazioni che si intende mettere a disposizione. Si pensi al caso della
pubblicazione delle informazioni e di dati nell’apposita sezione del sito istituzionale dell’amministrazione
denominata “Trasparenza, valutazione e merito” di cui si prevede, per facilitarne l’accesso e la consultazione, la
raggiungibilità da un link posto nella pagina iniziale del sito stesso”; osserva ancora il Garante, al
riguardo, che “una volta trascorso il periodo di tempo specificatamente individuato, “determinate notizie,
documenti o sezioni del sito devono essere rimossi dal web o privati degli elementi identificativi degli interessati
ovvero, in alternativa, laddove l’ulteriore diffusione dei dati sia volta a soddisfare esigenze di carattere storicocronologico, gli stessi vanno sottratti all’azione dei comuni motori di ricerca, ad esempio, inserendoli in un’area
di archivio consultabile solo a partire dal sito stesso o in un’area ad accesso riservato”; di conseguenza le
amministrazioni dovrebbero porre in essere accorgimenti tecnici in grado di evitare che i dati
pubblicati nei loro siti istituzionali interagiscano con i motori di ricerca esterni.
Quanto alla durata della pubblicazione del dato, “le esigenze di trasparenza, pubblicità e consultabilità
degli atti…devono comunque tenere conto della necessità di individuare un congruo periodo di tempo entro il
quale devono rimanere disponibili (in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato), che non può
essere superiore al periodo ritenuto, caso per caso, necessario al raggiungimento degli scopi per i quali i dati stessi
sono resi pubblici. Come detto, la diffusione illimitata e continua in Internet di dati personali relativi ad una
pluralità di situazioni riferite ad un medesimo interessato, costantemente consultabili da molteplici luoghi e in
qualsiasi momento, può comportare conseguenze pregiudizievoli per le persone interessate, specie se si tratta di
informazioni non più aggiornate o relative ad avvenimenti risalenti nel tempo contenute anche in atti e
provvedimenti amministrativi reperibili on line che hanno già raggiunto gli scopi per i quali si era reso
necessario renderli pubblici…”, peraltro su questo specifico aspetto il Garante ha operato una
distinzione, osservando che “nelle ipotesi in cui specifiche disposizioni di settore individuino determinati
periodi di tempo per la pubblicazione di atti e documenti, i soggetti pubblici sono tenuti ad assicurare il rispetto
dei limiti temporali previsti, rendendoli accessibili sul proprio sito web solo durante il circoscritto ambito
temporale individuato dalle disposizioni normative di riferimento.. Nei casi in cui, invece, la disciplina di settore
non stabilisce un limite temporale alla pubblicazione degli atti, vanno individuati - a cura delle amministrazioni
interessate - congrui periodi di tempo entro i quali mantenerli on line. La predetta congruità va commisurata alle
esigenze sottese alle finalità di trasparenza, di pubblicità o di consultabilità di volta in volta perseguite”.
Dal che parrebbe doversi desumere, calando il discorso all’interno della normativa sulla
trasparenza introdotta nel 2013, che il periodo di pubblicazione di cinque anni (e comunque
fino a che gli atti pubblicati producono i loro effetti) previsto dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n.
33/2013, sia intangibile, per cui il giudizio di proporzionalità in ordine alla durata di
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pubblicazione dovrebbe riguardare esclusivamente periodi eccedenti questa durata minima68.
Quanto poi all’obbligo di garantire l’aggiornamento e l’esattezza dei dati personali -derivante
dal combinato disposto dell’art. 11, comma 1, lett. c), del Codice per il trattamento dei dati
personali, secondo il quale i dati personali oggetto di trattamento devono essere “esatti e, se
necessario, aggiornati”, e dell’art. 54, comma 4, del Codice dell’amministrazione digitale,
secondo cui “le pubbliche amministrazioni garantiscono che le informazioni contenute sui siti siano conformi
e corrispondenti alle informazioni contenute nei provvedimenti amministrativi originali dei quali si fornisce
comunicazione tramite il sito” - il Garante ha evidenziato la necessità di adottare “idonee misure per
eliminare o ridurre il rischio di cancellazioni, modifiche, alterazioni o decontestualizzazioni delle informazioni e
dei documenti resi disponibili tramite Internet”69.
Passando agli accorgimenti relativi alle singole categorie di dati personali per le quali è
prevista la pubblicazione obbligatoria, il Garante ha osservato che non tutti i dati personali
sono ugualmente suscettibili di pubblicazione, in quanto “le pubbliche amministrazioni sono tenute a
verificare in concreto quali siano i dati personali, ritenuti pertinenti per il corretto svolgimento delle proprie
funzioni istituzionali, che devono essere resi conoscibili mediante la loro messa a disposizione sui siti
istituzionali (artt. 11, 18 e 19 del Codice)”, ed “il procedimento di selezione dei dati personali che possono
essere resi conoscibili on line deve essere particolarmente accurato nei casi in cui tali informazioni siano di tipo
sensibile o giudiziario o, in particolare, qualora riguardino dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale. Un quadro di garanzie particolarmente stringente protegge, infatti, i dati sensibili e giudiziari
prevedendo espressamente che i soggetti pubblici possono trattare tali informazioni solo se in concreto
indispensabili per svolgere le attività istituzionali che non possono essere adempiute, caso per caso, mediante il
trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa (art. 22 del Codice)”.
Tuttavia questo rilievo appare in larga misura depotenziato dal d.lgs. n. 33/2013, il quale
individua analiticamente quali dati debbano essere pubblicati e con quali contenuti e modalità,
anche se non mancano aspetti ancora da definire compiutamente.
Con specifico riferimento all’obbligo di pubblicare i curricula dei soggetti indicati dall’art.
11, comma 8, lettere e), f), e h), del decreto legislativo n. 150/2009 70, il Garante ha
68. Per una delle prime applicazioni dei principi affermati nella delibera 2 marzo 2011, n. 88, si veda il provvedimento 23
febbraio 2012, n. 73, con cui il Garante si è pronunciato sulla segnalazione di un soggetto che lamentava la diffusione, da
parte di un Comune, di suoi dati e informazioni personali contenuti in una deliberazione della Giunta comunale, pubblicata
nel sito web istituzionale del predetto Comune (all’interno della sezione dedicata all’albo pretorio on line); il Garante ha
ribadito che “nelle ipotesi in cui specifiche disposizioni di settore individuino determinati periodi di tempo per la pubblicazione di atti e
provvedimenti amministrativi (es., art. 124, d.lgs. n. 267/2000 riguardante le deliberazioni del comune e della provincia che devono essere affisse
all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi), i soggetti pubblici sono tenuti ad assicurare il rispetto dei limiti temporali
previsti, rendendoli accessibili sul proprio sito web durante il circoscritto ambito temporale individuato dalle disposizioni normative di riferimento,
anche per garantire il diritto all’oblio degli interessati» e che «trascorsi i predetti periodi di tempo specificatamente individuati, determinate
notizie, documenti o sezioni del sito devono essere rimossi dal web o privati degli elementi identificativi degli interessati”.
69. Secondo il Garante “un utile accorgimento consiste, ad esempio, nell’indicazione, tra i dati di contesto riportati all’interno del contenuto
informativo dei documenti, delle fonti attendibili per il reperimento dei medesimi documenti. Un ulteriore accorgimento la cui adozione potrà essere
valutata dalle amministrazioni interessate, anche in relazione a specifiche categorie di documenti, è l’utilizzo di certificati e firma digitale, in modo
da assegnare una data asseverabile di creazione del documento che può essere validata con certezza e che consente, a chi faccia uso di quel
documento, di verificarne l’attendibilità in qualsiasi momento”.
70. Si tratta, in particolare, dei seguenti dati: “e) i nominativi ed i curricula dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione e
del Responsabile delle funzioni di misurazione della performance di cui all'articolo 14; f) i curricula dei dirigenti e dei titolari di posizioni
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affermato che -sebbene nell’art. 11, comma 8, lett. f), del decreto legislativo n. 150/2009 sia
contenuto un espresso riferimento alla pubblicazione di tali curricula “redatti in conformità al
vigente modello europeo”- tale previsione normativa non può comportare la riproduzione di tutti i
contenuti del curriculum sul sito web dell’amministrazione, in ragione unicamente delle finalità di
trasparenza perseguite, giacché il modello del curriculum europeo “contiene l’indicazione di dati
personali eccedenti o non pertinenti rispetto alle legittime finalità di trasparenza perseguite, in quanto risponde
alle diverse esigenze di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e la valutazione di candidati. Prima
di pubblicare sul sito istituzionale il curriculum europeo va quindi operata una selezione delle informazioni in
esso contenute ritenute pertinenti in relazione agli incarichi svolti o alle funzioni pubbliche ricoperte dal
personale interessato quali, ad esempio: informazioni personali (dati anagrafici, amministrazione di
appartenenza, qualifica e/o incarico ricoperto, recapito telefonico dell’ufficio, e-mail istituzionale); dati
riguardanti i titoli di studio e professionali, le esperienze lavorative (incarichi ricoperti, capacità linguistiche e
nell’uso delle tecnologie, partecipazione a convegni e seminari, pubblicazioni, collaborazione a riviste, ecc.);
ulteriori informazioni di carattere professionale indicate dall’interessato”.
Ma al riguardo va osservato che l’art. 10, comma 8, lett. d), del d.lgs. n. 33/2013, relativamente
ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, di collaborazione o
consulenza, nonché dei titolari di posizioni organizzative, continua a imporre (anche dopo
quella pronuncia del Garante) la pubblicazione dei “curricula…redatti in conformità al vigente modello
europeo”, per cui la problematica sopra evidenziata continua a porsi anche alla luce della nuova
disciplina.
Inoltre, sempre secondo il Garante, quanto agli aspetti squisitamente retributivi del
rapporto di impiego, “non appare giustificato riprodurre sul web informazioni quali i cedolini dello
stipendio, dati di dettaglio risultanti dalle dichiarazioni fiscali, oppure riguardanti l’orario di entrata e di uscita
di singoli dipendenti, l’indirizzo del domicilio privato, il numero di telefono e l’indirizzo di posta elettronica
personale (diversi da quelli ad uso professionale), ovvero informazioni attinenti allo stato di salute di persone
identificate, quali le assenze verificatesi per ragioni di salute”; fermo restando, comunque, l’obbligo di
comunicazione dei compensi per gli incarichi dirigenziali e di vertice ancorché conferiti a
propri dipendenti, ripetutamente affermato dal d.lgs. n. 33/2013, prima di tutto all’art. 15,
comma 1, lett. d).
Specifico rilievo assumono infine gli accorgimenti suggeriti dal Garante in occasione di
concorsi e selezioni pubbliche. Al riguardo -dopo aver ricordato che l’ordinamento prevede
particolari forme di pubblicità per gli esiti delle prove concorsuali e delle graduatorie finali di
concorsi e selezioni pubbliche (es. affissione presso la sede degli esami, pubblicazione nel
bollettino dell’amministrazione interessata o, per gli enti locali, all’albo pretorio) e che tale
regime di conoscibilità assolve principalmente la funzione di rendere note le decisioni adottate
dalla commissione esaminatrice e dall’ente pubblico procedente anche per consentire il
organizzative, redatti in conformità al vigente modello europeo; g) le retribuzioni dei dirigenti, con specifica evidenza sulle componenti variabili della
retribuzione e delle componenti legate alla valutazione di risultato; h) i curricula e le retribuzioni di coloro che rivestono incarichi di indirizzo
politico amministrativo”.
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controllo sulla regolarità delle procedure concorsuali o selettive da parte dei soggetti
interessati- il Garante ha evidenziato che “devono ritenersi appropriate quelle modalità di diffusione on
line di graduatorie, esiti e giudizi concorsuali che consentono di rendere agevolmente conoscibili agli interessati i
dati personali ivi riportati consultando il sito istituzionale dell’amministrazione pubblica competente, evitando
nel contempo che i medesimi dati siano liberamente reperibili utilizzando i comuni motori di ricerca esterni”71 e
che “devono ritenersi certamente pertinenti ai fini della pubblicazione on line gli elenchi nominativi ai quali
vengano abbinati i risultati di prove intermedie, gli elenchi di ammessi a prove scritte o orali, i punteggi riferiti a
singoli argomenti di esame, i punteggi totali ottenuti”, mentre è da ritenersi “eccedente la pubblicazione di
dati concernenti il recapito di telefonia fissa o mobile, l’indirizzo dell’abitazione o dell’e-mail, i titoli di studio,
il codice fiscale, l’indicatore Isee, il numero di figli disabili, i risultati di test psicoattitudinali”.
Non va poi dimenticato che il Garante ha costantemente svolto attività interpretativa di
dettaglio circa le modalità di applicazione della normativa sulla protezione dei dati
personali, risolvendo casi specifici72, nonché dettando “Linee guida” relativamente ad
71. Secondo il Garante “a tale scopo è possibile, ad esempio, attribuire ai partecipanti alla procedura concorsuale credenziali di autenticazione
(es. username o password, n. di protocollo o altri estremi identificativi forniti dall’ente agli aventi diritto) per consentire agli stessi di accedere
agevolmente ad aree del sito istituzionale nelle quali possono essere riportate anche eventuali ulteriori informazioni rese disponibili ai soli aventi
diritto sulla base della normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi (elaborati, verbali, valutazioni, documentazione relativa a
titoli anche di precedenza o preferenza, pubblicazioni, curricula, ecc.)”.
72. Significativo, al riguardo, è il provvedimento del Garante in data 6 maggio 2008, con il quale è stata inibita all’Agenzia
delle entrate la ulteriore diffusione sul proprio sito Internet degli elenchi nominativi, relativi all’anno 2005, dei contribuenti
che hanno presentato dichiarazioni ai fini dell’imposta sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché la diffusione con
modalità analoghe per i periodi di imposta successivi, in difetto di un’idonea base normativa e della preventiva consultazione
del Garante. Infatti - sulla base della disciplina posta dall’art. 69 del d.P.R. n. 600/1973 (come modificato dall’art. 19 della
legge n. n. 413/1991) e dall’art. 66-bis del d.P.R. n. 633/1972 (successivamente modificati dall’art. 42, comma 1, del decreto
legge n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008) - il Direttore dell’Agenzia delle entrate, con provvedimento in data 5
marzo 2008 aveva disposto che i predetti elenchi, oltre ad essere distribuiti agli uffici dell’Agenzia e trasmessi ai comuni
mediante sistemi telematici, fossero altresì pubblicati nell’apposita sezione del sito Internet dell’Agenzia
(http://www.agenziaentrate.gov.it). Tuttavia il Garante ha giudicato non lecita tale modalità di pubblicazione evidenziando
che: a) il provvedimento del Direttore dell’Agenzia poteva stabilire solo “i termini e le modalità” per la formazione degli
elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica
modalità, la distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell’Agenzia e la loro trasmissione, anche
mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli
contribuenti dell’ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro deposito per la durata di un anno
e della loro consultazione -senza che sia prevista la facoltà di estrarne copia- da parte di chiunque; b) il Codice
dell’amministrazione digitale, invocato dall’Agenzia a sostegno della propria scelta, incentiva l’uso delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione nell’utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il Codice stesso fa
espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti (come avviene nel menzionato art. 69),
nonché le norme e le garanzie in tema di protezione dei dati personali (artt. 2, comma 5 e 50 d.lg. 7 marzo 2005, n. 82); c) la
predetta messa in circolazione sul web dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica e
disposta senza metterne a conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione sproporzionata in
rapporto alle finalità per le quali l’attuale disciplina prevede una relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non
presso ciascun ambito territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all’estero. L’innovatività di tale
modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell’Agenzia, non traspariva dalla generica informativa resa ai contribuenti nei
modelli di dichiarazione per l’anno 2005. L’Agenzia non ha previsto “filtri” nella consultazione on-line e ha reso possibile ai
numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della
consultazione a livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in cui la predetta sezione
del sito web è risultata consultabile, di accedere a innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare
archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, e immettere tali informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni
casi, in vendita. Con ciò ponendo anche a rischio l’esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di garantire che essi non
siano consultabili trascorso l’anno previsto dalla menzionata norma.
Inoltre, sempre in relazione all’attività delle pubbliche amministrazioni, meritano di essere richiamate le “Linee guida sui dati
dei pubblici dipendenti nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro - deliberazione 14 giugno 2007, n. 23”.
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aspetti specifici dell’attività, tra l’altro anche del settore sanitario73.
Degno di nota, sul punto, è un recente provvedimento74 con cui il Garante ha fatto oscurare
dai siti web di dieci Comuni italiani i dati personali contenuti in alcune ordinanze sindacali che
disponevano il trattamento sanitario obbligatorio per alcuni cittadini.
Difatti in quelle ordinanze erano indicati “in chiaro” -non solo i dati anagrafici (nome,
cognome, luogo e data di nascita) e la residenza degli interessati, ma anche- la patologia
sofferta (ad es. con la dicitura “infermo mentale”) e altri dettagli ritenuti eccessivi, quali ad
esempio l'indicazione di “persona affetta da manifestazioni di ripetuti tentativi di suicidio”.
Il trattamento dei dati effettuato dai Comuni è stato dunque considerato illecito, giacché le
disposizioni del Codice sulla protezione dei dati personali vietano espressamente la diffusione
di dati idonei a rivelare lo stato di salute delle persone (e ora lo stesso divieto è stato trasfuso
nell’art. 4 del d.lgs. n. 33/2013: vedi supra). Per giunta le ordinanze incriminate - oltre ad essere
consultabili sui siti web istituzionali mediante links che rimandavano all'archivio atti dell'ente,
erano divenute reperibili anche su molti più motori di ricerca web, semplicemente digitando il
nome delle persone interessate.
Nel sancire il divieto di ulteriore diffusione dei dati, il Garante ha prescritto alle
amministrazioni comunali di oscurare dal proprio sito i dati personali e porre in essere le
iniziative necessarie affinché siano rimosse da tutto il web (indici e cache dei motori di ricerca) le
ordinanze e qualunque altro atto avente ad oggetto quei dati.
3.6. Il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità75.
Il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità76 è il documento che ciascuna
73. Si richiamano, al riguardo, le “Linee guida in materia di sperimentazione di farmaci - deliberazione 24 luglio 2008, n. 52”,
le “Linee guida in materia di referti sanitari online - deliberazione 19 novembre 2009, n. 36 e le “Linee guida in materia di siti
web dedicati specificamente alla salute - deliberazione 25 gennaio 2012, n. 31.
74. Provvedimento 7 marzo 2013, n. 96.
75. Il sistema di pianificazione che ci accingiamo a descrivere presenta un evidente tasso di complessità e per evitare che lo
stesso sia vissuto soltanto come una “inutile complicazione” è necessario approcciarsi alla strumentazione formale imposta
dal legislatore con metodo pragmatico, perseguendo gli obiettivi sostanziali della nuova disciplina.
Indubbiamente permangono, comunque, aspetti di criticità e al riguardo si riportano le osservazioni svolte da Mattarella, op.
cit. “Si tratta di un nuovo processo di pianificazione a cascata, che è certamente una scommessa dagli esiti incerti, sulla quale incombono le
difficoltà che ogni processo del genere incontra e le specifiche difficoltà di questa materia, testimoniate dall'esperienza finora non soddisfacente soprattutto per quanto riguarda il profilo dell'integrità - dei menzionati programmi (12). Il piano nazionale potrà funzionare se saprà delineare
una strategia complessiva di lotta alla corruzione, da svolgere a diversi livelli, e se avrà un forte supporto politico. I piani delle amministrazioni
potranno funzionare se si adatteranno alle peculiarità di ogni amministrazione e se saranno abbastanza concreti da consentire una verifica del loro
rispetto e delle connesse responsabilità. Considerando che la logica è mutuata dalla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, essi dovranno introdurre chiari meccanismi organizzativi e procedimentali volti a impedire o a far emergere i fatti di corruzione. Anche
essi avranno bisogno di un energico sostegno da parte dei vertici delle amministrazioni, che consentano loro di affrontare i reali problemi di
malcostume che possono affliggere le singole amministrazioni. Il rischio è che il processo abbia un'attuazione meramente burocratica, che il piano
nazionale si risolva in un elenco di vaghe promesse ed enunciazioni di principio, che i piani delle amministrazioni contengano previsioni non meno
vaghe e riproducano regole già scritte in leggi e codici di comportamento, che i responsabili della prevenzione della corruzione interpretino il loro
ruolo producendo carta, nella forma di lettere di sollecito rivolte ai vari uffici, per precostruirsi l'esonero da responsabilità. Considerando la difficoltà
di elaborare simili documenti in modo efficace, è probabile che, almeno in una prima fase, questi rischi si concretizzino in una certa misura ed è
auspicabile che, attraverso le indicazioni delle autorità nazionali, vi sia un progressivo miglioramento”.
76. Già previsto dal d.lgs. n. 150/2009, del quale la nuova disciplina, pur apportando alcune novità, ricalca sostanzialmente
l’impianto, anche in relazione alla stretta correlazione con la disciplina in materia di performance dei pubblici dipendenti.
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amministrazione è tenuta ad approvare al fine di pianificare e razionalizzare le misure
necessarie alla piena ed efficiente attuazione delle nuove misure in materia di trasparenza e ad
armonizzarle con la propria struttura organizzativa e attività istituzionale77.
Il Programma, per la cui approvazione l’amministrazione deve previamente sentire le
associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, deve essere
annualmente aggiornato e, quanto al suo contenuto di dettaglio, ha la funzione di definire “le
misure, i modi e le iniziative volti all'attuazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa
vigente, ivi comprese le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi
informativi di cui all'articolo 43, comma”.
È stato correttamente osservato 78 che “Con il predetto Programma, ciascuna amministrazione può
definire le modalità applicative del quadro dispositivo generale sulla trasparenza (comunque inderogabile)
tenendo conto della diversità della realtà amministrativa ed evitare così distorsioni, o ancor più “cortocircuiti”,
nella nuova rete informativa e favorire la sostenibilità degli stringenti adempimenti. Il rischio da scongiurare è
quello di una burocratizzazione del sistema in ragione di Programmi che non siano in grado effettivamente di
corrispondere a quelle esigenze naturali di flessibilità in quanto non adeguatamente sostenuti dai vertici delle
amministrazioni e/o con contenuti che si limitino a riprendere regole già scritte in leggi o “mere clausole di
stile”. Può tornare utile, in tal senso, quel processo di responsabilizzazione rispetto ai risultati che è alla base
del descritto stretto collegamento tra Programma per la trasparenza e Piano della performance e la correlazione
tra violazione degli adempimenti in tema di trasparenza amministrativa e responsabilità dirigenziale, che
potrebbero entrambe costituire uno stimolo alla migliore programmazione decentrata degli adempimenti in tema
di trasparenza amministrativa, anche interpretando le esigenze di accesso relative a specifiche materie, funzioni
o amministrazioni”.
3.6.1. Tempistica e procedimento di approvazione del Programma per la trasparenza e l’integrità.
Rapporti con i piani per la prevenzione della corruzione.
Per comprendere la disciplina che governa l’approvazione del Programma occorre tenere
conto di due aspetti:
- il primo è che il d.lgs. n. 33/2013 ha riformato la preesistente disciplina in materia di
programmazione della trasparenza, a suo tempo introdotta dall’ormai abrogato art. 11
del d.lgs. n. 150/2009; ciò significa che l’obbligo di pianificazione esisteva già prima e
che quindi molte amministrazioni già erano dotate di un Programma per la trasparenza
e l’integrità, tanto è vero che in sede di prima applicazione la legge n. 221/2012 aveva
disposto che il termine per la sua adozione fosse il 31 marzo 2013 e la CIVIT aveva già
approvato la deliberazione n. 2/2012, con la quale illustrava contenuti e modalità di
approvazione e attuazione del Programma;
77. Il d.lgs. n. 33/2013 disciplina il Programma all’art. 10.
78. Canaparo, op. cit.
49
-
il secondo è che la nuova disciplina ha strettamente collegato, anche sul piano formale,
il Programma sulla trasparenza con il Piano per la prevenzione della corruzione,
prevedendo, in particolare, all’art. 10, comma 2, seconda parte, del d.lgs. n. 33/2013,
che “Le misure del Programma triennale sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le
misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della corruzione. A tal fine, il Programma
costituisce di norma una sezione del Piano di prevenzione della corruzione”.
A ciò consegue, per un verso, che in molti casi non si tratterà di creare un Programma per la
trasparenza ex novo bensì di aggiornarlo (sia alla nuova normativa che alle nuove esigenze e
caratteristiche organizzative delle singole amministrazioni) e, per altro verso, che tale
aggiornamento dovrebbe avvenire di pari passo con l’approvazione dei nuovi piani per la
prevenzione della corruzione delle singole amministrazioni, la quale, a sua volta, deve essere
preceduta dall’approvazione del Piano nazionale per la prevenzione della corruzione.
Giova, pertanto, richiamare la normativa che regola quest’ultima tipologia di piani, che può
essere sintetizzata nei termini seguenti:
- l’art. 1, commi 2, lett. b) e 4, lett. c) della legge n. 190/2012, prevede che il Piano
nazionale anticorruzione sia approvato dalla CIVIT, su proposta del Dipartimento della
funzione pubblica;
- l’art. 1, comma 8, della stessa legge statuisce che, nelle singole amministrazioni,
“L'organo di indirizzo politico, su proposta del responsabile individuato ai sensi del comma 7, entro il
31 gennaio di ogni anno, adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione, curandone la
trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica. L'attività di elaborazione del piano non può
essere affidata a soggetti estranei all'amministrazione. Il responsabile, entro lo stesso termine, definisce
procedure appropriate per selezionare e formare, ai sensi del comma 10, i dipendenti destinati ad
operare in settori particolarmente esposti alla corruzione. Le attività a rischio di corruzione devono
essere svolte, ove possibile, dal personale di cui al comma 11. La mancata predisposizione del piano e
la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiscono
elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale”.
Allo stato attuale il Dipartimento della Funzione Pubblica ha inviato la proposta di Piano
nazionale anticorruzione alla CIVIT, ma quest’ultima non l’ha ancora approvato ed è per
questo che nella Circolare n. 2/2013 del Dipartimento della funzione pubblica si precisa che
(nella stessa proposta di piano nazionale) il Dipartimento ha indicato il 31 gennaio 2014
quale termine entro cui le singole amministrazioni dovranno approvare sia il Piano per
la prevenzione della corruzione che il nuovo Piano per la trasparenza e l’integrità.
In ogni caso va anche sottolineato che la CIVIT, con deliberazione n. 50 del luglio 2013, ha
nel frattempo approvato nuove “Linee guida per l’aggiornamento del Programma per la
trasparenza e l’integrità 2014-2016”, chiarendo che le Amministrazioni potrebbero approvare
o aggiornare il Programma anche subito, seguendo le indicazioni della CIVIT, anche
50
considerato che l’inserimento dello stesso nel Piano anticorruzione non è obbligatoria ma
prevista solo “per regola”; si tratta di una scelta rimessa alle stesse amministrazioni, posto che
nelle Linee guida della CVIT si legge testualmente che “Nelle more dell’adozione del Piano nazionale
anticorruzione…, il termine per l’adozione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità è il 31
gennaio 2014, salvo successive integrazioni al fine di coordinarne i contenuti con quelli del Piano triennale per
la prevenzione della corruzione qualora entro quella data non sia stato adottato anche quest’ultimo”. La
CIVIT ha anche osservato che “Il differimento del termine per l’adozione del Programma risponde a
esigenze di semplificazione volte a non creare duplicazioni di adempimenti da parte delle pubbliche
amministrazioni e a consentire l’adozione di atti programmatori fra loro coerenti e coordinati. Rileva, infatti,
l’esigenza di evitare la nuova rielaborazione del Piano della performance per il triennio 2013-2015 (sul quale
vedi infra: n.d.r.) o di analoghi strumenti di programmazione, volta a garantirne il collegamento con il
Programma triennale per la trasparenza e l’integrità”.
Quanto alle modalità procedimentali di approvazione del Piano, sono ugualmente
esaustive le indicazioni fornite dalla CIVIT con le dianzi citate Linee Guida approvate con la
dianzi richiamata deliberazione n. 50/2013 e con quelle (predenti al d.lgs. n. 33/2013 ma
espressamente definite ancora attuali in parte qua) approvate con la deliberazione n. 2/2012.
Nella più recente deliberazione del 2013 la CIVIT ha osservato che il collegamento fra il Piano
triennale di prevenzione della corruzione e il Programma triennale per la trasparenza e
l’integrità è assicurato dal Responsabile della trasparenza, le cui funzioni79, sono svolte, di
norma, dal Responsabile per la prevenzione della corruzione di cui all’art. 1, comma 7, della
legge n. 190/2012; anche qui, pertanto, le amministrazioni possono scegliere se nominare un
Responsabile per la trasparenza ad hoc o far coincidere le due figure, anche se la CIVIT mostra
di ritenere quest’ultima la soluzione preferibile, avendo precisato che “laddove l’amministrazione
abbia nominato due soggetti distinti per le funzioni in materia di trasparenza e per quelle di prevenzione della
corruzione, essa, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, deve garantire un coordinamento tra i due
soggetti, i cui nomi, si ricorda, devono essere pubblicati anche sul sito istituzionale”.
La proposta di Programma viene materialmente elaborata dal Responsabile della trasparenza e
approvata dall’Organo di indirizzo politico dell’ente.
In fase di predisposizione del Programma e del suo aggiornamento, la CIVIT considera
fondamentale l’avvio di un circuito di “confronto preventivo” in ordine alle criticità
emergenti nella prassi dell’anno precedente, sia con riferimento alle modalità ed
all’organizzazione dell’attività di pubblicazione dei dati sia in relazione ad altri aspetti di non
minore importanza, quale, prima di tutto, il grado di “facile accessibilità e utilizzabilità” dei dati
da parte degli utenti. A questo scopo la stessa CIVIT evidenzia la necessità che le
amministrazioni “raccolgano feedback dai cittadini e dagli stakeholder 80 sul livello di utilità e di
79. Secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013.
80. Secondo la definizione di Wilkipedia.it “Con il termine stakeholder (o portatore di interesse) si individuano i soggetti influenti nei
confronti di un'iniziativa economica, sia essa un'azienda o un progetto. Fanno, ad esempio, parte di questo insieme: i clienti, i fornitori, i
finanziatori (banche e azionisti), i collaboratori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all'azienda o gruppi di
interesse locali”.
51
utilizzazione dei dati pubblicati nonché eventuali reclami sulla qualità delle informazioni pubblicate ovvero in
merito a ritardi e inadempienze riscontrate. La rilevazione del grado di interesse dei cittadini e degli stakeholder
di riferimento consente di effettuare scelte più consapevoli e mirate nell’aggiornamento del Programma triennale”
e che, inoltre, “I risultati aggregati della rilevazione, aggiornati annualmente, andrebbero pubblicati
all’interno della sezione “Trasparenza valutazione e merito” del sito istituzionale. Per ogni categoria di dati
pubblicati sarebbe opportuno riportare il livello di utilità indicato dagli utenti determinato attraverso
metodologie ad hoc, nonché eventuali esperienze di utilizzo dei dati da parte di cittadini, stakeholder, enti di
ricerca, imprese ecc., corredati di link alle pagine web di riferimento. In questa ottica, le amministrazioni
potrebbero indicare nel Programma triennale eventuali collaborazioni con soggetti interessati (università, centri
di ricerca, scuole, associazioni di consumatori, ecc.) all’utilizzo delle informazioni pubblicate per motivi
scientifici nonché per creare e diffondere ulteriore conoscenza anche presso l’opinione pubblica. 81.
3.6.2. I contenuti del Programma nel dettaglio e l’indice indicato dalla CIVIT
Nella deliberazione n. 50/2013 la CIVIT ha fornito indicazioni di dettaglio sul contenuto da
attribuire al Programma triennale per la trasparenza e l’integrità.
Oltre a quanto rilevato in ordine al necessario coordinamento con il Piano delle performance
(tema su cui torneremo più avanti), la Commissione ha formulato le seguenti indicazioni
ulteriori:
- con riferimento alle amministrazioni con organizzazione complessa, “può essere valutata
l’individuazione di referenti per la trasparenza in strutture interne all’amministrazione, anche territoriali. Le
modalità di coordinamento tra il Responsabile della trasparenza e i referenti vanno indicate nel Programma
triennale per la trasparenza e l’integrità”;
- il Programma deve prevedere “specifiche misure di monitoraggio e di vigilanza sull’attuazione degli
obblighi di trasparenza (art. 10, cc. 2 e 7, e art. 43, c. 2, del d.lgs. n. 33/2013), la cui definizione è rimessa
all’autonomia organizzativa delle singole amministrazioni. Si ricorda che alla corretta attuazione del
Programma triennale, come già indicato nella delibera n. 2/2012, concorrono, oltre al Responsabile della
trasparenza, tutti gli uffici dell’amministrazione, sia centrali che periferici e i relativi dirigenti”;
- resta inteso “il necessario rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali ai sensi
dell’art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 33/2013, e, in particolare, della disposizione contenuta nell’art. 4, c. 4, del d.lgs.
n. 33/2013 secondo la quale “nei casi in cui norme di legge o di regolamento prevedano la pubblicazione di
atti o documenti, le pubbliche amministrazioni provvedono a rendere non intelligibili i dati personali non
pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza della
pubblicazione”, nonché di quanto previsto dall’art. 4, c. 6, del medesimo decreto che prevede un divieto di
“diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Inoltre, per facilitarne la materiale redazione, la CIVIT ha predisposto una tabella (allegata
alla deliberazione n. 50/2013) contenente un possibile indice del Programma, nei termini di
81. Cfr. la deliberazione n. 2/2012 della CIVIT.
52
seguito descritti:
“Introduzione: organizzazione e funzioni dell’amministrazione
Organizzazione e funzioni dell’amministrazione, anche con riferimento a particolari strutture interne (ad es.:
corpi e istituti) e agli uffici periferici, laddove presenti.
1. Le principali novità
In questa sezione del Programma vanno evidenziati i principali cambiamenti intervenuti rispetto al Programma
precedente.
2. Procedimento di elaborazione e adozione del Programma
In questa sezione del Programma è opportuno illustrare:
• gli obiettivi strategici in materia di trasparenza posti dagli organi di vertice negli atti di indirizzo;
• i collegamenti con il Piano della performance o con analoghi strumenti di programmazione previsti da
normative di settore;
• l’indicazione degli uffici e dei dirigenti coinvolti per l’individuazione dei contenuti del Programma;
• le modalità di coinvolgimento degli stakeholder e i risultati di tale coinvolgimento;
• i termini e le modalità di adozione del Programma da parte degli organi di vertice;
3. Iniziative di comunicazione della trasparenza
In questa sezione vanno illustrati:
• iniziative e strumenti di comunicazione per la diffusione dei contenuti del Programma e dei dati pubblicati;
• organizzazione e risultati attesi delle Giornate della trasparenza;
4. Processo di attuazione del Programma
In questa sezione occorre fare riferimento a:
• individuazione dei dirigenti responsabili della trasmissione dei dati (nel caso in cui i dati siano archiviati in
una banca dati, per trasmissione si intende sia l’immissione dei dati nell’archivio)”.
3.6.3. Rapporti tra Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e Piano delle performance82
L’art. 10 del d.lgs. n. 33/2013 statuisce, al comma 3, che “Gli obiettivi indicati nel Programma
triennale sono formulati in collegamento con la programmazione strategica e operativa dell'amministrazione,
definita in via generale nel Piano della performance e negli analoghi strumenti di programmazione previsti negli
enti locali. La promozione di maggiori livelli di trasparenza costituisce un'area strategica di ogni
amministrazione, che deve tradursi nella definizione di obiettivi organizzativi e individuali”, al comma 4
aggiunge che “Le amministrazioni pubbliche garantiscono la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di
gestione della performance” e al comma 6 che “Ogni amministrazione presenta il Piano e la Relazione sulla
performance di cui all'articolo 10, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 150 del 2009 83 alle
82. In estrema sintesi il termine performance, nell’accezione adottata dal legislatore, allude alla capacità dell’amministrazione di
raggiungere gli obiettivi prefissati, anche in relazione alle risorse stanziate ed effettivamente utilizzate ed all’apporto di ogni
singola unità di personale.
83. Per capire a fondo la problematica occorre richiamare i concetti base in tema di “programmazione della performance”
contenuti nell’art. 10 del d.lgs. n. 150/2009, a mente del quale “1. Al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei
documenti di rappresentazione della performance, le amministrazioni pubbliche, secondo quanto stabilito dall'articolo 15, comma 2, lettera d),
53
associazioni di consumatori o utenti, ai centri di ricerca e a ogni altro osservatore qualificato, nell'ambito di
apposite giornate della trasparenza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
In tal modo il legislatore, recependo le indicazioni della CIVIT e quanto emerso dai
monitoraggi, ha postulato una corrispondenza biunivoca tra performance e trasparenza,
imponendo, per un verso, la piena discovery delle informazioni relative al ciclo di gestione della
performance (quindi una “trasparenza del ciclo della performance”) e, per altro verso, l’inserimento
della trasparenza tra gli obiettivi rilevanti ai fini della valutazione della performance (quindi una
“buona perfomance della trasparenza”).
Si richiama, al riguardo, quanto osservato dalla CIVIT (oltre che con la delibera n. 2/2012) con
la deliberazione n. 6/2013 (cfr. par. 3.1., lett. b), circa la necessità che le misure indicate nel
Programma triennale per la trasparenza e l’integrità costituiscano anche obiettivi da inserire nel
Piano delle performance, dovendo il Programma indicare le iniziative concretamente previste per
garantire un adeguato livello di trasparenza84. A ciò consegue, fra l’altro, che la “performance
sulla trasparenza” divenga uno degli elementi oggettivi in base ai quali misurare la performance oltre che, come ovvio, del Responsabile per la trasparenza- anche dei dirigenti dei singoli uffici, in
relazione alla pronta ed esaustiva esecuzione dei compiti loro affidati in questa materia (sui quali
ci soffermeremo nel prossimo para grafo).
3.7. Le figure organizzative. Il Responsabile della trasparenza e il nuovo Codice di comportamento dei
pubblici dipendenti.
Il Responsabile per la trasparenza è la figura organizzativa chiave per l’attuazione del nuovo
sistema.
Secondo l’art. 43 del d.lgs. n. 33/2013 tale figura organizzativa (che per regola coincide con il
Responsabile della prevenzione della corruzione) “svolge stabilmente un'attività di controllo
sull'adempimento da parte dell'amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente,
assicurando la completezza, la chiarezza e l'aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché segnalando
all'organo di indirizzo politico, all'Organismo indipendente di valutazione (OIV), all'Autorità nazionale
anticorruzione e, nei casi più gravi, all'ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi
redigono annualmente: a) entro il 31 gennaio, un documento programmatico triennale, denominato Piano della performance, da adottare in
coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e
definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance
dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori; b) un documento, da adottare entro il 30
giugno, denominato: “Relazione sulla performance” che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e
individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere
realizzato. 2. I documenti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 sono immediatamente trasmessi alla Commissione di cui all'articolo 13 e al
Ministero dell'economia e delle finanze. 3. Eventuali variazioni durante l'esercizio degli obiettivi e degli indicatori della performance organizzativa
e individuale sono tempestivamente inserite all'interno nel Piano della performance. 4. Per le amministrazioni dello Stato il Piano della
performance contiene la direttiva annuale del Ministro di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. 5. In caso di mancata
adozione del Piano della performance e' fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultano avere concorso alla
mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti, e l'amministrazione non può procedere ad assunzioni di
personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati”.
84. Cfr. Canaparo, op. cit.
54
di pubblicazione”85; inoltre il Responsabile dalla trasparenza è il destinatario diretto dell’obbligo
predisporre e aggiornare il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità86.
Anche i dirigenti responsabili degli uffici dell'amministrazione hanno un ruolo attivo
nell’attuazione del nuovo sistema, essendo chiamati a garantire “il tempestivo e regolare flusso delle
informazioni da pubblicare ai fini del rispetto dei termini stabiliti dalla legge”87 . Al riguardo va precisato che
i compiti dei dirigenti comprendono sia l’inserimento dei dati nel data base dell’amministrazione
sia la loro materiale trasmissione al soggetto materialmente responsabile della pubblicazione
sul sito; e che, inoltre, specialmente in caso di amministrazioni con un’organizzazione
complessa, è opportuno che nel Programma triennale siano indicati i soggetti responsabili,
oltre che dell’elaborazione dei dati, della loro trasmissione e pubblicazione sul sito
istituzionale, laddove non coincidano con il Responsabile della trasparenza e specialmente in
riferimento ai dati provenienti dagli uffici periferici88.
In sostanza il legislatore ha prefigurato un rapporto di costante collaborazione e
interconnessione tra i dirigenti degli uffici ed il Responsabile, il quale deve fungere da “punto
di snodo e di raccolta” delle informazioni necessarie all’attuazione della trasparenza, nonché da
“motore del suo miglioramento”, anche mediante l’inserimento di nuove misure nel
Programma e la segnalazione e repressione delle condotte non rispettose della nuova
disciplina.
Tanto è vero che le responsabilità previste dalla legge per la mancata predisposizione del
Programma triennale e per l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione (che possono dar
luogo a responsabilità dirigenziale ed a responsabilità per danno all’immagine
dell’amministrazione89) non ricadono soltanto e necessariamente sul Responsabile della
trasparenza, posto che -ai sensi dell’art. 46, comma 2 del d.lgs. n. 33/2013- questi “non risponde
dell'inadempimento degli obblighi di cui al comma 1 se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui
non imputabile”, vale a dire nelle ipotesi in cui il difetto di pubblicazione o di redazione del
Programma sia dipeso da omesso o incompleto inserimento (o invio) dei dati da parte dei
dirigenti responsabili degli uffici.
Sono poi parte attiva del nuovo sistema anche i singoli impiegati delle amministrazioni e
ciò in modo particolare dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice di comportamento dei
pubblici dipendenti, adottato con d.p.r. n. 62/2013.
Al riguardo si coglie l’occasione per esaminare il contenuto complessivo del nuovo Codice,
così sintetizzabile90:
85. Comma 1 dell’art. 43 del d.lgs. n. 33/2013.
86. Comma 2 dell’art. 43 d.lgs. n. 33/2013.
87. Comma 3 dell’art. 43 d.lgs. n. 33/2013.
88. Cfr. Canaparo, op. cit.
89. Art. 46 del d.lgs. n. 33/2013.
90. Schema tratto da http: www.flcgil.it.
55
- Ambito di applicazione (art.2): estensione degli obblighi di condotta, per quanto compatibili,
a tutti i collaboratori o consulenti, anche di imprese fornitrici di beni e servizi, e obbligo di
inserire negli incarichi e nei contratti apposite clausole di risoluzione o decadenza in caso di
violazione degli obblighi derivanti dal codice.
- Principi (art.3): rispetto dei principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità,
obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza, indipendenza e imparzialità, astensione in caso
di conflitto di interessi.
- Regali, compensi ed altre utilità (art.4): individuazione per regali o utilità di modico valore del
limite orientativo di 150 euro che può essere ridotto o completamente escluso dai codici di
comportamento adottati dalle singole amministrazioni; divieto di accettare incarichi di
collaborazione da soggetti privati che abbiano (nel biennio) interessi collegati all’ufficio di
appartenenza; obbligo di vigilare da parte del responsabile dell’ufficio.
- Comunicazione degli interessi finanziari e conflitti d’interesse (art.6): riduzione a tre anni da
un quinquennio dell’obbligo di comunicazione dei rapporti di collaborazione con soggetti
privati, riduzione dal quarto al secondo grado del rapporto di parentela dell’obbligo di
informazione sui rapporti di collaborazione).
- Obbligo di astensione (art.7): riduzione dal quarto al secondo grado del rapporto di parentela;
Obbligo di rispettare le misure necessarie alla prevenzione degli illeciti nell’amministrazione
previste nel “piano per la prevenzione della corruzione” introdotto dalla legge 190/2012 (art.
8).
- Obbligo del rispetto della trasparenza e della tracciabilità:obbligo di collaborare nel
reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale
e di garantire la replicabilità attraverso un adeguato supporto documentale (art. 9).
- Rapporti con il pubblico (art.12): scompare l’obbligo per i dipendenti di tenere informato il
dirigente dell’ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa.
- Disposizioni particolari per i dirigenti: totalmente nuovo anche se riprende disposizioni già
contenute nei contratti di lavoro e in altre norme. Da segnalare il richiamo all’attività di
valutazione del personale e alle competenze in ambito disciplinare (art.13).
- Contratti ed altri atti negoziali: obbligo del dipendente di informare il superiore gerarchico
sulle rimostranze orali o scritte sull’operato dell’ufficio o dei propri collaboratori (art.14).
- Vigilanza, monitoraggio e attività formative: assegnazione dei compiti di monitoraggio e
vigilanza ai dirigenti responsabili, strutture di controllo interno ed uffici etici e di disciplina che
si avvalgono degli UPD (Uffici per i Procedimenti Disciplinari). Questi ultimi si devono
conformare alle disposizioni della legge 190/2012 e possono chiedere pareri all’Autorità
Nazionale Anticorruzione. L’attività di formazione del personale, senza nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica, deve essere prevista in materia di trasparenza e deve essere
annualmente rinnovata sulle innovazioni (art.15).
- Responsabilità conseguente alla violazione dei doveri del codice: precisazione che la
56
violazione dei doveri previsti dal codice integra “comportamenti contrari ai doversi d’ufficio” e
dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile ed è fonte di
responsabilità disciplinare. Le sanzioni disciplinari sono quelle previste dalla legge, dai
regolamenti e dai contratti collettivi (art.16).
- Disposizioni finali e abrogazioni: obbligo per le amministrazioni di pubblicare il codice sul
proprio sito istituzionale e di trasmetterlo, tramite email, a tutti i propri dipendenti e ai titolari
di contratti di consulenza o collaborazione. All’atto di conferimento dell’incarico consegna e
sottoscrizione ai nuovi assunti di copia del codice (art.17).
- Restano sostanzialmente immutate le previsioni inerenti la partecipazione ad associazioni ed
altre organizzazioni (art.5), i rapporti privati (art.10) ed il comportamento in servizio (art.11).
Quindi il nuovo Codice di comportamento prevede -quale autonomo dovere di
comportamento di ciascun dipendente, la cui violazione determina l’applicazione di una
sanzione disciplinare- l’adempimento in parte qua degli obblighi di trasparenza previsti dalla
legge, tra i quali campeggia lo specifico dovere di ciascun dipendente di prestare “la
massima collaborazione nell’elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati
sottoposti all’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale” ; del resto il Codice indica la
trasparenza tra i principi di carattere generale che il dipendente è chiamato a rispettare
(unitamente a quelli di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, equità e
ragionevolezza).
Sull’adempimento degli obblighi di trasparenza da parte dei dipendenti (fatte salve le
responsabilità dei singoli dirigenti per le unità organizzative di competenza), vigila il
Responsabile per la trasparenza.
Infine la CIVIT dedica notevole attenzione ai cd. Organismi Indipendenti di Valutazione.
Si tratta di una figura introdotta dal d.lgs. n. 150/2009 91, in sostituzione dei servizi di controllo
interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.
L'Organismo indipendente di valutazione e' nominato, sentita la CIVIT, dall'organo di
indirizzo politico-amministrativo, per un periodo di tre anni, e l'incarico dei componenti può
essere rinnovato una sola volta; può essere un organo monocratico ovvero collegiale, in questo
caso composto da tre membri dotati dei requisiti stabiliti dalla CIVIT e di elevata
professionalità ed esperienza nel campo del management, della valutazione della performance e
della valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, i cui curricula sono comunicati
alla CIVIT. I componenti dell'Organismo indipendente di valutazione non possono essere
nominati tra soggetti che rivestano incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in
organizzazioni sindacali ovvero che abbiano rapporti continuativi di collaborazione o di
consulenza con le predette organizzazioni, ovvero che abbiano rivestito simili incarichi o
cariche o che abbiano avuto simili rapporti nei tre anni precedenti la designazione. Agli oneri
derivanti dalla costituzione e dal funzionamento degli O.I.V. si provvede nei limiti delle risorse
91. Cfr. l’art. 14 del d.lgs. n. 150/2009.
57
attualmente destinate ai servizi di controllo interno.
Il d.lgs. n. 150/2009 affida agli O.I.V. i seguenti compiti: esercitare le attività di controllo
strategico di cui all'articolo 6, comma 1, del citato decreto legislativo n. 286 del 1999,
monitorare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione e della trasparenza
elaborando una relazione annuale sullo stato dello stesso, comunicare le criticità riscontrate ai
competenti organi interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte dei conti,
all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla CIVIT, avvalorare la Relazione sulla performance di
cui all'articolo 10 e ne assicura la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione,
garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché dell'utilizzo dei premi
per il personale, proporre all'organo di indirizzo politico-amministrativo la valutazione annuale
dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi, essere responsabile della corretta
applicazione delle linee guida, delle metodologie e degli strumenti predisposti dalla CIVIT,
promuovere e attestare l'assolvimento degli obblighi relativi alla trasparenza e all'integrità,
verificare i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari opportunità.
Inoltre, ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 33/2013 “1. L'organismo indipendente di valutazione verifica
la coerenza tra gli obiettivi previsti nel Programma triennale per la trasparenza e l'integrità di cui all'articolo
10 e quelli indicati nel Piano della performance, valutando altresì l'adeguatezza dei relativi indicatori. I
soggetti deputati alla misurazione e valutazione delle performance, nonché l'OIV, utilizzano le informazioni e i
dati relativi all'attuazione degli obblighi di trasparenza ai fini della misurazione e valutazione delle
performance sia organizzativa, sia individuale del responsabile e dei dirigenti dei singoli uffici responsabili della
trasmissione dei dati”.
In base a tale contesto normativo di riferimento, la CIVIT riconosce agli OO.II.VV. il
compito di esercitare “un’attività di impulso nei confronti del vertice politico-amministrativo nonché del
responsabile per la trasparenza per l’elaborazione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità”92,
ma soprattutto quello di verificare (e, in caso positivo, di attestare) l’assolvimento degli
obblighi di trasparenza da parte di tutti i soggetti che vi sono tenuti. Osserva, al riguardo, la
CIVIT93, che “facendo seguito al monitoraggio sulle attestazioni della trasparenza prodotte dagli OIV e
condotto da CIVIT nel 2012, gli allegati 1 e 2 hanno lo scopo di aggiornare il quadro degli obblighi di
pubblicazione sui siti istituzionali, nonché di specificare alcuni aspetti dirimenti relativi alla qualità dei dati
pubblicati. L’intento, oltre che di fornire un quadro unitario per le pubbliche amministrazioni, è anche quello
di rendere più omogenee le attività di controllo, monitoraggio e attestazione degli OIV. Nell’allegato 1 è
disponibile un elenco degli obblighi di pubblicazione attualmente in vigore in cui è proposta una specifica
tempistica per l’aggiornamento dei dati, coerente con quanto stabilito al riguardo dal d.lgs. n. 33/2013.
L’elenco è accompagnato da una nota esplicativa disponibile nell’allegato 1.1. L’allegato 2 costituisce, invece,
un documento tecnico in cui sono specificate le nozioni di completezza, aggiornamento e apertura del formato dei
dati utilizzate dalla Commissione ai fini della propria attività di vigilanza e di controllo. Il documento non è
92. Deliberazione CIVIT n. 2/2012.
93. Deliberazione CIVIT n. 50/2013.
58
finalizzato a delineare standard e specifiche tecniche per la pubblicazione dei dati. Esso, piuttosto, mira a
precisare i criteri di qualità del contenuto informativo dei dati al fine di risolvere le incertezze di interpretazione
di tali criteri emerse in sede di monitoraggio delle attestazioni 2012. Resta invariato l’oggetto dell’attestazione
che, anche per il 2013, sarà riferita non solo all’avvenuta pubblicazione dei dati ma anche alla qualità degli
stessi in termini di completezza, aggiornamento e apertura…l’attestazione sull’assolvimento degli obblighi di
pubblicazione dovrà essere completata e inviata alla CIVIT in formato elettronico entro e non oltre il 31
dicembre 2013. La Commissione renderà disponibile, in tempi utili, la nuova griglia per l’attestazione 2013
nonché fornirà indicazioni operative ulteriori sulla redazione dell’attestazione e sulle modalità di trasmissione
alla CIVIT da parte degli OIV. La Commissione, inoltre, si riserva la facoltà di chiedere agli OIV di alcune
tipologie di amministrazioni di effettuare attestazioni mirate sull’assolvimento di specifiche categorie di obblighi
di pubblicazione nei mesi che precedono il termine del 31 dicembre 2013 per l’invio dell’attestazione. Le
attestazioni predisposte dagli OIV costituiscono l’unico strumento di verifica sull’assolvimento degli obblighi di
pubblicazione nel corso del 2013. È necessario, pertanto, che le amministrazioni programmino le attività e
adottino tutte le soluzioni e le misure operative e organizzative utili a garantire tempestivamente l’assolvimento
degli obblighi di pubblicazione vigenti. Oltre alla verifica sul rispetto degli obblighi di pubblicazione al 2013,
esclusivamente gli OIV delle amministrazioni statali e degli enti pubblici non economici nazionali dovranno
curare anche il monitoraggio sull’avvio del ciclo della trasparenza per il 2014, secondo i contenuti dell’allegato
4…focalizzato sui seguenti aspetti: a) qualità del processo di elaborazione del Programma; b) qualità del
processo di attuazione previsto nel Programma. La Commissione si riserva di fornire indicazioni operative
ulteriori ai fini dell’inserimento sul Portale della trasparenza dei dati del monitoraggio degli OIV sull’avvio
ciclo della trasparenza 2014. Gli esiti dei riscontri effettuati dall’OIV dovranno comunque pervenire alla
CIVIT entro il 28 febbraio 2014”.
Si riporta, infine, lo schema riassuntivo sui compiti delle varie figure organizzative,
allegato sub 2 alla deliberazione della CIVIT n. 2/2012.
Allegato n. 2 – Fasi e soggetti
responsabili Fase
Attività
Soggetti responsabili (con
indicazione
esplicita
dell’Ufficio competente e del
nominativo
del
Responsabile di tale Ufficio)
Elaborazione/aggiornamento
Promozione e coordinamento del Organo di indirizzo politico –
del Programma triennale
processo di formazione del
amministrativo
Programma.
Responsabile
della
trasparenza
OIV
Individuazione dei contenuti del Programma
Organi di indirizzo politicoamministrativo
Strutture/Uffici
dell’amministrazione
Redazione
Responsabile
della
trasparenza
Adozione del Programma triennale
Organo di indirizzo politico amministrativo
59
Attuazione del Programma
triennale
Attuazione delle iniziative del
Programma ed elaborazione,
aggiornamento e pubblicazione
dei dati
Controllo dell’attuazione del Programma e delle iniziative ivi
previste
Monitoraggio e audit del
Attività
di
monitoraggio
Programma triennale
periodico da parte di soggetti
interni
delle
p.a.
sulla
pubblicazione dei dati e sulle
iniziative
in
materia
di
trasparenza e integrità.
Audit sul sistema della trasparenza ed integrità. Attestazione
dell’assolvimento degli obblighi in materia di trasparenza e
integrità
Strutture/uffici indicati
Programma triennale
Responsabile
trasparenza
Soggetto/i
indicati
Programma triennale
nel
della
nel
OIV
3.8. L’accesso civico
“La novità principale della nuova disciplina sulla trasparenza è…l’introduzione …di uno strumento
specifico di tutela del diritto alla conoscibilità dell’azione amministrativa: si tratta di una
nuova forma di accesso, definito civico, che riconosce a chiunque il diritto di richiedere la pubblicazione di quei
documenti, dati e informazioni per i quali è obbligatoria ma che, per qualsiasi motivo, le pubbliche
amministrazioni non hanno provveduto a rendere pubblici sui propri siti istituzionali. La richiesta di accesso
civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, non deve
essere motivata, è gratuita e deve essere inoltrata al responsabile della trasparenza della pubblica
amministrazione inadempiente, che si pronuncia sulla stessa (art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013:
n.d.r.). L’amministrazione, entro trenta giorni, deve procedere alla pubblicazione sul sito del documento,
dell’informazione o del dato richiesto ed a trasmetterlo contestualmente al richiedente o a dare comunicazione
allo stesso dell’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale. Se quanto richiesto risulta già
pubblicato, al richiedente è comunicato il relativo collegamento ipertestuale”94.
Emerge, allora, con nettezza la fondamentale differenza tra l’accesso civico e l’accesso
tradizionale, essendo quest’ultimo, a differenza del primo, connotato da precisi presupposti
soggettivi (primo fra tutti il collegamento della richiesta con un interesse differenziato e
concreto del richiedente: vedi supra) e oggettivi (l’accesso “tradizionale”, ad esempio, ha
oggetto esclusivamente documenti individuati e già formati, mentre l’accesso civico ha ad
oggetto anche “informazioni” e notizie”, purché rientranti in una delle categorie indicate dal
d.lgs. n. 33/2013).
In sostanza l’accesso civico costituisce il “pendant a iniziativa di parte” della disciplina sulla
pubblicazione introdotta dal d.lgs. n. 33/2013, assicurando al cittadino uno strumento
incondizionato e immediatamente attivabile a garanzia del pieno rispetto di quella disciplina95.
94. La parte fra virgolette è tratta da Canaparo, op. cit.
95. Il rapporto tra le due fasi del “ciclo della trasparenza” -pubblicazione e accesso civico- è efficacemente descritto nella
circolare n. 2/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica, della quale si richiama sul punto lo schema illustrativo di pag.
4.
60
Peraltro le ricadute dell’introduzione del nuovo istituto sulla disciplina in materia di
“accesso tradizionale” non sono state ancora del tutto chiarite, non potendosi escludere
un effetto di “indiretto allargamento”; si richiama al riguardo, a titolo esemplificativo, una
pronuncia del T.A.R. Sardegna96 con cui -peraltro ancor prima dell’entrata in vigore della legge
n. 190/2012 e del d.lgs. n. 33/2013 e quindi sulla base della disciplina in materia di trasparenza
allora già prevista dal d.lgs. n. 150/2009- è stato riconosciuto il diritto di accesso del Codacons
agli atti relativi alla selezione e conseguente nomina del Direttore generale dell'A.R.P.A.S.
Sardegna, che l’associazione ricorrente chiedeva al fine di poter verificare la regolarità delle
procedure seguite; il T.A.R.: si tratta di una prospettiva ancora tutta da verificare, ma è
indubbiamente probabile che la “nuova trasparenza” possa svolgere notevoli influenze anche
sull’interpretazione della disciplina di cui agli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990.
Quanto alla tutela giurisdizionale dell’accesso civico, la stessa è disciplinata dal Codice del
processo amministrativo, posto che l’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013 prevede che “La
tutela del diritto di accesso civico è disciplinata dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.
104, così come modificato dal presente decreto e che l’art. 52, comma 4, lett. c), dello stesso d.lgs. n.
33/2013 ha modificato l’art. 116 dello stesso CPA, prevedendo che “all'articolo 116, comma 1,
dopo le parole: “documenti amministrativi” sono inserite le seguenti: “nonché per la tutela del diritto di accesso
civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza”, di tal che il testo ora vigente dell’art.
116, comma 1, cpa, è il seguente: “Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai
documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli
obblighi di trasparenza, il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata
o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione ad almeno un controinteressato. Si
applica l’articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni”.
A ciò consegue che i giudizi in materia di accesso civico rientrino nella giurisdizione esclusiva
del GA e che si applichi in toto il rito speciale previsto dal Codice per le cause in materia di
accesso, con riferimento, tra l’altro, al termine di impugnazione (30 giorni decorrenti dalla
conoscenza del diniego ovvero dall’inutile decorso del termine per la definizione dell’istanza
mediante pubblicazione, termine anch’esso di 30 giorni), alla possibilità per l’amministrazione di
stare in giudizio mediante un proprio dipendente, al fatto che il giudice decide con sentenza in
forma semplificata e ha il potere di ordinare la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un
termine non superiore, di norma, a trenta giorni.
96. T.A.R. Sardegna, Sez. II, 30 agosto 2011, n. 903, ove si osserva che “in virtù di recenti interventi normativi (cioè il citato d.gls.
n. 150/2009: n.d.r.), le procedure amministrative di scelta dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni, unitamente al risultato delle correlative
gestioni, sono state assoggettate ad un regime di "piena ed incondizionata pubblicità", a prescindere addirittura da una eventuale richiesta di
soggetto specificamente interessato”.
61
Inoltre l’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013 prevede che l’interessato, di fronte ad un ritardo
o ad una mancata risposta dell’amministrazione, possa anche attivare il potere sostitutivo
previsto, in caso di superamento dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi,
dall’articolo 2, comma 9-bis, della legge n. 241/ 199097.
Si osserva che l’assoggettamento delle controversie sull’accesso civico alla giurisdizione
esclusiva del G.A. solleva delicate riflessioni riguardo alla compatibilità di questa scelta
legislativa con i canoni fondamentali di riparto scolpiti nella nota sentenza della Corte
costituzionale 6 luglio 2004, n. 104, secondo cui “il vigente art. 103 Cost., primo comma, non ha
conferito al legislatore ordinario un’assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice
amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare
“particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti
soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale,
in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi
esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie. Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive -e cioè con il parametro
adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa- è espresso
dall'art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla
giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata
della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata
tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. Il legislatore ordinario ben può ampliare l'area della
giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale
previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la
giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica
amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale
davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e
102 Cost., secondo comma) e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico
interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.
Difatti il “diritto alla trasparenza totale”, e con esso il diritto di accesso civico, è stato
congegnato come tendenzialmente assoluto e svincolato da particolari poteri autoritativi della
pubblica amministrazione (ad esempio non è previsto il potere di differimento, anche se deve
invece richiamarsi quanto già osservato circa le valutazioni che l’amministrazione è tenuta ad
operare in materia di limiti alla pubblicazione dei dati), di regola tenuta tout court a pubblicare i
dati indicati dal d.lgs. n. 33/2013, per cui potrebbe risultare in concreto assente quel rapporto
97. L’art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241/1990, così recita: “L'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali
dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si
considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello
presente nell'amministrazione. Per ciascun procedimento, sul sito internet istituzionale dell'amministrazione e' pubblicata, in formato tabellare e
con collegamento ben visibile nella homepage, l'indicazione del soggetto a cui e' attribuito il potere sostitutivo e a cui l'interessato può rivolgersi ai
sensi e per gli effetti del comma 9-ter. Tale soggetto, in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della
valutazione dell'avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e,
in caso di mancata ottemperanza alle disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità oltre a quella propria”.
62
funzionale con un potere autoritativo richiesto dalla Consulta quale “condizione di legittimità
costituzionale” di tutte le ipotesi di giurisdizione esclusiva98.
Ciò posto, e spostando ora nuovamente l’attenzione sulle procedure amministrative, va
rimarcato il ruolo del Responsabile per la trasparenza in materia di accesso civico,
disegnato dagli artt. 43, comma 4 (“Il responsabile controlla e assicura la regolare attuazione dell'accesso
civico sulla base di quanto stabilito dal presente decreto”) e 5, comma 6, del d.lgs. n. 33/2013 (“La
richiesta di accesso civico comporta, da parte del Responsabile della trasparenza, l'obbligo di segnalazione di cui
all'articolo 43, comma 5”), laddove quest’ultima disposizione, a sua volta, attribuisce allo stesso
Responsabile il compito di segnalare “i casi di inadempimento o di adempimento parziale degli obblighi in
materia di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, all'ufficio di disciplina, ai fini dell'eventuale
attivazione del procedimento disciplinare. Il responsabile segnala altresì gli inadempimenti al vertice politico
dell'amministrazione, all'OIV ai fini dell'attivazione delle altre forme di responsabilità”.
Quindi il Responsabile della trasparenza è il vero e proprio dominus della procedura in materia di
accesso civico: vigila sulle istanze presentate e in generale sulla performance dell’amministrazione
in questo specifico ambito, è direttamente competente a provvedere sulle istanze di accesso
civico ed è tenuto a segnalare agli organi competenti gli inadempimenti al regime di
pubblicazione dei dati che hanno reso necessaria l’istanza di accesso civico.
3.9. La vigilanza sugli adempimenti in tema di trasparenza amministrativa
Come già dovrebbe risultare dalla precedente trattazione, al vertice dell’articolato sistemi di
controlli sull’effettiva attuazione del nuovo sistema di trasparenza previsto dal d.lgs. n. 33/2013
è collocata la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle pubbliche
amministrazioni (CIVIT), istituita dall’art. 13 del d.lgs. n. 150 del 2009 ed ora chiamata,
dall’art. 2 della legge n. 190/2012 ad operare quale nuova Autorità nazionale anticorruzione,
come tale competente anche in materia di trasparenza amministrativa; la scelta di un’Authority
(organo per definizione indipendente e di garanzia) quale supremo tutore (e motore) del nuovo
98. Osserva, al riguardo, Cumin, op. cit., che “il diritto di accesso civico fa dunque piazza pulita di una consolidata pregressa
giurisprudenza amministrativa, la quale aveva costantemente escluso che il diritto di accesso ai documenti amministrativi potesse rappresentare un
“tipo di azione popolare di controllo generalizzato sull’attività amministrativa, dovendo l’accesso ritenersi consentito solo a coloro ai quali gli atti di
cui si domanda la esibizione si riferiscono direttamente o indirettamente e che se ne possono avvalere per la tutela di una posizione giuridicamente
rilevante, indipendentemente dal fatto che essa sia da qualificarsi come diritto soggettivo o come interesse legittimo”. Si può dire che con il diritto
civico di accesso l’interesse alla trasparenza dell’azione amministrativa non viene più tutelato in modo indiretto, attraverso la posizione
differenziata e qualificata riconosciuta a singoli soggetti portatori di un interesse all’ostensione di determinati atti, ma in sé e per sé, in modo
diretto, tramite un’azione conferita in via suppletiva alla generalità dei consociati, ove l’amministrazione non ottemperi essa stessa in prima battuta
all’obbligo ex lege di rendere conoscibili i propri atti in via informatica. Approfondendo l’analisi credo allora che il diritto civico di accesso possa
tranquillamente venir ricondotto alla figura dei diritti pubblici di libertà, ove per essa si intenda il libero poter conoscere degli atti mediante cui
ciascuna amministrazione esercita le pubbliche funzioni che rientrano nella propria sfera di competenza. Ma se si accetta una tale tesi, credo che
parimenti non possa essere rifiutato quanto da essa discende come mero corollario in punto di giurisdizione…Se quindi la figura del nuovo diritto
civile d’accesso porta a compimento processo di dequotazione del valore provvedimentale degli atti emanati dalla P.A. in materia di accesso ai
documenti amministrativi -già riabbassati alla natura di accertamenti costitutivi, piuttosto che di provvedimenti veracemente discrezionali, per tutte
le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 24 della l. n. 241/1990; ed in sostanza conservatisi per tali esclusivamente per l’ipotesi di dati relativi
alla salute ed alla vita sessuale di soggetti terzi- non si comprende come del vulnus arrecato ai diritti di libertà che esso promuove possa conoscere
un’autorità giurisdizionale diversa da quella "ordinaria”. Come diritto pubblico di libertà, il nuovo diritto civico d’accesso è un “diritto politico”
del quale dovrebbe conoscere il giudice ordinario, ove la regola di cui all’art. 2 della L.A.C. del 1865 non venisse derogata -per noi, secondo
quanto già si disse, in modo non costituzionalmente legittimo- dall’art. 50 del D.Lgs. n. 33/2013”.
63
sistema già di per sé evidenzia la notevole attenzione riposta dal legislatore all’effettiva
attuazione dei nuovi valori in gioco.
All’interno delle singole amministrazioni opera il Responsabile della Trasparenza, figura già
ampiamente descritta nei paragrafi precedenti, la cui designazione deve essere comunicata alla
CIVIT e indicata nel Programma triennale per la trasparenza e l’integrità. Come già si è
osservato il Responsabile svolge stabilmente l’attività di controllo sull’adempimento da parte
dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione, assicurando completezza, chiarezza ed
aggiornamento delle informazioni pubblicate, verificando l’attuazione e aggiornando il
Programma triennale; controlla l’adempimento degli obblighi di trasparenza da parte dei
dipendenti, segnalando le eventuali violazioni all’organo di indirizzo politico, all’OIV (anche ai
fini, se del caso, di un correlativo “taglio” delle indennità dirigenziali) ed alla CIVIT in qualità
di autorità nazionale anticorruzione.
Fondamentale è poi la vigilanza svolta dai dirigenti dei singoli uffici, in ordine all’andamento
generale del “ciclo della trasparenza” per il segmento sottoposto al loro controllo, con
particolare riferimento alla tempestiva e completa trasmissione dei dati al Responsabile,
nonché relativamente al fatto che i dipendenti sottoposti al potere organizzativo dei dirigenti
prestino la dovuta collaborazione e svolgano le loro funzioni nel rispetto di quanto previsto
dalla normativa sulla trasparenza.
Un ruolo fondamentale in materia di controllo e vigilanza è, per alcuni aspetti, svolto dagli
OO.II.VV., sui quali si rinvia a quanto già in precedenza osservato.
3.10. Responsabilità e sanzioni
Le nuove misure in materia di trasparenza amministrativa sono assistite da uno specifico
regime sanzionatorio.
L’art. 48 del d.lgs. n. 33/2013 statuisce che “1. L'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti
dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità
costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per
danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione
di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili. 2. Il responsabile
non risponde dell'inadempimento degli obblighi di cui al comma 1 se prova che tale inadempimento è dipeso da
causa a lui non imputabile”.
Quanto all’elemento oggettivo dell’illecito, sono quindi individuabili due distinte ipotesi.
Quella dell’“inadempimento degli obblighi di pubblicazione” è descritta in modo generico, così da
comprendere sia la “fase finale dell’illecito” (cioè, in parole povere, il Responsabile della
Trasparenza che omette di effettuare la pubblicazione) sia quella preparatoria (ad esempio, da
parte dei dirigenti, il mancato intempestivo o incompleto invio delle informazioni da pubblicare
al Responsabile della trasparenza).
Quella della “mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza” è, invece, più
specifica e peraltro non richiama espressamente l’ipotesi di mancato aggiornamento del
64
Programma, anche se quest’ultima può essere ricompresa nella locuzione normativa in base ad
un’interpretazione logico-estensiva della stessa.
Sul piano dell’elemento soggettivo, la norma riconosce al Responsabile per la trasparenza la
possibilità di dimostrare che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile,
locuzione, questa, che richiama gli schemi tipici della responsabilità contrattuale e che nella
prassi appare concretamente prospettabile soprattutto in relazione alle (presumibilmente non
infrequenti) ipotesi in cui il Responsabile dimostri di aver adeguatamente organizzato il sistema
di trasmissione dei dati ai fini della pubblicazione e che lo stesso non abbia poi in concreto
funzionato per ragioni addebitabili al dirigente del singolo ufficio o addirittura al dipendente
che abbia omesso di segnalare un dato sottoposto alla sua materiale gestione; in questi casi
saranno ovviamente i veri soggetti responsabili a dover rispondere.
A livello sanzionatorio la norma prevede che entrambe le condotte possono essere poste a
base della responsabilità dirigenziale e della responsabilità civile per danno all’immagine
dell’amministrazione, nonché la loro necessaria valutazione ai fini della (non) corresponsione
della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale
dei soggetti che se ne rendono responsabili.
Alle fattispecie previste dal d.lgs. n. 33/2013 si aggiungono poi quelle sanzionate dal
nuovo Codice di comportamento dei pubblici dipendenti, che assumono particolare
rilievo, come ovvio, soprattutto in relazione alla responsabilità dei dipendenti privi delle
qualifiche specifiche cui si riferisce la disciplina di cui al d.lgs. n. 33/2013.
Orbene il Codice di comportamento prevede in subiecta materia, all’art. 9, comma 1, che ciascun
“dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni
secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e
trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale”: si tratta di una clausola
generica e volutamente aperta, che consente di fondare la responsabilità del dipendente per
violazione delle norme sulla trasparenza sulle condotte materiali più varie, purché
oggettivamente non rispettose del dovere di collaborazione in fase di elaborazione, reperimento
e trasmissione dei dati.
Sotto l’aspetto sanzionatorio, poi, l’art. 16 dello stesso Codice di comportamento
prevede, in termini generali ma ovviamente riferibili anche all’ipotesi dianzi richiamata, che “1.
La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio. Ferme
restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli
obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile,
amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa e' fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito
del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni. 2. Ai fini
della determinazione del tipo e dell'entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione e'
valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento e all'entità del pregiudizio, anche
morale, derivatone al decoro o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono
quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi... I contratti collettivi possono prevedere
65
ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del presente
codice”.
3.11. La disciplina del conflitto di interessi nelle pubbliche amministrazioni.
Come già si è accennato nella parte iniziale della presente trattazione, la legge n. 190/2012
contiene una disposizione espressamente dedicata al conflitto d’interessi ed al connesso
obbligo di astensione da parte dei pubblici dipendenti. Difatti l’art. 1, comma 41, della legge
anticorruzione ha inserito nella legge n. 241/1990 l’art. 6-bis, ove si prevede che “il
responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli
atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando
ogni situazione di conflitto, anche potenziale”; inoltre lo stesso art. 1, comma 41, della legge n.
190/2012, impone alle amministrazioni di programmare e organizzare, già in seno al Piano
triennale di prevenzione della corruzione, il monitoraggio dei “rapporti tra l’amministrazione e i
soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione
o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, anche verificando eventuali relazioni di parentela o
affinità sussistenti tra i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i dirigenti e i
dipendenti dell’amministrazione”.
Quindi -a parte quest’ultima interessante previsione organizzativa- la nuova disciplina
sostanzialmente contempla il duplice obbligo del pubblico dipendente di astenersi in caso
di conflitto di interessi e di segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, precisando
che tale obbligo investe tutti i soggetti coinvolti nell’esercizio di funzioni amministrative;
viceversa la norma non contiene alcuna indicazione né in merito ai criteri sostanziali che
definiscono il “conflitto d’interessi”, né sulla procedura di segnalazione dello stesso all’organo
cui compete la decisione sull’effettiva sussistenza dell’obbligo di astensione, né, infine, sulle
sanzioni conseguenti al mancato rispetto dei predetti obblighi.
Per quanto riguarda i criteri di individuazione delle situazioni che danno vita al conflitto
d’interessi, assume ugualmente rilievo il nuovo Codice di comportamento dei pubblici
dipendenti (vedi supra), che:
a) all’art. 6, comma 1, individua come situazione da sottoporre all’organo superiore
l’esistenza di rapporti (diretti o indiretti) di collaborazione tra il dipendente pubblico e soggetti
privati (ovviamente interessati all’attività amministrativa), in qualunque modo retribuiti e in
corso di svolgimento o svolti negli ultimi tre anni; in questi casi il dipendente interessato deve
precisare nella segnalazione:
- se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente
abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di
collaborazione;
- se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o
decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.
b) all’art. 6, comma 2, statuisce, in termini generali, che “il conflitto può riguardare interessi di
66
qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni
politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.
c) all’art. 7, statuisce che “il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività (e
ciò in quanto versa in conflitto di interessi: n.d.r.) che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi
parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti
di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o
grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore,
curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti
di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi
ragioni di convenienza”.
Questa disciplina sostituisce, senza peraltro apportarvi innovazioni di particolare rilievo, quella
contenuta nell’art. 6 del d.m. 28 novembre 2000.
Per quanto concerne la procedura da seguire, l’art. 7, ultima parte, del Codice di
comportamento prevede che “Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza”,
locuzione, questa, che riecheggia (anche qui senza particolari novità) quella recata del citato art.
6 del d.m. 28 novembre 2010, ove si prevedeva che “sull’astensione decide il dirigente dell’ufficio”.
Quindi, qualora insorga una situazione di conflitto d’interessi, il dipendente deve
tempestivamente segnalarla al proprio dirigente (cioè al dirigente del plesso organizzativo cui il
dipendente è assegnato) e, nelle more della relativa decisione, astenersi dall’esercizio della
funzione gravata dal conflitto di interessi.
Quanto, infine, alle sanzioni, ferma restando la normale responsabilità disciplinare del
dipendente, può in alcuni casi trovare applicazione l’art. 323 cod. pen., secondo il quale “Salvo
che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello
svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di
astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti,
intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno
ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
3.12. La trasparenza in materia di autorizzazione e conferimento di incarichi ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni
Per esigenze di chiarezza espositiva occorre innanzitutto introdurre la summa divisio, tra
incarichi extraistituzionali attribuiti a pubblici dipendenti (cioè incarichi attribuiti non già
all’interno dell’amministrazione ove il dipendente presta servizio, bensì presso altre
amministrazioni ovvero presso soggetti privati) e incarichi di vertice attribuiti al
dipendente all’interno della sua stessa amministrazione (si tratta, quindi, in questo caso,
di incarichi pur sempre riconducibili nell’alveo della prestazione lavorativa svolta per l’ente di
appartenenza, ancorché dotati di autonoma rispetto al normale svolgimento della stessa).
Entrambe queste tipologie di incarichi ricadono nel fuoco della nuova normativa volta al
contrasto della corruzione ed all’attuazione del principio di trasparenza, ma sollevano
67
problematiche diverse e sono soggette ad una disciplina in parte differente (anche se non
mancano punti di contatto), per cui il loro esame sarà condotto separatamente.
3.13. Gli incarichi extraistituzionali dei dipendenti pubblici
Prima di analizzare la disciplina volta ad assicurare la trasparenza su questo tipo di incarichi è
opportuno analizzare il regime giuridico sostanziale cui gli stessi sono sottoposti.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è caratterizzato, a
differenza di quello privato, dal c.d. “regime delle incompatibilità”, che sostanzialmente
preclude al dipendente pubblico lo svolgimento di attività commerciali, industriali e
imprenditoriali: l’eventuale svolgimento non autorizzato di simili attività integra una forma di
inadempimento dei doveri contrattuali, con tutte le possibili conseguenze di legge; la ratio di
tale regime è radicata nel principio costituzionale di “tendenziale esclusività” della prestazione
lavorativa a favore del datore di lavoro pubblico, sancito dall’art. 98 della Carta costituzionale,
a mente del quale “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
Peraltro questa preclusione non è assoluta e non copre in via generale tutti i possibili incarichi,
potendosi concepire un’attività extraistituzionale del dipendente comunque nei limiti di una
“ragionevole e consistente prevalenza” della prestazione resa a favore dello Stato e compatibile
con l’osservanza degli obblighi di servizio, presupposti la cui previa verifica è rimessa
all’amministrazione di appartenenza, cui compete il potere di autorizzazione l’incarico extra.
Inoltre si pongono questioni particolari laddove l’incarico extraistituzionale debba essere
svolto a favore di altra pubblica amministrazione, perché allora lo “Stato nel suo complesso”
potrebbe, comunque, trarne giovamento.
Come si vede, il fenomeno è assai articolato ed a ciò corrisponde una disciplina normativa non
sempre ben coordinata, che comunque trova la principale norma di riferimento nell’art. 53 del
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
La legge n. 190/2012 è poi intervenuta su alcuni aspetti di tale disciplina, in sintesi:
a)
ampliando le ipotesi di incompatibilità per l’esercizio di incarichi esterni;
b)
introducendo l’obbligo di valutazione, a cura dell’Amministrazione di appartenenza,
dell’assenza, anche in via “potenziale”, di situazioni di “conflitto di interessi” tra l’attività
extra-istituzionale che il dipendente intende svolgere e le funzioni ordinariamente svolte;
c)
prevedendo una maggiore responsabilizzazione per le Amministrazioni (e per i dirigenti
e funzionari preposti) che rilasciano le autorizzazioni agli incarichi extra-istituzionali;
d)
prevedendo una maggiore responsabilizzazione per i dipendenti che intendono svolgere
incarichi esterni;
e)
abbreviando i termini delle comunicazioni obbligatorie tra le amministrazioni
interessate e nei confronti del Dipartimento della Funzione Pubblica;
f)
rendendo maggiormente trasparente il contenuto delle pubblicazioni previste per legge.
Ciò posto, la disciplina de qua sarà ora esaminata nel dettaglio, utilizzando quale punto di
riferimento l’art. 53 del decreto legislativo n. 165/2001 nella versione attualmente vigente.
68
Il primo comma dell’art. 53 mantiene innanzi tutto ferme:
a) per tutti i dipendenti pubblici “la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto la disciplina
delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma
2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e
seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662”;
b) le discipline di settore “di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all’articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498,
all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed
integrazione della relativa disciplina”.
Al riguardo, limitando l’approfondimento alla disciplina delle incompatibilità dettata dal d.p.r.
10 gennaio 1957, n. 3, si deve rammentare che:
- secondo l’art. 60 (casi di incompatibilità assoluta), “l’impiegato non può esercitare il commercio,
l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società
costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo
Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente”;
- secondo l’art. 61 (limiti dell’incompatibilità), “il divieto di cui all’articolo precedente non si applica nei
casi di società cooperative. L’impiegato può essere prescelto come perito od arbitro previa autorizzazione del
Ministro o del capo ufficio da lui delegato”;
- secondo l’art. 62 (partecipazione all’amministrazione di enti e società), “Nei casi stabiliti dalla
legge o quando ne sia autorizzato con deliberazione del Consiglio dei Ministri, l’impiegato può partecipare
all’amministrazione o far parte di collegi sindacali in società o enti ai quali lo Stato partecipi o comunque
contribuisca, in quelli che siano concessionari dell’amministrazione di cui l’impiegato fa parte o che siano
sottoposti alla vigilanza di questa”;
- secondo l’art. 63 (provvedimenti per casi di incompatibilità), “L’impiegato che contravvenga ai
divieti posti dagli artt. 60 e 62 viene diffidato dal Ministro o dal direttore generale competente, a cessare dalla
situazione di incompatibilità. La circostanza che l’impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude
l’eventuale azione disciplinare. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l’incompatibilità sia cessata,
l’impiegato decade dall’impiego. La decadenza è dichiarata con decreto del Ministro competente, sentito il
Consiglio di amministrazione”;
- secondo l’art. 64 (denuncia dei casi di incompatibilità), “Il capo del servizio è tenuto a denunciare al
Ministro o all’impiegato da questi delegato i casi di incompatibilità dei quali sia venuto comunque a
conoscenza”.
Quindi, in estrema sintesi, per il personale con rapporto di lavoro pubblico (a tempo
indeterminato e determinato, a tempo pieno e/o parziale), è assolutamente precluso:
a) lo svolgimento di altri rapporti di lavoro subordinato;
b) l’esercizio di attività commerciale in qualsiasi forma essa sia svolta;
c) l’esercizio di attività industriale in qualsiasi forma, nonché di attività artigianale esercitata in
modo continuativo, professionale e con scopo di lucro;
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d) l’esercizio di cariche in società di persone o di capitali aventi scopo di lucro (detto divieto
non trova applicazione nel caso di società cooperative, nonché nel caso di società o enti per i
quali la nomina degli amministratori o dei membri del collegio dei sindaci sia riservata allo
Stato o ad altro ente pubblico;
e) va precisato che il personale con rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale con
prestazione lavorativa sino al 50% non è preclusa la possibilità di esercizio di attività
professionale per il cui svolgimento sia necessaria l’iscrizione ad albi od ordini professionali.
Tale disciplina generale delle incompatibilità è poi completata, sotto diversi aspetti, dalle
disposizioni contenute nell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e s.m.i., tra cui in particolare le
seguenti:
- secondo il comma 1-bis dell’art. 53, “non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture
deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in
partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di
collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni”.
- secondo il comma 2 della stessa norma, “le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai
dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o
disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”; a quest’ultimo fine
il comma 3-bis dell’art. 53 (aggiunto dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012) dispone che
“con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la
semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse
qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui
all’articolo 1, comma 2”;
- secondo il comma 5 della stessa norma (come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge n.
190/2012), “in ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione
all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero
da società o persone fisiche, che svolgono attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi
competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da
escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica
amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale
delle funzioni attribuite al dipendente”;
- secondo il comma 16-ter della stessa norma (aggiunto dall’art. 1, comma 42 della legge n.
190/2012) “i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali
per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni
successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti
privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti
conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto
ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i
successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”.
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Vi sono poi le disposizioni dei commi da 6 a 9 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che si
riferiscono agli incarichi extraistituzionali che possono essere svolti dal dipendente solo previa
autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, nonché agli incarichi non soggetti ad
autorizzazione (e quindi liberamente esercitabili) in quanto non comportanti compensi o in
quanto espressione dell’esplicazione dei diritti della personalità dell’autore.
In particolare il comma 6 dell’art. 53 esclude dalla disciplina degli incarichi retribuiti “i compensi
derivanti: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dall’utilizzazione economica da
parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e
seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo
svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo; f) da incarichi
conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; fbis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione”.
Allo specifico regime autorizzatorio degli “incarichi retribuiti”, come definiti dal comma 6
dell’art. 53, sono poi dedicati i successivi commi da 7 a 10:
- il comma 7 (come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012), prevede, in
termini generali, che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati
conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza” e precisa che
l’amministrazione, ai fini dell’autorizzazione, deve verificare “l’insussistenza di situazioni, anche
potenziali, di conflitto di interessi”;
- il medesimo comma 7 disciplina le sanzioni conseguenti all’esercizio di incarichi retribuiti in
assenza della prescritta autorizzazione prevedendo che “in caso di inosservanza del divieto, salve le
più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni
eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del
bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di
produttività o di fondi equivalenti”; mentre il successivo comma 7-bis (inserito dall’art. 1, comma 42
della legge n. 190/2012) dispone che “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente
pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei
conti”;
- il comma 8 dispone che le pubbliche amministrazioni “non possono conferire incarichi retribuiti a
dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di
appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la
previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del
procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l’importo previsto come corrispettivo
dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell’amministrazione conferente, è trasferito all’amministrazione
di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
- il comma 10 prevede, sul piano procedurale, che “l’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve
essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono
conferire l’incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L’amministrazione di appartenenza
deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa”;
71
tale disciplina non opera per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni
pubbliche diverse da quelle di appartenenza, perché in tal caso “l’autorizzazione è subordinata
all’intesa tra le due amministrazioni” ed “il termine per provvedere è per l’amministrazione di appartenenza
di 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si
pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’amministrazione di
appartenenza”;
- il medesimo comma 10 si occupa del silenzio dell’amministrazione di appartenenza sulla
richiesta di autorizzazione, prevedendo che “decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se
richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si
intende definitivamente negata”.
Sulla base di quanto precede gli incarichi extra-istituzionali dei pubblici dipendenti
sono in sintesi suddivisibili in tre categorie:
a) quelli connotati da incompatibilità assoluta, come tali non autorizzabili e comportanti il
recesso dal rapporto di lavoro o la decadenza dall’impiego;
b) quelli che possono essere svolti solo previa autorizzazione dell’amministrazione di
appartenenza;
c) quelli che non sono soggetti ad autorizzazione e sono, quindi, liberamente esercitabili.
Ciò premesso, si passa ad analizzare la disciplina in materia di trasparenza delle
informazioni e dei dati relativi agli incarichi extraistituzionali dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni.
Occorre prima di tutto ricordare che nel d.lgs. n. 165/2001 e s.m.i. è stata prevista l’istituzione
della c.d. Anagrafe delle Prestazioni, quale strumento di monitoraggio dell’attività dei pubblici
dipendenti e di controllo della spesa pubblica. La disciplina dell’Anagrafe delle Prestazioni è
strettamente connessa a quella degli incarichi extraistituzionali, perché l’Anagrafe costituisce lo
strumento telematico per la comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica di tutti i
dati relativi agli incarichi extraistituzionali dei dipendenti pubblici, consentendone il
monitoraggio e assicurando il controllo della regolarità delle procedure amministrative previste
per l’autorizzazione ed il conferimento, la quantificazione degli incarichi conferiti ed
autorizzati, la verifica della spesa a cura di ciascuna Amministrazione.
La disciplina delle comunicazioni e delle pubblicazioni, sulla quale ha ora inciso anche la legge
n. 190/2012, è contenuta nei commi da 11 a 16-bis del d.lgs. n. 165/2001:
- secondo il comma 11 (sostituito dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012) “entro quindici
giorni dall’erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano
all’amministrazione di appartenenza l’ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici”;
- secondo il comma 12 (come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012) “le
amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti
comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli
incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l’indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso
lordo, ove previsto. La comunicazione è accompagnata da una relazione nella quale sono indicate le norme in
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applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o
dell’autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la
rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell’amministrazione, nonché le misure che si
intendono adottare per il contenimento della spesa. Entro il 30 giugno di ciascun anno e con le stesse modalità
le amministrazioni che, nell’anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti,
anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi”;
- secondo il comma 13 (come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012) “entro
il 30 giugno di ciascun anno le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento
della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e
distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all’anno precedente, da esse erogati o
della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11”; quindi la disciplina
in esame riguarda sia gli incarichi extra svolti per la stessa amministrazione di
appartenenza che gli incarichi svolti presso terzi soggetti, dei quali l’amministrazione
di appartenenza deve essere ovviamente avvertita, se non altro ai fini dell’iniziale
autorizzazione;
- secondo il comma 14 (come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge n. 190/2012) “al fine
della verifica dell’applicazione delle norme di cui all’articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre
1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare
al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di
ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d’ufficio
(quest’ultima previsione riguarda gli incarichi conferiti agli stessi dipendenti della P.A. e
pertanto esula dallo specifico oggetto del presente paragrafo: n.d.r.) e; sono altresì tenute a
comunicare semestralmente l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di
consulenza, con l’indicazione della ragione dell’incarico e dell’ammontare dei compensi corrisposti. Le
amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via
telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l’oggetto, la durata e il compenso dell’incarico nonché
l’attestazione dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Le
informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione
pubblica, nonché le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via
telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente
scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini
statistici, i dati informatici. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica
trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in
tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato digitale standard aperto.
Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti
l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei
collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza”;
- secondo il comma 15, “le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non
possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le
73
comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”;
- secondo il comma 16, “il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno,
riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte
per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli
incarichi stessi”;
- secondo il comma 16-bis, “la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione
pubblica può disporre verifiche del rispetto delle disposizioni del presente articolo e dell’articolo 1, commi 56 e
seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell’Ispettorato per la funzione pubblica. A tale
fine quest’ultimo opera d’intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato”.
Pertanto, tenendo conto anche delle modifiche apportate dalla legge n. 190/2012 all’art. 53 del
decreto legislativo n. 163/2001, le scadenze relative alle comunicazioni dei dati sugli incarichi
prevista dalla cd. Anagrafe delle prestazioni, possono essere così riassunte:
- entro il 30 aprile di ogni anno: i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a
dipendenti pubblici per gli incarichi extra-istituzionali sono tenuti a dare comunicazione
all’Amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell’anno
precedente;
- entro 15 giorni dalla data dalla data di conferimento o autorizzazione dell’incarico (e non più
entro il 30 giugno dell’anno successivo): le Amministrazioni pubbliche che conferiscono o
autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti, debbono darne
comunicazione in via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica, unitamente ad una
relazione di accompagnamento;
- entro il 30 giugno di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in via telematica al
Dipartimento della Funzione Pubblica i compensi erogati nell’anno precedente, per gli
incarichi conferiti o autorizzati ai propri dipendenti;
- entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in
via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica gli incarichi affidati a consulenti e
collaboratori esterni nel semestre precedente;
- entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ogni anno: le Amministrazioni devono comunicare in
via telematica al Dipartimento della Funzione Pubblica i compensi erogati nel semestre
precedente per incarichi a consulenti e collaboratori esterni indipendentemente dal semestre di
affidamento.
Questa già articolata disciplina deve ora essere messa a confronto con la nuova
normativa in materia di trasparenza introdotta dal d.lgs. n. 33/2013.
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Al riguardo assume rilievo, in primo luogo, l’art. 14 di tale d.lgs., intitolato “Obblighi di
pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico”, che impone alle
amministrazioni la pubblicazione di tutti gli elementi fondamentali (atto di nomina o di
proclamazione, durata dell'incarico o del mandato elettivo, curriculum, compensi di qualsiasi
natura connessi all'assunzione della carica, importi dei viaggi di servizio e di missioni pagate
con fondi pubblici, dati relativi all'assunzione di altre cariche presso enti pubblici o privati e
relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti, altri eventuali incarichi con oneri a carico della
finanza pubblica e indicazione dei compensi spettanti; dichiarazioni circa l’assenza di cause di
incompatibilità) caratterizzanti incarichi politici (di carattere elettivo o comunque di esercizio
di poteri di indirizzo politico, siano essi di livello statale regionale e locale), attribuiti a soggetti
che siano “componenti” delle stesse pubbliche amministrazioni (così esattamente si esprime la
disposizione in esame). La stessa precisa, al comma 2, che tali dati vanno pubblicati “entro tre
mesi dall’elezione o dalla nomina e per i tre anni successivi dalla cessazione del mandato o dell'incarico dei
soggetti, salve le informazioni concernenti la situazione patrimoniale e, ove consentita, la dichiarazione del
coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, che vengono pubblicate fino alla cessazione
dell'incarico o del mandato. Decorso il termine di pubblicazione ai sensi del presente comma le informazioni e i
dati concernenti la situazione patrimoniale non vengono trasferiti nelle sezioni di archivio”.
3.14. Gli incarichi di vertice all’interno dell’amministrazione di appartenenza
Si tratta, come già osservato, non già di incarichi extraistituzionali in senso stretto (cioè svolti
per soggetti diversi dall’amministrazione di appartenenza), bensì di incarichi “per”
l’amministrazione di appartenenza; peraltro la disciplina che ora esamineremo tocca anche
incarichi (purché di una certa natura) attribuiti da un’amministrazione a soggetti non rientranti
nel suo organigramma (quindi a soggetti esterni), per cui ciò che accomuna la categoria
studiata nel presente paragrafo è il fatto che si tratta di incarichi attribuiti “da”
un’amministrazione nel proprio interesse (il che costituisce un elemento fortemente
caratterizzante rispetto a incarichi, invece, svolti da dipendenti pubblici in favore di soggetti
privati).
Sul piano della disciplina sostanziale questo genere di incarichi è stata oggetto di
un’attenzione particolare da parte della legge n. 190/2012, la quale -all'art. 1, commi 49 e 50ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina
vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità
amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni; il Governo ha esercitato tale delega
legislativa con il d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che contiene una disciplina analitica di questo
genere di incarichi.
L’ambito soggettivo di applicazione di tale nuova disciplina è sostanzialmente
onnicomprensivo del settore pubblico e certamente comprende, comunque, tutte “le pubbliche
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amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” 99, quindi
anche le aziende sanitarie locali.
L’ambito oggettivo di applicazione della nuova normativa, disegnato soprattutto dalla natura
degli incarichi, è anch’esso molto ampio e comprende i cd. “incarichi amministrativi di
vertice”100, i cd. “incarichi dirigenziali interni”101 e i cd. “incarichi dirigenziali esterni”102; tra
l’altro il comma 2 dell’art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 estende l’ambito applicativo della nuova
disciplina anche “al conferimento negli enti locali… di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale,
nonché di tali incarichi a soggetti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 110, comma 2, del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.
Infine il contenuto sostanziale del d.lgs. n. 39/2013, sul quale non è dato soffermarsi perché
esula dall’oggetto specifico della presente trattazione, è caratterizzato soprattutto
dall’introduzione di un’articolata serie di ipotesi di inconferibilità dell’incarico e/o di
incompatibilità con lo stesso, correlate al contemporaneo svolgimento di altre funzioni
considerate in potenziale conflitto di interessi ovvero alla presenza di “precedenti” (penali ma
anche di altra natura) considerati dal legislatore ostativi allo svolgimento di così delicate
funzioni nell’interesse della pubblica amministrazione.
Ciò premesso si passa all’esame della disciplina finalizzata ad assicurare piena
trasparenza in questo specifico settore.
Innanzitutto assume rilievo l’art. 18 del d.lgs. n. 33/2013, intitolato “Obblighi di pubblicazione dei
dati relativi agli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici”, a mente del quale “1. Le pubbliche
amministrazioni pubblicano l'elenco degli incarichi conferiti o autorizzati a ciascuno dei propri dipendenti, con
l'indicazione della durata e del compenso spettante per ogni incarico”. In sostanza questa disposizione
poco aggiunge a quanto già era previsto dalla preesistente disciplina in materia di anagrafe
tributaria (vedi par. precedente), anche se l’aver sottoposto alla nuova disciplina a tutela della
trasparenza qualunque incarico che l’amministrazione abbia conferito o autorizzato ad un
99. Art. 1, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 39/2013.
100. Che sono gli incarichi “gli incarichi di livello apicale, quali quelli di Segretario generale, capo Dipartimento, Direttore generale o
posizioni assimilate nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, conferiti a soggetti interni o esterni
all'amministrazione o all'ente che conferisce l'incarico, che non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e
gestione” (art. 1, comma 2, lett. i, del d.lgs. n. 39/2013); in sostanza si tratta di incarichi qualificati dal loro livello apicale, a
prescindere dal fatto che siano attribuiti a soggetti interni ovvero esterni all’organigramma dell’ente.
101. Che sono gli “incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di
amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad
altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartenenti ai ruoli dell'
amministrazione che conferisce l'incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione” (art. 1, comma 2, lett. j, del d.lgs. n. 39/2013);
in sostanza si tratta di incarichi qualificati dal loro livello dirigenziale e dal fatto di essere attribuiti all’interno
dell’amministrazione.
102. Che sono gli “incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di
amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a soggetti non
muniti della qualifica di dirigente pubblico o comunque non dipendenti di pubbliche amministrazioni” (art. 1, comma 2, lett. k, del d.lgs. n.
39/2013); in sostanza si tratta di incarichi qualificati dal livello dirigenziale ma questa volta attribuiti a soggetti esterni
all’amministrazione.
76
proprio dipendente comporta due conseguenze:
- che la pubblicazione dei relativi dati deve avvenire immediatamente e senza alcuna limitazione
di sorta;
- che questi dati sono anche suscettibili di accesso civico, il cui ambito applicativo è
assolutamente simmetrico a quello del dovere di pubblicazione.
Il novo d.lgs. n. 33/2013 dedica poi una disposizione apposita, l’art. 15, ove si prevede che le
amministrazioni debbano pubblicare tutti i dati caratterizzanti (estremi dell'atto di conferimento
dell'incarico, curriculum vitae, compensi, con specifica evidenza delle eventuali componenti
variabili o legate alla valutazione del risultato) degli incarichi -e dei relativi destinatari- aventi
natura dirigenziale e di collaborazione o consulenza.
L’obbligo di comunicazione tocca indifferentemente gli incarichi conferiti a dipendenti della
stessa pubblica amministrazione ovvero a soggetti non compresi nella sua pianta organica, con
la precisazione però -contenuta nel comma 2- che ove l’incarico sia stato conferito ad esterni la
pubblicazione dei dati fondamentali (compenso, soggetti percettori, ragione dell'incarico),
nonché la comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica dei relativi dati ai sensi
dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del decreto legislativo n. 165/2001 e s.m.i. “sono
condizioni per l'acquisizione dell'efficacia dell'atto e per la liquidazione dei relativi compensi; a sua volta il
Dipartimento della funzione pubblica deve consentire la consultazione, anche per nominativo,
dei dati di cui al presente comma; e, ancora, il comma 3 precisa che “in caso di omessa pubblicazione
di quanto previsto al comma 2, il pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l'ha
disposto, accertata all'esito del procedimento disciplinare, e comporta il pagamento di una sanzione pari alla
somma corrisposta, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario ove ricorrano le condizioni di cui
all'articolo 30 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
La pubblicazione dei dati in esame deve avvenire “entro tre mesi dal conferimento dell'incarico e per i tre
anni successivi alla cessazione dell'incarico” (comma 3 dell’art. 15).
Infine “le pubbliche amministrazioni pubblicano e mantengono aggiornato l'elenco delle posizioni dirigenziali,
integrato dai relativi titoli e curricula, attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni,
individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, di cui
all'articolo 1, commi 39 e 40, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (comma 4 dell’art. 15).
3.15. Un nuovo disegno di legge in materia di trasparenza amministrativa.
Il processo riformatore in materia di trasparenza amministrativa non può ancora ritenersi
concluso, sia perché da più parti è stata evidenziata la necessità di interventi migliorativi del
d.lgs. n. 33/2013 (per meglio definire, ad esempio, l’ampiezza dei limiti alla trasparenza ed i
rapporti tra la nuova disciplina e quella in materia di “accesso tradizionale”: vedi supra), sia
perché continuano tuttora ad “aprirsi nuovi fronti” e ulteriori prospettive di riforma.
Un primo esempio di questa “tendenza evolutiva” è costituito dal disegno di legge sulla
“Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari e ulteriori norme sulla
77
trasparenza dei processi decisionali pubblici” , esaminato, ma non approvato, nel corso del
Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2013.
La finalità della proposta, esposta chiaramente all’art. 1, è quella di assicurare “la trasparenza
dei processi decisionali pubblici e la partecipazione agli stessi dei portatori di interessi particolari 103,
regolamentando l’attività di rappresentanza degli interessi”, ”anche al fine di garantire una più ampia base
informativa sulla quale i decisori pubblici 104 possano fondare le proprie scelte”, in attuazione dei “principi
del pluralismo democratico, della pubblicità e della conoscibilità dei processi decisionali, e dell'efficacia
funzionale”, con la precisazione (che accomuna questa proposta alle recenti riforme già
esaminate) che le misure proposte “attengono ai livelli minimi essenziali delle prestazioni di cui
all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e alla tutela della concorrenza di cui al
medesimo articolo 117, secondo comma, lettera e)”.
Si tratterebbe, in buona sostanza, della prima disciplina nazionale avente ad oggetto il
fenomeno del lobbying ed i suoi rapporti con l’attività politica, normativa e amministrativa dello
Stato e degli altri enti pubblici 105 .
L’effetto complessivo di una simile riforma sarebbe quello di “spostare l’asticella della
trasparenza più a monte”, risalendo sino alla fase in cui la decisione politico-istituzionale e/o
normativa e/o di alta amministrazione si forma, favorendo la partecipazione ed il controllo
sociale preventivi nei confronti delle autorità investite di questi (politicamente decisivi) poteri,
mentre la normativa sulla trasparenza già in vigore si concentra esclusivamente sulla “fase
finale” dell’attività amministrativa o comunque su “aspetti statici” (cioè non dinamicamente
decisionali) della stessa, mediante la pubblicazione di documenti, notizie e informazioni.
Le misure proposte nel disegno di legge si incentrano soprattutto sul ruolo e le prerogative
riconosciute ai “portatori di interessi particolari”, iscritti in apposito elenco, i quali, ai
103. L’art. 2, comma 1, lett. a), del disegno di legge individua i “portatori di interessi particolari” come “le persone fisiche che
rappresentano, anche per conto terzi, professionalmente, presso i decisori pubblici, interessi leciti, anche di natura non economica, al fine di incidere
sui processi decisionali pubblici in atto, ovvero di avviarne di nuovi, nonché coloro che, pur operando nell’ambito o per conto di organizzazioni
senza scopo di lucro, ovvero di organismi, anche di natura societaria e a partecipazione pubblica o privata, il cui scopo sociale prevalente non è
l’attività di rappresentanza di interessi particolari, svolgono, per conto dell’organizzazione od organismo di appartenenza, la suddetta attività”.
Pertanto questa definizione non corrisponde pienamente alla nozione di stakeholder (sulla quale vedi nota 76), dalla quale i
“portarori di interessi particolari” si differenziano per una maggiore “indipendenza” e rappresentatività formale, ancorché
nell’ambito di un’attività pur sempre volta “a perseguire interessi leciti non generali”, come poi chiarisce la lett. e) dello stesso art.
2, comma 1, del disegno di legge.
104. L’art. 2, lett. c), individua quali “decisori pubblici” “il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i
Sottosegretari di Stato, i vertici degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, dei Vice Ministri e dei Sottosegretari di Stato, i titolari di
incarichi di funzione dirigenziale generale conferiti ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; i componenti e i vertici
degli enti pubblici economici e non economici; i componenti e i vertici delle Autorità indipendenti; i componenti e i vertici dei Consigli e delle Giunte
regionali, provinciali e comunali nonché i vertici delle rispettive amministrazioni”: quindi l’obiettivo della proposta è quello di “porre alla
luce del sole” i processi decisionali che si svolgono al più alto livello politico-istituzionale.
105. Si legge nella relazione che illustra il disegno di legge che “Con il presente disegno di legge, in coerenza con gli obiettivi del
programma di Governo, nel regolamentare il lobbying, si intendono soddisfare esigenze sia di trasparenza, con l’obiettivo di rendere conoscibili per il
cittadino i molteplici fattori che incidono sulla formazione degli atti normativi e degli atti amministrativi generali del Governo, sia di
partecipazione, con la finalità di permettere ai rappresentanti di interessi non generali di intervenire nei processi decisionali dell’Esecutivo in
condizioni di parità di trattamento. A tal fine, si introducono disposizioni che riconoscono il più ampio diritto a svolgere l’attività di
rappresentanza di interessi particolari, allo scopo di rendere il circuito istituzionale più informato, più recettivo ed attento alle richieste che
provengono dalla società civile di cui le lobbies sono espressione. L’attività di lobbying, in Italia, non è ancora stata oggetto di una
regolamentazione organica e coerente da parte del legislatore, nonostante i numerosi tentativi dei parlamentari nazionali”.
78
sensi dell’art. 7, comma 1, possono “a) presentare al decisore pubblico proposte, richieste, suggerimenti,
studi, ricerche, analisi e documenti, anche per via telematica, al fine di perseguire interessi leciti nei confronti dei
decisori pubblici; b) accedere alle sedi istituzionali dei decisori pubblici…; c) chiedere di essere ascoltati
prioritariamente dall’Amministrazione nella fase di elaborazione della normativa”; inoltre i portatori di
interessi particolari, ai sensi dell’art. 7, comma 2, trasmettono “una sintetica relazione concernente
l’attività di rappresentanza…volta nel corso dell’anno precedente, contenente” alla CIVIT, la quale, ai sensi
del comma 3, “garantisce la pubblicità dei contenuti delle relazioni di cui al comma 2 nella sezione pubblica
del proprio sito internet” e, a sua volta, “trasmette al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri
una relazione in cui sono illustrate l’attività svolta e le relazioni presentate dai portatori di interessi, nonché
eventuali criticità e proposte di modifica della normativa connessa” (comma 4).
79
INDICE DEGLI ALLEGATI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Legge n. 241/1990, testo integrale;
D.lgs. n.165/2001, art. 53;
D.lgs. n. 196/2003, Codice per la protezione dei dati personali, testo integrale;
D.lgs. n. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale, stralcio;
D.lgs. n. 150/2009, testo integrale, cd. “Riforma Brunetta”;
Legge n. 190/2012, cd. legge anticorruzione, testo integrale;
D.lgs. n. 33/2013 sulla trasparenza amministrativa, testo integrale;
D.lgs. n. 39/2013 sulla disciplina degli incarichi autorizzati o conferiti dalle pubbliche
amministrazioni, testo integrale;
9. D.p.r. n. 62/2013, approvazione del nuovo Codice di comportamento dei pubblici
dipendenti, testo integrale.
10. Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 14 giugno 2007, n. 23
“Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di
gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico, testo integrale”;
11. Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 24 luglio 2008, n. 52,
“Linee guida per i trattamenti di dati personali nell'ambito delle sperimentazioni
cliniche di medicinali”, testo integrale;
12. Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 19 dicembre 2009, n. 36,
“Linee guida in tema di referti on-line”, testo integrale;
13. Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 2 marzo 2011, n. 88,
“Linee guida in materia di trattamento di dati personali contenuti anche in atti e
documenti amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e
diffusione sul web”, testo integrale;
14. Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali, “Linee guida 2011 in
materia di trattamento di dati personali contenuti anche in atti e documenti
amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione
sul web”, testo integrale;
15. Deliberazione n. 2/2012 della CIVIT, “Linee guida per il miglioramento della
predisposizione e dell’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e
l’integrità”;
16. Deliberazione della CIVIT n. 50/2013, “Linee guida per l’aggiornamento del
Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”;
17. Circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 1/2013 sulla legge
anticorruzione, testo integrale;
18. Circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 2/2013 sul “decreto trasparenza”;
19. Disegno di legge sulla “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari e
ulteriori norme sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici”, esaminato, ma non
80
Art. 1
Definizioni
1. Ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di
vertice nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo
approvato,
nel corso
della riunione
delnelConsiglio
dei Ministri
data 5 quanto
luglio previsto
2013, testo
pubblico
si osservano
le disposizioni
contenute
presente decreto,
fermoin
restando
dagli
articoli
19
e
23-bis
del
decreto
legislativo
30
marzo
2001,
n.
165,
nonchè
dalle
altre
disposizioni
vigenti in
integrale;
materia di collocamento fuori ruolo o in aspettativa.
20. T.A.R. Bari, Sez. III, 22 maggio 2012, n. 785 (massima e testo tratti da Lexitalia.it);
2. AiT.A.R.
fini del Milano,
presente decreto
intende:
21.
Sez. III,si 12
febbraio 2013 n. 393 (massima e testo tratti da Lexitalia.it);
22.
Corte
di Cassazione,
Sez. III,
12 marzo
2013, n. 6101
relativo 1,commento
didecreto
O.
a) per
«pubbliche
amministrazioni»,
le pubbliche
amministrazioni
di cuieall'articolo
comma 2, del
legislativo
30 marzo
2001, n.
165, ivitratti
comprese
le autorità amministrative indipendenti;
Carparelli
(massima
e testo
da Lexitalia.it);
23.
T.A.R. Pescara, Sez. I, 23 aprile 2013, n. 240 (massima e testo tratti da Lexitalia.it);
b) per «enti pubblici», gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque
denominati,
istituiti,
vigilati,Sez.
finanziati
pubblica amministrazione
conferisceel'incarico,
ovveroda
i cui
24.
Consiglio
di Stato,
III, dalla
27 maggio
2013, n. 2894che
(massima
testo tratti
amministratori siano da questa nominati;
Lexitalia.it).
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