premessa - Raffaello Cortina Editore

PREMESSA
Orsù, lasciamo degli uomini e della Terra. Considerate, illustrissimo, quel ch’è ragionevole che avvenga degli altri pianeti.
Che quando vedranno la Terra fare ogni cosa che fanno essi,
e divenuta uno di loro, non vorranno più restarsene così lisci,
semplici e disadorni, così deserti e tristi, come sono stati sempre; e che la Terra sola abbia quei tanti ornamenti: ma vorranno
ancora essi i lor fiumi, i lor mari, le loro montagne, le piante, e
fra le altre cose i loro animali e abitatori: non vedendo ragione
alcuna di dovere essere da meno della Terra in nessuna parte.
Così Niccolò Copernico si rivolge con tono di richiamo, ma
pieno di rispetto, nientemeno che al Sole, nel dialogo Il Copernico, composto nel 1827 e incluso quindi nelle Operette morali (nel
secondo volume delle Opere di Giacomo Leopardi, curate da
Antonio Ranieri, 1845). Leopardi, dando la parola a Copernico
in persona, gli faceva pronunciare una descrizione dell’invidia
delle varie stelle per il Sole, che “vorranno avere i loro pianeti, […] i quali pianeti nuovi, converrà che siano anche abitati e
adorni come è la Terra”. Così si insinua il sospetto che siano proprio quelli che oggi chiamiamo pianeti extrasolari a essere sedi
di vita e intelligenza, mentre il “povero genere umano” si sentirà
sempre più irrilevante di fronte a “tante migliaia di altri mondi”.
Non diversamente dal poeta e filosofo di Recanati, anche a
noi è capitato, lasciata la città, di soffermarci a contemplare,
con un misto di ammirazione e di sgomento, la bellezza del cielo notturno. Se poi la notte è senza Luna (con buona pace di
Leopardi), vagando con lo sguardo verso la cupola del cielo ci
si sente come al centro di un immenso palcoscenico, in un buio
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profondo spezzato da migliaia di punti luminosi. Perché sono
tanti, perché esistono, e perché esistiamo noi, che li stiamo a
osservare? Sono domande che l’uomo si è posto dall’Antichità
e che, almeno per la scienza, non hanno ancora trovato risposta, come riconosceva un grande ammiratore della sintesi fisica
operata da Newton, il filosofo e cosmologo Immanuel Kant.
Volgendo lo sguardo verso le stelle, non possiamo fare a
meno di interrogarci: ci sarà “qualcuno” che, da lassù, ci sta
guardando? Ricordate la Via Lattea? All’alba della scienza moderna, nel Sidereus nuncius (1610), Galileo Galilei, sfruttando
i nuovi dati forniti dal suo cannocchiale, aveva dichiarato che
essa non era un difetto del mondo sublunare, bensì un gigantesco agglomerato di stelle, ed è questo che oggi significa il suo
nome, Galassia. Kant avrebbe suggerito come in tale “mondo
di mondi” non scarseggiassero forme di vita intelligente! Ma
lo scenario si è ora enormemente ampliato: cento miliardi di
galassie, da cento a quattrocento miliardi di stelle in ognuna di
esse. Tutto questo solo per noi? Siamo davvero gli unici esseri
intelligenti in questo grandioso Universo? Nessuno, attualmente, è in grado di dare una risposta, anche se ad alcuni sembra
plausibile che la vita sia un fenomeno “piuttosto raro” e ancora di più lo sia la vita “intelligente”.
All’inizio degli anni Settanta del Novecento, il filosofo della
scienza Imre Lakatos sosteneva che il programma di ricerca della vita intelligente nell’Universo era un tipico programma solo
“teoricamente progressivo”, cioè un programma che contemplava una miriade di fatti nuovi e interessanti ma, ahimè, nessuno dei quali corroborato. E la scienza “seria” si sarebbe dovuta occupare di programmi “empiricamente progressivi”, ove
si fosse riscontrato un aumento di fatti nuovi corroborati, mentre si sarebbe dovuta disinteressare di programmi teoricamente
“regressivi”, che non prevedessero nulla di nuovo. I programmi progressivi solo teoricamente costituiscono una “specie” di
confine un po’ ibrida; Lakatos non li considerava globalmente;
era invece pronto, caso per caso, a esaminare il loro “aumento di
contenuto”, anche se mancavano quelli che, a suo tempo, l’astuto Sherlock Holmes etichettava come “fatti, fatti, fatti” accertati.
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Il programma di ricerca della vita intelligente nell’Universo rientra in tale specie anfibia: non è una definitiva condanna,
questa, perché in passato vari programmi, almeno nei periodi
iniziali, si sono rivelati solo teoricamente progressivi (tra questi,
prima di Galileo e Keplero, la stessa astronomia copernicana).
In parecchi casi, però, la stagnazione, a livello empirico, è durata un numero relativamente esiguo di anni; invece, riguardo
agli “extraterrestri”, è qualche millennio che se ne cantano le
imprese, e non ne è stato trovato ancora uno! Lakatos, per altro, osservava che pure un programma di quel tipo può rivelarsi
interessante, per i problemi scientifici o tecnologici che suscita
nel contesto della sua “cintura protettiva” di ipotesi e congetture ausiliarie ed eventualmente risolve, favorendo così non il
nucleo centrale del programma stesso ma le tante discipline che
vi sono più o meno coinvolte. Senza contare l’immenso apporto che il problema degli “extraterrestri” ha fornito alla fantasia
di tutti i tempi: dalle antiche religioni alle cosmologie dell’Età
Moderna, per non dire di tutto l’ambito della narrativa in senso lato: miti, racconti, grandi romanzi e, per arrivare ai nostri
giorni, film, video e fumetti.
Quando questo nostro libro era in bozze, abbiamo letto
(la Repubblica, 26 settembre 2016) che ora anche la Cina “va
a caccia di alieni”. Ha inaugurato fast (Five-hundred-meter
Aperture Spherical Telescope), 500 metri di diametro, superficie di trenta campi di calcio e 4450 specchi. Come riporta l’articolo, “capterà le onde radio emesse da stelle, galassie e nebulose. O magari da qualche alieno”. Ma non lasciamoci prendere
da eccessivo entusiasmo: come ha messo sull’avviso uno scienziato come Stephen Hawking, gli extraterrestri potrebbero essere così intelligenti da “avere per noi la stessa considerazione
che noi abbiamo per i microbi”. È una versione pessimistica
dell’atteggiamento che, nel suo Micromega, Voltaire attribuisce
al protagonista, un “grande” e “intelligente” abitatore di “uno
dei pianeti che girano intorno alla stella che si chiama Sirio”, il
quale, giunto sulla nostra Terra, non manca di affettuosa comprensione per quei piccolissimi “atomi” parlanti che sono per
lui gli esseri umani.
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Due di tali “atomi” hanno cercato di raccontare, senza pretesa di completezza, una vicenda intellettuale che si snoda da
millenni e ha preso un aspetto nuovo con la rivoluzione copernicana. Il volume è diviso in otto capitoli. Nel primo si danno
brevissimi cenni sulle antiche credenze circa gli extraterrestri,
fino al Medioevo. Nel secondo tocca ai grandi visionari del
Rinascimento europeo, come Giordano Bruno. Nel terzo al
centro dell’interesse è la nuova “filosofia della natura” (si legga “scienza”) di Keplero e Galilei, ma vi sono anche le escursioni fantastiche di Cyrano de Bergerac e di Bernard le Bovier
de Fontenelle, per terminare con la discussione da parte di
Christiaan Huygens delle possibilità di vita intelligente, specie
in pianeti extrasolari. Il capitolo 4 è consacrato a quello che avviene con Newton e dopo di lui, con un occhio di riguardo per
Immanuel Kant. Alcune cruciali controversie dell’Ottocento
sono esaminate nel capitolo 5; da esse emerge il nuovo atteggiamento tecnico-scientifico che caratterizza la ricerca del Novecento e oltre, con il resoconto dell’indagine giunta fino agli
estremi confini del Sistema solare e lo studio dei pianeti extrasolari, oggi “esplorati” con preziose strumentazioni matematiche e tecnologiche (capitoli 6, 7 e 8).
Ringraziamenti
Tra i tanti amici e colleghi che ci hanno aiutato vogliamo
ringraziare almeno (in ordine alfabetico) Pietro Adamo, Vincenzo Barone, Mauro Bonazzi, Edoardo Boncinelli, Julian
Chela-Flores, Ilaria Cozzaglio, Pier Luigi Gaspa, Luca Guzzardi, Gianfranco Mormino, Daniele Nani, Roberta Pelachin,
Stefano Simonetta, Corrado Sinigaglia, Antonio Sparzani, Enrico Terrinoni.
E poi, tra il personale della casa editrice, Giovanna Bettini,
la cui assistenza è stata essenziale, nonché Mariella Agostinelli,
Giorgio Catalano, Silvana Diviesti e Elisa Montanucci. Un grazie di cuore per Raffaello Cortina, che ci ha entusiasticamente
incoraggiato e seguito.
G.G. e E.S.
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