I Gazzellini
- Chirurgia -
A. Fusco
INDICE
Addome acuto ed emorragie ................. 1
Ernie .......................................................... 5
Laparocele ................................................ 7
Esofago ..................................................... 8
Ernia iatale .............................................. 12
Stomaco ................................................... 13
Fegato ...................................................... 18
Vie biliari ................................................. 27
Pancreas ................................................... 32
Intestino tenue ........................................ 37
Appendice ............................................... 41
Colon e retto ............................................ 42
Ano ........................................................... 46
Urologia ................................................... 49
Endocrino ................................................ 51
Mammella ............................................... 59
Obesità. .................................................... 66
Patologia dei vasi ................................... 71
Trapianti .................................................. 78
Schema Terapie ...................................... 80
ADDOME ACUTO ED EMORRAGIE DIGESTIVE
Addome acuto
È un quadro caratterizzato dalla presenza di dolore addominale acuto. Non è sempre associato a
peritonite. I meccanismi all’origine del dolore addominale sono in generale stimoli chimici
(variazioni di ph, ischemia e necrosi) e stimoli meccanici (distensione di capsule di organi,
distensione della parete di organi cavi, spasmi della muscolatura liscia, trazione di legamenti e
mesi, compressione di tronchi nervosi). Possono concorre entrambi gli stimoli. Si distinguono
essenzialmente tre tipi di dolore addominale:
• Viscerale puro: dolore protopatico, scarsamente discriminato e localizzabile. Origina dai
tessuti profondi, ed è avvertito in zona mediana (epigastrica, mesogastrica o ipogastrica). È
spesso accompagnato da sintomi vegetativi. Es: spasmo della muscolatura liscia.
• Dolore parietale: tipico della peritonite, quando lo stimolo algogeno interessa le
terminazioni dolorifiche del peritoneo parietale. È spesso ben localizzato, epicritico e molto
intenso. Il paziente è in genere immobile con le cosce flesse sul tronco per diminuire la
tensione della parete addominale. C’è contrattura, iperalgesia, arresto peristalsi. Vi è segno
di Blumberg (dolore al rilascio della pressione della mano).
• Dolore riferito: viscero-parietale, l’area a cui è riferito può essere distante dalla sede dello
stimolo (come il dolore scapolare nella colica biliare).
Clinica e diagnosi: di fronte ad un quadro di addome acuto si procede per gradi:
1. Anamnesi: è fondamentale. Può essere complicata dal dolore. Prima bisogna domandare
riguardo le caratteristiche del dolore: modalità di presentazione (improvvisa o graduale),
localizzazione, tipo di dolore, evoluzione e sintomi associati. I sintomi associati possono
essere: febbre (aspecifica), vomito (vomito riflesso per connessione con nuclei vagali,
vomito da intossicazione, vomito ostruttivo di cui bisognerà valutare le caratteristiche
come il colore, presenza di sangue etc.), funzioni intestinali (valutare se vi è ileo
meccanico o paralitico che sia, presenza di diarrea, sangue o muco nelle feci), disturbi
urinari (presenza di dolore come nelle infezioni urinarie, ematuria, etc.), anamnesi
ginecologica (regolarità e durata del ciclo, perdite vaginali, per valutare gravidanze
ectopiche, etc.). Successivamente passare all’anamnesi patologica e farmacologica.
2. Esame obiettivo: è una valutazione fondamentale. Comprende:
a. Valutazione delle condizioni generali: prima di tutto si valuta l’atteggiamento del
corpo: un paziente con dolore colico sarà irrequieto, uno con dolore peritonitico
cercherà l’immobilità. Polso: il dolore si associa in genere a tachicardia sinusale. Si
ha marcato aumento della frequenza in corso di peritonite ed emorragia. Un infarto
intestinale può essere associato a polso molto irregolare (fibrillazione atriale).
Pressione arteriosa: ipotensione può essere segno di ipovolemia (emorragia).
Frequenza respiratoria: un aumento può associarsi alla diminuita escursione
diaframmatica che si verifica in corso di peritonite o distensione addominale.
Temperatura corporea: temperatura differenziale tra ascellare e rettale se > 1° può
indicare infiammazione addominale.
b. Esame dell’addome: ci si fa indicare la zona del dolore e si ispeziona a partire da
una zona lontana. L’esame obiettivo si compone sempre di 4 parti:
• Ispezione: si valuta l’eventuale presenza di ittero o cianosi. Anche valutare
conformazione dell’addome, simmetria, presenza di distensione addominale,
eventuali ernie, segni di traumi o cicatrici. Nella distensione addominale l’addome
sporge. Può essere dovuta a meteorismo, versamento (ascitico, ematico, flogotico),
masse addominali. Valutare l’escursione respiratoria.
• Auscultazione: valutare presenza di peristalsi e soffi vascolari (aneurisma). Nell’ileo
meccanico ci saranno borborigmi ad alta frequenza (passaggio di liquido), nell’ileo
paralitico vi sarà assenza di rumori peristaltici.
• Percussione: si fa in caso di distensione addominale per distinguere la presenza di
gas o di liquido. Eventuale scomparsa di ottusità epatica (pneumoperitoneo, etc.).
• Palpazione: bisogna distinguere un ipertono di parete (volontario, per respingere il
dolore della palpazione) e la contrattura muscolare (involontaria, segno di
peritonite). Il paziente va invitato a rilasciare la muscolatura, magari distrarlo.
L’ipertono è comunque attenuabile con pressione cauta e graduale, la contrattura
no. Definire le aree di massima dolorabilità. Vanno ricercate tumefazioni,
consistenza, pulsatilità, masse dure da ostruzione, eventuale globo vescicale.
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Segni obiettivi: Segno di Blumberg: peritonite, dolore al rilascio della mano
esploratrice. Segno di Murphy: colecistite, dolore e arresto inspiratorio con
pressione nel punto cistico (margine laterale del muscolo retto sotto l’arcata costale).
Segno di McBurney: appendicite, dolore a pressione nel punto appendicolare (a
metà tra la linea tra spina iliaca anteriore superiore e ombelico. Segno
dell’ileopsoas:flogosi peritoneale in fossa iliaca, dolore al flettere la coscia se
trattenuta. Segno dell’otturatoria: peritonite endopelvica, dolore all’imprimere un
movimento di rotazione interna alla coscia flessa. Sono comunque incostanti.
• Esplorazione rettale e vaginale: per valutare occlusioni (neoplasie o fecalomi), stato
della prostata, dolorabilità al retto (peritonite endopelvica). Nella donna usi
valutano tumefazioni, dolorabilità (come da infezioni, cisti o ascessi ovarici).
Diagnosi differenziale: l’anamnesi e l’esame obiettivo sono fondamentali. Distinguiamo:
• Addome acuto di tipo peritonitico: indica peritonite, appendicite acuta, perforazione di
ulcera peptica o di neoplasia o di diverticolo o della colecisti, pancreatite acuta, etc. Il
dolore è improvviso e violento, esacerbato da respirazione e movimenti. Vi è in genere
contrattura della parete addominale (fino all’addome ligneo), alvo chiuso, silenzio
peristaltico (ileo paralitico), segno di Blumberg, diaframma poco mobile, scomparsa
dell’ottusità epatica. Anche segni di shock (polso piccolo, ipotensione, ipotermia, facies
peritonitica, occhi infossati). All’RX: distensione meteorica delle anse intestinali.
Ricordiamo che la peritonite può essere primitiva (solo in pazienti cirrotici con ascite, con
infezione del liquido peritoneale) o secondaria. Le cause di questa sono l’estensione di un
processo infiammatorio al peritoneo o la perforazione di un organo cavo. In pratica
possiamo avere peritonite a seguito di diverticolite, neoplasie, ulcera peptica, colecistite,
appendicite, pancreatite, ileite, salpingite, infarto intestinale, strozzamento erniario, traumi.
• Addome acuto di tipo occlusivo: da occlusione intestinale, che può essere meccanica
(interessa il solo intestino, dovuta a fecalomi, tumori, corpi estranei, calcoli biliari) o
dinamic.a (con invaginazione intestinale, etc.). Sono costanti: vomito, alvo chiuso, Segno di
von Wahl (distensione dell’ansa a monte dell’ostruzione), borborigmi. Non c’è contrattura
addominale. Bisogna valutare l’eventuale presenza di ernie (incarcerate o strozzate).
• Addome acuto di tipo vascolare: può essere dovuto a infarto intestinale (trombosi o
embolia dell’arteria mesenterica superiore, con dolore violento a tutto l’addome), trombosi
portale acuta (con subittero, ematemesi, ileo, melena e ascite), rottura di aneurisma (dolore
improvviso e violento all’epigastrio con shock emorragico grave), aneurisma dissecate
dell’aorta (slaminamento dell’aorta, con dolore lacerante e forte ipertensione,
ineguaglianza dei polsi).
• Falso addome acuto: manca il dolore epicritico invsede di elezione, manca il segno di
Blumberg, manca la contrattura della parete, non vi è ileo paralitico. Le cause sono
svariate: infarto del miocardio, pericardite acuta, embolia polmonare, pneumotorace,
epatite acuta, sepsi, emofilia, acidosi diabetica, porfiria acuta, farmaci, etc.
La localizzazione è fondamentale per la DD, basta ricordare l’anatomia.
•
Esami di laboratorio: sono importanti, ma in ogni caso secondari ad anamnesi ed esame obiettivo:
• Esame emocromocitometrico: valuta infiammazione ed emorragia in atto e soprattutto la
loro evoluzione. Immediatamente dopo un’emorragia non è attendibile.
• Indici di funzione renale ed elettroliti: si può valutare la disidratazione (in genere
associata alla gravità dell’infiammazione). Correggere squilibri di Na, K e Ca.
• Altri esami ematochimici: amilasemia e lipasemia sono aumentate in caso di pancreatite.
Bilirubina, fosfatasi alcalina e gamma GT indicano un ostacolo biliare. Incremento di LDH
e transaminasi e CPK possono indicare infarto intestinale o epatite (più transaminasi),
infarto miocardico (CPK-MB) o colangite. PCR e VES per valutare l’infiammazione.
• Esame delle urine: ematuria (colica renale), leucocituria (infezione). Emogasanalisi,
gruppo sanguigno e prove di coagulazione (eventuale intervento), test gravidanza.
Esami strumentali: fondamentali per il chirurgo d’urgenza sono ecografia e Rx semplice:
1) Esami di I livello:
• Radiografia convenzionale: senza mezzo di contrasto. 3 radiogrammi: in AP, supino ed
eretto o anche laterale. Permette di valutare presenza di masse, ostruzione (dilatazione),
presenza di aria libera, liquido, livelli idroaerei, eventuali calcificazioni.
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Ecografia: utilissimo per la valutazione dello stato degli organi addominali, specie i
parenchimatosi. Fondamentale nella colelitiasi, appendicite, cisti ovariche, gravidanza
extrauterina, ileite terminale di Crohn. Può anticipare la TC nel valutare pancreatite.
2) Esami di II livello:
• TC: è l’esame con maggiore accuratezza diagnostica, specie nel valutare il retro peritoneo
(pancreatite, aneurismi, etc.). Però costa molto ed espone a radiazioni.
3) Esami di III livello:
• Endoscopia: fondamentale nelle emorragie del tratto digerente. Non per addome acuto,
tranne in sospetto di volvolo del colon, che può essere derotato in endoscopia.
• Videolaparoscopia: si indica se vi è sospetto diagnostico di patologia trattabile con tecnica
video laparoscopica (appendicite, colecistite, perforazione intestinale) o per mancato
raggiungimento della diagnosi attraverso le altre tecniche.
• Paracentesi: si inserisce un catetere per prelevare del liquido in cavità peritoneale. Si fa in
caso di pazienti gravi o fallimento di altre tecniche diagnostiche.
•
Terapia: la scelta terapeutica in corso di addome acuto è tra atteggiamento conservativo e terapia
chirurgica. In linea generale tuttavia la maggioranza dei casi richiede approccio chirurgico. Si
può richiedere laparotomia d’urgenza come in caso di peritonite diffusa o emoperitoneo o
richiedere prima osservazione stretta del paziente se stazionario.
Terapia preoperatoria: associata a costante monitoraggio dei parametri vitali:
• Terapia del dolore: il chirurgo può somministrare farmaci analgesici dopo l’esame
obiettivo anche se non ha posto ancora diagnosi (FANS o antispastici).
• Correzione della volemia e degli squilibri elettrolitici: si monitorano frequenza cardiaca,
pressione e diuresi ed esami di laboratorio. In genere sarà necessario correggere la
disidratazione. Nei pazienti gravi è importante disporre un accesso venoso centrale.
• Profilassi: spesso è indicati antibioticoprofillasi ad ampio spettro e talvolta anche
profilassi dell’ulcera da stress con farmaci anti-H2 per via parenterale e profilassi
antitormbotica nei pazienti di età superiore a 40 anni con EBPM.
Emorragie digestive:
Le emorragie digestive possono essere acute e croniche. Quelle acute sono spesso gravi e
potenzialmente letali, si manifestano spesso con shock ipovolemico e oligo-anuria. Quelle
croniche, che possono manifestarsi con sangue occulto nelle feci (SOF) ed anemia, possono essere
sintomo di gravi patologie. Distinguiamo: ematemesi (emissione con il vomito di sangue rosso o
color posa di caffè per trasformazione nello stomaco dell’emoglobina in ematina), melena (feci
picee, bastano 50-100 cc di sangue), enterorragia (emissione di sangue rosso dal retto).
Valutazione della perdita di sangue e iniziale sospetto diagnostico: fondamentale, anche se sia
l’ematemesi che la melena possono verificarsi a vari livello del tubo digerente. In genere:
• Ematemesi senza melena: indica emorragia che origina prossimalmente al legamento di
Treitz; è un sintomo grave in genere associato a perdita ematica cospicua e acuta che
spesso richiede intervento chirurgico d’urgenza.
o Ematemesi con sangue rosso vivo: l’emorragia è di tale portata da causare vomito
prima della trasformazione in ematina da parte dello stomaco.
o Ematemesi con vomito caffeano: l’emorragia può anche essere abbondante, ma il
sanguinamento è lento, l’emoglobina è trasformata in ematina. Può esserci melena.
• Vomito di sangue deglutito: simile a ematemesi, ma dovuta a epistasi massiva o emottisi.
• Melena: può indicare una perdita in qualunque punto del tubo digerente però con tempo
adeguato da poter essere digerito e assumere il colore piceo. Nel 50% dei casi di emorragie
gastroduodenali ed esofagee vi è solo melena.
• Enterorragia: di solito è segno di un’emorragia distale rispetto al legamento di Treitz, in
genere oltre l’ileo terminale.
Approccio iniziale al paziente con emorragia digestiva: la prima cosa da fare è valutare le
condizioni generali attraverso gli esami ematologici e quindi valutare i segni vitali, deficit di
coagulazione, funzione epatica e renale. Si valuta l’ematocrito (anche se immediatamente dopo
può non essere attendibile) per valutare se servono trasfusioni (ad ogni unità % di ematocrito
corrisponde perdita di circa 100 ml di sangue).
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Terapia: la terapia rianimatoria è fondamentale in caso di shock ipovolemico tramite infusione di
plasma expanders e sangue intero. Migliorare la diuresi e la respirazione. Valutare l’anamnesi
patologica e farmacologica. Stabilizzate le condizioni si può passare ad esami strumentali.
Approccio diagnostico-terapeutico:
Emorragie del primo tratto del tubo digerente
Eziologia: le cause più frequenti sono l’ulcera duodenale, ulcera gastrica, le varici esofagee, la
sindrome di Mallory-Weiss e cause oncologiche, diverticoli, ernia iatale. Anche vasculiti ed
emopatie. Se si sospetta un origine gastro-duodenale si deve posizionare un sondino nasogastrico, lasciato in situ per almeno 12 ore, al fine di segnalare la ripresa del sanguinamento. Se il
sondino indica emorragia in atto si procede a: lavaggi dello stomaco con soluzione fisiologica
fredda, instillazione di pro coagulanti ad azione topica (fino a che l’aspirato non è privo di
sangue). Se il sondino rileva solo modesta quantità di liquido caffeano, l’emorragia è cessata.
Quando l’emorragia cessa si esegue rapidamente endoscopia. Il sospetto di emorragia
gastroduodenale deve venire anche in caso di melena senza ematemesi. L’esame endoscopico
consente di valutare il tipo di lesione e la sede e talvolta permette un trattamento emostatico di
coagulazione (elettrocoagulazione, sclerosi di varici esofagee, etc.).
Se l’endoscopia non identifica la lesione (sanguinamenti massivi) o le condizioni del paziente sono
critiche, è indicato l’intervento chirurgico d’urgenza. In caso di varici iniziare la terapia (vedi poi).
Emorragie del tratto intermedio-distale
Sono emorragie del tenue e del colon-retto e possono avere eziologia assai varia. L’emorragia può
rendersi evidente con melena (in genere a livello del tenue prossimale) o enterorragia (in genere a
livello del colon distale), anemia ipocromica e SOF (sanguinamento cronico e modesto).
Eziologia: le cause più comuni sono malattia diverticolare, rettocolite ulcerosa, infarto
mesenterico, Crohnm enteriti gravi, diverticoli, emorroidi, ragade anale, etc. In caso di melena si
pone comunque il sondino naso-gastrico. Altrimenti la ricerca della sede va eseguita con la
pancolonscopia che permette biopsia e elettro/laser-coagulazione e non richiede preparazione del
paziente (solo assicurarsi che sia stabile). In caso di sanguinamenti non controllabili con terapia
medica si richiede l’intervento chirurgico.
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ERNIE
Si definisce ernia la fuoriuscita di un viscere (o parte di esso), rivestito dai suoi tegumenti, dalla
cavità in cui è normalmente contenuto attraverso un’ area di debolezza della parete o attraverso un
orifizio o un canale naturale. È una patologia molto frequente (prevalenza 5%) che può colpire
qualsiasi età (picco neonati e anziani).
Eziopatogenesi: possono distinguersi in:
• Congenite: da arresto dello sviluppo di una porzione della parete addominale, ma possono
divenire manifesta ad ogni età. ;
• Acquisite: (da debolezza o da sforzo) si sviluppano da aree di debolezza circoscritte, in
seguito a sforzi che aumentano la pressione endoaddominale.
Le regioni della parete addominale più frequentemente soggette ad ernie (più deboli, più soggette
a difetti di sviluppo, più soggette ad alte pressioni o presentano un canale naturale) sono:
inguinale (75% delle ernie), crurale, ombelicale ed epigastrica. Distinguiamo due tipi di cause:
• Cause predisponenti: malformazioni congenite della parete (pervietà del dotto peritoneovaginale ad esempio), gravidanza (aumento pressione endoaddominale e indebolimento
parete), sesso maschile per le inguinali(in taluni dopo la discesa del testicolo il dotto
peritoneo-vaginale rimane pervio), femminile per le crurali (conformazione allargata del
bacino), calo ponderale molto evidente, BPCO, ascite, stipsi cronica,
• Cause scatenanti: sforzi, insufficienza respiratoria cronica, ascite voluminosa, traumi.
Anatomia patologica: l’ernia è formata da:
• Porta: orifizio o tragitto attraverso cui esce il viscere erniato. È un anello muscoloaponeurotico i cui margini sono detti pilastri della porta erniaria.
• Sacco: rivestimento del viscere erniato. È un’estroflessione del peritoneo parietale a cui
possono associarsi tessuto muscolare, connettivale, adiposo, etc. Presenta 3 parti: Colletto:
porzione in rapporto con la porta, corpo e fondo. Il sacco di peritoneo è completo se
l’organo è completamente rivestito altrimenti si avrà ernia da scivolamento (ricopre solo in
parte il viscere, come per il sigma) o può mancare anche del tutto (come per la vescica).
• Contenuto: visceri erniati. Tranne quelli saldamente peritoneali (pancreas) quasi tutti i
visceri addominali possono erniare. Frequenti le anse del piccolo intestino e grando omento
L’ernia è riducibile se è possibile riportare nella cavità addominale il contenuto. Può essere
irriducibile per: enorme volume del contenuto erniario (ernie vecchie), incarceramento (si sono
formate aderenze tra i visceri erniati, il sacco, etc.), strozzamento. Il medico può valutare la
riducibilità con la manovra di taxis. Se i visceri fuoriescono di nuovo in ortostatismo l’ernia è
definita incontenibile. Le ernie possono essere di dimensioni molto variabili.
Complicanze: vi sono 5 tipi principali di complicanze:
1. Incarceramento: irriducibilità a seguito di aderenza tra contenuto, sacco e porta erniaria.
2. Infiammazione: può essere acuta o cronica, da trauma o infezione batterica.
3. Intasamento: accumulo di contenuto intestinale nelle anse dell’intestino erniato, che non
può progredire nel lume. Si ha occlusione intestinale meccanica che richiede chirurgia
d’urgenza se non bastano le manovre di taxis. Più frequente se ernia il colon.
4. Strozzamento: grave, dovuta a sforzo o altra causa. Si verifica più facilmente nelle ernie
crurali o ombelicali (cercine muscolo aponeurotico duro). Si ha costrizione del peduncolo
erniario con ostacolo circolatorio e ischemia del viscere erniato. In mancanza di intervento
di celotomia (sezione cingolo strozzante) compare ileo meccanico poi ileo paralitico. Si
può avere anche gangrena o perforazione del viscere (conseguente peritonite).
5. Rottura: è rara, in genere da trauma. Dolore acuto e intenso.
Ernie inguinali
Anatomia: La regione inguinale è delimitata dal legamento inguinale, margine laterale del retto
dell’addome e una linea ideale tra spina iliaca anteriore superiore e muscolo retto. La linea di Malgaigne
tra la spina iliaca anteriore superiore e il tubercolo pubico rappresenta la proiezione del legamento inguinale.
La regione comprende il canale inguinale. Questo ha: Parete inferiore il legamento inguinale; Parete
superiore: margini inferiore dei muscoli obliquo interno e trasverso; Parete anteriore: aponeurosi del
muscolo grande obliquo; Parete posteriore: fascia trasversalis e peritoneo parietale. Inizia posteriormente
con l’anello inguinale interno (nell’aponeurosi dell’obliquo interno) e termina con l’anello inguinale
esterno (nell’aponeurosi del muscolo obliquo esterno). Nel canale inguinale decorre il funicolo spermatico
avvolto dai muscoli cremasteri e dalla fascia spermatica. Il funicolo è formato da dotto deferente,
a.deferenziale, a.spermatica interna ed esterna, plesso pampiniforme, vasi linfatici, nervo genitofemorale,
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nervo ileoinguinale. Il testicolo discende attraverso il canale accompagnato da un’estroflessione del peritoeno
(dotto peritoneo-vaginale) che se non si chiude può dare alcune forme di ernie congenite.
Vista dall’interno dell’addome la parete inguinale presenta alcune pliche: plica mediana (residuo
dell’uraco), lateralmente la plica residuo dell’arteria ombelicale e ancor più laterale la plica dei vasi
epigastrici. Tra queste si formano 3 fossette: Fossetta inguinale esterna (corrisponde all’anello
inguinale interno, lateralmente alla plica dei vasi epigastrici), fossetta inguinale media (tra vasi
epigastrici e residuo dell’arteria ombelicale), fossetta inguinale interna (tra residuo uraco e
residuo arteria ombeliclale, è rinforzata dal tendine congiunto e dal muscolo retto).
Le ernie inguinali sono le più frequenti. Attraversano la parete addominale percorrendo in parte o
totalmente il canale inguinale: contengono epiploon, intestino tenue e talvolta colon. Distinguiamo:
• Ernia inguinale obliqua esterna: il sacco entra attraverso l’anello inguinale interno. Il
viscere erniato può protrudere nel canale inguinali a vari livelli. Si distinguono:
o Punta d’ernia: il sacco occupa appena l’orifizio inguinale interno.
o Ernia interstiziale: il sacco impegna il canale inguinale.
o Bubbonocele: il sacco attraversa tutto il canale sporgendo dall’orifizio esterno.
o Oschiocele o ernia inguino-scrotale: il sacco scende fin dentro lo scroto.
• Ernia inguinale diretta: la porta erniaria è la fossetta inguinale media. Aumenta lenta di
volume e in genere non raggiunge grandi dimensioni, contenuta da fascia trasversali e
aponeurosi dell’obliquo esterno.
• Ernia inguinale obliqua interna: rara, impegna la fossetta inguinale interna.
• Ernia inguinale congenita: in genere per mancata obliterazione del dotto peritoneovaginale. Può manifestarsi anche mesi o anni dopo la nascita. Nelle donne è rara.
Clinica: si presenta come una tumefazione che protrude dalla parete addominale. In genere è
asintomatica, non duole alla palpazione. Talvolta fuoriesce solo in seguito a sforzi. Altre volte dà
senso di peso o dolore allo sforzo e irradiato al testicolo.
Diagnosi: anamnesi ed esame obiettivo in clino e ortostatismo. Si ispeziona, se non è visibile si
chiede al paziente di tossire. Alla trans illuminazione l’ernia è opaca nell’adulto (nel neonato non è
detto), utile per distinguerla da idrocele. Si fa palpazione, nel caso non sia esterna con
introduzione del dito attraverso l’orifizio inguinale esterno sospingendo la cute dello scroto.
Diagnosi differenziale: per distinguere l’obliqua esterna da interna e diretta si fa tossire il
paziente durante l’esplorazione del canale inguinale e si rileva da dove si percepisce l’impulso del
sacco erniario. Per distinguere l’ernia da tumefazioni di altro tipo si può fare ecografia ad esempio
Prognosi: se l’ernia è lasciata a sé aumenta di volume e può dar complicanze. Buona con chirurgia.
Terapia: può essere conservativa palliativa o chirurgica radicale. Nei pazienti in condizioni
generali compromesse si può applicare cinto erniario (che però comporta un trauma cronico che
può dare complicanze). La terapia radicale chirurgica consiste in più fasi: 1) apertura del canale
inguinale; 2) isolamento del funicolo; 3) isolamento del sacco erniario; 4) apertura del sacco e
riduzione nel cavo addominale poi exeresi del sacco (nell’ernia diretta il sacco viene affondato, né
aperto né rescisso), 5) ricostruzione della parete posteriore del canale inguinale e anello
inguinale interno. Esistono molte tecniche per la ricostruzione della parete posteriore. Tra queste:
tecnica di Bassini (sutura di obliquo interno, trasverso e fascia trasversali al legamento inguinale)
e altre. L’Ernialloplastica consiste nella riparazione mediante l’uso di una protesi parietale in
material allo plastico (rete in polipropilene o altro). Rispetto ad intervetni come quello di Bassini
questo è “senza tensione” in quanto non vi è la sutura al legamento inguinale che provoca
tensione, difficoltà di deambulazione, dolore maggiore. Nelle maglie della rete si sviluppa
rapidamente tessuto connettivale che la rende inamovibile e oblitera la porta erniaria. La rete è di
10cm x 5cm circa, ovalare, con un foro per il passaggio del funicolo.
Ernie crurali
Anatomia: la lacuna dei vasi femorali è delimitata superiormente dal legamento inguinale; inferiormente
dalla concavità del Pube. Divisa dalla benderella ileopettinea in lacuna muscolorum e lacuna vasorum. La
porta erniaria è quella del canale crurale, delimitato anterioramente dal legamento inguinale; inferiormente
dal legamento di Cooper; medialmente dal legamento di Gimbernant; lateralmente dalla vena femorale.
L’ernia crurale fuoriesce dall’anello crurale (lacuna vasorum o anello femorale) nel triangolo di
Scarpa. Si tratta di ernie acquisite, da debolezza, più frequenti nella donna e in età adulta.
Clinica: causa dolori in stazione eretta o in seguito a sforzi. All’esame obiettivo vi è una
tumefazione rotondeggiante, più evidente con aumento della pressione endoaddominale. A volte
solo una porzione dell’ansa intestinale si fa strada nel sacco, dando vita ad un’ernia laterale che
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può essere incarcerata o strozzata (ernia di Richter o di Littreé). Vi sono poi ernie femoro-vascolari
(solo dalla lacuna vascolare) e ernie della lacuna muscolare (solo dalla lacuna muscolare).
Complicanze: lo strozzamento (incarceramento, intasamento, etc) è più comune che nell’inguinale.
Diagnosi: si basa su clinica ed ecografia, ma può essere difficile distinguerla da linfadenopatia
(vicino vi è il linfonodo di Cloquet).
Terapia: chirurgica con due vie d’accesso: via crurale (incisione a livello della massa erniata, si
isola il sacco, si apre e si riduce il contenuto in addome, poi si lega ed escide il sacco, si applicano
1-3 punti per la chiusura della porta, avvicinando il legamento di Cooper); via inguinale (si apre il
canale inguinale, si incide la fascia trasversalis e si incontra il legamento di Cooper dall’interno)
che consente di trattare un’ernia inguinale concomitante.
Ernialloplastica: materiali protesici, come per l’ernia inguinale. Una rete a ombrello o arrotolata a
tappo (plug) introdotta nel canale femorale e ancorata al legamento di Cooper. Plastica erniaria:
approccio video laparoscopico per via totalmente extraperitoneale (TEP) o trans addominale
preperitoneale (TAPP).
Ernie ombelicali
Si conoscono 4 varietà, diverse per epoca di insorgenza, morfologia e clinica:
1. Embrionale: aplasia della parete addominale. Onfalocele. È presente alla nascita e
attraverso la breccia nella parete addominale fuoriescono i visceri rivestiti da amnios. È
molto grave, soprattutto se l’aplasia è così estesa da non poter ridurre i visceri.
2. Fetale: presente alla nascita. Difetto imbutiforme al centro dell’addome per chiusura
incompleta della parete. I visceri sono rivestiti solo da peritoneo e non da cute. Si fa
chirurgia in due tempi: si ricoprono i visceri con cute e si fa successivamente ricostruzione
plastica della parete addominale.
3. Neonatale: è ricoperta da cute. Si manifesta nei primi giorni o settimane dalla caduta del
moncone ombelicale. In genere piccola. Aumenta di volume se il bimbo piange o tossisce o
defeca. Asintomatica, raro lo strozzamento.
4. Ombelicale dell’adulto: nella porzione superiore dell’anello ombelicale. In genere piccola e
asintomatica, ma tende a crescere. La cute nelle voluminose è sottile e lucente, può ulcerarsi
e infettarsi. Da distinguere da neoplasie (lipomi) o metastasi. Ha tendenza a incarcerarsi e
strozzarsi anche se piccola. Terapia: chirurgia, d’urgenza se strozzata.
Altre ernie: la terapia è chirurgica: isolamento, riduzione, exeresi del sacco, sutura della porta:
1. Ernie epigastriche: o della linea alba, tra apofisi ensiforme ed ombelico. Il sacco contiene
omento e talora anse di ileo. Va facilmente incontro a strozzamento e incarceramento.
2. Ernie di Spigelio: o della linea semilunare, rara e acquisita. Tra vasi epigastrici inferiori e
linea semilunare di Spigelio. Protrude a livello del margine laterale del retto, angolo
esterno dell’arcata di Douglas. Difficile da palpare perché resta sottostante il muscolo.
3. Ernie lombari: rare, a livello del triangolo di Petit e quadrilatero di Grynfelt.
4. Ernia otturatoria: ernia rara, più tipica in donne anziane. Si fa strada un viscere pelvico
attraverso il canale otturatorio. In genere è piccola. Vi è quadro di occlusione intestinale,
dolore alla faccia mediale della coscia, che viene flessa, non sempre è facile vedere la
tumefazione. In pratica si diagnostica quando va incontro a strozzamento.
LAPAROCELE
È un ernia post-operatoria che si forma attraverso una breccia muscolo-aponeurotica della parete
in corrispondenza di una precedente incisione chirurgica. L’incidenza è di 1-10% di tutte le
laparotomie. Nel 50% dei casi si ha entro sei mesi dall’intervento. Fattori predisponenti sono
BPCO, malattie dismetaboliche, difetti chirurgici di sutura, infezione della ferita.
Può avere sede differente: addominale mediana o alterale, sopra o sotto ombelicale, lombare,
perineale, peristomale.
Clinica: è dominata dall’alterazioni della dinamica respiratoria fino all’insufficienza respiratoria,
distensione dei visceri (soprattutto colon), alterazioni peristalsi, ipotrofia delle parete addominale,
frequente incarceramento e strozzamento.
Diagnosi: è clinica, soprattutto è fondamentale l’anamnesi dell’intervento chirurgico con la
tumefazione a livello della cicatrice laparotomica.
Terapia: è chirurgica con plastica diretta o plastica con protesi.
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ESOFAGO
L’esofago è un organo cilindrico mediano che consente il passaggio del bolo alimentare allo
stomaco. La parte cervicale è vascolarizzata dai rami esofagei dell’arteria tiroidea inferiore; la parte
toracica dai rami bronchiali dell’aorta toracica; la parte diaframmatica e addominale da rami
esofagei dell’arteria gastrica sinistra. Per quanto riguarda il sistema venoso, il plesso esofageo con
le vene esofagee confluiscono nel sistema azygos-emiazygos e quindi nella vena cava superiore;
tuttavia la parte addominale confluisce nella vena gastrica sinistra e quindi nella vena porta (cava
inferiore). L’esofago è cioè tributario di entrambe le vene cave che di fatto mette in comunicazione.
Diverticoli esofagei
I diverticoli esofagei possono essere congeniti (molto rari) o acquisiti.
Quelli acquisiti possono essere da pulsione (o diverticoli veri), per graduale estroflessione di
mucosa e sottomucosa attraverso un’area di debolezza; o da trazione (o diverticoli falsi) per un
processo di retrazione cicatriziale secondario a processi infiammatori contigui come una linfoadenopatia infiammatoria in regione tracheo-brachiale. In genere quelli da pulsione hanno collo
stretto, quelli da trazione hanno collo largo (DD radiologica). Esiste anche un quadro di
peseudodiverticolosi (diverticoli che sono ghiandole racemose dilatate, tipico di etilismo cronico,
immunodeficienze e tubercolosi,m causa disfagia dolorosa a causa di sovrainfezione micotica).
Le complicanze possono essere legate all’ingrandimento del diverticolo e a fenomeni di
compressione che danno disfonia (compressione nervi ricorrenti), disfagia, miosi ed enoftalmo
(compressione catena del simpatico). Ma anche perforazioni, sanguinamenti, etc.
A seconda della sede distinguiamo:
1. Diverticolo faringoesofageo (diverticolo di Zenker): è il diverticolo di più frequente
riscontro (65%). È un diverticolo da pulsione secondario a disordini della motilità
esofagea o della cordinazione faringo-esofagea (mancato rilasciamento del muscolo
cricofaringeo, contrazione dell’UES, ipertono dello sfintere dovuto a reflusso, discinesia
causata da acalasia o spasmo diffuso). Si presenta come una estroflessione mediana e
posteriore a livello della giunzione faringo-esofagea (triangolo di Killian). In genere
protrude a sinistra, ha una parete sottile di mucosa e sottomucosa. Il cibo può infilar visi
causando in genere disfagia, rigurgito, tosse all’alimentarsi, alitosi. Vi è calo ponderale.
Complicanze: perforazioni, sanguinamento, polmoniti ab ingestis, carcinoma (0,3%).
Diagnosi: viene posta con l’esame radiografico con bario, mentre è controindicata la
esofagoscopia per il rischio elevato di perforazione. Raramente può essere palpabile.
Terapia: chirurgica, con approccio latero-cervicale incidendo lo sternocleidomastoideo.
L’intervento varia a seconda delle dimensioni del diverticolo e può andare da semplice
miotomia cricofaringea senza resezione del diverticolo (in caso di diverticoli piccoli) a
diverticolectomia (più grandi), diverti colotomia sotto guida endoscopica (in pazienit ad
alto rischio chirurgico, si seziona la divisione tra esofago e diverticolo).
2. Diverticoli medio toracici o iuxtabronchiali: sono il 15% del totale, spesso asintomatici.
Possono essere congeniti o acquisiti da pulsione (secondari a disordini della motilità
esofagea) o da trazione (la maggioranza, dovuti ad aderenze fibrose per fenomeni
infiamma rotori che riguardano linfonodi, specie per causa tubercolare). Si esegue
manometria esofagee (per valutare il disordine motorio responsabile). Possono dare
infiammazione o perforazione come complicanze.
Terapia: non serve se sono asintomatici. Nei sintomatici si procedeva con toracotomia
destra e quindi resezione del diverticolo. Oggi l’approccio toracoscopico ha sostituito
l’obsoleto intervento toracotomico.
3. Diverticoli epifrenici: sono detti epifrenici quei diverticoli situati negli ultimi 10 cm
dell’esofago toracico. Sono il 20% del totale, in genere acquisiti da pulsione, secondari a
ernia iatale o disordini della motilità esofagea (spasmo esofageo diffuso o acalasia). Sono in
genere asintomatici o possono dare sintomatologia sfumata come pirosi, singhiozzo,
digestione difficile, fino a sintomi più tipici come alitosi, pirosi, disfagia e dolore toracico.
Possibile che arrivino fino all’ulcerazione con sanguinamento cronico. Alla radiografia
appaiono come i medio-toracici da pulsione: piccola estroflessione sacciforme con colletto
piccolo. Necessaria la manometria anche in questo caso.
Terpia: si tratta il disordine motorio primario e talvolta si ricorre alla resezione del
diverticolo stesso, specie se vi è infiammazione o compressione dell’esofago distale.
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Esofagiti
Con questo termine indichiamo un complesso di lesioni esofagee (acute o croniche) irritative non
neoplastiche che possono essere prodotte da vari agenti (infettivi, chimici, fisici). Gli agenti chimici
più comuni sono i caustici alcalini e acidi. Le lesioni nelle esofagiti da agenti chimici svariano
dall’iperemia mucosa, all’ulcerazione trans mucosa, alla perforazione.
Malattia da reflusso gastroesofageo, MRGE
È una comune causa di esofagite. Con il termine MRGE si intende un complesso di sintomi causati
da reflusso acido dallo stomaco attraverso lo sfintere esofageo inferiore (LES) che irrita la mucosa
esofagea e può portare o meno a lesioni. Ha una prevalenza alta, maggiore in obesi e fumatori.
Eziopatogenesi: il meccanismo è quello del reflusso di materiale acido dallo stomaco. Il reflusso è
determinato da rilassamento transitorio del LES (dovuto a incrementi del gradiente pressorio
gastroesofageo, rilasciamenti inappropriati del LES, etc. non si sa bene). Fattori certamente
influenti sono: gravidanza e obesità (aumento della pressione addominale), volume del contenuto
gastrico, lesività del refluito (lede solo se il ph è inferiore a 4), clearance esofagea, resistenza
tissutale (secrezione di muco e bicarbonato, efficacia del microcircolo parietale), presenza di ernia
iatale (può fungere da tasca a contenuto acido), altro (farmaci, condizioni alteranti la motilità, etc.).
Clinica: È causa di forte impatto sulla qualità della vita a causa della pirosi o del rigurgito acido.
La sintomatologia classica infatti è data da questi due segni a qui può accompagnarsi disfagia,
scialorrea e dolore restrosternale e talvolta anche disturbi extraesofagei, in particolare aritmie
sinusali e extrasistoli non responders alla terapia con antiaritmici, ma anche alcune forme di asma
non allergica , dolore toracico simil anginoso polmonite ab ingestis. Anche odinofagia e
sanguinamenti occulti. Non esiste correlazione tra intensità dei sintomi e gravità delle lesioni. Il
decorso è varia, da regressione anche senza terapia a complicanze gravi.
Complicanze: Stenosi: 10% di esofagiti severe, è una reazione cicatriziale al reflusso. Disfagia
ingravescente. È sempre più rara. Emorragia e perforazione: complicanza rara e da esofagite
severa (o per vomito, ossia sindrome di Mallory-Weiss). La complicanza più importante è:
Esofago di Barrett: sostituzione del normale epitelio pluristratificato con epitelio metaplastico
simile a quello intestinale. Questa metaplasia intestinale di verifica nel 5-10% dei casi. È
asintomatica e visibile all’esame endoscopico come un’area di colorito più scuro a livello della
giunzione esofago-gastrica. Può essere anche short o ultra short-Barrett (area inferiore a 3 cm). La
diagnosi è istologica. Questa metaplasia intestinale è una condizione precancerosa che predispone
all’adenocarcinoma esofageo. La presenza di Barrett infatti comporta un aumento di rischio fino a
1% annuo di sviluppare tale tumore. Per questo è indicato il follow up endoscopico con biopsie nei
4 quadranti dell’esofago alla ricerca di displasia (lesione precancerosa).
Diagnosi strumentale: l’anamnesi e la clinica possono indurre il sospetto di MRGE, che può essere
confermato attraverso test di risposta farmacologica con inibitori di pompa protonica (IPP):
omeprazolo giornaliero a 20 mg per almeno 2-4 settimane. La remissione dei sintomi in risposta
alla terapia è un test semplice, con discreta sensibilità. Le tecniche utilizzate per la diagnosi sono:
• Endoscopia digestiva: l’esofagogastroduodenoscopia (EGDS), permette di vedere
eropsione e ulcere della mucosa, inoltre permette identificazione e biopsia di un’eventuale
Barrett. Il 50% dei pazienti però non ha erosioni visibile (NERD, non erosive reflux
disease).
• Ph-metria esofagea delle 24 ore: è l’esame di riferimento, con buona specificità e sensibilità
(comunque minore in caso di NERD). Si elaborano i dati di pH ottenuti, il numero e la
durata degli episodi di reflusso, l’associazione con i sintomi. Un po’ invasiva.
• Impedenziometria: si associa alla ph-metria e, tramite due elettrodi, permette di rilevare
episodi di reflusso di qualsiasi natura (anche neutro o basico).
• Radiografia dell’esofago: non è indicato, al limite complementare ad altri.
• Scintigrafia: somministrazione di un radioisotopo (tecnezio) e permette una dimostrazione
indiretta del reflusso. Poco invasiva.
• Manometria esofagea: si posiziona in esofago una sonda che rileva variazioni di pressione.
Non serve nella diagnosi di MRGE, ma è utile per valutare candidati alla chirurgia.
Diagnosi differenziale: la clinica è in genere evidente. L’endoscopia dirime ulteriori dubbi.
Bisogna comunque escludere le cause cardiache di dolore toracico ed eventuali disturbi motori
esofagei (a questo può essere utile la manometria).
Terapia medica: i suoi obiettivi sono: Riduzione dei fenomeni di reflusso: si cerca di diminuire il
volume del contenuto gastrico (il paziente è istruito in tal senso) ed eliminare cioccolato, caffè,
fumo di sigaretta, alcool. Anche uso di pro cinetici. Neutralizzazione del refluito: si basa su IPP
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ad alte dosi o inibitori dei recettori istaminici H2 e antiacidi. Miglioramento della capacità di
detersione esofagea: elevazione testata del letto, riduzione esposizione all’acido, pro cinetici.
Protezione della mucosa esofagea: sucralfato o alginato ad esempio che rivestono l’epitelio.
Indicazione alla terapia medica: uso di PPI a dosaggio pieno per 8 settimane (risolvono il 90%
delle esofagiti di I grado) nei pazienti con riscontro endoscopico di esofagite.
Nei NERD: terapia antisecretiva, i PPI non sono superiori in questo caso agli H2RA.
Spesso vi sono comunque recidive e riprese dei sintomi. Si applica perciò una terapia di
mantenimento: Terapia continuativa: PPI o H2RA alla dose minima efficace in caso di pazienti con
esofagite severa o spesso recidivante. Terapia on demand: solo quando si ripresenta esofagite.
Terapia chirurgica: sono state proposte varie tecniche endoscopiche efficaci. Queste si basano su:
applicazione di energia per radiofrequenza a livello della giunzione per indurre una reazione
fibrotica e aumento di continenza del LES, sutura endoscopica per creare una piccola plastica antireflusso, iniezione a livello del LES di sostanze inerti in grado di aumentarne la pressione basale.
Indicazioni alla terapia chirurgica: pazienti giovani o con scarsa compliance alla terapia medica, o
recidive precoci dopo sospensione di terapia o con complicanze da reflusso (ulcere, stenosi, etc.).
La riparazione dello iato diaframmatico è invece considerata necessaria solo se l’apertura è
particolarmente ampia. Le tecniche più comunemente utilizzate sono:
• Intervento di Nissen: si crea attorno alla porzione di esofago addominale n avvolgimento
con il fondo gastrico (fundoplicatio). Vi può essere disfagia postoperatoria, ma anche
comparsa di una super competenza valvolare con impossizibilità all’eruttazione. La
fundoplicatio può essere fattoa a 360° (più certa) o a 270° (meno casi di disfagia).
• Intervento di Belsey Mark IV: si fa con toracotomia postero laterale. Si avvolge attorno
all’esofago sia il fondo dello stomaco (270°) sia parte del diaframma.
• Gastropessi posteriore di Hill: in laparotomia, prevede la sospensione dello stomaco
posteriormente all’esofago con sutura non riassorbibile per restringere lo iato.
La maggior parte dei chirurghi preferisce l’intervento di Nissen (o varianti). Nei pazienti obesi o
con torace a botte si preferisce Belsey Mark. È possibile l’esecuzione in laparoscopia.
Terapia delle complicanze: Stenosi peptiche: sono trattate endoscopicamente con dilatatori
meccanici (o sonde meccaniche a palloncino). Esofago di Barrett: sottoposto a terapia con IPP in
mantenimento continuo. Possibili anche interventi di ablazione endoscopica.
Tumori dell’esofago:
Tumori benigni: sono rari, meno dell’1%. Il più comune è il leiomioma (può dare disfagia).
Tumori maligni: si tratta per lo più di carcinomi squamocellulari e poi di adenocarcinomi.
Colpiscono in genere soggetti in età avanzata. Fattori di rischio: fumo e alcool, carenze dietetiche,
ingestione di sostanze cancerogene, infezione orale da papilloma virus. In ogni caso l’eziologia è
sconosciuta e va considerata multifattoriale. Condizioni e lesioni precancerose: l’acalasia, la
leucoplachia, stenosi di caustici e soprattutto l’esofago di Barrett (per l’adenocarcinoma
aumentano il rischio di sviluppare tumori maligni.
Anatomia patologica: i tumori possono apparire polipoidi, stenosanti o ulcerati:
• Carcinoma in situ: può evolversi in una forma infiltrante (early carcinoma).
• Carcinoma squamo cellulare: o epidermoide, costituisce il 95% dei carcinomi. Tende a
infiltrare in profondità i piani sottomucosi ed estendersi in senso longitudinale. Meno
frequente nel terzo superiore. Invade prima la tonaca muscolare, poi le strutture
mediastiniche adiacenti (bronchi, trachea, nervi, aorta, pericardio). Diffonde anche ai
linfonodi mediastinici, sopraclaveari e cervicali. Diffusione ematogena a fegato e ossa. È un
tumore sensibile alla radioterapia.
• Adenocarcinoma: insorge un esofago di Barrett o mucosa gastrica ectopica. In gran parte si
localizza al terzo inferiore. È un tumore meno differenziato e più polimorfo. È poco
sensibile a radioterapia. Ha la stessa disseminazione del carcinoma squamoso.
Altri tumori: Sarcoma: raro, come il leiomiosarcoma. Tumori esofagei maligni secernenti peptidi:
producono ACTH o glucagona o calcitonina o PTH o VIP, molto rari.
Diagnosi: non esistono adeguati screening di massa. Il primo sintomo è in genere la disfagia.
Questa sopravviene quando però il tumore già occupa 1/3 del lume, pertanto la diagnosi è tardiva.
Inoltre cresce rapidamente e abbiamo così calo ponderale, rigurgito, pirosi, dolore retro sternale,
tosse, scialorrea, melena, ematemesi, anoressia. Servono in ogni caso esami strumentali. Studio
radiografico: con mezzo di contrasto, localizza la lesione e l’estensione in senso longitudinale.
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Endoscopia con prelievo bioptico: ci dà informazioni precise su sede ed estensione, le biopsie
multiple permettono una caratterizzazione istotipica. Ultrasonografia endoscopica: è molto utile
nel valutare la penetrazione in profondità del tumore. Per una corretta stadiazione è importante la
TC con mdc, così come la PET per valutare eventuali metastasi.
Classificazione TNM: T1s: mucosa. T1: sottomucosa; T2: muscolare; T3: avventizia; T4: invade le
strutture adiacenti. N1: invade i linfonodi. M1: metastasi. Stadio: I: T1N0M0; II: T2N0M0; III: T1-3
N1 M1. IV: T4 N0-1 M1.
Terapia: dipende dallo stadio della malattie, dalle condizioni generali del paziente e del suo stato
nutrizionale. L’intervento è infatti un intervento chirurgico maggiore, di notevole impegno. Nei
denutriti serve prima un periodo di nutrizione enterale o parenterale. Le possibilità di trattamento
sono: radio e chemioterapia, resezione chirurgica curativa o palliativa, derivazione chirurgica
interna (bypass), elettroresezione palliativa con laser e trattamenti combinati.
In generale per essere resecabile chirurgicamente il tumore de essere in volume non eccessivo
(stadio I e II, a volte 3) e le condizioni respiratorie, nutrizionali tali da tollerare il trauma
chirurgico. In genere solo il 30% dei tumori è resecabile:
• Interventi di resezione: per i tumori dei 2/3 distali si usa in genere la procedura di LewisTanner: questo si esegue di solito in due fasi. Una prima fase, addominale, nella quale si
esegue laparotomia ed esofagectomia distale. Poi una seconda fase che prevede
toracotomia postero laterale e isolamento dell’esofago e sezione del’esofago seguito da
mediastinectomia posteriore. Si sutura lo stomaco (se sufficientemente lungo, altrimenti si
prende il colon di sinistra) con l’esofago intratoracico o cervicale (a seconda dell’estensione
della lesione). Si esegue poi linfadenectomia la cui esecuzione è molto dibattuta. Il tumore
esofageo (anche se nel terzo superiore) può dare diffusione linfatica ai linfonodi di 3
compartimenti (addominale, intratoracico e cervicale). Pertanto si richiederebbero
linfadenectomie di tutti e tre, con aumento di morbilità e mortalità intra e post-operatorie.
• Derivazioni interne: bypass, hanno scopo solo palliativo e oggi sono poco comuni. Si
esegue una esofago gastroplastica con interposizione di un’ansa digiunale.
• Endoprotesi: è il trattamento palliativo più rapido ed efficace per la disfagia dei tumori
maligni dell’esofago. Si posiziona la protesi (tubo di Mousseau o Celestin) sotto controllo
endoscopico e previa dilatazione. Migliore per le lesioni distali.
• Laserterapia: metodo palliativo per la disfagia nel carcinoma avanzato (più nel cervicale).
• Radioterapia: i risultati a distanza sono di poco inferiori alla chirurgia, con però elevata
recidiva locale. Il trattamento adiuvante preoperatorio non pare utile, il postoperatorio al
massimo riduce la disfagia. Nei tumori avanzati aiuta a diminuire le dimensioni.
• Chemioterapia: prima dell’operazione è utile un ciclo neoadiuvante con cisplatino e 5-FU.
Non vi sono invece indicazioni per una terapia post operatoria.
Per le forme early (Tis e T1a) è possibile il trattamento endoscopico di mucosectomia
(asportazione del piano mucoso) o di dissezione di mucosa e sottomucosa.
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ERNIA IATALE
Il termine ernia iatale indica la dislocazione intratoracica di una porzione dello stomaco attraverso
lo iato esofageo del diaframma, ossia lo spazio diaframmatico che viene attraversato normalmente
da esofago e nervi vaghi ed è situato in corrispondenza della IX-X vertebra dorsale, anteriormente
all’orifizio aortico, a sinistra della linea mediana. È costituito normalmente da fibre muscolari del
pilastro diaframmatico destro che formano due ventri muscolari (aspetto a fionda) che si
concentrano al centro frenico. Fisiologicamente la struttura ha un significato antireflusso.
Eziopatogenesi: spesso sconosciuta e sono stati invocati fattori congeniti, traumatici, iatrogeni.
Forse è l’utilizzo (molto occidentali) di alimenti raffinati, poveri in fibre, che comportano la
formazione di feci dure che richiedono per l’evacuazione aumento della pression endoaddominale
(associandosi anche a diverticolosi colica e litiasi biliare, nella triade di Saint).
Classificazione anatomo-patologica: (di Allison) si distinguono due tipi di ernia iatale:
1) Ernia iatale da scivolamento: o assiale (90-95%). In tal caso lo iato esofageo subisce un
allargamento e ciò fa si che il cardias e una parte dello stomaco si trovino in cavità toracica.
La presenza è intermittente ed è riducibile/evocabile con cambiamenti di postura o
aumento pressione endoaddominale. La diagnosi è prevalentemente radiografica; in rari
casi raggiunge dimensioni ragguardevoli con ampia disclocazione intratoracica dello
stomaco. Clinica: in genere è asintomatica. Possono esservi leggeri disturbi aspecifici come
eruttazioni, pirosi e leggera dispepsia. Si associa però frequentemente a esofagite (MRGE).
2) Ernia iatale paraesofagea: o da rotazione (5-10%). Sembra dovuta a un difetto (o locus
minor resistentiae) a livello della membrana frenoesofagea con erniazione del fondo
gastrico e a volte della giunzione gastroesofagea (ernia mista). Può raggiungere dimensioni
ragguardevoli con formazione di sacco erniario in cui possono impegnarsi anche altri
organi (colon, duodeno, milza). Clinica: può essere asintomatica, ma più spesso dà
dispepsia. Raro l’MRGE.
Secondo la classificazione morfologica di Ackerlund invece distinguiamo tre tipi di ernia iatale:
1) Tipo I o ernia con brachiesofago: l’erniazione di parte dello stomaco è dovuta a un esofago
corto congenito.
2) Tipo II o ernia paraesofagea: si ernia una porzione del fondo rivestita da peritoneo che si
dispone lateralmente all’esofago. Raro il reflusso con esofagite.
3) Tipo III o ernia esofago-gastrica: l’esofago endoaddominale, la giunzione esofago-gastrica
e parte dello stomaco sono erniati in sede intratoracica.In questo caso non c’è sacco erniario
poiché il peritoneo riveste solo la faccia antero-laterale della porzione gastrica erniata.
Complicanze: le ernie di grosse dimensioni, sia assiali che paraesofagee (queste ultime più spesso)
possono dare: disfagia da compressione esofagea, possibili emorragie (anche gravi ed
improvvise, oltre che croniche) per ulcera gastrica o ischemia da congestione della mucosa. Raro
ma temibile è il volvolo, cioè rotazione dello stomaco che può portare alterazioni vascolari e anche
ostruzione completa di una porzione gastrica con drammatica sovra distensione. Si può giungere
all’infarto del viscere con perforazione, mediastinite e peritonite.
Diagnosi: può essere un reperto casuale in soggetto con disturbi digestivi aspecifici o sospettata se
vi è reflusso gastroesofageo. Decisiva è la dimostrazione radiologica con pasto baritato, tipica
immagine del fondo gastrico sopra al diaframma. L’indagine radiografica può mettere in evidenza
anche eventuali complicanze, anche se in questo senso è molto più ricco l’esame endoscopico. Le
ernie di grosse dimensioni possono essere evidenti anche ad una radiografia semplice. In un
paziente con ernia iatale una clinica dispeptica o dolorosa non è per forza dovuta all’ernia!
Prognosi: se asintomatica è eccellente, può anche regredire. Nei casi in cui vi è reflusso, la
prognosi diventa quella dell’esofagite. La paraesofagea va invece incontro a progressivo
ingrandimento e il rischio di complicanze gravi è elevato. Solo un intervento chirurgico può
evitarle.
Terapia: Ernia da scivolamento in assenza di reflusso o altre complicanze non richiede terapia.
Ernia da scivolamento sintomatica o complicata è trattata con riduzione e terapia antireflusso.
Ernia paraesofagea: quando non complicata può essere trattata e ridotta per via laparoscopica, e
poi si fa riparazione dello iato esofageo. Si può aggiungere fundoplicatio laparoscopica secondo
Nissen in aggiunta alla riduzione e riparazione dello iato esofageo.
Ernie paraesofagee infartuate: è necessaria la toracotomia d’urgenza con derotazione dello
stomaco se vitale (in caso di volvolo) e successiva riparazione dello iato diaframmatico.
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STOMACO
Lo stomaco è un organo cavo irrorato dalle arterie gastriche, che derivano dal tronco celiaco
dell’aorta addominale. Il tronco celiaco (o arteria celiaca o tripode celiaco di Haller) è un
voluminoso ramo arterioso che nasce dall’aorta discendente a livello della XII vertebra toracica.
Dopo circa due o tre cm dall’origine, nascono tre rami arteriosi: arteria gastrica sinistra (che irrora
lo stomaco contornando la sua piccola curvatura) che termina anastomizzandosi con la gastrica
destra, ramo dell’arteria epatica propria; l’arteria epatica comune o gastroepatica (per fegato
colecisti e vie biliari); e l’arteria splenica o lienale diretta alla milza. Questa arteria è molto
importante perché fornisce rami anche a stomaco e pancreas, in particolari quelli pancreatici
creano un circolo anastomotico con l’arteria mesenterica superiore. L’arteria mesenterica superiore
è un grosso ramo arterioso che nasce dall’aorta subito sotto il tronco celiaco e che irrora gran parte
dell’intestino, duodeno e parte del colon trasverso. Il sangue refluo drena nelle vene gastriche e
quindi nella vena porta, nella vena lienale e nella vena mesenterica superiore.
Malattia peptica
Nello stomaco esiste una condizione fisiologica di equilibrio tra fattori aggressivi e difensivi che
regola la secrezione acida gastrica. La malattia peptica è una condizione in cui vi è un aumento
della secrezione di pepsina e HCL con iperacidità gastrica (indipendentemente dalla
presenza/assenza di erosioni o ulcere). Il paziente lamenterà bruciore, acidità, digestione lenta con
dispepsia. Questa condizione prende il nome di gastrite.
La gastrite, successivamente al sospetto clinico, si diagnostica istologicamente mediante
endoscopia e biopsia valutando vari parametri come infiltrato infiammatorio, perdita ghiandolare,
fibrosi, presenza/assenza di Helicobacter pylori. La presenza di H.Pylori può essere evidenziata
attraverso il test fecale e il breath test.
La gastrite acuta dura in media 1-2 settimane ed è autolimitante. Le cause più comuni sono: FANS,
alcol, stress, H.Pylori. L’infezione da H.Pylori è la causa principale di gastrite cronica, una gastrite
che dura invece mesi-anni e ha una sintomatologia molto sfumata.
La gastrite acuta da stress è una forma di gastrite tipica dei pazienti ricoverati in UTI o
rianimazione con erosioni e ulcere multiple del corpo gastrico e dell’antro per ischemia a livello
della mucosa dovuta a iperstimolazione del sistema adrenergico con liberazione di amine
vasoattive e cortisolo con riduzione dei bicarbonati.
Come già accennato, nel 95% dei casi di gastrite cronica l’eziologia è da ricondursi invece a
un’infezione di Pylori, che in genere tende a localizzarsi nell’antro ma che con il tempo può
progredire e interessare copro e fondo (pangastrite). L’infezione infatti richiama neutrofili e
linfociti con infiltrato infiammatorio che può condurre a una condizione di gastrite cronica
atrofica, una condizione precancerosa con perdita delle strutture ghiandolari. La liberazione di
HCl indotta dall’infezione causa danno al duodeno, predisponendo all’ulcera duodenale.
Per questo è fondamentale una diagnosi precoce per instaurare rapidamente una terapia medica di
eradicazione dell’infezione. La terapia più utilizzata per la gastrite è la cosiddetta Triplice terapia:
Amoxicillina/metronidazolo + claritromicina + PPI.
Ulcera peptica
Si tratta di una lesione di continuo della mucosa e della sottomucosa dello stomaco che si estende
fino alla muscolare ma che può, talvolta, perforare la sierosa. Va distinta dall’erosione che invece è
una lesione superficiale che non supera la muscolaris mucosae.
1) Ulcera gastrica: è più comune nei maschi, più tra 50-60 anni (l’età media è di 10 anni più alta
rispetto all’ulcera duodenale). Il muco gastrico, il rapido turnover delle cellule epiteliali e la buona
vascolarizzazione (che aiuta a eliminare l’eccesso di acidi) sono tutti fattori normalmente protettivi
la mucosa gastrica. Nello stomaco dei pazienti affetti vi sono infatti sempre alterazioni di tipo
gastritico. Nel 50-65% di pazienti con ulcera gastrica è riscontrabile a livello antrale H.Pylori. Altri
fattori lesivi sono i FANS (che riducono la concentrazione di bicarbonato e la sintesi di
prostaglandine), l’alcol, la caffeina (che aumenta la secrezione gastrica), il fumo. L’ulcera gastrica
insorge perciò in genere vicino al piloro, su mucosa iperemica e con segni di gastrite.
Clinica: è una patologia cronica con periodi di remissione e riacutizzazione. Alcuni pazienti
possono essere asintomatici. Il sintomo d’esordio è dolore epigastrico postprandiale precoce
(dopo 30 minuti circa). Il cibo può anche peggiorarlo. Periodicità stagionale con recrudescenze
primaverili e autunnali. Vi può essere anemia per stillicidio ematico e calo ponderale.
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2) Ulcera duodenale: è 4-10 volte più frequente dell’ulcera gastrica, con incidenza massima intorno
ai 40 anni. L’eziologia non è certa, ma in ogni caso pare esserci una condizione di ipersecrezione
acida. FANS e cortisonici, caffeina e altre xantine, sono fattori di rischio. H.Pylori (che causa
gastrite e duodenite) si riscontra in più dell’85% dei casi. In genere l’ulcera si localizza vicino al
piloro, nel bulbo duodenale.
Clinica: associata a dolore epigastrico postprandiale tardivo (1-3 ore) con assunzione di cibo che
in genere risolve il dolore. È ricorrente, con periodicità stagionaleb e recrudescenze spesso in
primavera e autunno.
Diagnosi: oltre alla clinica, con dolore tipico e sintomatologia ricorrente e intermittente e un
anamnesi spesso di gastrite sono utili esami strumentali per la diagnosi di ulcera gastroduodenale. Endoscopia: sarebbe l’approccio di prima scelta, permettendo la visione diretta
dell’ulcera (valutarne la guarigione) e l’esecuzione di biopsie e ricerca di H.Pylori. Esame
radiologico con pasto baritato: nell’ulcera gastrica si nota la nicchia ulcerosa. Nell’ulcera
duodenale anche è visibile un cratere verso cui convergono le pliche mucose ispessite.
Complicanze: possono essere anche molto gravi. Possiamo avere:
• Perforazione: avviene in genere per erosione lenta della parete gastrica o duodenale, in
seguito a penetrazione dell’ulcera. La sede è in genere la piccola curvatura o la regione
antrale (gastrica), mentre per le duodenali la parete anteriore del duodeno. Vi può essere
aderenza dei tessuti contigui prima della perforazione (perforazione coperta).
Clinica: è un quadro di peritonite acuta. Diviene purulenta in 12-24h. Saccata se coperta.
L’esordio è acuto, con dolore intensissimo in epigastrio o ipocondrio destro, conati di
vomito. Il dolore si irradia a tutto l’addome. Febbre e leucocitosi. Paziente che appare
raggomitolato con segni di shock (cute fredda e pallida, polso frequente, ipotensione).
Si ha un quadro insomma di addome acuto peritonitico (addome ligneo, ileo paralitico,
scomparsa dell’area di ottusità epatica). Diagnosi: anamnesi e clinica. Si esegue un ECG
per escludere l’infarto cardiaco. Terapia: manovre rianimatorie, svuotamento stomaco con
sondino naso-gastrico, somministrazione di antibiotici e anti-H2-recettori. Si fa quindi
l’intervento, in genere semplice sutura dell’ulcera perforata (raffia). Si può fare exeresi
dell’ulcera con vagotomia e piloro plastica, rara la gastroresezione. La mortalità è 10%.
• Emorragia: nel 45% dei casi di sanguinamento alto la causa è un’ulcera peptica. È una
complicanza che avviene nel 15-20% dei casi, causa metà dei decessi. Il sanguinamento
spesso recidiva (soprattutto nei primi giorni, più con emoglobina bassa ed età avanzata).
L’ulcera gastrica recidiva più spesso della duodenale. La mortalità è di circa il 15%, 30% se
è una recidiva. A volte c’è solo stillicidio e sangue occulto nelle feci. Solo se l’emorragia è
copiosa si ha ematemesi. Diagnosi: si stabilizza il paziente e si esegue endoscopia. Si fa
lavaggio dello stomaco, rimozione di sangue e coaguli, monitoraggio con sondino nasogastrico e uso H2-RA. Possibili anche elettro o laser coagulazione e legatura dell’arteria.
• Stenosi: frequente se l’ulcera è iuxtapilorica. Si ha prima stenosi funzionale, poi proprio
organica con sclerosi del piloro. Se la stenosi è modesta causa solo un aumento del dolore e
dispepsia. Se è serrata è molto frequente il vomito alimentare, talvolta provocato. Si ha
rapido calo ponderale e malnutrizione. Terapia: correzione dei eventuali squilibri idroelettrolitici (alcalosi ipocloremica da vomito) e gastroresezione distale o bypass con gastroenterostomia a monte della stenosi.
• Cancerizzazione: è molto bassa la possibilità di una trasformazione maligna e comunque
riguarda solo le ulcere gastriche, ma non le duodenali.
Terapia: prima il ricorso alla chirurgia era sempre necessario, ora grazie alla terapia con H2bloccanti e IPP ed eradicazione di H.Pylori, è sempre più raro e riservato alle complicanze
maggiori (le 4 suddette) o sospetta natura maligna, scarsa compliance terapia medica. Gli
interveni mirano a: asportare l’ulcera resecando antro o bulbo duodenale e/o ridurre la secrezione
acida gastrica recidendo i rami gastrici del nervo vago. Abbiamo:
• Ulcorrafia laparoscopica: drenaggio del materiale presente in addome e chiusura della
perforazione (quindi in caso di perforazione).
• Vagotomia: ipersecrezione acida non rispondente alla terapia e fortemente sintomatica. La
vagotomia non risulta efficace nella sindrome di Zollinger Ellison e in altre condizioni di
ipergastrinemia. Viene eseguita sempre più raramente. La percentuale di recidive è elevata.
Esistono ora interventi di vagotomia sempre più distali e selettivi.
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•
•
•
Antrectomia con vagotomia: nei casi gravi di ipersecrezione acida. Si procede alla
resezione dell’antro gastrico, del piloro e del duodeno prossimale con riduzione del
volume dello stomaco del 30-50%; si procede anche a una contemporanea vagotomia. Il
ripristino della continuità del canale alimentare avviene di solito per gastro-duodenostomia
termino-terminale o termino-laterale (intervento secondo Bill-roth I) o gastrodigiunostomia (secondo Billroth II).
Duodeno-gastroresezione: resezione dei 2/3 distali dello stomaco e della porzione
prossimale del duodeno con ricostruzione Billroth II. Bassa frequenza di recidive.
Gastrectomia totale: necessaria talvolta in caso di ulcere sottocardiali associate a ZollingerEllison refrattarie alla terapia o in caso di gravi gastrite acute emorragiche. L’asportazione
dello stomaco è seguita da esofago-digiunostomia ricostruttiva.
Complicanze post operatorie: dopo interventi chirurgici di ulcera peptica:
• Periodo postoperatorio precoce: deiscenza selle suture dello stomaco o della sutura del
moncone duodenale, emorragia, pancreatite acuta.
• Periodo postoperatorio tardivo: anche dopo parecchie settimane o anni possiamo avere:
Recidiva ulcerosa: varia dall’1 al 10%, più dopo vagotomia che dopo resezione gastrica.
Fistole gastro-digiuno-coliche e gastro-coliche: le recidive di ulcere anastomotiche
possono erodere la parete digiunale e aprirsi nel lume del colon trasverso. Si ha dolore,
talvolta diarrea acquosa grave o anche vomito fecaloide. Diagnosi con radiologia baritata.
Gastrite da reflusso biliare: reflusso di contenuto biliare nello stomaco dopo interventi che
alterano la funzionalità del piloro. SI fa gastroenteroanastomosi che protegge dal reflusso.
Sindrome postvagotomica: la denervazione splancnica può dare cardiospasmo, MRGE,
ristagno biliare, riduzione della secrezione pancreatica e diarrea. Da quando si sta
abbandonando la vagotomia tronculare (taglio del tronco di 2-3 cm dei vaghi addominali)
in cambio della selettive, queste complicanze sono meno comuni.
Dumping syndrome: sindrome da svuotamento, nei pazienti sottoposti a gastroresezione o
antrectomia o piloro plastica. Sindrome dell’ansa afferente: dopo interventi di Billroth II
può aversi ristagno di bile e succo pancreatico. Cancro del moncone gastrico: aumenta il
rischio, massimo dopo 15-25 anni (forse a causa di sviluppo di metaplasie o atrofia).
Tumori gastrici benigni: sono il 10% delle neoplasie gastriche, rari. Sono per lo più epiteliali e in
genere si presentano come polipi. In genere sono reperti occasionali in indagini eseguite per altri
motivi. Possono dare sanguinamento cronico e anemia. Si asportano per via endoscopica solo nel
caso in cui non vi siano controindicazioni. Possono avere trasformazione maligna.
Carcinoma gastrico
Alta incidenza in Giappone ad esempio, più maschile, da noi è in riduzione di incidenza. Colpisce
tra IV e VII decade. Fattori di rischio: eziologia è tuttora ignota, sono statisticamente correlati: uso
di carne e pesce affumicati o conservati sotto sale, basso consumo di frutta e verdura, nitrati. Forse
anche l’appartenenza al gruppo sanguigno A. È abbastanza raro che evolva da ulcera peptica. HPyori sembra essere il fattore di rischio più importante a causa dello stato di infiammazione
cronica e dello sviluppo di gastrite atrofica con perdita delle strutture ghiandolari e inibizione
della secrezione gastrica (metaplasia intestinale).
Anatomia patologica: le sedi più frequenti sono corpo e antro. Dal punto di vista macroscopico
può essere polipoide, ulcerato, ulcerato e infiltrante, diffusamente infiltrante. I 4 tipi hanno
probabilità di sopravvivenza decrescente (quelli diffusamente infiltranti possono trasformare tutto
il viscere in una sacca rigida, linite plastica, con prognosi quasi sempre infausta). Microscopia:
distinto in intestinale e diffuso (più indifferenziato) e in crescita espansiva (compatto) o
infiltrativa. Dal punto di vista istologico si distingue: Adenocarcinoma (papillare, tubulare,
mucinoso, cellule ad anello con castone), Carcinoma adenosquamoso, C.Indifferenziato. Le forme
a crescita espansiva o intestinali e gli adenocarcinomi tubulare e papillare hanno una prognosi
migliore. L’early gastric cancer (EGC) non supera la sottomucosa (prognosi molto migliore). Il
carcinoma può variare da pochi mllimetri (EGC) a tutto lo stomaco (linite plastica). Può anche
estendersi a duodeno o esofago. Può interessare tutta la parete gastrica e anche gli organi
circostant. Ha frequente coinvolgimento linfonodale: prima stazioni su piccola e grande curvtura,
poi arcate gastroepiploiche, poi quelli lungo il tronco celiaco e i suoi rami. In fase avanzata (e sono
considerate metastasi a distanza) coinvolge i retro pancreatici, mesenterici, par aortici, etc.
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Le metastasi a distanza avvengono per via ematica e celomatica. A fegato, poi milza, ossa e SNC.
La diffusione transcelomatica può far raggiungere l’omento, l’epiploon, il peritoneo.
Clinica: spesso sintomi vaghi, aspecifici e per lungo tempo assenti. Sintomi aspecifici: dolore
(epigastrico, più se la neoplasia è ulcerata, risente favorevolmente di antiacidi e ciò ritarda la
diagnosi); dispepsia, anemizzazione (con astenia, è dovuta allo stillicidio ematico), dimagrimento
(sintomo avanzato, dovuto alla dispepsia e al dolore). Più specifici sono: anoressia (specie per la
carne), sintomi da ostruzione gastrica prossimale (ostruzione cardias, causa disfagia) e sintomi
da ostruzione gastrica distale (antrale o pilorica, causa ripienezza e vomito).
Esame obiettivo: può essere del tutto negativo anche in fase avanzata. Possibili segni di anemia,
massa palpabile epigastrica, epatomegalia e ascite, masse da carcinosi peritoneale, ittero.
Diagnosi: in caso di quadro clinico sospetto per patologia del tratto digestivo superiore è
fondamentale l’endoscopia e la radiografia di esofago, stomaco e duodeno. La diagnosi si fa infatti
con endoscopia + biopsia. In caso di ulcera gastrica si prendono perciò prelievi bioptici multipli.
Radiologia: con metodo del doppio contrasto può essere utile. TC con mdc: fondamentale per la
stadi azione. Persino laparoscopia esplorativa.
TNM: T1: tumore che invade lamina propria o sottomucosa. T2: invade la muscolare. T3: invade la
sierosa. T4: invade gli organi adiacenti. N1: da 1 a 6 metastasi linfonodi regionali. N2: da 6 a 15
metastasi linfonodali. N3: più di 15.
Terapia: chemioterapia e radioterapia sono scarsamente efficaci. La chirurgia può essere:
• Chirurgia radicale curativa: obiettivo di rimuovere del tutto la neoplasia. Se è confinato
alla mucosa (EGC) si può effettuare mucosectomia (ma richiede stretta sorveglianza). Per
stadi più avanzati si deve eseguire resezione e linfadenectomia. Carcinomi nel corpo
gastrico: si effettua gastrectomia totale (a volte si aggiunge eliminazione della milza).
Antrali e cardiali: nei casi non avanzati la gastrectomia totale rispetto a resezioni parziali
migliora la prognosi, paradossalmente in quelli avanzati no. I cardiali possono invadere
l’esofago ed in questo caso è necessario un approccio toracoaddominale. In ogni caso si
associa una linfadenectomia più o meno ampia.
• Chirurgia palliativa: interventi demolitivi e gastro-enteroanastomosi. In caso di stenosi
cardiale l’intervento è complesso e si preferisce una palliazione non chirurgica con
endoprotesi per via endoscopica o ricanalizzazione con laser.
L’elevato tasso di recidiva induce l’utilizzo di chemioterapia adiuvante con 5-FU prima e dopo
chirurgia. In caso di malattia metastatica la chemioterapia è l’unica opzione possibile, specialmente
in caso di carcinomatosi peritoneale (non aggredibile). La chirurgia ha talvolta un ruolo pallativo
con interventi in caso di stenosi o emorragie.
Prognosi: sopravvivenza a 5 anni è intorno al 5-17%, migliore con la chirurgia radicale. Nell’EGC i
dati giapponesi riportano sopravvivenza nell’80-90% dei casi. Fondamentale la diagnosi precoce.
Non esistendo da noi lo screening, bisogna essere abile con gli accertamenti.
Linfoma gastrico: neoplasia del tessuto linfatico gastrico. Può essere isolato allo stomaco
(primitivo) o nel contesto di un linfoma polivocale. È piuttosto raro. Può avere un aspetto vario, in
genere infiltrativo, comunque confondibile con il carcinoma gastrico.
Clinica: aspecifica e ricorda quella del carcinoma gastrico, stessi sintomi. Meno frequente il calo
ponderale. Nei casi avanzati può essere palpabile.
Diagnosi. Radiologia, ma soprattutto endoscopia + biopsia per distinguerlo dal carcinoma.
Terapia: la chirurgia rappresenta la terapia radicale in forme localizzate, ma il tumore è molto
sensibile a chemio e radioterapia. La sopravvivenza è superiore al carcinoma, 50-60%.
Sequele degli interventi chirurgici sullo stomaco: sono funzionali o organiche:
Sindromi funzionali:
• Sindromi di tipo dumping: può essere: Dumping precoce: è tra le più comuni del resecato
gastrico. È postprandiale precoce, con ripienezza, peso epigastrico, meteorismo, senso di
debolezza, sudorazione, tachicardia, flushing. Dovuta al rapido svuotamento del contenuto
dello stomaco nelle anse intestinali con liberazione di ormoni e sostanze vasoattive. La
terapia è igienico-alimentare o utilizzo di farmaci come octreotide. Si può anche risolvere
chirurgicamente con ricostruzione gastro-digiunale su ansa defunzionalizzata alla Roux.
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Dumping tardiva: sintomi simili alla precedente, ma più tardiva (2-3 ore dopo il pasto). È
causata dall’ipoglicemia per eccessivo rilascio di insulina. In genere è più lieve e si risolve.
• Diarrea: può essere lieve e associata a dumping, oppure più seria talvolta legata a
vagotomia. La prima risponde al trattamento dietetico. La diarrea postvagotomia, meno
frequente con la vagotomia selettiva, la risoluzione è chirurgica (interposizione di un
segmento ileale antiperistaltico).
• Perdita di peso: il 30-40% dei soggetti resecati gastrici dimagrisce dopo l’intervento.
• Malassorbimento: da accelerato, transito, incoordinazione tra secrezione bilio-pancreatica e
transito alimentare, overgrowth batterico, etc.
• Sindrome del piccolo stomaco: precoce ripienezza, talvolta vomito e dolri addominali.
Pare sia dovuta al transito accelerato e distensione delle anse digiunali.
• Sindrome dell’overgrowth batterico o dell’ansa cieca: eccessiva proliferazione batterica
con produzione di tossine e ridotto assorbimento di vitamine. Si usano tetracicline.
• Sindrome da ritardato svuotamento dell’ansa alla Roux: difficoltoso svuotamento gastrodigiunale dopo ricostruzione eseguita tramite ansa digiunale defunzionalizzata alla Roux.
Questa deve essere evitata nei soggetti con rallentato svuotamento gastrico. In genere lieve.
Sindromi organiche:
• Gastrite alcalina: forse la più importante, anche se con incidenza inferiore alla dumping. Si
ha dolore epigastrico accentuato ai pasti, vomito biliare e anemia ipocromica. È dovuta al
reflusso del succo bilio-pancreatico. Con flogosi del moncone gastrico. Causa erosioni, aree
di metaplasia intestinale e atrofia della mucosa. Terapia medica con colestiramina (chelante
gli acidi biliari) e antiacidi. Spesso poco efficace. La terapia chirurgica consiste in escludere
il transito biliare dal moncone gastrico con ricostruzione su ansa esclusa alla Roux.
• Sindrome dell’ansa afferente: o del vomito biliare, confusa con la gastrite alcalina. Dolore
all’epigastrio e vomito esplosivo di succo biliare. È dovuta ad ostruzione meccanica
dell’ansa afferente. Terapia chirurgica. Poco frequente.
• Sindrome dell’ansa efferente: rara, ostruzione dell’ansa efferente, con dolore e vomito.
• Recidiva di ulcera e cancro del moncone gastrico: aumento delle probabilità di carcinoma.
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PATOLOGIE EPATICHE
Ipertensione portale
Anatomia della circolazione portale: La vena porta è formata dalla vena mesenterica superiore e
della vena splenica: la prima drena il sangue dell’intestino tenue e del colon destro, la seconda il
sangue della milza e di parte di stomaco e pancreas. La porta decorre nel legamento
epatoduodenale, dietro arteria epatica e via biliare. La vena mesenterica inferiore invece sbocca
direttamente nella vena splenica o più raramente nella mesenterica superiore. La gastrica sinistra
sbocca nel bordo sinistro della vena porta o più raramente nella vena splenica.
Fisiologia: si parla di ipertensione portale (IP) quando la pressione portale supera i valori normali
di 10-15 cmH2O, per portarsi al di sopra dei 22-25. Il flusso portale è di fatto il 75% di tutto il
sangue che giunge al parenchima e dipende dal gradiente pressorio tra la vena porta e le vene
sovraepatiche (dove la pressione è di 3-8cmH2O) e dalle resistenze epatiche interposte. In
condizioni normali il meccanismo di autoregolazione epatica mantiene la pressione costante
modificando proprio le resistenze intraepatiche (letto sinusoidale) in risposta al variare del flusso
splenico. Il meccanismo di base è il seguente: un aumento delle resistenze (patologie epatiche)
causa una diminuzione della perfusione del fegato. Il fenomeno di compensazione prevede:
aumento della gittata cardiaca, aumento volemia (meccanismo di renina-angiotensinaaldosterone), apertura shunt-arterovenosi con circolo splancnico (caduta delle resistenze
splancniche che causa aumentata pressione e arterializzazione cioè aumento del contenuto di
ossigeno del sangue venoso portale). Tutti questi fenomeni causano ipertensione portale che, fino
ad un certo punto è funzionale al mantenimento della perfusione epatica. Si instaura però un
circolo vizioso perché questi shunt arterovenosi causano aumento della gittata cardiaca con uno
stato iperdinamico della circolazione tipico dei cirrotici (che tra l’altro peggiora l’encefalopatia).
Nella cirrosi infatti sia le alterazioni funzionali, sia le anomalie dell’architettura (come fibrosi,
trombosi vascolare) portano all’aumento delle resistenze epatiche e quindi all’ipertensione portale
 vasodilatazione splancnica  ipovolemia con aumento del flusso portale  rilascio del sistema
renina angiotensina.
In caso di ipertensione portale, le numerose connessioni tra vasi tributari della vena porta e della
cava vanno incontro a ipertrofia e sviluppo di un circolo collaterale: Anastomosi porto-cavali:
• Vena gastrica sinistra e vene del fondo gastrico sono in connessione con i plessi venosi
esofagei a livello intramurale e sovra cardiale dove ci sono numerose vene sottomucose a
palizzata che attraverso azygos ed emyazigos sono tributarie della cava. In caso di
ipertensione è da qui che si possono sviluppare le varici esofagee.
• Plesso emorroidario: mette in comunicazione, vene emorroidarie superiori (che vanno alla
mesenterica inferiore) e medie e inferiori (vanno alle ipogastriche che finiscono nella cava).
È da qui che possono svilupparsi le emorroidi.
• Vene paraombelicali e vena ombelicale (se pervia): connettono la porta con le vene
superficiali dell’addome, tributarie della cava. Possono far originare il caput medusae.
• Sistema del Retzius: miriade di piccole vene che drenano gli organi addominali della
parete posteriore che anastomizzano territorio mesenterico e vene peritoneali.
• Esistono infine anastomosi portocavali spontanee.
Ipersplenismo: di frequente riscontro nei pazienti con ipertensione portale. È una condizione di
trombocitopenia, leucopenia e raramente eritrocitopenia che si associa a splenomegalia. Più grave
in caso di blocchi preepatici. È fondamentalmente dovuto ad un aumento del sequestro, piuttosto
che alla distruzione di elementi figurati. Bisogna tuttavia sempre essere cauti a porre indicazione a
splenectomia perché se da un alto risolve la pancitopenia, da solo non è in grado di risolvere
l’ipertensione portale e comunque pone un elevato tasso di complicanze come emorragie, raccolte
sub freniche e anche trombosi secondarie dalle vena splenica. Migliora con interventi di shunt.
Varici esofagee (o esofago-gastriche)
Sono una delle più temute complicanze dell’ipertensione portale, sia perché sono indice di gravità
sia perché si accompagnano a un elevato tasso di mortalità. Il 70-80% dei cirrotici va incontro a
formazioni di varici esofagee entro 5 anni. Si tratta di varici (vaso venoso che per cedimento si
dilata e diventa tortuoso) a carico del plesso sotto-mucoso dell’esofago.
L’esofago ha una particolare funzione emodinamica. Infatti per la sua lunghezza è tributario di
entrambe le vene cave che di fatto mette in comunicazione. Il sangue refluo della porzione
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cervicale va nelle vene tiroidee inferiori e quindi vena cava superiore; la porzione toracica nelle
vene azygos e emiazygos e quindi in cava superiore; la porzione addominale nella gastrica sinistra
e quindi in vena porta e poi cava inferiore. In condizione di ipertensione le vene del plesso
sottomucoso ipertrofizzano diventando varici.
Clinica: la principale complicanza delle varici è la rottura, associata a forte sanguinamento. Pare
che la causa della rottura siano “colpi” ipertensivi legati a tosse, sforzi fisici, etc. Il rischio di morte
al primo episodio emorragico è 30-50% e rimane all’incirca tale anche in caso di recidiva. Il rischio
di morte e risanguinamento è molto elevato durante le prime 3-5 settimane dall’episodio
emorragico e per questo è importante intervenire precocemente.
Diagnosi: in passato si face con radiografia con pasto baritato. Oggi si usa l’endoscopia digestiva
con video endoscopio che permette una buona visione delle varici. L’indagine, con le nuove
metodiche è eseguibile durante l’emorragia, e in tal caso è molto sensibile. L’aspetto delle varici è
quello di cordoni longitudinali serpiginosi che occupano da 1/3 a tutto l’esofago. Secondo Beppu,
caratteristiche importanti che ne aumentano il rischio di emorragia sono: colore bluastro, strie o
macchie rosse, nematocisti, iperemia diffusa, esofagite, tortuosità. Si associano questi criteri allo
stato funzionale epatico secondo Child-Pugh: Si dà un punteggio da 1 a 3 ad ognuno di 5
parametri: Ascite, Encefalopatia, Albumina (se è diminuita), Tempo di Quick (se è diminuito),
Bilirubinemia (se è aumentata), distinguendo così il rischio in A (5-6); B (7-9) e C(10-15).
Pertnato la Classificazione del rischio emorragico risulta in un punteggio che valuta la presenza
di strie rosse (piccole, medie o grandi) associata al grado di Child (A, B o C).
Serve anche diagnosi eziologica della patologia che ha portato all’ipertensione: cirrosi, BuddChiari, trombosi mesenterico-portale (da infezione). Ricordiamo tra i segni della cirrosi: subittero,
eritema palmare, angiomi a ragno, ascite, ginecomastia, flapping tremor.
Esami ematochimici: permettono la classificazione del grado di Child-Pugh. Inoltre si valuta
emocromo (possibile iperslenismo), iperammoniemia (che causa encefalopatia). Esami in grado di
valutare la funzione globale del fegato esistono: come il test clearance del galattosio dal sangue.
Ecografia: rapida e poco invasiva, è l’esame fondamentale. Permette di valutare il calibro dei vasi
spleno-porto-mesenterici, eventuali trombosi, colelitiasi, presenza di epatocarcinoma.
Tc-spirale, angio-TC e RMN: permettono un’ottima visualizzazione del territorio vascolare
epatico, tanto da poter sostituire l’angiografia. L’angiografia è molto più invasiva e rischiosa. Il
metodo oggi più utilizzato è l’arteriografia selettiva di tripode celiaco e arteria mesenterica
superiore. Si introduce un catetere nell’arteria femorale destra (attraverso una guida metallica), si
guida il catetere fino all’arteria interessata (si può notare l’aspetto a cavaturaccioli o ad albero
potato o assenza di visualizzazione della porta). Si può anche eseguire portografia (per via trans
ombelicale, oggi poco usata per problemi emorragici).
L’esame manometrico delle vene sovra epatiche può essere utile perché una pressione
differenziale di 12mmHg o più tra porta e arterie epatiche è associata a rischio emorragico.
Terapia delle varici: i trattamenti hanno diversi obiettivi, a seconda del momento:
1) Profilassi del primo sanguinamento: visto l’elevato rischio di mortalità si fa:
• Terapia medica farmacologica: in pazienti con varici, buona funzionalità epatica (Child A
o B), buna compliance ai farmaci, no controindicazioni si usano beta-bloccanti adrenergici
non selettivi (propanololo, le controindicazioni sono diabete, bronco pneumopatia). Si
deve cercare di ridurre il gradiente porto epatico a meno di 12. Si possono usare anche
nitrati (isosorbide-5monoitrato).
• Se la terapia medica non si può fare o non ha effetto si fa legatura endoscopica delle varici
2) Terapia dell’emergenza emorragica:
• Rianimazione: si devono predisporre accessi venosi per infusione di sangue e liquidi,
sondino naso-gastrico ampio per valutare la presenza di sangue, trattamento di eventuali
deficienze coagulative e infusione di sangue o plasma expanders. Prevenzione degli ab
ingestis, possibile intubazione, trattamento antibiotico, bilanciamento idro-elettrico.,
lattulosio per prevenire l’encefalopatia.
• Endoscopia d’urgenza e terapia endoscopica: è la diagnosi di certezza, si fa quando il
paziente è stabile. Si può eseguire contestualmente terapia con scleroterapia o legatura
endoscopica delle varici (emostasi immediata nel 90% dei casi).
• Farmaci: il trattamento può essere iniziato a casa o nel triage. Sono farmaci vasoattivi che
riducono la portata ematica delle varici come: gliopressina (spesso associata a
nitroglicerina che ne aumenta efficacia e tollerabilità), somatostatina, octreotide.
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Sonda di Sengstaken-Blakemore: sonda naso-gastrica con un pallone a pera nel tratto
terminale e un pallone cilindrico di 10-15 cm nel tratto prossimale. I due palloni si gonfiano
indipendentemente. Si inserisce la sonda e si gonfia il pallone distale nello stomaco. Poi si
tira la sonda fino al cardias e si gonfia anche il pallone prossimale che sta nell’esofago,
ottenendo un emostasi per compressione delle varici. Serve nelle varici esofagee, molto
poco in quelle gastriche. Non si può tenere più di 6-8 ore (ulcere, ab ingestis, etc.)
• TIPS o derivazione porto-cavale chirurgica: se la terapia endoscopica non è stata
sufficiente e il paziente continua a sanguinare e a richiedere trasfusioni si può effettuare:
chirurgia d’urgenza con derivazioni portocavali oppure si può posizionare, con metodica
radio interventistica una protesi trans epatica tra vena sovra epatica destra e il ramo
portale destro, ossia la TIPS (shunt porto-sistemico trans giugulare intraepatico), che
risolve l’emorragia e ha una mortalità inferiore rispetto alla chirurgia d’urgenza.
3) Profilassi della recidiva emorragica: rischio quasi del 70% entro l’anno
• Farmaci: beta-bloccanti associati o no ai nitrati long acting.
• Terapia endoscopica: gli interventi possibili sono essenzialmente due:
o Scleroterapia: si iniettano nel lume vasale e a livello perivascolare sostanze che
inducono tromboflebite e quindi sclerosi delle varici. Possono dare ulcerazioni e
quindi emorragie. Le complicanze dell’intervento (disfagia, febbre, possibile
perforazione dell’esofago) sono poco comuni. Per le varici gastriche si usa bucrilato,
un monomero che polimerizz all’interno della vena gastrica, trasformandosi in una
gomma che oblitera il lume del vaso. Può fuoriuscire dalla varice. La scleroterapia
endoscopica può essere eseguita anche in pazienti Child C e in corso di emorragia.
o Legatura endoscopica: si ottiene grazie ad un dispositivo legato all’endoscopio che
permette di aspirare la parete anteriore della varice e di rilasciare un piccolo elastico
di gomma che la strozza. È più semplice ed ha in pratica sostituito la scleroterapia.
Entrambe richiedono controlli endoscopici seriati (emorragie poco dopo).
• Interventi chirurgici non derivativi: intervento di Sugiura: si basa sulla detensione delle
varici e interruzione estesa delle connessioni venose esofagogastriche (deconnessione
azygos-portale) associata a resezione (esofagectomia longitudinale) e sutura delle varici.
Ormai poco usato per il gran numero di recidive e di emorragie.
• Interventi chirurgici derivativi: esistono interventi che creano shunt totali (che azzerano le
recidive, ma aumentano la mortalità da insufficienza epatica e l’encefalopatia e quindi
ormai abbandonati) e interventi che creano shunt selettivi. Tra questi ultimi: Intervento di
Inokuchi: si anastomizza alla cava la sola gastrica di sinistra (funziona poco); Shunt
splenorenale distale di Warren: si isola la vena splenica (si legano anche gastrica sinistra,
pilorica e gastroepiploica) e si anastomizza con la renale di sinistra. In questo modo si
abbassa la pressione detendendo le varici esofagee. Funziona bene, meno complicanze.
• TIPS e trapianto di fegato: mediante un ago-catetere introdotto per via giugulare si
anastomizza una vena sovra epatica con il ramo portale destro. È una tecnica semplice e
utile nelle emergenze, applicabile praticamente a tutti. Gravi complicanze: tasso di
encefalopatia alto simile agli shunt totali, trombosi dello shunt per stenosi della protesi. È
però molto utile nei pazienti in attesa di trapianto di fegato. Il trapianto ha il merito di
guarire la patologia di base e non solo l’ipertensione portale che ne è scaturita. Per
mancanza di organi, deve essere previsto in stadi avanzati o forme rapide e progressive.
•
Ascite
L’ascite è una complicanza grave e frequente della cirrosi epatica ed è caratterizzata dal
versamento (trasudato) e accumulo di liquidi nel cavo peritoneale. È dovuta all’ipertensione
portale e linfatica e all’alterazione della funzione renale causata dalla ritenzione idrosalina.
Infatti l’ipertensione portale causa aumento della pressione idrostatica a livello del sinusoidi
epatici con trasudazione di liquidi in cavità peritoneale. La causa pare essere la riduzione della
produzione di un fattore natriuretico del fegato e aumentato riassorbimento tubulare renale.
In pratica la vasodilatazione splancnica comporta sequestro si sangue e quindi ipovolemia, l a
quale stimola il sistema renina-angiotensina-aldosterone e il riassorbimento tubulare.
Clinica: ha un esordio spesso insidioso. Può complicare diversi quadri morbosi. Normalmente è
preceduta da importante oligoanuria. L’addome si distende ed è teso. Vi può essere dispnea,
comparsa di idrotorace (generalmente a destra attraverso comunicazioni pleuroperitoneali). In
altri casi può esordire improvvisamente (ascite ematica per rottura vasi o neoplasie).
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Può essere complicata da una peritonite batterica spontanea (paracentesi) che si associa a febbre,
vomito, brividi e forte dolore addominale.
Diagnosi: fondamentalmente clinica, ma anche ecografia e paracentesi.
Terapia: correzione degli squilibri idrosalini. Uso di diuretici, dieta con restrizione idrosalina. In
più si può effettuare paracentesi evacuativa (sotto attento controllo emodinamico).
Recentemente è entrato nella pratica clinica lo shunt peritoneo-venoso secondo Le Veen (shunt
porto sistemico transgiugulare intra epatico): in pratica consiste nel posizionamento per via
chirurgica di un catetere con valvola unidirezionale tra peritoneo e vena giugulare interna.
Per i pazienti con ascite va in ogni caso tenuto conto anche dell’ipotesi trapianto di fegato,
eventualmente preceduto da TIPS nell’attesa.
Sindrome epatorenale: condizione di deterioramento della funzione renale come conseguenza di
un danno epatico grave. È comune in pazienti con cirrosi e ascite. Si ha riduzione del flusso renale
con iponatriemia diluizionale associata ad ascite. Si ha un aumento della creatinina e bassa
escrezione di sodio. Può essere rapidamente o lentamente progressiva. Infezioni batteriche o una
peritonite possono rapidamente precipitare il quadro. La progressione è verso l’insufficienza
renale (forte oliguria). Terapia: il trapianto di fegato è la terapia di scelta, in grado di risolvere
l’insufficienza renale. Già la TIPS migliora il quadro, così come farmaci quali la terlipressina in
grado di aumentare le resistenze splancniche.
Encefalopatia: nel corso di malattia cirrotica può essere evidente una neuropatia con
deterioramento delle capacità intellettive, comportamento e stato di coscienza:
Eziopatogenesi: la causa principali è l’accumulo di prodotti di scarto non metabolizzati dal fegato,
soprattutto l’ammonio e aumento degli amminoacidi aromatici (perché non metabolizzati).
L’ingresso di NH3 nel cervello causa aumentata sintesi di glutammina. Questo condizione crea una
riduzione dei neurotrasmettitori (per sostituzione degli aminoacidi a catena ramificati con quelli
aromatici) che causa disfunzioni neurologiche. Si divide in 4 stadi: I stadio: lievi diminuzioni
intellettive e modeste alterazioni EEG. II stadio: paziente confuso o sonnolento, con flapping.
Alterazioni moderate EEg. II stadio: marcata confusione e sonnolenza. Alterazioni significative
EEG. IV stadio: coma profondo.
Terapia: eliminazione dei cibi ricchi di ammoniaca e riduzione del contenuto proteico nella dieta,
integratori di aminoacidi a catena ramificata. Uso di lattulosioo per evitare la stipsi.
Sindrome di Budd-Chiari
Si tratta di varie condizioni accomunate dall’occlusione delle vene sovraepatiche e/o cava
inferiore con ostacolo o blocco al deflusso venoso epatico. Si ha congestione del fegato con: ascite,
epatomegalia e dolore. È causa di ipertensione portale per blocco post epatico. Il decorso può
essere acuto e rapidamente mortale o cronico causando varici esofagee e insufficienza epatica.
Diagnosi: è strumentale con ecografia, angio-TC, angio-RM. Anche biopsia epatica.
Terapia: è medica e fondamentale per le forme acute con uso di urochinasi e streptochinasi per via
sistemica o distrettuale tramite catetere in vena sovraepatica (associata a angioplastica della
stenosi). Di difficile attuazione è la terapia diuretica per la frequente associazione con insufficienza
renale funzionale (applicazione sonda LeVeen  recupero liquidi sequestrato in addome).
Nel 50% dei casi la terapia è invece chirurgica, in particolare per le forme croniche con varie
metodiche di decompressione del territorio portale.
Anatomia del fegato
Il fegato è un organo impari situato a destra nell’addome (ipocondrio destro). L’ilo epatico
contiene le principali strutture vascolari: l’arteria epatica (che origina dal tripode celiaco a sua
volta ramo dell’aorta), la vena porta (che origina dalla confluenza della vena splenica e della vena
mesenterica superiore) e la via biliare (che origina dai canalicoli biliari e che porta la bile prodotta
dal fegato all’intestino). Sulla superficie del fegato scorre la vena cava inferiore, e sopra al fegato
sboccano le vene sovraepatiche che contengono il sangue refluo del fegato (sinistra, mediana,
destra). Il fegato è divisibile in otto segmenti, ognuno indipendente per quello che riguarda
l’apporto arterioso e venoso e per il deflusso venoso.
Le principali patologie di interesse chirurgico per quanto riguarda il fegato sono: ascessi, cisti e
tumori.
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Ascessi epatici
Sono essenzialmente dovuti a infezioni da germi piogeni, meno del 20% sono ascessi amebici.
Ascessi da piogeni: insorgono in pazienti con età >40, in genere in condizioni gravi. Hanno alta
mortalità. A livello epatico sono in genere conseguenza di cisti da echinococco, ematomi, aree
necrotiche all’interno di neoplasie. Se non è definibile la causa è criptogenico.
Attualmente è soprattutto la conseguenza di infezioni biliari come colangiti suppurative associate
ad un’ostruzione delle vie biliari. I microorganismi più frequentemente causa degli ascessi sono:
E.Coli, Streptococchi, S.Aureus e nel resto dei casi infezioni polimicrobiche.
I germi possono raggiungere il fegato per diffusione diretta (da empiemi, focolai settici attigui),
per via ascendente lungo le vie biliari, per difussione ematogena dall’arteria epatica (setticemie,
endocarditi, ascessi polmonari) o dalla porta (appendiciti, peritoniti, perforazioni), per
contaminazione esterna (interventi o traumi), infezione del cordone ombelicale (nel neonato).
Clinica: in genere si presentano con febbre settica (remittente o continua), brividi scuotenti,
anoressia, dolore all’ipocondrio desto, (irradiazione alla spalla), grave compromissione delle
condizioni generali. Epatomegalia e possibile versamento pleurico. Altre volte la clinica è sfumata,
ed è importante l’anamnesi patologica.
Esami di laboratorio: c’è leucocitosi, aumento transaminasi, gamma-GT e fosfatasi alcalina.
Possibile iperbilirubinemia. Possono risultare positive le emocolture.
Esami strumentali: Rx torace: rileva atelettasia basale destra e sopraelevazione del diaframma a
destra, possibile versamento pleurico. Rx addome: epatomegalia, talvolta un livello idroaereo nel
fegato. Ecografia: sono lesioni ipoecogene. TC: utile per localizzarlo meglio. Scintigrafia epatica
con tecnezio: area ipocaptante.
Complicanze: l’ascesso può aderire a organi attigui dando processi infiltrativi. Può comprimere le
vie biliari. La complicanza più temibile è l’evoluzione in shock settico.
Terapia: si esegue drenaggio chirurgico della raccolta colliquata e antibioticoterapia.
Ascesso amebico: Entamoeba histolytica può essere isolata nell’intestino, soprattutto in zone più
arretrate. Si trasmette per via oro fecale, spesso da acque contaminate. Causa la dissenteria
amebica. Questa si può complicare nel 3-4% de casi con un ascesso amebico epatico.
Eziopatogenesi: più nella 3-5 decade, molto più nei maschi. L’infezione amebica avviene per
ingestione di cisti amebiche. I trofozoiti causano lesioni tissutali una volta liberati dalle cisti
nell’intestino. In caso in infezione intestinale persistente i trofozoiti che raggiungono il fegato non
vengono distrutti e causano invece colliquazione di aree epatiche, necrosi e formazione di ascessi.
Anatomia patologica: lesione sferoidale singola o multipla, circonda da una capsula. In genere,
come anche l’ascesso da piogeni, si localizza di più al lobo epatico destro.
Clinica: esordio drammatico o insidioso. Può non essere evidente né nota l’infezione intestinale e
la ricerca di cisti e trofozoiti nelle feci è positiva solo nel 15% dei casi. Si ha dolore all’ipocondrio
desto, febbre, perdita di peso, compromissione condizioni generale. Il dolore è forte ed esacerbato
dalla palpazione. Il dolore si irradia spesso a arcata costale e spalla destra. Anche nausea e vomito.
Diagnosi: Esame obiettivo: epatomegalia, talvolta masse palpabili. L’ittero è incostante.
Esami di laboratorio: presente leucocitosi, anemia e ipoalbuminemia, a volte alterati indici epatici.
Esami strumentali: Ecografia e TC: permettono di rilevare l’ascesso che però non appare diverso
da quello da piogeni. Anche scintigrafia e ricerca del parassita nelle feci.
Complicanze: spesso letali. Se non estratto l’ascesso si estende fino a rompersi nel peritoneo o
estendersi a organi vicini. Vi può essere rottura nel cavo pleurico, o meno frequentemente nel
peritoneo con comparsa di addome acuto e shock. Possibili ascessi amebici cerebrali (ematogeni).
Terapia: utilizzo di farmaci amebicidi (metronidazolo) prima della terapia invasiva. Drenaggio
chiuso (aspirazione del contenuto) è la tecnica di scelta nei pazienti che nelle 72 ore non
rispondono a terapia. Il drenaggio aperto si fa in caso di superinfezione batterica dell’ascesso o per
drenare ascessi non accessibili per via cutanea o molto piccoli o multipli.
Cisti
Le cisti sono neoformazioni benigne rivestite da epitelio e a contenuto liquido. Possono essere
congenite (es fegato policistico con rene policistico) o parassitarie.
Cisti sierose: si tratta di lesioni benigne asintomatiche abbastanza diffuse, spesso a diagnosi
accidentale in corso di ecografia. Sono quasi sempre asintomatiche ma se diventando molto grandi
(>10cm) possono stendere la glissoniana e provocare dolore, oppure la sintomatologia può essere
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dovuta alla compressione delle strutture adiacenti (stomaco  dispepsia; vie biliari 
ittero…etc…). In genere non richiedono terapia, ma se molto grandi vanno trattate con
l’asportazione, oppure la marsupializzazione per quelle superficiali (scapsulamento della cisti
lasciando esposta la cavità in modo che la secrezione non si raccolta; connessione della cisti
parzialmente resecata al peritoneo), molto rara la resezione epatica.
Malattia policistica: malattia ereditaria AD o AR, in associazione spesso con altre lesioni epatiche
e possibile policistosi renale o anche in altri organi. Spesso asintomatiche, dipende dalla gravità
della fibrosi epatica. Terapia: in presenza di sintomi, l’aspirazione puo dare sollievo dal dolore. Se
la cisti è superiore a 10 cm richiede trattamento chirurgico con escissione o marsupializzazione. In
rari casi la malattia può essere tanto grave da richiedere trapianto di fegato.
Cisti da echinococco: o idatidea, nel 50-70% dei casi sono a livello epatico.
È più comune in zone rurali e in paesi dediti alla pastorizia. L’osipite primario del parassita sono
in genere volpi o canidi. L’ospite intermedio sono i ruminanti che si cibano di erba contaminata
dalle feci di questi animali. L’uomo è un ospite intermedio occasionale se entra in contatto con
feci di animali infetti. Il parassita ingerito raggiunge il distretto capillare epatico dove dà una
reazione infiammatoria nella quale la maggior parte dei parassiti è distrutta, ma i restanti danno
luogo a cisti. La cisti idatidea ha tre strati: strato periferico (membrana fibrosa di fibroblasti e
cellule infiammatorie), strato intermedio (membrana chitinosa deposta dal parassita), strato
interno (germinativo, unico strato di cellule parassitarie). La cisti può rilasciare cisti figlie esogene.
Le cisti da echinococco granuloso crescono lentamente, ma possono raggiungere grandi
dimensioni. Quelle da echinococco multiloculare invadono diffusamente il parenchima epatico e
l’albero biliare, dando anche diffusione a distanza.
Clinica: il 25% dei pazienti è asintomatico. L’idatide può essere palpabile. C’è spesso dolore
persistente, peso in ipocondrio destro, a volte sintomatologia allergica (prurito, asma, shock
anafilattico alla rottura). L’anamnesi e la provenienza geografica aiutano la diagnosi.
Diagnosi: si ha eosinofilia solo nel 40% dei casi. Si usano test sierologici specifici (ELISA) che
però possono essere negativi se il parassita è morto. Rx addome: può rilevare calcificazioni. TC ed
ecografia: possono evidenziarle.
Compicanze: a seguito di traumi o interventi possono rompersi dando gravi reazioni
anafilattiche. Possono rompersi all’interno di un bronco o all’interno dell’albero biliare dando
colestasi. Può esserci colonizzazione batterica con sviluppo di un ascesso.
Terapia: cisti piccole richiedono un trattamento conservativo, le calcificate sono considerate non
attive. La terapia medica prevede benzimidazolici (mebendazolo o albendazolo). Le cisti
sottocapsulari o voluminose sono trattate con la chirurgia. Si pratica pericistectomia
(enucleroresezione). La resezione epatica è raramente necessaria.
Pseudocisti: lesioni sottocapsulari, in genere da pregressi traumi epatici.
Tumori benigni
Le neoformazioni benigne del fegato possono assumere forma cistica o solida. Tra le prime, ci
sono cisti, ascessi e cisttoadenomi. Lesioni solide benigne sono: gli angiomi, gli adenomi epatici, gli
amartomi mesenchimali e l´iperplasia focale nodulare. Nella maggior parte delle lesioni solide si
rende necessario, per una più precisa definizione diagnostica, il ricorso all´agobiopsia ecoguidata;
le immagini radiologiche ed ecografiche di alcune lesioni cistiche e degli emangiomi cavernosi,
invece, sono in genere sufficienti per porre la diagnosi senza che si renda necessario il ricorso alla
biopsia. Ci si deve assicurare della benignità della cisti, la terapia chirurgica può essere utile:
Adenoma
È una neoplasia benigna con incidenza 40 volte minore rispetto all’epatocarcinoma. È stata messa
in correlazione con l’assunzione di anticoncezionali estro progestinici. Macroscopicamente è una
lesione capsulata, di consistenza molle, nel 30% è multipla. Microscopicamente gli epatociti sono
ben maturi e differenziati, con totale assenza di spazi portali e dotti biliari nel suo contesto.
Diagnosi: spesso è asintomatico, riscontro occasionale in corso di laparotomia o ecografia. Può
però anche dare dolore acuto o rottura con emorragia e formazione di emoperitoneo (possibile
shock emorragico). In ogni caso la diagnosi viene posta con ecografia e successivamente TC con
mdc con successiva biopsia (DD con carcinoma).
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Terapia: gli adenomi sintomatici o complicati da emorragia richiedono chirurgia resettiva. Se il
tumore è asintomatico e di dimensioni modeste (<6cm di diametro), possiamo avere un
atteggiamento conservativo con stretti follow up. Quelli di grossi dimensioni vanno asportati
velocemente per l’elevato rischio di complicanze (emoperitoneo, emorragia e infarto intestinale).
Iperplasia nodulare focale
È una lesione nodulare in genere unica, priva di potenziale maligno, che insorge in fegato sano.
Come per l’adenoma gli spazi portali sono assenti, ma è possibile riscontrare un discreto numero
di dotti biliari di piccolo calibro. La fisiopatologia non è ben nota.
Clinica: la maggioranza dei pazienti è asintomatica e le complicanze sono rare a differenza
dell’adenoma. Può esserci dolore o senso di peso. La diagnosi è strumentale con ecografia e TC,
tuttavia studi recenti sembrano dire che la RM con mdc epatospecifico (mdc superparamagnetico
ossido di ferro  si accumula nelle cellule di Kupfer) sia l’indagine più accurata.
Terapia: non necessita di terapia e l’intervento chirurgico di resezione è indicato solo per i pazienti
gravemente sintomatici per le dimensioni della lesione o nei casi di diagnosi incerta.
Emangioma: è la neoformazione epatica benigna di più frequente riscontro; costituisce reperto
occasionale nel 5-7% delle autopsie. Si tratta di lesioni nodulari, singole o multiple, di consistenza
molle, spesso a localizzazione sottocapsulare a livello del lobo destro.
Costituito da una rete di canali tappezzati da endotelio e ripieni di sangue, parte delle strutture
pseudovascolari va incontro a obliterazione e viene sostituita da connettivo fibroso. L’emangioma
cavernoso per alcuni autori è un anomalia congenita (ampi spazi vascolari comunicanti).
Clinica: la maggior parte dei pazienti è asintomatica. La presenza può segnalarsi per la comparsa
di complicanze come trombosi acuta con intrappolamento di elementi figurati e rischio di embolia
polmonare (sindrome di Kasabach-Merrit con trombocitopenia), rottura spontanea (evento
rarissimo) o post traumatica in cavità peritoneale. In caso di voluminosi angiomi cavernosi con
shunt, può dare scompenso cardiaco.
Diagnosi: in genere posta con esami strumentali come ecografia e TC. Raramente è necessaria la
diagnosi istologica con puntura eco guidata.
Terapia: la prognosi è benigna, non è stata dimostrata trasformazione maligna e il follow up ha
dimostrato che l’aumento di volume è lento e progressivo. Per questo l’intervento chirurgico è
riservato ai casi sintomatici o esposti a complicanze. Si esegue resezione dei segmenti interessati
con risparmio accurato del parenchima sano. Trattamenti alternativi come embolizzazione dei
rami arteriosi afferenti all’angioma oppure irradiazione o infusione intralesionale di CCS non
hanno dimostrato efficacia reale e vanno riservati ai casi sintomatici di pazienti non in condizione
di subire intervento chirurgico.
Tumori maligni
I tumori maligni primitivi del fegato rappresentano una delle neoplasie di più frequente riscontro.
Rispetto al passato è oggi possibile una diagnosi in stadio più precoce e la possibilità di un
maggiore intervento terapeutico. È associato nel 90% dei casi a epatite B e/o cirrosi epatica.
Carcinoma epatocellulare
Costituisce oltre l’80% di tutti i tumori maligni primitivi del fegato.
Fattori di rischio: Razza: incidenza drammaticamente alta in alcune popolazioni di Asia e Africa;
Sesso: rapporto M:F di 3-8; Età: oltre i 60 anni nelle zone a basso rischio, oltre i 40 nelle zone ad
alto. Numerosi poi sono i fattori di rischio implicati nella patogenesi dell’epatocarcinoma:
• Epatite B e C: nelle zone con maggiore incidenza di epatite il carcinoma epatocellulare è
più comune. I virus causano un incremento di mutazioni cellulari.
• Aflatossina: micotossina di Aspergillus flavus. È un potente cancerogeno
• Alcool e tabacco: il fumo direttamente, l’alcool in quanto causa di cirrosi epatica.
• Cirrosi: la cirrosi è presente in più della metà dei casi di epatocarcinoma.
• Altri fattori: ormoni androgeni e anabolizzanti, agenti cancerogeni, infezioni.
Anatomia patologica: in genere si presenta come massa singola di grosse dimensioni, circoscritta o
infiltrante, di consistenza soffice (rischio di rottura intraperitoneale). All’interno del tumore
troviamo aree di necrosi ed emorragia. Sono presenti varie varianti istologiche (solido, scirroso…)
Tende a invadere precocemente le strutture portali dando origine a trombi neoplastici retrogradi
responsabili di metastasi diffuse intraparenchimali. Le metastasi a distanza si diffondono per via
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ematogena coinvolgendo principalmente polmone (95%), surrene, intestino, ossa, milza, cuore, e
rene. Le metastasi che si diffondono per via linfatica vanno invece a localizzarsi ai linfonodi
dell’ilo epatico, linfonodi peripancreatici, al retroperitoneo, al mediastino e ai linfonodi paraaortici.
Clinica: il quadro clinico è molto vario. L’esordio è spesso insidioso (grande capacità di compenso
del fegato che ritardano l’insufficienza e rapida crescita del tumore) e spesso il tumore è già in fase
avanzata quando giunge all’osservazione del medico dato che deve raggiungere discrete
dimensioni prima di dare sintomi. Tra i sintomi più comuni ricordiamo: dolore addominale,
anoressia, calo ponderale. Meno frequentemente emoperitoneo da rottura, possibile ittero (per
compressione vie biliari). Il segno di più frequente riscontro è l’epatomegalia. È possibile anche
palpare tumefazioni dure e spesso dolenti. In fase avanzata compaiono segni di cirrosi (ascite, etc.).
Può anche dare fenomeni paraneoplastici: ipoglicemia, eritrocitosi, ipercalcemia,
ipecolesterolemia, ginecomastia, polineuropatie, ipertensione, ipertiroidismo, etc.
Diagnosi: Esami sierologici: non sono specifici e indicano una più o meno marcata insufficienza
epatica. Il marker più utilizzato è l’alfa fetoproteina (valori maggiori di 400 ng/ml), elevata nel 4080% dei casi ed è in rapporto con le dimensioni della massa. Scompare dopo resezione ed una sua
ricomparsa può indicare una recidiva. Ecografia con eco color doppler: è certamente la metodica
di prima scelta, presentando numerosi vantaggi. I reperti ecografici di epatocarcinoma possono
essere: lesioni nodulari, lesioni diffuse o un quadro misto. L’ecografia è anche utile per valutare i
rapporti della massa con i vasi, la presenza di ascite, eventuali linfoadenopatie. È l’indagine
principale anche nel follow up dei pazienti cirrotici alla ricerca di lesioni nodulari.
La TC con mdc (e angio-TC) viene effettuata per precisare i rapporti, limiti e anche le metastasi a
distanza eventuali. La TC permette anche la stadiazione TNM, utile per la prognosi e la
programmazione delle terapia (anche PET-FDG). Si può somministrare lipiodol per meglio
localizzare le lesioni epatiche che appunto lo captano preferenzialmente.
Arteriografia: è l’esame conclusivo per valutare estensione, multicentricità e soprattutto invasione
vascolare di un epatocarcionoma. Utile anche Rx torace e scintigrafia ossea (metastasi).
Stadiazione TNM: T1: massa unica <2cm, no invasione vascolare. T2: unico <2cm, con invasione
vascolare oppure multipli <2cm e senza invasione. T3: unico o multiplo >2cm, con invasione
vascolare. Anche multipli <2cm con invasione vascolare. T4: multipli, in più di un lobo oppure
invasione vascolare di un ramo principale di porta o vene epatiche.
Stadio: Stadio I: T1 N0 M0; Stadio II: T2 N0 M0; Stadio III: T1-2-3 N1 M0 o T3 N0 M0. Stadio IVa:
T4 ogni N M0. Stadio IVb: T4 ogni N M1.
Terapia: la resezione chirurgica è il trattamento di scelta per il carcinoma epatocellulare anche se
spesso giunge in stadio avanzato e non resecabile (solo 20-30% lo sono). Bisogna valutare il
paziente non solo dal punto di vista della resecabilità (estensione, invasione, metastasi) ma
soprattutto dal punto di vista della funzionalità epatica poiché il tumore spesso insorge su fegato
malato. Il tumore è resecabile se le dimensioni non superano i 5cm in caso di nodulo singolo e 3 cm
nel caso di noduli plurimi (massimo tre)  criteri Milano e se non vi è ipertensione portale.
L’intervento deve prevedere il risparmio della maggior quantità possibile di parenchima sano.Gli
interventi di scelta sono resezioni atipiche (resezione del tumore con margine di 1-2 cm),
resezioni periferiche e segmentectomie. Si può resecare massimo il 50% del fegato in caso esso sia
sano. La mortalità postoperatoria è molto alta in interventi ampi, soprattutto in caso di paziente
cirrotico. Altro problema è la riduzione della perdita ematica che può essere fatta tramite
clampaggio del pedunculo epatico (manovra di Pringle).
Visto che spesso non è operabile e che anche dopo trapianto di fegato la sopravvivenza è bassa (già
metastasi a distanza), sono stati sperimentati vari trattamenti non chirurgici. Non si fa
chemioterapia, anche se attualmente si utilizzano antiblastici legati a Lipiodol (per agire
selettivamente) e nuovi farmaci come gli inibitori della neoangiogenesi (sorafenib).
L’alcolizzazione percutanea è la tecnica alternativa più usata. Causa una necrosi e disidratazione
del tumore. Si effettua con iniezione sotto guida ecografica, può distruggere piccoli noduli. Altre
tecniche sono radioterapia, crioterapia, ipertermia interstiziale (ad esempio con radiofrequenza),
chemioembolizzazione (con sostanze sclerosanti), etc. La termoablazione con radiofrequenza
intraoperatoria è un’alternativa per i casi giudicati inoperabili in sede operatoria.
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Altri tumori maligni:
Carcinoma fibrolamellare
È una variante del carcinoma epatocellulare (1%). Una caratteristica che lo distingue dal carcinoma
più comune, è la presenza di calcificazioni nel contesto della massa (rilevabili a con Rx diretto
addome). La prognosi è nettamente migliore essendo resecabile nel 50-75% dei casi.
Carcinoma colangiocellulare
Costituisce il 10% dei tumori maligni primitivi del fegato. Ha origine nell’epitelio dei dotti biliari
intraepatici. Alcuni fattori eziologici sono stati proposti quali fattori di rischio: uso del diossido di
torio (usato in radiologia sino al 1940), associazione con litiasi dei dotti intraepatici, infezioni del
parassita Clonorchis sinesis, leggera associazione con la RCU.
Clinicamente si presenta come l’epatocarcinoma ma con ittero presente molto più frequentemente.
La d.d. si fa tramite esame istologico. La resecabilità è inferiore al 10-5% e il tumore non risponde
alle terapia palliative. La prognosi quindi è altamente infausta.
Tumori metastatici
I tumori metastatici sono le lesioni maligne di più frequente riscontro nel fegato, e il fegato è
l’organo extralinfonodale più interessato da metastasi a distanza.
In genere la maggior parte proviene dal tratto GI, e per questo il CEA sierico è il marcatore più
attendibile (80% dei casi). L’alfa fetoproteina non si eleva in caso di metastasi epatiche da neoplasie
non primitive del fegato.
Per la diagnosi ci avvaliamo di ecografia e TC con mdc.
Terapia:
• Metastasi da tumore del colon-retto: la terapia elettiva è l’intervento chirurgico, ma solo
nel 5% dei casi è resecabile. Un’alternativa sono tecniche di chemioterapia loco-regionale.
La sopravvivenza dopo intervento chirurgico migliora certamente.
Come farmaci si preferiscono 5 fluoro-uracile e floxuridina.
• Metastasi da tumore non del colon retto: (stomaco, pancreas, mammella) hanno prognosi
nettamente peggiore con evoluzione molto più rapida. Inoltre anche se viene talvolta posta
indicazione alla resezione epatica, la recidiva locale si presenta immancabilmente a breve
distanza di tempo. Una migliore risposta si ottiene con le terapie embolizzanti.
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VIE BILIARI
Il sistema biliare drena la bile prodotta nel fegato degli epatociti attraverso la cistifellea per
l’immagazzinamento e quindi attraverso il duodeno per la secrezione intestinale. Esistono vie
biliari intraepatiche e vie extraepatiche. Le piccole vie intraepatiche formano due radici biliari
nell’ilo epatico e quindi confluiscono nel dotto epatico comune. Questo dotto si unisce al dotto
cistico che drena la cistifellea per unirsi al coledoco, dotto escretore che sbocca nel duodeno. La
cistifellea è il piccolo organo che immagazzina le bile prodotta del fegato. È irrorata dall’arteria
cistica (ramo dell’arteria epatica propria). Le vene confluiscono invece nella vena porta.
Calcolosi biliare
La litiasi biliare è caratterizzata dalla presenza di uno o più calcoli nelle vie biliari. Nel 90% dei casi
questi sono localizzati nella colecisti e in questo caso nel 10-15% si ritrovano anche nella via
biliare principale (VBP). In genere si tratta di calcoli migrati attraverso il dotto cistico nel corso di
una colica biliare. Molto rara è la possibilità che si formino direttamente nella VBP, mentre più
frequente è la calcolosi residua dopo colecistectomia. I calcoli possono essere anche intraepatici.
Epidemiologia: è una patologia comune, più nel sesso femminile. La prevalenza aumenta con
l’età, ma in corso di malattie emolitiche è possibile anche nei bambini. Altri fattori di rischio sono il
numero di gravidanze, l’obesità, l’infezione delle vie biliari, la cirrosi, la nutrizione parenterale.
Eziopatogenesi: i calcoli sono il risultato della precipitazione di sostanze organiche e sali minerali
intorno ad un nucleo. La composizione della bile influenza la probabilità di formazione dei calcoli.
Un aumento del contenuto di colesterolo, così come un aumento della produzione di mucina da
parte dell’epitelio colecistico, sono fattori litogeni. Anche l’ipomobilità della colecisti favorisce la
formazione di calcoli. Sulla base della composizione chimica i calcoli possono essere distinti in:
• Calcoli misti: 80%, costituiti soprattutto da colesterolo, sali di calcio e pigmenti biliari. Si
formano in genere nel lume della colecisti e sono radiopachi.
• Calcoli puri di colesterolo: 15%, spesso solitari. Obesità e dieta sono fattori di rischio.
• Calcoli pigmentari: sono neri o bruni, formati da bilirubina o calcio. Si formano per un
eccesso di bilirubina che polimerizza all’interno della colecisti.
Clinica: l’esordio della calcolosi biliare è vario; in genere è sintomatica e solo nell’1-4% dei pazienti
nell’anno successivo alla diagnosi e solo nel 25% nei 20 anni successivi. Per i soggetti che
sviluppano sintomatologia dolorosa questa tenderà spesso a recidivare. Il rischio di colecistite
acuta è maggiore in caso dei calcoli di medio-grandi dimensioni, mentre la microlitiasi è associata
a maggior rischio di pancreatite acuta. La presentazione più comune è un dolore addominale ai
quadranti superiori dell’addome, spesso dopo ingestione di pasti ad alto contenuto lipidico. Il
dolore biliare + intenso e penetrante, all’ipocondrio destro, ma irradiato spesso (vedi colecistite).
Si protrae per un certo tempo e poi si risolve spontaneamente. La definizione di colica biliare è
impropria, essendo la colica in realtà un dolore intermittente, mentre questo è continuo e causato
dall’ostacolo al deflusso biliare con distensione del lume (ciò avviene quando sono interessate le
VBP). Il prurito è un altro elemento associato a colestasi, altri sintomi sono calo ponderale,
dispesia. L’ittero compare quando i livelli di bilirubina superano i 3 mg/dl, ma può esserci
subittero (magari colorazione solo di sclere o palmi) già a livelli più bassi. La presenza di ittero con
dolore addominale indica ostruzione della via biliare, sia che sia litiasi che neoplastica. La d.d. va
posta con appendicite, ulcera peptica, volvolo gastrico, colangite, colecistite, colangiocarcinoma,
gastrite, malattia da reflusso, neoplasia del pancreas, pancreatite.
1) Calcolosi della colecisti
È un’affezione molto frequente che può essere asintomatica (vd. colecistite cronica litiasica) oppure
dare sintomi quali dolore biliare (può durare ore), ma anche nausea e vomito.
Diagnosi: il sospetto clinico trova conferma nel reperto ecografico. Un Rx dell’addome puo
rilevare calcificazioni. In caso di ostruzione può esserci aumento di bilirubina, gamma-GT e
fosfatasi alcalina, mentre è difficile un aumento delle transaminasi.
Complicanze: migrazione nel VBP (possibile ostruzione), colecistite acuta (può dare perforazione
e gangrena), pancreatite acuta (per migrazione di calcoli), fistola bilioenterica.
Terapia: attualmente la litrotrissia extracorporea con onde d’urto e la terapia medica con acido
ursodesossicolico ad alte dosi non sono più raccomandati. Il trattamento di scelta per la calcolosi
sintomatica è la terapia chirurgica di rimozione della colecisti (per evitare anche le frequenti
ricadute); In genere le forme asintomatiche non si operano tranne in alcuni casi di microlitiasi
asintomatica in cui vi è rischio di pancreatite acuta (comunque aumenta il rischio di cancro della
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colecisti). Colecistectomia con accesso laparotomico: con laparotomia sottocostale destra o
mediana. La colecistectomia attualmente si effettua con accesso laparoscopico che ha sostituito il
precedente laparotomico anche se in presenza di fattori “complicanti” (infiammazione della
colecisti o del peduncolo epatico, ipertensione portale) si può ancora preferire la laparotomia. Il
rischio più temibile dell’intervento sono le lesioni iatrogene della VBP con frequenza maggiore
dell’accesso laparotomico. L’approccio laparoscopico richiede l’induzione di uno
pneumoperitoneo attraverso l’insufflazione nella cavità peritoneale di anidride carbonica
impiegando metodi chiusi o aperti. Il chirurgo posiziona 2 o 3 trocar operativi attraverso i quali
può inserire gli strumenti. Il laparoscopio permette di vedere l’intervento. Durante l’intervento è
importante identificare e dividere l’arteria cistica isolando l’organo con legatura su clip e divisione.
L’esecuzione della colangiografia intraoperatoria (PTC) in corso di colecistectomia chirurgica è
utile, infatti ha consentito di ridurre la percentuale di calcoli misconosciuti della via biliare. Si può
eseguire anche in corso di colecistectomia laparoscopica.
2) Calcolosi della via biliare principale (coledocolitiasi)
I calcoli possono formarsi direttamente nella VBP oppure migrare dalla colecisti (molto più
comune). La migrazione avviene più facilmente in caso di micro litiasi.
Clinica: anche questa è spesso asintomatica. I sintomi compaiono quando il calcolo ostruisce il
lume della VBP e ciò si verifica più frequentemente nell’ampolla di Vater che è il segmento più
ristretto con aumento della pressione e distensione delle vie biliari che causano dolore. Se
l’ostruzione è stabile compare ittero colestatico. Possono instaurarsi sovra infezioni batteriche
ascendenti (colangitiche) che comportano bile purulenta e comparsa di lesioni. Un'altra
complicanza è l’occlusione dello sfintere di Oddi con ipertensione e lesioni a carico del dotto di
Wirsung che può predisporre a pancreatite acuta.
Il paziente con ostruzione biliare presenta quindi in genere coliche biliari e ittero con comparsa di
urine ipercromiche e feci ipocoliche. In presenza di coledocolitasi e colangite può comparire febbre
e brividi. Spesso abbiamo iperbilirubinemia (maggiore 3 mg/dl), aumento della transaminasi e
aumento della fosfatasi alcalina.
Diagnosi: clinica ed esami di laboratorio, ma la conferma avviene attraverso indagini strumentali.
Queste sono ecografia (primo livello) e poi indagini più recenti come colangio-RMN,
colangiografia endovenosa, TC elicoidale con studio colangiografico.
Terapia: è chirurgica ed è molto cambiata negli ultimi anni. In particolare l’endoscopia operativa
ha rappresentato un alternativa alla chirurgia tradizionale. Oggi l’atteggiamento più diffuso è
quello di procedere alla disostruzione della via biliare principale per via endoscopica (con
sfinterotomia endoscopica  papillosfinterotomia endoscopica con estrazione del calcolo) seguita
a breve termine dalla colecistectomia laparoscopica.
• Sfinterotomia endoscopica: sezione con l’elettrocauterio delle fibre sfinteriche e quindi
l’estrazione transduodenale dei calcoli. In genere è seguita da colecistectomia. Ha minore
mortalità della tecnica chirurgica. Complicanze sono pancreatite, recidive, stenosi.
• Esplorazione transcistica: in caso di calcoli non numerosi e piccoli in genere. Con la sonda
di Dormia si penetra nel lume del dotto cistico e si fa progredire sino allo sfintere di Oddi.
• Coledocolitotomia: è la tecnica più usata. Si divide la via biliare lungo l’asse maggiore, si
estraggono i calcoli con pinze o con la sonda di Fogarty (si gonfia un pallone e poi si tira).
• Sfinterotomia trans duodenale: tecnica chirurgica, impiegata in casi eccezionali.
3) Calcolosi intraepatica
Indica la rara presenza di calcoli a livello delle vie biliari intraepatiche (canalicoli loburari e dotti
lobari) spesso per migrazione, rara invece è la calcolosi primitiva. La forma “autoctona” è spesso
associata a dilatazioni o restrizioni congenite dell’albero biliare intraepatico.
La litiasi intraepatica è responsabile di lesioni a carico dell’albero biliare e più tardivamente a
carico del parenchima epatico da esso drenato. Può dare complicanze infettive, cirrotiche,
atrofiche. Le forme croniche sono associate a rischio di evoluzione verso colangiocarcinoma.
Terapia: prima bisogna risolvere la colangite se presente. Nelle forme diffuse all’interno del
sistema duttale intraepatico si può intervenire con litotomia (trancoledocotomica e trans epatica).
La litotomia è completata dall’apposizione di un tubi endoluminale per permettere il lavaggio
dell’albero biliare. Nelle localizzazione del sistema duttale di un solo lobo epatico, la scelta
attualmente è la resezione epatica (emiepatectomia destro o sinistra o settoriectomia).
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Infezioni e infiammazione delle vie biliari
Colecistite
L’infiammazione della colecisti prende il nome di colecistite: acuta, cronica o cronica riacutizzata.
Quella acuta è un’infiammazione causata nel 90% dei casi da un ostruzione del collo o del dotto
cistico per calcolosi biliare ed è spesso causa di colecistectomia d’urgenza. Rara è quella alitiasica,
in genere risultato di un ischemia. Le complicanze in tal caso sono più gravi con decorso più
rapido (la gangrena e la perforazione possono poi portare a fistola bilio-enterica e ileobiliare). Tale
patologia insorge nel paziente critico politraumatico, dopo nutrizione parenterale di lunga durata.
In genere non è associata, almeno inizialmente a contaminazione batterica.
Clinica: caratterizzata da progressivo dolore in epigastrio con febbre, anoressia, tachicardia,
sudorazione, nausea e vomito, leucocitosi (> di 15mila). In genere non vi è ittero, che può indicare
ostruzione del coledoco.
Terapia: la chirurgia deve essere immediata. Una volta accertata la diagnosi, occorre interrompere
l’assunzione di cibo e liquidi, iniziare infusione parenterale con copertura antibiotica e adeguata
analgesia con anti-dolorifici non steroidei (che riducono la produzione di mucina nella colecisti e
riducono pressione e dolore). L’intervento chirurgico di scelta è la colecistectomia laparotomica o
con tecnica mini-invasiva (con tasso di conversione tuttavia maggiore). L’intervento va fatto
precocemente entro 24-48h dalla diagnosi. Infatti la colecistite acuta può progredire verso
empiema, colecistite enfisematosa, gangrenosa o verso la perforazione. In questi casi si richiede
colecistectomia d’urgenza. La colecistectomia d’urgenza rimane il trattamento di scelta per la
forma alitiasica anche di fronte solo ad un motivato sospetto, in considerazione della complessa
situazione generale; il rischio di mortalità è elevato (40%). Il tasso di conversione da approccio
video-laparoscopico a laparotomia è molto alto, circa del 30%.
La colecistite cronica può essere una sequela di ripetuti episodi di colecistite acuta o anche in
assenza di attacchi precedenti. È associata a litiasi nel 90% dei casi. Il sintomo cardine della
colelitasi sintomatica è la colica biliare. L’ostruzione del dotto cistico a causa del calcolo causa
aumento della tensione della parete e quindi dolore a livello del quadrante addominale superiore
destro e talvolta coinvolgente l’epigastrio (o localizzato solo in quest’ultima area).
Frequentemente si irradia posteriormente a destra verso l’alto verso la scapola destra. Il dolore è
molto intenso con durata di 1-5 ore. In genere si ha associazione con pasto abbondante soprattutto
di lipidi. Sintomi associati sono nausea e vomito, meteorismo addominale ed eruttazioni.
La colecistite cronica può portare a superinfezioni batteriche con colangite o sepsi, perforazione
della colecisti ed ascessi, fistola bilioenterica e colecisti a porcellana con rischio di sviluppare
cancro. La video-colecistectomia laparoscopica è il trattamento di scelta per il paziente con
colecistite cronica litiasica o sintomatica. I risultati a lungo termine della video-colecistectomia
laparoscopica sono eccellenti.
Alcuni pazienti presentano disturbi tipici per colica biliare (dolore post prandiale all’ipocondrio
destro, intolleranza a pasti grassi e nausea) ma non presentano evidenza di colelitiasi.
Ulteriori indagini vengono eseguite per evidenziare altre condizioni morbose (TC addome,
esofago-gastro-duodeno-scopia, talora CPRE). Di fronte al mancato riconoscimento di altre
patologie dovrebbe essere presa in considerazione la diagnosi di discinesia biliare, ovvero quella
di una colecistite cronica alitiasica. L’esecuzione di una colescintigrafia con HIDA marcata con
tecnezio previa somministrazione di colecistochinina può essere di ausilio nell’identificare questa
condizione. La presenza di una frazione di eiezione della colecisti anormale in presenza di disturbi
tipici per colica biliare è un indicazione all’intervento chirurgico che potrà essere eseguito per via
mini-invasiva (colecistectomia). L’esame istologico post operatorio dimostra la presenza di
colecistite cronica nel 70% dei casi.
Colangite
La colangite è il termine usato per le infezioni batteriche dei dotti biliari. Può derivare da qualsiasi
lesione che ostruisce il flusso biliare come coledocolitiasi (calcolo del dotto principale) e stenosi
biliare. Cause meno comuni sono stent, cateteri a permanenze e pancreatite acuta. In genere è
causata da batteri Gram negativi come E.Coli, Klebisella, Enterobatteri, raramente miceti, virus o
parassiti. Si presenta in genere con febbre, brividi, ittero, dolore addominale. Il quadro più grave è
la colangite suppurativa con bile purulenta che riempie e distende i dotti biliari. La diagnosi
tempestiva è fondamentale. La terapia è medica con antibiotici e acido ursodesossicolico.
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Disfunzione dello sfintere di Oddi
Il dolore tipico della colica biliare ed episodi di pancreatite acuta ricorrente sono stati attribuiti alla
presenza di una sindrome da disfunzione dello sfintere di Oddi, che può essere causata da
anormalità funzionali o strutturali dello sfintere stesso. La fibrosi dello sfintere determinata dalla
migrazione di calcoli, traumi endoscopici e chirurgici, da pancreatite o da processi infiammatori
aspecifici causa aumento della pressione a livello dello sfintere. L’aumento della pressione può
essere dovuto anche a discinesia dello sfintere o spasmo. Quindi tale disfunzione va sospettata nei
pazienti con dolore biliare in assenza di cause organiche riconosciute. L’ecografia può dimostrare
una via biliare principale dilatata (>12mm), la colangiografia endoscopica rileva un ritardato
svuotamento del coledoco, la manometria endoscopica dimostra la presenza di livelli pressori
elevati in condizioni basali correlati ad una risposta positiva alla successiva papillosfinterotomia.
La terapia consiste nella papillosfinterotomia endoscopica (ERCP) ovvero nella sfinteroplastica
transduodenale con settotomia transampollare.
Tumori maligni delle vie biliari
Comprendono i tumori delle vie biliari e della colecisti. Ve ne sono di benigni (molto rari, per lo
più adenomi) e maligni.
Tumori maligni
Sono meno frequenti rispetto ad altre localizzazioni, il carcinoma della colecisti è la neoplasia più
comune poi vi sono i colangiocarcinomi delle vie biliari. Il tumore alla colecisti è più comune nelle
donne, il colangiocarcinoma negli uomini. È molto difficile ottenere una diagnosi precoce.
Fattori di rischio: dilatazione cistica della via biliare (causa flogosi cronica), in generale
colelitiasi (quasi sempre presente) e in particolare litiasi intraepatica, poi anche parassitosi. Vi è
associazione con la retto colite ulcerosa (che causa colangite sclerosante) e l’uso di thorotrast
(mezzo di contrasto un tempo impiegato in radiologia).
1) Carcinoma della colecisti:
Anatomia patologica: nel 55% dei casi si trova nel fondo, poi corpo e infundibulo. Il tipo più
frequente è l’adenocarcinoma, poi il carcinoma epidermoide. Circa ¼ di questi tumori viene
scoperto casualmente in corso di una colecistectomia eseguita per una litiasi. In genere ha
accrescimento infiltrante con ulcere, oppure esofitico (a cavolfiore). La diffusione al fegato è
presente al momento della diagnosi nel 70% dei casi. Dà metastasi per via linfatica ai linfonodi
dell’ilo epatico. Infiltra precocemente parenchima e vie biliari. Metastasi a distanza a peritoneo,
tratto GI e polmoni.
Stadiazione: Stadio I: confinato alla mucosa. Stadio II: invasione di mucosa e muscolaris
mucosae. Stadio III: invasione della sierosa. Stadio IVa: invasione di sierosa e linfonodo cistico.
Stadio IVb: invasione del fegato o altri organi circostanti.
Clinica: in genere appare nel contesto di colecistopatia. Spesso insidiosa, con dolore al quadrante
superiore destro., simile alla litiasi. L’ittero si presente solo nello stadio avanzato.
Diagnosi: la diagnosi precoce è complicata, le metodiche sono le stesse del colangiocarcinoma.
Terapia: pare che i migliori risultati li dia una colecistectomia “allargata”, coinvolgente cioè anche
il letto epatico della colecisti e associata a linfadenectomia del peduncolo epatico.
Prognosi: la sopravvivenza è più elevata nel caso di riscontro casuale durante colecistectomia. In
genere però è molto bassa, circa 5% a 5 anni. Senza terapia la sopravvivenza media è 6 mesi.
2) Colangiocarcinoma:
Neoplasia maligna dell’albero biliare che origina dai dotti biliari intraepatici ed extra epatici.
Classificazione topografica: nel 90% dei casi la sede è extraepatica. Abbiamo:
Neoplasie del terzo superiore (tumore di Klatskin): comprendono dotto epatico comune e parte
distale del dotto biliare. Neoplasie del terzo medio: giunzione epatocistica sino al bordo superiore
del duodeno. Neoplasie del terzo inferiore: tra bordo superiore del duodeno e papilla di Vater (i
tumori della papilla sono detti carcinomi periampollari). I tumori ilari (di Klatskin) possono poi
coinvolgere il solo dotto epatico comune (tipo 1), il dotto epatico comune e il confluente biliare
principale (tipo 2), estensione alla confluenza secondaria (di destra o di sinistra, tipo 3), estensione
ad entrambe le confluenze secondarie (tipo 4).
Anatomia patologica: sono in genere di piccole dimensioni. Possono essere infiltranti o vegetanti. I
carcinomi ilari possono essere infiltranti, polipoidi o stenosanti. Nel 57% dei casi la localizzazione
è al terzo superiore. Il tipo più comune è l’adenocarcinoma, in più varianti (papillare, nodulare,
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etc.). Questi tumori metastatizzano precocemente ai linfonodi regionali e infiltrano gli organi
circostanti, più tardive le metastasi a distanza. Rappresenta il 25% delle neoplasie delle vie biliari.
TNM: T1: solo mucosa o strati muscolari. T2: invasione tessuti periduttali. T3: invasione strutture
adiacenti. Stadiazione: Stadio I: T1 N0 M0. Stadio II: T2 N0 M0. Stadio III: T1-2 N1 M0. Stadio
IVa: T3 ogni N M0. Stadio IVb: ogni T ogni N M1.
Clinica: il quadro è in genere a esordio subdolo, con sintomi da ostruzione biliare. A volte
anoressia e astenia. Il sintomo principale è l’ittero, presente nel 90% dei casi, poi anche prurito e
dolore, febbre. In genere epatomegalia dolente, colecisti distesa (segno di Courvoisier-Terrier).
Diagnosi: Esami di laboratorio: nei tumori delle vie biliari e della colecisti si osserva aumento
della bilirubinemia torale (specie la coniugata), transaminasi, gamma-GT, fosfatasi alcalina.
Ecotomografia: l’ecografia permette di vedere la dilatazione dele vie biliari in caso di ostruzione,
potendone spesso precisare la sede. TC: immagini tridimensionali. Colangio-RM: ricostruisce le
vie biliari intra ed extraepatiche, con effetto simile alla colangiografia diretta. Arteriografia: oggi
impiegata raramente. Altri esami, con valore anche terapeutico sono:
• PTC: colangiografia percutanea trans epatica: si tratta dell’esame di scelta nelle lesioni
prossimali dell’albero biliare associate a dilatazione delle vie biliari intraepatiche. L’accesso
è percutaneo, mediante puntura diretta del fegato con ago sottile (di Chiba) sotto controllo
radioscopico. Si inietta un mdc radiopaco. Il suo successo dipende dall dilatazione delle vie
biliari (senza è un esame complesso). Si usa anche a fini terapeutici per eseguire drenaggi,
dilatazioni, endoprotesi, asportazioni calcoli.
• ERCP: colangiografia retrogrado per endoscopica: si esegue in corso di endoscopia
gastroduodenale mediante incannulamento della papilla di Vater e iniezione del mdc che
opacizza vie biliari e dotti pancreatici. Distingue anche i tumori della testa del pancreas.
Sono entrambe valide, ma l’ERCP ha importanti effetti collaterali (pancreatite acuta) ed inoltre non
è indicata per le neoplasie del terzo superiore della via biliare (specie se intraepatiche).
Terapia: dipende molto dalla localizzazione. In ogni caso questi tumori hanno frequente
estensione canalicolare per 0,5-1,5 cm. Per le neoplasie del terzo medio e del terzo distale la
possibilità di un exeresi a intento curativo è elevata (anche fino al 80%), ma per le neoplasie del
terzo superiore arriva solo al 10%.
• Tumori del terzo distale e del terzo medio: l’intervento di scelta è la duodeno-cefalopancreasectomia. Peri tumori del terzo medio se vi è solo estensione prossimale si potrà
procedere alla sola exeresi della via biliare con allestimento di un anastomosi
biliodigestiva.
• Tumori del terzo superiore: resezione chirurgica dell’intera confluenza delle vie
intraepatiche associata a resezione epatica (emiepatectomia, segmentectomia).
Terapia palliativa: la migliore palli azione è l’anastomosi biliodigestiva (che, dipendendo dalla
sede può essere coledocoduodenostomia o utilizzo di un dotto segmentale). Oggi si utilizzano
soprattutto PTC e ERCP. La PTC permette di posizionare un drenaggio o un’endoprotesi che
risolva la stenosi tumorale. L’ERCP permette di studiare meglio la regione periampollare e la via
biliare distale e di drenare le vie biliari che presentano ostruzione (sfinterotomia endoscopica).
Permette di eseguire prelievi bioprici e di posizionare drenaggi o endoprotesi. Può però causare
sepsi, pancreatite acuta, emorragia, perforazione intestinale.
Radioterapia e chemioterapia possono essere associate, ma non hanno grande effetto.
Prognosi: in media 5% a 5 anni. La sopravvivenza è migliore nei tumori del terzo medio o distale,
rispetto a quelli del terzo superiore in quanto la resecabilità è maggiore.
Ittero ostruttivo o colestatico: l’ittero è una condizione di patologica pigmentazione giallastra di
cute e mucose visibili, quando la bilirubina plasmatica supera i 2.5mg/dl (subittero 1-2mg/dl).
Può avere origne: metabolica o epatocellulare, emolitica o colestatica. In questo tipo di ittero
abbiamo un aumento della bilirubina diretta, e anche di ALP e gammaGT e di colesterolemia
(d.d.). In caso di aumento della sola bilirubina diretta, verificheremo pertanto una possibile
patologia col estatica. In primo livello l’ecografia, che è il gold standard per l’approccio allo studio
di colecisti, vie biliari e pancreas, e per la diagnosi di litiasi e dilatazione. L’ittero ostruttivo dopo
ecografia positiva per dilatazione delle via biliari può essere indicazione per una PTC. Se invece le
vie biliari sono normali, si può pensare alla Colangio-Pancreatografia-RM che fornisce immagini
dalla qualità elevatissima del distretto biliario-pancreatico. Al contrario della ERCP non è invasiva
e non necessita di mezzi di contrasto. In caso di sospetto di neoplasia, invece è la TC l’indagine
fondamentale, per valutare dimensioni, localizzazione e rapporti e informazioni per la chirurgia.
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PANCREAS
Il pancreas è una voluminosa ghiandola dell’apparato digerente con una parte esocrina (che
produce succo pancreatico) e una parte endocrina (insulina, glucagone e somatostatina). È una
ghiandola dalla forma allungata, in parte retro peritoneale, raccolta nella concavità del duodeno e
che si spinge fino all’ilo della milza. Le arterie principali che irrorano il pancreas sono l’arteria
pancreaticoduodenale superiore (ramo della arteria gastroduodenale) e l’arteria
pancreaticoduodenale inferiore (ramo della mesenterica superiore), inoltre riceve anche rami
dell’arteria splenica. Il sangue refluo è drenato da piccole vene che formando la vena
pancreaticoduodenale sboccano nella vena mesenteria superiore.
Pancreatite acuta
È una malattia infiammatoria acuta, con distruzione del parenchima ghiandolare per fuoriuscita
dal sistema duttale degli enzimi pancreatici attivati. Può essere distinta in lieve (miniima
alterazione dell’organo e no complicanze) e severa (associata a insufficienza d’organo o
complicanze e alterazioni sistemiche e dello stato generale). Nella pancreatite acuta vi è la
possibilità di completa restitutio ad integrum dopo rimozione della causa scatenante.
Eziologia: vi sono diversi fattori in grado di scatenare una pancreatite acuta, anche idiopatica:
• Calcolosi biliare: associata al 60% dei casi di pancreatite acuta, forse dovuta ad ostruzione
del dotto di Wirsung e/o reflusso di bile e soprattutto di enzimi pancreatici.
• Alcolismo: forse responsabile di quasi il 30% dei casi. Pare sia dovuta a stimolazione
vagale, maggiore sensibilità dei recettori pancreatici alla secretina, aumento di gastrina. Si
ha aumentata contrattura dello sfintere di Oddi e maggiore concentrazione di proteine nel
secreto pancreatico che potrebbero creare aggregati (plug) e ostruire i dotti.
• Ipercalcemia: da iperparatiroidismo, mieloma, sarcoidosi, etc. L’eccessiva concentrazione
di calcio nel succo pancreatico ne favorirebbe la precipitazione e quindi ostruzione.
• Iperlipoprotineimie familiari: danno vascolare da acidi grassi scissi dalle lipasi.
• Interventi chirurgici recenti: che interessino il pancreas o le strutture circostanti. Anche
ERCP, interventi di gastroresezione e splenectomia, circolazione extracorporea.
• Malattie vascolari: aterosclerosi e vasculite possono causare pancreatite su base ischemica.
• Cause iatrogene: da estrogeni, corticosteroidi, tetracicline, mezzi di contrasto.
Patogenesi: la pancreatite è dovuta all’azione degli enzimi pancreatici stessi sul parenchima. La
tripsina attiva i proenzimi in lipasi, proteasi, fosfolipasi ed elastasi. Inoltre attiva il complemento e
quindi l’infiammazione. Normalmente vi sono dei sistemi di inattivazione, cioè antiproteasi come
l’alpha1-antitripsina . La pancreatite si genera quando non vi è più equilibrio tra questi due
sistemi. Le teorie su come si liberino gli enzimi sono: teoria del dotto comune (ipertensione dovuta
all’ostruzione del dotto di Wirsung da parte di calcoli biliari), teoria della secrezione-ostruzione
(una secrezione eccessiva si succo pancreatico formerebbe micro calcoli e aggregati proteici con
rottura dei dotti pancreatici periferici), teoria del reflusso duodenale (la causa è il reflusso
duodenale, per incontinenza dello sfintere di Oddi, che genera la liberazione di enterochinasi).
Anatomia patologica: le lesioni sono: edema, emorragie endoparenchimali e necrosi.
Manifestazioni sistemiche: l’azione enzimatica tossica può diffondersi ed indurre effetti sistemici,
oltre che locali. Vi è spesso formazione di trasudato ed essudato nel retro peritoneo, ma anche in
regioni distanti dal pancreas (sottocutaneo, interstizio polmonare, cavità peritoneale). Vi può
essere ipotensione (per diminuzione delle resistenze periferiferiche, forse associata a liberazione di
sostanze vasoattive o a ipoalbuminemia che causerebbe anche i trasudati), ipocalcemia (perdita di
calcio per precipitazione o forse riduzione della sensiblità al paratormone nell’osso). Vi è in
sostanze un quadro talvolta settico e ipotensivo. Questo si associa nei casi gravi a insufficienza
renale e insufficienza respiratoria (quadro polmonare simile all’ARDS, dovuto forse alle
fosfolipasi circolanti che causerebbero lesioni delle membrane basali).
Clinica: una pancreatite lieve si associa in genere a dolore addominale lieve che recede in 2-3
giorni. La pancreatite severa è associata a dolore intenso, costante e spesso con distribuzione a
sbarra. Il quadro può essere quello di un addome acuto. Vi è frequente distensione addominale,
nausea e vomito, febbre, ileo, contrattura di difesa (incostante), ipotensione. Il dolore non
risponde bene agli analgesici (gli oppioidi aumentano il tono dello sfintere di Oddi e lo
peggiorano, meglio salicilati). Il paziente appare spesso con le cosce flesse sull’addome e piegato. Il
dolore è comunque improvviso e di grado molto alto, poco variabile e persistene per ore o giorni.
Esame obiettivo: possibili ecchimosi sui fianchi (segno di Gray-Turner) o periombelicali (di
Cullen) indicativi di stravaso ematico. A volte vi è ileo paralitico. È frequente l’ittero. Vi può
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essere inoltre un quadro generale di shock con tachicardia, ipotensione, disidratazione. Possibile
comparsa di versamento pleurico.
Complicanze: le più frequenti sono: formazione di ascessi o pseudo cisti, raccolta acuta di
liquidi, necrosi pancreatica. Altre complicanze sono: tetania (da ipocalcemia), diabete mellito
(per estensione alla componente endocrina), emorragie gastrointestinali, insufficienza renale
acuta, quadro di distress respiratorio (ARDS), encefalopatia pancratica (per azione degli enzimi
sulla mielina e la possibile insufficienza epatica), tromboflebiti, fistole e perforazioni intestinali.
Diagnosi: oltre ad anamnesi, clinica ed esame obiettivo, sono fondamentali:
Esami di laboratorio:
• Amilasemia: nei primi 2-3 giorni di sintomi vi è aumento dell’amilasi nel sangue che però
può regredire, soprattutto se vi è ampia distruzione della ghiandola. All’inizio aumenta di
3-5 volte. È poco specifica, ma importante, si riscontra anche in occlusioni intestinali o ad
esempio nell’ulcera gastroduodenale, carcinomi del pancreas e non solo, patologie delle
ghiandole salivari, insufficienza renale, malattie polmonari, ustioni. L’entità dell’elevazione
non è un indice di gravità.
• Amilasuria: si raccolgono urine nelle 2 o meglio 24 ore. Può restare elevata per più giorni.
• Altri valori alterati: transaminasi, LDH, lipasemia (più accurata e duratura
dell’amilasemia), bilirubina, gamma-GT, fosfatasi alcalina. Inoltre si ha leucocitosi
neutrofila, aumento VES, acidosi respiratoria. Anche ipocalcemia, ematocrito elevato,
aumento della glicemia, riduzione dei livelli di C3 e C4.
Poiché durante una pancreatite acuta la clearance renale dell’amilasi è superiore a quella della
creatinina si suole usare il rapporto: amilasuria/amilasemia x creatininemia/creatininuria x100. Se
questo è < 3 è improbabile la pancreatite. Possibile tra 3 e 5, probabile se è > 5.
Diagnosi strumentali: Rx addome: può evidenziare livelli idroaerei e dilatazione intestinale.
L’ansa sentinella è quanto il livello idroaereo (segno di ileo paralitico) è in corrispondenza della
prima ansa digiunale. Anche possibile il segno del colon escluso (distensione gassosa del colon
ascendente, ma il discendente è vuoto). Rx torace: sempre utile, può evidenziare un versamento
pleurico. Ecografia addominale: è complessa per il pancreas, può evidenziare edema, calcoli,
dilatazione delle vie biliari, pseudo cisti. TC: è l’indagine che fornisce più informazioni e consente
di valutare anche la gravità della pancreatite: grado A (pancreas normale), B (edema del pancreas),
C (edema anche del grasso peripancreatico), D(presenza di un flemmone), E (presenza di due o
più raccolte liquide o di aria nel tessuto pancreatico o peripancreatico). ERCP: è sconsigliata.
Diagnosi differenziale: distinguere da colica biliare, colecistite acuta, ulcera peptica perforata,
occlusione intestinale, infarto mesenterico, rottura di aneurisma aortico.
Valutazione della gravità: segni correlati a mortalità più elevata sono i criteri di Renson:
• Criteri iniziali: età>55 anni, leucociti>16000, glicemia>200, LDH>350, SGOT>250.
• Dopo 48 ore: riduzione dell’ematocrito, azotemia >50, calcemia <8, PO2 <60, deficit di basi e
sequestro di liquidi (>600 ml).
Segno prognostico sfavorevole è pure rilevazione di liquido peritoneale bruno alla paracentesi.
Per definire una pancreatite severa (e iniziare quindi i procedimenti terapeutici adatti) si usa però
il sistema prognostico di Osborne, Imrie e Carter: Comparsa di 3 o più alterazioni tra: glicemia
>180, leucociti>15000, LDH>600, azotemia >96, GOT>200, calcemia<8, albumina<3,2, PO2<60.
Terapia medica: gli obiettivi della terapia sono ridurre la secrezione pancreatica, correggere lo
squilibrio elettrolitico e ripristinare l’equilibrio acido-base. Si posiziona un sondino naso-gastrico
(per aspirare le secrezione acide gastriche) e il paziente deve stare a digiuno per 1-2 settimane. Si
attua perciò nutrizione parenterale totale (riduzione della stimolazione pancreatica). Nelle
pancreatiti severa si associa terapia antibiotica. Può servire la somministrazione di calcio. Si
esegue un’emogasanalisi ed eventualmente si ricorre alla somministrazione di O2. Intubazione in
caso di ARDS. Si somministrano somatostatina (per ridurre la secrezione pancreatica) e aprotinina
(antiproteasi). In più analgesici non oppioidi. Si può eseguire il lavaggio peritoneale, ossia
infusione di una soluzione Ringerlattato attraverso un catetere per dialisi peritoneale allo scopo di
rimuovere dal peritoneo i succhi enzimatici pancreatici e le sostanze tossiche presenti.
Terapia chirurgica: vi è un’estrema discordanza sui tempi e le modalità di intervento.
• Intervento chirurgico precoce: si indica in caso di: diagnosi dubbia e possibile
perforazione, mancata risposta al trattamento medico (per 48-72 ore), pazienti con litiasi e
segni di ostruzione vie biliari e colangite, trattamento infezioni pancreatiche.
33
•
In caso di ostruzione biliare bisogna eseguire un’ERCP o in alternativa rimozione
chirurgica del calcolo. Il trattamento delle infezioni pancreatiche (ascessi, pseudo cisti o
necrosi infette) si basa su drenaggio chirurgico e antibioticoterapia.
In caso di pancreatite acuta severa è necessario un intervento rapido in laparotomia. In
questo caso sarà necessario porre drenaggi per il lavaggio peritoneale, eseguire
colecistectomia ed esplorare la via biliare, eseguire pancreasectomia parziale o totale (che
ha però alta mortalità). In genere si lascia una cerniera ai margini della ferita laparotomia,
incorporata in una rete di plastica che consente la riapertura del cavo peritoneale
nell’immediato postoperatorio per poter consentire lavaggi (in alternativa lasciare
laparostomia, ossia ferita medicata e ma non suturata).
Intervento chirurgico tardivo: quando è passata la fase acuta, si può rimuovere la litiasi
biliare o trattare le complicanze della pancreatite quali ascessi e pseudo cisti.
Pancreatite cronica
È una patologia caratterizzata da infiammazione del pancreas cronica, irreversibile con alterazione
segmentaria e diffusa del tessuto acinoso e sclerosi connettivale con risultante insufficienza
esocrina ed endocrina. La causa più frequente è l’etilismo cronico.
La patogenesi tuttavia non è chiara e sembra multifattoriale: effetti tossici del alcool e dei suoi
metaboliti, stress ossidativo, ostruzione duttale da concrezioni.
Clinica: può essere molto varia: da episodi ripetuti di dolore addominale di intensità moderata ad
attacchi ricorrenti lievi-persistenti a localizzazione addominale e dorsale; talvolta può manifestarsi
con ittero e dispepsia ricorrente. La malattia può essere completamente silente fino allo sviluppo di
insufficienza pancreatica e diabete mellito causato dalla distruzione concomitante delle isole di
Langerhans, o per la formazione (10% dei casi) di pseudocisti pancreatiche. Per questo la diagnosi
è complessa e difficile anche perché le indagini bioumorale non sono dirimenti. Di aiuto invece
sono l’ecografia e la TC anche per il riscontro delle calcificazioni. L’esame diagnostico
fondamentale è l’ERCP che permette DD con pseudo cisti e neoplasia.
Terapia: prevede trattamento del dolore, prevenzione della ricorrenza del dolore (estratti
pancreatici ad alto dosaggio, inibizione della secrezione acida gastrica, chirurgia), trattamento
delle complicanze, terapia dell’insufficienza endocrina ed esocrina. La terapia dietetica prevede
alimentazione ricca in carboidrati con pasti piccoli e frequenti, somministrazione di enzimi in caso
di insufficienza pancreatica, somministrazione vitamine liposolubili parenterali, insulina per
l’eventuale insufficienza endocrina.
Pseudocisti pancreatiche
Si tratta di raccolte di materiale necrotico-emorragico ricco di enzimi pancreatici. Possono
localizzarsi nel pancreas o nelle sue strette vicinanze. Mancano di epitelio di rivestimento (pseudo)
e in genere originano dopo un episodio di pancreatite acuta in un quadro di pancreatite cronica
alcolica, ma anche i traumi addominali possono causarle.
Clinica: posso essere acute e comparire precocemente nel corso della malattia (e possono risolversi
spontaneamente o dopo intervento chirurgico) oppure essere croniche asintomatiche. In genere si
manifestano come una massa palpabile con dolore in sede, febbre, perdita di peso e talvolta ittero
per compressione del coledoco terminale. Persino sindrome ostruttiva con nausea e vomito.
Diagnosi: è ecografica, può essere confermata con TC. TC ed eco utili anche nel follow up. Queste
tecniche permettono anche la d.d. dalle neoplasie cistiche, non sempre facile.
Complicanze: nel 20-25% dei casi vanno incontro ad autorisoluzione. Possono però dare
suppurazione (con febbre e leucocitosi), rottura in peritoneo (dando peritonite), fessurazione
(può dare ascite pancreatica), emorragia intracistica (possibile riscontro di melena).
Terapia: è prudente astenersi da ogni intervento per almeno sei settimane con attento follow up.
• Drenaggio chirurgico: si fa con derivazione interna, abboccandola allo stomaco o
all’intestino. Si esegue drenaggio esterno per le cisti infette o rotte. Il liquido cistico va
analizzato all’esame citologico (possibile cistoadenoma o cistoadenocarcinoma).
• Resezione della pseudocisti: solo in casi selezionati.
• Resezione pancreatica: quando la pseudocisti è indovata nel parenchima.
• Drenaggio non chirurgico: per via percutanea ecoguidata o per via endoscopica attraverso
la parete gastrica. Va effettuata in pazienti che rifiutano la chirurgia o inoperabili, per una
cisti di insolita localizzazione (pelvi, mediastino) e quindi di difficile aggressione
chirurgica, in caso di ingrossamento rapido, o in caso di cisti infetta in un paziente grave.
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Carcinoma pancreatico
Nel pancreas possono insorgere neoplasie di natura cistica (neoplasie cistiche) o solida. Alcuni
tumori sono benigni mentre alti sono tra i più letali di tutte le neoplasie maligne. Il carcinoma del
pancreas, pur avendo un’incidenza molto minore è il terzo per mortalità (dopo polmone e colon).
La sua massima incidenza è tra 50 e 60 anni.
Fattori di rischio: il fumo di sigaretta e in maniera meno convincente, alimentazione ricca di
grassi, cancerogeni ambientali o alimentari, o affezioni come pancreatite cronica e diabete mellito.
Anatomia patologica: il tipo più comune è l’adenocarcinoma duttale (90%). La sede di insorgenza
più frequente è la testa (60%), segue corpo (15%), poi coda (5%) mentre nel 20% il tumore interessa
il pancreas nella sua interezza.
Classificazione TNM: T1: limitato al pancreas e <2cm. T2: tra 2 e 6 cm. T3: esteso oltre il pancreas,
ma senza interessare tronco celiaco e mesenterica superiore. T4: infiltra tronco e mesenterica.
N1: linfonodi peripancreatici. N2: linfonodi della porta pepati, epatici, celiaci e mesenterici
superiori prossimali. N3: mesenterici superiori distali, periaortici o altri addominali.
Stadiazione: Stadio IA: T1 N0 M0; Stadio IB: T2, N0, M0. Stadio IIA: T3, N0, M0.
Stadio IIB: T1-3 N1 M0. Stadio III: T4 ogni N M0. Stadio IV: ogni T ogni N M1.
Clinica: si tratta di un tumore a diagnosi tardiva in quanto silente fino a che non invade le
strutture adiacenti. Il dolore è il primo sintomo anche se compare in stadio già avanzato:
• Carcinoma della testa del pancreas: vi è dolore gravitativo, continuo o parossistico,
localizzato in epigastrio, ipocondrio o regione dorso lombare. Infatti può essere dovuto a
compressione del coledoco, ma anche a infiltrazione perineurale. Vi è marcato calo
ponderale, a volte febbricola. Quando vi è già distruzione della ghiandola compare
steatorrea. L’ittero è in genere precoce. Può comparire anche diabete.
Si può apprezzare il segno di Courvoisier-Terrier ossia distensione della colecisti.
• Carcinoma del corpo o della coda: è a lungo asintomatica e in genere non vi è la comparsa
precoce di ittero. Più precoci sono calo ponderale e dolore, per lo più epigastrico o
nell’ipocondrio sinistro.
La possibilità di palpazione di una massa è un segno incostante e molto tardivo. Vi sono anche
possibili sindromi paraneoplastiche: tromboflebiti migranti (segno di Trousseau), liponecrosi
sottocutanea, turbe psichiche, ipercalcemia.
Diagnosi: è fondamentalmente strumentale:
Quadro bioumorale: piuttosto aspecifico. Segni di ostruzione biliare (ittero, bilirubinemia elevata,
gamma-GT, fosfatasi alcalina, LDH), possibili marker e alterazione della glicemia.
Diagnosi strumentale: Ecografia: soprattutto per tumori della testa. TC: consente una
visualizzazione anche di corpo e coda, e valuta l’estensione e i rapporti con i tessuti intorno. ERCP:
se il tumore è piccolo sarà negativa, altrimenti vedrà segni indiretti di alterazione dell’albero
biliare. Altro: radioologia con pasto baritato, arteriografia selettiva (abbandonata). Nel dubbio
diagnostico una video laparoscopia esplorativa può evitare inutili laparotomie. Anche PTC.
Terapia: negli ultimi anni si è registrata una riduzione dell’alta mortalità perioperatoria.
Preparazione preoperatoria: i pazienti devono raggiungere un accettabile stato di equilibrio
nutrizionale ed idratazione, correggere le possibili coagulopatie o anemie secondarie ad emorragie,
adeguata funzionalità cardiorespiratoria. In più se il paziente ha bilirubinemia assai elevata e
denutrizione grave è opportuno procedere ad un drenaggio biliare tramite PTC per 2-3 settimane.
Terapia chirurgica: è l’unica risolutiva ma le neoplasie sono spesso inoperabili. Infatti sono
operabili solo i tumori con assenza di metastasi, carcinosi peritoneale, occlusione o stenosi, e in
assenza di invasione extraepatica. In genere anche età <75 anni. Per eseguire resezione radicale
devono essere libere da tumore: l’arteria epatica, la porta e la vena mesenterica superiore, l’arteria
mesenterica superiore, i linfonodi loco-regionali ed il fegato. Solo il 20% dei tumori della testa sono
asportabili, ancora meno quelli del corpo e della coda. Gli interventi radicali di scelta sono:
• Duodeno-cefalo-pancreasectomia (intervento di Whipple): per tumori della testa. Si
esegue asportazione della testa del pancreas sino al suo istmo, duodeno, terzo distale dello
stomaco, tratto distale del coledoco, colecisti, prima ansia digiunale e il maggior numero di
linfonodi. Necessita ricostruzione della continuità biliare, pancreatica e GI.
• Pancreasectomia totale: in caso di carcinoma multicentrico.
• Splenopancreasectomia distale: per tumori di corpo e coda.
Una chemioterapia neoadiuvante può essere utile per facilitare il complesso intervento.
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Terapia palliativa: interventi di derivazione delle vie biliari (coledoco-duodenostomia o
coledoco-digiunostomia) per ovviare all’ittero e bypass digestivo per ovviare a stenosi
duodenale. Per risolvere l’ittero si possono anche applicare endoprotesi attraverso ERCP o PTC.
Dopo l’intervento è indicata terapia adiuvante con polichemioterapia (methotrexate, 5-FU o
gemcitabina) anche in combinazione con radioterapia.Per la malattia inoperabile il farmaco più
efficace è la gemcitabina.
Prognosi: la maggior parte dei pazienti va incontro a decesso entro il primo anno. La
sopravvivenza nei candidabili a resezione radicale è del 20% a 5 anni, ma minore nei tumori del
corpo e della coda. Anche in stadio I la sopravvivenza a 6 mesi è intorno al 50%.
Tumori della papilla
Comprendono le neoplasie della papilla di Vater e quelle dell’ampolla. Causano anch’essi dolore e
calo ponderale, ma soprattutto ittero ostruttivo. Il trattamento di scelta è una duodeno-cefalopancreasectomia, analogamente al carcinoma del pancreas.
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INTESTINO TENUE
Gran parte dell’irrorazione intestinale è data dai rami mesenterici. L’arteria mesenterica superiore
irrora gran parte dell’intestino, dall’ultima porzione del duodeno alla metà del colon trasverso e si
porta nel mesentere. Dà inoltre molti rami importanti come: l’arteria pancreatico-duodenale
inferiore, l’arteria colica media e destra, l’arteria ileo-colica e le arterie digiunali. Le prime porzioni
del duodeno sono irrorate dal tronco celiaco. L’arteria mesenterica inferiore irrora invece il colon
trasverso, discendente, sigma e parte superiore del retto terminando nell’arteria emorroidaria
superiore. Il sangue refluo dell’intestino è invece diretto verso il sistema portale.
Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): sono essenzialmente il morbo di Crohn e la
retto colite ulcerosa. In un 10% dei casi non sono disntiguibili e si parla di coliti indeterminate.
Epidemiologia: notevole aumento di incidenza dal dopoguerra, intorno a 50-60/100000 sia per
MC che per RCU. Vi è una componente familiare.
Morbo di Crohn
È un’infiammazione granulomatosa cronica, su base immunitaria, che può coinvolgere tutto il
tratto intestinale. Le sedi più frequenti sono ileo terminale, valvola ileocecale e cieco.
Anatomia patologica: la parete intestinale è rigida e ispessita, il mesentere edematoso, i linfonodi
aumentati di volume. Le lesioni interessano la parete in tutto lo spessore e sono discontinue (a
salto). Il lume intestinale è ridotto di calibro. All’inizio ci sono ulcere aftoidi superficiali
serpiginose e discontinue, intervallate ad aree sane (ma con edema). Le lesioni però possono
estendersi e raramente causare anche perforazione della parete. Si possono formare anche adesioni
e fistole (in genere entero-enteriche). Si possono avere ascessi e flebiti. L’ileite può dare luogo
anche a fistole che conducono all’esterno, l’infiammazione del retto a vagina o uretra. Si ha
dunque una flogosi cronica granulomatosa e ispessimento della parete intestinale con edema,
ipertrofia e aumento di collagene. Non è stata dimostrata una completa restitutio a integrum.
Clinica: è molto varia, anche in rapporto al tipo ed alla sede delle lesioni. Vi sono 3 forme cliniche:
• Forma infiammatoria: prevalgono diarrea, dimagrimento, febbre e anemizzazione. Con il
tempo evolve verso la stenosi. Può dare anche perforazione. La patologia occlusiva non è
ben correlata al grado di stenosi. L’indicazione chirurgica è solo per complicazioni.
• Forma stenosante: è quella che più frequentemente richiede intervento chirurgico. Si ha
deperimento e difficoltà di anemizzazione, ripetersi di episodi sub occlusivi.
• Malattia fistolizzante: è più rara, ma pone spesso indicazione chirurgica. Le fistole enteroenteriche possono anche essere asintomatiche o risolversi con terapia medica. Gli ascessi e
le fistole sintomatiche (vescicali, cutanee, etc.) richiedono intervento. La malattia perianale
è una forma fistolizzante frequente, caratterizzata da lesioni come ragadi e ulcere o stenosi
ascessi e fistole.
La localizzazione è importante. Nel 70% dei casi coinvolge l’ileo (specie distale) con o senza colon
destro. Stomaco e duodeno raramente. Se interessa anche il digiuno può dare malassorbimento e
malnutrizione. La colite può dare enterorragia (meno della RCU).
Circa 1/3 dei pazienti ha un quadro di malnutrizione proteico-calorica (per anoressia e dolore,
diete restrittive, malassorbimento, perdite intestinali, aumentato catabolismo per flogosi e febbre).
In generale abbiamo dolori addominali ricorrenti con diarrea cronica, febbre lieve.Le
complicanze intestinali sono in particolare stenosi, fissurazioni e perforazioni. Le manifestazioni
extraintestinali sono varie: uveite, poliartrite migrante, spondilite anchilosante, associazioni con
altre patologi autoimmuni. La malattia ha andamento cronico con periodi di riacutizzazione e
altri di remissione. Durante la remissione non vi è mai risoluzione completa delle lesioni.
Può essere associata a neoplasia intestinale, specie quando vi è colite.
Diagnosi: il quadro clinico è complesso e aspecifico ed in genere la diagnosi è difficoltosa. In caso
di sospetto clinico gli esami bioumorali indicano infiammazione in corso (leucocitosi, VES, PCR,
etc.). Può essere utile per la DD esame batteriologico delle feci (anche se si possono sovrappore
infezioni). Radiologia: Rx con doppio contrasto può evidenziare la lesione. La TC o l’RM
permettono anche una definizione dello stato clinico. La colonscopia garantisce la diagnosi ed
anche il follow-up e la sorveglianza precancerosa.
Terapia: non vi è terapia ezioologica. Lo scopo è diminuire la flogosi e controllare i sintomi. Si
usano corticosteroidi come terapia d’attacco e nelle riacutizzazioni (e manifestazioni
extraintestinali). Si utilizza mesalazina, immunosoppressori (quali azatioprina e mercaptopurina),
e da poco tempo anche l’infliximab (anti TNFalpha). Si associa terapia igienico-dietetica mentre la
terapia chirurgica fondamentale per il trattamento delle complicanze.
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Terapia chirurgica delle complicanze: raro l’intervento di urgenza. Si utilizzano antiinfiammtori
per migliorare lo stato locale prima dell’intervento. In caso di malnutrizione si pone nutrizione
parenterale. Date le non infrequenti recidive, si preferisce preservare quanto più intestino
possibile (chirurgia conservativa). In caso di resezione non si lasciano più di 2-3 cm dalla lesione.
Per le stenosi in pazienti che hanno già subito resezione si fa la stricturoplastica che consiste in un
taglio longitudinale del tratto stenotico che poi viene suturato in senso trasversale (la parete si
indebolità e tenderà a cedere e prolassare) (ma vi sono anche altre tecniche come quella di
Michelassi, in caso di tratti lunghi, con sezione dell’ansa stenotica e sutura di due anse
giustapposte). La stricturoplastica non serve nelle stenosi coliche e non in caso di ascessi o ulcere
profonde. Nel colon si esegue resezione, anche se in genere è possibile preservare il retto (non
coinvolto). Nella colite acuta severa si attua come nella RCU (vedi sotto). In caso di malattia
perianale con fistole anali si eseguirà colectomia totale o comunque resezione del retto, che può
essere conservato con colo-ano-anastomosi e utilizzo di pouch. Questo metodo ha però più rischio
di insuccesso e la pouchite è più frequente che nella RCU.
Rettocolite ulcerosa
Grave malattia infiammatoria ulcerativa che insorge nel retto e può estendersi a colon e cieco in
maniera continua.
Anatomia patologica: nel 50% dei casi è una colite distale, localizzata solo al retto (proctite) o a
retto e sigma (proctosigmoidite). Può però estendersi al colon sinistro (colite sinistra) o fino al
cieco (pancolite). Le lesioni infiammatorie si estendono solo a mucosa e sotto mucosa. La mucosa
è arrossata e possono esserci ulcerazioni e facile sanguinamento della mucosa. Possono esserci
pseudo polipi mentre sono rare le ulcere aftose. Può causare atrofia della mucosa, ma non si
formano ispessimenti e stenosi. Vi è rischio di sviluppo di displasia e quindi di carcinoma colo
rettale specie in pazienti con anche colangite sclerosante e che non usano mesalazina. Si faranno
perciò controlli endoscopici una volta l’anno con biopsia ed esame istologico.
Clinica: è molto simile al morbo di Crohn, anche per le malattie extraintestinali (maggiore
frequenza di colangite sclerosante primaria). La manifestazione tipica è diarrea mucosa e
sanguinolenta. Può esserci tenesmo, alterazioni varie dell’alvo. Anche astenia, anemia, calo
ponderale, etc. La malattia ha esordio subdolo e paucisintomatio, con dolor crampi formi. A volte
c’è esordio acuto con diarrea con muco e sangue, dolori addominali, febbre e astenia. La
classificazione di Truelove tiene conto di numero di evacuazioni, febbre, frequenza cardiaca,
emoglobina e VES per valutare la gravità della patologia. Può essere confusa con una malattia
intestinale infettiva o parassitaria (Shigella e Salmonella). Possono esserci coliti severe da sovra
infezioni di patogeni come CMV (e si sbaglia se quando accade si danno immunosoppressori).
Complicanze: le più comuni sono emorragia massiva e perforazione e fistole.
Il megacolon tossico è una complicanza acuta grave con abnorme dilatazione gassosa del colon.
Pare che la causa sia l’estensione dell’infiammazione ai plessi nervosi mioenterici. Manovre
diagnostiche invasive, oppioidi e anticolinergici possono scatenare un megacolon tossico (MCT).
La sintomatologia è caratterizzata da diarrea ematica, intensi dolori addominali, distensione
addominale e pallore, tachicardia, febbre anche elevata e confusione. All’esame obiettivo appare
ileo paralitico. Si hanno alterazioni elettrolitiche (calcio, fosforo e potassio, per alterato
assorbimento) e alcalosi man mano più grave. Infatti l’Rx dell’addome e l’emogasanalisi vanno
eseguiti ogni 12-24 ore. All’Rx è visibile la distensione gassosa del tenue, la perdità dell’austratura,
etc. Altra complicanza è la neoplasia, per cui si eseguono colonscopie annuali di controllo.
Terapia medica: pressoché la stessa terapia medica e dietetica del morbo di Crohn.
Terapia chirurgica: nella RCU possiamo avere la necessità di interventi in urgenza in casi di
perforazione, emorragia massiva, MCT, colite acuta severa. L’intervento di chirurgia di elezione è
indicato in caso di mancata risposta alla terapia, intolleranza, ritardo della crescita nei bambini.
Terapia chirurgica d’urgenza: nei casi di colite acuta grave si aspettano 5-7 giorni di terapia
medica (steroidi ad alte dosi e ciclosporina ev.) prima di pensare alla chirurgia. Nel caso di MCT,
dopo 24 ore di trattamento non funzionante il malato va operato. Si esegue colectomia subtotale
con ileostomia terminale e conservazione del retto.
Terapia chirurgica in elezione: si possono eseguire diversi tipi di intervento:
• Proctocolectomia totale con ileostomia definitiva: otteniamo una totale asportazione del
colon e pertanto guarigione definitiva. Però l’intervento abbassa la qualità della vita e vi
possono essere complicanze dell’ileostomia (necrosi, stenosi, ernia) o della proctectomia
(emorragie, ascessi, infezione, disturbi sessuali).
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Colectomia totale con ileo-retto anastomosi: IRA, si impiega più nei casi di colite
indeterminata. Permette di conservare il retto (dove però possono insorgere proctite e
carcinoma). Pertanto richiede un rigoroso follow-up post-operatorio.
• Proctocolectomia restaurativa con pouch ileale: IPAA, attualmente è l’intervento più
eseguito, in grado di eradicare la malattia e preservare la funzionalità sfinterica:
L’intervento prevede: asportazione del colon-retto, mobilizzazione del tenue,
preparazione dell’ileo terminale e confezione della pouch (unendo tra loro due (a J) o più
(a S o a W) tratti ileali) e infine anastomosi pouch-anale o meccanica a livello della
giunzione retto-anale (non si asporta tutta la mucosa in questo caso). Si può fare eventuale
ileostomia protettiva. La tasca o pouch ha la funzione di raccogliere il contenuto ileale
evitando che si produca nell´ileo una pressione elevata tale da vincere quella presente a
livello anale. Tuttavia lo svuotamento della tasca al momento della defecazione può non
essere completo. In effetti le complicanze di questo intervento sono: fistola del canale,
pouchite, complicanze settiche, incontinenza (anche solo piccole perdite fecali). Le
complicanze sono frequenti e la procedura fallisce in un 5-10% dei casi a causa di esse.
La scelta del tipo di intervento dipende da vari fattori: grado di infiammazione del retto (che
può essere più o meno interessato), studio della distensibilità e capacità rettale (per poter fare
IRA), stato dell’ano e sfintere anale, età del paziente, rischio di degenerazione della mucosa
rettale eventualmente preservata (pazienti con diagnosi di cancro o displasia).
•
Pouchite
Con questo termine si definisce un’infiammazione aspecifica della pouch dopo IPAA
(asportazione di tutto il retto e confezione di un reservoir o poch ileale con le ultime anse ileali che
vengono anastomizzate all’ano). L’incidenza dopo molti anni può arrivare al 50%.
L’eziopatogenesi è sconosciuta, probabilmente legata a stasi fecale con aumento della
concentrazione batterica all’interno. Per alcuni autori è una ripresentazione della RCU.
Clinica: i sintomi più frequenti sono diarrea a feci liquide e dolori addominali crampi formi,
episodi di incontinenza, sindrome simil-influenzale con febbre e mialgia. Il quadro endoscopico
ricorda la RCU con edema, eritema, erosioni ed ulcere. Si presenta spesso in modo recidivante.
Terapia: può rispondere a terapia antibiotica con metronidazolo o ciprofloxacina ma le modalità
di trattamento non sono definite con chiarezza.
Diverticolo di Meckel e residui onfalo-mesenterici
Embriologia: fino alla VII-VIII settimana l’intestino primitivo ed il sacco vitellino sono in
comunicazione attraverso il canale onfalo-mesenterico. È interessata un’ansa intestinale erniata
che normalemente rientrando chiude il canale. Lateralmente decorrono due peduncoli vascolari
che costituiranno le arterie (mesenterica superiore) e le vene (sistema portale). L’arresto del
processo di involuzione del canale può dare: diverticolo di Meckel (da incompleta chiusura
dell’estremità intestinale del canale), fistola onfalo-mesenterica (comunicazione tra ileo e
ombelico), cisti ombelicale, cordone solido onfalo-ileale.
Diverticolo di Meckel: diverticolo vero, è un’estroflessione a fondo cieco del canale alimentare
rivestita da mucosa comunicante con il lume e comprendente tutti gli strati della parete intestinale,
si forma nell’ileo. Vascolarizzato dalla mesenteric superiore, può essere fisso all’ombelico. Può
contenere mucosa eterotopica pancreatica o gastrica (che può dare anche ulcere, questo perché le
cellule del sacco vitellino sono pluripotenti). È lungo circa 5cm, a circa 30-90cm dalla valvola
ileocecale e in genere sono sintomatici entro i due anni, sebbene possa restare asintomatico.
Clinica: i sintomi sono conseguenza di complicanze, che possono essere:
• Enterorragia: è la più frequente enterorragia pediatrica. Può essere dovuta ad ulcera
peptica sulla mucosa eterotopica o flogosi aspecifica. Può dare sanguinamento occulto o
essere massiva con shock ipovolemico.
• Occlusione intestinale: conseguenza di un volvolo attorno a un diverticolo fisso.
• Diverticolite: può dare un quadro molto simile all’appendicite acuta.
• Perforazione: conseguenza di un’ulcera o diverticolite o tumore, causa peritonite acuta.
• Localizzazione neoplastica: molto rara, in genere carcinoide.
• Ernia di Littré: erniazione del diverticolo in sede inguinale, ombelicale, crurale.
39
Diagnosi: è prepoperatoria solo nel 6% dei casi. Si può usare Rx addome (poco adatto), clisma
opaco del grosso intestino (diagnosi occasionale), Clisma del tenue e Rx (buon esame). Tc ed
ecografia: poco sensibili. Scintigrafia addominale con tecnezio: sensibilità elevata.
Il diverticolo appare come unico, impiantato sul bordo antimesenterico, di solito ad angolo retto,
nel terzo distale dell’ileo (anche se a volte è altrove).
Terapia:
La terapia è chirurgica, necessaria in presenza di complicanze. Si esegue la diverticulectomia,
associata al minor numero di complicanze post operatorie, oppure resezione ileale più o meno
allargata, indicata in caso di sospetto di mucosa gastrica ectopica. In caso di diverticolo
asintomatico può essere giustificato un atteggiamento conservatore con follow up, mentre per
alcuni autori la resezione eviterebbe poi un altro intervento in emergenza con maggiori
complicanze (in ogni caso solo in pazienti a rischio e <40 anni).
Ileo biliare
L’ileo biliare è l’occlusione meccanica del tratto intestinale a opera di un grosso calcolo biliare, in
genere a seguito della presenza di una fistola bilio-enterica che consente la migrazione spontanea
del calcolo dalla via biliare all’intestino. Nel 75% dei casi queste fistole si instaurano tra colecisti e
duodeno, più raramente con colon o stomaco oppure tra coledoco e duodeno.
La fistola bilio-enterica in genere si crea a seguito di un episodio di colecistite acuta con gangrena
della parete della colecisti e perforazione in un viscere vicino oppure dipende dalla presenza di un
calcolo incuneato che aumentando la pressione sulla parete della via biliare ne causa necrosi.
In genere avviene in età avanzata (>70anni). La presentazione clinica è quella dell’occlusione
intestinale con nausea vomito e dolore addominale.
La terapia non può prescindere inizialmente dalla terapia conservativa dell’occlusione intestinale,
ma il gesto terapeutico risolutivo consiste nella rimozione del calcolo mediante enterotomia. Sono
fondamentali poi l’aggressione della fistola con la sua riparazione e l’esecuzione della
colecistectomia per evitare colecistiti e colangiti ricorrenti, altrimenti comuni in presenza di fistola
bilio-enterica.
40
APPENDICE
L’appendice è un diverticolo vero normale (con lunghezza media di 10 cm e diametro di 3-8 mm)
del cieco, che può essere posta in varie direzioni (laterale, retro cecale, pelvica, etc.). La
vascolarizzazione dipende dall’arteria appendicolare, ramo dell’ileo-colica. Il sangue refluo venoso
drena nella vena mesenterica superiore. La mucosa è di tipo colico, la funzione è ignota, anche se è
ricca di tessuti linfatici (si è ipotizzato un ruolo immunitario).
Appendicite acuta
Epidemiologia: si presenta più spesso nell’infanzia e nell’adolescenza, più nei maschi, quasi 15%.
Eziopatogenesi: infezione causata da una flora batterica polimorfa (in genere frequenti anaerobi
come E.Coli). I germi raggiungono l’appendice in genere per via ematogena, in caso di fattori
favorenti (ad esempio un’ostruzione, in genere da coproliti o iperplasia o angolatura). All’interno
del lume si accumulano secrezioni mucose e trasudato infiammatoria con aumento della
pressione che può compromettere drenaggio linfatico e vascolarizzazione sino all’ischemia. Si
hanno edema ed erosioni della mucosa. Vi può essere propagazione al peritoneo, perforazione, che
possono causare una peritonite (circoscritta o diffusa) o anche una fistolizzazione a visceri vicini.
Ascesso epatico, stipsi, occlusione intestinale sono complicanze rare e gravi.
Anatomia patologica: può essere catarrale (edematosa e congesta, spesso restitutio ad integrum),
flemmonosa (tumefazione e pseudomembrane infiammatorie, possibile perforazione) e
gangrenosa (grigiastra con aree necrotiche, perforazione e peritonite quasi sempre).
Clinica: in genere all’inizio vi è dolore epigastrico, che si sposta alla regione ombelicale, solo
successivamente è localizzato in fossa iliaca destra. Il dolore può essere colico, ma in genere è
costante. Il vomito è incostante, vi è nausea. Spesso l’alvo è stitico, può divenire chiuso a feci e a
gas (ileo paralitico), ma nei bambini può esserci diarrea. Vi è febbre.
Esame obiettivo: dolore alla palpazione addominale, possibile contrattura di difesa in fossa iliaca
destra. Vi può essere segno di Rovsing (dolore in fossa iliaca destra alla palpazione nei quadranti
di sinistra), segno dello psoas (segno di localizzazione retro cecale, dolore all’estensione dell’arto
destro), segno dell’otturatorio (se pelvica, dolore alla rotazione della coscia destra flessa), segno di
Rotter (se la sede è endopelvica o c’è un ascesso, dolore all’esplorazione rettale o vaginale).
In base alla localizzazione possiamo distinguere: appendicite pelvica (dolore riferito all’ipogastrio,
possibili disturbi urinari, segno di Rotter); appendicite retro cecale (dolore lombare, segno dello
psoas); appendicite mesoceliaca (causa ileo adinamico), sottoepatica (simula una colecistite).
L’evoluzione più frequente è verso la peritonite. La peritonite diffusa ha i sintomi classici. Quella
circoscritta ha febbre, leucotosi, area di resistenza dolorosa in fossa iliaca destra. L’ascesso
appendicolare può dare fistoli alla cute oppure a retto o vagina o a vescica (cistite con piuria).
Quadri clinici particolari:
• Appendicite nel bambino: si presenta spesso con diarrea, oltre che dolore addominale.
Antibiotici e ghiaccio possono far regredire i sintomi (ma non l’eventuale danno vascolare).
• Appendicite nell’anziano: mortalità 10 volte superiore all’età adulta. Il quadro è spesso
sfumato, vi è più spesso perforazione intestinale.
• Appendicite nella donna gravida: si associa spesso a peritonite (minori capacità di difesa)
e poiché il cieco si sposta in alto dopo il secondo mese, è quasi a livello ombelicale.
• Appendicite nel paziente affetto da Crohn: l’ileite dell’ultima ansa è simile a appendicite.
• Appendicite e cancro: può essere il quadro d’esordio di un tumore maligno
Diagnosi: essenzialmente clinica. Esami di laboratorio: vi è leucocitosi neutrofila, e altri segni
infiammatori. Esami radiologici: Rx addome: utile nella diagnosi differenziale con perforazione o
colica renale (si vede litiasi). Ecografia: sensibilità molto alta. Vi è il limite della contrattura di
difesa. Clisma opaco: poco utilizzato.
Terapia: l’appendicectomia, per via laparotomica o laparoscopica, è il solo trattamento indicato.
Spesso il paziente necessita di reidratazione e ripristino dell’equilibrio elettrolitico prima
dell’intervento. Si somministra in genere una profilassi antibiotica prima dell’intervento, in
singola dose. Se l’appendice non è interessata, bisogna ricercare la vera causa del quadro.
Complicanze postoperatorie: mortalità inferiore allo 0,5%. In casi di peritonite soprattutto. Si
possono avere ascessi e flemmoni di parete, occlusione intestinale, altro (specie infezioni).
Appendicite cronica e tumori appendicolari.
L’appendicite cronica una diagnosi anatomo-patologica con lesioni sclero-atrofiche non uniformi.
Può dare dolore addominale cronico, ma l’indicazione all’intervento è discutibile. I tumori sono
molto rari, possono essere maligni (carcinoide, adenocarcinoma e linfoma).
41
COLON – RETTO
Malattia diverticolare del colon
Il colon è certamente il segmento del canale alimentare più predisposto alla formazione di
diverticoli. In assenza di complicanze si parla di diverticolosi, altrimenti malattia diverticolare.
Si definisce diverticolo l’estreflossione sacciforme della mucosa del colon attraverso un locus di
minore resistenza dello strato muscolare. Possono avere dimensioni variabili.
Epidemiologia: ha una frequenza elevata, specie dopo la VI decade. Fattori di rischio: alterata
motilità del colon, dieta a basso contenuto di fibre, indebolimento della parete del colon.
Anatomia patologica: sono in genere diverticoli acquisiti, da pulsione, pertanto costituiti solo da
mucosa e sierosa. È più colpito il sigma, meno retto e appendice. In genere inferiori al cm, ma
possono essere anche di diversi cm. Sono numerose estroflessioni sacculari, in genere posti nella
regione con minore resistenza, tra tenia mesenterica e quelle antimesenteriche.
Eziopatogenesi e clinica: distinguiamo, come detto, diverticolosi e diverticolite:
• Diverticolosi: il diverticolo è il risultato di un’erniazione della mucosa in punti deboli. È
spesso associata con disordini della motilità. Altro fattore è la segmentazione, fenomeno
di isolamento attraverso le onde peristaltiche non propulsive (circonferenziali) che si
accentua all’arrivo di un onda propulsiva. La dieta occidentale povera di fibre faciliterebbe
questa condizione. Spesso associata a riduzione della tensione della parete colica.
Clinica: in genere asintomatica. Talvolta dolori vaghi e mal localizzabili, flatulenza,
alterazioni dell’alvo con stipsi e feci dure, oppure diarrea.
• Diverticolite: pare dovuta a micro perforazione del diverticolo che causa infiammazione
dei tessuti pericolici. Questa può essere limitata o dare ascessi. È possibile anche che la
perforazione avvenga nella cavità peritoneale, dando peritonite fecale diffusa.
Clinica: il principale sintomo è il dolore addominale, spesso in fossa iliaca sinistra. In
genere è costante e non colico. Vi sono alterazioni dell’alvo come diarrea intermittente o
alternanza stipsi-diarrea. Può esserci febbricola, disturbi urinari (per compressione del
colon infiammato o infezione).
Diagnosi: serve anamnesi ed esame obiettivo, sufficienti in genere in caso di diverticolite.
Esami strumentali: Esame radiologico con clisma opaco: è l’esame più utilizzato e che permette la
visualizzazione diretta dei diverticoli, oltre che diagnosi di stenosi. La DD con carcinoma non è
facile, in genere la stenosi neoplastica è corta e con mucosa alterata, al contrario della normale
diverticolite (stenosi lunga con mucosa intatta). In fase acuta (crisi diverticolare acuta) non va mai
fatto né il clisma radio opaco né la colonscopia perché danno insufflazione di aria e c’è rischio di
perforazione. Inoltre il bario è irritante per il peritoneo e non sappiamo se ci sia una perforazione
in atto. L’indagine di scelta in fase acuta è la TC con mdc, molto utile insieme con l’ecografia per la
diagnosi delle complicanze (ascessi, emorragie). La TC può essere utilizzata per guidare il
drenaggio di un ascesso evitando l’intervento chirurgico.
Complicanze:
• Perforazione: evento grave, spontanea o iatrogena. Dà dolore acuto ai quadranti inferiori
(ma poi a tutto l’addome), pneumoperitoneo e contrattura parietale. Ileo paralitico. Un
semplice Rx addome può mostrare presenza di area libera in peritoneo o livello idroaereo.
• Ascesso: è la complicanza più frequente, anche conseguente a micro perforazione. Dolore
circoscritto, ai quadranti inferiori, spesso in fossa iliaca sinistra. C’è febbre, leucocitosi,
nausea e vomito. Ecografia e TC sono indicati per la diagnosi.
• Fistolizzazione: per drenaggio di un ascesso in organi circostanti o verso la cute. Le più
frequenti sono le fistole colo-vescicalo con piuria, ematuria, copruria. L’esame con clisma
opaco può evidenziarle.
• Occlusione intestinale: conseguente a stenosi infiammatoria. Visibile con clisma.
• Emorragia: comune, si presenta come una perdita per via rettale di sangue rosso scuro, in
genere autolimitata. L’emorragia massiva è rara. In tal caso si richiede colonscopia.
Terapia: è necessario l’intervento chirurgico in caso di emorragia massiva (di più di 1,5 L o per più
di 72 ore), nuova emorragia a breve distanza dalla precedente.
42
Diverticolosi: se semplice e asintomatica può non richiedere terapia. Al massimo diete ad
alto contenuto di fibre vegetali. Nelle forme sintomatiche sono utili, riducendo la pressione
endoluminale del colon. Se sintomatica si possono dare antispastici, magari antibiotici.
• Divericolite: nel periodo acuto di diverticolite è necessario non assumere fibre per non
aumentare la massa fecale e somministrare liquidi, antibiotici non assorbibili
(paromomicina), antispastici e soluzioni glucosate. Negli stati flogistici lievi è sufficiente
digiuno ed antibiotici per via orale. Nel 10-20% dei casi può esserci recidiva. Alcuni
indicherebbero terapia chirurgica dopo episodi multipli di diverticolite.
La chirurgia è normalmente l’approccio per le complicanze:
Chirurgia di urgenza nelle forme acute (perforazioni, emorragie): si può eseguire:
• Intervento in 3 tempi: si fa colostomia di scarico e drenaggio della raccolta ascessuale, poi
resezione e anastomosi, poi chiusura della colostomia.
• Intervento in 2 tempi: di Hartmann, è il più usato. Si fa resezione del segmento
diverticolare, chiusura del moncone rettale e colostomia terminale sul colon discendente.
Poi, ingenere dopo 6 o più settimane si esegue chiusura della colostomia e rianastomosi tra
colon discendente e moncone rettale. La colostomia non si fa mai sul trasverso (ileostomia).
• Intervento in tempo unico: resezione-anastomosi senza colostomia.
•
Polipi
I polipi sono particolarmente comuni nel colon ma possono formarsi anche in esofago, stomaco e
tenue. Sono neoformazioni della mucosa che possono essere sessili o peduncolate.
In linea generale possono avere natura non neoplastica (iperplastici, amartomatosi, infiammatori)
o neoplastica. Questi sono adenomi: tubulari, villosi o tubulo-villosi. Tendenti alla trasformazione.
1) Polipi non neoplastici:
• Polipi iperplastici: più comuni in età adulta. In genere piccoli, sessili e multipli. Non hanno
potenziale di malignità. Devono essere distinti istologicamente dagli adenomi serrati sessili
• Polipi amartomatosi: Giovanili: più spesso nel retto, più spesso in pazienti giovani. Può
raramente andare incontro a trasformazione maligna. Possono dare emissione di modeste
quantità di sangue e possono provocare dolori. Polipi della sindrome di Peutz-Jeghers:
presenti anche in stomaco e tenue, sono di circa 1 cm, molteplici. Associati a
iperpigmentazione cutane. Vi sono anche altre sindromi che danno polipi amartomatosi.
• Polipi infiammatori: anche in pazienti con RCU e MC. Sono più tipici di retto e ileo.
Possono dare emorragia, fuoriuscita di muco, lesione infiammatoria dell’ano.
2) Polipi neoplastici: sono i polipi adenomatosi. Ne è affetto il 5-10% della popolazione.
Compaiono a qualsiasi età, ma più in età adulta. La varietà più comune è la tubulare. Sono
considerati (per quanto la maggior parte non trasformino) precursori del cancro. Le lesioni che
subiscono più frequentemente cancerizzazione sono gli adenomi villosi. I tubulari sono più piccoli
(a cm circa), peduncolati e rosei. I villosi sono invece più voluminosi e sessili.
Clinica: in genere sono a lungo asintomatici (reperti occasionali). Possono però dare: emissione di
sangue (più o meno abbondante), mucorrea (soprattutto i villosi), diarrea acquosa (raramente,
villosi), raramente tenesmo rettale, dolori, protrusione dall’ano.
Diagnosi: avviene grazie a colonscopia (negli USA consigliata in caso di famiglie a rischio se >50
anni) che consente la diagnosi istologica.
Terapia: asportazione per via endoscopica. Raramente può servire exeresi chirurgica (adenomi di
grosse dimensioni). La polipectomia è adeguata anche in caso di riscontro di cancro confinato alla
mucosa. Controverso è l’atteggiamento in caso di polipo infiltrante la muscolaris propria dato che
non è escludibile con certezza la metastatizzazione linfonodale: il coinvolgimento istologico
linfatico o venoso indicherebbe intervento chirurgico più demolitivo, soprattutto se vi sono segni
istologici di invasione tumorale.
Poliposi
Presenza di numerosi polipi in segmenti diversi del grosso intestino. Sindromi ereditarie o meno:
• Poliposi giovanile: malattia AD, nascita di amartomi nel colon-retto (ed esofago e stomaco)
• Sindrome di Peutz-Jeghers: AD, poliposi che interssa ileo e digiuno e associata a
iperpigmentazione cutanea. Non si sa se possano evolvere a carcinomi.
• Sindrome di Cronkhite-Canada: non ereditaria, associata ad alopecia e atrofia ungueale.
• Poliposi adenomatosa familiare: o FAP, è AD. Vi sono centinaia di polipi adenomatosi,
peduncolati o sessili che tappezzano la mucosa del viscere. Se non trattata porta nel 100%
43
•
dei casi a carcinoma, spesso prima dei 30 anni. Possibile associazione con osteomi, polipi di
stomaco e duodeno, tumori desmoidi, cisti, lesioni retiniche (sindrome di Gardner). Si
possono avere perdite ematiche e alterazioni diarroiche dell’alvo.
Terapia: proctocolectomia totale restaurativa profilattica: exeresi di colon, gran parte del
retto, asportazione della mucosa del moncone rettale residuo, confezione di un serbatoio
ileale anastomizzato con la giunzione ano-rettale.
Sindrome non poliposica del carcinoma del colon retto: è la sindrome di Lync (HNPCCC)
dove i tumori tendono a comparire in età precoce e sono spesso localizzati al colon destro.
Anche in questo caso è prevista la proctocolectomia totale restaurativa.
Cancro del colon retto:
È al secondo posto tra i tumori maligni nell’uomo, terzo nella donna. Più comune intorno a V-VII
decade. Nel 70% dei casi il tumore si localizza a livello del sigma-retto.
Eziologia e fattori di rischio: influiscono alcuni fattori, condizioni e patologie:
• Fattori dietetici: pare aumenti in diete povere di fibre e ricche in grassi. Le fibre infatti
rendono più rapido lo svuotamento e quindi la pulizia intestinale. I grassi possono avere
effetto cancerogeno (diretto e aumento secrezione di acidi biliari).
• Poliposi familiari: spesso probabilità di cancro che raggiunge il 100% entro i 40 anni.
• Familiarità per cancro colon-rettale: vi sono sicuramente fattori ereditari.
• Polipi neoplastici: possibile trasformazione, più negli adenomi villosi.
• Malattie infiammatorie dell’intestino: retto colite ulcerosa ben più del Crohn.
• Altro: polipi amartomatosi (dubbio), pregresse neoplasie, irradiazione della pelvi.
Anatomia patologica: Macroscopicamente può essere vegetante (a cavolfiore), ulcerato, infiltrante
(ulcerazione centrale e ispessimento della parete; spesso evoluzione di un’altra forma), anularestenosante (si estende per tutta la circonferenza intestinale e determina restringimento).
Nella stragrande maggioranza di stratta di adenocarcinomi. Il grado di differenziazione va da I
(scarso pleomorfismo e poche mitosi) a III (ammassi irregolari di cellule, molte mitosi).
Modalità di diffusione: Localmente: lungo l’asse trasversale e longitudinale del viscere con
invasione dei diversi strati della parete, poi strutture adiacenti (anche peritoneo). Per via linfatica:
in maniera progressiva e graduale, prima ai linfonodi peri e paracolici e poi a quelli più distali. È
in stretta relazione con il grado di infiltrazione della parete. Per via ematica: può infiltrare i piccoli
vasi venosi della parete intestinale e giungere a fegato, poi polmoni. (20-25% già alla diagnosi).
Nel cancro del retto sono più frequenti le metastasi polmonare. Talvolta anche osso.
Clinica: i sintomi ed i segni variano in rapporto al segmento coinvolto:
• Colon destro: ha un lume rilevante e contenuto essenzialmente liquido. In genere vi si
sviluppano lesioni vegetanti di grosse dimensioni, facilmente sanguinanti. Si associa a
anemia (da perdita ematica, anche se in genere occulta), dolore (a destra), astenia (da
anemia), massa talvolta palpabile (avanzato), anoressia e dimagrimento.
• Colon sinistro: qui il materiale è più solido, le masse sono in genere di tipo anulareinfiltrante. Può dare ostacolo alla canalizzazione. Si associa a alterazioni dell’alvo (stipsi o
diarrea o alternanza,), presenza di sangue o muco nelle feci, dolore addominale (sinistra
o diffuso a tutto l’addome).
• Retto: funge da serbatoio per le feci. Le neoplasie a questo livello sono soprattutto vegetanti
e ulcerate, facilmente sanguinanti. Se si localizzano a livello sovrampollare sono simili a
quelli del colon sinistro. Quelle ampollari sono invece caratterizzate da tenesmo,
rettorragia. Le sottoampollari evolvono spesso verso la stenosi: dolore perianale, feci
miste a sangue e muco, tenesmo.
A volte il cancro del colon si manifesta con ileo meccanico (dolore, distensione addominale,
vomito e alvo chiuso) o con perforazione (manifestazioni della peritonite). Può anche dare
carcinomatosi peritoneale, colonizzazione delle ovaie, sindromi paraneoplastiche. In ogni caso vi è
un momento in cui vi è alterazione dell’alvo e presenza di sangue nelle feci.
Screening: non è possibile una vera e propria prevenzione primaria, mentre è buono attuare una
prevenzione secondaria. Questa può essere di screening di massa sui soggetti asintomatici con
SOF, mentre le linee guida americane suggeriscono anche una rettosigmoidoscopia o
pancolonscopia dopo i 50 anni ogni 5-10 anni in associazione a SOF.
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Diagnosi: Esplorazione rettale: semplice e fondamentale per i tumori del retto (30-40% delle
neoplasie). Consente un’immediata diagnosi e localizzazione.
Retto-colonscopia: essenziale. Si individua la lesione ed è possibile effettuare biopsie.
Radio-clisma opaco: indagine complementare alla colonsscopia. Si preferisce il doppio contrasto.
Si esegue con controllo radioscopico. Si notano così anche piccoli “difetti di riempimento”.
Ecografia e TC: per valutare disseminazioni a distanza (specie epatiche), ma nulla più.
Classificazione: oltre al TNM si usa la classificazione si Astler-Coller: A: limitato a mucosa,
B: interessamento muscolaris propria. C: metastasi linfonodali. D: metastasi a distanza.
L’analisi del CEA sierico è inutile per la diagnosi, ma utile per il follow-up.
Terapia: l’approccio è fondamentalmente chirurgico, curativo o palliativo. La scelta dipende
dall’estensione locale (infiltrazione di organi contigui, carcinosi peritoneale che esclude
l’intevento), estensione regionale (l’interessamento di linfonodi inteaortocavali è considerato
indice di disseminazione), metastasi a distanza (quasi sinonimo di incurabilità).
Chemioterapia: lo schema FOLFOX prevede oxaliplatino, 5-FU, acido folinico. Lo schema
FOLFIRI prevede irinotecano + 5FU +acido folinico. Anche i farmaci biologici hanno effetto.
Lo schema XELIRI prevede irinotecano e capecitabina.
Chirurgia: il pomeriggio precedente all’intervento è essenziale pulizia intestinale con soluzione
isosmotica tipo SELG 1000, antibiotico terapia, accurata tricotomia dell’addome e del pube,
lavaggio del paziente.
La demolizione deve comprendere: segmento intestinale sede della neoplasia con margini di
sicurezza (almeno 8 cm nel colon e 4 nel retto); mesentere relativo con stazioni di drenaggio
linfatico distrettuale. Spesso si eseguono emicolectomia destra o sinistra a seconda dela
localizzazione. Si esegue poi un’anastomosi colo rettale. Nel carcinoma del retto inferiore (a meno
di 7 cm dal margine anale) trova indicazione l’amputazione addomino-perineale con asportazione
del colon discendente distale, del sigma, del retto e dell’ano nella su interezza e quindi si instaura
una colostomia definitiva in fossa iliaca sinistra. La terapia schematicamente risulta dunque:
• Malattia iniziale (Astler-Coller A,B e C):
o Chirurgia radicale: resezione 20 cm a monte e 5 cm a valle, asportazione linfonodi
epicolici, paracolici e intermedi, esplorazione bimanuale di tutto l’intestino,
l’omento, le ovaie, i recessi e prelievo bioptico aree sospette.
o Chemioterapia adiuvante: Per il colon III stadio: fluoro uracile + levamisolo. Per il
retto di II-III stadio: fluorurabile + levamisolo + radioterapia.
• Malattia avanzata (Astler-Coller D):
o Chemioterapia: con FOLFOX o FOLFIRI. Usati anche ralitrexed (meno tossico),
capecitabina (più attiva sui tessuti neoplastici, permette di aumentare le dosi),
protocollo XELIRI. Anche UFT (tegafur + uracile), meno tossico.
Chemio endoarteriosa con fuordesossiuridina per metastasi epatiche.
Farmaci biologici: cetuximab, bevacizumab. La chirurgia ha ruolo palliativo.
Prognosi: molto influenzata dallo stadio del tumore, definito dallo studio anatomo-patologico del
pezzo operatorio. Nelle lesioni confinate alla sottomucosa la sopravvivenza è 80-90% a 5 anni. Si
abbassa a 60-70% se viene superata la muscularis propria. Se c’è coinvolgimento linfatico regionale
è del 25-40%. Nei casi di metastasi operabili è del 20% circa.
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ANO
I processi suppurativi possono essere di pertinenza ano-rettale vera e propria (ascesso/fistola
anale, infezioni necrotizzanti) ma anche a carico della cute delle regioni coccigea, glutea e perianale
(sinus pilonidalis, idrosadenite suppurativa, cisti sebacea).
Suppurazioni di pertinenza ano-rettale:
Ascesso anale
L’ostruzione di uno dei dotti ghiandolare che sbloccano a livello della linea dentata e quindi
l’infezione della sua ghiandola anale sono il 90% delle cause di ascesso anale. L’ascesso è lo stadio
acuto dell’infezione mentre la fistola ne è la cronicizzazione. Talvolta l’ascesso può essere
secondario a AIDS, Crohn, neoplasie, pregressa chirurgia ano-rettale.
In genere anche se le ghiandole si trovano nello spazio intersfinterico, l’ascesso tende a non essere
intersfinterico (sede muscolare), ma diffondersi alla cute (ascesso perianale) o superare lo sfintere
esterno e diventare ischio-rettale, talvolta supera anche i muscoli elevatori producendo un ascesso
pelvi-rettale molto complesso.
Clinica: è data da tumefazione dolente con cute tesa e arrossata (con una raccolta di materiale
purulento). Ascesso intersfinterico: non c’è tumefazione esterna solo dolore. Il dolore è pulsante e
lancinante, peggio alla defecazione. Spesso si associano brividi e febbre, può drenare materiale
purulento. Ascesso pelvi-rettale: dolore profondo irradiato ai glutei e si accompagna a disuria.
Terapia: la terapia antibiotica può anche peggiorare il quadro. Il trattamento è con incisione (il più
vicino possibile al margine anale per far si che una probabile fistola sia più breve possibile) e
drenaggio. L’ischio-rettale può richiedere incisione a livello ischio-rettale (se da lì proviene la
raccolta, altrimenti endorettale). Si esegue in anestesia locale.
Fistola anale
È un tragitto neo costituito che mette in comunicazione il canale anale con la cute perianale. In
genere si tratta dell’evoluzione cronica di un ascesso anale drenatosi verso l’esterno in maniera
spontanea o chirurgica. La fistola ha un orifizio interno (a livello della linea dentata dove sbocca la
ghiandola infiammata), uno o più tragitti fistolosi e uno o più orifizi esterni. Può essere:
• Intersfinterica (70%): tra sfintere esterno e interno, sbocca vicino al margine anale.
• Transfinterica: attraversa lo sfintere esterno.
• Soprasfinterica: percorre lo spazio intersfinterico, supera lo sfintere esterno e si dirige
verso la cute attraversando la fossa ischio-rettale.
• Extrasfinterica: l’orifizio interno è nel retto (origina da lesioni, neoplasie o infiammazioni
del retto) e il tratto fistoloso attraversa i muscoli elevatori dell’ano e la fossa ischio-rettale
senza entrare in rapporto con gli sfinteri.
Possono anche essere sottomucose (senza sbocchi sulla cute) e aver tragitti multipli o a fondo cieco
Clinica: intermittente escrezione di materiale purulento e sangue, fastidio all’evacuazione.
L’orifizio esterno è visibile e iperemico. Spremendolo può fuoriuscire pus.
Diagnosi: è importante individuare l’orifizio interno e la morfologia della fistola (rettoscopia ed
ecografia endoanale, magari dopo aver iniettato acqua ossigenata).
Terapia: Valutazione preoperatoria: eseguire una manometria (funzionalità degli sfinteri).
Bisogna trattare, prevenire la recidiva, e preservare la funzione sfinterica.
• Intersfinteriche o tran sfinteriche basse: si preferisce alla fistulectomia (rischiosa), una
fistulectomia (o “messa a piatto”), ossia sezione delle fibre muscolari lungo il tragitto
fistoloso, che una volta aperto è lasciato guarire per seconda intenzione.
• Transfinteriche alte o soprasfinteriche: trattamento in due tempi: si metta a piatto la
porzione extrasfinterica e nella intrasfinterica si pone un setone (filo di seta che permette
un drenaggio continuo). Dopo settimane avvengono denomeni fibrotici e può essere
eseguita la messa a piatto definitiva (risotto rischio di retrazione delle fibre sfinteriche).
• Extrasfinteriche e soprasfinteriche: si può creare un lembo di avanzamento anorettale (di
mucosa, sottomucosa e fibre muscolari) che copra l’orifizio interno., mentre si amplia
l’orifizio esterno per permettere il drenaggio. 1/3 delle volte non funziona. Alternativa è la
l’obliterazione della fistola con colla di fibrina iniettata dall’orifizio esterno.
Situazioni particolari: Ascessi/fistole e Crohn: riguardano quasi 1/3 dei pazienti con Crohn.,
pertanto è da sospettare. Fistola anale e carcinoma: raramente vi sono adenocarcinomi insorti su
fistola, se di lunga data. È consigliabile quindi l’esame istologico del tratto asportato.
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Fistola retto-vaginale
È una fistola tra retto (o canale anale) e vagina. In genere secondaria trauma ostetrico o chirurgico,
oppure a radioterapia o a MICI. Si distinguono in basse, medie o alte Clinica: vi è passaggio in
vagina di aria o feci liquide con secrezioni maleodoranti e vaginiti ricorrenti. Diagnosi:
esplorazione rettale e vaginale, anoscopia o colposcopia. Anche ecografia endorettale.
Terapia: con lembo di avanzamento anorettale nelle fistole medio-basse. Nelle alte in genere
resezione rettale e anastomosi colo-anale.
Suppurazioni della cute perianale/perineale:
Sinus pilonidalis (cisti pilonidale)
È un processo infiammatorio cronico, una cavità unica o multipla con peli e detriti cellulari che
può ramificarsi verso il sottocute dando ascessi e fistole. In genere presenta orifizi multipli (con
peli) ed è in sede sacrale (raramente perianale), comunque nel solco intergluteo. Pare sia collegata
a reazione cronica da corpo estraneo per la penetrazione di frammenti di peli nel sottocute.
Clinica: può restare silente o manifestarsi con fastidio e secrezione siero-ematica. Può però
ascessualizzare e dare tumefazione tesa e dolente che può richiedere intervento.
Diagnosi: clinica, patognomici i ciuffi di peli dagli orifizi esterni. Escludere fistole e ascessi.
Terapia: Fase acuta: incisione cutanea per drenarla. Cronica: pulizia orifizi e cauterizzazione.
Più complessi, ma certamente più efficaci sono gli interventi radicali, con varie modalità.
Malattia emorroidaria
Le emorroidi sono cuscinetti muco-vascolari (mucosa, sottomucosa, tessuto vascolare) che fanno
parte della normale anatomia del canale anale. I vasi al loro interno sono di natura sinusoidale
(privi di componente muscolare propria, non venosi). In genere infatti il sangue è rosso vivo.
È la più comune patologia ano-rettale benigna. Sono fattori di rischio tutte le condizioni
(gravidanza, stipsi, masse endopelviche) che esercitano pressione pelvica. Anche familiarità.
Patogenesi: malattia con tendenza evolutiva che coinvolge cuscinetto emorroidario interno
(emorroidi interne) nel canale anale, e plesso muco-vascolare esterno (emorroidi esterne), nella
giunzione muco-cutanea dell’ano. Si ha ipertrofia del cuscinetto, crollo e quindi prolasso. Anche
il plesso esterno può tumefarsi. Episodi acuti (trombosi) possono dare dolore e pliche cutanee
flaccide residue (marsiche). Deterioramento progressivo delle emorroidi interne: I grado: restano
nel canale anale. II grado: prolassano con la defecazione e rientrano. III grado: prolassano e
devono essere riportate dentro manualmente. IV: stabilmente prolassate e irriducibili.
Emorroidi esterne: a seguito di sforzi possono tumefarsi e dare trombosi.
Clinica: decorso intermittente. Frequente la proctorragia alla defecazione, che però si arresta.
Anche, prurito e lesioni, episodi dolorosi (trombosi). Fastidi e difficoltà nel defecare (ostacolo, etc.)
Diagnosi: anamnesi,clinica. Esame obiettivo ano-rettale completo (possibile infezione o neoplasia).
Terapia: si consiglia dieta con fibre. Se asintomatiche, non si interviene. Se sono sintomatiche:
• I-II-III grado iniziale: si esegue legatura elastica (o con fotocoagulazione, iniezioni
sclerosanti), posizionamento di elastici di gomma alla base dei gruppi emorroidari. La
parte stretta va in necrosi, cade e lascia una cicatrice. Può essere ripetuta, pochi problemi.
• III-IV grado: si può fare emorroidectomia (resezione in sequenza dei gruppi emorroidari,
staccandoli dal piano sottomucoso). Buoni risultati, ma postoperatorio doloroso.
Alternativa è l’emorroidopessi: si seziona un anello di mucosa in modo da riposizionare le
emorroidi nella loro sede naturale. Rischi maggiori (dolore e tenesmo a lungo termine)
oltre che rischio di dover re intervenire. Meno dolore.
Ragade anale
Soluzione di continuo nell’epitelio squamoso del canale anale di forma ovalare, poco sopra la
giunzione muco cutanea, in genere mediana. In genere idiopatica (anche Crohn, HIV, colite, etc.).
Clinica: dolore alla defecazione, periodi di esacerbazione con dolore intenso sono riacutizzazioni
su patologia cronica (che ha scarsa tendenza alla guarigione spontanea). Pare che sia lo stato di
contrattura dello sfintere interno a promuovere la continua trazione e irritazione della ragade.
Può esserci minima perdita di sangue. Difficile eseguire l’esame proctologico per il dolore, ma la
ragade è comunque subito visibile all’interno dell’ano.
Terapia: Recente insorgenza e sintomi non gravi: terapia conservativa con igiene locale,
alimentazione con aggiunta di fibre (anche dilatatori anali se non c’è troppo dolore), anche se
esistono varie pomate di dubbia efficacia anestetiche e riducenti la tensione dello sfintere interno.
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Cronica e sintomi dolorosi intensi: si esegue sfinterotomia interna, ossia sezione della parte più
distale dello sfintere interno. Può esserci anche qui il rischio di provocare un’incontinenza minore,
ma in genere è transitoria. Fornisce comunque una guarigione rapida e duratura.
Tumori anali maligni: in genere carcinoidi epidermoidi. Si distinguono in margine e canale:
Tumori del canale anale: tra l’anello ano-rettale e il margine anale.
Il canale anale si divide in terzi. Il terzo superiore è rivestito da epitelio rettale cilindrico; quello
medio da epitelio di transizione; quello inferiore da epitelio squamoso stratificato. I carcinomi
della zona anale possono essere di origine ghiandolare o squamosa (superiore o inferiore).
Carcinoma epidermoide
È la neoplasia più frequente: squamoso (può essere associato a HPC e condilomi acuminati),
basaloide (dalle cellule basali dell’epitelio di transizione), cloacogenico, transizionale.
Colpisce più le donne e in età avanzata. Spesso indifferenziato, tende all’infiltrazione e alla meta
statizzazione. Può estendersi localmente a perineo, organi pelvici, genitali. Metastasi a linfonodi
mesenterici, fegato e polmone. Spesso morte da crescita pelvica incontrollabile.
Clinica: spesso misdiagnosticato (emorroidi), perché è superficiale e dà precoce sanguinamento.
Può dare anche prurito, mucorrea e se è avanzato dolore, tenesmo e incontinenza.
Diagnosi: è clinica (tumore palpabile all’esplorazione e visibile). Sono duri, dolenti e ulcerati. Da
ricercare eventuali linfoadenopatie inguinali. Per la diagnosi definitiva servono anoscopia e
biopsia (colonscopia per escludere altre lesioni). Anche ecografia e TC per la stadiazione. Va
sempre fatta anche l’eco addome. L’endoscopia è efficace per prevenzione, diagnosi e follow up.
Terapia: inizialmente radioterapia e chemioterapia. Si rivaluta ogni 3 mesi. Se si incontra
persistenza o recidiva si fa una seconda radioterapia oppure chirurgia radicale che è asportazione
con resezione addomino-perineale (rimozione ano) o solo resezione locale (se piccolo).
Tumori del margine anale: neoplasie su quell’area di 5 cm rivestita da epitelio squamoso non
cheratinizzato prossimalmente e cheratinizzato distalmente. Vi sono lesioni precancerose e cancri.
• Malattia di Bowen: carcinoma epidermoide in situ, placca eczematoide. Un’ulcerazione
indica lo sviluppo di carcinoma invasivo. Dà bruciore, prurito e sanguinamento. Un’exeresi
dopo biopsia ne consente il controllo.
• Carcinoma epidermoide: metastatizza poco. Sintomi simili a quelli dei tumori del canale
anale. Lesioni piccole:solo asportazione locale. Lesioni >5 cm: terapia simile al canale anale.
• Sarcoma di Kaposi e tumori maligni negli immunocompromessi: frequenti nei pazienti
con AIDS. Nodularità multiple nerastre. Anche carcinoma epidermoide HPV correlato. La
terapia è in genere la radioterapia o l’escissione locale.
• Melanoma: sopra o sotto la linea dentata, ma anche a livello rettale. È raro ma è quello con
esito peggiore (sopravvivenza <20% a 5 anni). Clinica: rettorragia, dolore anale.
Formazione polipoide nel canale anale. Metastasi linfonodali rapide, anche ematiche a
fegato, polmoni e ossa. Terapia: è radio e chemio resistente. Sarebbero indicati interventi
radicali, ma i risultati sono sconfortanti. A volte meglio preservare la qualità della vita.
• Adenocarcinoma di tipo rettale: simile all’adenocarcinoma del retto sottoperitoneale.
• Adenocarcinoma di tipo ghiandolare: deriva dall’epitelio delle ghiandole anali, pertanto
iniziano come sottomucosi. In genere diagnosi quando infiltrano e ulcerano la mucosa.
Terapia: radio e chemio, seguita da resezione retto-colica con anastomosi colo-anale o
resezione addomino-perineale. Se la diagnosi è precoce è possibile l’escissione locale.
• Carcinoma neuroendocrino: origina dalle cellule neuroectodermiche dell’epitelio
transizionale che possono dare origini a carcinoidi, in genere non funzionanti. La loro
scoperta è in genere accidentale. Clinica: proctorragia, sensazione di ostruzione e stipsi.
Oltre i 2 cm in genere metastatizzano. I tumori più piccoli possono essere trattati con
escissione locale, endoscopica o chirurgica. Le lesioni maggiori di 2 cm richiedono
resezione retto-colica con anastomosi colo-anale o resezione addomino-perineale (a
seconda della sede del tumore).
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CHIRURGIA UROLOGICA MASCHILE
Torsione del funicolo spermatico
La torsione del funicolo costituisce un urgenza urologica importante in quanto il numero di
testicoli perduti per ritardata diagnosi è ancor oggi numeroso. L’età più colpita è quella puberale.
Eziopatogenesi: è da ricondurre a un abnorme mobilità del testicolo per mancato sviluppo
dell’apparato di fissazione (gubernaculum testis e mesorchio) con fattori di rischio ascrivibili
principalmente a varianti anatomiche. In pratica vi è una cavità vaginale che circonda testicolo ed
epididimo che pendono in essa non trattenuti da legamenti. La torsione può avvenire a seguito di
uno sforzo o nel sonno: si ha blocco del deflusso venoso, congestione ed edema fino all’occlusione
arteriosa e all’infarto emorragico. Se la torsione è completa entro 12-24h abbiamo la necrosi. Questa
è la torsione intravaginale; nei neonati può avvenire anche la extravaginale (inguinale).
Clinica: dolore spontaneo e provocato, tumescenza e risalita del testicolo. DD con orchiepididimite
acuta (no febbre e leucocitosi) e torsione dell’idatide di Morgagni (serve esplorazione chirurgica).
Diagnosi: è fondamentale l’ecografia, ecocolordoppler dei vasi spematici e per una maggiore
precisione scintigrafia con 99Tc.
Terapia: si fa esplorazione scrotale, viene incisa l’albuginea e poi chiusa fissandola al dartos. Il
difetto di fissazione è sempre bilaterale, per cui bisogna agire anche sul testicolo non dolorante. Se
l’intervento è eseguito nelle prime 6-8 ore ha successo. Altrimenti (e comunque in ogni caso in cui
il testicolo sia evidentemente infartuato o necrotico) si procede all’asportazione del testicolo.
Idrocele
È una raccolta sierosa nella cavità vaginale del testicolo. Viene distinto in comunicante (congenito,
anomala pervietà del dotto peritoneovaginale) tipico dell’infanzia e acquisito (in seguito a
infiammazioni o condizioni come chirurgia e neoplasie che possono ostruire il drenaggio linfatico).
Diagnosi: ecografia scrotale e trans illuminazione (l’ematocele non trans illumina e tende al
riassorbimento spontaneo). Terapia: Consiste in genere nell’asportazione ed eversione della
vaginale. Visto che nel congenito si associa spesso ad ernia va eseguita anche plastica della porta
erniaria. Non si consiglia la puntura evacuativa (non risolutiva e c’è rischio di infezione).
Varicocele
Dilatazione varicosa del plesso pampiniforme che interessa nell’85% dei casi il testicolo sinistro (a
vena spermatica di sinistra termina ad angolo retto nella renale, la destra è obliqua).
Eziopatogenesi: è collegata all’insufficienza valvolare di questi vasi. In particolare la vena
spermatica di sinistra risente della pressione endoluminale della vena renale sinistra. Può accadere
che anche la vena destra termini ad angolo retto (50% dei casi bilaterali). Vi sono comunque anche
forme di varicocele secondarie a trombosi (ad esempio neoplastica) della renale o della cava.
Il varicocele si riscontra nel 10-20% degli uomini. Se ne distinguono 3 gradi clinici:
Grado 1  varicocele non palpabile ma con reflusso in corso di manovra di Valsalva.
Grado 2  varicocele palpabile.
Grado 3  tumefazione anche all’ispezione, reflusso di cospicua entità.
Clinica: dolore sordo, accentuato con lo sforzo. Remissione dei sintomi in posizione supina. Può
anche essere asintomatico. Il rischio associato al varicocele è l’oligoastenospermia, che causa
infertilità e che può riguardare entrambi i testicoli anche nel varicocele unilaterale.
Diagnosi: esame obiettivo, ecocolordoppler (anche in corso di manovra di Valsalva).
Terapia: nelle forme lievi, senza alterazione dello spermiogramma, può essere conservativo con
uso del sospensorio. La terapia chirurgica consiste nella legatura della vena o delle vene
spermatiche. Si fa un’incisione obliqua a livello dell’anello inguinale esterno per esporre e poi
legare anche eventuali collaterali safeniche o accessorie. Un’alternativa è anche la sclerotizzazione,
che si effettua introducendo un catetere nella vena spermatica, attraverso la vena femorale e sotto
controllo fluoroscopio, raggiungendo la cava e la renale e iniettando una soluzione sclerosante.
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Criptorchidismo
Si tratta della mancata discesa del testicolo nello scroto entro i tre anni di vita. Può essere
addominale (non oltre l’anello inguinale interno) o inguinale (tra anello inguinale interno ed
esterno). Il testicolo può anche essere ectopico (è uscito dal normale tragitto).
Spesso il testicolo scende spontaneamente nel neonato, specie entro il primo anno di vita. Già dal
secondo anno possono esservi alterazioni strutturali irreversibili, entro il 3 anno è fondamentale
che sia avvenuta la discesa. Il testicolo mobile (alterazione gubernaculum) può causare torsione.
Diagnosi: è clinica. Nel primo anno di vita trattamento con LHRH, poi si programma l’intervento
tra secondo e terzo anno di età. Ecografia e TC serviranno a localizzare bene il testicolo prima
dell’intervento. Il criptorchidismo causa sterilità e aumentato rischio di neoplasie.
La terapia chirurgica è l’orchidopessi, ossia isolamento e mobilizzazione del testicolo, con
dissezione del peduncolo vascolare tale da poterlo ben posizionare nello scroto e lì fissarlo.
Tumori testicolari
Si tratta di neoplasie rare, anche se le più comuni nei maschi tra 15-35 anni.
Si distingue tra tumori a cellule germinali (90%) e tumori a cellule non germinali. La gran parte
di entrambi si presenta alla diagnosi in stadio I. Sono comunque neoplasie aggressive, con
diffusione locale limitata. Comportano però spesso interessamento dei linfonodi retro peritoneali
(precavali e paracavali, preaortici e poi anche paraortici, mediastinici, pelvici, inguinali). Le
metastasi per via ematogena sono rare e tardive (polmone, fegato, cervello, poi ossa e cute).
Tumori a cellule germinali: si distinguono in seminomatosi (seminoma, 50%) e non
seminomatosi (a cellule embrionali, poi del sacco vitellino AFP secernente, teratoma, corio
carcinoma). I seminomatosi si distinguono in tipico, anaplastico e spermocitico (HCG secernente).
Tumori a cellule non germinali sono: a cellule di Leydig, del Sertoli ed altri.
Clinica: sintomi sfumati o assenti. Dolore solo nel10% dei casi (infarto parenchima). Vi è però
spesso tumefazione non dolente, meno comunemente segni sistemici delle metastasi (cerebrali,
polmonari, ossee). Ogni tumefazione de indurre il sospetto di neoplasia testicolare.
Esame obiettivo: massa solida localizzata o aumento di dimensione del didimo.
Diagnosi: dopo esame obiettivo può aiutare la trans illuminazione che lo distingue dall’idrocelee
l’ecografia scrotale. Si usa la TC per localizzare bene la massa. La conferma diagnostica si ottiene
però solo dopo inguinotomia esplorativa che è sempre associata all’esame istologico
estemporaneo. Con risultato positivo si esegue orchifunicolectomia (rimozione del testicolo e del
funicolo) che va sempre fatta e che permette la stadiazione. Dopo l’intervento primario infatti
eseguiamo stadiazione e classificazione anatomo patologica (servono esame istopatologico,
dosaggio dei marker prima a e dopo orchiectomia, TC addome e mediastino, incaso di tumore
avanzato anche esami di imaging per individuare le metastasi).
Classificazione TNM: T1: solo testicolo ed epididimo, al max tonaca albuginea. T2: solo testicolo
ed epididimo con invasione vascolare o linfatica, o estensione anche alla tonaca vaginale.
T3: ha invaso il funicolo spermatico. T4: ha invaso lo scroto.
N1: meno di 5 linfonodi, ma < 2cm nel loro diametro maggiore. N2: meno di 5 linfonodi, ma < 5
cm nel loro diametro maggiore. N3: almeno una massa linfonodale > 5cm.
Terapia: multimodale e correlata al tipo e allo stadio clinico. In ogni caso questi tumori rispondono
bene a chemio e radioterapia (si consiglia la crioconservazione del seme prima della terapia).
1. Seminomi:
a. Stadio 1: nel 20% sono interessati i linfonodi retro peritoneali al momento
dell’orchiectomia. Si esegue dopo l’intervento una radioterapia retro peritoneale a
bassa dose. Non è indicata come prima scelta la linfoadenectomia retro peritoneale.
b. Stadio avanzato: rispondono bene alla radioterapia retro peritoneale ed alla terapia
con BEP (bleomicina, etoposide e cisplatino), con remissione completa nel 90%.
2. Non seminomi:
a. Stadio 1: nel 30% celano metastasi sublcliniche. Si fa pertanto linfadenectomia retro
peritoneale con risparmio dei nervi. Se resta positività linfonodale: terapia con BEP
b. Stadio avanzato: chemioterapia con BEP seguita dall’approccio chirurgico.
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TIROIDE
Patologia nodulare
La patologia nodulare tiroidea è molto frequente: noduli rilevabili all´ispezione o alla
palpazione del collo si ritrovano nel 5-10% della popolazione generale. Noduli rilevabili
all’ecografia ci sono nel 30% della popolazione. I noduli tiroidei possono essere singoli, nel
contesto di una tiroide normale, o multipli, nel contesto di una tiroide globalmente
aumentata di volume (gozzo multinodulare). La prevalenza della patologia nodulare
tiroidea aumenta con l´aumentare dell´età ed è maggiore nelle zone iodocarenti rispetto
alle zone in cui l´apporto iodico è adeguato. Fortunatamente nella maggior parte dei casi i
noduli tiroidei sono benigni: i tumori maligni della tiroide costituiscono non più del 5-10%
di tutti i noduli.I noduli tiroidei possono essere distinti in neoplastici e non neoplastici.
Questi ultimi includono i noduli iperplastici, che possono svilupparsi spontaneamente o
dopo interventi di tiroidectomia parziale, e i noduli infiammatori (o pseudonoduli),
costituiti da cellule infiammatorie, che sono un reperto frequente nelle tiroiditi (acute,
subacute, croniche autoimmuni). I noduli neoplastici possono essere di natura benigna
(adenomi, cisti) o maligna. I noduli benigni possono essere funzionanti (scintigraficamente
"tiepidi" o "caldi") e associarsi a iperfunzione tiroidea clinica o subclinica, oppure non
funzionanti (scintigraficamente "freddi") e non accompagnati da modificazioni della
funzione tiroidea. I noduli neoplastici maligni includono carcinomi primitivi, che traggono
origine dalle cellule follicolari (ca. differenziati e indifferenziati) o dalle cellule
parafollicolari o cellule C (ca. midollare), linfomi e localizzazioni metastatiche di tumori di
altri organi.
Ci sono elementi anamnestici e obiettivi che possono far sospettare la natura maligna di un
nodulo tiroideo. Essi includono:
o una pregressa irradiazione esterna nella regione del collo;
o l´età giovanile (< 20 anni) o avanzata (> 60 anni);
o una storia familiare positiva
o la rapida crescita
o la consistenza dura e la superficie irregolare;
o l´adesione ai tessuti superficiali e profondi (scarsa motilità con la
deglutizione);
o la presenza di linfoadenomegalia latero-cervicale sede di possibili metastasi;
o la presenza di disfagia o di disfonia, che potrebbero essere espressione,
rispettivamente, di un´infiltrazione dell´esofago o del nervo laringeo
inferiore (ricorrente).
L´ecografia tiroidea fornisce informazioni molto utili dal punto di vista diagnostico.
Elementi ecografici di sospetto sono:
o l´ipoecogenicità del nodulo;
o la presenza di microcalcificazioni intranodulari;
o i margini irregolari o mal definiti del nodulo;
o la vascolarizzazione intranodulare, possibile espressione della
neoangiogenesi
Diagnosi: Nessuno di questi elementi, preso singolarmente, ha una specificità assoluta che
consenta di discriminare con sicurezza una neoplasia benigna da un tumore maligno.
Dal punto di vista diagnostico, al di là della clinica e dell´ecografia, cui si è già fatto cenno,
un ruolo fondamentale è svolto dall´agobiopsia con ago sottile e dal successivo esame
citologico sulle cellule così prelevate. Questo semplice esame ha molto spesso un carattere
dirimente, consentendo, così, di ridurre il numero di interventi di tiroidectomia non
necessari. Occorre rilevare, tuttavia, che in circa il 15% dei casi l´esame citologico fornisce,
anche indipendentemente dall´esperienza di chi esegue l´agobiopsia, risposte inadeguate
per una diagnosi di certezza (Tab. 1.7). Nei casi in cui la risposta sia inadeguata, l´esame
deve essere ripetuto. Per una maggiore attendibilità dell´esame, l´agobiopsia viene oggi
quasi sempre eseguita sotto guida ecografica. La tireoscintigrafia risulta invece quasi
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sempre inutile. Permette infatti di distinguere noduli caldi (benigni, adenoma tossico) e
freddi, ma questi ultimi non è affatto detto che siano maligni.
Algoritmo diagnostico-terapeutico: Di fronte ad un nodulo rilevato all’ispezione o più
probabilmente alla palpazione si può partire con eco + dosaggio TSH. Si potrà avere:
• Nodulo cistico con TSH normale: si esegue evacuazione del contenuto. Se recidiva
si evacua di nuovo e si può fare alcolizzazione o exeresi chirurgica se necessario.
• Nodulo solido-misto con TSH normale: si esegue ago biopsia. Se maligno o
comunque sospetto di malignità si esegue la tiroidectomia.
• Nodulo solido-misto con TSH basso: è possibile che vi sia ipertiroidismo (nodulo
producente ormoni). Si esegue una tireoscintigrafia: se il nodulo è caldo si tratta di
un adenoma tossico e in tal caso di può fare terapia con radioiodio o tiroidectomia.
Terapia: La terapia del nodulo tiroideo è chirurgica se vi sono sospetti di malignità o se il
gozzo e/o i noduli sono, comunque, di dimensioni tali da causare fenomeni di
compressione locale a carico della trachea, dell´esofago o dei vasi venosi del
collo/mediastino. L´esplorazione chirurgica deve sempre prevedere l´indagine istologica
estemporanea al congelatore; nel caso di adenoma si eseguirà un´emitiroidectomia (o
lobectomia o istolobectomia); se invece sarà identificata una lesione carcinomatosa, allora
bisognerà procedere all´intervento più esteso di tiroidectomia totale (asportazione della
tiroide, con conservazione della paratiroidi).
L’approccio chirurgico può essere tradizionale (attraverso taglio alla base del collo),
robotico transascellare o mininvasivo tramite tiroidectomia videoassistita.
La tiroidectomia può essere totale o subtotale (per risparmiare danno ai ricorrenti  si
lascia un residuo tiroideo). Le complicanze principali della tiroidectomia sono: emorragia
(con sangue nel collo e compromissione delle vie respiratorie), ipoparatiroidismo (in
genere dopo l’intervento si fanno prelievi di sangue per misurare calcemia e calcio
ionizzato in modo da prevenire con profilassi di calcio e vit.D), ipotiroidismo, lesione a
uno entrambi i nervi laringei inferiori o ricorrenti, lesione a uno o entrambi i nervi laringei
superiori, pneumotorace (molto rara in caso di gozzi estesi allo stretto toracico superiore),
lesioni tracheali (rare), lesioni del dotto toracico (rare), crisi tireotossiche (durante trazione
e spremitura della ghiandola).
Una possibile alternativa all´intervento chirurgico è rappresentata, nei casi non sospetti,
dalla terapia soppressiva con L-tiroxina, che, più che determinare la regressione di noduli
ben consolidati e di lunga data, può arrestarne l´ulteriore crescita o incremento di numero.
La terapia con L-tiroxina viene, in questi casi, attuata con dosi tali da mantenere FT4 e FT3
nei limiti della norma e il TSH a concentrazioni subnormali (< 0,3-0,4 mU/ml) o
francamente indosabili. Poiché si utilizzano dosi lievemente soprafisiologiche di ormone
tiroideo, non è indicato proseguire questo trattamento oltre i 60 anni di età. È in ogni caso
necessario monitorare, nelle donne in menopausa, eventuali modificazioni della massa
ossea.
Tumori tiroidei
I tumori tiroidei possono essere differenziati (90%) o anaplastici (10%).
I tumori differenziati comprendono i K.papillifero (75%) e il K.follicolare (15%). Forme più
rare comprendono il linfoma a il carcinoma midollare della tiroide. Quest ultimo è un raro
tumore (in genere associato a forme genetiche) che origina dalle cellule C parafollicolari
della tiroide, le cellule che producono la calcitonina. Sono più comuni nelle donne. Eccetto
il carcinoma midollare, sono in grado di captare lo iodio.
Fattori di rischio: radiazioni esterne che colpiscono la regione del collo aumentano il
rischio. La quantità di iodio assunta influenza l’istotipo del tumore. Sembra che il papillare
sia più comune nelle zone con più iodio, il follicolare e l’anaplastico nelle zone con meno
iodio.
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Tipi di tumore tiroideo: i carcinomi che colpiscono la tiroide sono:
• Carcinoma papillare: differenziato, non incapsulato, con tipiche strutture (papille
fibrovascolari) ricoperte da un solo strato di cellule neoplastiche contenenti corpi
psammomatosi (calcificazioni). Metastasi: per lo più ai linfonodi loco regionali.
• Carcinoma follicolare: proliferazione di cellule follicolari, ma senza papille
fibrovascolari. Ben differenziato, per la diagnosi può essere necessario trovare
l’invasione capsulare e vascolare. Metastasi: più per via ematogena.
• Carcinoma a cellule di Hürtle: variante ossifila del follicolare (15%). Grandi cellule
policlonali eosinofile (presenti anche in corso di tiroiditi). È un tumore ben
capsulato, più aggressivo, che capta di meno il radioiodio.
• Carcinoma anaplastico: indifferenziato. Molto aggressivo, più comune negli
anziani e già su gozzi multi nodulari. È una massa dura e ben adesa, rapidamente
infiltrante. Morte in pochi mesi. Metastasi: per lo più a distanza (ad es. polmone).
Terapia: il trattamento delle neoplasie differenziate della tiroide consiste nella rimozione
chirurgica. La tiroidectomia totale è considerata l´intervento chirurgico elettivo in quanto
nell’emitiroidectomia vi è un 7% di recidive ed inoltre dopo rimozione totale è più facile il
follow-up con radioiodio. Questo intervento è efficace e consente una sopravvivenza, oltre
i 10 anni, dell´80% dei casi. L´intervento deve essere eseguito con massima meticolosità,
conservando le paratiroidi e rispettando i nervi ricorrenti.
Quando i linfonodi della catena latero-cervicale sono macroscopicamente coinvolti o
presentano la caratteristica colorazione (blu nera) del linfonodo metastatico, si procede
anche allo svuotamento delle stazioni linfatiche (linfadenectomia). Se le adesioni agli
organi circostanti sono importante può servire la rimozione dello sternocleidomastoideo.
L´intervento chirurgico deve essere completato dal trattamento radiometabolico (una dose
ablativa con 30-100mCi) con radioiodio. Il trattamento radiometabolico ablativo viene
eseguito 30-45 giorni dopo l´intervento chirurgico, in condizioni di ipotiroidismo: 7-15
giorni dopo la somministrazione della dose di radioiodio viene eseguita la scintigrafia
corporea totale (WBS, Whole Body Scan ), che, oltre al residuo tiroideo, può già mettere in
evidenza eventuali metastasi locali o a distanza. Poiché il tumore differenziato della
tiroide è TSH-dipendente, il paziente viene, subito dopo il trattamento radiometabolico,
messo in terapia TSH-soppressiva con L-tiroxina da mantenere ai livelli giusti per tenere
FT3 e FT4 normali e TSH indosabile. Il dosaggio della Tg non è utile come marker tumorale
prima dell´intervento di tiroidectomia, mentre è fondamentale nel follow-up del
paziente. Ritrovare livelli dosabili/elevati di Tg non solo in sospensione di terapia, cioè in
ipotiroidismo, ma, a maggior ragione, anche in corso di trattamento TSH-soppressivo con
L-tiroxina, è un sicuro indice di attività di malattia persistente. Successivamente si fa
follow-up con ecografia, dosaggio Tg e dosaggio FT3, FT4 e TSH (per valutare
l’adeguatezza della terapia con L-tiroxina). 12 mesi dopo si esegue di nuovo WBS (dopo
soppressione di terapia o somministrazione di TSH ricombinante) e dosaggio Tg. Se la
WBS è negativa e il Tg indosabile si continua con controlli eco ogni 12 mesi + Tg e
dosaggio ormoni tiroidei e TSH. Se la patologia persiste si può risomministrare radioiodio
o anche eseguire chirurgia delle metastasi aggredibili.
Prognosi: Carcinomi differenziati: a 10 anni sopravvivenza dell’80-95%. Indifferenziati:
l’utilità della chirurgia è spesso limitata perché l’exeresi radicale è quasi sempre
impossibile. In questo caso di tratta con radioiodio o chemioterapia, ma la sopravvivenza
media è di 6 mesi circa.
• Carcinoma midollare: tumore maligno che prende origine dalle cellule C,
parafollicolari che producono calcitonina. 10% dei tumori tiroidei maligni. Esiste in
forma sporadica (sindromi MEN) oppure familiare (20%).
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Il carcinoma midollare appare bianco, duro, con cellule fusate o poligonale sperata da
stroma fibroso e depositi di amiloide. Si può dimostrare con tecniche immunoistochimiche
(anticorpi anticalcitonina). La forma sporadica è per lo più singola e unilaterale, la forma
familiare è spesso multipla e bilaterale. Metastasi: precoci ai linfonodi regionali, ma
anche a distanza (polmone, fegato, ossa).
Diagnosi: si valutano i livelli di calcitonina, anche dopo tiroidectomia. Se resta il dubbio
si cerca l’eventuale iperrisposta al test di stimolazione con pentagastrina o carico di Ca.
Terapia: la terapia con radio-odio non ha ruolo dato che le cellule parafollicolari non
captano iodio. L’intervento minimo è la tiroidectomia totale con linfadenectomia. Se nel
follow-up la calcitonina resta elevata si re interviene al collo e alle metastasi aggredibili. La
sopravvivenza a 10 anni è del 50-60%.
Neoplasie poliendocrine
Con il termine MEN si indicano le neoplasie multiendocrine. Si tratta di tre sindromi
ereditarie caratterizzate dall’insorgenza di processi proliferativi a carico di alcune
ghiandole endocrine che posso variare dall’adenoma sino al carcinoma conclamato. Si
tratta di malattie autosomiche dominanti.
MEN 1: (sindrome di Wermer) descritta come adenomatosi delle ghiandole endocrine.
Esordio spesso nella 2° o 3° decade. È caratterizzata da:
• Iperplasia paratiroidea: quasi costante. Si ha iperparatiroidismo primario che può
essere asintomatico a lungo o dare alterazione di calcio e fosforo e PTH e quindi
debolezza, sonnolenza, nefrocalcinosi, poliuria, danni ossei e articolari, etc.
• Neoplasie pancreatiche: per lo più gastrinomi e insulinomi (che danno la tipica
triade di Whipple), ma anche tumori secernenti glucagone, ACTH, etc. Sono
maligni nel 30% dei casi. Ai gastrinomi è spesso associata malattia peptica.
• Adenoma ipofisario: prolattina, non funzionante, acromegalia, etc. (benigni)
• Possibilità di carcinomi follicolari e tumori carcinoidi (bronchi), anche multipli.
Diagnosi: screening famiglie a rischio. Genetica e dosaggio del polipeptide pancreatico,
PP, e gastrina dopo il pasto (c’è un picco anche negli asintomatici). Per la diagnosi al
vetrino si fa immunoistochimica con NSE (enolasi specifica neuronale).
Terapia: paratiroidectomia (anche video assistita o radioguidata con MIBI). Si tolgono 3
ghiandole e ½. Se ne lascia mezza, a volte ponendola nell’avambraccio o segnalandola. Per
il pancreas octreotide e INF-alpha e chirurgia. Radioterapia per gli adenomi ipofisari.
MEN 2
MEN 2a: (sindrome di Sipple) caratterizzata da carcinoma midollare della tiroide,
feocromocitoma (40%), e iperplasia paratiroidea (50%).
MEN 2b: (o MEN3) caratterizzata da carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma,
ganglioneuromi intestinali (o altrove), deformità scheletriche con abitus marfanoide
(cifosi, pectum escavatum, no aneurismi aorta). Nella 2b la patologia tiroidea è più precoce
FMTC: solo carcinoma midollare della tiroide AD, in genere meno aggressivo.
In tutte le sindromi MEN si può anche avere agangliosi intestinale (Hirschprung).
Screening: nelle famiglie con sindromi MEN si effettua screening genetico e in caso di
conferma (mutazione proto-oncogene RET) è indicata tiroidectomia totale profilattica
nella MEN 2b entro il primo anno di vita, in MEN 2a e FMTC entro il quinto anno.
Marker sono calcitonina, istaminasi sierica (metastasi). Genetica + test penta gastrina. Per
il feocromocitoma si può fare test di dosaggio delle catecolamine dopo cicloergometro.
Terapia: Chirurgia: Per prima cosa bisogna asportare il feocromocitoma (si consiglia
surrenalectomia bilaterale, anche laparoscopica). Poi tiroidectomia e paratiroidectomia
totale. Nella MEN 2b la prognosi è peggiore che nella MEN 2a.
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Iperparatiroidismo
L’iperparatiroidismo si distingue in primario, secondario e terziario. Le cause primarie
comprendono iperplasie e tumori delle paratiroidi che si manifestano con ipercalcemia e
ipercalciuria (urinaria e plasmatica) occasionale o sintomatica (dolore, stipsi, gotta,
anoressia, depressione, nefrolitiasi, aritmie).
1) Primario: in genere dovuto ad un adenoma (una ghiandola su 4 aumenta di volume e
ha cellule neoplastiche benigne), ma può essere causato da un’iperplasia ghiandolare
diffusa ed anche da un raro carcinoma. Clinica: squilibrio calcemico. Può essere
asintomatico o dare calcolosi renale, deformità ossee, dolori. L’ipercalcemia provoca
nausea e vomito, poliuria, debolezza, psicosi, calcificazioni metastatiche. Laboratorio:
PTH e calcemia aumentati. In genere anche ipofosfaturia e ipofosfatemia. Ipercalciuria.
Altri esami: RX: riassorbimento osseo (falangi distali), cisti ossee e altre anomalie.
Scintigrafia paratiroidea: con MIBI (metoxisobutil-isonitrile) per individuare l’adenoma.
Ecografia paratiroidea: immagini nodulari aspecifiche. TC o RM: utili soprattutto se si
sospetta una paratiroide ectopica (ad es. nel mediastino) o iperparatiroidismo persistente.
DD: vi sono anche neoplasie che danno produzione ectopica di PTH (come il carcinoma
polmonare a cellule squamose); milk-alcali syndrome (aumento calcemia per assunzione
di antiacidi o derivati del latte), uso di diuretici tiazidici, ipercalcemia familiare.
Terapia: chirurgica anche negli asintomatici. Si identificano le paratiroidi e se ne
rimuovono 3 e ½. La posizione delle paratiroidi ne rende difficile l’intervento. Infatti sono
situate tra il n.ricorrente e l’arteria tiroidea inferiore, per questo l’approccio chirurgico
interno è in genere il più sicuro per il n.ricorrente. In ogni caso le ghiandole vanno
ricercate con l’imaging pre operatorio e nei casi più difficili da individuare è possibile
anche l’intervento video-assistito. Le complicanze sono le stesse della tiroidectomia.
La chirurgia mininvasiva video assistita si fa con una sola incisione centrale di 15 mm.
Dosaggio intraoperatorio del PTH: ha scarsa emivita e si usa per valutare l’andamento
della procedura di rimozione.
2) Secondario: dovuto a IRC o malassorbimento intestinale, ipovitaminosi D (che è la
conseguenza spesso di un’IRC). Vi è ridotto assorbimento di calcio e PTH elevato.
Nell’IRC si ha osteodistrofia renale. Si dà infatti vitamina D durante l’emodialisi.
3) Terziario: l’ipertrofia prolungata delle paratiroidi per un iperpartiroidismo secondario
causa un iperparatiroidismo svincolato dal normale feedback del calcio, con PTH che resta
elevato anche dopo trapianto di reni e quando la calcemia è normale.
Ipertensione di pertinenza chirurgica
Feocromocitoma: neoformazione a partenza dalle cellule cromaffini che secernono
catecolamine. Più frequentemente origina dalla midollare del surrene, ma può svilupparsi
anche dai neuroni simpatici postgangliari o in altre sedi (10% dei casi è extrasurrenale).
Nell’80% dei casi è unilaterale (più a destra), nelle MEN è più spesso bilaterale.
Clinica: la sintomatologia è legata all´eccessiva produzione soprattutto di adrenalina
(ADR) e noradrenalina (NA) che possono determinare l´insorgenza di crisi ipertensive
arteriose in genere improvvise e imprevedibili o uno stato di ipertensione continua. Il
feocromocitoma è in genere <10 cm, produce NA e ADR (e altro) o sol NA (extrasurrenali)
Clinica tipica: ipertensione arteriosa (70% parossistica e 30% stabile) a volte scatenata da
traumi o stress di vario genere. Si ha cefalea, pallore, tachicardia, vomito, flushing al viso,
tremori, ansia. Anche ipertermia e catabolismo aumentato.
Clinica atipica: può presentarsi con morte cardiaca improvvisa, intolleranza al glucosio,
insufficienza miocardica, disturbi vagali, stato settico, ipertiroidismo.
Diagnosi: una volta posto il sospetto clinico, la diagnosi va confermata con indagini di
laboratorio e strumentali (TC con mdc) che valutano la produzione ormonale, la
localizzazione e la sede della neoformazione. Si utilizzano:
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• Dosaggio catecolamine libere in urine e loro cataboliti: si fa sulle urine nelle 24h.
• Dosaggio catecolamine plasmatiche: meno utilizzato. A volte dopo cicloergometro.
• Test di soppressione: si sopprime la risposta simpatica con clonidina o fentolamina
o prazosina e si dosano le catecolamine (o si valuta la pressione).
• Test di stimolo: potenzialmente pericolosi, di scarso utilizzo. Glucagone o istamina.
• Indagini strumentali: sono più sensibili. Si usano soprattutto TC e RM (specie per
il sospetto di feocromocitoma extrasurrenalico). Anche angiografia, eco, scintigrafia.
Terapia: è chirurgica e va effettuata in centri specializzati dopo adeguata preparazione.
Durante l´intervento il paziente presenta elevato rischio di ipertensione grave che può
essere fatale. Aritmie e crisi ipertensive si possono manifestare già all´induzione
dell’anestesia. La somministrazione di farmaci antipertensivi può essere seguita da
ipotensione, shock ed arresto cardiaco. Durante l´intervento la manipolazione della
ghiandola e l´isolamento della neoformazione possono favorire l’immissione in circolo di
catecolamine con scatenamento di crisi ipertensive. Pertanto il paziente deve essere
adeguatamente preparato all´intervento con a1-bloccanti come la prazosina. In caso di
tachicardia marcata in corso di intervento si danno beta-bloccantil. La legatura precoce
della vena surrenalica principale permette di evitare in ogni caso l’immissione in circolo di
grandi quantità di catecolamine.L’intervento è terapeutico per le forme maligne, e nelle
forme maligne se è radicale.
Per le neoplasie non voluminose l’intervento di scelta è per via laparoscopica. La chirurgia
tradizionale del surrene viene fatta per via anteriore sottocostale, laterale lombotomica,
posteriore extraperitoneale., etc.
Prognosi: se maligno, 50% a 5 anni. La mortalità intraoperatoria è dell’1-2%.
Ipertensione nefrovascolare
Sono tutte quelle forme di ipertensione dovute a una riduzione del flusso ematico a livello
delle arterie renali e dei loro rami. La fisiopatologia è dovuta alla diminuzione del flusso
sanguigno a livello dell’arteriola afferente (stenosi  aterosclerosi, tromboembolia,
arteriti, traumi, neoplasie) che causa liberazione del sistema renina-angiotensinaaldosterone. Questo causa aumento della pressione arteriosa sistemica.
La diagnosi è clinica e strumentale con ecocolor doppler renale e conferma con angio-RM
(o alternativa angio-TC spirale). L’angiografia un tempo il gold standard ha tuttavia ora
un ruolo più che altro terapeutico in corso di rivascolarizzazione endovascolare.
Terapia: chrirurgica, volta a risolvere l’ipertensione oltre che di prevenire la possibile
insufficienza renale ristabilendo la funzione del rene. La nefrectomia è una tecnica
obsoleta (appropriata in caso di rene grinzo con rene normale controlaterale). Tra le
tecniche di rivascolarizzazione di c’è l’angioplastica percutanea (PTRA), soprattutto nei
pazienti giovani con ipertensione moderata senza IRC. Nel caso di insuccesso della PTRA
o di ristenosi si può applicare uno stent. La tromboendoarterectomia o bypass si usa in
casi rari (ad esempio concomitanza con interventi per aneurismi o stenosi aortiche) o in
caso di stenosi grossolane e bilaterali.
Sindrome di Cushing
È la condizione clinica caratterizzata dall’eccesso di ormoni glucocorticoidi nel circolo
ematico. Le cause della sindrome possono essere molteplici. Tra le cause più comuni
ricordiamo il morbo di Cushing, cioè un adenoma ipofisario ACTH secernenate. Altre
cause possono essere tumori benigni o maligni che colpiscono la corteccia surrenalica o
anche sindromi paraneoplastiche.
Il quadro sintomatologico include: astenia, opsteoporosi, obesità centripeta, perdita della
libido, ipertensione, amenorrea, iperglicemia, diabete II, psicosi e depressione,
teleangectasie cutanee e seborrea.
La diagnosi tiene conto del sospetto clinica e di indagini di laboratorio (con test di
soppressione del cortisolo con desametasone), ed esami strumentali (eco, TC, PET, RM).
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Terapia: è chirurgica e prevede chirurgia dell’ipofisi per via trans-sfenoidale con
asportazione dei microadenomi (e/o irradiazione della sella turcica); oppure
surrenectomia. La surrenectomia è un operazione che prevede l’asportazione di uno o
entrambi i surreni: il surrene viene isolato e separato dal rene e poi asportato tramite
sezione del peduncolo vascolo-nervoso.
Iperaldosteronismo
È una malattia provocata dall’aumento di produzione di aldosterone da parte del surrene
con diminuzione dei livelli di potassio nel sangue, alcalosi, ipertensione, aumento del
rapporto ALDO/PRA. Può essere primario causato da un adenoma della corteccia
surrenalica (sindrome di Conn) o secondario a iperattività del sistema renina angiotensina
aldosterone. La terapia è chirurgica, o farmacologica (casi bilaterali) con spironolattone.
Tumori neuroendocrini (carcinoidi)
I TNE sono un gruppo eterogeneo di tumori che originano da :
- ghiandole endocrine (paratiroidi, ipofisi, midollare surrene)
- aggregati di cellula endocrine
- cellule endocrine disperse in tessuto esocrino
Sono solitamente tumori o carcinomi ben differenziati associati a buona sopravvivenza a
5-10aa anche in presenza di metastasi epatiche. Solo il 3-4% dei casi si hanno forme poco
differenziate a prognosi peggiore.
Presentazione clinica
• sindrome da ipersecrezione ormonale: sindrome da carcinoide ( eccesso serotonina,
chiazze, eritema,ipertesione, flushing, bradicardia ). Questa sindrome presuppone
la presenza di metastasi epatiche.
• sindromi paraneoplastiche
• sindromi familiari predisponenti
• la diagnosi è fortuita nel 90% dei casi.
• Ipersecrezione di marcatori neuroendocrini come cromogranina A
Insulinoma
È il tumore più frequente del pancreas endocrino, generalmente benigno tuttavia nel 15%
dei casi può essere maligno, talvolta è associato a MEN1. La clinica è data dalla triade di
Whipple con ipoglicemia spontanea, segni di ipoglicemia neurovegetativi (sudorazione,
palpitazioni, tachicardia, tremore) e segni neuroglucopenici (vertigini, cefalea, confusione,
fino a coma e morte), miglioramento dopo somministrazione di glucosio per e.v. o per os.
Spesso questi pz hanno obesità per la bulimia indotta dall’ipoglicemia. Va in d.d. con
l’ipoglicemia di altra genesi. Per la diagnosi: test del digiuno con assenza della
soppressione fisiologica dell’insulina, ecografia, TC spirale, scintigrafia con 111-Inocterotide.
- sesso femminile, spesso benigno, nel 15% dei casi è maligno
- non infrequenti nella MEN1
- sintomi gravi: ipoglicemia, attivazione adrenergica
- se non riconosciuto si giunge a come e morte
Gastrinoma
- spesso maligno
- sintomi: ulcere ricorrenti, anemia
- sindrome Zolinger Ellison da ipersecrezione di gastrina
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Vipoma
- sindrome diarroica, quasi sempre maligno
- ipocloridria importante
- diarrea acquosa ipokalemia acidosi metabolica
Glucagonoma (sindrome di Becker)
- quasi sempre maligno
- iperglicemia a digiuno
- eritema necrolitico viaggiante/migrante
- associata a MEN1
Somatostatinoma
- associato a varie sindromi familiari
- spesso considerato non funzionante
- steatorrea, calcolosi biliare
- caffè, banane, cioccolata. ananas stimolano la serotonina
- broncocostrizione
- diarrea
- malattia valvolare dx
Diagnosi e Terapia
Per la diagnosi: scintigrafia con 111-In-octerotide. Infatti alte concentrazioni si SST2 si
trovano nei tumori neuroendocrini. In genere facciamo ecografia addome ed epatica + TC
con mdc o RMN
La terapia può essere di resezione chirurgica (per i tumori localizzati resecabili) oppure
chemioterapia e terapia biologica. Per i pazienti con malattia diffusa o localizzata a
scintigrafia positiva senza altre opzioni terapeutiche possiamo fare terapia con Y90octreotide, con controllo della tossicità renale ed ematologica
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LA MAMMELLA
Anatomia: le mammelle occupano lo spazio compreso tra la III e la VII costa estendendosi in
larghezza tra la linea parasternale e l’ascellare media. Sono costituite dal capezzolo con l’areola, e
dalla ghiandola mammaria con 20 loghi ghiandolari che convergono verso il capezzolo con i 10-12
dotti galattofori. Le ghiandole sebacee (di Montgomery) dell’areola servono a lubrificarla.
Anteriormente la ghiandola è delimitata dalla cute per mezzo del tessuto connettivo sottocutaneo,
mentre posteriormente la borsa adiposa retromammaria di Chassignac la divide dall’aponeurosi
del muscolo grande pettorale. Lo stroma è composto da una parte connettivale densa e da un
abbondante tessuto adiposo. Nel maschio è più rudimentale con scarso sviluppo ghiandolare.
Vascolarizzazione: è duplice, superficiale per la cute, e profonda per il parenchima. Le arterie sono
rami dell’ascellare (l’acromiotaoracica che irrora la parte supero laterale e la mammaria esterna
che irrora la parte laterale) e della mammaria interna (ramo della succlavia che irrora la parte
mediale e supero mediale). Le vene si portano alla giugulare esterna, la cefalica, l’epigastrica
superficiale e la sternale laterale; mentre inferiormente abbiamo le vene superficiali dell’addome e
seguono il decorso delle artereie. I vasi profondi si aprono nelle vene intercostali.
Innervazione: nervi intercostali, toracico e rami derivanti dal plesso cervicale e brachiale.
Vasi linfatici: le vie di drenaggio sono: ascellare, interpettorale e mammaria interna:
• Via laterale: (linfonodi ascellari) provengono da areola e plesso sottoareolare (che ricevono
dai linfatici cutanei, di buona parte del parenchima e dotto galattofori). Raggiungono il
sottogruppo superiore dei linfonodi ascellari.
• Via retro mammaria: i vasi retro mammari derivano dalla parte profonda della ghiandola e
raggiungono il gruppo sottoclavicolare dei linfonodi ascellari.
• Via mediale: i vasi della parte mediale della ghiandola, dopo aver attraversato il grande
pettorale terminano nei linfonodi della catena mammaria interna (Parasternali?).
Patologia benigna: patologia infiammatoria, displastica (fibrocistica), neoplastica benigna.
Patologia infiammatoria della mammella: causate quasi tutte da batteri, per lo più giunti per via
canalicolare retrograda (più che ematogena o linfatica):
Mastite acuta: spesso puerperale (primi 4 mesi di allattamento). Seno dolente alla palpazione,
segni di iperemia, possibile febbre e leucocitosi, anche tumefazione e ascessi se progredisce.
Mastiti croniche: rare, spesso per germi poco virulenti. Può formarsi ascesso sottoareolare o fistola
galattofora. Il trattamento chirurgico è di asportazione del dotto interessato per prevenire recidive.
Ectasia duttale: dilatazione dei dotti sottoareolari. Asintomatica o iperemia, edema della cute,
tumefazione, a volte aspetti di liponecrosi. In genere non richiede trattamento chirurgico.
Necrosi adiposa: lesione rara, tumefazione confondibile con un carcinoma. In genere regredisce.
Galattocele: raccolta di late per ostruzione di un dotto galattoforo. Mastite tubercolare: rara in
occidente, tumefazioni dure e non dolenti. Mastite luetica: possibile interessamento nella sifilide.
Displasia: indica un gruppo di alterazioni del parenchima mammario con aspetto proliferativo
e/o fibrotico. È la lesione più frequente della mammella, più tra 30-50 anni. Può essere iperplasia
epiteliale (duttale o lobulare), adenosi, cisti solitaria, malattia fibrocistica.
Mastopatia fibrocistica
È l’affezione più frequente (50%) con picco di incidenza 25-45 anni. L’eziologia è discussa, ma pare
causata dell’iperestrogenismo che si verifica in conseguenza di cicli anovulatori o di deficit della
fase luteinica per insufficiente produzione di progesterone. Vi è minore incidenza nelle donne che
assumono contraccettivi orali. È caratterizzata da un iperplasia dell’epitelio duttale o lobulare
accompagnata da un incremento dello stroma. Vi sono formazioni cistiche alternate ad aree
sclerotiche. Nei casi di iperplasia ghiandolare anche se la patologia è benigna è considerata una
condizione precancerosa (aumentato rischio di carcinoma mammario). L’iperplasia connettivale
può comportare ectasia dei dotti e formazione di cisti (che possono rompersi e dare flogosi).
Clinica: vi è aumento di volume di una o entrambe le mammelle, dolenzia di intensità variabile
più accentuata in fase premestruale, tensione mammaria, micro/macro nodularità, placche di
addensamento ghiandolare. I linfonodi non presentano alterazioni di rilievo.
Diagnosi: si avvale di clinica e palpazione e si esami strumentali Nella donna giovane è indicata
l’ecografia e solo nei casi sospetti la FNAB o addirittura la biopsia escissionale (necessaria in caso
di riscontro di atipie cellulari). Nelle donne con più di 50 anni è indicata la mammografia.
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Terapia: la patologia è benigna e per quanto risulti una maggiore incidenza di carcinoma,
probabilmente vi è una causa comune delle due condizioni (disendocrinia) piuttosto che
un’evoluzione della patologia fibrocistica. Può pertanto essere utile risolvere gli squilibri ormonali
attraverso progestinici. La biopsia escissionale è indicata solo in caso di nodulo sospetto non chiaro
Lesioni sclerosanti benigne: si tratta di lesioni benigne che simulano malignità e possono creare
difficoltà di diagnosi differenziale: adenosi sclerosante, lesione scleroelastosica, adenoma duttale,
adenosi microghiandolare.
Tumori della mammella: possono originare dal tessuto epiteliale o stromale, ma anche dai tessuti
molli, cue e sottocute. Si distinguono in tumori epiteliali benigni e maligni, misti (epiteliali e
stromali), mesenchimali benigni e sarcoma stromale:
Tumori epiteliali benigni:
Adenoma del capezzolo: o adenoma papillare, insorge su un grosso dotto del capezzolo e si
manifesta con secrezione sierosa o siero-ematica. Il capezzolo può essere eroso (confuso con
malattia di Paget). Pare essere una lesione precancerosa del carcinoma intraduttale, pertanto la
terpai risulata essere l’escissione chirurgica della lesione.
Adenomi semplici: abbastanza rari, benigni. Sono l’adenoma tubulare (in donne giovani
circoscritto, duro, tubuli ben differenziato, non soggetto a trasformazione) e l’adenoma lattifero
(spesso in gravidanza o allattamento, cellule epiteliali ipertrofiche, regredisce spontaneamente).
Papilloma intraduttale: è un quadro patologico di pertinenza dei dotti principali (grosso e medio
calibro), picco di incidenza 30-35 anni. Il dotto appare dilatato, poi cistico ed è clinicamente
evidente per la secrezione sierosa e/o sieroematica del capezzolo. Possibile atipia, anche se è rara
l’evoluzione in carcinoma papillare infiltrante. La diagnosi si basa su citologia del secreto,
mammografia, duttogalattografia (gold standard). La terapia si basa su duttogalattoforectomia
(resezione chirurgica cuneiforme a livello del dotto sede del papilloma e suoi rami secondari) o
asportazione dell’intero settore di mammella se vi è esame citologico dubbio.
Il rischio di cancerizzazione è basso, ma aumenta in caso di papillomi multipli (papillomatosi).
Tumori mesenchimali benigni:
Essendo la mammella costituita da tessuti adiposo è frequente il reperto di lipoma nelle donne
anziane. Ma il trattamento è indicato solo in caso di dubbio diagnostico o alterazioni estetiche.
Possiamo avere: lipoma, leiomioma, neurinoma, tumore a cellule granulose o mio blastoma,
miofibroblastoma, tumori vascolari benigni.
Tumori misti epiteliali e stromali: comprendono il fibroadenoma e il tumore filloide:
• Fibroadenoma: è il più frequente in età fertile, tra 20-25 anni. È a lenta crescita, più spesso
nel quadrante supero-esterno. Possono esserci fibroadenomi multipli bilaterali. Pare sia
legato ad un’iperstimolazione da parte di estrogeni. Il tumore è in genere di piccole
dimensioni, di consistenza duro-elastica (più duro nelle donne anziane) e mobile, ricoperto
da cute intatta. Spesso è un reperto riscontrato all’autopalpazione. Alla diagnosi di certezza
si arriva solo con l’esame istologico.
Terapia: nelle donne giovani con tumore inferiore a 2 cm si possono fare solo controlli. Se
>3cm o la donna è >30-35 anni o vi è crescita rapida, è indicata l’exeresi chirurgica (è
facilmente enucleabile, presenta una pseudo capsula).
• Tumore filloide: raro tumore benigno, o raramente border-line o maligno (cistosarcoma
filloide). È una lesione nodulare unica monolaterale, rotonda, molle-elastica, spesso mobile
con diametro spesso >4 cm e rapida crescita. Può anche esserci un’ulcerazione cutanea
dovuta alla compressione sui vasi e a volte può esserci linfadenopatia ascellare. Durante la
crescita provoca edema e arrossamento della cute con aspetto a buccia d’arancia. Quando è
maligno è infiltrante i piani profondi.
Terapia: si esegue asportazione chirurgica con tessuto circostante indenne, per evitare
recidive. Se molto voluminoso o in caso di trasformazione sarcomatosa è indicata la
mastectomia. Le forme maligne danno metastasi per via soprattutto ematogena (polmone,
fegato, osso).
Sarcoma stromale: tumore relativamente raro (1-2% dei mammari), in più varietà
(rabdomiosarcoma, leiomiosarcoma, etc.). Picco di incidenza tra 35 e 45 anni, hanno rapida
crescita, enormi dimensioni e consistenza dura. Manca il coinvolgimento dei linfonodi ascellari. Si
ha dolore e rapida crescita della massa. Terapia: consiste nella mastectomia radicale.
60
Tumori epiteliali maligni:
Carcinoma della mammella:
Epidemiologia: la probabilità di ammalarsi per le donne bianche è 1/10, mentre nella razza nera è
di 1/14. Ogni anno in Italia vengono colpite 25mila donne. Si trova raramente sotto i 30 anni
(eccetto casi familiari) e l’incidenza aumenta notevolmente dopo la menopausa dove le masse sono
considerate cancerose fino a prova contrari (picchi tra 45 e 50 e tra 60 e 65).
Localizzazione: È più frequente a sinistra, nel 4% dei casi è bilaterale o sequenziale nella stessa
mammella. Il quadrante più colpito è il quadrante supero esterno (50%). Nel 90% dei casi è di
origine duttale, nel 10% lobulare. Nel 6% possiamo avere carcinoma duttale e lobulare associati.
Fattori di rischio: Fattori genetici: circa il 10% delle neoplasie sono legate a fattori genetici.
Certamente legati a neoplasie familiari sono BRCA1 e BRCA2. Fattori ormonali: le cellule
mammarie hanno recettori per gli estrogeni e per il progesterone. In particolare gli estrogeni
sembrano promuovere il carcinoma (maggiore rischio se vi è maggiore durata dell’età fertile). La
gravidanza ha invece un fattore protettivo grazie all’iperproduzione di progesterone. Fattori
ambientali. Dieta ricca di grassi, alcolici, aumentano il rischio così come l’obesità.
Storia naturale: spesso al momento della diagnosi la malattia può essere già multicentrica,
soprattutto nell’istotipo lobulare bilaterale. Viene in genere identificata quando il diametro è
maggiore di 1 cm, e si pensa che raggiunge tale dimensione a 7-9 anni, e a tale stadio in genere ha
già prodotto metastasi. Inoltre il tumore produce metastasi già in fase subclinica.
Il carcinoma mammario tende a diffondersi sia localmente sia sistematicamente per via linfatica e
ematica. Il tumore metastatizza precocemente per via linfatica data la sua ricca rete, prima in sede
ascellare poi in fossa sopraclaveare. Quindi superata la barriera linfatica, entra nel circolo ematico
danno metastasi a distanza a scheletro (rachide, bacino, femore), polmone, fegato, cervello.
Anatomia patologica: si presenta generalmente come unico e monolaterale (bilaterale nel 5% dei
casi) e più nel quadrante supero esterno. Si possono distinguere carcinomi non infiltranti (in situ)
intraduttali o lobulari e carcinomi infiltranti (invasivi).
Carcinomi in situ si possono sviluppare ll’interno dei dotti mammari (duttali) e non superano la
membrana basale dei dotti, possono essere individuati nella mammografia come punti di necrosi o
micro calcificazioni. I carcinomi lobulari originano invece dai lobuli mammari. Studi recenti
hanno dimostrato che questa classificazione in duttale e lobulare è obsoleta in quanto TUTTI
originano dall’unità terminale duttulo-lobulare e che la variazione della tipologia di crescita non
dipende quindi dall’origine ma dalla biologia dei tumori, in particolare dall’espressione (duttale) o
meno (lobulare) della E-caderina.
Grazie alla mammografia e allo screening il numero dei casi di CDIS (carcinoma duttale in situ, o
intraduttale) è rapidamente aumentato dato che in genere si associa a calcificazione facilmente
diagnosticabili. Il CLIS (carcinoma lobulare in situ) invece non si accompagna a calcificazione e
per questo viene incidentalmente diagnosticato in corso di biopsie.
Carcinomi non in situ: l’istotipo può essere importante perché correla con la prognosi:
• Carcinoma duttale infiltrante: è la forma più frequente, 75% dei carcinomi. In genere
lesione unica, di consistenza aumentata rispetto al parenchima circostante. Superficie e
margini irregolari, possibile retrazione dei tessuti circostanti. Può variare il grado di atipia,
correlato con la prognosi. Non è tra quelli con prognosi favorevole.
• Carcinoma midollare: abbastanza raro (1%), massa di 3-4 cm di consistenza molle e ben
delimitata, tondeggiante. Vi è infiltrazione linfoide. Ha una prognosi relativamente
favorevole, basso indice metastatico e sopravvivenza a 5 anni di circa il 70-90%.
• Carcinoma mucinoso o mucoide: più in età anziana, massa gelatinosa, ben delimitata. Ha
scarsa tendenza alla metastasi come il precedente, prognosi buona a 5 anni.
• Carcinoma papillare infiltrante: raro, forse è lo stadio più aggressivo del papilloma
intraduttale. Infiltrazione dei dotti. Pare avere una prognosi relativamente buona.
• Carcinoma tubulare: lesione neoplastica ad alto grado di differenziazione, entra in
diagnosi con l’adenoma tubulare. Infiltra il parenchima circostante. Così come il papillare,
tende raramente a dare metastasi (prognosi relativamente buona).
• Carcinoma neuroendocrino: nella mammella non vi sono normalmente cellule
neuroendocrine, che compaiono solo in caso di neoplasia. Più nelle donne anziane, è un
tumore ben circoscritto, scarsamente aggressivo (prognosi relativamente buona).
61
•
•
•
Malattia di Paget: ci si riferisce a un carcinoma duttale che interessa i dotti maggiori e che
diffonde alla cute del capezzolo. Vi è una lesione cutane con erosione o ulcerazione. Tipica
di menopausa o post-menopausa. Ha una prognosi sfavorevole in quanto spesso coinvolge
anche il derma e attraverso i linfatici e per via ematogena dà rapidamente metastasi.
Carcinoma lobulare invasivo: forma maligna che prende origine dai duttuli che sono nei
lobuli. Importante riconoscerlo perché la sola asportazione del quadrante in questo caso
può non bastare. Nel 20% dei casi interessa entrambe le mammelle. Prognosi non buona,
simile a a quella del carcinoma duttale infiltrante.
Carcinoma della mammella maschile: nell’uomo vi sono i dotti ghiandolari, ma non i
lobuli. È una forma di tumore molto rara e aggressiva, perché raggiunge rapidamente i
piani profondi. Spesso la diagnosi è in stato avanzato, già con metastasi a distanza.
Clinica: il segno clinico che porta più frequentemente alla scoperta di carcinoma mammario è un
nodulo duro, non dolente a margini mal irregolari, generalmente fisso. La fissità è una
caratteristica dei tumori maligni. Indicatori di cattiva prognosi sono segni come retrazione
spontanea o provocata di cute o capezzolo (reazione sclerotica indotta dalle cellule tumorali) e
linfoadenopatia ascellare omolaterale. Un altro segno iniziale può essere la secrezione ematica
dal capezzolo, sebbene sia un segno infrequente oppure la cute a sovrastante a buccia d’arancia
dovuta all’edema linfatico a causa dei trombi nei vasi linfatici. Quando questi sono molti si può
avere un quadro francamente infiammatorio (con mammella ingrossata, arrossata ed edematosa),
ossia mastite carcinomatosa. L’erosione eczematoide pruriginosa è segno di malattia di Paget del
capezzolo. Nel quadro avanzato invece dominano i segni delle metastasi. Queste sono:
Linfonodali  tumefazioni agli ascellari, sovraclaveari, catena della mammaria interna (nella
maggior parte sono coinvolti gli ascellari perché è coinvolto di più il quadrante supero esterno);
Cutanee (segni locali); Ossee  dolore per metastasi osteoblastiche; Polmonari  dispnea,
versamento pleurico, talvolta emoftoe; Epatiche  asintomatiche o con epatomegalia; Cerebrali 
ipertensione endocranica.
Istotipi con alta tendenza alla metastatizzazione sono: carcinoma duttale infiltrante, malattia di
Paget, carcinoma lobulare. Metastatizzano poco il papillare, il tubulare, il mucoide e il midollare.
[Esame obiettivo: può consentire un’iniziale indirizzamento verso al diagnosi differenziale:
Valutazione del nodulo: Lesione (nodulo) benigno  dolore presente, donne giovani,
correlazione del volume e dolore della lesione al ciclo mestruale, buono stato generale
Lesione maligna  asintomatica, donna in perimenopausa, mancata relazione con il ciclo,
possibile scadimento delle condizioni generali, possibile eczema del capezzolo, familiarità.
Secrezione del capezzolo: Grigrio-scuro  processo flogistico cronico; Puruloide  mastite o
galattoforite; Sierosa o limpida  papilloma o iperplasia epiteliale benigna; Verdastra  ectasia
duttale; Lattescente  galattorea (adenoma ipofisario o iperprolattinemia); Siero-ematica 
papillomatosa; Ematica  iperplasia duttale atipica (ca. in situ); Acquosa o limpida  indice di
proliferazione maligna.]
Diagnosi: la diagnosi di k mammario è multimodale. Si avvale di periodiche visite di controllo e di
screening mammografico dopo i 50 anni, mentre la donna giovane si giova di periodici controlli
ecografici con eco color doppler. Lo screening è un programma di controllo di massa delle donne
asintomatiche, ha l’effetto di ridurre in media la mortalità del 30%, aumentando la possibilità di
diagnosi precoce che consente un trattamento tempestivo.
La biopsia con ago sottile è di facile esecuzione e la sua positività è sufficiente per poter effettuare
intervento chirurgico, ma talvolta è gravata da FN per questo può essere necessaria la biopsia
escissionale. Poco utili alla diagnosi sono i markers sierologici come CEA TPA e CA15.3, che
invece possono essere utilizzati nel successivo follow up.
Esami strumentali di stadiazione: la stadi azione è fondamentale per formulare un giudizio
prognostico e terapeutico. Nel sistema TNM si considerano come linfonodi regionali quelli
dell’ascella, anche se non sono i soli. Questi sono divisi in linfonodi di I livello: lateralmente al
piccolo pettorale. II livello: sotto il piccolo pettorale. III livello: medialmente al margine mediale
del piccolo pettorale. Il coinvolgimento dei linfonodi sopraclaveari o della mammaria interna è
considerato come una metastasi a distanza. Il TNM può essere integrato (pTNM) con l’analisi
istologica. I tumori in stadio I hanno una sopravvivenza a 5 anni dell’85-90%, i tumori in stadio IV
del 15-20%. Pertanto la classificazione TNM è così strutturata:
62
Tumore primitivo: T1: ≤2 cm (T1a: ≤0,5 cm; T1b: tra 0,5 e 1 cm; T1c: tra 1 e 2 cm). T2: tra 2 e 5 cm.
T3: > 5 cm. T4: qualunque dimensione, ma con estensione alla parete toracica o alla cute.
Linfonodi regionali: N1: coinvolgimento linfonodi non considerati metastatici (N1a) o considerati
metastatici (N1b), ma omolaterali mobili. N2: linfonodi ascellari omolaterali fissi. N3: linfonodi
omolaterali sovraclaveari o infraclaveari, oppure edema del braccio.
Stadiazione: Stadio 1: T1 N0 M0 e T1 N1a M0. Stadio 2: T0-1-2 N1b M0. Stadio 3: T3 ogniN M0;
ogni T N2-3 M0. Stadio 4: ogni T ogni N M1. BAH?!?
Fattori prognostici negativi: dimensione del tumore, interessamento linfonodale (e numero di
linfonodi), grading (grado di anaplasia), indice mitotico (mitosi su 10 campi), indice proliferativo
(antigene ki67), presenza di recettori per estrogeni e progesterone (è un fattore positivo perché
indica differenziazione), recettore erb-B2 (la sua presenza è un indice negativo).
Nella valutazione dell’operabilità di un carcinoma mammario che non abbia dato metastasi a
distanza (M0) è importante la definizione del grado di avanzamento del tumore primitivo e delle
eventuali metastasi linfonodali ascellari. In genere sono considerati inoperabili i T4 così come gli
N2-N3. In effetti il coinvolgimento linfonodale è uno dei fattori prognostici principali.
Indagini strumentali utili: sono essenzialmente volte alla valutazione dell’estensione del tumore
primitivo (TC, RMN) o per la valutazione di eventuali metastasi: radiografia del torace (metastasi
polmonari), ecografia addominale, scintigrafia ossea, esami di laboratorio (markers tumorali
come CA 15-3, CEA, CA 125, utili per tenere sotto controllo la risposta al trattamento).
Prognosi: circa l’85% delle pazienti con cancro della mammella muore per eventi collegati alla
diffusione della patologia. Quando il cancro è confinato alla sola mammella, il tasso di guarigione
è del 75-90%, se sono interessati i linfonodi ascellari è di 40-60% a 5 anni e 25% a 10 anni. La
presenza del recettore degli estrogeni è fondamentale in quanto identifica pazienti con tumore non
solo meno aggressivo, ma che meglio risponderà alle terapie ormonali.
Terapia: la terapia del tumore della mammella è multidisciplinare. Il chirurgo per effettuare un
intervento corretto ha bisogno di precise informazioni del patologo e del radiologo. Inoltre serve il
medico nucleare per individuare il linfonodo sentinella. È necessario spesso un chirurgo plastico,
oncologo, radioterapista. La terapia ha intenti curativi per gli stadi 1-2-3, mentre è a scopo
palliativo per lo stadio 4. Spesso nonostante gli esami per la valutazione della stadi azione, il
tumore ha già dato metastasi a distanza (2/3 dei casi) al momento della chirurgia. In ogni caso
mentre un tempo era praticamente indicata sempre la mastectomia radicale, oggi la diagnosi
precoce e il notevole sviluppo di chemio e radioterapia permettono talvolta un approccio
conservativo insieme a trattamenti medici adiuvanti. Pertanto distinguiamo:
•
•
•
Terapia del carcinoma in situ: si fa terapia conservativa associata a radioterapia. Serve
un’accurata mammografia e valutazione istologica. La semplice escissione può andar bene
solo per pazienti con tumore inferiore a 1-2 cm. In genere si esegue comunque asportazione
dei linfonodi del cavo ascellare. In pratica di tratta di tumorectomia o quadrantectomia (di
Veronesi con biopsia del linfonodo sentinella per i tumori più piccoli di 3 cm e quindi non
sempre asportazione dei linfonodi). Dopo tumorectomia o quadrantectomia è sempre
indicata la radioterapia adiuvante anche in caso di carcinoma duttale in situ, mentre in caso
di carcinoma lobulare in situ l’indicazione è controversa.
Terapia chirurgica conservativa: attualmente la mastectomia radicale di Halsted si limita
ai casi di malattia avanzata con infiltrazione del muscolo grande pettorale; infatti l’ampia
demolizione non consente una ricostruzione con protesi e richiede interventi più complessi
e articolati di ricostruzione. L’efficacia della radioterapia ha indotto alcuni chirurghi ad
eseguire interventi come la mastectomia parziale (escissione locale, quadrantectomia,
asportazione di una parte della mammella) associata a svuotamento linfonodale e
radioterapia. Pare non vi sia grande differenza di sopravvivenza con l’intervento di
Halsted. Si preferisce quest’ultima nel caso di dimensioni non favorevoli, tumore
multifocale, controindicazioni alla radioterapia. Esiste anche chemioterapia neoadiuvante.
Mastectomia radicale di Halsted: asportazione in blocco della mammella compresa i due
muscoli pettorali e l’intero pacchetto linfonodale ascellare. Intervento giudicato mutilante e
per alcuni comunque incompleto (tralascia la catena mammaria interna). È stata proposta
una versione allargata così pure una modificata (secondo Patey, nei casi in cui la
quadrantectomia non è appropriata si asporta mammella, cute, linfonodi ascellari e piccolo
pettorale con conservazione del grande pettorale, mentre nella variante Madden si
63
conserva anche il muscolo piccolo pettorale). La mastectomia resta indicata nelle pazienti
con controindicazioni per la radioterapia, nelle pazienti che preferiscono maggiore
sicurezza o non preferiscono un serrato follow-up, nel III o IV stadio.
• Terapia di malattia localmente avanzata: nel III stadio anche se in assenza di metastasi a
distanza. Vi è coinvolgimento della cute della mammella. L’approccio migliore è
chemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia o radioterapia (se non più operabile)
più ulteriore chemio adiuvante. Si pratica l’intervento di Patey o di Halsted se invade il
grande pettorale. In molti casi è necessaria l’asportazione linfonodale ascellare.
• Terapia della malattia metastatica: ad oggi non esistono linee guida sulla strategia di tale
malattia. Nelle recidive locali trova indicazione la chirurgia e il trattamento varia a seconda
di quello primario già effettuato. Nelle recidive loco-regionali dopo chirurgia primaria,
spesso è usato il trattamento radiante. La radioterapia è il gold standard per le metastasi a
distanza, con intento palliativo per il controllo della sintomatologia dolorosa e anche per le
metastasi ossee e casi di compressione midollare (crolli vertebrali da metastasi osteolitiche).
In sintesi: si parla orma di chirurgia oncoplastica. Questa è la combinazione tra chirurgia
oncologia e plastica. Il paradigma oggi è quello del minimo trattamento efficace. Per carcinomi in
situ si tende alla tumorectomia o quadrantectomia (risultato estetico inferiore, ma meno recidive).
Anche quando il tumore è infiltrante, ma non raggiunge lo stadio III o IV si tenta una chirurgia
conservativa (per esempio con interventi di mastectomia parziale, seguita da chirurgia plastica).
Un esempio è la mastectomia skin sparing, come nella mastectomia sottocutanea, ossia
l’intervento chirurgico di asportazione completa conservando la cute. Non è indicata per le
patologie maligne infiltranti ma in caso di papillomatosi duttale, grossi cistoadenomi, carcinomi
duttali in situ (non infiltranti). Si può applicare solo a mammelle piccole e non voluminose.
Terapia dei linfonodi del cavo ascellare: lo stato dei linfonodi ascellari è il fattore prognostico più
importante per la sopravvivenza. È possibile risparmiare alle donne un’inutile svuotamento
linfonodale con la tecnica del linfonodo sentinella. La dissezione del compartimento ascellare è
infatti un intervento che può provocare in un 5-10% dei casi complicanze come dolore, parestesie,
linfoceli, linfedema, impotenza funzionale dell’arto superiore (per lesioni nervose). Il linfedema è
un edema del braccio per ostacolato deflusso linfatico all’arto superiore. Il 70% dei casi di donne
con tumore alla mammella non hanno però coinvolgimento dei linfonodi, pertanto l’operazione,
oltre che rischiosa risulta inutile. Il linfonodo sentinella è il primo linfonodo a cui arrivano le
cellule metastatiche da un determinato sito tumorale. Se questa stazione sarà libera da metastasi è
verosimile che tutto il compartimento linfonodale di quella sede ne sia libero. Combinando le
tecniche dela linfoscintigrafia e del colorante blu di Evans si ottiene un’individuazione nel 95% dei
casi (quindi bisogna informare del 5% dei fallimenti), in mani esperte quasi del 100%.
Esecuzione: Prima dell’intervento: si esegue linfoscintigrafia iniettando tecnezio marcato nella
sede del tumore e con l’utilizzo di una gamma-camera 2-3 ore dopo si individua il linfonodo
sentinella e si segna con un marker indelebile sulla cute per il chirurgo. In sala operatoria dopo
tumorectomia, viene iniettato il colorante Blu di Evans (che può colorare di blu il vaso linfatico e
facilitare l’individuazione per il chirurgo) e si esegue l’incisione per asportare il linfonodo. Questo
viene prelevato e analizzato all’esame istologico estemporaneo. Se è positivo è necessario
procedere alla dissezione del cavo ascellare, altrimenti no.
Terapia radiante: viene effettuata dopo mastectomia o intervento conservativo. Dopo l’intervento
conservativo (effettuato solo se non vi sono controindicazioni alla radioterapia, come carcinoma
infiammatorio, linfonodi ascellari positivi, impossibilità di ottenere margini esenti da
neoplasia, etc.) si fa radioterapia per 3-5 giorni a settimana per 5 settimana. La radioterapia può
essere impiegata anche dopo mastectomia per consolidare il controllo loco-regionale. In ogni caso
bisognerebbe evitare di combinare la linfadenectomia del cavo ascellare con la radioterapia, dato
che in questi casi l’incidenza di linfedema del braccio raggiunge quasi il 50%.
Terapia medica adiuvante: il carcinoma mammario, anche metastatico, risponde bene sia alla
chemio che all’endocrinoterapia. Si tenta la riduzione della massa e il prolungamento della
sopravvivenza.
• Ormonoterapia: la risposta a questo trattamento è dell’80% se vi sono i recettori ormonali,
solo del 10% se questi mancano. Si utilizzano soprattutto tamoxifene (effetti collaterali sono
vampate di calore, ritenzione idrica, possibili fenomeni trombo embolici), progestinici
(come megestrolo, utili nelle donne che presentano resistenza al tamoxifene, possono
64
•
causare incremento ponderale e depressione), analoghi dell’LHRH (castrazione
farmacologica, inibiscono la produzione di ormoni ovarici). Altro farmaco utilizzato è
l’inibitore dell’aromatasi (aminoglutemide, blocco surrenalico reversibile, deve infatti
essere somministrato con idrocortisone). Anche trastuzumab (anticorpo contro il recettore
HER2, nel caso questo sia presente).
Chemioterapia: è indicata come terapia aggiuntiva dopo trattamento chirurgico di tumori
primitivi con linfonodi ascellari positivi, senza metastasi a distanza. Serve a eradicare le
metastasi occulte, molto comuni. Si utilizzano cicli di polichemioterapia. Sono utilizzate
antracicline (come la doxorubicina), taxani (come il paclitaxel), ciclofosfamide,
adriamcicina, 5-fluouracile, sempre in associazione.
In generale:
• In caso di malattia iniziale: si fa Quadrantectomia + Radioterapia e (eventuale
linfadenectomia in base al risultato del linfonodo sentinella) poi:
o Se il tumore è endocrino responsivo: si fa endocrino terapia con inibitori
dell’aromatasi + tamoxifene. Si aggiungono antracicline se si ritiene alto il rischio
di recidiva.
o Se il tumore non è endocrino responsivo: In generele taxani + antraci cline (o 5fluorouracile) associati a trastuzumab se il paziente è HER2 +.
• In caso di malattia avanzata: cioè Stadio III: si fa Chemio neoadivante sempre con taxani
+ antraci cline, Mastectomia (eventualmente modificata), + chemio adiuvante o radio.
• In caso di malattia metastatica: chirurgia e radioterapia palliativa, chemioterapia
(principalmente sempre con antracicline e taxani), endocrino terapia (tamoxifene nelle
donne in premenopausa, inibitori aromatasi in postmenopausa, agonisti GnRH(,
eventualmente trastuzumab (lapatanib se cessa di funzionare).
Tecniche di ricostruzione
La ricostruzione della mammella dopo mastectomia prevede l’uso di tessuto autologo o materiale
protesico e spesso prevede anche la ricostruzione dell’areola e del capezzolo. La prima parte della
procedura spesso può essere svolta immediatamente dopo la mastectomia (chirurgia oncoplastica).
Spesso la ricostruzione del capezzolo è ritardata fino alla ricostruzione completa del seno in modo
da programmare in maniera precisa la localizzazione.
Vediamo quali sono le principali tecniche di ricostruzione:
1) Protesi mammarie  la tecnica più comune. Il chirurgo inserisce a un espansore tissutale
con un impianto temporaneo e quindi successivamente si andrà a inserire l’impianto
permanente.
2) Flap reconstruction (ricostruzione con lembo)  la seconda tecnica più comune prevede
utilizzo di tessuto autologo (lembo) con originale vascolarizzazione come schiena, gluteo,
coscia o addome. Una ricostruzione comune è quella che utilizza un lembo proveniente dal
muscolo gran dorsale, oppure possiamo utilizzare un lembo addominale. La TRAM FLAP è
proprio la ricostruzione che utilizza un lembo addominale. Da qualche hanno sono
disponibili delle variante microchirurgiche che non sacrificano il muscolo retto
dell’addome (e hanno meno complicanze come l’ernia addominale), si tratta della tecnica
DIEP.
65
L’OBESITA’
È una condizione cronica evolutiva e recidivante a eziopatogenesi complessa e multifattoriale in
cui abbiamo un alterazione della composizione del corpo con eccesso assoluto e relativo di grassi a
cui consegne un peggioramento della qualità della vita e provoca complicanze che possono anche
condurre a morte.
In Europa una persona su cinque è obesa con 5-10 milioni di obesi solo in Francia, Uk e Germania
che necessitano di trattamento medico e/o chirurgico.
L’obesità può essere primitiva o secondaria. Quella primitiva può dipendere da fattori genetici
(leptina), ma la maggior parte degli obesi ha un eziologia che dipende da fattori psichici (stress,
frustrazione, solitudine) e soprattutto abitudini alimentari e comportamentali scorrette. Esiste poi
un obesità secondaria a malattie SNC come neoplasie o patologia di ipotalamo e ipofisi, e a
malattie endocrine (s.Cushing, ipotiroidismo).
Il BMI è il body mass index e si calcola come peso/altezza^2. Secondo l’OMS il range di normalità
è 20-25. Tra 25-30 si parla di sovrappeso, tra 30-40 di obeso, 40-50 obesità moderata, superiore a 50
obesità grave. Tuttavia il BMI non tiene conto della composizione corporea (massa magra, massa
grassa, acqua intracellulare, acqua extracellulare) che può essere rilevata tramite ipendenziometria
o calcolo delle pliche cutanee.
Per un uomo di media corporatura con attività sedentaria il consumo energetico totale è
2.500Cal/die. Il peso è il risultato di controllo esterni e quindi di introito di cibo, e controlli internifisiologici del corpo; ma un forte controllo è dovuto al controllo cognitivo e mentale della persona.
Le complicanze mediche connesse all’obesità sono numerose:
• Respiratorie  insufficienza respiratoria, apnea notturna
• Cardiovascolari  ipertensione, arteriosclerosi, scompenso cardiaco congestizio,
insufficienza venosa cronica degli arti inferiori
• Metaboliche  diabete mellito, sindrome metabolica, dislipemia, colelitasi, nefrolitiasi,
iperuricemia, gotta
• Ortopediche  gonartrosi, spondilo artrosi
• Gastroenteriche  steatosi epatica, ernia jatale, MRGE
• Sessuali  ginecomastia, irsutismo, disfunzione erettile, infertilità
• Oncologiche  aumento del RR di k endometrio, mammella, colon, prostata
• Psicologiche  ansia, depressione, frustrazione
• Socio – economiche  costi di assistenza, disoccupazione
Terapia: la terapia può essere medica o chirurgica. Lo scopo della terapia è la normalizzazione del
peso corporeo ed il suo mantenimento per tutta la vita.
Terapia conservativa: il bilancio energetico può essere negativizzato diminuendo l’introito o
aumentando il consumo. I farmaci che aumentano il consumo sono dannosi, mentre l’esercizio
fisico è per gli obesi praticamente inattuabile a sufficienza.
La riduzione d’introito può invece attuarsi in modi differenti:
• Riduzione dell’assorbimento intestinale: le fibre contenute in alcuni alimenti ed altre
sostanze sintetiche non sono sufficienti perché la superficie dell’intestino è di molto
eccedente le necessità. Viene utilizzato a volte in associazione alla dieta l’orlistat che
inibisce la lipasi. Ha però effetti sgradevoli ed è poco comune in Italia.
• Riduzione dell’appetito: non è praticamente mai utile, soprattutto perché non è solo per
appetito che ci si alimenta. I falsi alimenti, il palloncino intragastrico o BIB (funziona solo
come placebo, dannoso peraltro). Il BIB dovrebbe ridurre il rischio della chirurgia
bariatrica, è controindicato in caso di esofagite.
• Inutili anche le diete chetogene (alto contenuto di proteine, inducendo la cheto acidosi
riducono l’appetito). I farmaci anoressizzanti (adrenergici e serotoninergici), funzionano su
alcuni individui più che su altri, inoltre l’effetto a lungo termine non è certo, è difficile
determinare la dose, alterano il rapporto con il cibo.
• Riduzione dell’introito di cibo per controllo esterno: consiste nella terapia dietetica
prescritta dal medico (a volte in associazione con anoressizzanti). Vi può essere: digiuno
totale (abbandonato) o modificato (400 calorie), diete ipoenergetiche convenzionali
(forniscono 800-1200 calorie, senza eliminare i nutrienti essenziali. Hanno scarso effetto a
lungo termine. Il dietologo deve procedere per tentativi, in quanto interviene una
fisiologica riduzione del consumo oltre che una riduzione difficile da tollerare).
66
Riduzione dell’introito di cibo per autocontrollo: a differenza della dietoterapia non è
fatta in due tempi (un introito per dimagrire, uno per mantenere il peso). Ci si preoccupa
direttamente del peso di stabilizzazione, assegnando al soggetto l’introito energetico che
comporterà sia raggiungimento che mantenimento di esso. Il soggetto istruito sulla
fisiologia del calo ponderale, sulle caratteristiche energetiche degli alimenti, sceglierà la da
solo la propria dieta basandosi sull’introito energetico massimo assegnatogli.
• Riduzione dell’introito di cibo per modificazione del comportamento alimentare: terapia
cognitivo-comportamentale dell’obesità (diario alimentare, individuazione dei motivi e
degli stimoli dell’eccesso, controllo dell’atto del mangiare, sistema di auto gratificazione). Si
associa ad informazione nutrizionale, esercizio fisico. Ha avuto buoni effetti a lungo
termine soprattutto nel mantenimento del peso raggiunto.
In generale dopo terapia medica il 95% degli obesi gravi riacquista il peso iniziale.
•
Conseguenze del calo ponderale: Negative: può esservi una eccessiva perdita di massa magra (se
molto rapida può anche causare morte improvvisa). In generale un obeso per mantenere la massa
magra deve conservare un sovrappeso del 10-20%. Non è peraltro ancora certo che il dimagrito
viva di più dell’obeso!!!, soprattutto per mancanza di adeguati studi su soggetti che sono riusciti a
mantenere uno stabile dimagrimento. Positive: effetto benefico socio-economico e psicologico (in
genere), scomparsa apnea notturna, miglioramento funzioni sessuali, risoluzione steatosi epatica,
migliore funzionamento funzioni sessuali, stabilizzazione pressione arteriosa, glicemia,
ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia che però accade solo se il paziente torna ad un peso
normale. Bisogna infatti ricordare che un paziente in sovrappeso (quindi non più obeso ma non
ancora normale) ha spesso un rischio cardiovascolare anche maggiore del paziente obeso, pertanto
la terapia non può che accontentarsi solo della riduzione del peso fino al peso normale.
Indicazioni alla terapia chirurgica: esistono dei criteri, spesso però stabiliti per criteri politici, etici
o medico-legali più che scientifici. In generale le indicazioni debbono basarsi sul rapporto
costo/beneficio che è variabile in rapporto al paziente, alla metodica e anche al chirurgo. In pratica
il medico dovrà pensare alla chirurgia quando si renderà conto: che il paziente è effettivamente un
malato, che non può dimagrire con metodiche incruente, che i benefici attesi sono più grandi dei
rischi. L’unico criterio certo è il peso minimo: 40 di BMI o 35 di BMI se l’obesità è complicata.
In generale quindi la terapia chirurgica è indicata per BMI superiore a 40 o superiore a 35 con
comorbilità per pazienti tra 18-65 anni con obesità stabilite da almeno 5 anni in cui sono falliti gli
approcci dietetici e farmacologici per almeno un anno, in paziente con rischio operatorio
accettabile e buona compliance al trattamento.
Procedure chirurgiche: nell’ambito delle varie strategie terapeutiche, la soluzione chirurgica nasce
e si afferma perché è l’unica in grado di comportare un notevole calo ponderale e di mantenere a
lungo i risultati. Il team bariatrico chirurgico è formato da chirurgo bariatrico, anestesista,
psichiatra, dietologo, chirurgo plastico. Si utilizzano 3 differenti tipi di approccio:
1) Riduzione dell’assorbimento intestinale: poco usati:
• By-pass digiuno ileale: o JIB, intervento ormai quasi obsoleto, anche se in Italia talvolta
ancora praticato. Causa un malassorbimento indiscriminato e un blocco totale del circolo
enteroepatico dei sali biliari. Possibili anche enteropatia, pneuma tosi intestinali e
perforazione, anche cirrosi e IRC. Le riospedalizzazioni sono frequenti. Consente un
mantenimento a lungo termine della perdita del 55% del peso.
• By-pass bilio-intestinale: può essere fatto in alcuni centri anche con tecnica laparoscopica.
Consiste nell’evoluzione del vecchio by-pass digiuno-ileale ma in questo caso l’ansa esclusa
dal transito di cibo e succhi gastrici (che diveniva sede di proliferazione batterica anomala)
viene anastomizzata con la colecisti.
2) Riduzione dell’introito di cibo: tute le procedure di restrizione gastrica (GRP) si basano sulla
creazione di un serbatoio gastrico prossimale di volume minimo che comunica con il restande
stomaco attraverso un canale inestensibile di piccole dimensioni al fine di ridurre il volume dei
pasti, essendo lento lo svuotamento del segmento prossimale. Non limita le calorie liquide.
Successivamente all’intervento i pazienti conducono una dieta oligoenergetica di poche centinaia
di calorie al giorno che provoca calo ponderale, con il tempo vi è un progressivo aumento di
introito fino a poter ottenere l’apporto energetico adeguato. Il modo e la misura con cui questo
avviene sono oggetto di dibattito. Alcuni chirurghi stanno ottenendo risultati abbinando
l’intervento all’autocontrollo cognitivo. Molti pazienti si comportano però come in una
convenzionale dieta ipoenergetica e quindi recuperano peso nuovamente. Bisognerebbe prima di
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tutto selezionare bene i pazienti per le GRP. Queste non hanno complicanze di rilievo, se non il
vomito. A volte deficit di tiamina (correggibile), rari gli squilibri elettrolitici:
• Gastroplastica verticale: VBG, si tratta di una tecnica complessa che consiste nella
creazione di crea una piccola tasca gastrica verticale (20-30cc) che comunica con lo
stomaco tramite uno stretto orifizio (neopiloro) del diametro di circa 1 cm. Si posiziona
lungo la piccola curvatura ed è separata dal resto dello stomaco da punti metallici. La tasca
può essere formata con la tecnica Mason (la tasca viene separata attraverso una cucitura
dello stomaco) o tecnica MacLean (la tasca viene tagliata e cucita allo stesso tempo da una
suturatrice meccanica in modo che rimanga separata dal resto dello stomaco onde evitare
cedimento delle cuciture). La tecnica MacLean si può fare per via laparoscopica. Gli effetti
collaterali e le principali complicanze sono: cedimento della sutura con formazione di
fistole gastro gastriche (Mason), dilatazione tasca gastrica, erosione gastrica, vomito.
Attualmente si utilizza sempre meno in quanto vi è una alta percentuale di pazienti che
non mantiene la perdita di peso a lungo termine.
• By-pass gastrico: si tratta di un intervento misto. È una tecnica difficile laparoscopica.
Prevede la creazione di una tasca gastrica prossimale di 30cc con un orifizio di
svuotamento ristretto di circa 1 cm che però comunica con un’ansa digiunale prossimale
montata a Y (stomaco distale e duodeno sono così esclusi dal transito alimentare). Quindi è
un intervento sia restrittivo che di malassorbimento che prevede un anastomosi tra
moncone gastrico e digiuno e poi un'altra anastomosi digiuno-digiunale. È un intervento
reversibile sebbene l’intervento di riconversione sia di difficile esecuzione e non privo di
rischi. Possibile anche il bypass su gastroplastica verticale e su bendaggio gastrico. Le
complicanze principali sono ulcera postanastomotica, ridotto assorbimento di calcio e ferro
e aumento del rischio di cancro allo stomaco. La perdita a lungo termine è poco mantenuta
esattamente come nella gastroplastica verticale. È sempre meno usato.
• Bendaggio gastrico: procedura semplice e mininvasiva (come BIB). Si tratta di un nastro di
silicone biocompatibile collegato a un piccolo serbatoio; si introduce attorno alla parte più
alta dello stomaco mentre il serbatoio viene posto nello spessore della parete addominale:
lo stomaco quindi diventa come una clessidra dove la parte superiore è la tasca gastrica di
volume ridotto che comunica con la parte di stomaco sotto il bendaggio di volume più
ampio, attraverso un canale inestensibile di diametro 1.2cm. Si tratta di una tecnica
mininvasiva le cui protesi moderne sono prodotte per esclusivo uso laparoscopico, è un
intervento sicuro e reversibile e regolabile dato che il bendaggio è dotato di camera
gonfiabile dall’esterno. L’intervento è sicuro e con poche complicanze, la più grave è la
perforazione gastrica (complicanza precoce).
I consigli alimentari dopo chirurgia restrittiva sono: fare tre piccoli pasti al giorno, prediligere
alimenti solidi, mangiare lentamente, non magiare fuori pasto, assumere liquidi a scarso contenuto
calorico, almeno 30 min di esercizio fisico al giorno.
3) Regolazione dell’introito e dell’assorbimento energetico:
• Diversione biliopancreatica: il suo meccanismo fondamentale è quello di riduzione della
digestione e quindi dell’assorbimento intestinale dei grassi e dell’amido. È un intervento
malassorbitivo con una parte gastrorestrittiva ottenuta con gastroresezione e una parte
diversiva bilio-pancreativa volta a creare malassorbimento selettivo per i grassi. In ogni
caso l’intervento prevede gastroresezione orizzontale, formazione di tasca gastrica di 200500cc, gastro-ileostomia, entero-entero stomia, colecistectomia per ovviare al problema
della formazione dei calcoli (intervento secondo Scopinaro). Un alternativa è la resezione
verticale o quella con conservazione dello stomaco con bendaggio gastrico. L’idea di base è
quindi quella di creare due condotti alimentari uno per il cibo e l’altro (tratto biliopancreatico) per le secrezioni epatiche e pancreatiche in modo da ritardare l’incontro tra
cibo e enzimi digestivi. In pratica esiste un limite di assorbimento quotidiano di grassi di 40
g e di 200g per l’amido. I mono e di saccaridi, l’acqua e l’alcol (latte, frutta, dolci cioè
alimenti ad assorbimento libero) sono normalmente assorbiti, le proteine risultano essere il
70% dell’assorbito. L’unico sforzo cognitivo del soggetto risulta quindi quello di ridurre gli
alimenti ad assorbimento libero. La riduzione e il mantenimento di peso risultano così
molto buoni per i primi 2-3 anni, quando si completano i fenomeni di adattamento
intestinale. Questi sono più limitati rispetto al JIB, perché i fenomi ipertrofici-iperplastici
dell’intestino si limitano alle zone conservate e poco riguardano la zona assorbente i grassi.
Si ha un migliore mantenimento a lungo termine del peso corporeo anche perché non vi è
forte riduzione del consumo energetico. Inoltre comporta una permanente stabilizzazione
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della glicemia e della colesterolemia e permette di trattare anche i pazienti obesi con basso
consumo energetico. Si tratta di una tecnica chirurgica efficace ma complicata che necessita
supplementazioni alimentari a vita. Altre complicanze possono essere occlusione
intestinale, pancreatite acuta, ulcera anastomotica. La più comune complicanza (oltre ad
eventuali e correggibili carenze di ferro o tiamina) soprattutto se i tratti intestinali sono
troppo corti è la malnutrizione proteica. La reversibilità dell’intervento è solo parziale.
I consigli dopo chirurgia malassorbitiva sono: dieta libera, assumere proteine animali tutti i giorni,
supplimenti vitaminici. A fianco ai chiari vantaggi della dieta libera tuttavia ci sono svantaggi
come irreversibilità anatomica, rischio di malnutrizione proteica, disvitaminosi, scariche diarroiche
e feci maleodoranti, terapia orale o parenterale di supporto.
Reversibilità degli interventi chirurgici: la restaurazione può essere necessaria per annullare un
effetto collaterale, perché il paziente non sopporta la condizione, malattie croniche debilitanti, etc.
La restaurazione è il repristino della funzione, ma non necessariamente è restaurazione anatomica.
Il JIB e l’ASGB (vedi di seguito) sono gli unici interventi che consentono totale restaurazione. VBG,
GBP e BPD sono solo parzialmente restaurabili (gastro-gastrostomia) anche se l’effetto a lungo
termine ad esempio di una BPD è tendenzialmente meno fastidioso (lo stomaco può essere
riempito ugualmente). Spesso durante gli interventi per l’obesità si pratica colecistectomia,
ovviamente non reversibile.
Follow up: il paziente operato dovrà praticamente essere seguito per tutta la vita, la cui gravosità
dipende però molto dal tipo di intervento. Per le GRP serve un forte e adeguato controllo,
fondamentale per la riuscita della terapia anche se le complicanze non sono importanti. Importante
invece anche se meno serrato il controllo per la BPD.
Approccio laparoscopico: l’intervento in accesso laparoscopico permette di sostituire la classica
apertura dell’addome, che nei pazienti obesi è spesso (15-30%) associata a laparocele.
• Bendaggio gastrico regolabile: ASBG, è una semplice strozzatura calibrata dello stomaco
sottocardiale che si realizza mediante un anello di silicone con diametro interno
modificabile mediante puntura percutanea di un reservoir alloggiato nello spessore del
muscolo retto dell’addome, collegato con un tubicino ad una camera circolare dilatabile
contenuta nell’anello. Grande successo tra i pazienti. Vi è però estrema variabilità di
complicanze e di successo. Vi può essere migrazione intragastrica (pericolosa), esofagite,
necessità di reintervento.
• VBG: la tecnica di Mason è molto difficile se non impossibile in laparoscopia. Quella di
McLean (anziché la cucitura si fa sezione verticale dello stomaco con multipla applicazione
di suturatrice). La VBG di McLean ha risultati a breve termine superiori e complicanze
inferiori (comunque vi è esofagite).
• Nuovo bypass gastrico: in questo caso l’orifizio di svuotamento non è rigido, bensì
dilatabile (forse a causa di una semplificazione dell’intervento scelta dai chirurghi per
eseguirlo in laparoscopia). Pertanto viene meno la restrizione gastrica. Ne risulta però uno
stomaco molto piccolo in grado di svuotarsi rapidamente. In questo modo il cibo raggiunge
rapidamente nell’ileo. Quando il cibo raggiunge l’ileo questo provoca una riduzione del
senso di appetito. La riduzione di peso a 5 anni è mantenuta pare nel 70% dei casi, un
risultato sovrapponibile alla BPD.
• BPD laparoscopica: dà praticamente gli stessi risultati di quella laparotomica.
Conclusioni sulla terapia chirurgica: la chirurgia bariatrica può quindi avere approccio
laparotomico o laparoscopico. L’approccio laparotomico viene usato per gli interventi restrittivo
che riducono il volume dello stomaco senza modificare digestione e assorbimento; la tecnica
laparoscopica per gli interventi malassorbitivi che agiscono sul tratto intestinale. A parte la
reversibilità essa dovrebbe puntare ad un calo di peso mantenuto a lungo termine, minor numero
di effetti collaterali e complicanze, facile gestione, semplice esecuzione tecnica. La BPD è efficace a
lungo termine e facile da gestire, anche se gli effetti collaterali sono importanti. Importante notare
che la BPD risulta più indicata in pazienti iperobesi e nel controllo della glicemia (controllata
anche dal bypass duodenale) e della colesterolemia. Il GBP si è mostrato efficace almeno quanto la
BPD, ma non ha effetto specifico sull’ipercolesterolemia e ha molti limiti nel trattamento dei
superobesi (oltre che la sensazione più spiacevole di non poter mangiare per ostacolo meccanico).
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PATOLOGIA DEGLI ARTI INFERIORI
La circolazione degli arti inferiori è complessa. Ha il compito di mobilizzare o sequestrare la massa
ematica circolante e assicurare il ritorno venoso al cuore. Si tratta di un sistema ad elevata capacità,
bassa pressione e bassa velocità. A livello venoso abbiamo quattro sistemi venosi: 1) Profondosottofasciale; 2)Superficiale-sovrafasciale; 3) Perforante che mette in comunicazione i primi due;
Comunicanti che mettono in comunicazione il circolo profondo con le safene.
Le pareti venose possono variare strutturalmente in base a fumo, assetto ormonale, età e sesso.
Arteriopatie croniche degli arti inferiori
Epidemiologia: l’insufficienza arteriosa cronica degli arti inferiori è una condizione patologica
molto diffusa soprattutto tra i 50 e i 70 anni. Può essere asintomatica così come dare sintomi di
ischemia. I sintomi della vasculopatia periferica si manifestano insieme a condizioni morbose che
colpiscono il distretto circolatorio: significativa è l’associazione con la cardiopatia ischemica.
Eziopatogenesi: Studi hanno dimostrato che la prevalenza di claudicatio intermittens è più elevata
nei soggetti con segni e sintomi di coronaropatia, in particolare angina pectoris.
Questo perché alla base di entrambe le condizioni vi è l’aterosclerosi, in particolare del distretto
aorto-iliaco e femero-poplieto-tibiale. I fattori di rischio principali sono: fumo, diabete,
dislipidemia, ipertensione, iperfibrinogenemia. In particolare, nel soggetto diabetico l’aterosclerosi
si verifica in maniera particolarmente evidente nei vasi femoro-poplitei e tibiali.
Classificazione: il transatlantic inter-society consensus ha fornito una classificazione delle lesioni
del distretto iliaco soprattutto in base all’estensione, dalla stenosi unilaterale (<3cm) di una sola
arteria iliaca alla stenosi bilaterale (>10 cm) di entrambe. La lesione femoro-poplitea è più
difficilmente classificabile solo per estensione, si va dalla stenosi singole non coinvolgenti l’origine
della femorale superficiale a stenosi complete di una femorale o della poplitea.
Circoli collaterali: in caso di occlusione aorto-iliaca è fondamentale la funzionalità dei circoli
collaterali. Questi sono:
• Sistema epigastrico: epigastrica superiore  epigastrica inferiore femorale comune.
• Sistema lombare: arterie lombari circonflessa iliaca femorale comune.
• Sistema mesenterico: mesenterica superioremesenterica inferiore emorroidaria
superiore emorroidaria inferiore arteria iliaca interna.
• Sistema ilio-femorale: glutea e otturatoria arterie circonflesse laterali.
• Sistema iliaco-iliaco: tra i rami dell’iliaca destra e sinistra.
Pertanto le occlusioni a livello della biforcazione iliaca e dell’origine della mesenterica inferiore
bloccano le vie collaterali più importanti e danno sintomi di insufficienza circolatoria evidenti.
Una particolare attenzione va rivolta all’arteria femorale profonda per il suo ruolo di compenso
nell’arteriopatia periferica femoro-poplitea attraverso le arterie perforanti, questo perché la
femorale profonda si ostruisce con maggiore difficoltà della femorale superficiale e riesce in parte a
supplire all’insufficienza di questa. Un altro sistema collaterale di compenso importante è la rete
articolare del ginocchio, specie nei casi di obliterazione terminale della poplitea.
Da questi circoli si deduce la grande importanza dell’arteria poplitea che sse obliterata dà una
situazione ischemica avanzata con dolori a riposo o gangrena.
Esame obiettivo: l’esame obiettivo si basa su:
• Ispezione: alla ricerca di pallore o cianosi in posizione verticale. Test di Burger: sollevando
l’arto di 45° si verifica una comparsa di pallone molto più rapida rispetto ai soggetti
normali; Anche test di riempimento venoso: dopo elevazione a 45° si fa pendere il piede e si
valuta il tempo necessario per il riempimento venoso (anormale se >15 secondi).
• Palpazione dei polsi arteriosi: femorale, popliteo, pedidio, tibiale posteriore. Si valuta
anche la temperatura. La differenza tra i polsi di due arti allo stesso livello è suggestiva
della localizzazione. Così come la presenza del polso a monte e non a valle.
• Auscultazione: per la ricerca di soffi vascolari dovuti a stenosi.
Dopo un attento esame obiettivo è possibile una classificazione in base alla pulsazione:
Grado 1: pulsazione presente e valida. Grado 2: diminuita (iposfigmia) Grado 3: reperita con
difficoltà (marcata iposfigmia), Grado 4: assente.
Clinica: un’accurata anamnesi ed un attento esame obiettivo permettono una classificazione:
• Stadio I: paziente asintomatico. Lesioni non emodinamicamente significative.
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Stadio II: comparsa di claudicatio intermittens. Il dolore si sviluppa con l’esercizio
(deambulazione), tipicamente al polpaccio o alla coscia. La distanza percorsa senza dolore è
variabile da pochi a centinaia di metri. IIa (<200m); IIb (>200m).
• Stadio III: dolore anche a riposo. Più spesso al piede, nel sonno il paziente tende a tenere la
gamba verticale nel letto, causando però in tal modo un edema da stasi.
• Stadio IV: vi può essere ulcera ischemica o gangrena vera e propria. Inizia in genere alle
punte delle dita.
Tuttavia, dal punto di vista dell’indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica e/o endovascolare
è più utile la classificazione in ischemia funzionale e ischemia critica dove critica sta per dolore a
riposo per più di due settimane (che richieda analgesici) o presenza di segni di ulcerazione. In
genere il dolore a riposo e le lesioni ischemiche necrotiche sono rare perché si verificano nelle
ostruzioni acute o quando coesistono lesioni obliteranti femoro-popliteo-tibiali. Una stenosi nel
distretto aorto-iliaco interessante una sola arteria può essere asintomatica (circolo collaterale) ma
in genere causa claudicatio intermittens. Il 20% dei pazienti ha disturbi alla funzione sessuale.
Claudicatio, assenza dei polsi femorali, impotentia coeundi sono caratteristici di ostruzione del
circolo aorto-iliaco e costituiscono insieme la sindrome di Leriche.
•
Diagnosi strumentale: diversi esami permettono di caratterizzare meglio la patologia:
• Doppler CW: precursore del più moderno color-doppler, può servire a misurare, grazie
all’uso di manicotti, la pressione sistolica (di occlusione) degli arti e quindi l’indice
caviglia/braccio (ICB, normalmente la pressione alla gamba è di 10-20mmHg inferiore).
• Eco-color doppler: permette l’identificazione del vaso colpito evidenziando i flussi
patologici o assenti. Permette di stimare il grado di stenosi (in base alla velocità e alla
turbolenza del flusso). Si può anche fare un esame funzionale: comprimendo la loggia
posteriore della coscia e mantenendo la sonda sull’arteria poplitea si valuta se la femorale
superficiale è funzionante.
• Treadmill test: test di Strandness, permette di valutare il grado di compenso della
circolazione collaterale sotto sforzo. Si misura la pressione di occlusione di un soggetto
prima e dopo sforzo. Nel soggetto normale non varia o scende di poco, nel soggetto
arteriopatico si avrà riduzione dei valori pressori.
• Angiografia: si somministra mezzo di contrasto iodato. Permette una visualizzazione
diretta e una corretta programmazione della chirurgia, anche se è sempre meno usata.
• Angio-TC e Angio-RM: hanno quasi completamente sostituito l’angiografia, essendo meno
invasive. L’angio-RM utilizza mezzi di contrasto non tossici, ma non vede calcificazioni.
Terapia: dipende dallo stadio:Stadio I: no chirurgia, al massimo intervenire sui fattori di rischio,
usare antiaggreganti (come ASA). Stadio II: la scelta dipende dalla situazione del paziente. Il 6575% migliora o resta stabile con solo terapia farmacologica (antiaggreganti come ASA, ticlopidina,
clopidogrel e analgesici). Si indica la chirurgia se la situazione è invalidante per il paziente o se
l’ostruzione è aortica. Stadio III e IV: è obbligatoria la chirurgia (va incontro ad amputazione).
Terapia medica: correzione dei fattori di rischio, antiaggreganti (ASA, ticlopidina, clopidogrel),
analgesici. Un’alternativa è il blocco del sistema nervoso simpatico con anestetici locali (o anche
intervento chirurgico di simpaticectomia). La spinal cord stimulation (applicazione di un
elettrodo a livello dei cordoni del midollo) è per stadio III e IV che non possono fare chirurgia.
Terapia chirurgica: valutare fattori di rischio per l’intervento (insufficienza respiratoria, diabete
grave insufficienza renale, rischio cardiologico). Le alternative per la rivascolarizzazione sono:
• Chirurgia endovascolare: angiografia interventistica con uso di stent ed endoprotesi.
• Bypass: intervento in tempi brevi, particolarmente indicato per pazienti anziani o con
fattori di rischio (i bypass fermoro-tibiali sono però complicati). Sono fermoro-tibiale, aortobifemorale, aorto-femorale, iliaco-femorale, femoro-popliteo. Lasciano materiale protesico.
• Tromboendoarterectomia: TEA, sempre meno eseguita per la difficoltà. Asportazione della
placca ateromatosa e sezione di arteria malata.
Terapia locale delle lesioni ischemiche: trattamento aggressivo delle ulcere e gangrena.
Piede diabetico
Nel diabetico si associa un’arteriopatia cronica (piede ischemico) e una neuropatia sensoriale
(piede neuropatico) che determina deformità e danni da pressione (perdita della sensibilità),
minore sudorazione, etc. Si associa spesso infezione (difese immunitarie diminuite).
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Ischemia acuta periferica
È la condizione patologica in cui si ha improvvisa riduzione del flusso arterioso. Presenta un
rischio tra il 10 e il 20% di amputazione, essendo una condizione acuta e impegnativa.
Eziologia: si riconoscono essenzialmente due cause:
1. Embolia: agli arti inferiori vanno il 60% degli emboli periferici, soprattutto alla biforcazione
femorale (poi poplitea). Vi sono embolie: a origine cardiaca (fibrillazione atriale, malattie
valvolari, aterosclerosi coronarica, etc), a origine periferica (traumi, lesioni aterosclerotiche
ulcerate), rare (cisti da echinococco, corpi estranei, tumori). Nel 90% dei casi origina da un
trombo intracardiaco. Vi è anche la possibilità di una causa iatrogena (interventi).
L’embolia paradossa è quando un embolo originato nel sistema venoso raggiunge quello
arterioso a causa di uno shunt destro-sinistro (tipo un forame pervio).
2. Trombosi: si distinguono in ostruzioni: su arterie sane (per difetti della coagulazione o
emopoiesi, neoplasie, shock, droghe), su arterie patologiche (aterosclerosi, aneurismi,
arteriopatie infiammatorie) oppure trombosi post traumatiche (ferite da arma da fuoco e
taglio, incidenti che causano lacerazione, compressione, contusione, anche postcateterismi).
Clinica: Pratt ha sintetizzato i sintomi nelle 5P: pain (dolore), pallore, polsi assenti, parestesie,
paralisi. Si ha nel tempo marcata ipotermia distale, irrigidimento delle articolazioni, contrattura
muscolare (come nel rigor mortis), edema ligneo, cianosi, sofferenza, indici di incipiente sindrome
tossico-metabolica. Nell’ischemia totale il pallore è cadaverico (più che cianosi), notevole
ipertermia, perdita completa di sensibilità e motilità.
Diagnosi
Diagnosi differenziale tra embolia e trombo: dopo una valutazione dello stato cardiaco e
respiratorio si fa la DD in base a criteri clinico-anamnestici. La trombosi si manifesta in genere su
arterie patologiche (condizione altro arto, anamnesi di claudicatio, ricerca segni di arterosclerosi).
L’embolia è più probabile se sono noti siti emboli geni cardiaci o extracardiaci.
Sede dell’occlusione: clinica (temperatura, polso, dolore), conferma con doppler.
L’occlusione determina alterazioni nelle cellula con arresto della circolazione, edema, necrosi e
rilascio di mioglobina (simile alla crush syndrome, può causare danno renale).
Diagnosi strumentale: la diagnosi deve essere rapida, ed è clinica, ma si basa anche su:
• Ecografia: eco-color doppler utile per un distretto arterioso limitato. Se vi è sospetto di un
aneurisma aortico è utile. Anche ecocardiogramma se vi è sospetto di embolia cardiogena.
• Laboratorio: aumento azotemia, creatinchinasi, transaminasi, creatine mia, kaliemia, LDH,
anche controllo emocromo, coagulazione ed emogasanalisi.
• Angiografia: è il gold standard. Utile per la diagnosi (anche DD trombosi-embolia), va
sempre fatta in sospetto di ischemia acuta. Attraverso il catetere si può peraltro instaurare
un trattamento fibrinolitico.
• RM e angio-TC: sempre più importanti, in futuro sostituiranno l’angiografia.
Terapia: per evitare propagazioni trombotiche e prevenire eventuali embolizzazioni si da terapia
anticoagulante sistemica. Se l’embolo è di origine cardiaca si fa tromboembolectomia con catetere
di Fogarty. Negli altri casi si fa angiografia e poi trombo lisi loco-regionale con urochinasi (per
12-24 ore). Però la terapia trombolitica con attivatori del plasminogeno ha efficacia superiore e
mortalità inferiore rispetto al trattamento chirurgico tradizionale.
Sindrome da rivascolarizzazione
Si definisce con questo termine un insieme di eventi metabolici e emodinamici che insorgono in un
arto rivascolarizzato dopo lunga ischemia. Tale sindrome è dovuta alla morte cellulare
(rabdomiolisi) che avviene in fase di devascolarizzazione.
Clinica: la rivascolarizzazione determina massiva immissione in circolo di prodotti tossici con
patologia sistemica mionefrotica con insufficienza renale acuta, oligoanuria, shock emodinamico
(nefrosi mioglobinurica), iperpotassiemia fino all’arresto cardiaco, aritmie, cianosi dispnea fino a
ARDS. A livello locale abbiamo esacerbazione del dolore a livello del piede. Si presenta più
comunemente nel caso di un’ischemia totale di lunga durata.
Terapia: è bene tenere una buona idratazione del paziente con soluzioni saline e mannitolo
ipertonico che agisce come plasma expander, scavenger dei radicali liberi e diuretico osmotico.
Garantire un diuresi continua e abbondante. Bisogna correggere l’eventuale acidosi (soluzioni
alcaline) e migliorare la perfusione renale. Nei casi incontrollabili può essere necessaria
l’amputazione.
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Trombosi venosa superficiale e tromboflebite
Con il termine tromboflebite si ci riferisce all’infiammazione di vene superficiali degli arti inferiori
con conseguente trombosi (quindi la trombosi è successiva alla flebite). Colpisce soprattutto gli arti
inferiori, soprattutto se vi sono varici, ma può presentarsi anche negli arti superiori per
microtrauatismi indotti dalle iniezioni. Quindi possiamo avere una tromboflebite superficiale per
un processo flogistico-ostruttivo a carico del sistema venoso superficiale o una varicoflebite cioè
una flebite (senza ostruzione) o tromboflebite (flebite+ostruzione) su una vena varicosa. Altre
cause di TVS secondarie (oltre a varici) sono infezioni (in corso di setticemia), e traumi.
Eziopatogenesi: la del trombo è legata alla triade di virchow  stasi ematica e alterazioni del
flusso, alterazioni endoteliali, stato di ipercoagulabilità. Un fattore di rischio è dato dalla
gravidanza dato che il progesterone ha un effetto procoagulante e ha un effetto di aumento della
distensibilità delle vene con microlesioni all’endotelio. Può essere segno inziale di eclampsia.
Clinica: malessere, dolore urente, leucocitosi, aumento di VES, febbre, cute iperemica alla
palpazione con gli arti che appaiono rigonfiati per l’edema, arrossati e doloranti. Può tendere
all’autorisoluzione o essere ricorrente e persistente. Altre forme hanno andamento grave con
tendenza ad estendersi in direzione centripeta (varicoflebiti della vena safena interna); invece è
rara la complicanza di una tromboflebite profonda. La tromboflebite superficiale non dà mai
sindrome postflebitica o embolia polmonare se non vi è l’interessamento profondo (raro).
Davanti a una tromboflebite recidivante su vena sana si può sospettare una neoplasia.
Terapia: si basa su trattamento elastocompressivo, FANS, antibiotici per le forme settiche. In caso
di varicoflebiti del tronco della vena safena magna con estensione safno-femorale utile la legatura
della crosse in anestesia locale.
Flebotrombosi
Con il termine flebotrombosi indichiamo la presenza di trombosi all’interno delle vene che può
appunto causare embolia polmonare e sindrome post flebitica. Si differenzia dalla tromboflebite in
quanto il trombo non è conseguenza dell’infiammazione che è successiva al trombo ed è in forma
ridotta. Fattori di rischio sono TVP persistente, obesità, accidenti vascolari cerebrali,
immobilizzazione, insufficienza cardiaca, neoplasie addominali., rischio chirurgico o traumatismi
in assenza di profilassi con eparina. Il trattamento è con eparina.
Trombosi venosa profonda degli arti inferiori
La TVP è un evento complesso il cui fondamento si basa sulla triade di Virchow (stasi venosa,
ipercoagulabilità, danno endoteliale). Ha un elevato rischio di morte (per embolia polmonare) e
invalidità (per sindrome post flebitica). Nella maggior parte dei casi compare in pazienti operati,
traumatizzati o costretti ad allettamento prolungato. Fino al 30% per operazioni ad alto rischio in
particolare in ambito ortopedico (bacino, arti inferiori) e ginecologico.
Eziopatogenesi: non è ancora chiarita. Fattori di rischio sono: precedente TVP, immobilizzazione,
sesso femminile, gravidanza, interventi, obesità grave, neoplasie, traumi, trombofilia, estrogeni.
Alcune neoplasie come pancreas, stomaco, grosso intestino, testicolo, rene e polmone causano
una condizione trombofilica. Infarto del miocardio e ictus aumentano molto il rischio, così come
le infezioni, specialmente gli stati settici. Le condizioni trombofiliche ereditarie sono AD e
causano alterazione dell’emostasi: deficit di antitrombina II, di proteina C e S, resistenza alla
proteina C attivata (carenza del fattore V di Leiden). Trombofilie acquisite sono la sindrome da
anticorpi antifosfolipidi o da Lupus anticoagulante, iperomocisteinemia.
Anatomia patologica: generalmente i trombi originano a livello delle vene profonde del polpaccio
a livello delle tasche valvolari con aggregati piastrinici che formano e accrescono il trombo. I
trombi freschi sono adesi solo nel punto di origine alla parete venosa e sono pertanto facilmente
distaccabili. Inoltre nelle prime fasi può avvenire trombolisi spontanea e quindi rottura.
Diagnosi clinica: la diagnosi è complessa, spesso i pazienti allettati sono asintomatici fino alla
comparsa di embolia polmonare. In genere il dolore è il primo sintomo, aumenta in ortostatismo e
durante la deambulazione e si esacerba con la dorsiflessione forzata del piede a ginocchio esteso
(segno di Homans +) e dalla palpazione del polpaccio e delle masse muscolari (segno di Bauer) che
in genere sono dure. Altri segni sono edema e cianosi. In caso di trombizzazione estesa del circolo
venoso profondo le vene superficiali diventano evidenti e dure, si ha aumento della temperatura
della cute. In questo caso si può avere anche un’ insufficienza arteriosa che caratterizza la
phlegmasia coerulea dolens (per ipovolemia, ipotensione, vasospasmo) che si presenta con
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edema, ipotermia e dolore dell’arto. Possiamo anche avere insufficienza arteriosa acuta fino a
lesioni gangrenose (TVP massiva necrotizzante).
Diagnosi strumentale: la metodica più usata è l’eco color-doppler (valuta localizzazione ed
estensione del trombo, grado di aderenza). Possono essere utili angio-TC (eventuale estensione
addominale del trombo) angio-RM. Laboratorio: alti valori del D-dimero sono segno aspecifico di
embolia polmonare (valore predittivo negativo di 97% di esclusione di TVP e embolia polmonare).
Terapia: è per lo più farmacologica con anticoagulanti e antitrombotici. Si utilizza eparina sodica
o EBPM) per almeno 7-10 giorni, tenendo il PTT 1,5-2 volte il normale. Attualmente si preferisce
EBPM (non necessita dosaggio PTT) . Per le condizioni cliniche più gravi si danno trombolitici per
via loco-regionale (urokinasi). La chirurgia si usa di rado (phlegmasia e trombosi safeno-femorale).
Trombosi venosa profonda degli arti superiori
È rara e interessa il distretto axillo-succlavio. In genere è causata da sforzo o compressione
estrinseca. Si preferisce l’angio-TC per la diagnosi. Terapia: come per gli arti inferiori.
Sindrome post-flebitica
La sindrome post flebitica o post trombotica è la sequela a lungo termine della malattia
tromboembolica venosa in caso quindi di uno o più episodi di TVP (6-21% dei pazienti con TVP).
È causata da uno stato di ipertensione venosa cronica (dovuta alla ricanalizzazione dei trombi
delle vene principali con danneggiamento delle strutture valvolari) o come conseguenza di una
ostruzione permanente. Questo stato di ipertensione venosa si trasmette alle perforanti che
diventano incompetenti con inversione del flusso dal circolo profondo al superficiale, che si
sovraccarica con sofferenza tissutale e lesioni distrofiche cutanee.
Clinica: migliora con il riposo ed elevazione dell’arto e peggiora con la stazione eretta. Si ha:
• Edema: evidente, con cute sottile e lucente, causato dall’ipertensione del circolo venoso.
• Varici postflebitiche: non sempre marcate, più nella parte inferiore dell’arto.
• Alterazioni cutanee: l’ipertensione venosa si riversa sulle vene superficiali causando
pigmentazione, cellule cronica ed eczema. L’arto è infiammato e dolente e si sviluppa una
placca fibrosa che costituisce una lesione predisponente l’ulcera venosa.
Diagnosi: è clinica: anamnesi di TVP ed esame obiettivo sono solitamente sufficienti.
Terapia: primo scopo terapeutico è quello di ridurre l’ipertensione venosa mediante contenzione
elastica (calze elastiche in ortostatismo). Complessa è la cura dell’ulcera che richiede medicazioni
giornaliere, detersione, utilizzo di bendaggio elastico, fino alla cicatrizzazione.
Per ridurre le recidive serve uso di contenimento elastico, esercizio fisico, riduzione di peso, etc.
Nei casi di lesioni ulcerose resistente e recidivanti è opportuno l’approccio chirurgico con legatura
sottofasciale dei rami venosi perforanti incontinenti. La scleroterapia è utilizzabile per il
trattamento delle vene comunicanti. In caso di ostruzione dei grossi vasi venosi (iliaca, femorale
superficiale) è indicata valvuloplastica o bypass venoso utilizzando la safena autologa.
Varici degli arti inferiori
Si tratta di dilatazioni probabilmente irreversibili (dilatazioni sacculari permanenti) del circolo
venoso superficiale che spesso assumono un andamento tortuoso. Si distinguono:
• Varici essenziali o primitive: espressione di un processo morboso che colpisce vene e
valvole del circolo venoso superficiale, con circolo venoso profondo indenne.
• Varici secondarie: l’insufficienza valvolare è secondaria a distruzione valvolare
(tromboflebite) o a gravidanza, sindrome postflebitica, cause displastiche (da
malformazioni congenite o fistole A/V).
Si distinguono descrittivamente: Teleangectasie (dilatazione di soli capillari o venule postcapillari)
Varici reticolari (interessamento dei rami afferenti alle vene safene); Varici tronculari
(coinvolgono le vene safene); Varici perforanti incontinenti.
Eziopatogenesi: in presenza di un circolo venoso profondo e di vene perforanti continenti e di un
sistema linfatico indenne, le varici non determinano turbe trofiche né edema né discromie. La
presenza di queste complicanze infatti indica sempre una compromissione del circolo venoso
profondo e/o del sistema delle perforanti. In particolare la causa dei sintomi maggiori sembrano
proprio le perforanti incontinenti. Fattori di rischio: sesso femminile, abitudini di vita e
sedentarietà, peso corporeo elevato, gravidanza, familiarità per varici, uso di estroprogestinici.
Clinica: la presenza di varici non è di per se una malattia appunto finché il circolo venoso e delle
vene perforanti conservano una buona continenza. Quando questo viene a mancare abbiamo la
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malattia varicosa, con senso di peso e stanchezza prolungata alla stazione eretta, edemi, presenza
di cordoni varicosi e alterazioni del trofismo cutaneo con discromie, dermoipodermiti, e ulcere,
visibili all’esame obiettivo clinico. Altre complicanze sono varicoflebiti, rottura e sanguinamento.
Diagnosi: la clinica può essere evidente, ma in ogni caso sono necessari: Anamnesi: familiarità,
stile di vita, lavoro, gravidanza, estro progestinici, precedenti patologici (rischio trombotico).
Ispezione: paziente in piede, valutare trofismo e pigmentazione della regione perimalleolare
interna. Palpazione: apprezzare le ectasie e rintracciare i punti di comunicazione venosi. Le
comunicanti insufficienti sono elastiche e comprimibili, ma appare come un bordo duro, teso e
anelastico che delimita un “buco” nella fascia muscolare.
Manovra di Trendelenburg: per valutare la competenza delle comunicanti. Si fa sollevare a
paziente disteso l’arto di 45° e si fanno collabire (anche manualmente) le vene superficiali. Si
applica poi un laccio a livello alla radice della coscia (valutazione ostio safeno-femorale) o sotto al
poplite (ostio safeno-popliteo) comprimendo così le vene superficiali. Si pone il paziente in piedi.
Nel paziente normale si ha riempimento lento dal basso all’alto delle superficiali e alla rimozione
del laccio no si ha modificazione. Se le vene alla rimozione del laccio si riempiono bruscamente
dall’alto al basso si ha insufficienza ostiale e insufficienza delle perforanti. Per esplorare il circolo
venoso profondo si usa la manovra di Perthes in cui si pone il laccio e si fa deambulare il paziente:
se le vene si svuotano gli osti comunicanti sono indenni, se restano invariate vi è insufficienza delle
comunicanti, mentre se si gonfiano ulteriormente vi è ostruzione del circolo venoso profondo.
Esami strumentali: si usa eco-color doppler che permette uno studio sia emodinamico che
morfologico di parete venosa e valvole. Si possono studiare i rigurgiti venosi, ricorrendo ad
esempio a manovra di Valsalva e studiare la pervietà e la competenza degli osti comunicanti.
Terapia: la terapia ha due scopi: migliorare la sintomatologia e prevenire le complicanze dolorose
e invalidanti (ulcera varicosa, varicoflebite). La terapia è multimodale. L’obiettivo è bloccare il
reflusso dal circolo venoso profondo verso il circolo venoso superficiale. Si adoperano:
• Norme igieniche e comportamentali: evitare condizioni di stazione eretta immobile
prolungata, ambenti caldi, il sovrappeso, forse evitare estro progestinici.
• Terapia farmacologica: utilizzo di sostanze “flebotoniche” (diosmina), antiedemigene
(escina) e profibrinolitiche (eparani). No si sa conosce bene il valore di questi presidi.
• Elastocompressione: compensa l’ipertensione venosa con una contropressione esercitata
dall’esterno. Questo causa riduzione del calibro della vena e talvolta ripristino della
competenza valvolare, inoltre riduce l’edema favorendo il riassorbimento di liquido. Si
usano bende elastiche o calze elastiche. In ogni caso elimina i disturbi. Può però non essere
accettata o non essere attuabile (arteriopatie, artrosi, etc,).
• Scleroterapia: iniezione endovenosa di agenti chimici in grado di causare infiammazione
endoteliale e quindi trasformazione fibrosa della parete venosa. Si può eseguire con guida
ecografica. A lungo termine i suoi risultati sono inferiori rispetto alla chirurgia. Si utilizza
per lo più per varici reticolari e teleangectasie e in alcuni casi di varici tronculari isolate.
• Terapia chirurgica: in presenza di varici tronculari, che interessano piccola e grande safena
la terapia di elezione è chirurgica. In generale si cerca di eliminare i punti di fuga patologici
(come piccola e grande safena e le perforanti), o eliminare le vene superficiali ectasiche le
cui valvole sono frequentemente incontinenti. Vi sono due tipi di approccio:
o Ablativo: abbiamo diversi tipi di tecniche:
1) Tecniche endoluminali: Criosclerosi: poco usata, congelamento come agente trombogeno.
Termoablazione con radiofrequenza: con corrente elettrica alternata aumenta la temperatura della
parete causando ispessimento delle fibre collagene e fibrosi progressiva della vena. Lo stesso vale
per la laserterapia, che aumenta la temperatura tramite energia laser che scalda bolle di vapore.
2) Safenectomia mediante stripping: Sulla grande safena: A) Crossectomia: incisione a livello
della piega inguinale, si seziona la grande safena a livello della giunzione safeno-femorale.
Vengono legate e sezionate tutte le collaterali. B) Interruzione delle comunicanti insufficienti. C)
Varicectomie dei collaterali: mediante microincisione si esteriorizza il vaso si seziona e si asporta.
D) Stripping: incisione al malleolo mediale, introduzione dello stripper che procede per tutta la
safena e viene fatto uscire dalla porzione inguinale già sezionata. Si strappa la safena. Sulla piccola
safena: importante lo studio preoperatorio, essendo incostante la sua posizione. Si può anche
eseguire semplice crossectomia e flebectomie senza stripping. Oltre a questi interventi di exeresi
dei tronchi safenici si possono usare le flebectomie o le tecniche endoluminali per eseguire exeresi
dei collaterali e circoli non safenici ed exeresi delle vene perforanti (tecniche endoscopiche).
76
o
Funzionale: (conservativo) attualmente meno utilizzato. Principalmente
valvuloplastica protesica dell’ostio safeno-femorale per garantirne la continenza.
Recidiva varicosa: può aversi per la presenza di varianti anatomiche non riconosciute, per una
diagnosi non corretta, per errori tecnici, per una nuova patologia venosa o progressione a livello
delle perforanti della patologia trombosa.
ALTRE PATOLOGIE VASCOLARI
Insufficienza celiaco-mesenterica cronica
Le lesioni ostruttive croniche di tronco celiaco e mesenteriche superiore e inferiore causano una
sindrome caratterizzata da dolore addominale post prandiale e riduzione dei pasti in frequenza e
quantità con conseguente dimagrimento. Per causarla devono esserci almeno due vasi viscerali
principali sequenziali stenotizzati.
Eziologia: lesioni intrinseche dei vasi (aterosclerosi), o compressioni estrinseche (rare, come la
compressione del tripode celiaco se origina più cranialmente ed è quindi compresso dal legamento
arcuato del diaframma, sindromde di Dunbar.) che causano ischemia intestinale cronica.
Patogenesi: vi sono circoli collaterali tra mesenterica superiore e inferiore oltre che tra superiore e
arteria epatica, ma possono risultare insufficienti se 2 dei 3 vasi menzionati sono compromessi. In
seguito all’ingestione di cibo aumenta il flusso ematico e si favorisce l’ipossia tissutale. Si ha:
dolore post prandiale, intenso e continuo in meso o epigastrio con possibili irradiazioni posteriori.
Diagnosi: è clinica (dolore post-prandiale, che dura in genere meno di un’ora). Il paziente tende
inoltre a dimagrire perché si alimenta sempre meno pera umento del dolore in seguito a
progressione del dolore. Le indagini strumentali escludono presenza di neoplasie, malattie
infiammatorie, ulcere, calcoli. Un valido test non invasivo è l’ecografia con color doppler del
tronco celiaco e della mesenterica superiore. Angio-TC spirale e angio-RM sono ancora più precise.
L’angiografia digitale è il gold standard. Può essere usata a scopo terapeutico (angioplastica).
Terapia: chirurgia in caso di quadro clinico e radiologico di occlusione. Il bypass aorto-epatico con
materiale autologico (vena safena) o sintetico si effettua con laparotomia mediana. In caso di
soggetto asintomatico con lesione steno-ostruttive all’angiografia la rivascolarizzazione va
riservata ai casi con basso rischio anestesiologico. La chirurgia per la sindrome da compressione
del tripode celiaco è indicata solo per i sintomatici. Nel caso si debba rivascolarizzare sia tripode
celiaco che mesenterica superiore l’intervento di scelta è il bypass anterogrado oppure la
tromboendoarterectomia trans aortica. La complicanza della chirurgia di rivascolarizzazione è
l’infarto intestinale (3-10%) con aumento RR in caso di concomitante chirurgia aortica. La mortalità
intraoperatoria è elevata. In caso di stenosi dei vasi viscerali con lesioni singole si preferisce
l’angioplastica percutanea (PTA) con eventuale successivo posizionamento di stent.
Aneurisma aortico
È l’abnorme dilatazione di un tratto dell’aorta la cui componente elastica è stata indebolita da
fenomeni degenerativi di aterosclerosi o talvolta infiammatori o traumatici.
L’inquadramento clinico può essere complesso dato che la malattia è asintomatica o può esserci
lieve dolore addominale (aneurisma aorta addominale) per la compressione di qualche nervo. Per
questo la diagnosi può essere occasionale in corso di Rx diretto addome (se sono presenti
calcificazioni) o eco-color dopper. In genere successivamente, per conferma e in vista
dell’operazione, si esegue una TC e un’angiografia.
La terapia chirurgica è l’unica possibile e si fa quando c’è il rischio di rottura, evento altamente
letale. In alcuni pazienti non è possibile da attuare per il rischio di mortalità intraoperatoria.
Le vie di accesso per un aneurisma dell’aorta addominale sottorenale sono due:
• Via trans peritoneale: maggiore facilità e velocità.
• Via retro peritoneale: preferita per i pazienti con colostomia o ileostomia.
Gli interventi possibili sono:
• Aneurismectomia: resezione isolata dell’aneurisma.
• Endoaneurismectomia: gold standard, si lascia l’aneurisma in situ asportandone il
contenuto e si innesta una protesi di Dacron.
Complicanze dell’intervento: emorragia, infarto del miocardio, ileo paralitico, shock da
declampaggio aortico.
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Trapianto di rene
I progressi effettuati negli anni nel campo della terapia immunosoppressiva, uniti al progresso
della tecnica chirurgica, hanno fatto sì che le indicazioni al trapianto si potessero estendere a un
numero di patologie sempre maggiore, come la nefropatia diabetica, le glomerulonefriti croniche,
la pielonefrite cronica e il rene policistico, che rappresentano le patologie renali maggiormente
responsabili di insufficienza renale cronica.
I candidati al trapianto devono sottoporsi a una serie di esami, per escludere l'eventuale presenza
di malattie che controindichino l'intervento e la successiva terapia immunosoppressiva antirigetto.
Ugualmente anche il rene prelevato viene esaminato al fine di escludere patologie trasmissibili,
con esami effettuati su campioni ematici del donatore, e valutarne la funzionalità; quest'ultima
viene stimata tramite una biopsia renale nel trapianto da donatore cadavere, e valutata tramite
scintigrafia renale e ecografia color-doppler nel caso di donatore vivente. Le controindicazioni al
trapianto variano in base alla legislazione del paese e al centro trapianti di riferimento. Le
controindicazioni più comuni al trapianto sono: età avanzata, insufficienza cardiaca, insufficienza
respiratoria, neoplasie, infezioni in atto, sieropositività a HIV, HBV, HCV, scarsa adesione alla
terapia immunosoppressiva.
Tecnica chirurgica
Posizione del rene trapiantato.
Nel caso di prelievo multiorgano il rene è generalmente l'ultimo a essere rimosso, essendo quello
che meno subisce conseguenze dell'ischemia. Nel caso di prelievo da donatore vivente la
nefrectomia può essere effettuata per via laparotomica o laparoscopica e viene prelevato il rene
meno funzionante oppure, a parità di funzionalità, il sinistro nel caso serva una vena renale più
lunga o il destro nel caso sia necessaria un'arteria renale più lunga.
L'intervento chirurgico ha una durata che può variare dalle 2 alle 4 ore. Il trapianto renale viene
eseguito allocando l'organo nella fossa iliaca in sede extraperitoneale. Le anastomosi vascolari
vengono realizzate suturando l'arteria renale del donatore all'arteria iliaca esterna del ricevente in
modo terminolaterale, e allo stesso modo la vena renale del donatore alla vena iliaca esterna del
ricevente. Il rene vecchio non viene rimosso.
Al termine delle anastomosi vascolari, l'uretere viene suturato alla vescica del paziente mediante
un uretero-cistostomia che prevede un meccanismo antireflusso (detto "a becco di flauto") atto a
impedire la risalita delle urine dalla vescica al rene trapiantato.
Ripresa funzionale
La maggioranza degli organi, una volta terminate le anastomosi vascolari, riprendono quasi subito
la loro funzione, ma a volte il rene va incontro ad un fenomeno di non funzionalità iniziale dovuto
a necrosi tubulare acuta. Questo fenomeno è la conseguenza di un danno subito dall'organo
durante la fase di prelievo, o, nel caso di donatore cadavere, durante il periodo nel quale è stato
conservato in soluzione fredda.
La non-funzione è solitamente reversibile entro la settimana, sempre se non intervengono altre
complicanze, soprattutto infettive. Particolarmente importante, nella prima settimana posttrapianto, è il monitoraggio della vascolarizzazione venosa realizzabile con l'ecocolor Doppler:
ogni eventuale riduzione di calibro dei vasi venosi o arteriosi è indice di trombosi del vaso stesso,
complicanza molto temibile che può essere contrastata con appropriata terapia anticoagulante.
Complicanze non immunologiche
Le complicanze dopo un trapianto possono essere essenzialmente complicanze legate al gesto
chirurgico stesso (infezione di ferita, ascesso) oppure complicanze legate alla terapia
immunosoppressiva che il paziente deve continuare a vita; tra queste ultime, due particolarmente
gravi sono il rischio infettivo legato all'immunosoppressione (soprattutto infezioni virali da
Citomegalovirus), e il rischio di sviluppo di neoplasie quali carcinoma del polmone e carcinoma a
cellule renali[10] e linfomi [11], per i quali la prevalenza è attualmente in calo in seguito all'utilizzo
di nuovi farmaci immunosoppressori.
I pazienti diabetici hanno un elevato rischio cardiovascolare e il trapianto, da effettuarsi una volta
instauratasi l'insufficienza renale cronica da nefropatia diabetica, può avere durata inferiore. Il
trapianto simultaneo di rene e pancreas è un'ottima opzione terapeutica per i pazienti con diabete
mellito di tipo 1, perché permette una maggior sopravvivenza del rene trapiantato in conseguenza
di un miglior controllo metabolico.[12]
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Complicanze immunologiche
Il rigetto è un rischio sempre presente nella storia di un trapianto, anche a distanza di anni, o
anche su reni perfettamente compatibili; e non è sempre prevedibile dalla tipizzazione. Di per sé il
rigetto è un processo immunologico per via del quale il sistema immunocompetente riconosce
come "non propri" gli antigeni dell'organo trapiantato, reagendo così contro di essi.
In relazione al momento in cui si verifica, è possibile distinguere 4 tipi di rigetto:
1. Rigetto Iperacuto, nel corso delle prime 24 ore post-trapianto
2. Rigetto Acuto accelerato, durante le prime 24-72 ore post-trapianto
3. Rigetto Acuto, tra il decimo giorno e la fine del terzo mese
4. Rigetto Cronico, che si verifica a distanza di anni dal trapianto, come esito finale di una serie di
insulti ricevuti dall'organo trapiantato, come ripetuti episodi di rigetto acuto e
nefrotossicità indotta dai farmaci antirigetto.
L'esito di ogni trapianto dipende da numerose e complesse variabili: la sopravvivenza dell'organo
è in genere migliore nei trapianti da donatore vivente, grazie al breve tempo di conservazione del
rene e dalla giovane età (di solito) del donatore[13]. La sopravvivenza del rene trapiantato a cinque
anni dall'intervento è di circa l'80% nei trapianti realizzati da donatore vivente, rispetto al 69%
osservato nei trapianti eseguiti da donatore cadavere[14].
In Italia è stato istituito un Centro nazionale trapianti, con sede presso l'Istituto superiore di sanità,
al quale è stato affidato il compito di verificare l'attività di prelievo e trapianto, nonché di
formulare le raccomandazioni operative.
Trapianto di fegato
Indicazioni
Il trapianto di fegato è praticato in tutte le malattie croniche che producano un malfunzionamento
irreversibile del fegato, purché il paziente non presenti altre patologie che precludano possibilità
di successo al trapianto. La maggior parte dei trapianti viene effettuata in caso di malattie che
portano a lesioni permanenti del fegato o di cirrosi (come le Epatiti virali, alcoliche ed autoimmuni
e la Cirrosi biliare primitiva) con conseguente rischio per la vita del soggetto.
Tecniche[modifica | modifica sorgente]
Quasi tutti i trapianti sono eseguiti in modo ortotopico, ovvero il fegato originale viene rimosso e il
nuovo fegato è trapiantato nello stessa posizione anatomica. L'operazione può essere
concettualmente divisa in tre parti, epatectomia (rimozione del fegato malato del ricevente), fase
anepatica (senza fegato), e trapianto.
L'operazione si effettua con un lungo taglio a L (oppure come una Y rovesciata che parte 6 cm circa
sopra lo sterno, poi si divide e segue le ultime costole, alla destra arriva fino al fianco, a sinistra
partendo dallo sterno va per circa 10/12 cm) sull'addome superiore. Il prelievo consiste nella
resezione di tutti i legamenti del fegato, del condotto biliare, dell'arteria epatica e della vena porta.
Normalmente la parte dietro al fegato della vena cava viene rimossa, sebbene esista una tecnica
chirurgica che la mantiene. L'impianto del nuovo fegato consiste nel connettere la parte inferiore
della vena cava, la vena porta e l'arteria epatica. Dopo che la circolazione sanguigna è ripresa nel
nuovo fegato, il condotto biliare viene ricostruito e connesso al condotto o all'intestino.
La maggior parte dei trapianti di fegato usa un fegato intero da un cadavere, specialmente nel caso
di pazienti adulti. Un grande miglioramento nei trapianti per bambini fu lo sviluppo del trapianto
di porzioni ridotte di fegato; in questi casi una parte del fegato di un adulto può essere usata per
un bambino.
Altri sviluppi hanno portato alla tecnica split, in cui un fegato viene diviso e trapiantato su due
persone (due adulti o un adulto ed un bambino che pesi meno di 10 kg). Nel caso dei due adulti, il
fegato sarà diviso in 2 parti perfettamente uguali (segmenti I-IV nel primo, segmenti V-VIII nel
secondo); nell'altro caso, il bimbo riceverà i segmenti II-III, mentre all'adulto sarà trapiantato il
resto. Sempre in questo campo si può oggi effettuare il trapianto da un donatore vivente.
Come per tutti i trapianti, quello di fegato viene rigettato dal paziente a meno che non siano usati
farmaci immunosoppressivi. Questi farmaci sono praticamente gli stessi per tutti i tipi di trapianti;
oggi vengono usati corticosteroidi, tacrolimus, ciclosporina e alcuni derivati dell'acido
micofenolico.
Per il fegato il problema del rigetto è un problema minore rispetto ai trapianti di cuore o di rene.
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Terapie ADDOME ACUTO
Chirurgia, a volte laparotomia d’urgenza.
In fase preoperatoria: Terapia del dolore (FANS e antispastici), correzione volemia e squilbri
elettrolitici, disporre un accesso venoso centrale. Profilassi: antibiotici, anti-H2, EBPM.
EMORRAGIE DIGESTIVE
Sondino naso-gastrico, lavaggi dello stomaco e pro coagulanti topici, endoscopia (e possibile
terapia endoscopica). Se non si identifica la lesione: chirurgia d’urgenza.
ERNIE
- Ernie inguinali:
Ø Conservativa palliativa: si applica cinto erniario.
Ø Radicale chirurgica: Apertura del canale, isolamento del funicolo e del sacco erniario,
apertura del sacco e riduzione nell’addome, poi exeresi del sacco, ricostruzione parete
posteriore del canale inguinale e anello inguinale interno.
o Tecniche di ricostruzione: Tecnica di Bassini o Ernialloplastica.
- Ernie crurali:
Ø Chirurgica: accesso per via crurale o per via inguinale.
o Tecniche di ricostruzione: Ernialloplastica, Plastica erniaria (laparoscopia).
LAPAROCELE
Chirurgia con plastica diretto o plastica con protesi.
ESOFAGO
- Diverticoli esofagei:
Ø Diverticolo di Zenker: Se piccolo: miotomia cricofaringe senza resezione. Se grande:
diverti colectomia. Anche diverti colotomia sotto guida endoscopica.
Ø Altri diverticoli: niente, oppure diverti colectomia con approccio toracoscopico.
- MRGE:
Ø Terapia medica: Esofagite endoscopica: PPI a dosaggio pieno per 8 settimane. NERD: PPI
o H2RA indifferentemente. Anche mantenimento (continuativa on demand).
Ø Terapia chirurgica:
o Tecniche endoscopiche: radiofrequenza, sutura endoscopica, iniezione sostanze.
o Intervento di Nissen: fundoplicatio, a 360 o 270° (meno disfagia).
o Intervento di Belsey Mark IV: avvolgimento sfondo stomaco e parte del diaframma
a 270°.
o Gastropessi posteriore di Hill: sospensione dello stomaco dietro l’esofago.
- Tumore dell’esofago:
Ø Forme early (T1s e T1a): mucosectomia o dissezione di mucosa e sottomucosa.
Ø Interventi di resezione: per i 2/3 distali. Procedura di Lewis Tanner: prima esofagectomia
distale in laparotomia, poi esofagectomia e mediastincetomia posteriore in toracotomia,
poi linfadenectomia (forse).
Ø Palliativi: derivazioni interne, endoprotesi, laserterapia, radioterapia.
Ø Chemioterapia: palliativa o prima dell’operazione: con cisplatino e 5-FU.
ERNIA IATALE
Ø Ernia da scivolamento sintomatica: riduzione e terapie anti reflusso (vedi esofago).
Ø Ernia paraesofagea: per via laparoscopica, riparazione iato esofageo poi Nissen laparos.
Ø Ernia paraesofagea infartuata: toracotomia, derotazione stomaco e riparazione iato.
STOMACO
- Malattia peptica:
Ø Triplice terapia: Amoxicillina/metronidazolo + claritromicina + PPI
- Ulcera peptica:
80
Ø Terapia delle complicanze: Perforazione: Ulcorrafia laparoscopica (raffia, sutura).
Emorragia: vedi emorragie. Stenosi: correzione alcalosi da vomito e squilibri elettrolitici e
poi gastroresezione distale o bypass con gastro-enterostomia.
Ø Terapia medica dell’ulcera: con H2RA, IPP, eradicazione H.Pylori.
Ø Terapia chirurgica dell’ulcera: in caso di complicanze, malignità, scarsa compliance:
o Vagotomia: Recidiva. Tronculare ha complicanze. Esiste anche selettiva.
o Antrectomia con vagotomia: resezione antro, piloro e duodeno e poi ricostruzione
con Billroth I (gastro duodenostomia) o Billroth II (gastrodigiunostomia).
o Duodeno-gastroresezione: resezione 2/3 distali stomaco e inizio duodeno. Poi si
esugue Billroth 2.
o Gastrectomia totale: asportazione stomaco e esofagodigiunostomia ricostruttiva.
- Carcinoma gastrico:
Ø Chirurgia radicale curativa:
o EGC: Mucosectomia.
o Più avanzati: Gastrectomia totale e linfadenectomia. Ricostruzione con
Esofagodigiunostomia termino-laterale, Roux con ansa a Y.
Ø Chirurgia palliativa: demolizione e gastro-enteroanastomosi, endoprotesi per via
endoscopiva o ricanalizzazione con laser.
In ogni caso chemioterapia neoadiuvante e adiuvante con 5-FU.
FEGATO
- Varici esofagee:
1. Profilassi delle varici:
a. Terapia medica farmacologica: beta bloccanti (propanolo) e nitrati.
b. Se non ha effetto: legatura endoscopica delle varici.
2. Emergenza emorragica:
a. Rianimazione: infusione sangue e liquidi, sondino naso-gastrico.
b. Endoscopia: scleroterapia o legatura endoscopica delle varici.
c. Farmaci: gliopressina, somatostatina, octreotide.
d. Sonda si Sengstaken-Blakemore: non per varici gastriche, 6-8 ore max.
3. Profilassi recidiva:
a. Farmaci: beta bloccanti e nitrati.
b. Terapia endoscopica:
. Scleroterapia: iniezione sostanze, bucrilato nello stomaco.
. Legatura endoscopica: più usata, con dispositivo legato all’endoscopio.
c. Interventi chirurgici non derivativi: Sugiura: detensione varici e resezione vasi.
d. Interventi chirurgici derivativi: Shunt totali o shunt selettivi:
. Inokuchi: anastomosi cava-gastrica sinistra.
. Warren: anastomosi vena lienale-vena renale di sinistra.
e. TIPS e trapianto di fegato: TIPS soprattutto utile per l’attesa del trapianto.
- Ascessi epatici:
Ø Drenaggio chirurgico della raccolta colliquata e antibioticoterapia.
- Ascessi amebici:
Ø Drenaggio chirurgico e amebicidi (metronidazolo).
- Cisti da echinococco:
Ø Terapia medica con benzimidazolici
Ø Se voluminose: pericistectomia (enucleo resezione).
- Adenoma, Iperplasia nodulare focale, Emangioma: se sintomaticià resezione.
- Carcinoma epatocellulare:
Ø Resezione chirurgica: con criteri di Milano, <50%: resezioni atipiche e segmentectomie. Si
fa manovra di Pringle cioè clampaggio del peduncolo epatico.
Ø Palliativa: alcolizzazione percutanea, radioterapia, crioterapia, termo ablazione con
radiofrequenza, chemioterapia con Lipiodol.
Ø Metastasi: Se al colon: possibile che siano resecabili + chemioterapia.
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VIE BILIARI
- Calcolosi biliare:
Ø Calcolosi della colecisti:
o Colecistectomia: approccio laparotomico o laparoscopico (con induzione di uno
pneumoperitoneo e uso di 2-3 trocar operativi.
Ø Calcolosi della via biliare principale:
o Sfinterotomia endoscopica: tramite ERCP, seguita da colecistectomia.
o Esplorazione trans cistica: si penetra nel lume del dotto cistico con sonda.
o Coledocolitotomia: si divide la via biliare e si estraggono i calcoli (pinze o Fogarty).
o Sfinterotomia trans duodenale: tecnica chirurgica, rara.
Ø Calcolosi intraepatica: litotomia o resezione epatica (se è in un solo lobo).
- Carcinoma della colecisti:
Ø Colecistectomia allargata: + linfadenectomia peduncolo epatico
- Colangiocarcinoma:
Ø Tumori del terzo distale e medio: duodeno-cefalo-pancreasectomia
Ø Tumori del terzo superiore: resezione vie intraepatiche e resezione epatica.
Ø Palliativa: anastomosi biliodigestiva, endoprotesi posizionata con PTC.
PANCREAS
- Pancreatite acuta:
Ø Terapia medica: sondino naso gastrico + squilibri elettrolitici + nutrizione parenterale
totale + emogasanalisi e somministrazione di O2. Poi antibiotici + somatostatina +
aprotinina + analgesici non oppioidi.
Ø Terapia chirurgica: per mancata risposta (48-72 ore) al trattamento medico:
o Se c’è ostruzione biliare: ERCP o rimozione chirurgica del calcolo.
o Se c’è ascesso o pseudo cisti: drenaggio chirurgico e antibioticoterapia.
o Pancreatite acuta severa: pancreasectomia parziale o totale, colecistectomia.
- Pseudocisti: intervento dopo almeno 6 settimane di follow up.
Ø Drenaggio chirurgico: con derivazione interna, esterna per cisti infette o rotte.
Ø Resezione pseudo cisti, resezione pancreatica (indovata), drenaggio non chirurgico.
- Carcinoma pancreatico:
Ø Tumori della testa: duodeno-cefalo-pancreasectomia. Poi ricostruzione.
Ø Tumori di corpo e coda: splenopancreasectomia distale.
Ø Carcinoma multicentrico: pancreasectomia totale.
Ø Chemioterapia: neoadiuvante e adiuvante. Efficace la gemcitabina.
Ø Terapia palliativa: derivazione vie biliari, bypass digestivo, risoluzione ittero.
TENUE
- Morbo di Crohn:
Ø Terapia medica: mesalazina, immunosoppressori (azatioprina), infliximab.
Ø Chirurgia: Solo per complicanze. Resezione preservando quanto più possibile,
stricturoplastica (stenosi) o intervento di Michelassi (stenosi). Nel colon solo resezione.
- Rettocolite ulcerosa:
Ø Terapia medica: mesalazina, immunosoppressori (azatioprina), infliximab.
Ø Chirurgia d’urgenza: colectomia subtotale con ileostomia e conservazione del retto.
Ø Chirurgia d’elezione:
o Proctocolectomia totale con ileostomia definitiva
o Colectomia totale con ileo-retto-anastomosi
o Proctocolectomia restaurativa con pouch ileale
- Diverticolo di Meckel: diverticulectomia oppure resezione ileale allargata.
APPENDICE
Ø Appendicectomia: via laparotomica o laparoscopica. Si fa antibiotico profilassi (una dose).
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COLON-RETTO
- Malattia diverticolare:
Ø Diverticolosi: dieta con fibre, antispastici.
Ø Diverticolite: no fibre, antibiotici (Paramomicina), antispastici.
Ø Chirurgia perforazioni ed emorragie:
o Intervento in 3 tempi: colostomia e drenaggio, poi resezione, poi chiusura colos.
o 2 tempi: Hartmann, resezione, chiusura moncone rettale e colostomia su colon
discendente. Poi chiusura colostomia e rianastomosi col moncone.
o 1 tempo: resezione-anastomosi senza colostomia.
- Polipi: in caso di cancro nella mucosa: polipectomia per via endoscopica.
Ø FAP e HNPCC: proctocolectomia totale restrittiva profilattica.
- Cancro del colon-retto:
• Malattia iniziale (Astler-Coller A,B e C):
o Chirurgia radicale: resezione 20 cm a monte e 5 cm a valle, asportazione linfonodi
epicolici, paracolici e intermedi, esplorazione bimanuale di tutto l’intestino,
l’omento, le ovaie, i recessi e prelievo bioptico aree sospette.
o Chemioterapia adiuvante: Per il colon III stadio: fluoro uracile + levamisolo. Per il
retto di II-III stadio: fluorurabile + levamisolo + radioterapia.
• Malattia avanzata (Astler-Coller D):
o Chemioterapia: con FOLFOX o FOLFIRI. Usati anche ralitrexed (meno tossico),
capecitabina (più attiva sui tessuti neoplastici, permette di aumentare le dosi),
protocollo XELIRI. Anche UFT (tegafur + uracile), meno tossico.
Chemio endoarteriosa con fuordesossiuridina per metastasi epatiche.
Farmaci biologici: cetuximab, bevacizumab. La chirurgia ha ruolo palliativo
ANO
-Ascesso anale: incisione e drenaggio.
-Fistola anale:
Ø Intersfinteriche o tran sfinteriche basse: fistulotomia poi guarigione per II intenzione.
Ø Transfinteriche alte: 2 tempi: fistulotomia porzione intrasfinterica e setone. Dopo
settimane fistulotomia porzione extrasfinterica.
Ø Extrasfinteriche e soprasfinteriche: lembo di avanzamento anorettale o colla di fibrina.
Ø Fistola retto-vaginale: lembo di avanzamento anorettale. Se alta: resezione rettale.
- Sinus pilonidalis:
Ø Incisione cutanea per drenarla, o pulizia orifizi, o interventi radicali.
- Emorroidi:
Ø I-II-III iniziale: legatura elastica.
Ø III-IV grado: emorroidectomia o emorroidopessi.
-Ragade anale:
Ø Recente insorgenza o lieve: pomate, dieta con fibre, igiene.
Ø Cronica e dolore intenso: sfinterotomia interna.
- Carcinoma epidermoide:
Ø Radio e chemio: poi controlli.
Ø Se recidiva di nuovo radio o resezione addomino pelvica o resezione locale (piccolo).
UROLOGIA
-Torsione funicolo spermatico:
Ø Esplorazione scrotale, incisione albuginea, poi fissata al dartos. Altrimenti orchiectomia.
- Idrocele:
Ø Asportazione ed eversione della tonaca vaginale.
- Varicocele:
Ø Sclerotizzazione: attraverso un catetere nella femorale.
Ø Legatura della vena: incisione a livello dell’anello inguinale esterno.
- Criptorchidismo:
Ø Orchidopessi: con eventuale dissezione del peduncolo vascolare, fissato allo scroto.
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Tumori testicolari: meglio pensare alla crioconservazione del seme
1. Seminomi:
a. Stadio 1: nel 20% sono interessati i linfonodi retro peritoneali al momento
dell’orchiectomia. Si esegue dopo l’intervento una radioterapia retro peritoneale a
bassa dose. Non è indicata come prima scelta la linfoadenectomia retro peritoneale.
b. Stadio avanzato: rispondono bene alla radioterapia retro peritoneale ed alla terapia
con BEP (bleomicina, etoposide e cisplatino), con remissione completa nel 90%.
2. Non seminomi:
a. Stadio 1: nel 30% celano metastasi sublcliniche. Si fa pertanto linfadenectomia retro
peritoneale con risparmio dei nervi. Se resta positività linfonodale: terapia con BEP
b. Stadio avanzato: chemioterapia con BEP seguita dall’approccio chirurgico.
TIROIDE
-Carcinomi papillari e follicolari:
Ø Tiroidectomia totale: si associa linfadenectomia e trattamento radio metabolico ablativo.
Ø Controllo: WBS poi terapia con L-tiroxina- 12mesi WBS- magari di nuovo radio.
porzione intrasfinterica e setone. Dopo settimane
-Carcinomi midollari:
Ø Tiroidectomia: no radioiodio, con linfadenectomia.
-Iperparatiroidismo: asportazione 3 /2 paratiroidi.
-Feocromocitoma: asportazione (si dà prazosina ed eventuali beta-bloccanti)
-Ipertensione nefrovascolare: angioplastica percutanea o tromboendoarterectomia o bypass.
MAMMELLA
- Tumori epiteliali benigni: si escidono l’adenoma del capezzolo e il papilloma intraduttale (con
duttogalattoforectomia).
- Tumori mesenchimali benigni:
Ø Fibroadenoma: se >3 cm si fa exeresi chirurgica
Ø Tumore filloide: asportazione chirurgica con contorno indenne. Se trasforma mastectomia.
-Sarcoma stromale: mastectomia radicale
-Carcinoma della mammella:
• Malattia iniziale (Astler-Coller A,B e C):
o Chirurgia radicale: resezione 20 cm a monte e 5 cm a valle, asportazione linfonodi
epicolici, paracolici e intermedi, esplorazione bimanuale di tutto l’intestino,
l’omento, le ovaie, i recessi e prelievo bioptico aree sospette.
o Chemioterapia adiuvante: Per il colon III stadio: fluoro uracile + levamisolo. Per il
retto di II-III stadio: fluorurabile + levamisolo + radioterapia.
• Malattia avanzata (Astler-Coller D):
o Chemioterapia: con FOLFOX o FOLFIRI. Usati anche ralitrexed (meno tossico),
capecitabina (più attiva sui tessuti neoplastici, permette di aumentare le dosi),
protocollo XELIRI. Anche UFT (tegafur + uracile), meno tossico.
Chemio endoarteriosa con fuordesossiuridina per metastasi epatiche.
Farmaci biologici: cetuximab, bevacizumab. La chirurgia ha ruolo palliativo.
Linfonodo sentinella rilevato con linfoscintigrafia e durante l’intervento con blu di Evans.
- Tecniche di ricostruzione: protesi mammarie e flap reconstruction (TRAM FLAP usando
un lembo addominale e DIEP risparmiando il retto dell’addome).
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