QUADERNI CERIPA Comitato scientifico Rosaria A Rodolfo M Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Universidad de Buenos Aires – Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA) Augusto G. C Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Marco Cesare C The Cassel Hospital – University College London – International Psychoanalytic Association (IPA) – British Psycoanalytical Society Adele F Istituto Universitario di Scienze Motorie (IUSM) di Roma Liliana F Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA) – Comisión Nacional de Mujeres Profesionales Italoargentinas Davide M Università degli Studi di Perugia Giampaolo N Sapienza Università di Roma Adele N C Università “Federico II” di Napoli Silvia N Asociación Psicoanalitica de Buenos Aires (APdeBA) – International Psychoanalytic Association (IPA) Angelo R. P Sapienza Università di Roma Sapienza Università di Roma – Scuola Internazionale di Ricerca e Formazione in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica (SIRPIDI) Massimo G Lidia P Sapienza Università di Roma Sapienza Università di Roma Alberto M Gennaro R Mercy College – New York Federazione Nazionale Collegi Infermieri (IPASVI) – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Accursio G Luciano M Università degli Studi di Firenze Alberto S Sapienza Università di Roma Paolo V Università “Federico II” di Napoli Comitato redazionale Rosario D S (coordinatore), Stefania B, Donata C, Francesca M, Manuela M, Irene M, Alessandra M, Anna R QUADERNI CERIPA Il CeRIPA Onlus è un’associazione di promozione sociale e persegue il fine esclusivo del benessere psico–fisico–sociale e della solidarietà umana, civile, sociale e culturale. Nasce, nel corso del , dalla volontà di professionisti che fino a quel momento avevano partecipato, con impegno e dedizione, alla realizzazione delle attività portate avanti dal CeRIPA (Centro Ricerche e Interventi in Psicologia Applicata), attivo sul territorio nazionale fin dal . L’integrazione nel territorio e il rendere più concreti ed estesi gli interventi in ambito psicosociale volti al miglioramento della qualità di vita delle persone sono solo alcuni degli obiettivi principali dell’associazione. In tal modo si cerca di far sì che il tessuto socioculturale e il bacino di appartenenza possano, da un lato, conoscere e usufruire dei servizi che l’associazione offre, dall’altro partecipare alla vita stessa dell’associazione contribuendo con iniziative e proposte alla realizzazione della sua mission. Patrizia Pavesi La felicità come cura di sé Prefazione di Rosario Di Sauro Copyright © MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre A Davide e Alessandro, perché sappiano dirigere il loro sguardo verso l’essenziale Indice Prefazione di Rosario Di Sauro Introduzione Capitolo I La felicità tra antropologia ed etica .. La ricerca della felicità: la felicità come eudaimonia, – .. L’eudaimonia tra antropologia ed etica: l’Etica Nicomachea di Aristotele, – ... Il bene supremo dell’uomo: la felicità, – ... La dottrina dell’anima e le tipologie di virtù, – ... L’uomo felice ha bisogno di amici, – ... La felicità perfetta, – .. L’eudaimonia dell’età ellenistica, – ... Il piacere come fondamento dell’etica: Epicuro, – ... Eudaimonia come assenza di passioni: lo Stoicismo, – ... Il Manuale di Epitteto, . Capitolo II Felicità e senso della vita .. La modernità, ovvero la dissoluzione dei nessi, – ... Max Scheler: la fenomenologia della rinascita, – ... La necessità di una “cultura del cuore”, – ... L’ordo amoris, – ... V.E. Frankl: la felicità dell’homo patiens, – ... Autotrascendenza e Amore, – ... La vita ha sempre un senso, . Capitolo III Per una pedagogia della felicità .. Si può imparare l’arte di essere felici?, – .. L’educazione come cura di sé e progetto umano, – .. Vita emotiva e formazione, – ... Per un’educazione dell’empatia, – Indice ... Per un’educazione dei sentimenti, – ... Per un’educazione alla relazione, – ... Area scientifica, . Conclusioni Bibliografia Prefazione Si può insegnare ad essere felici? E quale felicità è degna di essere vissuta? Sono queste la parole con le quali l’Autrice apre e affronta, attraverso un percorso filosofico — pedagogico, i grandi interrogativi sulla felicità ed i progetti ad essa collegati dell’uomo d’oggi. L’utilità di inserire un contributo di carattere filosofico, all’interno di una collana che raccoglie perlopiù lavori psicologici e psicoanalitici, nasce dal fatto che la riflessione sulla felicità che l’Autrice ci propone è un richiamo multidisciplinare e trasversale all’Esser–ci, ovvero alla costruzione significativa dei nessi esistenziali e delle relazioni che sono alla base del nostro modo di vivere, in altri termini, è un richiamo a costruire la propria felicità. In fondo, di cosa si occupa la psicologia, e più specificamente la psicoterapia, se non di rifondare il concetto di “felicità”? Esso risulta sempre più compromesso — “mancante” direbbe Pavesi — all’uomo di oggi che continuamente vive rapporti che non tengono conto delle emozioni e dei sentimenti, e non danno la possibilità di accrescere il proprio senso di sé e il proprio divenire all’interno della collettività. Ecco allora che la felicità, intesa come costrutto individuale, si lega indissolubilmente con l’Alterità, anzi, ne diventa un elemento fondamentale. In questi ultimi anni, e non a caso, la psicologia dello sviluppo si sta interrogando fortemente sul senso dell’essere genitori, primi ad essere “Altro” per il bambino, e non vi è volume che si interessi di sviluppo psicologico, o dell’arco di vita diremmo oggi, che non tenga conto di questi importanti studi. La genitorialità, quando si esprime in forma inadeguata Prefazione e viene sostanziata anche da processi sociali effimeri e poco concordanti con le forze intrinseche della realizzazione di sé, paradossalmente può diventare per l’individuo la prima pietra d’inciampo nella costruzione della sua felicità. È per questo motivo che il costrutto dell’intersoggettività, così significativo per la psicologia dello sviluppo e per una psicoanalisi evoluta, sta assumendo una rilevanza sempre più significativa nel panorama scientifico, denso di contributi che vanno dalle neuroscienze alle applicazioni terapeutiche più innovative. Va tuttavia riconosciuto, ed implicitamente ne diamo valore anche attraverso questo volume, che la riflessione sull’intersoggettività condotta dalle neuroscienze, dalla psicologia dello sviluppo e dalla psicoanalisi definita appunto “intersoggettiva”, pur evidenziando i processi relazionali ed intersoggettivi sin dalla strutturazione fetale, non preclude l’ importanza dell’azione individuale nella realizzazione del proprio progetto esistenziale, unico ed irripetibile: in altri termini, se per un verso la qualità della relazione con i caregivers deve essere necessariamente sana e creativa, dall’altro va riconosciuta una precisa responsabilità dell’individuo della propria crescita, pur riconoscendone tutti gli impedimenti oggettivi. Ecco che l’individualità del soggetto, l’Io freudiano per intenderci, si coniuga intimamente con i processi interpersonali e finanche sociali. Ed è in tal senso che questo volume esprime egregiamente il percorso della “trascendenza” dell’uomo che, in sintonia con la propria responsività, declina il suo divenire con impegno e libertà, condividendo con gli altri la propria esistenza. È una riflessione che si pone in modo propedeutico al volume successivo della collana dal titolo Quale psicoterapia per l’uomo d’oggi che racchiude una serie di riflessioni, tra cui il prezioso contributo filosofico del Prof. Baccarini , sulle esigenze e i bisogni dell’uomo d’oggi. Ben si coniugano quindi i due volumi, in quanto costruttori di un processo di pensiero fortemente . Emilio Baccarini, docente di Filosofia e Antropologia filosofica presso l’Università Tor Vergata di Roma. Prefazione esistenziale: l’uno prettamente filosofico, l’altro prevalentemente clinico, ma entrambi sostenitori dell’importanza della cura di sé come condizione imprescindibile per il raggiungimento della felicità dell’individuo. Ben inteso, e questo è anche uno dei moniti descritti in questo volume, che la felicità, come ci fa notare l’Autrice, già a partire da Platone, ma soprattutto da Aristotele, ha un valore per l’individualità, ma ancora di più se viene vissuta nei valori di una società che mette in evidenza i sentimenti, le emozioni e le relazioni umane come presupposto del bene comune. Ecco allora che la società si deve confrontare necessariamente con una mancanza di senso che orienti i più giovani verso un percorso di realizzazione di sé dove la felicità, prima individuale, poi collettiva, diventa la conditio sine qua non per la “cura di sé”. Purtroppo, bisogna riconoscere che la ricerca di soddisfazioni effimere, la perdita di valori sui quali fondare l’esistenza umana, il poco impegno verso la costruzione del vero Bene Comune, come sottolinea l’Autrice — basti pensare ad es. alle scelte politiche dei nostri governanti rispetto la Scuola non consentono all’uomo d’oggi di esprimersi al meglio nel proprio divenire. In questo senso, anche la crisi di figure di riferimento pedagogico pregne di significato morale, etico e formativo, non consentono ai giovani di rispecchiarsi in adulti capaci e maturi. La ricerca e, in un qualche modo, la soluzione che l’autrice propone è stata quella di mettere in evidenza « una tipologia di felicità che sia capace di dare significato non a singoli momenti, ma all’esistenza intera e che si leghi alla libertà di scelta dell’individuo, secondo l’unicità del suo essere ». Nel concetto di eudaimonia, intesa come piena fioritura della propria essenza, nel senso aristotelico di realizzazione di « ciò per cui una certa cosa è quello che è », si intravede la possibilità del senso di sé, attraverso la cura di sé, per una evoluzione esistenziale degna di essere vissuta. Essere felici, tuttavia, come ci ammonisce l’Autrice, non è solo un dovere verso se stessi, ma anche verso l’umanità, perché solo una persona felice è in grado di guardare l’Altro per Prefazione ascoltarlo e aiutarlo, come espressione esterna di quella stessa cura che rivolge a sé stesso. Compito dei filosofi da una parte e dei pedagogisti, come degli psicologi o degli psicoterapeuti dall’altra, è quello di tentare di formulare insieme una serie di costrutti, valori, teorie o tecniche che in un certo senso possano contribuire alla realizzazione della propria felicità. Introduzione Si può insegnare ad essere felici? E quale felicità è degna di essere vissuta? Sono queste le domande che hanno dato l’impulso al presente lavoro, nate dall’osservazione quotidiana dei giovani che il mio lavoro di insegnante porta ad intercettare nel periodo più fragile, ma anche più fecondo, della loro crescita: l’adolescenza. Ed è proprio partendo dalla loro instabilità emotiva, dal senso di smarrimento che spesso li assale, dalla confusione in cui li getta il turbinio delle loro emozioni, dalla richiesta tacita e ambivalente di essere guidati verso ciò che è importante nella vita, che mi sono chiesta se, attraverso la mia azione educativa, potessi contribuire alla loro felicità. Certo, sono consapevole che svolgere con professionalità e passione il mio lavoro rappresenti già un aiuto concreto e importante per la loro vita, ma i ragazzi di oggi sono esigenti e, nella loro accentuata fragilità, richiedono non solo conoscenza e professionalità, ma anche autenticità e coerenza, presenza attenta e vicina ai loro vissuti e, soprattutto, tanta verità. Oggi più che mai i giovani reclamano educatori che li aiutino a far chiarezza dentro di sé e ad individuare l’orizzonte verso il quale dirigere il loro sguardo; i nostri figli e studenti hanno bisogno di vedere in noi adulti delle persone credibili, capaci di cambiare questo mondo e di realizzare le condizioni di una vita degna per tutti. È questa grande responsabilità nei loro confronti che mi ha sollecitata verso una riflessione sulla felicità, intesa soprattutto come ricerca di ciò che possa assicurarla in modo stabile e duraturo, da poterla poi offrire come risposta al loro bisogno di senso. Secondo Galimberti (), il disagio dei giovani di oggi non è del singolo individuo, che è solo « la vittima di una diffusa Introduzione mancanza di prospettive e di progetti se non addirittura di sensi e di legami affettivi » , ma è culturale: nell’atmosfera nichilista che li avvolge, i nostri giovani non si interrogano più sul senso della sofferenza presente nel mondo, ma sul significato stesso della loro esistenza, che appare insopportabile perché priva di senso. Per dirla con Spinosa, viviamo l’epoca delle “passioni tristi” intese come sentimenti di impotenza, disgregazione, mancanza di senso, che fanno « della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l’Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà » . Tale crisi mette l’individuo nella condizione di guardare al futuro non come promessa, ma come minaccia, con la conseguenza di concentrare le possibilità di gratificazione soprattutto nel qui ed ora. Polito () individua nel consumismo che avvolge la nostra epoca un’ ulteriore minaccia: esso non è solo un fatto commerciale, ma si è trasformato anche in un modo di vivere (“Nati per comprare”), in uno stile di vita (“Lavorare, guadagnare per poi spendere e comprare”) e in un modo di essere . Inteso in questo modo, il consumismo corrompe l’intelligenza emotiva dell’individuo e distorce il suo rapporto con la realtà, che viene vista in senso illusorio come se fosse un grande banchetto in cui ogni cosa è offerta con estrema facilità, pronta per essere consumata: in questo modo i giovani, così come gli adulti, non apprezzano più il valore dell’impegno in vista della realizzazione di un grande obiettivo, riducono il livello delle loro aspettative di vita, allentano l’impegno, svalutano la scuola e l’importanza di una formazione, vivendo con l’illusione che tutto sia a portata di mano. L’utilitarismo viene presentato loro come l’unica ideologia capace di fronteggiare “lo stato di emergenza” causato dalla crisi, proponendo criteri quantitativi come . U. G, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano , p. . . Ivi, p. . . M. P, Educare il cuore, La Meridiana, Bari , p. . Introduzione lettura della realtà: ogni sapere deve essere utile, ogni insegnamento deve “servire a qualcosa”, e non ci si può concedere “il lusso” di imparare cose che non servono. . . In questo modo, gli sforzi di tutti — osservano M. Benasayag e G.Schmit () — « devono essere tesi alla ricerca delle competenze migliori e dei diplomi più qualificati, sola garanzia di sopravvivenza in questo mondo pieno di pericoli e di insicurezza, caratterizzato dalla lotta economica di tutti contro tutti » . L’educazione dei giovani non è più basata sul desiderio, ma sulla minaccia, e l’utilità di ciò che s’impara è vista come mezzo per uscire indenni dai pericoli incombenti. Ma tutto ciò diventa una trappola mortale per l’individuo che, se non trova quel che desidera, è portato a desiderare quello che trova, con un grande senso di incompiutezza della propria esistenza. Se poi consideriamo che tutto ciò avviene in un contesto scolastico che finora ha orientato i suoi contenuti prevalentemente verso lo sviluppo delle facoltà razionali, a discapito di tutte quelle facoltà del “sentire” di cui l’uomo dispone poiché considerate d’intralcio ad una visione oggettiva della realtà, allora il quadro della situazione si complica ulteriormente. Polito individua con chiarezza nei giovani, nonostante il benessere materiale e tecnologico di cui sono circondati, una nuova categoria di povertà: la miseria emotiva e relazionale, che conduce all’indifferenza e all’insensibilità, all’assenza di empatia, alla precarietà descrittiva dei propri vissuti emotivi, all’uso di uno stile di comunicazione piatto, neutro, formale e impersonale. Si tratta di un’incapacità di lettura dei propri vissuti emotivi — sede della conoscenza più vicina alla nostra unicità — che porta molti giovani a non conoscere veramente se stessi e, di conseguenza, a far scelte così lontane dai propri desideri da risultare poi motivo di infelicità. Tale analfabetismo dei sentimenti non . M. B, G. S, L’epoca delle passioni tristi, tr. it. di E. Missana, Feltrinelli, Milano , p. . . M. P, op. cit., p. . Introduzione danneggia solo se stessi, ma anche gli altri, poiché — sostiene Lévinas — indebolisce quella che lui chiama “l’etica della responsabilità”, ossia la capacità di sentire e di rispondere “all’appello che viene dall’Altro” che ci richiama alla nostra responsabilità: viviamo come monadi, chiusi nella nostra individualità e non ci accorgiamo che la nostra vita è invece inesorabilmente legata a quella degli altri. La nostra felicità dipende ed è condizionata dalla felicità di quelli che ci circondano. Nella situazione culturale fin qui delineata, non di certo per accrescere ulteriormente l’allarmismo sociale che ci circonda, sorge necessaria una domanda: cosa possiamo fare per essere felici? Sicuramente riflettere: occorre che la società intera metta nuovamente al centro di tutto l’uomo, i suoi bisogni come unità bio–psico–sociale, e chiedersi quale immagine antropologica intenda promuovere, quale società di uomini ritenga sia importante costruire per un mondo dove tutti possano sentirsi a proprio agio ed essere riconosciuti nei bisogni più profondi. La tesi che si sostiene nel presente volume è che bisogna ripartire dall’individuo, per poter essere poi in grado di incidere sul sociale: occorre diventare “felicemente” consapevoli della propria unicità per poterla condividere con gli altri ed essere protagonisti del cambiamento. È necessario che ognuno prenda in mano la propria vita, ne abbia cura e la conduca verso la pienezza dell’essere che ognuno porta dentro di sé, per poterla donare agli altri in una dimensione di condivisione della condizione umana. La cura di sé come risposta alla chiamata della vita che, mettendoci al mondo, ci chiede di realizzare e portare a compimento, se non di oltrepassarlo, quello che Hillman definisce “il codice dell’anima”, ossia l’unicità di ognuno che chiede di essere vissuta. Ascoltare e seguire le vie che questa ragione di esistenza ci indica ci porterà alla felicità, ci metterà in grado di capire il senso degli “accidenti” che la vita ci pone davanti e di dare persino un significato alle esperienze di dolore e di sofferenza che fanno parte di ogni esperienza umana. Introduzione In questo progetto esistenziale ambizioso, la felicità — che secondo i grandi filosofi del passato rappresenta il fine di ogni azione dell’uomo, non capita per caso e né ci viene donata gratuitamente — assume sempre di più le sembianze di un cammino, un progressivo “venire alla luce”, un graduale e responsabile processo di trasfigurazione, un percorso verso una rinascita definitiva ed autentica. Si è scelto di iniziare la presente riflessione partendo dall’etica antica, poiché essa mantiene aperto quel sapere in cui ciascuno prende ad oggetto il proprio stesso vivere. Il tema dell’eudaimonia, infatti, racchiude il concetto della piena espansione e realizzazione del sé, con cui abbiamo identificato il concetto di felicità: l’eudaimonia rappresenta la migliore condizione possibile del vivere in funzione delle possibilità razionali dell’essere umano, declinata nella duplice possibilità del “saper fare” e del “poter fare.” Quella degli antichi è dunque “un’arte della felicità” e si connota soprattutto come ricerca di ciò che è Bene per l’uomo, dell’individuazione di ciò che rende una vita degna di essere vissuta all’insegna della virtù e della razionalità, attraverso una riflessione che si lega al tema del piacere e del desiderio, ritenuti naturali e piacevoli per l’uomo, ma solo se controllati dall’azione vigile della ragione. Se con Democrito il tema della felicità si pone come questione dell’anima, è con Socrate che inizia a connotarsi come ricerca possibile per l’uomo, affrancandola in parte dal volere capriccioso e instabile degli dei o del destino: egli ci offre la preziosa indicazione che per essere felici bisogna diventare “cercatori di se stessi” e fare in modo che la vita esteriore coincida con quella interiore. Ma è Aristotele che, riconoscendo alla felicità un tratto ontologico dell’uomo, sente l’urgenza di delineare a sé e agli altri le scelte importanti da fare per raggiungere questa dimensione, consapevole che alla base di essa deve esserci una scelta precisa dell’uomo di voler essere felice. La riflessione filosofica si articola tra ricerca della virtù — che porta a fare ogni cosa secondo la sua vera natura — e controllo dei piaceri, riconosciuti nella loro positività purché dominati dalla ragione. Si riconosce altresì che non esiste una felicità Introduzione individuale separata da quella sociale: per i saggi dell’antichità, infatti, il bene comune è considerato addirittura superiore alla felicità del singolo, così come il diritto alla felicità riconosciuto dalla Costituzione francese prima e americana poi, si iscrive nel progetto più ampio della felicità collettiva. L’essere felici si connota, quindi, come una precisa responsabilità non solo verso se stessi, ma soprattutto verso gli altri: siamo chiamati ad essere felici riconoscendo il valore della nostra unicità, consapevoli della nostra natura “mancante” che per realizzarsi pienamente ha bisogno della presenza degli altri. Questo itinerario che porta a “farsi soggettività felice” necessariamente si articola attraverso la questione del Senso della vita, una riflessione assolutamente fondamentale perché dà significato a tutte le nostre scelte e sostanzia i legami che tengono insieme la molteplicità delle nostre esperienze. Riflettere sul senso che vogliamo dare alla nostra vita comporta anche individuare e realizzare quello che Scheler chiama “ordo amoris”, cioè il sistema strutturato delle nostre preferenze e opinioni di valore, che definirà il nostro stile motivazionale, le nostre disposizioni d’animo fondamentali, in definitiva, il nostro orientamento ultimo rispetto al mondo. Tale sistema di valori costituisce il nostro punto di riferimento per tutte le scelte che continuamente la vita ci chiede di fare e che — come sostiene Aristotele — realizziamo per sentirci felici. Frankl () ci rassicura che fa parte della natura umana ricercare il senso della vita e il suo pensiero — che si concretizza nella terribile esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz — giunge alla convinzione che il significato è qualcosa da scoprire, non da creare: se egli giurò a sé stesso di “non correre mai al filo” in cerca della morte, era perché anche nell’oscurità dell’inferno nazista egli riuscì a dare un senso alla vita, così come vi riuscirono innumerevoli prigionieri che entravano nelle camere a gas « a fronte alta, con sulle labbra il Padre Nostro e la preghiera ebraica per la morte » . . V.E. F, Homo Patiens. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia , IV Introduzione La sua prospettiva esistenziale coglie l’uomo nella sua totalità, che non è solo psicofisica, ma anche spirituale, convinto che la sua vera realtà si declina in esistenza, cioè nell’essere nel mondo come trascendenza. Frankl si rende conto che spesso la complessità delle situazioni e la “misteriosità” dell’uomo non fanno scorgere con chiarezza le alternative tra cui operare una scelta, e che l’uomo si trova continuamente di fronte a situazioni sempre nuove davanti alle quali spesso non sa come decidere: ma lo psichiatra viennese ha un enorme fiducia nelle risorse umane morali dell’uomo e nella sua capacità di poter intuire, anticipare, per poter poi decidere, ciò che rappresenta il compito da attuare. È questa la libertà che l’uomo possiede: “volere ciò che si deve fare”, inteso come scegliere consapevolmente l’insieme degli impegni e dei compiti che — attraverso l’ascolto della propria coscienza, organo di significato, e la lettura della situazione in cui vive — l’individuo percepisce di dover compiere. Questo concetto di libertà si lega necessariamente al concetto di responsabilità: con un pizzico di umorismo Frankl ha sempre consigliato ai suoi uditori americani che « dopo aver costruito la Statua della Libertà sulla costa orientale, sarebbe ora di costruire una Statua della Responsabilità sulla costa occidentale » . Quindi, declinata secondo libertà e responsabilità, la vita ha sempre un senso, in qualsiasi circostanza e con qualsiasi condizionamento: quel che conta è l’atteggiamento che si assume nei confronti di un destino inevitabile e ineluttabile, anche quando è contrassegnato dal dolore. Quando l’uomo realizza il significato della sua esistenza, allora porta a compimento sé stesso, poiché nell’uomo s’incontra l’autotrascendenza dell’esistenza umana. Ogni persona è dunque in grado di sciogliere i nodi dell’emergenza sociale ed educativa, ci dice Frankl, attraverso un’assunzione di responsabilità individuale e sociale e un senso edizione, p. . . V.E. F, Senso e valori per l’esistenza. La risposta della Logoterapia, Città Nuova, Roma , p. . Introduzione di libertà intesa come legame e obbligo verso l’altro, verso la città e il mondo in cui si vive. Penso che questo sia quello di cui oggi ci sia più bisogno, in un momento storico in cui il termine rispetto ha perso il suo significato più intimo, ossia di « sentimento e atteggiamento che nasce dalla consapevolezza del valore di qualcosa o di qualcuno »: è necessario ri–attribuire il giusto valore alle persone e alle cose, inserendole in una nuova cornice di significato dove ogni elemento deve poter contribuire al benessere dell’uomo e della natura, altrimenti non ha ragione di esistere. Per fare ciò, l’educazione critica della mente è di fondamentale importanza come mezzo di acquisizione delle virtù e della capacità di discernimento del sostanziale dall’effimero. La scuola ad es, così come altre agenzie educative, può essere una valida occasione di rinascita individuale e collettiva nella misura in cui riesce ad essere un luogo comunitario di crescita: l’educazione deve e può essere la soluzione ai bisogni di oggi, se riusciamo a pensarla a partire dal desiderio stesso di una vita felice.