Epidemiologia e profilassi delle malattie cronico-degenerative

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Malattie cronico-degenerative
Aspetti generali
Epidemiologia e
profilassi delle malattie
cronico-degenerative
Mortalità per malattie infettive
e non infettive
Le malattie “non infettive” o “cronico-degenerative”
rappresentano, già oggi, la parte di gran lunga
prevalente della patologia esistente nella nostra
popolazione, sia in termini di diffusione che di gravità
dei quadri clinici ad essi connessi.
Il loro esito risulta essere, spesso letale, in tempi più o
meno brevi e comunque sempre invalidante.
Malattie cronico-degenerative
Sono rappresentate da numerose
malattie:
500.000
450.000
400.000
350.000
300.000
250.000
200.000
150.000
100.000
50.000
0
 Tumori
malattie infettive
malattie non
infettive
 Malattie cardiovascolari
 Broncopneumopatie
croniche
 Malattie dismetaboliche
1903
1955
1978
1985
 Malattie mentali ecc.
1
Malattie cronico-degenerative
Malattie cronico-degenerative
Se l’invecchiamento della popolazione ha costituito il
1. Abitudini
fattore indispensabile per la migliore evidenziazione di
personali
queste malattie, tuttavia, la loro incidenza, è stata in
gran parte regolata da altri meccanismi attinenti la loro
origine.
 Alimentazione
 Fumo di tabacco
 Alcool
Questo gruppo di malattie riconosce, infatti, nella sua
genesi, fattori di tipo ambientale e comportamentale.
 Droga
 Sedentarietà
Malattie cronico-degenerative
2. Contaminazione
ambientale
 Inquinamento atmosferico
Malattie cronico-degenerative
Questo gruppo di malattie ha acquistato un
particolare rilievo non solo da un punto di vista
sanitario ma
anche
economico e
sociale
rappresentando, al momento, il problema di gran
lunga più rilevante per la Sanità Pubblica.
 Inquinamento idrico
 Contaminazione alimentare
L’arma di lotta più efficace disponibile nei confronti
di queste patologie, per il momento di difficile
guarigione, è rappresentata dalla prevenzione
primaria
2
MALATTIE
CARDIOVASCOLARI
Le malattie cardiovascolari
Sono responsabili di un terzo
delle morti a livello mondiale e
rappresentano la principale
causa di morte nei Paesi
sviluppati.
In Italia, nel 2005, le malattie
cardiovascolari sono state
responsabili di oltre il 43%
della
mortalità
generale.
Tuttavia, nel corso degli ultimi
decenni, la mortalità è
notevolmente diminuita.
Le malattie cardiovascolari
Dal punto di vista
epidemiologico,
attualmente, rivestono
grande importanza:
 la cardiopatia
ischemica,
 l’ipertensione
arteriosa
 le malattie circolatorie
dell’encefalo (ictus
cerebrale).
Cardiopatia ischemica (C.I.)
E’ l’insufficienza
cardiaca, acuta o
cronica, derivante
dalla riduzione o
arresto dell’apporto
di sangue al
miocardio, in
associazione con
processi patologici
nel sistema delle
arterie coronariche.
Nonostante l’andamento in discesa della mortalità quindi, la patologia
cardiovascolare è tuttora un rilevante problema sanitario e sociale, sia in
termini di spesa sanitaria che in termini di disabilità e bisogno di assistenza.
3
Cardiopatia ischemica (C.I.)
Epidemiologia delle C.I.
Le manifestazioni cliniche più tipiche delle C.I.
sono:
 Angina pectoris;
 Infarto del miocardio;
•La riduzione dell’apporto ematico è, conseguenza delle lesioni
aterosclerotiche insorte negli anni per il depositarsi dei grassi e il
restringimento progressivo del lume vasale.
•La presenza dell’ateroma, la formazione di un trombo a livello della
placca ateromasica calcificata o ulcerata, oppure uno spasmo,
potrebbero dar luogo all’occlusione repentina del vaso, con stato
ischemico e conseguente infarto del miocardio.
Epidemiologia delle C.I.
Il rischio di C.I. come tutte le malattie cardiovascolari,
è basso in età giovanile ma aumenta
esponenzialmente dai 45 anni in poi negli uomini e dai
55 anni in poi nelle donne.
In un’età compresa tra i 35 e i 74 anni il rischio di
morte per C.I. è complessivamente maggiore
nell’uomo che nella donna. Tale differenza tende però
progressivamente a ridursi con l’avanzare dell’età fino
ai 75 anni, quando il rischio diviene simile in entrambi i
sessi.
 Morte improvvisa (da pochi minuti fino a 24
ore dall’insorgenza della sintomatologia
acuta);
 Scompenso cardiaco e aritmie non mortali
(più frequenti nelle persone anziane)
Epidemiologia delle C.I.
 L’incidenza della C.I. nella
popolazione registra
differenze geografiche
importanti.
I Paesi del mediterraneo
presentano livelli di mortalità
minori.
Decisamente bassa è
l’incidenza della C.I. in molte
regioni dell’Asia e dell’Africa
dove però, negli ultimi 20
anni, si è assistito ad un
incremento progressivo
legato alle modificazioni
economiche e sociali dovute
alla globalizzazione degli stili
di vita e di consumo.
4
I fattori di rischio
Epidemiologia delle C.I.
Nei Paesi
sviluppati
Sono le classi di livello
socioeconomico più basso a
presentare una più alta prevalenza
dei fattori di rischio e quindi una più
alta incidenza di malattia e mortalità.
Numerosi studi epidemiologici negli anni hanno
portato a delineare l’insieme dei fattori di rischio,
capaci di mettere in relazione la prevalenza della C.I.
in varie popolazioni e il loro ambiente di vita.
 l’età
 il sesso
 la storia familiare positiva per la malattia
coronarica
L’impatto maggiore
è a carico dei gruppi
di popolazione
socioeconomicamente
più svantaggiati.
Nei paesi in
via di
sviluppo
I fattori di rischio
Sono distinti in:
 MAGGIORI: ipercolesterolemia (più elevato è il
livello di HDL tanto minore è il rischio di C.I. mentre
il contrario avviene per LDL) e il fumo di sigaretta
(in particolare il monossido di carbonio e nicotina).
 MINORI: diabete e la ridotta tolleranza al glucosio,
l’ereditarietà, la scarsa attività fisica e l’obesità.
 la predisposizione genetica
 l’obesità
 l’ipertensione
 l’ipercolesterolemia
I fattori di rischio
Gli stress psico-emotivi
sono importanti come
fattori scatenanti nei
soggetti con lesioni
coronariche
preesistenti.
L’esposizione ai fattori
emotivi è difficilmente
“quantificabile” per cui
sfugge ad un’accurata
valutazione
epidemiologica.
5
Malattie Parodontali e
Malattie Cardiovascolari
Malattie Parodontali e Malattie
Cardiovascolari

Un elevato numero di situazioni infiammatorie derivate da infezioni
comuni, come la parodontite, sono state considerate probabili
promotori di atereogenesi e quindi di incrementare il rischio di
eventi cardiovascolari e cerebrovascolari.
(Elkind MS, Cole JW. Do common infections cause stroke? Semin Neurol. 2006 26: 88-99.
Hansson GK. Inflammation, atherosclerosis, and coronary arterydisease. N Engl J Med. 2005 352: 1685-1695.
).


Batteri o prodotti batterici circolanti possono raggiungere siti
distanti.

In preparati ricavati da endoarterectomie carotidee, nel 44% delle
lesioni era possibile evidenziare DNA batterico di almeno uno dei 4
patogeni parodontali ricercati (30% Tannerella Forsithia,26%
Porphiromonas Gengivalis, 18% Actinobacillus
Actinomcetemcomitans,14% Prevotella Intermedia).
Un effetto diretto della parodontite sull’aterogenesi potrebbe
essere mediato dal passaggio di patogeni parodontali dal cavo
orale al sistema circolatorio.
(Zebrack JS, Anderson JL. The role of inflammation and infectionin the pathogenesis and evolution of
coronary artery disease. Curr Cardiol Rep. 2002 4: 278-288. )

(Haraszthy VI, Zambon JJ, Trevisan M et al. Identification of peri261Behle and Papapanou: Periodontal
infections and atherosclerotic vascular disease odontal pathogens in atheromatous plaques. J Periodontol
2000 71:1554-1560. )
Batteriemia è stata rilevata non solo dopo episodi di terapia
parodontale attiva, ma anche dopo manipolazioni tissutali minori
quali il sondaggio.

(Baltch AL, Schaffer C, Hammer MC et al. Bacteremia following dental cleaning in patients with and without
penicillin prophylaxis. Am Heart J 1982 104: 1335-1339. )
In un altro studio, DNA del P.Gingivalis fu evidenziato in 4 su 26
aorte di pazienti collegati ad una macchina cuore-polmone.
(Stelzel M, Conrads G, Pankuweit S et al. Detection of Porphyromonas gingivalis DNA in aortic tissue by PCR.
J Periodontol 2002 73: 868-870. ).
Malattie Parodontali e
Malattie Cardiovascolari
I meccanismi più probabili per spiegare l‟effetto della
parodontite sulla genesi dell‟aterosclerosi possono
essere:
 meccanismi diretti → partecipazione di batteri
patogeni parodontali nella genesi della pacca
ateromatosa , dovuta probabilmente alla translocazione
dei patogeni parodontali dal cavo orale al sistema
circolatorio;
 meccanismi indiretti→ produzione locale di
mediatori dell’infiammazione nella lesione parodontale
che potrebbero entrare in circolo e causare danni
vascolari a distanza.
Segni clinici di ischemia cardiaca
riscontrabili in ambito odontoiatrico

Il dolore craniofacciale può
rappresentare il solo sintomo di
ischemia cardiaca.

Uno studio prospettico ha riguardato
186 pazienti con un documentato
episodio ischemico di natura cardiaca:
il dolore craniofacciale era il solo
disturbo durante l’episodio ischemico
in 11 pazienti ( 6% ). Altri 60 pazienti
( 32% ) hanno riportato dolore
craniofacciale in modo concomitante a
dolore in altre regioni.

Il dolore craniofacciale era
preponderante nei soggetti di sesso
femminile ed era il sintomo
dominante in entrambi i sessi in
assenza di dolore toracico. Kreiner M et al, J
Am Dent Assoc 2007; 138: 74-79
6
Segni clinici di ischemia cardiaca
riscontrabili in ambito odontoiatrico

Il dolore temporomandibolare
bilaterale è stato
indicato presente in
circa il 40% dei casi di
ischemia cardiaca. In
alcuni casi, può
rappresentare l’unico
segno di infarto
miocardico acuto.
Prevenzione della cardiopatia
ischemica
PREVENZIONE
SECONDARIA
Prevenzione della cardiopatia
ischemica
I principali obiettivi sono:
• riduzione
PREVENZIONE
PRIMARIA
dei
livelli
medi
di
colesterolemia negli adulti (200 mg/ml)
• diminuzione di NaCl nella dieta (<5
g/die)
• eliminazione del fumo di sigaretta
• aumento dell’attività fisica
• regime
variato
dietetico
normocalorico
e
Ipertensione arteriosa
Riduzione o rimozione dei fattori di
rischio già presenti, insistendo sulla
necessità che i soggetti a rischio
(ultraquarantenni, ipercolesterolemici,
infartuati,
ipertesi,
fumatori)
modifichino lo stile di vita.
Senza la rimozione dei fattori di
rischio, l’assunzione di farmaci ipocolesterolemizzanti, ipotensivi, betabloccanti e calcio-antagonisti, sebbene
efficace, non è in grado di attivare il
programma di prevenzione secondaria.
7
Ipertensione arteriosa
Gli studi epidemiologici sull’ipertensione presentano
notevoli difficoltà perché i valori di pressione
arteriosa non sono costanti ma variano in rapporto a
molteplici fattori:
 la posizione in corso di determinazione,
 l’attività fisica,
 le condizioni psicologiche e fisiche,
 l’orario della determinazione (bioritmo)
Ipertensione arteriosa
In condizioni standard le uniche variabili sono
rappresentate dall’età e dal sesso.
In tutte le popolazioni, con l’avanzare dell’età,
aumenta la prevalenza dell’ipertensione.
In Italia l’ipertensione è responsabile del 6,3%
della mortalità per malattie cardiovascolari.
 l’atteggiamento di chi effettua il rilevamento
Prevenzione dell’ipertensione
arteriosa
PREVENZIONE
PRIMARIA
Si traduce in uno stile di vita teso
all’eliminazione dei fattori di
rischio;
principalmente
nel
contenere il consumo di NaCl,
nel mantenere il peso forma e nel
limitare il consumo di alcool.
Prevenzione dell’ipertensione
arteriosa
PREVENZIONE
SECONDARIA
Si
effettua
mediante
la
somministrazione
di
farmaci
ipotensivi a tutti i soggetti con
valori maggiori di quelli soglia. Ciò
è realizzabile negli individui con
ipertensione grave (piccola quota
di
ipertesi)
ma
l’effetto
epidemiologico è minimo.
Diventa
prioritaria,
l’identificazione degli
asintomatici.
pertanto,
individui
8
Ictus cerebrale
È la manifestazione clinica fondamentale della
malattia cerebrovascolare e si manifesta con segni
clinici, a rapido sviluppo, di turbe delle funzioni
cerebrali di tipo focale o globale, della durata di oltre
24 ore o che portano a morte.
Ictus cerebrale
Si distingue in due tipi:
 su base emorragica (15%)
 su
base
ischemica
(tromboembolica)
Ictus cerebrale
Le cause delle lesioni vascolari, in rapporto alla sede, sono
rappresentate:
 dall’emorragia subaracnoidea (deriva da anomalie
vascolari o da aneurismi congeniti),
 dall’emorragia cerebrale (consegue a microaneurismi
acquisiti)
 dall’infarto cerebrale (la cui causa è una è una
tromboembolia originata da placche ateromatose delle
grosse e medie arterie)
(85%)
Ictus cerebrale
L’ictus rappresenta in italia, come in gran parte dei
paesi industrializzati, la terza causa di morte dopo i
tumori e le cardiopatie ischemiche, rappresentando
l’11-13% delle morti totali. Esso è inoltre la più
importante causa di invalidità nelle comunità
occidentali.
La mortalità è più elevata nei maschi in tutti i gruppi di
età ma l’incidenza dell’ictus aumenta in modo
esponenziale in entrambi i sessi, con l’aumentare
dell’età, tanto che 3 episodi di ictus su 4 colpiscono
persone di età maggiore di 65 anni.
9
Ictus cerebrale
Negli ultimi 20 anni, i quozienti di mortalità hanno
mostrato una costante tendenza al decremento in
entrambi i sessi e tale fenomeno si è registrato in
numerosi altri paesi del mondo occidentale.
I fattori di rischio
L’IPERTENSIONE è ritenuta il principale
fattore di rischio dell’ictus cerebrale.
Altri fattori importanti sono:
L’incidenza della malattia però non si è ridotta e circa
il 40 % dei sopravvissuti al primo episodio presenta
una grave invalidità residua.
 il fumo di sigaretta;
 il diabete;
 l’alcool;
 l’iperomocisteinemia.
PREVENZIONE DELL’ICTUS
CEREBRALE
PREVENZIONE
PRIMARIA
PREVENZIONE
SECONDARIA
DIABETE
Si realizza con la scelta di uno
stile di vita che eviti l’aumento
dei valori pressori mediante
un’alimentazione
equilibrata,
povera di sale e il ricorso
all’attività fisica sistematica.
Consiste
nella
diagnosi
precoce,
ovvero
con
il
trattamento
dietetico
e
farmacologico degli ipertesi.
10
Il diabete
E’ una sindrome dismetabolica ad andamento
cronico, caratterizzata dall’incapacità dell’organismo
di
utilizzare
normalmente
il
glucosio;
la
concentrazione di questo zucchero nel sangue
pertanto aumenta (iperglicemia) e può comparire
anche nelle urine (glicosuria) dove in condizioni
normali è assente.
Il diabete
Si distinguono 4 tipi di diabete mellito (DM = diabetes
mellitus):
 insulino dipendente (tipo I),
 non insulino-dipendente (tipo II),
 associato ad altra patologia,
La diagnosi di diabete e di ridotta tolleranza al
glucosio
è
fondata
essenzialmente
sulla
rilevazione dei tassi glicemici a digiuno e dopo
carico di glucosio.
1- Diabete di tipo I o insulino-dipendente
(IDD = insulin dependent diabetes)
Corrisponde al diabete giovanile, ed è determinato da
un danno irreversibile delle isole del Langherans, con
carenza insulinica più o meno improvvisa.
E’ caratterizzato dall’inizio rapido, con insulinemia
bassa o assente e tendenza alla cheto-acidosi;
necessita quindi della terapia insulinica.
 diabete gestazionale.
1- Diabete di tipo I o insulino-dipendente
(IDD = insulin dependent diabetes).
Colpisce soprattutto l’età giovanile, inizia spesso in
modo brusco ed ha la sua maggiore incidenza nei
mesi invernali.
Secondo l’ipotesi eziologia più attendibile, sarebbero
in causa gruppi di virus (in particolare i virus
Coxsackie), la cui azione si esplicherebbe sia
direttamente nei confronti delle cellule beta, sia
indirettamente attraverso meccanismi autoimmunitari
11
2 - Diabete di tipo II o non insulino-dipendente
(NIDD = non insulin dependent diabetes).
E’ la forma di diabete di gran lunga più frequente e
comprende la quasi totalità dei casi nell’adulto.
Colpisce di norma dopo i 40 anni.
2 - Diabete di tipo II o non insulino-dipendente
(NIDD = non insulin dependent diabetes).
I più importanti fattori di rischio oggi accertati
sono:
 l’obesità,
 la sedentarietà,
E’ dovuto ad una anomalia della secrezione di
insulina o della sua azione biologica.
 la carenza di fibre vegetali nell’alimentazione,
 il genotipo.
3 - Diabete associato ad
altra patologia.
In queste forme cliniche l’intolleranza al glucosio è
sempre secondaria ad altre cause ben accertate.
Rapporti tra diabete e
parodontopatia
 E’ globalmente accettato che la prevalenza delle parodontiti nei
soggetti diabetici, Tipo I e Tipo II e Tipo IV , sia maggiore che non
nei soggetti sani.
4 - Diabete gestazionale.
(GDM= impaired glucose tolerance)
Si manifesta nelle donne con insorgenza del diabete
o della ridotta tolleranza al glucosio limitatamente al
periodo della gravidanza.
Il rischio per un soggetto diabetico di ammalare di parodontite
viene stimato essere da due a tre volte maggiore rispetto a quello di
un soggetto non diabetico (Emrich, 1991; Yalda, 1994) nel soggetto
adulto e sino a cinque volte negli adolescenti e nei giovani
teenagers (Cianciola, 1982).
Le donne gravide affette da diabete, infine, hanno un rischio di
soffrire di parodontite di oltre nove volte superiore rispetto alle non
diabetiche (Xiong, 2006).
12
Rapporti tra diabete e
parodontopatia
 Va ricordato che buona parte della letteratura iniziale sui rapporti tra
diabete e parodontite era basata su osservazioni cliniche o presentazioni di
casistiche numericamente poco rilevanti.
 Sono state ad oggi, a nostra conoscenza, condotte almeno tre
metanalisi sui rapporti tra diabete e parodontiti.
 La prima, effettuata sugli studi pubblicati prima del 1996 e che
globalmente considerati includevano circa 3500 pazienti diabetici, ha
individuato una significativa associazione tra diabete e parodontiti
(Papapanou, 1996).
 La più recente ha invece considerato i lavori pubblicati durante il
periodo gennaio 1970-Ottobre 2003 ed ha analizzato lo stato
parodontale dei soggetti diabetici rispetto a quello dei non diabetici. Le
conclusioni di questa ricerca hanno dimostrato che i soggetti diabetici
presentano un‟igiene orale media peggiore, quadri di gengivite più
intensa, malattie parodontali più gravi rispetto ai non diabetici.
Rapporti tra diabete e
parodontopatia: possibili cause
 La ridotta funzionalità dei granulociti neutrofili presente nel
diabete (Manouchehr-pour, 1981) sembrerebbe particolarmente espressa
nei soggetti con diabete non compensato (Bagdade, 1972).
 Una risposta infiammatoria alterata starebbe alla base dell’elevata
produzione di citochine nel soggetto diabetico,
 Una modificata omeostasi del collagene è stata osservata in
associazione agli stati iperglicemici.
 Le modificate modalità di guarigione delle ferite legata alle alterazioni
micro-vascolari caratterizzano le principali problematiche fisiopatologiche
del diabetico.
Rapporti tra diabete e
parodontopatia
 Un ampio studio epidemiologico condotto su più di 4300 soggetti della
popolazione adulta americana ha indicato che nel diabetico non compensato
il rischio di ammalare di parodontite è di 2.9 volte superiore rispetto al
soggetto sano, mentre nel diabetico ben compensato non sembrerebbe
evidente un aumento di rischio (Tsai, 2002).
 Molti studi d‟intervento sono stati effettuati con l‟obiettivo di verificare se
il trattamento parodontale fosse in grado di migliorare o meno il livello del
controllo glicemico nei pazienti diabetici.
Una metanalisi condotta sull‟ipotesi nulla che il trattamento parodontale
modifichi o meno il controllo glicemico nei diabetici ha concluso che la
terapia parodontale non solo determina il miglioramento della situazione
orale anche nel soggetto diabetico ma probabilmente contribuisce al
raggiungimento di un miglior controllo glicemico.
Fattori favorenti la parodontopatia nel
D.M.
•Stato immunologico.
•Controllo di placca.
•Virulenza batterica: non è diversa nel soggetto diabetico
con parodonto integro da quello di un soggetto non diabetico ma
aumenta in forma e quantità. Tuttavia, alcuni sporadici lavori (tra i
quali Mashimo ed all.) hanno riscontrato dei livelli di
CAPNOCITOPHALA ed ACTINOMICETE MUTANS nella flora
sottogengivale in soggetti diabetici insulino dipendenti.
•Alterazioni microvascolari: queste si riflettono, in ultima
 E’ stato dimostrato un rapporto fra obesità, resistenza all‟insulina,
diabete ed infiammazione, così che il rischio di parodontite aumenta di tre
volte nei soggetti che abbiano un indice di massa corporeo tra 25 e 29.9 e
di 8.6 volte per i soggetti con BMI superiore a 30 (Saito, 1998).
analisi, su un carente apporto di sangue, con conseguente
riduzione di risposta immunitaria e lentezza della guarigione delle
microferite che quotidianamente si presentano sulle gengive.
13
La prevenzione
diabete non
insulino-dipendente
diabete insulinodipendente
TUMORI
La prevenzione della malattia
diabetica può essere effettuata
efficacemente dal momento che il
fattore ereditario non viene
attivato alla nascita, ma solo
dopo l’intervento degli altri fattori
di rischio, che abitualmente
fanno sentire i loro effetti nell’età
adulta.
La prevenzione è allo stato
attuale fuori dalle nostre
possibilità.
Con il termine TUMORE (o CANCRO) sono indicate
malattie che, pur avendo in comune alcune
caratteristiche biologiche, sono diversissime tra loro
per cause determinanti, sintomatologia e per i mezzi di
diagnosi e di cura.
NEI PAESI SVILUPPATI
I TUMORI
RAPPRESENTANO
OGGI:
Nella maggior parte dei casi il CANCRO:
 non ha un’insorgenza improvvisa e rapida ma si
presenta in modo subdolo, con un decorso
lento;
 non compare senza cause;
 può guarire e ciò avviene tanto più facilmente
quanto più veloce è la diagnosi;
 può portare a volte alla morte.
La seconda causa di morte
dopo
le
malattie
cardiovascolari;
sia
la
mortalità
globale
per
neoplasie,
sia
quella
specifica per tipo di tumore,
mostrano
una
notevole
variabilità geografica
I TASSI DI MORTALITA’
Negli ultimi 50 anni, nelle aree occidentali, hanno
mostrato un andamento progressivamente in
crescita e in aumento esponenziale con l’età. In 21
anni la mortalità è aumentata di oltre il 40%.
14
I VALORI DI
MORTALITA’
Sono più elevati nel sesso maschile rispetto a
quello femminile, perché gli uomini sono più
esposti a determinati cancerogeni (neoplasie
professionali) ed i tumori più frequenti nelle
donne (cervice uterina, mammella) sono curabili
nel 50% dei casi.
Tutte le moderne acquisizioni epidemiologiche ed
eziologiche (distribuzione, andamenti, fattori di
rischio, ecc.) derivano sia da studi epidemiologici che
dalla sperimentazione.
b. ambiente di vita
 Inquinamento atmosferico(radiazioni
naturali)
 Inquinamento delle acque, del suolo, degli
alimenti
 Fattori iatrogeni
I fattori di rischio delle neoplasie maligne
INDIVIDUALI
 Sesso
 razza
 ereditarietà
 pregressi stati morbosi.
1. ESTERNI
a. comportamentali
Fumo di tabacco
Alcool
Regimi dietetici (alimentazione e
dieta)
Comportamenti sessuali

La CANCEROGENESI è un processo “multi-stage” che
riconosce due momenti, non sempre distinti l’uno
dall’altro:
 INIZIAZIONE riguarda la singola cellula e
consiste in alterazioni irreversibili del DNA
cellulare (o di altre macromolecole critiche);
 PROMOZIONE
pluricellulare,
è
a
invece
volte
un
fenomeno
reversibile,
che
c. ambiente di lavoro
progredisce ed evolve fino al danno clinico
 produzione, manipolazione di sostanze
mutagene e/o cancerogene
manifesto, sotto l’influenza di fattori multipli,
 Radiazioni diagnostiche
tempi sono sensibilmente differenti, a seconda
anche aspecifici, di diversa origine e natura. I
delle caratteristiche individuali ed ambientali.
15
Tutti i fattori mutageni e/o cancerogeni vengono
classificati in tre gruppi: FISICI, CHIMICI E BIOLOGICI.
Questi fattori possono agire da:
 cancro-iniziatori, cioè agenti capaci di causare
alterazioni del DNA cellulare dereprimendo geni
normalmente repressi, chiamati “oncogeni”
 cancro-promotori, cioè sostanze che stimolano la
moltiplicazione sia delle cellule bersaglio dei
cancro-iniziatori, sia di quelle già trasformate.
Gli AGENTI FISICI (in particolare le radiazioni ionizzanti ed
ultraviolette)sono, generalmente, mutageni ed agiscono
da iniziatori.anche talune sostanze chimiche si
comportano da iniziatori e necessitano poi dell’intervento
di promotori responsabili nell’amplificare il danno e nel
renderlo clinicamente manifesto.
Gli AGENTI CHIMICI
sono rappresentati da
numerose sostanze organiche ed inorganiche.
Sono
sicuramente
cancerogene
l’arsenico,
l’asbesto, il piombo e il cromo e probabilmente
lo sono il berillio e il nichel. Tra le sostanze
organiche, i cancerogeni più importanti sono gli
idrocarburi
policiclici
aromatici
derivati
dal
Tutti i fattori mutageni e/o cancerogeni vengono
classificati in tre gruppi: FISICI, CHIMICI E
BIOLOGICI.
Questi fattori possono agire da:
cancro-iniziatori, cioè agenti capaci di causare
alterazioni del DNA cellulare dereprimendo geni
normalmente repressi, chiamati “oncogeni”
 cancro-promotori,
cioè
sostanze
che
stimolano la moltiplicazione sia delle cellule
bersaglio dei cancro-iniziatori, sia di quelle già
trasformate.
Tra gli AGENTI BIOLOGICI si segnalano alcuni
virus a DNA (Epstein Barr, Herpes Simplex tipo
2 e Papillomavirus) e pochi ad RNA, come taluni
retrovirus. Fattori biologici sono altresì quelli
ormonali ed, in particolare, alcuni ormoni
sessuali quali gli estrogeni, oggi sempre più
spesso impiegati anche in campo alimentare.
catrame e i coloranti derivati dall’anilina.
16
Il cancro della cavità
orale
•Su scala mondiale i
tumori del cavo orale
insieme a quelli della
laringe e della faringe
rappresentano il 10
per cento circa di tutte
le neoplasie maligne
negli uomini e il 4 per
cento nelle donne.
Il cancro della cavità
orale
•Il tumore del labbro è più
comune negli uomini, e si
sviluppa soprattutto in
persone dalla pelle chiara
che trascorrono molto
tempo al sole (per esempio
i muratori, gli agricoltori o i
pescatori). I tumori del
labbro rappresentano l’11
per cento circa dei nuovi
casi, ma sono responsabili
solo dell’1 per cento dei
decessi totali.
Il cancro della cavità
orale
•Si calcola che,
annualmente, il
carcinoma della bocca
interessi, in Italia,
dalle 2.800 alle 3.200
persone, e, a causa
del fatto che molto
spesso viene
diagnosticato e curato
tardi, non è raro che
l'esito sia mortale.
Il cancro della cavità
orale
• La lingua è la sede più
frequente coinvolta nelle
neoplasie del cavo orale:
infatti i carcinomi linguali
sono il 30 per cento circa
di tutti i carcinomi orali.
Il tumore del cavo orale è
più frequente in persone
che fumano tabacco e
consumano alcolici; la
coesistenza di queste due
abitudini moltiplica il
rischio di sviluppare
neoplasie orali.
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Il cancro della cavità
orale
•Il cancro della bocca
è dotato di una forte
aggressività, e può
bastare che
trascorrano 6-7 mesi
dal momento in cui
compaiano i segni e le
lesioni sospette
all'inizio della cura,
perché le possibilità di
guarigione si riducano
di molto.
Il cancro della cavità
orale
Altre cause favorenti possono
essere scarsa igiene orale,
masticazione di tabacco, errato
posizionamento di protesi
dentarie e le lesioni
precancerose.
Per quanto riguarda il tumore
del labbro, un possibile fattore
favorente è l’esposizione al sole.
I tumori della bocca e del cavo
orale colpiscono di solito dai 40
anni in su.
Il cancro della cavità
orale
•Il L'alcool, il fumo e l'età
superiore ai 50 anni sono
fattori predisponenti: il
tabacco abbassa le capacità
di difesa nei confronti del
tumore, ponendosi come
ostacolo nei confronti delle
funzioni della proteina P53,
che potremmo definire un
"soldato che sta a guardia
del genoma", e che lavora
annullando le cellule con il
DNA difettoso, quelle che più
facilmente si trasformano in
cellule cancerose.
Il cancro della cavità
orale
Le lesioni precancerose sono lesioni che in una elevata percentuale
di casi vanno incontro ad una trasformazione maligna:
 Leucoplachia.
• si tratta di una lesione di colorito biancastro che si presenta sotto
forma di chiazze isolate o confluenti, sulla mucosa della lingua e delle
guance.
• La patologia colpisce in genere i fumatori e i bevitori.
•La trasformazione maligna è frequente anche se non obbligatoria.
•Nell'epitelio della mucosa sono presenti ipercheratosi (presenza di
cheratina), acantosi e displasia (alterazioni cellulari).
•Esistono test specifici basati sulle colorazioni della mucosa che
consentono di riconoscere le aree leucoplasiche più pericolose (blu di
toluidina).
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Il cancro della cavità
orale

Eritroplasia
• La lesione è analoga alla
leucoplachia da cui si
differenzia per il colorito rosso
- vivo.
• Nell'epitelio sono presenti
aree di gravi alterazioni
cellulari (displasia grave) e,
secondo alcuni autori, di
trasformazione maligna anche
se limitata all'epitelio
(carcinoma in situ).
•La malattia è molto più
pericolosa della leucoplachia e
va sempre asportata con
urgenza chirurgicamente o con
il Laser.
Il cancro della cavità
orale
• L’età media alla diagnosi di
un tumore del cavo orale è di
64 anni e il 95 per cento
insorge dopo i 40 anni.
• Può apparire una
tumefazione persistente nel
labbro, in bocca o nelle
gengive, una ferita che non si
rimargina o un dolore\bruciore
in bocca.
•Un altro segnale da tener
presente è quando si ha
dolore e difficoltà nel mettere
la dentiera.
Il cancro della cavità
orale
•Negli ultimi anni si è
osservata una
progressiva riduzione
di incidenza delle
neoplasie orali alcol e
tabacco correlate,
soprattutto nel sesso
maschile, mentre nel
sesso femminile, si è
invece registrato un
aumento.
Il cancro della cavità
orale
• Il cancro della bocca se
riconosciuto in fase precoce può
essere curato con successo con
elevate percentuali di guarigione.
• I ritardi diagnostici dipendono in
genere da una sottovalutazione dei
sintomi spesso dovuta a una
conoscenza insufficiente di questo
tumore.
•Il tumore alla bocca viene infatti
spesso confuso con altre malattie
più frequenti (ascessi dentari,
tumori benigni).
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Il cancro della cavità
orale
PREVENZIONE
PRIMARIA DEI
TUMORI
• L’evoluzione dipende dalle condizioni
generali di salute, dalla sede e dalla
diffusione ai linfonodi regionali o ad altre
parti dell’organismo.
• Dai dati disponibili si è potuto stabilire
che, al momento della diagnosi, oltre la
metà dei tumori del cavo orale sono già
diffusi nelle sedi vicine.
PREVENZIONE
SECONDARIA
DEI TUMORI
Complessivamente, la sopravvivenza
media a cinque anni dalla diagnosi è del
50 per cento e oscilla tra l'80-90 per cento
dei pazienti con tumori confinati alla sede
di insorgenza e il 19 per cento dei pazienti
con tumori metastatici.
PREVENZIONE
TERZIARIA DEI
TUMORI
Si basa sull’utilizzo delle
terapie farmacologiche e
radianti per la
prevenzione delle
recidive (metastasi)
PREVENZIONE
QUATERNARIA
DEI TUMORI
Si basa sulla rimozione degli
agenti
cancerogeni
(fisici,
chimici e biologici) e prevede la
modificazione delle abitudini di
vita
e
la
riduzione
dell’esposizione
all’inquinamento e alle sostanze
cancerogene
presenti
nell’ambiente
Si basa sulla diagnosi precoce
e pertanto, sulla disponibilità di
validi test di screening, nonché
sull’intervento chirurgico o
farmacologico tempestivo
Si basa sull’utilizzo delle
terapie riabilitative per il
recupero psico-fisico dei
pazienti
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