Verso un nuovo umanesimo Di Luigi Verzè Rettore Università Vita-Salute San Raffaele, Milano L’amico Presidente dr. Carlo Sangalli mi chiede di scrivere un articolo sull’importanza dell’università nel costruire figure professionali adatte ad inserirsi nel nostro contesto economico e sociale. Per tutt’altri scopi, in questi giorni mi è capitato in mano un documento datato 1958. In quelle due paginette di carta lise dal tempo tracciavo, ad uso dei miei superiori di Verona, ciò che sarebbe stato il San Raffaele: un ospedale modello dotato di tutti i confort possibili, ma soprattutto un ospedale di ricerca e un luogo dove alla cultura del “fare” o alla semplice pietas umana donata ai sofferenti, fosse sostituito l’amore per l’uomo che patisce, icona dei patimenti del Dio fatto uomo. Ricordo che già a quei tempi moltissimi – anche in ambienti ecclesiastici – guardavano a questo progetto come a una pericolosa follia, una cosa fuori dal mondo, fuori dagli schemi della logica e, dunque, della produttività. Sempre in quel documento rimarcavo che un sistema sociale che non avesse al centro della sua riflessione, del suo fare quest’ansia metafisica – “tu non sei ciò che appari” – era un mondo destinato all’aridità e alla sconfitta. S’imponeva perciò la formazione di una nuova classe dirigente che fondasse la sua professionalità più che su conoscenze tecnico meccanicistiche, sul pensare, sull’andare oltre le apparenze, le contingenze. Occorreva insomma una rifondazione delle coscienze a cominciare dalla professione medica, ma che toccasse ogni angolo del fare. In quel progetto parlavo di una nuova concezione del sapere e dell’insegnare, della necessità di una università nuova: una fucina di nuove personalità e, dunque, di nuove professionalità, di nuove motivazionalità. Nel 1968 quando l’assistenza pubblica era ancora da lazzaretto, il San Raffaele partì con un’assistenza medica pubblica e di eccellenza incardinata sul culto dell’uomo, persona e non numero, malato e non malattia, uomo non macchina da aggiustare clinicamente, ma soggetto da rilanciare con il meglio delle attrezzature tecnico-scientifiche e delle premure umanizzanti in modo che il malato sia indotto a concepirsi più importante, più prezioso di quello che il suo status (malato cioè limitato) gli suggerirebbe. Qualcuno la definì una rivoluzione culturale più che organizzativa e sociale. Forse. Se oggi fossi chiamato a riscrivere la Costituzione Italiana inizierei: “L’Italia è una Repubblica fondata sulle idee”. Infatti il lavoro, la produzione, l’eleganza, la libertà, la politica stessa sono importanti e durevoli in diretta proporzione ai valori culturali che esprimono. È tempo che l’economia e la politica (nel senso vero di • • • • • ), che le ragioni dell’organizzazione del nostro lavoro si occupino più di cultura che di freddi processi economici, perché lo sviluppo veramente umanizzante (vera chiave dello sviluppo economico) è figlio, non padre, né fratello della cultura. Ecco una trincea forte che il San Raffaele ha sempre difeso fin dal suo nascere. A costo di non essere creduto, di apparire uno gnomo, un sogno utopico cavalcato da una pseudo-fede. Sono convinto piuttosto che la non fede e gli isterismi fondamentalisti, frutto di un’etica materialista, ci hanno condotto a prassi tipo quella del “fiat justitia, pereat mundus” che ci ha fatto vivere pessimi anni, portando il nostro Paese sul baratro di una visione del mondo coartata o comunque monca della complessità e della bellezza del valore dell’uomo totale. È il ritorno all’uomo persona (dal greco: colui che risuona di altro da sé) che salva l’uomo da se stesso e dalle deviazioni che ne tradiscono l’identità e la soggettività. Politica, magistratura, sindacalismo, solidarismo, piccole e grandi istituzioni, siano esse laiche o confessionali, sono meccanismi utili, ma che possono diventare fuorvianti quando arrogantemente si sostituiscono al patrimonio e al segreto sacrario dell’individualità, al valore dell’io che in nessun caso è negoziabile. Ateneo Vita-Salute San Raffele: fucina dei Socrati del terzo millennio È su questa rivendicazione che nel 1996 nasce l’ateneo Vita -Salute San Raffaele, come esigenza di rileggere tutte le discipline – dalla medicina alla filosofia, dalla teologia alla politica e all’economia – alla luce del valore profondo dell’uomo. Ecco perché vogliamo forgiare medici e scienziati di frontiera, ma nel contempo vogliamo anche stimolare la fecondità che partorisca i “Socrati del terzo millennio”, senza i quali non solo le scienze naturali, ma anche l’economia, la finanza, l’informatica sono navicelle disorientate nel cosmo: professionalità senz’anima, carne greve del sistema, di qualunque estrazione esso sia. La recente nascita della facoltà di Filosofia dell’Università Vita -Salute San Raffaele è il naturale completamento della vocazione originaria della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor. Le sfide che si preparano, dall’affascinante avventura della ricerca scientifica alla fusione armonica tra genti, civiltà e culture ormai inevitabile anche se cruenta per la salvezza del nostro pianeta, richiedono anzitutto, come diceva Bergson, “un supplemento d’anima” che ci permetta di integrare in una sintesi efficace e autentica i fatti e i valori, l’essere e il dover essere, il fare e l’agire. Per questo, il tema portante della nuova Facoltà di Filosofia è riassunta nella nozione di pensiero concreto. La concretezza sta nel fatto che la metodologia di tale pensiero integra le conoscenze biologiche con la ricerca filosofico-metafisica e la ricerca teologica e sapienzale, superando ogni contrapposizione fra spirito e materia. Alla Facoltà di Filosofia è quindi demandato il compito di riesplorare i principi di base del sapere: la scienza e la sapienza, la fede e la ragione, l’origine e il destino, con l’obiettivo di fornire le ragioni e i modelli di un rinnovato umanesimo in ogni campo. Sono profondamente convinto che il mercato del lavoro ricerchi professionisti di tal fatta. Il nostro tempo ha bisogno di credere nuovamente che il destino dell’uomo è questa elevatezza, questa offerta di vita in comune con Dio, invece di una catastrofica deriva verso il nulla, la non fede, il non sapere, il non cercare. Da questo punto di vista ritengo fondamentale che sia insegnato il libero e ordinato esercizio della razionalità in ogni campo, senza steccati o preclusioni. Oggi lo scostamento fra filosofia e vita reale ha semidistrutto il laboratorio delle idee filosofiche originali e, insieme, la scala di Giacobbe lungo la quale quelle idee si inerpicavano fino a Dio. Si sono generate classi di “intellettuali” ca paci di capire, ma non disposti a comprendere. Occorre ricreare la figura dell’intellettuale “aperto”, dello specialista che sappia domandarsi “chi e perché è l’uomo” ed il perché delle cose. Le cronache di questi giorni ci rimandano figure di capitani di industria senza scrupoli, di finanzieri della new economy che si sono persi nei meandri dei loro business plan virtuali, di sindacalisti e manager per cui le parole sviluppo e bene comune sono fonemi a senso unico. Che mondo contiamo di costruire per le nuove generazioni? Quale futuro ci aspettiamo da professionisti formati alla scuola del nulla e del tecnicismo? Credo che chi voglia fare formazione debba avere a cuore la nascita di un nuovo umanesimo, un nuovo Rinascimento, un nuovo Illuminismo, questa volta costellato di cieli stellati sopra di noi che sappiano riempire di senso la nostra professione. Solo così avremo una vera nuova primavera economica, usciremo dalla recessione certamente figlia dei parametri macro economici, ma altrettanto minata da mancanza di salda creatività. Mettiamoci a scavare: troveremo ricchezze per tutti, costruiremo un mondo migliore per noi e per quelli che verranno dopo di noi. La Redazione ha invitato ad intervenire sul tema tutte le università milanesi.