Malattie cronico-degenerative Aspetti generali Epidemiologia e profilassi delle malattie cronico-degenerative Mortalità per malattie infettive e non infettive Le malattie “non infettive” o “cronico-degenerative” rappresentano, già oggi, la parte di gran lunga prevalente della patologia esistente nella nostra popolazione, sia in termini di diffusione che di gravità dei quadri clinici ad essi connessi. Il loro esito risulta essere, spesso letale, in tempi più o meno brevi e comunque sempre invalidante. Malattie cronico-degenerative Sono rappresentate da numerose malattie: 500.000 450.000 400.000 350.000 300.000 250.000 200.000 150.000 100.000 50.000 0 Tumori malattie infettive malattie non infettive Malattie cardiovascolari Broncopneumopatie croniche Malattie dismetaboliche 1903 1955 1978 1985 Malattie mentali ecc. 1 Malattie cronico-degenerative Malattie cronico-degenerative Se l’invecchiamento della popolazione ha costituito il 1. Abitudini fattore indispensabile per la migliore evidenziazione di personali queste malattie, tuttavia, la loro incidenza, è stata in gran parte regolata da altri meccanismi attinenti la loro origine. Alimentazione Fumo di tabacco Alcool Questo gruppo di malattie riconosce, infatti, nella sua genesi, fattori di tipo ambientale e comportamentale. Droga Sedentarietà Malattie cronico-degenerative 2. Contaminazione ambientale Inquinamento atmosferico Malattie cronico-degenerative Questo gruppo di malattie ha acquistato un particolare rilievo non solo da un punto di vista sanitario ma anche economico e sociale rappresentando, al momento, il problema di gran lunga più rilevante per la Sanità Pubblica. Inquinamento idrico Contaminazione alimentare L’arma di lotta più efficace disponibile nei confronti di queste patologie, per il momento di difficile guarigione, è rappresentata dalla prevenzione primaria 2 MALATTIE CARDIOVASCOLARI Le malattie cardiovascolari Sono responsabili di un terzo delle morti a livello mondiale e rappresentano la principale causa di morte nei Paesi sviluppati. In Italia, nel 2005, le malattie cardiovascolari sono state responsabili di oltre il 43% della mortalità generale. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, la mortalità è notevolmente diminuita. Le malattie cardiovascolari Dal punto di vista epidemiologico, attualmente, rivestono grande importanza: la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa le malattie circolatorie dell’encefalo (ictus cerebrale). Cardiopatia ischemica (C.I.) E’ l’insufficienza cardiaca, acuta o cronica, derivante dalla riduzione o arresto dell’apporto di sangue al miocardio, in associazione con processi patologici nel sistema delle arterie coronariche. Nonostante l’andamento in discesa della mortalità quindi, la patologia cardiovascolare è tuttora un rilevante problema sanitario e sociale, sia in termini di spesa sanitaria che in termini di disabilità e bisogno di assistenza. 3 Cardiopatia ischemica (C.I.) Epidemiologia delle C.I. Le manifestazioni cliniche più tipiche delle C.I. sono: Angina pectoris; Infarto del miocardio; •La riduzione dell’apporto ematico è, conseguenza delle lesioni aterosclerotiche insorte negli anni per il depositarsi dei grassi e il restringimento progressivo del lume vasale. •La presenza dell’ateroma, la formazione di un trombo a livello della placca ateromasica calcificata o ulcerata, oppure uno spasmo, potrebbero dar luogo all’occlusione repentina del vaso, con stato ischemico e conseguente infarto del miocardio. Epidemiologia delle C.I. Il rischio di C.I. come tutte le malattie cardiovascolari, è basso in età giovanile ma aumenta esponenzialmente dai 45 anni in poi negli uomini e dai 55 anni in poi nelle donne. In un’età compresa tra i 35 e i 74 anni il rischio di morte per C.I. è complessivamente maggiore nell’uomo che nella donna. Tale differenza tende però progressivamente a ridursi con l’avanzare dell’età fino ai 75 anni, quando il rischio diviene simile in entrambi i sessi. Morte improvvisa (da pochi minuti fino a 24 ore dall’insorgenza della sintomatologia acuta); Scompenso cardiaco e aritmie non mortali (più frequenti nelle persone anziane) Epidemiologia delle C.I. L’incidenza della C.I. nella popolazione registra differenze geografiche importanti. I Paesi del mediterraneo presentano livelli di mortalità minori. Decisamente bassa è l’incidenza della C.I. in molte regioni dell’Asia e dell’Africa dove però, negli ultimi 20 anni, si è assistito ad un incremento progressivo legato alle modificazioni economiche e sociali dovute alla globalizzazione degli stili di vita e di consumo. 4 I fattori di rischio Epidemiologia delle C.I. Nei Paesi sviluppati Sono le classi di livello socioeconomico più basso a presentare una più alta prevalenza dei fattori di rischio e quindi una più alta incidenza di malattia e mortalità. Numerosi studi epidemiologici negli anni hanno portato a delineare l’insieme dei fattori di rischio, capaci di mettere in relazione la prevalenza della C.I. in varie popolazioni e il loro ambiente di vita. l’età il sesso la storia familiare positiva per la malattia coronarica L’impatto maggiore è a carico dei gruppi di popolazione socioeconomicamente più svantaggiati. Nei paesi in via di sviluppo I fattori di rischio Sono distinti in: MAGGIORI: ipercolesterolemia (più elevato è il livello di HDL tanto minore è il rischio di C.I. mentre il contrario avviene per LDL) e il fumo di sigaretta (in particolare il monossido di carbonio e nicotina). MINORI: diabete e la ridotta tolleranza al glucosio, l’ereditarietà, la scarsa attività fisica e l’obesità. la predisposizione genetica l’obesità l’ipertensione l’ipercolesterolemia I fattori di rischio Gli stress psico-emotivi sono importanti come fattori scatenanti nei soggetti con lesioni coronariche preesistenti. L’esposizione ai fattori emotivi è difficilmente “quantificabile” per cui sfugge ad un’accurata valutazione epidemiologica. 5 Malattie Parodontali e Malattie Cardiovascolari Malattie Parodontali e Malattie Cardiovascolari Un elevato numero di situazioni infiammatorie derivate da infezioni comuni, come la parodontite, sono state considerate probabili promotori di atereogenesi e quindi di incrementare il rischio di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari. (Elkind MS, Cole JW. Do common infections cause stroke? Semin Neurol. 2006 26: 88-99. Hansson GK. Inflammation, atherosclerosis, and coronary arterydisease. N Engl J Med. 2005 352: 1685-1695. ). Batteri o prodotti batterici circolanti possono raggiungere siti distanti. In preparati ricavati da endoarterectomie carotidee, nel 44% delle lesioni era possibile evidenziare DNA batterico di almeno uno dei 4 patogeni parodontali ricercati (30% Tannerella Forsithia,26% Porphiromonas Gengivalis, 18% Actinobacillus Actinomcetemcomitans,14% Prevotella Intermedia). Un effetto diretto della parodontite sull’aterogenesi potrebbe essere mediato dal passaggio di patogeni parodontali dal cavo orale al sistema circolatorio. (Zebrack JS, Anderson JL. The role of inflammation and infectionin the pathogenesis and evolution of coronary artery disease. Curr Cardiol Rep. 2002 4: 278-288. ) (Haraszthy VI, Zambon JJ, Trevisan M et al. Identification of peri261Behle and Papapanou: Periodontal infections and atherosclerotic vascular disease odontal pathogens in atheromatous plaques. J Periodontol 2000 71:1554-1560. ) Batteriemia è stata rilevata non solo dopo episodi di terapia parodontale attiva, ma anche dopo manipolazioni tissutali minori quali il sondaggio. (Baltch AL, Schaffer C, Hammer MC et al. Bacteremia following dental cleaning in patients with and without penicillin prophylaxis. Am Heart J 1982 104: 1335-1339. ) In un altro studio, DNA del P.Gingivalis fu evidenziato in 4 su 26 aorte di pazienti collegati ad una macchina cuore-polmone. (Stelzel M, Conrads G, Pankuweit S et al. Detection of Porphyromonas gingivalis DNA in aortic tissue by PCR. J Periodontol 2002 73: 868-870. ). Malattie Parodontali e Malattie Cardiovascolari I meccanismi più probabili per spiegare l‟effetto della parodontite sulla genesi dell‟aterosclerosi possono essere: meccanismi diretti → partecipazione di batteri patogeni parodontali nella genesi della pacca ateromatosa , dovuta probabilmente alla translocazione dei patogeni parodontali dal cavo orale al sistema circolatorio; meccanismi indiretti→ produzione locale di mediatori dell’infiammazione nella lesione parodontale che potrebbero entrare in circolo e causare danni vascolari a distanza. Segni clinici di ischemia cardiaca riscontrabili in ambito odontoiatrico Il dolore craniofacciale può rappresentare il solo sintomo di ischemia cardiaca. Uno studio prospettico ha riguardato 186 pazienti con un documentato episodio ischemico di natura cardiaca: il dolore craniofacciale era il solo disturbo durante l’episodio ischemico in 11 pazienti ( 6% ). Altri 60 pazienti ( 32% ) hanno riportato dolore craniofacciale in modo concomitante a dolore in altre regioni. Il dolore craniofacciale era preponderante nei soggetti di sesso femminile ed era il sintomo dominante in entrambi i sessi in assenza di dolore toracico. Kreiner M et al, J Am Dent Assoc 2007; 138: 74-79 6 Segni clinici di ischemia cardiaca riscontrabili in ambito odontoiatrico Il dolore temporomandibolare bilaterale è stato indicato presente in circa il 40% dei casi di ischemia cardiaca. In alcuni casi, può rappresentare l’unico segno di infarto miocardico acuto. Prevenzione della cardiopatia ischemica PREVENZIONE SECONDARIA Prevenzione della cardiopatia ischemica I principali obiettivi sono: • riduzione PREVENZIONE PRIMARIA dei livelli medi di colesterolemia negli adulti (200 mg/ml) • diminuzione di NaCl nella dieta (<5 g/die) • eliminazione del fumo di sigaretta • aumento dell’attività fisica • regime variato dietetico normocalorico e Ipertensione arteriosa Riduzione o rimozione dei fattori di rischio già presenti, insistendo sulla necessità che i soggetti a rischio (ultraquarantenni, ipercolesterolemici, infartuati, ipertesi, fumatori) modifichino lo stile di vita. Senza la rimozione dei fattori di rischio, l’assunzione di farmaci ipocolesterolemizzanti, ipotensivi, betabloccanti e calcio-antagonisti, sebbene efficace, non è in grado di attivare il programma di prevenzione secondaria. 7 Ipertensione arteriosa Gli studi epidemiologici sull’ipertensione presentano notevoli difficoltà perché i valori di pressione arteriosa non sono costanti ma variano in rapporto a molteplici fattori: la posizione in corso di determinazione, l’attività fisica, le condizioni psicologiche e fisiche, l’orario della determinazione (bioritmo) Ipertensione arteriosa In condizioni standard le uniche variabili sono rappresentate dall’età e dal sesso. In tutte le popolazioni, con l’avanzare dell’età, aumenta la prevalenza dell’ipertensione. In Italia l’ipertensione è responsabile del 6,3% della mortalità per malattie cardiovascolari. l’atteggiamento di chi effettua il rilevamento Prevenzione dell’ipertensione arteriosa PREVENZIONE PRIMARIA Si traduce in uno stile di vita teso all’eliminazione dei fattori di rischio; principalmente nel contenere il consumo di NaCl, nel mantenere il peso forma e nel limitare il consumo di alcool. Prevenzione dell’ipertensione arteriosa PREVENZIONE SECONDARIA Si effettua mediante la somministrazione di farmaci ipotensivi a tutti i soggetti con valori maggiori di quelli soglia. Ciò è realizzabile negli individui con ipertensione grave (piccola quota di ipertesi) ma l’effetto epidemiologico è minimo. Diventa prioritaria, l’identificazione degli asintomatici. pertanto, individui 8 Ictus cerebrale È la manifestazione clinica fondamentale della malattia cerebrovascolare e si manifesta con segni clinici, a rapido sviluppo, di turbe delle funzioni cerebrali di tipo focale o globale, della durata di oltre 24 ore o che portano a morte. Ictus cerebrale Si distingue in due tipi: su base emorragica (15%) su base ischemica (tromboembolica) Ictus cerebrale Le cause delle lesioni vascolari, in rapporto alla sede, sono rappresentate: dall’emorragia subaracnoidea (deriva da anomalie vascolari o da aneurismi congeniti), dall’emorragia cerebrale (consegue a microaneurismi acquisiti) dall’infarto cerebrale (la cui causa è una è una tromboembolia originata da placche ateromatose delle grosse e medie arterie) (85%) Ictus cerebrale L’ictus rappresenta in italia, come in gran parte dei paesi industrializzati, la terza causa di morte dopo i tumori e le cardiopatie ischemiche, rappresentando l’11-13% delle morti totali. Esso è inoltre la più importante causa di invalidità nelle comunità occidentali. La mortalità è più elevata nei maschi in tutti i gruppi di età ma l’incidenza dell’ictus aumenta in modo esponenziale in entrambi i sessi, con l’aumentare dell’età, tanto che 3 episodi di ictus su 4 colpiscono persone di età maggiore di 65 anni. 9 Ictus cerebrale Negli ultimi 20 anni, i quozienti di mortalità hanno mostrato una costante tendenza al decremento in entrambi i sessi e tale fenomeno si è registrato in numerosi altri paesi del mondo occidentale. I fattori di rischio L’IPERTENSIONE è ritenuta il principale fattore di rischio dell’ictus cerebrale. Altri fattori importanti sono: L’incidenza della malattia però non si è ridotta e circa il 40 % dei sopravvissuti al primo episodio presenta una grave invalidità residua. il fumo di sigaretta; il diabete; l’alcool; l’iperomocisteinemia. PREVENZIONE DELL’ICTUS CEREBRALE PREVENZIONE PRIMARIA PREVENZIONE SECONDARIA DIABETE Si realizza con la scelta di uno stile di vita che eviti l’aumento dei valori pressori mediante un’alimentazione equilibrata, povera di sale e il ricorso all’attività fisica sistematica. Consiste nella diagnosi precoce, ovvero con il trattamento dietetico e farmacologico degli ipertesi. 10 Il diabete E’ una sindrome dismetabolica ad andamento cronico, caratterizzata dall’incapacità dell’organismo di utilizzare normalmente il glucosio; la concentrazione di questo zucchero nel sangue pertanto aumenta (iperglicemia) e può comparire anche nelle urine (glicosuria) dove in condizioni normali è assente. Il diabete Si distinguono 4 tipi di diabete mellito (DM = diabetes mellitus): insulino dipendente (tipo I), non insulino-dipendente (tipo II), associato ad altra patologia, La diagnosi di diabete e di ridotta tolleranza al glucosio è fondata essenzialmente sulla rilevazione dei tassi glicemici a digiuno e dopo carico di glucosio. 1- Diabete di tipo I o insulino-dipendente (IDD = insulin dependent diabetes) Corrisponde al diabete giovanile, ed è determinato da un danno irreversibile delle isole del Langherans, con carenza insulinica più o meno improvvisa. E’ caratterizzato dall’inizio rapido, con insulinemia bassa o assente e tendenza alla cheto-acidosi; necessita quindi della terapia insulinica. diabete gestazionale. 1- Diabete di tipo I o insulino-dipendente (IDD = insulin dependent diabetes). Colpisce soprattutto l’età giovanile, inizia spesso in modo brusco ed ha la sua maggiore incidenza nei mesi invernali. Secondo l’ipotesi eziologia più attendibile, sarebbero in causa gruppi di virus (in particolare i virus Coxsackie), la cui azione si esplicherebbe sia direttamente nei confronti delle cellule beta, sia indirettamente attraverso meccanismi autoimmunitari 11 2 - Diabete di tipo II o non insulino-dipendente (NIDD = non insulin dependent diabetes). E’ la forma di diabete di gran lunga più frequente e comprende la quasi totalità dei casi nell’adulto. Colpisce di norma dopo i 40 anni. 2 - Diabete di tipo II o non insulino-dipendente (NIDD = non insulin dependent diabetes). I più importanti fattori di rischio oggi accertati sono: l’obesità, la sedentarietà, E’ dovuto ad una anomalia della secrezione di insulina o della sua azione biologica. la carenza di fibre vegetali nell’alimentazione, il genotipo. 3 - Diabete associato ad altra patologia. In queste forme cliniche l’intolleranza al glucosio è sempre secondaria ad altre cause ben accertate. Rapporti tra diabete e parodontopatia E’ globalmente accettato che la prevalenza delle parodontiti nei soggetti diabetici, Tipo I e Tipo II e Tipo IV , sia maggiore che non nei soggetti sani. 4 - Diabete gestazionale. (GDM= impaired glucose tolerance) Si manifesta nelle donne con insorgenza del diabete o della ridotta tolleranza al glucosio limitatamente al periodo della gravidanza. Il rischio per un soggetto diabetico di ammalare di parodontite viene stimato essere da due a tre volte maggiore rispetto a quello di un soggetto non diabetico (Emrich, 1991; Yalda, 1994) nel soggetto adulto e sino a cinque volte negli adolescenti e nei giovani teenagers (Cianciola, 1982). Le donne gravide affette da diabete, infine, hanno un rischio di soffrire di parodontite di oltre nove volte superiore rispetto alle non diabetiche (Xiong, 2006). 12 Rapporti tra diabete e parodontopatia Va ricordato che buona parte della letteratura iniziale sui rapporti tra diabete e parodontite era basata su osservazioni cliniche o presentazioni di casistiche numericamente poco rilevanti. Sono state ad oggi, a nostra conoscenza, condotte almeno tre metanalisi sui rapporti tra diabete e parodontiti. La prima, effettuata sugli studi pubblicati prima del 1996 e che globalmente considerati includevano circa 3500 pazienti diabetici, ha individuato una significativa associazione tra diabete e parodontiti (Papapanou, 1996). La più recente ha invece considerato i lavori pubblicati durante il periodo gennaio 1970-Ottobre 2003 ed ha analizzato lo stato parodontale dei soggetti diabetici rispetto a quello dei non diabetici. Le conclusioni di questa ricerca hanno dimostrato che i soggetti diabetici presentano un‟igiene orale media peggiore, quadri di gengivite più intensa, malattie parodontali più gravi rispetto ai non diabetici. Rapporti tra diabete e parodontopatia: possibili cause La ridotta funzionalità dei granulociti neutrofili presente nel diabete (Manouchehr-pour, 1981) sembrerebbe particolarmente espressa nei soggetti con diabete non compensato (Bagdade, 1972). Una risposta infiammatoria alterata starebbe alla base dell’elevata produzione di citochine nel soggetto diabetico, Una modificata omeostasi del collagene è stata osservata in associazione agli stati iperglicemici. Le modificate modalità di guarigione delle ferite legata alle alterazioni micro-vascolari caratterizzano le principali problematiche fisiopatologiche del diabetico. Rapporti tra diabete e parodontopatia Un ampio studio epidemiologico condotto su più di 4300 soggetti della popolazione adulta americana ha indicato che nel diabetico non compensato il rischio di ammalare di parodontite è di 2.9 volte superiore rispetto al soggetto sano, mentre nel diabetico ben compensato non sembrerebbe evidente un aumento di rischio (Tsai, 2002). Molti studi d‟intervento sono stati effettuati con l‟obiettivo di verificare se il trattamento parodontale fosse in grado di migliorare o meno il livello del controllo glicemico nei pazienti diabetici. Una metanalisi condotta sull‟ipotesi nulla che il trattamento parodontale modifichi o meno il controllo glicemico nei diabetici ha concluso che la terapia parodontale non solo determina il miglioramento della situazione orale anche nel soggetto diabetico ma probabilmente contribuisce al raggiungimento di un miglior controllo glicemico. Fattori favorenti la parodontopatia nel D.M. •Stato immunologico. •Controllo di placca. •Virulenza batterica: non è diversa nel soggetto diabetico con parodonto integro da quello di un soggetto non diabetico ma aumenta in forma e quantità. Tuttavia, alcuni sporadici lavori (tra i quali Mashimo ed all.) hanno riscontrato dei livelli di CAPNOCITOPHALA ed ACTINOMICETE MUTANS nella flora sottogengivale in soggetti diabetici insulino dipendenti. •Alterazioni microvascolari: queste si riflettono, in ultima E’ stato dimostrato un rapporto fra obesità, resistenza all‟insulina, diabete ed infiammazione, così che il rischio di parodontite aumenta di tre volte nei soggetti che abbiano un indice di massa corporeo tra 25 e 29.9 e di 8.6 volte per i soggetti con BMI superiore a 30 (Saito, 1998). analisi, su un carente apporto di sangue, con conseguente riduzione di risposta immunitaria e lentezza della guarigione delle microferite che quotidianamente si presentano sulle gengive. 13 La prevenzione diabete non insulino-dipendente diabete insulinodipendente TUMORI La prevenzione della malattia diabetica può essere effettuata efficacemente dal momento che il fattore ereditario non viene attivato alla nascita, ma solo dopo l’intervento degli altri fattori di rischio, che abitualmente fanno sentire i loro effetti nell’età adulta. La prevenzione è allo stato attuale fuori dalle nostre possibilità. Con il termine TUMORE (o CANCRO) sono indicate malattie che, pur avendo in comune alcune caratteristiche biologiche, sono diversissime tra loro per cause determinanti, sintomatologia e per i mezzi di diagnosi e di cura. NEI PAESI SVILUPPATI I TUMORI RAPPRESENTANO OGGI: Nella maggior parte dei casi il CANCRO: non ha un’insorgenza improvvisa e rapida ma si presenta in modo subdolo, con un decorso lento; non compare senza cause; può guarire e ciò avviene tanto più facilmente quanto più veloce è la diagnosi; può portare a volte alla morte. La seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari; sia la mortalità globale per neoplasie, sia quella specifica per tipo di tumore, mostrano una notevole variabilità geografica I TASSI DI MORTALITA’ Negli ultimi 50 anni, nelle aree occidentali, hanno mostrato un andamento progressivamente in crescita e in aumento esponenziale con l’età. In 21 anni la mortalità è aumentata di oltre il 40%. 14 I VALORI DI MORTALITA’ Sono più elevati nel sesso maschile rispetto a quello femminile, perché gli uomini sono più esposti a determinati cancerogeni (neoplasie professionali) ed i tumori più frequenti nelle donne (cervice uterina, mammella) sono curabili nel 50% dei casi. Tutte le moderne acquisizioni epidemiologiche ed eziologiche (distribuzione, andamenti, fattori di rischio, ecc.) derivano sia da studi epidemiologici che dalla sperimentazione. b. ambiente di vita Inquinamento atmosferico(radiazioni naturali) Inquinamento delle acque, del suolo, degli alimenti Fattori iatrogeni I fattori di rischio delle neoplasie maligne INDIVIDUALI Sesso razza ereditarietà pregressi stati morbosi. 1. ESTERNI a. comportamentali Fumo di tabacco Alcool Regimi dietetici (alimentazione e dieta) Comportamenti sessuali La CANCEROGENESI è un processo “multi-stage” che riconosce due momenti, non sempre distinti l’uno dall’altro: INIZIAZIONE riguarda la singola cellula e consiste in alterazioni irreversibili del DNA cellulare (o di altre macromolecole critiche); PROMOZIONE pluricellulare, è a invece volte un fenomeno reversibile, che c. ambiente di lavoro progredisce ed evolve fino al danno clinico produzione, manipolazione di sostanze mutagene e/o cancerogene manifesto, sotto l’influenza di fattori multipli, Radiazioni diagnostiche tempi sono sensibilmente differenti, a seconda anche aspecifici, di diversa origine e natura. I delle caratteristiche individuali ed ambientali. 15 Tutti i fattori mutageni e/o cancerogeni vengono classificati in tre gruppi: FISICI, CHIMICI E BIOLOGICI. Questi fattori possono agire da: cancro-iniziatori, cioè agenti capaci di causare alterazioni del DNA cellulare dereprimendo geni normalmente repressi, chiamati “oncogeni” cancro-promotori, cioè sostanze che stimolano la moltiplicazione sia delle cellule bersaglio dei cancro-iniziatori, sia di quelle già trasformate. Gli AGENTI FISICI (in particolare le radiazioni ionizzanti ed ultraviolette)sono, generalmente, mutageni ed agiscono da iniziatori.anche talune sostanze chimiche si comportano da iniziatori e necessitano poi dell’intervento di promotori responsabili nell’amplificare il danno e nel renderlo clinicamente manifesto. Gli AGENTI CHIMICI sono rappresentati da numerose sostanze organiche ed inorganiche. Sono sicuramente cancerogene l’arsenico, l’asbesto, il piombo e il cromo e probabilmente lo sono il berillio e il nichel. Tra le sostanze organiche, i cancerogeni più importanti sono gli idrocarburi policiclici aromatici derivati dal Tutti i fattori mutageni e/o cancerogeni vengono classificati in tre gruppi: FISICI, CHIMICI E BIOLOGICI. Questi fattori possono agire da: cancro-iniziatori, cioè agenti capaci di causare alterazioni del DNA cellulare dereprimendo geni normalmente repressi, chiamati “oncogeni” cancro-promotori, cioè sostanze che stimolano la moltiplicazione sia delle cellule bersaglio dei cancro-iniziatori, sia di quelle già trasformate. Tra gli AGENTI BIOLOGICI si segnalano alcuni virus a DNA (Epstein Barr, Herpes Simplex tipo 2 e Papillomavirus) e pochi ad RNA, come taluni retrovirus. Fattori biologici sono altresì quelli ormonali ed, in particolare, alcuni ormoni sessuali quali gli estrogeni, oggi sempre più spesso impiegati anche in campo alimentare. catrame e i coloranti derivati dall’anilina. 16 Il cancro della cavità orale •Su scala mondiale i tumori del cavo orale insieme a quelli della laringe e della faringe rappresentano il 10 per cento circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4 per cento nelle donne. Il cancro della cavità orale •Il tumore del labbro è più comune negli uomini, e si sviluppa soprattutto in persone dalla pelle chiara che trascorrono molto tempo al sole (per esempio i muratori, gli agricoltori o i pescatori). I tumori del labbro rappresentano l’11 per cento circa dei nuovi casi, ma sono responsabili solo dell’1 per cento dei decessi totali. Il cancro della cavità orale •Si calcola che, annualmente, il carcinoma della bocca interessi, in Italia, dalle 2.800 alle 3.200 persone, e, a causa del fatto che molto spesso viene diagnosticato e curato tardi, non è raro che l'esito sia mortale. Il cancro della cavità orale • La lingua è la sede più frequente coinvolta nelle neoplasie del cavo orale: infatti i carcinomi linguali sono il 30 per cento circa di tutti i carcinomi orali. Il tumore del cavo orale è più frequente in persone che fumano tabacco e consumano alcolici; la coesistenza di queste due abitudini moltiplica il rischio di sviluppare neoplasie orali. 17 Il cancro della cavità orale •Il cancro della bocca è dotato di una forte aggressività, e può bastare che trascorrano 6-7 mesi dal momento in cui compaiano i segni e le lesioni sospette all'inizio della cura, perché le possibilità di guarigione si riducano di molto. Il cancro della cavità orale Altre cause favorenti possono essere scarsa igiene orale, masticazione di tabacco, errato posizionamento di protesi dentarie e le lesioni precancerose. Per quanto riguarda il tumore del labbro, un possibile fattore favorente è l’esposizione al sole. I tumori della bocca e del cavo orale colpiscono di solito dai 40 anni in su. Il cancro della cavità orale •Il L'alcool, il fumo e l'età superiore ai 50 anni sono fattori predisponenti: il tabacco abbassa le capacità di difesa nei confronti del tumore, ponendosi come ostacolo nei confronti delle funzioni della proteina P53, che potremmo definire un "soldato che sta a guardia del genoma", e che lavora annullando le cellule con il DNA difettoso, quelle che più facilmente si trasformano in cellule cancerose. Il cancro della cavità orale Le lesioni precancerose sono lesioni che in una elevata percentuale di casi vanno incontro ad una trasformazione maligna: Leucoplachia. • si tratta di una lesione di colorito biancastro che si presenta sotto forma di chiazze isolate o confluenti, sulla mucosa della lingua e delle guance. • La patologia colpisce in genere i fumatori e i bevitori. •La trasformazione maligna è frequente anche se non obbligatoria. •Nell'epitelio della mucosa sono presenti ipercheratosi (presenza di cheratina), acantosi e displasia (alterazioni cellulari). •Esistono test specifici basati sulle colorazioni della mucosa che consentono di riconoscere le aree leucoplasiche più pericolose (blu di toluidina). 18 Il cancro della cavità orale Eritroplasia • La lesione è analoga alla leucoplachia da cui si differenzia per il colorito rosso - vivo. • Nell'epitelio sono presenti aree di gravi alterazioni cellulari (displasia grave) e, secondo alcuni autori, di trasformazione maligna anche se limitata all'epitelio (carcinoma in situ). •La malattia è molto più pericolosa della leucoplachia e va sempre asportata con urgenza chirurgicamente o con il Laser. Il cancro della cavità orale • L’età media alla diagnosi di un tumore del cavo orale è di 64 anni e il 95 per cento insorge dopo i 40 anni. • Può apparire una tumefazione persistente nel labbro, in bocca o nelle gengive, una ferita che non si rimargina o un dolore\bruciore in bocca. •Un altro segnale da tener presente è quando si ha dolore e difficoltà nel mettere la dentiera. Il cancro della cavità orale •Negli ultimi anni si è osservata una progressiva riduzione di incidenza delle neoplasie orali alcol e tabacco correlate, soprattutto nel sesso maschile, mentre nel sesso femminile, si è invece registrato un aumento. Il cancro della cavità orale • Il cancro della bocca se riconosciuto in fase precoce può essere curato con successo con elevate percentuali di guarigione. • I ritardi diagnostici dipendono in genere da una sottovalutazione dei sintomi spesso dovuta a una conoscenza insufficiente di questo tumore. •Il tumore alla bocca viene infatti spesso confuso con altre malattie più frequenti (ascessi dentari, tumori benigni). 19 Il cancro della cavità orale PREVENZIONE PRIMARIA DEI TUMORI • L’evoluzione dipende dalle condizioni generali di salute, dalla sede e dalla diffusione ai linfonodi regionali o ad altre parti dell’organismo. • Dai dati disponibili si è potuto stabilire che, al momento della diagnosi, oltre la metà dei tumori del cavo orale sono già diffusi nelle sedi vicine. PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI Complessivamente, la sopravvivenza media a cinque anni dalla diagnosi è del 50 per cento e oscilla tra l'80-90 per cento dei pazienti con tumori confinati alla sede di insorgenza e il 19 per cento dei pazienti con tumori metastatici. PREVENZIONE TERZIARIA DEI TUMORI Si basa sull’utilizzo delle terapie farmacologiche e radianti per la prevenzione delle recidive (metastasi) PREVENZIONE QUATERNARIA DEI TUMORI Si basa sulla rimozione degli agenti cancerogeni (fisici, chimici e biologici) e prevede la modificazione delle abitudini di vita e la riduzione dell’esposizione all’inquinamento e alle sostanze cancerogene presenti nell’ambiente Si basa sulla diagnosi precoce e pertanto, sulla disponibilità di validi test di screening, nonché sull’intervento chirurgico o farmacologico tempestivo Si basa sull’utilizzo delle terapie riabilitative per il recupero psico-fisico dei pazienti 20