quaderni ceripa - Aracne editrice

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QUADERNI CERIPA

Comitato scientifico
Rosaria A
Rodolfo M
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Universidad de Buenos Aires – Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA)
Augusto G. C
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Marco Cesare C
The Cassel Hospital – University College London
– International Psychoanalytic Association (IPA) –
British Psycoanalytical Society
Adele F
Istituto Universitario di Scienze Motorie (IUSM) di
Roma
Liliana F
Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA) – Comisión Nacional de Mujeres Profesionales
Italoargentinas
Davide M
Università degli Studi di Perugia
Giampaolo N
Sapienza Università di Roma
Adele N C
Università “Federico II” di Napoli
Silvia N
Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA) – International Psychoanalytic Association
(IPA)
Angelo R. P
Sapienza Università di Roma
Sapienza Università di Roma – Scuola Internazionale di Ricerca e Formazione in Psicologia Clinica
e Psicoterapia Psicoanalitica (SIRPIDI)
Massimo G
Lidia P
Sapienza Università di Roma
Sapienza Università di Roma
Alberto M
Gennaro R
Mercy College – New York
Federazione Nazionale Collegi Infermieri (IPASVI)
– Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Accursio G
Luciano M
Università degli Studi di Firenze
Alberto S
Sapienza Università di Roma
Paolo V
Università “Federico II” di Napoli
Comitato redazionale
Rosario D S (coordinatore), Stefania B, Donata C, Francesca
M, Manuela M, Irene M, Alessandra M, Anna
R
QUADERNI CERIPA
Il CeRIPA Onlus è un’associazione di promozione sociale e
persegue il fine esclusivo del benessere psico–fisico–sociale e
della solidarietà umana, civile, sociale e culturale. Nasce, nel
corso del , dalla volontà di professionisti che fino a quel
momento avevano partecipato, con impegno e dedizione, alla
realizzazione delle attività portate avanti dal CeRIPA (Centro
Ricerche e Interventi in Psicologia Applicata), attivo sul territorio nazionale fin dal . L’integrazione nel territorio e il
rendere più concreti ed estesi gli interventi in ambito psicosociale volti al miglioramento della qualità di vita delle persone
sono solo alcuni degli obiettivi principali dell’associazione. In
tal modo si cerca di far sì che il tessuto socioculturale e il bacino
di appartenenza possano, da un lato, conoscere e usufruire dei
servizi che l’associazione offre, dall’altro partecipare alla vita
stessa dell’associazione contribuendo con iniziative e proposte
alla realizzazione della sua mission.
Patrizia Pavesi
La felicità come cura di sé
Prefazione di
Rosario Di Sauro
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 
A Davide e Alessandro,
perché sappiano dirigere il loro sguardo
verso l’essenziale
Indice

Prefazione
di Rosario Di Sauro

Introduzione

Capitolo I
La felicità tra antropologia ed etica
.. La ricerca della felicità: la felicità come eudaimonia,  –
.. L’eudaimonia tra antropologia ed etica: l’Etica Nicomachea
di Aristotele,  – ... Il bene supremo dell’uomo: la felicità,  –
... La dottrina dell’anima e le tipologie di virtù,  – ... L’uomo felice ha bisogno di amici,  – ... La felicità perfetta,  –
.. L’eudaimonia dell’età ellenistica,  – ... Il piacere come fondamento dell’etica: Epicuro,  – ... Eudaimonia come assenza di
passioni: lo Stoicismo,  – ... Il Manuale di Epitteto, .

Capitolo II
Felicità e senso della vita
.. La modernità, ovvero la dissoluzione dei nessi,  – ... Max
Scheler: la fenomenologia della rinascita,  – ... La necessità di
una “cultura del cuore”,  – ... L’ordo amoris,  – ... V.E.
Frankl: la felicità dell’homo patiens,  – ... Autotrascendenza e
Amore,  – ... La vita ha sempre un senso, .

Capitolo III
Per una pedagogia della felicità
.. Si può imparare l’arte di essere felici?,  – .. L’educazione come cura di sé e progetto umano,  – .. Vita emotiva
e formazione,  – ... Per un’educazione dell’empatia,  –

Indice

... Per un’educazione dei sentimenti,  – ... Per un’educazione
alla relazione,  – ... Area scientifica, .

Conclusioni

Bibliografia
Prefazione
Si può insegnare ad essere felici? E quale felicità è degna di
essere vissuta?
Sono queste la parole con le quali l’Autrice apre e affronta,
attraverso un percorso filosofico — pedagogico, i grandi interrogativi sulla felicità ed i progetti ad essa collegati dell’uomo
d’oggi.
L’utilità di inserire un contributo di carattere filosofico, all’interno di una collana che raccoglie perlopiù lavori psicologici
e psicoanalitici, nasce dal fatto che la riflessione sulla felicità
che l’Autrice ci propone è un richiamo multidisciplinare e trasversale all’Esser–ci, ovvero alla costruzione significativa dei
nessi esistenziali e delle relazioni che sono alla base del nostro
modo di vivere, in altri termini, è un richiamo a costruire la
propria felicità. In fondo, di cosa si occupa la psicologia, e più
specificamente la psicoterapia, se non di rifondare il concetto
di “felicità”?
Esso risulta sempre più compromesso — “mancante” direbbe Pavesi — all’uomo di oggi che continuamente vive rapporti
che non tengono conto delle emozioni e dei sentimenti, e
non danno la possibilità di accrescere il proprio senso di sé
e il proprio divenire all’interno della collettività. Ecco allora
che la felicità, intesa come costrutto individuale, si lega indissolubilmente con l’Alterità, anzi, ne diventa un elemento
fondamentale. In questi ultimi anni, e non a caso, la psicologia
dello sviluppo si sta interrogando fortemente sul senso dell’essere genitori, primi ad essere “Altro” per il bambino, e non vi è
volume che si interessi di sviluppo psicologico, o dell’arco di
vita diremmo oggi, che non tenga conto di questi importanti
studi. La genitorialità, quando si esprime in forma inadeguata


Prefazione
e viene sostanziata anche da processi sociali effimeri e poco
concordanti con le forze intrinseche della realizzazione di sé,
paradossalmente può diventare per l’individuo la prima pietra
d’inciampo nella costruzione della sua felicità. È per questo motivo che il costrutto dell’intersoggettività, così significativo per
la psicologia dello sviluppo e per una psicoanalisi evoluta, sta assumendo una rilevanza sempre più significativa nel panorama
scientifico, denso di contributi che vanno dalle neuroscienze
alle applicazioni terapeutiche più innovative. Va tuttavia riconosciuto, ed implicitamente ne diamo valore anche attraverso
questo volume, che la riflessione sull’intersoggettività condotta
dalle neuroscienze, dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicoanalisi definita appunto “intersoggettiva”, pur evidenziando
i processi relazionali ed intersoggettivi sin dalla strutturazione
fetale, non preclude l’ importanza dell’azione individuale nella
realizzazione del proprio progetto esistenziale, unico ed irripetibile: in altri termini, se per un verso la qualità della relazione
con i caregivers deve essere necessariamente sana e creativa, dall’altro va riconosciuta una precisa responsabilità dell’individuo
della propria crescita, pur riconoscendone tutti gli impedimenti
oggettivi. Ecco che l’individualità del soggetto, l’Io freudiano
per intenderci, si coniuga intimamente con i processi interpersonali e finanche sociali. Ed è in tal senso che questo volume
esprime egregiamente il percorso della “trascendenza” dell’uomo che, in sintonia con la propria responsività, declina il suo
divenire con impegno e libertà, condividendo con gli altri la
propria esistenza.
È una riflessione che si pone in modo propedeutico al volume successivo della collana dal titolo Quale psicoterapia per
l’uomo d’oggi che racchiude una serie di riflessioni, tra cui il prezioso contributo filosofico del Prof. Baccarini , sulle esigenze e
i bisogni dell’uomo d’oggi. Ben si coniugano quindi i due volumi, in quanto costruttori di un processo di pensiero fortemente
. Emilio Baccarini, docente di Filosofia e Antropologia filosofica presso
l’Università Tor Vergata di Roma.
Prefazione

esistenziale: l’uno prettamente filosofico, l’altro prevalentemente clinico, ma entrambi sostenitori dell’importanza della cura
di sé come condizione imprescindibile per il raggiungimento
della felicità dell’individuo.
Ben inteso, e questo è anche uno dei moniti descritti in
questo volume, che la felicità, come ci fa notare l’Autrice, già a
partire da Platone, ma soprattutto da Aristotele, ha un valore
per l’individualità, ma ancora di più se viene vissuta nei valori
di una società che mette in evidenza i sentimenti, le emozioni
e le relazioni umane come presupposto del bene comune.
Ecco allora che la società si deve confrontare necessariamente con una mancanza di senso che orienti i più giovani
verso un percorso di realizzazione di sé dove la felicità, prima
individuale, poi collettiva, diventa la conditio sine qua non per la
“cura di sé”. Purtroppo, bisogna riconoscere che la ricerca di
soddisfazioni effimere, la perdita di valori sui quali fondare l’esistenza umana, il poco impegno verso la costruzione del vero
Bene Comune, come sottolinea l’Autrice — basti pensare ad es.
alle scelte politiche dei nostri governanti rispetto la Scuola non
consentono all’uomo d’oggi di esprimersi al meglio nel proprio
divenire. In questo senso, anche la crisi di figure di riferimento
pedagogico pregne di significato morale, etico e formativo, non
consentono ai giovani di rispecchiarsi in adulti capaci e maturi.
La ricerca e, in un qualche modo, la soluzione che l’autrice
propone è stata quella di mettere in evidenza « una tipologia di
felicità che sia capace di dare significato non a singoli momenti,
ma all’esistenza intera e che si leghi alla libertà di scelta dell’individuo, secondo l’unicità del suo essere ». Nel concetto di
eudaimonia, intesa come piena fioritura della propria essenza,
nel senso aristotelico di realizzazione di « ciò per cui una certa
cosa è quello che è », si intravede la possibilità del senso di sé,
attraverso la cura di sé, per una evoluzione esistenziale degna
di essere vissuta.
Essere felici, tuttavia, come ci ammonisce l’Autrice, non
è solo un dovere verso se stessi, ma anche verso l’umanità,
perché solo una persona felice è in grado di guardare l’Altro per

Prefazione
ascoltarlo e aiutarlo, come espressione esterna di quella stessa
cura che rivolge a sé stesso. Compito dei filosofi da una parte
e dei pedagogisti, come degli psicologi o degli psicoterapeuti
dall’altra, è quello di tentare di formulare insieme una serie di
costrutti, valori, teorie o tecniche che in un certo senso possano
contribuire alla realizzazione della propria felicità.
Introduzione
Si può insegnare ad essere felici? E quale felicità è degna di
essere vissuta?
Sono queste le domande che hanno dato l’impulso al presente lavoro, nate dall’osservazione quotidiana dei giovani che il
mio lavoro di insegnante porta ad intercettare nel periodo più
fragile, ma anche più fecondo, della loro crescita: l’adolescenza.
Ed è proprio partendo dalla loro instabilità emotiva, dal senso di
smarrimento che spesso li assale, dalla confusione in cui li getta il
turbinio delle loro emozioni, dalla richiesta tacita e ambivalente
di essere guidati verso ciò che è importante nella vita, che mi
sono chiesta se, attraverso la mia azione educativa, potessi contribuire alla loro felicità. Certo, sono consapevole che svolgere con
professionalità e passione il mio lavoro rappresenti già un aiuto
concreto e importante per la loro vita, ma i ragazzi di oggi sono
esigenti e, nella loro accentuata fragilità, richiedono non solo
conoscenza e professionalità, ma anche autenticità e coerenza,
presenza attenta e vicina ai loro vissuti e, soprattutto, tanta verità.
Oggi più che mai i giovani reclamano educatori che li aiutino a far chiarezza dentro di sé e ad individuare l’orizzonte
verso il quale dirigere il loro sguardo; i nostri figli e studenti
hanno bisogno di vedere in noi adulti delle persone credibili,
capaci di cambiare questo mondo e di realizzare le condizioni di
una vita degna per tutti. È questa grande responsabilità nei loro
confronti che mi ha sollecitata verso una riflessione sulla felicità,
intesa soprattutto come ricerca di ciò che possa assicurarla in
modo stabile e duraturo, da poterla poi offrire come risposta al
loro bisogno di senso.
Secondo Galimberti (), il disagio dei giovani di oggi non
è del singolo individuo, che è solo « la vittima di una diffusa


Introduzione
mancanza di prospettive e di progetti se non addirittura di sensi
e di legami affettivi » , ma è culturale: nell’atmosfera nichilista
che li avvolge, i nostri giovani non si interrogano più sul senso
della sofferenza presente nel mondo, ma sul significato stesso
della loro esistenza, che appare insopportabile perché priva
di senso. Per dirla con Spinosa, viviamo l’epoca delle “passioni tristi” intese come sentimenti di impotenza, disgregazione,
mancanza di senso, che fanno « della crisi attuale qualcosa di
diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi, perché
si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà » .
Tale crisi mette l’individuo nella condizione di guardare al futuro non come promessa, ma come minaccia, con la conseguenza
di concentrare le possibilità di gratificazione soprattutto nel qui
ed ora.
Polito () individua nel consumismo che avvolge la nostra epoca un’ ulteriore minaccia: esso non è solo un fatto
commerciale, ma si è trasformato anche in un modo di vivere
(“Nati per comprare”), in uno stile di vita (“Lavorare, guadagnare per poi spendere e comprare”) e in un modo di essere .
Inteso in questo modo, il consumismo corrompe l’intelligenza
emotiva dell’individuo e distorce il suo rapporto con la realtà, che viene vista in senso illusorio come se fosse un grande
banchetto in cui ogni cosa è offerta con estrema facilità, pronta
per essere consumata: in questo modo i giovani, così come gli
adulti, non apprezzano più il valore dell’impegno in vista della
realizzazione di un grande obiettivo, riducono il livello delle
loro aspettative di vita, allentano l’impegno, svalutano la scuola
e l’importanza di una formazione, vivendo con l’illusione che
tutto sia a portata di mano. L’utilitarismo viene presentato loro
come l’unica ideologia capace di fronteggiare “lo stato di emergenza” causato dalla crisi, proponendo criteri quantitativi come
. U. G, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano
, p. .
. Ivi, p. .
. M. P, Educare il cuore, La Meridiana, Bari , p. .
Introduzione

lettura della realtà: ogni sapere deve essere utile, ogni insegnamento deve “servire a qualcosa”, e non ci si può concedere “il
lusso” di imparare cose che non servono. . . In questo modo,
gli sforzi di tutti — osservano M. Benasayag e G.Schmit ()
— « devono essere tesi alla ricerca delle competenze migliori
e dei diplomi più qualificati, sola garanzia di sopravvivenza in
questo mondo pieno di pericoli e di insicurezza, caratterizzato
dalla lotta economica di tutti contro tutti » . L’educazione dei
giovani non è più basata sul desiderio, ma sulla minaccia, e
l’utilità di ciò che s’impara è vista come mezzo per uscire indenni dai pericoli incombenti. Ma tutto ciò diventa una trappola
mortale per l’individuo che, se non trova quel che desidera, è
portato a desiderare quello che trova, con un grande senso di
incompiutezza della propria esistenza. Se poi consideriamo che
tutto ciò avviene in un contesto scolastico che finora ha orientato i suoi contenuti prevalentemente verso lo sviluppo delle
facoltà razionali, a discapito di tutte quelle facoltà del “sentire”
di cui l’uomo dispone poiché considerate d’intralcio ad una
visione oggettiva della realtà, allora il quadro della situazione
si complica ulteriormente. Polito individua con chiarezza nei
giovani, nonostante il benessere materiale e tecnologico di cui
sono circondati,
una nuova categoria di povertà: la miseria emotiva e relazionale, che
conduce all’indifferenza e all’insensibilità, all’assenza di empatia, alla
precarietà descrittiva dei propri vissuti emotivi, all’uso di uno stile
di comunicazione piatto, neutro, formale e impersonale.
Si tratta di un’incapacità di lettura dei propri vissuti emotivi —
sede della conoscenza più vicina alla nostra unicità — che porta
molti giovani a non conoscere veramente se stessi e, di conseguenza, a far scelte così lontane dai propri desideri da risultare
poi motivo di infelicità. Tale analfabetismo dei sentimenti non
. M. B, G. S, L’epoca delle passioni tristi, tr. it. di E. Missana,
Feltrinelli, Milano , p. .
. M. P, op. cit., p. .

Introduzione
danneggia solo se stessi, ma anche gli altri, poiché — sostiene
Lévinas — indebolisce quella che lui chiama “l’etica della responsabilità”, ossia la capacità di sentire e di rispondere “all’appello
che viene dall’Altro” che ci richiama alla nostra responsabilità:
viviamo come monadi, chiusi nella nostra individualità e non ci
accorgiamo che la nostra vita è invece inesorabilmente legata a
quella degli altri. La nostra felicità dipende ed è condizionata dalla
felicità di quelli che ci circondano.
Nella situazione culturale fin qui delineata, non di certo per
accrescere ulteriormente l’allarmismo sociale che ci circonda,
sorge necessaria una domanda: cosa possiamo fare per essere
felici?
Sicuramente riflettere: occorre che la società intera metta
nuovamente al centro di tutto l’uomo, i suoi bisogni come
unità bio–psico–sociale, e chiedersi quale immagine antropologica intenda promuovere, quale società di uomini ritenga sia
importante costruire per un mondo dove tutti possano sentirsi
a proprio agio ed essere riconosciuti nei bisogni più profondi.
La tesi che si sostiene nel presente volume è che bisogna
ripartire dall’individuo, per poter essere poi in grado di incidere
sul sociale: occorre diventare “felicemente” consapevoli della
propria unicità per poterla condividere con gli altri ed essere
protagonisti del cambiamento. È necessario che ognuno prenda
in mano la propria vita, ne abbia cura e la conduca verso la
pienezza dell’essere che ognuno porta dentro di sé, per poterla
donare agli altri in una dimensione di condivisione della condizione umana. La cura di sé come risposta alla chiamata della
vita che, mettendoci al mondo, ci chiede di realizzare e portare a compimento, se non di oltrepassarlo, quello che Hillman
definisce “il codice dell’anima”, ossia l’unicità di ognuno che
chiede di essere vissuta.
Ascoltare e seguire le vie che questa ragione di esistenza
ci indica ci porterà alla felicità, ci metterà in grado di capire
il senso degli “accidenti” che la vita ci pone davanti e di dare
persino un significato alle esperienze di dolore e di sofferenza
che fanno parte di ogni esperienza umana.
Introduzione

In questo progetto esistenziale ambizioso, la felicità — che
secondo i grandi filosofi del passato rappresenta il fine di ogni
azione dell’uomo, non capita per caso e né ci viene donata
gratuitamente — assume sempre di più le sembianze di un
cammino, un progressivo “venire alla luce”, un graduale e responsabile processo di trasfigurazione, un percorso verso una
rinascita definitiva ed autentica. Si è scelto di iniziare la presente riflessione partendo dall’etica antica, poiché essa mantiene
aperto quel sapere in cui ciascuno prende ad oggetto il proprio stesso vivere. Il tema dell’eudaimonia, infatti, racchiude il
concetto della piena espansione e realizzazione del sé, con cui
abbiamo identificato il concetto di felicità: l’eudaimonia rappresenta la migliore condizione possibile del vivere in funzione
delle possibilità razionali dell’essere umano, declinata nella duplice possibilità del “saper fare” e del “poter fare.” Quella degli
antichi è dunque “un’arte della felicità” e si connota soprattutto
come ricerca di ciò che è Bene per l’uomo, dell’individuazione
di ciò che rende una vita degna di essere vissuta all’insegna della
virtù e della razionalità, attraverso una riflessione che si lega al
tema del piacere e del desiderio, ritenuti naturali e piacevoli per
l’uomo, ma solo se controllati dall’azione vigile della ragione.
Se con Democrito il tema della felicità si pone come questione dell’anima, è con Socrate che inizia a connotarsi come
ricerca possibile per l’uomo, affrancandola in parte dal volere capriccioso e instabile degli dei o del destino: egli ci offre
la preziosa indicazione che per essere felici bisogna diventare
“cercatori di se stessi” e fare in modo che la vita esteriore coincida con quella interiore. Ma è Aristotele che, riconoscendo
alla felicità un tratto ontologico dell’uomo, sente l’urgenza di
delineare a sé e agli altri le scelte importanti da fare per raggiungere questa dimensione, consapevole che alla base di essa
deve esserci una scelta precisa dell’uomo di voler essere felice.
La riflessione filosofica si articola tra ricerca della virtù — che
porta a fare ogni cosa secondo la sua vera natura — e controllo
dei piaceri, riconosciuti nella loro positività purché dominati
dalla ragione. Si riconosce altresì che non esiste una felicità

Introduzione
individuale separata da quella sociale: per i saggi dell’antichità,
infatti, il bene comune è considerato addirittura superiore alla
felicità del singolo, così come il diritto alla felicità riconosciuto
dalla Costituzione francese prima e americana poi, si iscrive
nel progetto più ampio della felicità collettiva.
L’essere felici si connota, quindi, come una precisa responsabilità non solo verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri:
siamo chiamati ad essere felici riconoscendo il valore della nostra unicità, consapevoli della nostra natura “mancante” che
per realizzarsi pienamente ha bisogno della presenza degli altri.
Questo itinerario che porta a “farsi soggettività felice” necessariamente si articola attraverso la questione del Senso della vita,
una riflessione assolutamente fondamentale perché dà significato a tutte le nostre scelte e sostanzia i legami che tengono
insieme la molteplicità delle nostre esperienze.
Riflettere sul senso che vogliamo dare alla nostra vita comporta anche individuare e realizzare quello che Scheler chiama
“ordo amoris”, cioè il sistema strutturato delle nostre preferenze e opinioni di valore, che definirà il nostro stile motivazionale,
le nostre disposizioni d’animo fondamentali, in definitiva, il
nostro orientamento ultimo rispetto al mondo. Tale sistema
di valori costituisce il nostro punto di riferimento per tutte le
scelte che continuamente la vita ci chiede di fare e che — come
sostiene Aristotele — realizziamo per sentirci felici.
Frankl () ci rassicura che fa parte della natura umana
ricercare il senso della vita e il suo pensiero — che si concretizza nella terribile esperienza nel campo di concentramento
di Auschwitz — giunge alla convinzione che il significato è
qualcosa da scoprire, non da creare: se egli giurò a sé stesso di
“non correre mai al filo” in cerca della morte, era perché anche nell’oscurità dell’inferno nazista egli riuscì a dare un senso
alla vita, così come vi riuscirono innumerevoli prigionieri che
entravano nelle camere a gas « a fronte alta, con sulle labbra il
Padre Nostro e la preghiera ebraica per la morte » .
. V.E. F, Homo Patiens. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia , IV
Introduzione

La sua prospettiva esistenziale coglie l’uomo nella sua totalità, che non è solo psicofisica, ma anche spirituale, convinto
che la sua vera realtà si declina in esistenza, cioè nell’essere nel
mondo come trascendenza. Frankl si rende conto che spesso la
complessità delle situazioni e la “misteriosità” dell’uomo non
fanno scorgere con chiarezza le alternative tra cui operare una
scelta, e che l’uomo si trova continuamente di fronte a situazioni sempre nuove davanti alle quali spesso non sa come decidere:
ma lo psichiatra viennese ha un enorme fiducia nelle risorse
umane morali dell’uomo e nella sua capacità di poter intuire,
anticipare, per poter poi decidere, ciò che rappresenta il compito da attuare. È questa la libertà che l’uomo possiede: “volere
ciò che si deve fare”, inteso come scegliere consapevolmente
l’insieme degli impegni e dei compiti che — attraverso l’ascolto
della propria coscienza, organo di significato, e la lettura della situazione in cui vive — l’individuo percepisce di dover compiere.
Questo concetto di libertà si lega necessariamente al concetto
di responsabilità: con un pizzico di umorismo Frankl ha sempre
consigliato ai suoi uditori americani che « dopo aver costruito
la Statua della Libertà sulla costa orientale, sarebbe ora di costruire una Statua della Responsabilità sulla costa occidentale » .
Quindi, declinata secondo libertà e responsabilità, la vita ha
sempre un senso, in qualsiasi circostanza e con qualsiasi condizionamento: quel che conta è l’atteggiamento che si assume nei
confronti di un destino inevitabile e ineluttabile, anche quando
è contrassegnato dal dolore. Quando l’uomo realizza il significato della sua esistenza, allora porta a compimento sé stesso,
poiché nell’uomo s’incontra l’autotrascendenza dell’esistenza
umana.
Ogni persona è dunque in grado di sciogliere i nodi dell’emergenza sociale ed educativa, ci dice Frankl, attraverso
un’assunzione di responsabilità individuale e sociale e un senso
edizione, p. .
. V.E. F, Senso e valori per l’esistenza. La risposta della Logoterapia, Città
Nuova, Roma , p. .

Introduzione
di libertà intesa come legame e obbligo verso l’altro, verso la
città e il mondo in cui si vive.
Penso che questo sia quello di cui oggi ci sia più bisogno, in
un momento storico in cui il termine rispetto ha perso il suo
significato più intimo, ossia di « sentimento e atteggiamento
che nasce dalla consapevolezza del valore di qualcosa o di qualcuno »: è necessario ri–attribuire il giusto valore alle persone e
alle cose, inserendole in una nuova cornice di significato dove
ogni elemento deve poter contribuire al benessere dell’uomo e
della natura, altrimenti non ha ragione di esistere. Per fare ciò,
l’educazione critica della mente è di fondamentale importanza come mezzo di acquisizione delle virtù e della capacità di
discernimento del sostanziale dall’effimero.
La scuola ad es, così come altre agenzie educative, può essere
una valida occasione di rinascita individuale e collettiva nella
misura in cui riesce ad essere un luogo comunitario di crescita:
l’educazione deve e può essere la soluzione ai bisogni di oggi,
se riusciamo a pensarla a partire dal desiderio stesso di una vita
felice.
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