rivista di diritto alimentare

annuncio pubblicitario
DIRITTO
AL
IM
ASSO
E
TAR
EN
CI
LIANA
E ITA
ION
Z
A
N
IT
AL
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
Contratti e mercati di prossimità e
di territorio dei prodotti agroalimentari
Francesco Adornato
1.- La base giuridica dei mercati di prossimità
La nostra riflessione non può che prendere avvio dall’art.
39, par. 1, del Trattato di Roma, il quale, con riferimento
anche all’argomento qui affrontato, costituisce la base
“costituzionale”1 delle politiche agricole comunitarie e altresì nazionali in ragione della primazia del Trattato sul diritto
interno2.
Molto opportunamente, e non a caso, il tema propostomi è
declinato al plurale, “mercati di prossimità”, perché plurale è
intanto il profilo fenomenico (i mercati, cioè), ma, ancor più
significativamente plurale è la sostanza giuridica dell’intero
articolo 39, e non solo del suo secondo paragrafo3.
Un’attenta e sistematica lettura, infatti, delle finalità della
Pac4, di cui al primo paragrafo del citato articolo 39, ci consente considerazioni molto significative, attuali e d’orizzonte.
Intanto, la finalità produttivistica di cui alla lettera a) (incrementare la produttività dell’agricoltura) stempera la sua
connotazione economicistica alla luce, in primo luogo, della
lettera b), che collega (e contamina) l’incremento medesi-
15
mo all’obiettivo di “assicurare un tenore di vita equo alla
popolazione agricola, grazie in particolare (sottolineatura
nostra) al reddito individuale di coloro che lavorano in agricoltura”. Emerge, dunque, un contenuto sociale dell’agricoltura e delle (finalità delle) politiche agricole, l’equità, ulteriormente corroborato dalla lettera e) del medesimo par. 1
dell’art. 39, per via dell’obiettivo di “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori”.
Mercato, dunque, ma non “mercatismo”5, nel senso che
sembra delinearsi dall’insieme dell’art. 39, un modello di
“economia sociale di mercato”6, il quale sembra, a sua
volta, sostanzialmente richiamarsi all’impianto costituzionale italiano7.
Ma ciò che a noi più preme sottolineare, in questa circostanza, sempre con riferimento all’art. 39, è ancora altro e
conduce direttamente alla sostanza dell’argomento posto.
La lettera c) del 1° paragrafo del citato articolo assegna,
infatti, alla Pac la finalità di “stabilizzare” (to stabilise markets, nel testo inglese e de stabiliser les marchés in quello
francese), usando il plurale non come riferimento generico
e indistinto a lontani e sconosciuti Moloch8, ma volendo
piuttosto richiamare sia le dinamiche economiche, che la
pluralità delle forme, spaziali e modali, entro cui si realizzano gli scambi commerciali9: dunque, anche quelle riconducibili alla dimensione della c.d. filiera corta.
Peraltro, sembra a noi che tale interpretazione sia corroborata dalla successiva e congiunta lettura della finalità di cui alla
lettera d) di “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti
(to assure the availability of supplies; de garantir la sécurité
des approvisionnements), in cui la declinazione (anche in
(1) Vedansi, in merito, Corte di Giustizia (parere 1/91 del 14 dicembre 1991 – e sentenza 23 aprile 1986 (causa 294/83, Parti écologiste
Les Vertes) per la quale “il Trattato CEE, benché sia stato concluso in forma di accordo internazionale, costituisce la Carta costituzionale di una comunità di diritto”. In dottrina, cfr. A. Germanò – E. Rook Basile, Manuale di diritto agrario comunitario, II^ ediz., Torino,
2010, 23; L. Costato – L. Russo, Corso di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, 2008.
(2) Sul punto, in particolare, L. Costato, Compendio di dritto alimentare, Padova, 2002, 28 ss., ove si riporta la Giurisprudenza
Costituzionale.
(3) Cfr. F. Adornato, Di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2004, 5 ss.
(4) Come è stato rilevato, “procedendo all’analisi delle suddette finalità, è dato immediatamente riscontrare l’ampiezza delle stesse, quanto la difficoltà del loro contemperamento […]: cosicché la Corte di giustizia ha dovuto precisare che i detti obiettivi possono non essere
perseguiti allo stesso modo tutti e simultaneamente, essendo invece necessario che risulti che le istituzioni si siano preoccupate di
garantire il contemperamento degli scopi anche se, nella specifica normazione, abbiano dato preminenza temporanea a uno o all’altro
fine, in relazione delle particolari circostanze in cui esse intervengono nell’ambito della loro ampia discrezionalità”: così, A. Germanò –
E. Rook Basile, Manuale di diritto agrario comunitario, II^ ediz., Torino, 2010, 97. Molto significativamente, la Corte di giustizia, a proposito della Pac, già nel 1963 (causa 90-91/63) aveva stabilito che essa è una combinazione di provvidenze e norme giuridiche in base
alle quali le autorità competenti cercano di regolare e controllare il mercato.
(5) Su quest’ultimo profilo, cfr., recentemente, H. Joon Chang, 23 cose che non ti hanno detto sul capitalismo, Il Saggiatore, Milano, 2010,
in particolare, 17 ss.
(6) Cfr., sia pure nei suoi brevi accenni, A. Germanò – E. Rook Basile, op. cit., 49 ss.
(7) Con riferimento al dettato costituzionale italiano, autorevolmente, S. Cassese, La nuova Costituzione economica, Bari-Roma, V^ ed.,
Padova, 2011, 3.
(8) Cfr., in merito, G. Akerlof-R. Shiller, Spiriti animali, Milano, 2009.
(9) Non a caso, da questo punto di vista, le filiere corte “oltre ad essere caratterizzate dall’assenza di intermediari fra i produttori e i consumatori, sono basate sulla dimensione locale della produzione, trasformazione e commercializzazione”: così, C. Cicatiello, S. Franco,
Filiere corte e sostenibilità: una rassegna degli impatti ambientali, sociali ed economici, in La questione agraria, 2012, 3, 47. Proprio
recentemente Habermas ha osservato che “i mercati sono sistemi autocontrollati che coordinano in modo decentrato una quantità inimmaginabile di singole decisioni”: cfr. J. Habermas, Un passo indietro, in La Repubblica, 23 settembre 2012.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
questo caso) plurale rimanda alla pluralità delle dinamiche e
delle forme prima citata, mentre l’espressione “sicurezza”
(proprio perché indistintamente indicata) rinvia sia ai suoi
profili quantitativi (security), che qualitativi (safety)10.
Ad avvalorare, conclusivamente, questa interpretazione
plurale dei contenuti (anche) del primo paragrafo dell’art. 39
del Tfue soccorre, infine, il riferimento, nella citata lettera b),
innanzitutto, alla popolazione agricola (nome collettivo che
rimanda, cioè, ad una pluralità di figure, the agricultoral
community; à la population agricole) e inoltre (in modo
altrettanto esplicitamente plurale) a coloro che lavorano in
agricoltura (persons engaged in agricolture; ceux qui travaillent dans l’agriculture).
In sostanza ci troviamo davanti ad un impianto giuridico che
disegna un sistema compiutamente plurale in agricoltura:
delle attività, delle politiche, dei soggetti, dei mercati.
2.- “Politeismo” alimentare e filiere corte
All’interno di un andamento generale di mutata composizione strutturale dell’agricoltura italiana11, i consumi alimentari
si sono caratterizzati in questi ultimi anni, “per essere al
centro di un processo di trasformazione più ampia, che
investe una molteplicità di dimensioni associate all’acquisto, quali il prezzo (o meglio il rapporto qualità / prezzo), la
componente di servizio, il grado di sostenibilità ambientale
e sociale delle produzioni (biologico, equo e solidale, …), la
funzione salutistica, ecc… Tendenze [queste] sostenute –
anche – da fattori economico-occupazionali, quali l’incremento della disoccupazione, la modifica dell’organizzazione del lavoro e la riduzione del reddito disponibile, ma
anche da elementi di natura demografica e sociale”12, tra
16
cui, in particolare, la trasformazione delle tipologie familiari
e la crescita della popolazione straniera, che influenzano
modalità, stile e percezione di determinati alimenti.
Si è andata così consolidando, in modo (che potremmo
definire) coerente “la dinamica che ha portato, nelle scelte
alimentari più che in qualsiasi altro settore, alla ‘sovranità
del consumatore’. Il Censis l’ha chiamato politeismo alimentare, in parole povere gli italiani quando si tratta di cibo non
hanno un’unica ‘fede’, ma si barcamenano tra diverse convinzioni ed esigenze […]”13.
In questo contesto maturano ed assumono ulteriore connotazione i fenomeni e le forme della c.d. filiera corta, ovvero
“tutte quelle modalità di commercializzazione alternative
alla grande distribuzione organizzata su scala globale che
si caratterizzano, da un lato, per la riduzione o l’eliminazione degli intermediari fra produttori agricoli e consumatori e,
dall’altro, per la dimensione locale delle transazioni commerciali”14.
Sul piano squisitamente economico-commerciale, “la vendita diretta rappresenta quasi il 3% del totale dei consumi alimentari in Italia, ed è in continua e forte crescita”15, coinvolgendo “circa il 30% delle aziende [agricole] italiane, in particolare quelle di media dimensione, a indirizzo produttivo
misto o specializzato nelle coltivazioni arboree e nei seminativi16.
Tuttavia, “l’interesse per il fenomeno è giustificato dal fatto
che le filiere corte toccano alcuni dei temi più attuali del
dibattito sul cibo: la questione del paradosso alimentare; il
problema del rapporto tra cambiamento globale, disponibilità di risorse naturali e produzione agricola; i conflitti economici che si generano tra attori diversi delle filiere agroalimentari; la questione delle interazioni fra città, luogo di consumo, e la campagna, luogo di produzione”17.
(10) Cfr., in merito, L. Costato – P. Borghi – S. Rizzioli, Compendio di diritto alimentare, V ed., Padova, 2011, 3.
(11) Su cui Inea, Rapporto sullo stato dell’agricoltura 2011, supplemento ad Agrisole del 16 dicembre 2011, specie 40 ss.
(12) Ancora Inea, ult. cit., 43.
(13) Così, G. De Rita, La crisi rende virtuosi i consumatori, in D. Cersosimo (a cura di), I consumi alimentari. evoluzione strutturale, nuove
tendenze, risposte alla crisi, Gruppo 2013, Quaderni, edizioni Tellus, 2012, 134-135.
(14) Così C. Cicatiello, D. Marino, S. Franco, Un focus sui consumatori che frequentano i farmer’s market, in I consumi alimentari, cit.,
140. Dal punto di vista lessicale si registra una sovrapposizione tra il concetto di vendita diretta e di filiera corta, da un lato e, dall’altro,
una molteplicità di forme commerciali che a questa dimensione appena citata, fanno riferimento, ovvero, tra queste, quelle così individuate: “1. Vendita diretta in azienda, fattoria, agriturismo; 2. Vendita diretta aziendale in punti aziendali organizzati: spacci, stand aziendali e punti vendita collettivi presso fiere, sagre e mercati rionali; 3. «farmer’s market» o mercati contadini; 4. Consegna a domicilio a
singoli consumatori o a gruppi organizzati / «box scheme»; 5. Vendita per corrispondenza; 6. «e-commerce»; 7. Fornitura di prodotti a
gruppi di acquisto; 8. Fornitura diretta dei prodotti alla ristorazione; 9. Cooperative di consumo, accordi produttori-commercianti; 10.
Distributori automatici (latte crudo, spremute di arance, porzioni di frutta); 11. Raccolta libera sul fondo da parte dei consumatori («pick
your own»); 12. Forme di vendita diretta innovative («vino su misura», «adotta una pecora»”. Così S. Giuca, Che cos’è la filiera corta,
in Agricoltori e filiera corta. Profili giuridici e dinamiche socio-economiche, Atti del Convegno Inea, Roma, 30 maggio 2012 – in corso di
pubblicazione). L’A. osserva come ci sia una sovrapposizione tra il concetto di vendita diretta e quello di filiera corta e come numerose
esperienze di filiera corta abbiano natura concertativa.
(15) Così, A.F. Pozzolo, I consumi alimentari in Italia in periodo di crisi, in I consumi alimentari, cit., 115.
(16) Così S. Franco – D. Marino, Il mercato della Filiera corta. I farmer’s market come luogo di incontro di produttori e consumatori, a cura
di S. Franco – D. Marino, in Gruppo 2013, Working paper, marzo 2012, n. 19, 3, che riportano i dati della Rete di informazione contabile agricola (Rica).
(17) Così, S. Franco – D. Marino, Il mercato della Filiera corta, op. loc. cit.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
Peraltro, negli obiettivi della programmazione comunitaria
2014-2020 relativa allo sviluppo rurale, inserisce le filiere
corte tra i sottoprogrammi (insieme ai piccoli agricoltori, ad
es., alle zone montane, ai giovani agricoltori) tra i sottoprogrammi delle sei priorità nazionali, tra cui promuovere l’inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo
economico nelle zone rurali18.
Infine, da una specifica ricerca sulle “caratteristiche dei farmer’s market” [appositamente] selezionati, si è verificato che
[nonostante l’unitarietà lessicale] esistono esperienze anche
molto diverse fra loro, caratterizzate da modalità di gestione
che influenzano in modo diretto le tipologie di prodotti venduti
e l’organizzazione stessa del mercato [che] sembrano in
grado di descrivere, pur con tutte le approssimazioni del caso,
le pluralità (corsivo nostro) di esperienze attive in Italia”19.
A ben vedere si tratta di un pluralismo che si esprime non
solo con riferimento alle dinamiche economiche di vendita,
ma rimanda, sorprendentemente, alla connotazione plurale
delle figure soggettive venditrici, le quali per un lungo periodo storico-giuridico sono andate oltre la fattispecie precipua
dell’imprenditore agricolo.
3.- Il percorso normativo dei mercati di prossimità e i soggetti venditori: dalla disciplina anteriore al codice del 1942
Una rapida disamina del percorso normativo in merito non
solo conferma la fondatezza dell’assunto, ma offre una lettura illuminante ed attuale della dimensione proprietaria, specie in relazione alla sua “tensione dialettica” con l’impresa.
Ovviamente, non sorprende la legislazione anteriore al codice
del 1942, in cui vigente la duplicazione dei codici, civile e commerciale, la materia attinente all’agricoltura ha avuto come
riferimento giuridico pressoché esclusivo lo spazio della pro-
17
prietà20, anche se, come è noto, tra la fione dell’Ottocento e gli
inizi del Novecento, si svolse un intenso dibattito dottrinario,
che, nel tentativo di definire i connotati dell’agrarietà, affrontò
le zone grigie di confine tra materia agricola e materia commerciale21 e la dialettica proprietà/impresa22.
L’unificazione dei codici, ma anche e soprattutto l’impostazione altrettanto unificata dell’attività economica, basata,
dal punto di vista soggettivo, sulla figura dell’imprenditore e,
da quello oggettivo, sul concetto di impresa23, aprono, come
è stato autorevolmente rilevato, “al diritto agrario quelle
possibilità che erano estranee agli schemi dei vecchi codici
indifferenti per questo riguardo ad uno degli aspetti inconfondibili, più vitali dell’economia nazionale”24. Nel libro della
proprietà del nuovo codice vengono, infatti, relegati tra gli
aspetti statici del fenomeno agricolo (quelli connessi alla
disciplina del fondo ed ai rapporti giuridici ad esso inerenti,
ivi compresi gli aspetti di natura pubblicistica), mentre nel
libro del lavoro “sono raccolte le norme relative all’esercizio
dell’impresa agricola intesa come attività professionale del
titolare di un complesso di elementi organizzati al fine produttivo”25, configurando, in tal modo, una piena legittimazione dell’aspetto dinamico (e progressivo) dell’agricoltura.
Se è vero che il nesso tra proprietà e impresa adombrato
nella relazione al codice26 “non risponde ad un criterio logico né ad un bisogno sistematico”27, è altresì innegabile il
loro costante rapporto dialettico28, al punto che ancora oggi
si considera l’art. 2135 cod. civ. “punto di emersione quanto mai significativo dell’irrisolta – appunto – dialettica tra i
due istituti”29. Occorre, allora, accogliere l’autorevole invito
di chi ha sostenuto che questo rapporto, perché non finisca
per apparire, soprattutto in agricoltura, “una etichetta vuota
di contenuto”30, necessita di un’indagine, sia pure sintetica,
diretta a “controllare in qual modo si è pervenuti a dare
risalto all’ «impresa» accanto alla «proprietà»”31.
(18) Cfr. Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo
agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr), Cam (2011), § 27 definitivo, Bruxelles, 12 ottobre 2011, art. 8.
(19) Così, C. Cicatiello, D. Marino, S. Franco, Un focus sui consumatori, cit., 143.
(20) Cfr. la fine ricostruzione di A. Jannarelli, Il dibattito sulla proprietà privata negli anni trenta del Novecento, in Diritto romano attuale,
2006, 16, 33 ss. e, successivamente, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2007.
(21) Anche qui vedasi la precipua ricostruzione di Jannarelli in A. Jannarelli – A. Vecchione, L’impresa agricola, Torino, 2009, 4 ss.
(22) Vedasi, sul versante forestale, F. Adornato, L’impresa forestale, Milano, 1996, 8 ss.
(23) Cfr., in merito, R. Nicolò, Codice civile, in Enc. dir., VIII, Milano, 1960, 246.
(24) Così, F. Vassalli, Il nuovo codice civile, in Nuova Antologia, 1942, giugno, 159, e, successivamente, in Motivi e caratteri della codificazione civile, in Studi giuridici, vol. III, tomo II, Milano, 1960, 617.
(25) Così F. Maroi, L’agricoltura nel libro del lavoro del nuovo codice civile, in Riv.dir.agr., 1942, 123 ss.
(26) Cfr. Relazione al libro del lavoro del codice civile, approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 17, in Raccolta ufficiale delle leggi e dei
decreti del Regno d’Italia, vol. 1 ter, Roma, 1941, 15.
(27) Così N. Irti, Proprietà e impresa, Napoli, 1965, 1.
(28) Considerato uno dei motivi fondamentali del nuovo codice da R. Nicolo, in Riflessioni sul tema dell’impresa e su talune esigenze di
una moderna dottrina del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1956, I, 182 ss.
(29) È opinione di R. Alessi, in L’impresa agricola, cit., in Il Codice civile. Commentario, a cura di P. Schlesinger, Milano, 1990, 4.
(30) Così M. Giorgianni, Il diritto agrario tra il passato e l’avvenire, in Riv .dir. agr., 1964, I, 21ss., ora in Scritti minori, Napoli, 1988, 575.
(31) Ancora Giorgianni, op.loc.cit.. Altrettanto esplicito è G.B. Ferri, in Alla ricerca del tempo perduto a cercarlo dove non si trovava, in
Proprietà produttiva, cit., 94, il quale afferma che “il punto di partenza intorno alla definizione codicistica dell’imprenditore agricolo deve
(…) prender le mosse prim’ancora che dall’assetto che il legislatore del 1942 ha dato a questo istituto, dall’esame delle novità che il
nuovo codice ha introdotto in materia di diritto di proprietà”.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
Ritenendo, anche noi, proficue e feconde “le ricerche storiche nel diritto agrario”32, proveremo ad evidenziare, attraverso una ricostruzione storico-giuridica, l’evoluzione normativa della vendita diretta proprio per coglierne i tratti
peculiari, il cui percorso sembra oggi mostrare i segni di un
“ritorno al futuro”.
Ovviamente, vigente la citata separazione dei codici, civile
e commerciale, non fa specie se la legge n. 327/1934, nel
disciplinare il commercio in forma ambulante e nel prevedere per gli agricoltori un regime di favore rispetto a quello
previsto per i commercianti in sede fissa33, individuava i
primi ne “i capi di famiglia agricoltori proprietari di terreni
conduttori o coltivatori diretti, [ne] i mezzadri e i fittavoli, i
coloni e gli enfiteuti e le persone delle relative famiglie
[facenti] parte dell’azienda, [ma] che non fossero con queste in rapporto di dipendenza come salariati”34.
L’accesso al mercato ambulante35 era subordinato alla
richiesta al podestà della licenza di vendita, da rilasciarsi
previa iscrizione, sia nel “Registro degli esercenti mestieri
ambulanti”, sia nel “Registro delle ditte tenuto dall’ufficio
provinciale delle corporazioni”36, e in ragione del versamento di un deposito cauzionale di 100 lire (fino al reddito
annuo di ricchezza mobile di lire 4.999)37.
A ben guardare, le ragioni di questo favor risiedevano nella
politica economica e sociale del fascismo. Bisogna pur preoccuparsi – fu l’affermazione di Bottai in un discorso nel
1930 – che le sperequazioni al compenso di lavoro non
inducano i coloni e i piccoli affittuari a spostare la propria
attività […]38.
Preoccupazione che andava inquadrata all’interno di una
più specifica politica antiurbana del regime da tempo avviata. “La crisi agraria – infatti – che si ra manifestata come la
18
prima ed immediata conseguenza della rivalutazione [della
lira], in molte zone si presenta nella classe dei proprietari
irrisolvibile attraverso il tradizionale ricorso all’accentuata
pressione economica sulla manodopera, proprio a causa
della possibilità di «fuga» che la città continuava ad offrire
alle masse contadine più sfruttate, ai giovani contadini più
insofferenti alla vita rurale”39.
Consentire, dunque, l’esercizio dell’attività di vendita anche
ai coloni e, più in gnerale, agli agricoltori, serviva ad assicurare l’equilibrio nel controllo dell’offerta di manodopera nelle
campagne.
Lo stesso intervento pubblico nel secondo dopoguerra ha
tentato – negli anni sessanta, senza peraltro riuscirci – di
orientare secondo le linee dello sviluppo economico difforme dal paese”40, tenendo conto, cioè, del fatto che “il sistema produttivo nelle campagne fosse costituito da una moltitudine di piccole aziende … [e, non a caso] in campo
sociale, nelle intenzioni erano soprattutto i programmi a
favore della piccola proprietà contadina a essere considerati…”41.
Senza minimamente voler affermare una continuità tra le
politiche agricole del regime fascista e quelle del secondo
dopoguerra, va osservato che analogo trattamento di favore di cui alla citata legge n. 327/1934 era riservato agli agricoltori che intendeva vendere i prodotti dei loro fondi è stato
previsto dalla legge 31 marzo 1959, n. 12542. L’art. 3, infatti, esonerava dall’applicazione delle norme di cui al r.d.l. n.
2174/1926 (Disciplina del commercio di vendita al pubblico)
coloro che intendessero esercitare il commercio all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici,
obbligandoli, invece che al rilascio della licenza di commercio, soltanto alla comunicazione alla Camera di commercio,
(32) Trattasi di una risalente, e condivisibile, considerazione di G. De Semo, Corso di diritto agrario, Firenze, 1937, 10.
(33) Secondo l’art. 4, comma 3, l. n. 327/1934, erano sottratti alla regola fissata dal r.d.l. n. 2174/1826 – disciplina del commercio di vendita al pubblico – secondo cui la concessione era subordinata alla rispondenza dell’attività “alle caratteristiche economiche della
Provincia, alla densità della popolazione e alle reali esigenze della produzione, del commercio e del consumo. Recentissimamente, su
questi profili, I. Canfora, Dalla terra al territorio: il ruolo dell’agricoltore nella filiera corta, in Agricoltori e filiera corta. Profili giuridici e dinamiche socio-economiche, in F. Giarè, S. Giuca, Inea, Roma, 2012, 32.
(34) Così l’art. 46, r.d. n. 2255/1939, Regolamento per l’applicazione della legge 5 febbraio 1934, n. 327, che disciplina il commercio
ambulante.
(35) Agli effetti della legge n. 327/1934, secondo l’art. 1, era considerato venditore ambulante colui il quale avesse venduto a domicilio
dei compratori, ovvero su aree pubbliche, purché la vendita non venisse effettuata sui mercati all’ingrosso o su banchi fissi di mercato
al minuto coperti, ovvero in chioschi, baracche e simili, fissati stabilmente al suolo.
(36) Vedi artt. 7 e 8 r.d. n. 2255/1939.
(37) Secondo l’art. 9 della legge n. 327/1934, il rilascio della licenza non poteva essere negata quando fosse risultata provata la loro qualità di produttori diretti (corsivo nostro), venditori al minuto di prodotti al domicilio del compratore e sui mercati. In questo caso, gli agricoltori erano esonerati anche dal deposito cauzionale.
(38) Il discorso di Bottari è riportato da C. Severini, La mezzadria nel regime fascista, Livorno, 1930, 341 ss.
(39) Così, D. Preti, Economia e istituzioni nello Stato fascista, Roma, 1980, 60.
(40) Così, L. Segre, Politica agraria e interventi pubblici, fra Piani Verdi e Comunità economica europea, negli anni sessanta, in G.
Consonni, F. Della Peruta, G. Ghisio (a cura di), Stato e agricoltura in Italia 1945-1970, Roma, 1980, 365.
(41) Ancora, L. Segre, op. cit., 365 e 369.
(42) Norme sul commercio all’ingrosso dei produttori ortofrutticoli, delle carni e dei prodotti ittici, che ha dato avvio alla liberalizzazione dei
mercati all’ingrosso di detti prodotti. Cfr., in merito, E. Romagnoli, Natura agricola della vendita al minuto, in Giur. agr. it., 1975, 144 ss.
(43) Nella relazione di maggioranza alla legge in questione non si accenna all’impresa agricola, ma si fa riferimento generale agli scopi
di liberalizzazione della normativa.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
industria e agricoltura della loro intenzione di esercitare la
vendita all’ingrosso.
L’art. 10 di detta legge dichiara “ammessi al mercato all’ingrosso, per la vendita dei prodotti appena citati i produttori
(corsivo nostro) singoli e associati, anche se non iscritti nell’apposito albo tenuto presso la Camera di commercio, i
consorzi e le loro cooperative di produttori e gli enti di colonizzazione.
In sostanza, pur in piena vigenza del codice civile e della
normativa sul coltivatore diretto, la legge fa riferimento non
esclusivo, né esplicito, all’imprenditore agricolo, ma a “coloro (corsivo nostro) che intendano esercitare il commercio
all’ingrosso” (dei prodotti ortofrutticoli, ittici e delle carni),
includendovi in modo implicito, all’art. 3, gli imprenditori,
salvo, poi, prevedere in modo esplicito, all’appena riportato
art. 10, i produttori, figure del tutto differenti, come è ben
evidente, dagli imprenditori43.
Se nell’appena citata fattispecie trattavasi di vendita all’ingrosso, la legge 9 febbraio 1963, n. 5944, stabilisce all’art. 1
che i produttori singoli e associati non erano tenuti a munirsi
delle licenze di cui al regio decreto legge 16 dicembre 1926,
n. 2174 per la vendita al dettaglio nell’ambito del proprio
comune o dei comuni viciniori dei prodotti ottenuti nei rispettivi fondi per coltura o allevamento […]. A tale proposito, l’art.
2 individuava i produttori agricoli ne “i proprietari di terreni da
essi direttamente condotti o coltivati, i mezzadri, i fittavoli, i
coloni, gli enfiteuti e le loro cooperative e consorzi”.
Anche nella legge 11 giugno 1971, n. 426 (disciplina del
commercio), questa indistinzione lessicale45 permane, visto
che nel registro degli esercenti il commercio all’ingrosso e
al minuto, nelle varie forme in uso, devono iscriversi anche
i produttori agricoli, salvo i casi previsti dalle vigenti disposizioni di legge.
Vorrei ricordare che la Corte di Cassazione, intervenendo,
con riferimento alle disposizioni di cui all’art. 1 legge n.
558/1971, sulla vendita nei giorni domenicali e festivi, in
vigenza della legge n. 59/1963, fa riferimento anch’essa in
modo generico all’agricoltore che svolge attività di vendita
dei prodotti ottenuti nel fondo […] e/o al produttore agrico-
19
lo46. Non a caso, Carrozza, a proposito della legge n.
558/1971, in un Suo scritto apparso subito dopo l’appena
citata sentenza, ha significativamente osservato che la
legge ha usato espressioni empiriche e nel contempo estensive, che hanno come riferimento soltanto l’attività di vendita in sé, prescindendo sia dall’esercizio di svolgimento che
dalle forme con cui viene praticata47: coerentemente, questi
connotati dell’empirismo e dell’estensività possono essere
riferiti anche alle figure soggettive agricole, indicate nei testi
di legge in esame e nella pronuncia della Cassazione, con
un riferimento indistinto [agricoltore e/o produttore].
A noi sembra, leggendo retrospettivamente le normative qui
riportate, che non possa individuarsi una scelta di politica del
diritto finalizzata, attraverso il riconoscimento della molteplicità sia delle figure venditrici, che delle “varie forme in uso”,
ad ampliare il consumo, a rendere più accessibili, anche a
vantaggio dei consumatori, i costi di produzione, ad incrementare la produzione stessa, a riconoscere, antesignanamente, forme “plurali” di soggetti operanti in agricoltura.
A dire il vero non sfugge a questa impressione anche un
testo normativo fondamentale e recente quale quello di cui
al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, (Riforma della
disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art.
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59)48.
L’art. 30, comma 4, prevede, infatti, che la disciplina sul
commercio a dettaglio su aree pubbliche49 non si applichi ai
coltivatori diretti, ai mezzadri e ai coloni (corsivo nostro) i
quali esercitino sulle aree pubbliche la vendita dei propri
prodotti ai sensi della legge 9 febbraio 1963, n. 59.
Certo è sorprendente rilevare che, alle soglie del terzo millennio, una legge citi la figura del colono. Però, a parte il
fatto, come ricordano le illuminanti, classiche pagine di
Enrico Bassanelli50, che la colonia è una fattispecie giuridica a declinazione plurale (ad meliorandum, parziaria e perpetua), non è fuori luogo osservare che, al momento della
entrata in vigore del decreto legislativo n. 114/1998, la colonia miglioratoria e quella parziaria potendo ben essere state
convertite in affitto ai sensi dell’art. 25 della legge n.
203/198251, non c’era motivo di ricomprendere i coloni (rec-
(44) Norme per la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti. Cfr., in merito, D. La
Medica, La vendita diretta dei prodotti agricoli, in Dir. giur. agr. amb., 2009, 29 ss.
(45) Di indistinzione lessicale parla L. Costato in un suo scritto del 2001, Il diritto agrario: rana di Esopo o diritto alimentare?, in Nuovo
dir. agr., 2001, 357.
(46) Cfr., Cass., Sez. I civ., 9 novembre 1988, n. 6019.
(47) Cfr. A. Carrozza, Vendita diretta dei prodotti agricoli e disposizioni sull’orario di apertura dei negozi e degli esercizi di vendita al dettaglio, in Riv. dir. agr., 1989, II, 230.
(48) Per una sintetica e più generale valutazione dl decreto legislativo rispetto ai suoi rimandi al settore agricolo, cfr. I. Canfora, op. cit.,
32-33, la quale, osserva che detto testo normativo non si discosta dalla precedente legislazione per quanto riguarda “la semplificazione delle regole dettate per le attività commerciali alla vendita diretta di produttori agricoli”.
(49) Ovvero, secondo l’art. 27, comma 1, lett. b), le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di
pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque natura destinata ad uso pubblico.
(50) Cfr. E. Bassanelli, Colonia ad meliorandum, Colonia parziaria, Colonia perpetua, in Enc.dir., VII, Milano, 1960, 493-510.
(51) Diverso e più favorevole per il coltivatore è stata la disciplina della colonia perpetua, che dopo aver oscillato tra lo ius in re aliena ed
il dominium, “alla fine, nel secolo scorso, il diritto di godimento integrale e perpetuo si trasformò nel dominio pieno, accompagnato per
giunta dal potere di riscattare il canone, cancellando ogni vestigia del rapporto con il dominus originario”. Così, E. Bassanelli, Colonia
perpetua, cit., 511.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
tius, gli affittuari) tra i destinatari della deroga di cui all’art.
30 del d.lgs. n. 114/1998, a meno che non si fosse voluto
fare riferimento ai coloni che erano rimasti tali anche in
vigenza della citata ultima legge. E ciò vale, ovviamente,
anche per i mezzadri, pur se il profilo giuridico manifesti
diversa densità rispetto a quello dei coloni.
In questo caso, se la nostra interpretazione è corretta,
come a noi pare, l’appena citata deroga nella disciplina del
commercio ricomprende, oltre ai coltivatori diretti, anche
figure non imprenditoriali, atteso che, ad esempio, nella
colonia parziaria, come rileva Bassanelli, “la direzione dell’impresa, nel campo tecnico ed in quello amministrativo, è
affidata al concedente (art. 2167 e art. 2145, comma 2,
richiamato dall’art. 2169) ed il colono presta il lavoro secondo le direttive di lui (artt. 2169 e 2147), se non proprio alle
sue dipendenze”52.
4.- Al decreto legislativo di orientamento n. 228/2001
Il d.lgs. 228/2001 di orientamento e modernizzazione pone
fine a questo percorso, restringendo l’individuazione delle
figure deputate alla vendita. Per l’art. 4, comma 1, infatti,
(solo) “gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel
registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.
Come si evince immediatamente, l’art. 4 ha sostituito il termine «produttori agricoli» di cui alla riportata legge n.
59/1963 con quello più esplicito e meno ampio di «imprenditori agricoli», pur senza prevedere alcun requisito professionale: ad essi sono, inoltre, equiparate le cooperative di
imprenditori agricoli e loro consorzi, quando utilizzano per
lo svolgimento delle attività di cui all’art. 2135 cod. civ. prevalentemente prodotti dei soci (art. 1, comma 2, d.lgs.
228/2001). Equiparazione estesa alla società di persone e
alle società a responsabilità illimitata, costituite da imprenditori agricoli, che esercitino le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli ceduti ai soci.
Per quanto in apparenza la norma sembra aver fatto chiarezza, va immediatamente rilevato come già l’art. 4 del
20
d.lgs. n. 99/2004 (sulla “semplificazione” amministrativa in
agricoltura), crei una divaricazione interpretativa con l’art. 4
del d.lgs. n. 228/2001, stabilendo che “la disciplina amministrativa di cui all’art. 4 del decreto legislativo 18 maggio
2001, n. 228, si applica anche agli enti e alle associazioni
che intendano vendere direttamente prodotti agricoli”53.
Un valente orientamento dottrinario ha ritenuto che l’intero
primo comma dell’art. 4 d.lgs n. 99/2004 sia una norma di
irrilevanza pressoché totale. Per quanto riguarda gli enti e
le associazioni qualificabili come imprenditori agricoli,
secondo questa tesi la norma non aggiunge nulla di nuovo,
mentre per quelli privi di tale qualifica il riferimento all’avverbio “direttamente” finisce per rendere la normativa semplificatrice pressoché inapplicabile a tali soggetti perché esso si
riferirebbe alla sola vendita al dettaglio di prodotti agricoli
effettuata dagli stessi produttori agricoli54.
Come è noto, non pochi giusagraristi hanno espresso giudizi severi sulla sciatteria tecnica del legislatore della c.d.
“legge di orientamento”, ma, insipienza giuridica a parte, la
ratio del citato art. 4 del d.lgs. n. 99/2004 può rinvenirsi nell’allargamento della platea dei soggetti legittimati all’esercizio dell’attività di vendita, come regolata dall’art. 4 del d.lgs
n. 228/200155, lungo una linea che già da tempo abbiamo
definito della “agricoltura plurale”: nei suoi contenuti, nei
soggetti e nelle politiche56.
L’impianto e il senso dell’art. 4 d.lgs. n. 99/2004 risiedono,
infatti, a nostro parere, non tanto nel passaggio dai produttori al prodotto in coerenza con il risalente orientamento
merceologico dl Trattato di Roma, quanto proprio in quella
figurazione soggettiva ulteriore a cui si estende la disciplina
delle attività di vendita (già) previste, anche in forma itinerante, per gli imprenditori agricoli57.
Ci si può interrogare, dunque, sull’ambito applicativo della
norma, viste la chiarezza e l’ampiezza del suo dettato, che
non esclude le associazioni e gli enti con scopo di lucro.
Se la disposizione non introduce alcuna novità per quanto
riguarda gli enti e le associazioni che esprimono forme di
organizzazione collettiva degli imprenditori agricoli, intende
però ricomprendere gli enti collettivi senza scopo di lucro e
gli enti non profit, le cooperative e le associazioni senza fini
di lucro dell’area non profit che operano nell’ambito del
commercio equo e solidale, le istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza (Ipab)58.
(52) Così, ancora, E. Bassanelli, Colonia parziaria, cit., 500.
(53) Cfr., infatti, le osservazioni critiche di E. Casadei, Commento all’art. 1 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, in Le nuove leggi civili commentate, 2001, 723 ss.
(54) Cfr. F. Albisinni, Commento all’art. 4 d.lgs 29 marzo 2004, n. 99, in Riv. dir. agr., 2004, I, 256.
(55) Norma delegata che si segnala anch’essa, come ha attentamente rilevato Albisinni, “per le incertezze del linguaggio adottato e per
la modesta attenzione all’esigenza di assicurare il coordinamento con altri comparti normativi e l’inequivoca individuazione delle norme
applicabili […]”; cfr. F. Albisinni, in I tre «decreti orientamento» della pesca e acquicoltura, forestale e agricolo, a cura di L. Costato, in
Le nuove leggi civili commentate, n. 3-4, 2001, 735.
(56) Cfr., in merito, F. Adornato, Di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura, cit.
(57) Espressione questa, peraltro, di un disegno volto a garantire la più ampia possibilità di commercializzazione dei prodotti agricoli.
(58) Cfr., in merito, S. Manservisi, Commento all’art. 4 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, in Nuove leggi civili commentate, 2004, 887 ss.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
5.- Mercati di prossimità e agricoltura urbana
Le problematiche fin qui affrontate, mercati di prossimità e
vendita diretta, assumono, in particolar modo sotto il profilo
delle figure soggettive, ulteriore significato ed ampiezza alla
luce del recente e sempre più progressivo fenomeno dell’agricoltura urbana59. Un fenomeno che va inquadrato all’interno di nuove e gravi problematiche non più eludibili,
come: (in)sicurezza alimentare, scarsità delle risorse energetiche, variazioni climatiche, uso sostenibile delle risorse
(e dell’acqua in particolare), tutela e valorizzazione del paesaggio (non ultimo quello urbano), gestione compatibile dei
beni comuni, specialmente di quelli strategici (dal cibo ai
minerali), mutamenti climatici, biodiversità, movimenti
migratori, sovraffollamento urbano e coesione sociale, identità socio territoriali e società inclusiva, solo per riportarne
alcuni. Non a caso nel recente documento della
Commissione europea, sulla Politica agricola comune verso
il 202060, il filo conduttore è rappresentato dalla consapevolezza della gravità delle sfide che la Pac deve affrontare: in
particolare, quelle della sicurezza dell’approvvigionamento
alimentare, dell’ambiente e del cambiamento climatico e
dell’equilibrio territoriale.
In questo quadro, emergono nella loro particolare complessità e con drammatica urgenza le problematiche relative
all’antropizzazione urbana, nel cui contesto si condensano
alcune delle più esemplificative vicende della contemporaneità, come quella di intere popolazioni in fuga dalla miseria e dalla guerra. Nel 1900, solo il 10% della popolazione
viveva in città. Nel 2010 oltre la metà era concentrata in
aree urbane sempre più dense e per il 2030 si prevede che
oltre l’80% degli abitanti del pianeta vivrà in città61.
Accanto all’inarrestabile processo di inurbamento va altrettanto significativamente segnalato, secondo dati Nasa, che
il consumo umano della produzione vegetale terrestre stimato in quantità equivalente di carbonio, nel periodo dal
1982 al 2007, è passato (in particolar modo tra il 1995 e il
2005) dal 20 al 25% della produzione vegetale totale del
pianeta, con una maggiore concentrazione nelle aree urbane, che arrivano a consumare anche 30.000 volte di più di
quelle non urbane. Squilibrio riconfermato, peraltro, più in
generale, se si considera che ogni cittadino negli Stati uniti
consuma l’equivalente di 6 tonnellate di carbone di origine
vegetale rispetto alle 2 tonnellate consumate in Asia meridionale. Se il livello nord americano si estendesse global-
21
mente, il consumo mondiale raggiungerebbe rapidamente il
50% delle risorse vegetali disponibili.
Dunque, se questa tendenza fosse confermata, si avrebbe
“un’esasperata ricerca di produttività nella gestione agricola con una conseguente forte pressione sull’ambiente naturale e a spese di chiunque altro utilizzi, ad esempio, il carbonio, a spese dell’habitat e delle riserve idriche”62.
Un tempo “le popolazioni arcaiche cercavano di legarsi al
territorio, rinunciando al nomadismo per sviluppare l’economia agricola e difendersi dai nemici: le città diventavano
luoghi sicuri, protetti e fortificati”63. Al contrario, nella globalizzazione, il diritto di vivere il territorio si espande, supera
le frontiere e comprende l’intero pianeta alla ricerca di
un’esistenza dignitosa e di uno spazio ad essa funzionale:
in questo senso, povertà e migrazioni sono temi strettamente collegati
L’antropizzazione e l’inurbamento pongono in una diversa ed
asimmetrica luce i rapporti economici, sociali e culturali e
modificano il contesto delle relazioni tra Nord e Sud del
mondo, tra città e campagna, tra ceti e tra le persone stesse.
Dunque, come alimentare nel modo più sano e meno inquinante la popolazione delle aree metropolitane? Come
superare le divaricazioni tra queste aree e quelle non urbane? Come tutelare l’impronta agricola delle città? Come
contribuire a rendere le città più socialmente coese ed
inclusive?
A tale ultimo proposito, forse non a caso, New York è diventato il principale laboratorio mondiale di urban farming, per
via anche di diversi progetti urbanistici già realizzati e
socialmente molto significativi.
Basti pensare alla trasformazione del cortile interno al
Contemporary Art Center di Queens in un enorme orto
urbano distribuito su grandi bidoni verticali, o alla costruzione a Brooklyn di una scuola con annessa serra dove i
ragazzi (500 in tutto, dall’asilo alle medie) coltiveranno il
cibo da mangiare a pranzo: scuola e serra godranno di
ampie zone a pannelli fotovoltaici per abbattere i consumi di
combustibili fossili.
Ma, probabilmente, la novità importante è costituita dal
primo edificio completamente carbon natural di Manhattan,
chiamato “Solar 2”, il cui connotato più particolare è costituito da una serra integrata verticale a coltura idroponica,
ovvero senza terra. In questo caso il nutrimento necessario
viene direttamente sciolto nell’acqua con cui vengono irrigate le piante, inserite in doppia fila nell’intercapedine fra
(59) In particolare, per agricoltura urbana intendiamo un’attività localizzata entro l’area urbana o ai suoi limiti che produce distribuisce una
varietà di prodotti alimentari e servizi, “(ri)iutilizzando gran quantità di risorse umane e materiali, prodotti e servizi all’interno e intorno a
quell’area e in cambio fornendo gran quantità di risorse umane e materiali, prodotti e servizi a quell’area” (L. Mougeot, Agricolture: concept and definition, in Growing Cities Growing Food: Urban Agriculture on the Policy Agenda, Ruaf Foundation, 2001).
(60) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo. Al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato
delle Regioni, La PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell’alimentazione, delle risorse naturali e del territorio, Bruxelles, 11
ottobre 2010, COM(2010) 672.
(61) E. Comelli, L’agricoltura urbana salverà il mondo, in nova 100.il sole 24 ore.com/2010/03.
(62) http://www.nasa.gov/topics/earth/features/carbon-capacity.html, 2010.
(63) C. Bordoni, in Introduzione a Z. Bauman, Il buio del postmoderno, Reggio Emilia, 2011.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
due superfici di vetro ed appoggiate su vassoi trainati da
cavi laterali su entrambi i lati dell’edificio.
Per quanto riguarda gli effetti, la presenza delle piante riduce i costi (anche ambientali) di riscaldamento, raffreddamento e insonorizzazione, migliora la qualità della vita attraverso una migliore captazione della luce esterna, offre un
vantaggio economico agli abitanti dell’edificio grazie alla
vendita del raccolto ortofrutticolo.
Un altro esempio, fino a ieri impensabile, viene da Londra.
In piena City, al posto di un grattacielo di 48 piani (progettato da Richard Rogers), la centralissima Leadenhall Tower,
la cui costruzione si era fermata (nel 2010) per via della crisi
immobiliare, sorgerà una fattoria urbana con piattaforme
fantasiose, i cui prodotti saranno posti in vendita in una
serie di chioschi nel cuore della City stessa.
Ancora. Nel concorso Growing up 2009, bandito dalla città
di Melbourne per riconvertire i tetti dei grattacieli a verde
pubblico, è stato premiato un progetto che prevede l’impianto di un frutteto urbano (Urban Orchard), appunto sui tetti
medesimi, con un sistema che si autoalimenta attraverso la
produzione di energia dalle biomasse di scarto. Inoltre, ogni
tetto riconvertito dovrebbe avere un punto vendita per i prodotti coltivati, aumentando in tal modo la loro sostenibilità.
Ancora un dato significativo per il suo profilo sociale. Dal
1995, un’organizzazione no-profit di Seattle, la Seattle
Youth Garden Works, (SYGW), ha impiegato giovani senza
dimora o con problemi giudiziari in lavori agricoli per mantenere un piccolo orto in un parco della città, il South Park
Neighborhood.
Vancouver, per continuare con altre esperienze, oggi è una
città all’avanguardia in tema di spazi lasciati ai cittadini sotto
forma di orti coltivabili. La città di New York ha concesso a
chi lo desidera, e dispone di uno spazio verde, se pur piccolo, di poter allevare polli per autoconsumo. Innumerevoli
sono, poi, le stesse esperienze italiane, diversamente
denominate: dagli orti sociali di Napoli agli orti collettivi di
Chiasso, agli orti condivisi di Roma. Non a caso, per fare un
recentissimo esempio, il Comune di Milano ha avviato un
processo definito di neoruralizzazione attraverso un Piano
di distretto rurale, denominato Distretto agricolo di Milano
(Dam), il cui tema cardine è un’agricoltura integrata con il
territorio e la cui formula gestionale consiste in una società
cooperativa “Consorzio distretto agricolo milanese –
Società consortile cooperativa agricola”.
Sempre più numerose sono le amministrazioni sia delle
metropoli, sia delle piccole città, sensibili alle nuove esigenze dei cittadini e consapevoli che l’agricoltura urbana e peri
urbana potrebbe sfruttare tutte quelle aree marginali (o di
frangia) presenti ai limiti delle città, ma anche internamente
ad esse.
Peraltro, nei paesi sviluppati, dove lo stesso consumatore
attento è costantemente alla ricerca di prodotti di elevata
(64) Environmental Heath, 2010
(65) In Il Sole 24ore, 19 febbraio 2012
22
qualità oltre che salubrità; le piccole produzioni urbane possono sicuramente soddisfare queste esigenze, sostanzialmente trascurate dalla produzione industriale intensiva.
L’agricoltura urbana sembra anche in grado di superare
alcuni limiti del sistema alimentare industriale, essendo
altamente adattabile a diversi contesti e capace di liberarsi
dalla dipendenza dei combustibili fossili, sfruttando efficientemente l’alta densità di risorse umane e materiali presenti
negli ambienti urbani.
Il modello dell’espansione urbana (urban sprawl) in Italia
ha, infatti, causato la diffusione di ampie aree di suoli residui, ossia di terreni già influenzati dall’ambiente urbano nei
loro scambi di massa ed energia, e la cui gestione agricola
o forestale è stata interrotta. La loro estensione è probabilmente alta e, anche se non ci sono stime disponibili, si parla
di decine di migliaia di ettari in tutta Italia. Questi suoli sono
i più naturali candidati per le realizzazioni di arboricoltura
urbana e per il recupero urbanistico delle aree di sprawl a
fini produttivi.
Proprio per rispondere all’esigenza di produrre generi alimentari in maniera più eco-sostenibile, l’Agenzia europea
dell’ambiente (EEA) ha invitato le città a sviluppare “muri
vegetali”, le c.d. “vertical farmers” dove coltivare piante
commestibili. Grazie alle fattorie verticali, l’agricoltura
potrebbe entrare a far parte integrante del tessuto urbano,
consentendo di ridurre il consumo energetico, le emissioni
di anidride carbonica e l’uso di risorse nella produzione alimentare. Accorciando la distanza che i prodotti agricoli
devono compiere “dai campi alla tavola” ed eliminando la
necessità di impiegare macchinari pesanti, l’agricoltura verticale potrebbe essere in grado di ridurre le emissioni di
CO2. Inoltre, l’incremento della vegetazione all’interno delle
aree urbane apporterebbe un ulteriore valore: l’assorbimento delle emissioni di anidride carbonica e la produzione di
una maggiore quantità di ossigeno, ancorché sia necessario approfondire l’impatto dell’anidride carbonica e di altri
inquinanti sulla produzione agricola urbana.
Ancora, i vantaggi provenienti dall’agricoltura urbana possono essere individuati oltre che nell’abbattimento dei costi
(soprattutto in considerazione dei progressivi aumenti del
prezzo del petrolio) e nella fornitura di prodotti più freschi,
anche nella riscoperta di benefici sociali e nel benessere
psicologico derivante dalla pratica di questa attività64. Del
resto, la dimensione territoriale dello sviluppo che le politiche comunitarie da tempo pongono al centro dell’attenzione invita ad abbandonare un approccio univocamente
improntato ai principi della competitività e del successo
economico, così come a quelli della mera salvaguardia dell’ambiente, per allargare lo spettro dei fattori in gioco anche
agli aspetti sociali e culturali, come conferma peraltro il
documento “niente cultura, niente sviluppo”65.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
“In questo contesto le accezioni di territorio e paesaggio
tendono a ‘con-fondersi’, evidenziando l’importanza che la
qualità dell’assetto spaziale riveste nei processi di trasformazione sostenibile, proprio in quanto supporto materiale e
luogo di costruzione delle relazioni complesse (variamente
sedimentate nel tempo) che legano una società al suo contesto di vita. Ne discende l’appello a puntare sul coordinamento, su base territoriale, di una molteplicità di campi d’intervento finora generalmente trattati in maniera autonoma,
al fine di connettere e valorizzare diverse potenzialità locali”66.
Di fronte a questi nuovi e diffusi fenomeni (Kleingarten in
Germania, Allottment Gardens in Inghilterra, Huertos marginales in Spagna, Orti urbani, sociali, condivisi in Italia) che
espandono i confini dell’agricoltura e mostrano i segnali di
un’ “economia civile”, che va oltre i confini del profitto, non
pochi sono i problemi giuridici e di politica del diritto e di
politica agricola da affrontare.
Si pone in primo luogo la questione della governance, all’interno di una visione in cui preponderante e fortemente
emblematico appare il ruolo della sussidiarietà. Il fenomeno
dell’agricoltura urbana non è, infatti, che l’ulteriore e specifica espressione di un più generale processo di modificazione dei bisogni sociali e dell’emersione di nuovi criteri di
organizzazione dei servizi67.
Nell’interpretare e gestire i nuovi caratteri assunti dai bisogni sociali, appare senza dubbio più idonea la titolarità di un
soggetto radicato a livello locale, che opera sulla base di
relazioni di prossimità. L’autogoverno delle comunità, che
trova fondamento nel principio di sussidiarietà presente
nella nostra Costituzione e nel Trattato di Lisbona, offre una
prospettiva ulteriore rispetto alla tradizionale dicotomia pubblico-privato e/o Stato-mercato. Peraltro, nel caso dell’agricoltura urbana, la presenza di un gruppo sociale di riferimento, costituisce dal punto di vista giuridico un parametro
distintivo per la configurazione di un bene comune68.
I profili della governance che l’agricoltura urbana propone
non attengono, comunque, al rapporto tra processi istituzionali e tecniche proprietarie, ma anche alla cultura dell’innovazione. Infatti, la governance dell’innovazione è, in sostanza, un processo non solo di semplificazione istituzionale,
ma anche di stimolo alla “formazione di luoghi di cambiamento radicale, capaci di incorporare l’innovazione come
una componente sistemica, aperta al contributo di attori
nuovi accanto a quelli tradizionali”69.
L’obiettivo è, cioè, quello di costruire nuovi significati, visioni e procedure adeguati alla domanda di soluzioni appro-
23
priate che arriva dalle comunità locali, accompagnandosi di
fatto con il principio della sussidiarietà orizzontale, il quale
implica, appunto, una politica che esalti “le differenze per
obiettivi comuni di interesse generale”70.
Inoltre, sempre a proposito della sussidiarietà, qual è il rapporto tra questa e le regole di concorrenza? Se si accoglie
l’opinione secondo la quale, trattandosi di <differenze solidaristiche>, “cioè alterazioni delle condizioni di omogeneità
che hanno però la capacità di produrre effetti positivi per la
collettività (di un’area, di una zona, di una regione, di uno
Stato, eccetera”71, concorrenza e sussidiarietà verrebbero a
configurarsi come due sistemi diversi, ma non esclusivamente alternativi.
Per quanto minoritario intermini economici, il contributo dell’agricoltura urbana è, invece, rilevante in termini di coesione sociale, di tutela ambientale, di qualità della vita, di
espressività delle nuove forme urbane. Del resto, in questa
direzione, non possono essere sottovalutati i segnali che
arrivano dalle politiche agricole comunitarie, le quali hanno
progressivamente ridotto l’impegno verso il primo pilastro,
supportando e in modo integrato i profili proposti dal secondo pilastro. Né qui occorre riprendere il significato delle
nuove funzioni assegnate oggi all’agricoltura.
Se, dunque, l’attività agricola di produzione (seriale) di beni
destinati all’alimentazione si incanalerà sempre più definitivamente nel grande ed indistinto alveo delle regole di concorrenza, quali saranno i criteri della “distintività” agraria?
E, se, paradossalmente ma non troppo, arrivassero proprio
dai paradigmi dell’agricoltura urbana?
6.- Problematiche conclusioni
Partendo proprio da quest’ultima considerazione, le conclusioni da trarre non possono essere, allo stato, che provvisorie, problematiche e prospettiche.
I nuovi confini che l’agricoltura urbana sta disegnando in
direzione della coesione sociale, della rinaturalizzazione
delle città e delle metropoli, della pianificazione urbanistica,
del paesaggio cittadino non sono prive di implicazioni.
Esse toccano, innanzitutto, un’ancor più evidente configurazione plurale dell’agricoltura, nei suoi profili oggettivi e soggettivi, confermando la stessa pluralità dei mercati qui
sostenuta. L’agricoltura espressa in queste nuove forme
coinvolge certo in primo luogo l’impresa agricola e la sua
centralità nel sistema giuridico e normativo, ma, al tempo
stesso, va oltre e in questo andare oltre pone una riflessio-
(66) Cfr. Galli, E. Marcheggiani , V. Piselli, Condizionalità e sviluppo rurale. Strategie di gestione del paesaggio rurale? Il caso
Marchigiano, Convegno di Medio Termine dell’Associazione Italiana di Ingegneria Agraria, Belgirate, 22-24 settembre 2011
(67) Cfr. A. Paci-D. Donati (a cura di), Sussidiarietà e concorrenza. Una nuova prospettiva per la gestione dei beni comuni, Bologna, 2010.
(68) Cfr M.R. Marella, Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, in Riv.crit.dir.priv., 2011, 105.
(69) Così F. Di Iacovo, La costruzione delle politiche per l’agricoltura sociale in Europa: reti, policy, network e percorsi di cambiamento,
in Impresa sociale, 2010 (ma finito di stampare in settembre 2012), specie 128 ss.
(70) Cfr. F. Giglioni,, Alla ricerca della sussidiarietà orizzontale in Europa, in Sussidiarietà e concorrenza, cit. 131.
(71) Giglioni, op.ult.cit.
AL
ASSO
CI
DIRITTO
N
IT
AL
IM
E
TAR
EN
LIANA
E ITA
ION
Z
A
IA
N
FOOD
C
L AW A S S O
I
I AT
O
rivista di diritto alimentare
www.rivistadirittoalimentare.it
Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013
ne sostanziale sul criterio di agrarietà, innanzitutto. In
secondo luogo, mette in discussione <<l’illuminismo>> del
legislatore del 2001, che con la “legge di orientamento” si
era attestato solennemente sull’impresa agricola, ancora
centrale certo, ma, alla luce della “contemporaneità agricola”, forse non più esclusiva.
L’agricoltura urbana ci interroga sul ruolo dell’accordo
negoziale nei processi di sviluppo e del suo precipuo ruolo
nel valorizzare le finalità (fatte proprie dalle politiche comunitarie) delle società inclusive. Ci interroga, ancora, su questioni fondamentali, appena prima accennate, ovvero al
rapporto tra sussidiarietà e regole di concorrenza, sull’esigenza di una nuova governance nelle aree metropolitane e
nel loro rapporto con quelle periurbane. Pone, infine, l’esigenza di una declinazione dei segni distintivi in questa
nuova e complessa chiave di lettura del fenomeno agricolo
globale, che è anche culturale e di cultura alimentare quale
elemento portante della coesione sociale72.
Sono filoni di ricerca che andranno necessariamente sviluppati anche perché disegnano, a nostro avviso, l’orizzonte
sostanziale dell’agricoltura e del diritto agrario del prossimo
futuro.
ABSTRACT
The Author firstly aims to demonstrate the plurality of the
markets, included in which are also the so called short supply chains or in other words “all those forms of marketing
that offer an alternative to large-scale distribution organized
24
on a global scale which are characterized on the one hand,
by the reduction or elimination of the intermediaries
between agricultural producers and consumers, and on the
other, by the local dimension of the commercial transactions”. In this regard, the Author has pinpointed the legal
basis as being in paragraph 39 of the Treaty of Lisbon
(TFEU). Letter c) of the first section of the above mentioned
paragraph assigns to the CAP the objective of ‘stabilising’
markets. The plural is used here not as a general and
vague reference to distant and unknown Molochs, but
rather to recall both the economic dynamics and the plurality of spatial and modal forms within which trade takes
place, therefore comprising also those of the short supply
chain. Secondly, the author also intends to demonstrate
through a historical prescriptive examination of the legislation governing commerce, the way in which the plurality of
the economic dynamics of sales surprisingly and precursory recalls the plural connotation of the characteristics of the
vendors, who for a long historical legal period have gone
beyond the exemplary case of the agricultural entrepreneur,
even after the 1942 civil codification.
The author points out that this ‘plurality’ has been blocked
by decree no. 228/2001 which in paragraph 4, regarding
selling activities, makes a sole and ‘enlightened’ reference
to the agricultural entrepreneur. Finally, the author points
out how this trend may turn out to be inadequate in dealing
with the new problems posed by agriculture today which
involve aspects such as social cohesion and the inclusive
society on the one hand, and urban agriculture, on the
other.
(72) Sul tema dei segni distintivi, cfr. il recente e significativo lavoro di I. Trapé, I segni del territorio. Profili giuridici delle indicazioni di origine dei prodotti agroalimentari tra competitività, interessi dei consumatori e sviluppo rurale, Milano, 2012.
Scarica