CAPITOLO 4 LE STELLE 04_capitolo.indd 117 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 04_capitolo.indd 118 13/04/12 17:47 S iamo partiti dalla nostra Terra e abbiamo esplorato il Sistema solare. Siamo passati poi alla Galassia e le sue popolazioni, per renderci conto che viviamo in un isolato di una immensa megalopoli stellare, che a sua volta fa parte di un continente di altre mega città in uno spazio sconfinato. Vediamo ora un po’ più in dettaglio le caratteristiche di quelli che sono i principali «mattoni» dell’Universo: la grande varietà di stelle, e con quali mezzi siamo riusciti a capire di cosa son fatte, come si formano, perché brillano, come evolvono e muoiono questi oggetti così lontani e intangibili. Parleremo prima delle stelle in generale e poi del Sole come stella tipica e l’unica studiata in dettaglio perché, grazie alla sua vicinanza, è osservabile come una superficie estesa e non come un punto. Grande vantaggio, se si considera che la stella più vicina si trova a poco più di 4 anni luce e il Sole a circa 8 minuti luce. Gli astronomi definiscono stella un aggregato di materia gassosa che brilla di luce propria in conseguenza delle reazioni nucleari che avvengono nel suo interno. Le condizioni fisiche (temperatura e densità) necessarie all’innesco di queste reazioni nucleari si verificano soltanto se la massa della stella è almeno fra 1000 e 10.000 volte quella della Terra. Giove, che ha una massa 318 volte maggiore del nostro globo, è ancora troppo piccolo, sebbene, come Saturno, Urano e Nettuno, irradi più calore di quanto non ne riceva dal Sole: forse un residuo del calore accumulato al tempo della sua formazione, di origine gravitazionale e non nucleare. Esiste una grandissima varietà di stelle: si va da stelle più piccole di quelle che fanno parte del sistema binario Wolf 424 situato nella Vergine e che hanno una massa di 0,07 volte quella del Sole; a stelle massicce come quella di Plaskett, un altro sistema binario composto di due stelle, ciascuna 90 volte più grossa del Sole. La coppia si scorge anche a occhio nudo nella costellazione dell’Unicorno, circa a metà strada fra Procione e Betelgeuse. Abbiamo stelle isolate e stelle a gruppi, e alcune così vicine fra loro da essere praticamente a contatto, quale, per esempio, le due componenti del sistema doppio W Ursae Maioris. Abbiamo già 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 119 04_capitolo.indd 119 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 nominato S Doradus che è la stella con la magnitudine assoluta più grande di tutte e pari a -9,5. Tuttavia, quando le stelle esplodono alla maniera delle supernovae, possono raggiungere anche una magnitudine di -19 ed eguagliare in splendore l’intera loro galassia. Se poi si considerasse il nucleo di una galassia simile alla nostra come una stella unica, si arriverebbe a una magnitudine assoluta stimabile a -22,8, che però non è ancora il massimo dei massimi, se pensiamo che la quasar 3C 279, che si crede distante circa 6 miliardi di anni luce, nel 1975 ebbe una fluttuazione luminosa che al suo culmine raggiunse la magnitudine -31, uguale a 100.000 miliardi di volte quella del Sole. Dato che fra le stelle c’è una specie di distribuzione gerarchica di luminosità, ci possiamo immaginare una scala piena di stelle gradino per gradino, in ordine di magnitudine assoluta. Noteremo che le più brillanti in cima alla scala sono pochissime, mentre i gradini inferiori sono via via sempre più popolati di stelle sempre più deboli. Non basta: le più luminose, oltre ad avere diversi colori, dal rosso al giallo al bianco-azzurro, sono anche le più voluminose, al contrario delle piccole stelle «nane» dei gradini più bassi che (salvo eccezioni quali le «nane bianche») tendono a un rosso sempre più cupo fino all’invisibilità. Come i metalli che dal rosso arrivano al «calor bianco» coll’aumentare della temperatura, così le stelle rosse hanno una temperatura superficiale più bassa delle stelle bianche, e quanto più calda è la superficie di una stella tanto maggiore è l’energia emessa per cm2. Quest’ultima varia secondo la quarta potenza della temperatura, e quindi una stella avente una temperatura 2 volte maggiore di un’altra delle stesse dimensioni, emette non il doppio, ma 24, cioè 16 volte più luce. Pertanto le stelle più deboli della scala delle luminosità sono rosse: e non soltanto sono piccole, ma anche relativamente fredde, 2000 o 3000 gradi assoluti. ••1 La grande varietà di stelle non finisce qui. Esistono stelle che ruotano tanto rapidamente da diventare oblunghe, altre che pulsano con maestosa lentezza come le Cefeidi, oppure vibrano come corde di violino. Alcune stelle hanno atmosfere estesissime e rarefatte, altre sono dense al punto che la loro superficie è solida. Si crede che in alcune nebulose come quella d’Orione delle stelle stiano nascendo, mentre altre muoiono nelle più diverse età, e altre ancora sono vecchie quanto la Galassia (circa 14 miliardi d’anni) e vivranno ancora per moltissimo tempo. Vi sono stelle che «sputano» nello spazio grandi quantità di gas, e altre che «succhiano» con la loro forza gravitazionale stelle vicine trasferendone su di sé la materia e cambiando il loro processo evolutivo. Abbiamo stelle con fortissimi campi magnetici che raggiungono al limite i 35.000 gauss, mentre in confronto il Sole ha un campo magne120 04_capitolo.indd 120 CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••1 La stella Altair osservata con l’interferometro ci mostra il suo vero aspetto. La forma ellissoidale schiacciata è dovuta alla rapida rotazione stellare (evidenziata dalla griglia sovrapposta). Questa è un’immagine straordinaria, ai limiti della moderna tecnologia osservativa, poiché le stelle sono talmente lontane che appaiono come puntini anche nei più potenti telescopi (il bordo dentellato è un effetto strumentale). La barretta rappresenta 1 millisecondo d’arco, quindi per dare l’idea di come Altair si vede nel cielo dovremmo porre questa pagina a circa 2 km di distanza! (CHARA, J.MONNIER) tico generale inferiore a 1 gauss. Ma anche quando appartengono allo stesso tipo, non c’è stella che sia davvero identica a un’altra. Tuttavia, conoscere non significa solo notare le differenze, ma anche le somiglianze. È per questo motivo che noi abbiamo immaginato di dividere le stelle in quella scala a gradini dove si distribuivano secondo la magnitudine e il colore, cui occorre però aggiungere importanti caratteristiche fisiche quali lo spettro, il diametro e la massa. DIMMI CHE SPETTRO HAI E TI DIRÒ CHI SEI Spettro è il nome che Newton diede alla banda continua di colori formata da un prisma quando viene colpito da un raggio di luce, e lo spettroscopio, costituito essenzialmente da un prisma, è lo strumento che serve ad analizzare la luce, compresa quella delle stelle. Furono proprio le stelle, che, intorno al 1863, l’astronomo e gesuita italiano Padre Angelo Secchi prese a esaminare con uno spettroscopio. Altri prima di lui avevano già tentato, ma forse egli ebbe uno scopo più preciso. Lo scrive egli stesso: «In sostanza, voglio vedere se, proprio come le stelle sono senza numero, anche la loro composizione sia proporzionalmente variata». Egli scoprì invece che, per quanto le stelle siano innumerabili, i loro spettri possono ridursi a poche forme distinte e ben definite che per brevità chiamò «tipi». Più in particolare, egli aveva esaminato 4000 stelle che risultavano divisibili in 5 tipi, con le stelle bianche ad alta temperatura da una parte della scala, e all’estremo opposto le stelle rosse a bassa temperatura. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 121 04_capitolo.indd 121 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Occorre qui precisare la differenza fra spettro continuo e spettro di righe. La luce bianca emessa da una lampadina o da un metallo incandescente ha uno spettro continuo, cioè una striscia colorata sfumata dal rosso al violetto. Un gas rarefatto portato all’incandescenza emette invece uno spettro di righe luminose caratteristiche per ciascun elemento. Ad esempio, l’idrogeno emette una riga nel rosso, una nel verde-azzurro e una nell’estremo violetto; il sodio è contraddistinto da due forti righe nel giallo; il ferro (naturalmente allo stato gassoso) da numerosissime righe lungo tutto lo spettro. Quando un gas rarefatto viene frapposto fra una sorgente più calda e l’osservatore, nello spettro continuo della sorgente si vedono apparire delle righe scure al posto di quelle luminose. Le righe brillanti si chiamano anche «righe d’emissione», quelle scure «righe d’assorbimento». ••2 Lo spettro del Sole e delle stelle è uno spettro continuo solcato da righe d’assorbimento, e qualche volta d’emissione, per mezzo delle quali è possibile identificare gli elementi chimici presenti nelle atmosfere di questi corpi, e la loro quantità in percentuale. Da tali righe è possibile dedurre anche la temperatura (e molte altre caratteristiche fisiche, quali: pressione, campi magnetici, moti turbolenti dei gas ecc.) perché più alta è la temperatura più un 122 04_capitolo.indd 122 ••2 Spettri stellari per le diverse classi spettrali. Spostandosi nella figura dall’alto verso il basso, la classe spettrale avanza da O a M (a sinistra), mentre la temperatura stellare diminuisce da 35.000 a 3.000 gradi circa. Si nota che per le prime classi spettrali, ovvero per le stelle calde, sono predominanti alcune forti righe di assorbimento: si tratta dell’idrogeno. Diversamente per le classi spettrali più avanzate, ovvero per le stelle più fredde, sono visibili numerosissime righe sottili: si tratta dei metalli. CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 CLASSE SPETTRALE TEMPERATURA SUPERFICIALE K COLORE CARATTERISTICHE SPETTRALI W sopra i 35.000 bianco-azzurro righe brillanti, domina l’elio O 35.000 - 30.000 bianco-azzurro dominano le righe dell’elio B 30.000 - 15.000 bianco-azzurro righe dell’elio e dell’idrogeno A circa 10.000 bianco dominano le righe dell’idrogeno F circa 7000 bianco-giallo righe dell’idrogeno e di metalli ionizzati G circa 6000 giallo righe dell’idrogeno e metalli neutri e ionizzati K circa 5000 arancione metalli neutri, dominano le righe del calcio neutro e ionizzato M circa 3000 rosso-arancio dominano le bande dell’ossido di titanio S 3000 - 2000 rosso dominano le bande dell’ossido di zirconio R 3000 - 1500 rosso dominano le bande dei composti del carbonio Nella scala di temperature assolute, lo zero assoluto corrisponde a -273° centigradi; che sia assoluto si spiega col fatto che la temperatura è una misura della velocità di agitazione delle particelle (la velocità d’agitazione delle particelle cresce al crescere della temperatura): lo stato di velocità minima – e quindi di energia minima – corrisponde alla temperatura minima possibile ed è chiamato zero assoluto (0 Kelvin). atomo si ionizza; perde, cioè, un numero crescente di elettroni, producendo diverse serie di righe spettrali. È quindi evidente che deve esistere una relazione anche fra colore e caratteristiche dello spettro di righe, essendo ambedue essenzialmente dipendenti dalla temperatura. Nella tabella qui sopra si riportano le principali caratteristiche degli spettri stellari divisi secondo la classificazione dell’Osservatorio di Harvard (Stati Uniti) nei tipi W, O, B, A, F, G, K, M, S, R, N. Per fare qualche esempio concreto, nella costellazione di Orione la stella Betelgeuse, di colore rossastro, ha uno spettro molto diverso dall’azzurra Rigel: la prima è di tipo M e la seconda di tipo B. Il Sole è una stella gialla di tipo G, anzi G2, dato che ogni classe (o tipo) si suddivide in sottoclassi indicate con le cifre da 0 a 9: Betelgeuse è M2 e Rigel B8, mentre Sirio è di classe A0. Alla categoria W appartengono le stelle Wolf-Rayet (dal nome dei francesi Charles-Joseph-Étienne Wolf e Georges-Antoine-Pons Rayet, che le scoprirono): sono le più calde che si conoscano e abbastanza simili alle stelle classificate con la lettera O, ma molto più ricche di righe di emissioni. Le stelle R e N, oggi più spesso indicate con la lettera C, simbolo del carbonio, e le S hanno temperature simili alla M, ma ne differiscono per la composizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 123 04_capitolo.indd 123 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 chimica. Nei confronti delle M, le C hanno maggiore il rapporto carbonio/ossigeno; le S il rapporto terre rare/titanio. La magnitudine assoluta di una stella dipende sia dalla sua temperatura che dalle sue dimensioni. Dopo aver studiato un certo numero di spettri di stelle di cui era nota la distanza e quindi la magnitudine assoluta, il danese Ejnar Hertzsprung (al quale si deve l’aver introdotto proprio la nozione di magnitudine assoluta o intrinseca) nel 1905 trovò una relazione fra temperatura superficiale e luminosità delle stelle. Indipendentemente, e senza saper nulla del lavoro di Hertzsprung, che aveva pubblicato il suo lavoro in una rivista non astronomica e in forma semipopolare tanto da passare inosservato, l’americano Henry Norris Russell arrivò nel 1913 alla stessa conclusione dell’esistenza di una relazione fra la luminosità delle stelle, il loro colore e la loro classe spettrale. ••3 Nacque in questo modo il famoso diagramma Hertzsprung-Russell o diagramma H-R, il quale evidenzia come la maggior parte delle stelle si addensi su una retta, chiamata «sequenza principale», che va dalle stelle più calde e più luminose a quelle più fredde e più deboli. Il diagramma mostra poi un’altra regione popolata di stelle ad alta luminosità e bassa temperatura come Betelgeuse e Antares. Quindi, le stelle rosse sono divise in due gruppi ben distinti: uno di alta e uno di bassa luminosità. Dato che, come sappiamo, a uguale colore corrisponde uguale temperatura, la differenza in luminosità non può dipendere che da differenza di dimensioni. Perciò i due gruppi di stelle vengono chiamati «giganti» e «nane». In seguito sono state introdotte ulteriori suddivisioni: «supergiganti», «subgiganti» e «subnane». Infine, si conosce un altro gruppetto di stelle di colore bianco o giallastro e di bassissima luminosità, dette «nane bianche»: si tratta di stelle di piccolo diametro e alta temperatura. Fuori diagramma, ossia molto più in basso e a sinistra, cadrebbero le pulsar, ancora più calde e più piccole delle nane bianche. Se una nana bianca ha un diametro di circa 10.000 km e una temperatura superficiale che oscilla intorno ai 50-100.000 °C, una pulsar, o stella a neutroni, avrebbe un diametro dell’ordine di 10 km e una temperatura che arriva al milione di gradi centigradi. ••4 Determinare il diametro delle stelle è un grosso problema perché anche i maggiori telescopi ci mostrano soltanto dei punti e non dei 124 04_capitolo.indd 124 ••3 Relazione magnitudine-colore. Nel grafico la magnitudine assoluta (M) è rapportata al colore (indice B-V) per tutte le stelle «vicine» alla Terra, cioè distanti meno di 100 parsec. È evidente che le stelle si distribuiscono in zone ben definite del diagramma, e questo fatto rivela la presenza di profonde correlazioni fisiche. CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••4 Il diagramma di Hertzsprung-Russell indica una relazione tra la temperatura delle stelle e la magnitudine assoluta. La distribuzione nel diagramma H-R consente di distribuire le stelle entro differenti classi di luminosità. Dall’alto verso il basso, con luminosità decrescente, abbiamo le Supergiganti, le Giganti, la Sequenza principale (obliqua) e le Nane bianche. (ESO) dischetti. Il fisico americano Albert Abraham Michelson, applicando nel 1930 la tecnica dell’interferometro, riuscì a misurare il diametro di alcune stelle supergiganti relativamente vicine quali Antares e Betelgeuse: la prima risultò avere un diametro circa 400 volte maggiore di quello del Sole, e la seconda 2 o 300 volte. Ci si serve anche di altri metodi, quali l’occultazione di una stella da parte della Luna, come nel caso di m Geminorum: una gigante rossa di classe spettrale M3, che giace vicino all’eclittica e perciò viene frequentemente occultata dal nostro satellite. Da queste misure eseguite nel 1974, è risultato che m Geminorum, ammesso che si trovi a una distanza di una sessantina di parsec, avrebbe un diametro 81 volte quello del Sole, e perciò abbastanza grande da contenere l’orbita di Mercurio. Tuttavia, per la maggior parte delle stelle, si usa un metodo indiretto basato sulla conoscenza della temperatura e della magnitudine assoluta. Data la temperatura, la legge di StefanBoltzmann (che dice che la radiazione emessa da un «corpo nero» a tutte le lunghezze d’onda per cm2 e per secondo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura) ci dà l’energia irradiata dalla stella per cm2 e per secondo. Dalla magnitudine assoluta si ricava il rapporto fra l’energia irradiata dalla stella e quella irradiata dal Sole; e quindi è possibile calcolare il diametro della stella prendendo come unità di misura quello solare. Si trova che esistono stelle con diametri centinaia di volte più grandi di quello del Sole, e altre con diametri pari a pochi millesimi del diametro solare. Così i diametri stellari variano da 10.000 km (o ancora meno per le stelle a neutroni) a un miliardo e più di chilometri, sebbene la stragrande maggioranza delle stelle della sequenza principale del diagramma di Russell abbia diametri compresi fra 0,5 (nane rosse) e 10 diametri solari. ••5 Le masse si possono misurare direttamente soltanto in pochissimi casi, come le stelle doppie di cui si conoscano le orbite e la distanza. Però, nel 1924 Arthur Stanley Eddington trovò per via teorica l’esistenza di una relazione fra massa e luminosità: le stelle di massa maggiore sono anche le più luminose. Si trattava di una relazione già conosciuta empiricamente sulla base di poche stelle di cui erano note la massa e la luminosità. Le masse variano entro limiti assai più ristretti dei volumi, passando da circa 0,2 a 50 (e forse 100) volte la massa solare. Di conseguenza, la densità media delle 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 125 04_capitolo.indd 125 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 giganti rosse risulta dell’ordine di 0,0001 g/cm3, mentre quella delle nane bianche è di 105 g/cm3. Consideriamo alcuni casi: il Sole, una stella media, ha una densità poco maggiore di quella dell’acqua, ovvero 1,41 g/cm3; Antares, una supergigante rossa, ha una densità pari a un milionesimo di quella dell’acqua; una nana bianca come la compagna di Sirio, Sirio B, avente la stessa massa del Sole ma un diametro appena 4 volte quello della Terra, raggiunge una densità 60.000 volte quella dell’acqua. A queste enormi densità (del resto ampiamente superate dalle pulsar per non parlare di alcune specie di «buchi neri») il gas che costituisce la nana bianca non è più un gas perfetto, eccetto che in una sottile atmosfera che avvolge la stella, ma si trova in uno stato che il fisico italiano Enrico Fermi chiamò «degenerato». Il gas in queste condizioni si comporta più come un metallo solido che come un gas: a differenza dei gas è altamente conduttivo, e inoltre la pressione è proporzionale a una potenza della densità, mentre nei gas è proporzionale al prodotto della temperatura per la densità. Tale proprietà del gas degenerato ha grande importanza per la comprensione delle ultime fasi dell’evoluzione delle stelle, come vedremo più avanti. ALCUNI TIPI DI STELLE Si potrebbe pensare che a determinare la varietà delle stelle sia la loro composizione chimica, e, infatti, così si credeva alla fine dell’Ottocento. Vedendo che gli spettri di certe stelle non avevano le righe dell’elio e quelle dell’idrogeno erano spesso molto deboli, si pensava che esse non contenessero elio, che l’idrogeno fosse molto scarso e che invece fossero composte quasi esclusivamente di metalli, perché 126 04_capitolo.indd 126 ••5 Confronto fra le dimensioni della Terra e dei pianeti, rispetto a quelle del Sole e delle stelle. In alto sono mostrati la Terra (1) e i grandi pianeti (2) del Sistema Solare; al centro ci sono le normali stelle nane come il Sole (3) e le stelle giganti (4); in basso le supergiganti (5) e (6). L’oggetto più grande di ciascuna figura compare come il più piccolo nella figura successiva. Alcune stelle riportate sono tra le più luminose del cielo notturno e tutte sono visibili a occhio nudo, tranne la più piccola (Wolf 359) e la più grande (VY Canis Majoris) che è molto lontana dalla Terra. (ADATTATO DA WIKIMEDIA COMMONS) CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 le righe dei metalli erano le più numerose. La scienza dell’astrofisica era nella sua infanzia, molte leggi non erano state ancora elaborate e di conseguenza quei primi astrofisici non sospettavano nemmeno di sbagliarsi in pieno. Infatti, dovevano imparare che lo spettro di un gas non dipende soltanto dalla sua composizione, ma anche dalla temperatura. Quando nello spettro di una stella mancano le righe spettrali di un qualche elemento, ciò non vuol dire necessariamente che quel tale elemento non sia presente, ma potrebbe significare che la temperatura della stella è inadeguata a produrre le righe dell’elemento in questione. La verità, dunque, è precisamente il contrario di come pensavano quegli astrofisici, perché sappiamo che l’idrogeno è l’elemento di gran lunga più abbondante dell’Universo: 90% in numero di atomi; l’elio assomma al 9%, e il restante 1% si suddivide fra tutti gli altri con il predominio in ordine d’abbondanza di ossigeno, carbonio, azoto, silicio, ferro e magnesio. Come si vede, non si può giudicare dalla composizione attuale della Terra o degli altri pianeti terrestri, i quali hanno perso gran parte dei gas leggeri che in origine li costituivano per motivi a cui abbiamo già accennato nel capitolo sul Sistema solare. E allora da cosa dipende la grande varietà delle stelle? Dipende quasi esclusivamente dalla massa, la quale condiziona l’esistenza di ogni stella, come abbiamo visto parlando dell’evoluzione stellare. Qui ci soffermeremo su alcuni tipi di stelle, incominciando da quelle chiamate «binarie» e «multiple». Infatti, si direbbe che le stelle amino la compagnia più che restare isolate, dal momento che almeno i due terzi delle stelle della nostra Galassia sono binarie o multiple, e inoltre si trovano raggruppate in associazioni, in ammassi chiusi o aperti, in galassie. Ciò non toglie che, fra stella e stella e fatte alcune eccezioni quali le «binarie a contatto», si spalanchino di solito immensi spazi, come fra noi e a Centauri, la stella più vicina al Sole, ma nondimeno distante circa 4 anni luce. La vicinanza fra le stelle va dunque intesa in senso astronomico. È come se delle capocchie di spillo (rappresentanti una stella sin- 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 127 04_capitolo.indd 127 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 gola o multipla) fossero separate in media da una trentina di chilometri. Distanza che tuttavia si riduce a un decimo nel centro della Galassia o degli ammassi globulari. In confronto, le distanze fra i pianeti del Sistema solare sono quasi trascurabili; Per sottolineare quanto relativa sia la vicinanza delle stelle, diremo che due galassie potrebbero passare l’una attraverso all’altra come un fantasma attraverso un muro, cioè senza che le stelle dell’una corrano il pericolo d’incappare in una stella dell’altra, ma a scontrarsi saranno soltanto i gas e le polveri interstellari presenti nelle due galassie. È facile capire la ragione del raggrupparsi delle stelle se pensiamo che la gravitazione è la legge dominante dell’Universo. Il più semplice esempio di raggruppamento è dato dalle stelle doppie (o binarie), le quali si distinguono in doppie visuali, doppie spettroscopiche e doppie a eclisse. Le prime sono quelle i cui componenti sono visibili separatamente con i telescopi. Se ne elencano oltre 64.000 e un esempio è offerto dalla binaria Krueger 60: le due stelle girano l’una intorno all’altra in un periodo di 44,6 anni. Ma l’esempio, per così dire, più a portata di mano è a Centauri, la più vicina che si conosca al Sole (4,3 anni luce) e la terza per luminosità apparen128 04_capitolo.indd 128 ••6 Il sistema di Alfa Centauri. La stella più vicina alla Terra è in realtà un sistema triplo. Le due componenti principali A e B sono troppo ravvicinate per essere distinguibili in queste immagini, che invece evidenziano la componente C, ovvero la minuscola Proxima. (ESO) CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 te. Noi dell’emisfero settentrionale ne parliamo poco perché è ben visibile soltanto nel cielo dell’emisfero australe, vicina a b Centauri, che è una stella di magnitudine 0,9, e il loro allineamento serve a indicare la stella più settentrionale della Croce del Sud. Studiata per la prima volta da Nicolas-Louis de La Caille nel 1752, al telescopio si rivela composta di due stelle che orbitano l’una intorno all’altra in un periodo poco superiore a 80 anni. L’orbita è così eccentrica, che la distanza apparente fra le due stelle varia da 2” a 22” d’arco, corrispondenti a una distanza reale da 11 a 35 U.A. In altri termini, al periastro la loro distanza è paragonabile a quella di Saturno dal Sole, mentre all’apoastro sono separate da una distanza simile a quella intermedia fra Nettuno e Plutone dal Sole. ••6 La magnitudine apparente delle due stelle combinate insieme è 0,1; separate è 0,3 e 1,7. Tenuto conto della distanza, si trova che la più luminosa ha quasi lo stesso splendore e colore del Sole. Infatti, è di tipo spettrale G0, mentre il Sole è di tipo spettrale G2. L’altra è di colore arancione e di tipo spettrale K5. Inoltre, la massa della prima è uguale a 1,07 masse solari, e quella della seconda a 0,92. Ma l’interesse per questa coppia è fortemente aumentato da quando l’astronomo inglese Robert Innes, studiando nel 1915 la regione di a Centauri, scoprì che la coppia era accompagnata da una terza componente di 11a magnitudine, situata a 2°13’. Gli venne assegnato il nome di Proxima Centauri, allorché si credeva che fosse la più vicina a noi, ma ormai sappiamo che la sua distanza è pressappoco uguale a quella di a Centauri. Proxima si muove in orbita intorno al sistema principale in un periodo che certuni stimano intorno ai 367.000 anni, altri fino a 800.000. Comunque, la sua distanza dalla coppia non dovrebbe essere inferiore alle 6700 U.A. Di classe spettrale M e magnitudine assoluta 15,4, Proxima è una nana rossa che va soggetta a improvvise fluttuazioni di luce: qualcosa come 52 esplosioni sono state registrate in un periodo di 25 anni. Sarebbe, quindi, una di quelle stelle variabili che in inglese si chiamano flare (brillamento), e in italiano stelle a lampo eruttive. Proxima potrebbe essere anche una radiostella: cioè, in queste occasioni, potrebbe emettere, come spesso succede al Sole nei suoi periodi di attività, non soltanto onde luminose e ultraviolette, ma anche onde radio. Un’altra interessante notizia è la ricerca eseguita dall’americano di origine cinese Su-shu Huang sulla possibile esistenza di pianeti in un sistema binario come a Centauri. In generale le stelle binarie o multiple non sono adatte per i pianeti perché, anche se ne possiedono, c’è il pericolo che le perturbazioni gravitazionali esercitate dall’una o dall’altra stella facciano uscire i pianeti dalle regioni favorevoli alla vita, in cui la temperatura non è troppo alta né troppo bassa, come nel Sistema solare dove si trovano la Terra e Marte. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 129 04_capitolo.indd 129 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Però Huang sostiene che, in un sistema abbastanza separato, ogni componente potrebbe avere dei pianeti abitabili. Siccome in a Centauri non si sono riscontrate perturbazioni apprezzabili è esclusa la presenza di grossi pianeti, ma non è impossibile che dei pianeti piccoli esistano intorno a una e forse anche all’altra stella. Due binarie famose sono Sirio e Procione, perché la scoperta delle loro compagne inaugurò quella che una volta si usava chiamare «l’astronomia dell’invisibile». Poi questo termine è passato di moda perché oggi, nell’era spaziale, gran parte della ricerca astronomica si svolge in domini spettrali al di là e al di qua di quelli ottici. Con quell’espressione ci si riferiva alla possibilità di scoprire stelle troppo piccole per essere viste, mediante le perturbazioni che producevano nel moto della compagna visibile. Nel 1844, infatti, Bessel annunciò che Sirio non aveva il moto proprio uniforme che caratterizza le stelle singole (per moto proprio si intende lo spostamento angolare sulla volta celeste dovuto al movimento della stella nello spazio), ma mostrava delle deviazioni; e così anche Procione. Bessel concluse che dovevano avere delle compagne invisibili, che in realtà vennero scoperte rispettivamente nel 1862 e 1896. Furono le prime nane bianche osservate. Oggi il metodo è largamente applicato per scoprire pianeti extrasolari, in orbita cioè attorno a stelle diverse dal Sole, oltre ad altri metodi di cui parleremo nel capitolo a essi dedicato. Le binarie spettroscopiche sono stelle con membri tanto vicini da apparire singole anche al telescopio, ma non all’analisi spettrografica. In questo caso, a meno che il piano delle orbite non sia ad angolo retto con la nostra visuale, le stelle orbitanti si avvicinano e si allontanano dalla Terra, come ci rivelano gli spostamenti delle righe spettrali dovute all’effetto Doppler. Diciamo in breve di cosa si tratta. Quando una sorgente acustica o luminosa si allontana e si avvicina all’osservatore, questi riceve onde di lunghezza d’onda maggiore o minore di quelle emesse all’origine. Ne consegue che le righe spettrali di una stella in moto rispetto all’osservatore verranno spostate verso il rosso o verso il violetto a seconda che la stella si allontani o si avvicini. A differenza delle galassie, per le stelle si tratta di regola di spostamenti minimi. Una stella che si allontana da noi a 100 km/s avrà le sue righe spostate verso il rosso di circa 1 Angstrom (unità di misura della lunghezza pari a 1/10.000.000.000 di metro). Un grosso pianeta, come vedremo alla fine di questo capitolo, provoca spostamenti ancora minori, ed è pertanto grazie alle moderne tecniche che si è cominciato a scoprirli solo a partire dal 1995. La prima binaria spettroscopica venne scoperta da Edward Charles Pickering nel 1889. Si trattava di Mizar nell’Orsa Maggiore, che già era conosciuta come una doppia fin dal 1650, quando 130 04_capitolo.indd 130 CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••7 SS Leporis è una stella di «tipo Algol», che è stata osservata direttamente con l’interferometro dell’ESO. Gli interferometri impiegano un insieme di telescopi multipli o mobili, su distanze di decine o centinaia di metri, riuscendo così a superare il limite storico dei telescopi singoli per i quali le stelle, a causa dell’enorme distanza, appaiono sempre puntiformi. A sinistra: si vedono le due componenti separate e anche il flusso di gas che le collega (i colori sono aggiunti artificialmente). Questa straordinaria immagine conferma un secolo di studi teorici. A destra: ricostruzione di come dovrebbe apparire la stella binaria SS Leporis osservandola da vicino. (ESO) Giovan Battista Riccioli l’osservò col suo cannocchiale. Ora Pickering trovava mediante lo spettroscopio applicato a un telescopio che la stella più brillante della coppia era una coppia a sua volta. Diciannove anni dopo, nel 1908, Edwin Brand Frost scopriva che anche la stella più debole di Mizar era una binaria, e così pure Alcor. Sicché, quando si guarda verso l’Orsa Maggiore, si deve ricordare che in mezzo alla coda dell’Orsa Maggiore ci sono 6 stelle: le 4 che formano il sistema di Mizar, e le due di Alcor. Binarie spettroscopiche sono le famose Algol, Capella, Castore e Spica. La prima di queste è anche una binaria a eclisse. Cioè, la sua orbita, rispetto alla nostra visuale, è orientata in modo tale che le stelle componenti si eclissano a vicenda, e perciò noi osserviamo una periodica e regolare variazione di luce. Algol, che si trova in Perseo, era chiamata dagli Arabi la Stella Demone, e dagli Ebrei Testa di Satana, oppure Lilith: il nome della leggendaria moglie di Adamo, prima della creazione di Eva. Il fenomeno della sua variabilità venne notato per la prima volta scientificamente da Geminiano Montanari (professore di astronomia e matematica nelle Università di Bologna e Padova) che in un suo libro accenna ad Algol, la cui variabilità aveva incominciato a osservare a partire dal 1668. Fu uno studio che lo interessò moltissimo in quanto contribuiva a dare un colpo mortale all’antica credenza dell’incorruttibilità dei cieli. Le osservazioni di Montanari vennero confermate da Giacomo Filippo Maraldi nel 1694 e poi da Palitzch, lo scopritore della cometa di Halley, ma John Goodricke fu quello che per primo annunciò una stima abbastanza precisa del suo periodo, e avanzò anche l’ipotesi che un compagno «oscuro», orbitante ad altissima velocità intorno alla stella primaria, producesse l’eclisse. ••7 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 131 04_capitolo.indd 131 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Nato in Olanda, a Groninga nel 1764, venne educato in Inghilterra dove morì a soli 22 anni, il 20 aprile 1786. Goodricke era sordomuto, ma riuscì a essere una specie di astronomo prodigio e, con Montanari, il capostipite di quella legione di astronomi dilettanti e professionisti che sono i «variabilisti». La curiosità di scoprire la variabilità delle stelle, nei primi tempi doveva sembrare particolarmente peccaminosa. Il 12 novembre del 1782, Goodricke scriveva: «Stanotte ho osservato b Persei, e sono rimasto assai sorpreso di trovarla di splendore diverso – circa di 4a magnitudine e non di 2a –. L’ho seguita attentamente per quasi un’ora e non credevo a me stesso che variasse di luminosità, perché non ho mai udito di alcuna stella che cambiasse così rapidamente di splendore. Ho pensato che forse dipendesse da un’illusione ottica, un difetto dei miei occhi, o dalla turbolenza atmosferica: ma la sequenza mostra che cambia davvero e io non mi sbagliavo…» Egli continuò a studiarla finché fu visibile, e comunicò il risultato delle osservazioni alla Royal Society in data 15 Maggio 1783, con una lettera che gli valse una medaglia da parte della Società medesima. Il periodo trovato inizialmente da Goodricke: 2 giorni, 20 ore, 45 minuti, venne poi corretto da lui stesso in 2 giorni, 20 ore, 49 minuti e 9 secondi, molto vicino a quello vero. Alla fine di questo periodo, la luminosità di Algol scende dalla magnitudine 2,20 alla magnitudine 3,47 (un indebolimento di circa 3 volte). È 132 04_capitolo.indd 132 CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••8 Epsilon Aurigae viene parzialmente occultata ogni 27 anni da una compagna oscura, con un’eclisse che dura ben 2 anni. A sinistra: In base all’eclisse del 1982-84, il fenomeno è stato riprodotto al computer ipotizzando un disco ad anelli, visto obliquamente. (S. FERLUGA) A destra: durante l’ultima eclisse del 2009-2011, il disco oscuro che avanza obliquamente davanti alla stella è stato osservato dal vero, utilizzando un interferometro. (CHARA, J.MONNIER) un’eclisse che dura per quasi due ore. Si è dimostrato che il sistema è costituito da una primaria di tipo spettrale B8, avente un diametro 3 volte quello del Sole e una temperatura superficiale di 15.000 K, e una compagna molto meno luminosa di tipo spettrale K0, una temperatura di 5800 K e un diametro del 20% più grande della primaria. I centri delle due stelle sono separati da 21 milioni di km, pari a poco più di un terzo della distanza media fra il Sole e Mercurio. Una terza stella di tipo F2 orbita intorno alla coppia in un periodo di 1,87 anni. Si chiama Algol C e si deduce da un certo numero di sottili righe visibili nello spettro del sistema; ma ci sarebbe anche una quarta componente, Algol D, che secondo l’astrofisico americano Olin Jenck Eggen sarebbe un corpo con una massa 3,8 volte quella del Sole, e orbiterebbe intorno al sistema in 188,4 anni. Goodricke, che sembra sia morto per una malattia contratta in conseguenza del freddo e dell’umidità a cui si era esposto durante le sue osservazioni notturne, aveva suggerito che, oltre ad Algol, anche b Lyrae e d Cephei fossero variabili spiegabili allo stesso modo, cioè con dei compagni orbitanti intorno alla loro primaria, secondo quelle leggi gravitazionali scoperte da Newton più di un secolo prima, e che ancora non si sapeva se fossero da ritenersi valide anche al di fuori del Sistema solare. Goodricke aveva ragione, ma non poteva certo immaginarsi la complessità del sistema di b Lyrae che presenta un periodo di 12 giorni, 22 ore e 22 minuti, che aumenta di 10 secondi all’anno. È composta da una B8 e da una secondaria di massa maggiore ma invisibile, o per essere completamente nascosta da un anello di gas che fuoriesce dalla primaria oppure perché all’interno di questo anello di gas esiste una di quelle stelle di massa superiore ad almeno 5 volte la massa del Sole, che collassando diventano «buchi neri». Come Algol, anche b Lyrae è visibile a occhio nudo, con una magnitudine apparente che oscilla fra 3,4 e 4,3. Quasi come e Aurigae, un caso eccezionalmente interessante sia perché fra le variabili a eclisse è quella che ha il periodo più lungo: 27,1 anni, con un’eclisse che dura circa 2 anni; sia perché mentre alcuni pensavano che la compagna fosse un’enorme gigante rossa e l’eclisse causata dalla sua estesa atmosfera, altri cercavano di spiegare certe caratteristiche dello spettro che apparivano durante l’eclisse con la presenza di una stella molto più calda ma molto piccola da non essere visibile. Insomma, era uno dei tanti problemi che gli astronomi speravano di risolvere quando sarebbero stati disponibili telescopi spaziali. ••8 E così è stato. Le osservazioni fatte col satellite per l’osservazione dell’ultravioletto IUE (International Ultraviolet Explorer), non osservabili da Terra perché assorbite dall’atmosfera, hanno mostrato la 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 133 04_capitolo.indd 133 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 presenza di una compagna molto calda, la cui luce diventa predominante nell’ultravioletto, o forse di una coppia di stelle calde e molto vicine fra loro, responsabile delle caratteristiche spettrali che appaiono durante l’eclisse, mentre osservazioni nell’infrarosso indicano la presenza di un esteso disco di polveri che sarebbe responsabile dell’eclisse, forse una nebulosa proto planetaria attorno alla compagna (o alla binaria) calda. I periodi delle binarie a eclisse vanno da un minimo di 80 minuti come nel caso di WZ Sagittae, ai 27 anni di e Aurigae, ma più di frequente sono di due o tre giorni. Si capisce intuitivamente che quando il periodo è di 80 minuti, le stelle sono a contatto e sono piccole. Ma un sistema a contatto è anche b Lyrae che ha un periodo di 13 giorni, ed è costituita da due componenti molto massicce. Se il nostro Sole fosse a contatto con una di queste stelle, viaggerebbe intorno alla compagna in un periodo di circa 6 ore, e sia il Sole che la compagna sarebbero stelle molto deformate dalle reciproche forze mareali. Si «mangerebbero» l’una con l’altra finché fra le due non venisse ristabilito un certo equilibrio gravitazionale, ma alla fine di questo processo, entrambe sarebbero diventate del tutto diverse. È un destino non troppo raro. Si calcola che una su mille sia una stella binaria di questa specie. ••9 POPOLAZIONI STELLARI E STELLE GIOVANI E VECCHIE Al principio del 1900, la maggioranza degli astronomi riteneva che le stelle doppie, quasi come le cellule biologiche che si suddividono per cariocinesi, nascessero dal suddividersi di una singola stella in rapidissima rotazione. Del resto Sir George Howard Darwin, secondo figlio del celebre Charles Darwin, pensava che anche la Luna si fosse separata dagli strati più superficiali della Terra in modo simile. Dopo Darwin, a estendere queste idee alle stelle fu il non meno famoso astronomo inglese James Jeans, autore anche di popolarissimi libri. Però, se l’ipotesi di Jeans spiegava il 134 04_capitolo.indd 134 ••9 Beta Lyrae è stata osservata nel 2007 con l’interferometro del CHARA (un allineamento di 6 telescopi distanti fino a 350 metri sul sito astronomico del M. Wilson), riuscendo a distinguere per la prima volta le due componenti a contatto, che nei normali telescopi apparivano confuse in un puntino. A sinistra: immagini interferometriche di Beta Lyrae in movimento. A destra: il modello geometrico che meglio riproduce le osservazioni. (CHARA) CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 caso delle binarie spettroscopiche, non spiegava le binarie visuali che hanno le componenti molto separate fra loro. In seguito, si levarono critiche anche per l’origine singola delle binarie spettroscopiche, col risultato che ora si tende a pensare che le binarie di tutti i tipi nascono come nascono le stelle singole e gli ammassi stellari dalla condensazione gravitazionale di grandi nubi di gas e polveri interstellari. Arthur Stanley Eddington mostrava che a causa della pressione di radiazione (la stessa che contribuisce a piegare la coda delle comete, ma che all’interno delle stelle, dove la temperatura è di milioni di gradi, raggiunge decine di milioni di atmosfere) la massa delle stelle non può superare certi limiti pari a 50 o 100 masse solari. Quindi, una nube interstellare che ha una massa di migliaia o centinaia di migliaia di masse solari si deve necessariamente condensare in un gran numero di stelle separate. Eddington, scrive: «La forza di gravitazione raccoglie insieme la materia nebulare e caotica; la forza della pressione di radiazione la spezzetta in blocchi di più convenienti dimensioni». Come abbiamo già visto, nella nostra Via Lattea, gli astronomi individuano, in ordine di densità di stelle, gli ammassi globulari, gli ammassi aperti e le associazioni. Gli ammassi globulari sono, come dice il nome, gruppi di stelle compatti e di forma approssimativamente sferica, situati nell’alone galattico, avente un raggio di circa 50.000 anni luce. Essi differiscono dagli ammassi aperti per l’età molto maggiore delle stelle che li compongono (superiore ai 10 miliardi d’anni) e per la scarsa quantità se non la mancanza assoluta di polveri e gas. Un ammasso globulare può contenere decine o centinaia di migliaia e anche qualche milione di stelle, tanto che nelle fotografie si vede che la regione centrale dell’ammasso, avente un diametro di pochi anni luce, è così densa da sembrare una «marmellata» di stelle. Ma è soltanto un’impressione dovuta alla scintillazione perché le stelle sono molto più definite e isolate dell’immagine che producono sulla lastra fotografia o sul rivelatore elettronico. Ammettendo che al centro di un ammasso globulare la densità delle stelle sia 1500 volte più grande che nelle vicinanze del Sole, dove la distanza media fra le stelle si calcola sia di circa 7 anni luce, al centro dell’ammasso la distanza media sarà allora di 0,6 anni luce (40.000 U.A.). Qui a un ipotetico abitante di un pianeta situato nel cuore dell’ammasso, anche una stella supergigante con un diametro 1000 volte quello del Sole e distante 0,6 anni luce, apparirebbe con un diametro angolare di 50”, un valore al di sotto del potere risolutivo dell’occhio nudo che è di circa 1’ e perciò come un punto e non una superficie estesa. Si consideri che il diametro angolare è l’angolo sotto cui dalla Terra si vede un corpo celeste, è dato dal suo diametro lineare diviso per la distanza, ed è espresso in radianti. Per passare da radianti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 135 04_capitolo.indd 135 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 a secondi d’arco occorre moltiplicare per il numero di secondi contenuti in un radiante, che è 206266. Ben Bova, Anatole Boiko, Arthur Clarke, Patrick Moore, James Stokley, scrittori di fantascienza, divulgatori scientifici, astrofili e naturalmente anche astronomi si sono divertiti a immaginare che aspetto avrebbe il cielo visto da un ipotetico pianeta al centro di un ammasso globulare. Non tutti hanno dimostrato d’avere idee precise e nemmeno verosimili, fantasticando di un cielo letteralmente tappezzato di stelle senza nemmeno un briciolo di spazio nero fra loro, e quindi peggio di quello ipotizzato da Olbers quando si chiese perché di notte fa buio. Oppure con stelle così vicine come i pianeti del nostro Sistema solare; ovvero separate soltanto da ore luce invece che anni luce. Nel primo caso, il pianeta vaporizzerebbe in un fiat trovandosi come al centro di un’immensa fornace di energia radiante; nell’ultimo, supponendo che la distanza media delle stelle fosse di 7 ore luce, si avrebbero circa 2 miliardi di stelle per anno luce cubico, invece che una stella per ogni 30 anni luce cubici come nelle vicinanze del Sole. La realtà, al centro di un ammasso globulare anche dei più densi, si arguisce che deve essere – come dire? – un po’ più fresca, e come accennato sopra, alquanto meno affollata. Però è vero che gli abitanti di quell’ipotetico pianeta non conoscerebbero la notte, ma al suo posto ci sarebbe una luce crepuscolare, e stelle come Sirio, che è la più luminosa del nostro cielo e ha una magnitudine apparente di -1,6, sarebbero a malapena visibili affogate nello sfondo del cielo. Dunque, non la notte ma il crepuscolo si alternerebbe a un giorno 1000 volte più luminoso, supposto che a produrre quest’ultimo fosse una stella uguale al Sole. Arriverà mai un tempo in cui delle sonde terrestri toccheranno qualcuno dei circa 200 ammassi globulari che orbitano intorno al centro galattico? Per esempio, M3 nella costellazione dei Cani da caccia che raggruppa 500.000 stelle, oppure 47 Tucanae, o w Centauri: quest’ultimo, riconosciuto per primo da Edmund Halley nel 1667 durante un viaggio all’isola di Sant’Elena, è distante dalla Terra 15.000 anni luce. Per dare un’idea di queste distanze e delle difficoltà di una simile avventura, riporteremo un bell’esempio di Boiko. Immaginiamo un popolo di microbi di dimensioni molecolari, abitanti un seme di papavero che essi chiamano Terra, che siano riusciti a invadere un seme di tabacco, la «Luna», distante poco meno di 4 cm. Dopo la Luna, e lanciando delle particelle submicroscopiche dette «navi spaziali», supponiamo che riescano a superare distanze di decine di metri e visitare altri semi battezzati come Venere, Marte, ecc. Immaginiamo infine che gli abitanti del seme di papavero coi loro potenti telescopi, osservino oggetti che essi chiamano stelle, nessuno dei quali è più vicino di 6,5 km, 136 04_capitolo.indd 136 CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••10 L’ammasso globulare Omega Centauri contiene diversi milioni di stelle ed è uno dei maggiori nel suo genere. (ESO, INAF, A.GRADO) mentre il meno lontano degli ammassi globulari si troverebbe a 15,6 milioni di km. Poiché quest’ultima distanza equivale a un quarto della distanza che ci separa dal vero pianeta Venere, si dovrà ammettere l’insufficienza del nostro esempio, e concludere che nessun modello rapportato a una singola scala ci può fare intuire la distanza che passa fra noi e un ammasso globulare. ••10 Perché gli ammassi globulari sono «lassù», e circondano come una nube sferica di moscerini quella specie di disco rigonfio al centro, che è la Galassia? Si trovano in periferia, perché si formarono dalle nubecole distaccatesi per prime da quella grande nube che, ruotando sempre più veloce e schiacciandosi, diede origine alla ruota galattica. È per questo motivo che le stelle degli ammassi globulari sono più vecchie di tutte le altre, e perciò anche delle stelle che si trovano negli ammassi aperti, i quali invece sono situati 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 137 04_capitolo.indd 137 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 in prossimità del piano galattico, salvo eccezioni come l’ammasso aperto nella Chioma di Berenice. Ben noti sono l’ammasso aperto delle Pleiadi, quello delle ladi (una decina di gradi a Sud-Est delle Pleiadi) e quello del Presepe conosciuto anche come «nido d’api», tutti visibili a occhio nudo. Se ne conoscono quasi 500, costituiti alcuni da una ventina di stelle soltanto, altri da qualche centinaio e anche un migliaio. L’ammasso aperto dell’Orsa Maggiore contiene tutte le stelle di questa splendida costellazione, eccetto a ed h, e, nonostante sembri molto sparpagliato per la sua vicinanza, forma un gruppo abbastanza compatto e di piccole dimensioni. È circondato da un vasto alone o corrente di stelle che una volta gli appartenevano e che include Sirio, b Aurigae e altri due ammassi. Vi si trova in mezzo anche il Sole, pur non appartenendo a esso. ••11 Stelle ancora più giovani, e immerse in nuvole di polveri e gas, si trovano nelle associazioni stellari, chiamate così perché sono raggruppamenti di stelle ancora meno legate fra loro di quelle degli ammassi aperti, e anzi tendenti a disperdersi. Ne abbiamo un 138 04_capitolo.indd 138 ••11 L’ammasso aperto doppio nella costellazione di Perseo dista 7.000 anni luce dalla Terra, mentre le due componenti sono separate da circa 100 anni luce. Si nota una grande abbondanza di giovani stelle azzurre dei tipi O e B. Le stelle gialle sono «stelle di campo», che si trovano per caso lungo la linea della visuale davanti all’ammasso. (NOAO, AURA, NSF) CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••12 Popolazioni stellari nella galassia NGC 2976. Non è una fotografia sgranata, ma un’immagine ad alta definizione ottenuta dal Telescopio Spaziale, dove ogni puntino rappresenta una singola stella a 12 milioni di anni luce di distanza da noi. Le stelle azzurre sono di Popolazione I, quelle rosse sono principalmente di Popolazione II. (NASA, ESA, J.DALCANTON, B.WILLIAMS) esempio nell’associazione z Persei, costituita da luminose stelle azzurre nate appena 1 o 2 milioni d’anni fa. Un’altra associazione è nella ultrafamosa nube di Orione, dove si osservano stelle che si pensa stiano ancora formandosi e appartenenti al tipo detto T Tauri. Fra i raggruppamenti si possono infine ricordare le nubi stellari formate di gas, polveri e milioni di stelle sempre molto giovani, come quelle che si estendono quasi ininterrottamente da Cassiopea al Cigno, al Sagittario, verso e intorno al centro galattico. Tutti questi raggruppamenti di stelle vecchie e giovani, dalle differenti forme, caratteristiche e collocazione, hanno fatto giungere alla conclusione che le stelle si possono dividere, come abbiamo già accennato nel capitolo tre, in almeno due popolazioni principali: la Popolazione I, più giovane e addensata sul piano galattico, caratterizzata dalle luminose stelle azzurre O e B; e la Popolazione II, sparsa ovunque nella Galassia, ma caratterizzata soprattutto dalle stelle degli ammassi globulari. Più tardi ci si accorse che queste due Popolazioni si distinguono anche per la composizione chimica, dato che le stelle di Popolazione Il sono da 10 a 500 volte più povere di elementi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 139 04_capitolo.indd 139 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 più pesanti di idrogeno ed elio, che per brevità vengono detti tutti «metalli», di quelle di Popolazione I. In realtà, si ha tutta una serie di Popolazioni intermedie fra la Popolazione II estrema o dell’alone galattico e le giovanissime stelle immerse nelle braccia spirali della Via Lattea, che gli astronomi chiamano: Popolazione dell’alone, Popolazione II intermedia, Popolazione del disco o Popolazione I Vecchia, alla quale appartiene il Sole, e Popolazione I estrema. ••12 Storicamente, la scoperta di differenti Popolazioni stellari risale al 1942 quando Walter Baade, fotografando col telescopio da 250 cm di Monte Wilson la nebulosa di Andromeda, riuscì a risolvere le stelle del nucleo e a constatare che erano di colore rosso a differenza di quelle dei bracci spirali che erano blu. Quindi, fu osservando una galassia esterna alla nostra che ci si accorse delle differenze di distribuzione, colore ed età delle stelle della Via Lattea. Da notare che la scoperta fu favorita dalla guerra. Infatti gli Stati Uniti erano entrati in guerra e per timore di possibili bombardamenti da parte dei tedeschi, a Los Angeles vigeva il più completo oscuramento. Fu così che Baade poté fare esposizioni abbastanza lunghe da osservare anche i più deboli dettagli della galassia di Andromeda, senza che la luce diffusa della città velasse la lastra. Oggi il telescopio di Monte Wilson è reso quasi inutilizzabile per le luci di Los Angeles e anche il 5 metri di Monte Palomar è molto disturbato dalle luci di San Diego. LE STELLE SON BELLE PERCHÉ VARIE Come fra gli uomini e le società, anche fra le stelle la variabilità è un segno di estrema giovinezza o estrema vecchiaia; o di accidenti vari, quale per esempio «una cattiva compagnia», se così vogliamo definire il caso delle binarie strette. E, infatti, guardando il diagramma di Hertzsprung-Russell, vediamo che le variabili si trovano tutte al di fuori di quella regione di stabilità ed età media, che è la sequenza principale. La variabilità di queste stelle non è dovuta quindi a eclissi, ma è intrinseca: dipende da cambiamenti nell’interno o nell’atmosfera delle stelle medesime. E tutte le stelle, a parte gli incidenti «sociali» a cui si è precedentemente accennato, attraversano questo periodo al principio e alla fine della loro vita. Ma ci sono anche differenze di variabilità. Esistono variabili regolari e irregolari. Le regolari sono dette così perché la variazione di luminosità, dovuta al loro pulsare, si ripete con estrema regolarità come con le famose Cefeidi e RR Lyrae e le notissime pulsar. ••13-14 Le Cefeidi hanno periodi da 1 a 50 giorni e appartengono alle supergiganti gialle; le RR Lyrae hanno periodi inferiori a un giorno 140 04_capitolo.indd 140 CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 ••13 Variazioni periodiche delle Cefeidi. A. Variazione di raggio: il raggio minimo corrisponde al colore più bianco. B. Variazione di colore: colore più bianco significa temperatura più alta. C. Variazione di luminosità: il massimo si ha nella prima parte dell’espansione. D. Variazione di velocità superficiale: velocità negativa equivale a espansione. ••14 Relazione fra luminosità e periodo delle Cefeidi. Si evidenziano 3 tipi di variabili pulsanti regolari, con diverse relazioni periodo-luminosità: le Cefeidi classiche, le W Virginis e le RR Lyrae. e sono giganti bianche; le pulsar, più che pulsare, vibrano con periodi da 3 centesimi di secondo a poco più di un secondo con fantastica precisione. Sono state chiamate pulsar da Pulsating Radio Source, perché emettono radioonde. ••15 Oltre alle suddette, molte altre giganti rosse e supergiganti variano notevolmente di luminosità (e dimensioni); ve ne sono di regolari, semiregolari e del tutto irregolari con grande e piccola ampiezza di variazione. Irregolari sono le stelle come R Coronae Borealis che, dopo deboli fluttuazioni di mesi o anni, improvvisamente «impallidiscono» di 5 o 6 magnitudini per giorni o settimane. Ma le più note sono forse le stelle tipo T Tauri e le stelle eruttive, come la nostra vicina di casa Proxima Centauri. La particolarità delle stelle eruttive 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 141 04_capitolo.indd 141 13/04/12 17:47 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 è che, contrariamente a quanto si affermava prima, appartengono alla sequenza principale delle stelle che dovrebbero vivere una vita tranquilla e invece… soffrono di agitazioni e lampeggiano. Alcune con notevole energia, altre debolmente. Si pensa si tratti di fenomeni come le tempeste solari e anzi, da questo punto di vista, anche il nostro Sole può essere considerato una stella eruttiva. Invece, le T Tauri esibiscono variazioni sporadiche, che in parte potrebbero essere estrinseche, in quanto prodotte per una specie di interazione con le nebulosità che sempre le circondano. Immerse in nubi di polveri e gas, le T Tauri si trovano in gruppi molto numerosi, e quindi è verosimile siano nate da queste nubi come sostenuto dall’astronomo sovietico Viktor Amazaspovic Ambarcumian e dall’americano George Howard Herbig. A questo punto è opportuno tracciare un rapido quadro dell’evoluzione delle stelle che ci darà modo di approfondire anche alcuni argomenti che abbiamo già accennato nelle pagine precedenti, quali il medium interstellare (polveri e gas), oltre che parlare di novae e supernovae, delle nebulose planetarie fino alle pulsar e ai buchi neri. 142 04_capitolo.indd 142 ••15 Una Cefeide «storica». Misurando il periodo di questa Cefeide, la V1 nella galassia di Andromeda, fu calcolata per la prima volta (tramite la relazione periodoluminosità) la distanza di una galassia esterna alla Via Lattea. Nei riquadri, vediamo le variazioni riprese dal Telescopio Spaziale Hubble. Le Cefeidi rappresentano tuttora la chiave di volta per determinare la scala cosmica delle distanze. (NASA-HST, ESA, R.GENDLER) CAPITOLO 4 13/04/12 17:47 EVOLUZIONE E MORTE DELLE STELLE L’evoluzione di una stella e la durata della sua vita dipendono dalla sua massa e composizione chimica. Tuttavia, in generale, la sequenza dei vari stadi evolutivi è quasi la medesima per tutte le stelle, mentre cambia molto la durata dei singoli stadi in quanto la vita è molto più breve per una stella di grande massa che per una di piccola. Bisogna anche premettere che è improbabile che le stelle si formino singolarmente, ma è verosimile che nascano in associazioni o famiglie di decine e centinaia di membri, come si vede negli ammassi. Tutto incomincia da quelle «nuvole nere» di polveri e gas che si vedono concentrate nelle braccia spirali della Galassia, specie nella direzione del Sagittario, ma anche in Orione e altre nebulose, nelle quali, a partire dal 1963, sono state trovate con i radiotelescopi decine di molecole sia organiche sia inorganiche. Soffermiamoci sulla Nebulosa Trifida del Sagittario o su quella di Orione illuminata dal famoso gruppo del Trapezio, al quale fa da sfondo una estesa nuvola di monossido di carbonio con una massa 100.000 volte quella del Sole. ••16 Il suo stesso peso potrebbe farla collassare e suddividere in nuvole di 500-1000 masse solari, cioè in quel che sembra sia un tipico ammasso aperto; oppure alcune stelle si potrebbero formare rapidamente in qualche parte della nube, disperdendo il resto per il calore che le stelle producono nascendo, e il «vento» che emettono proprio come fanno le T Tauri. Martin Harvit e Kris Davidson hanno dato il nome di «stella o nebulosa in bozzolo» (Cocoon Star, Cocoon Nebula) a certe stelle apparentemente giovani nascoste in nubi di idrogeno e finissime polveri che collassarono per formarle. Siccome la loro luce non può penetrare attraverso le polveri, e dato che le prime fasi delle stelle giovani non producono radio emissioni, questi oggetti sono inizialmente osservabili soltanto nell’infrarosso. Perché le stelle emergano da un simile involucro occorre qualche decina di migliaia d’anni. Tali bozzoli contengono stelle fino a 100 volte più massicce del Sole. Una stella nasce quindi da una condensazione di gas. Condensandosi sotto l’azione della sua stessa gravità, il gas si riscalda. A un certo momento la temperatura al centro raggiunge i 10-12 milioni di gradi assoluti, necessari a innescare la reazione nucleare che trasforma l’idrogeno in elio. Si stabilisce allora quello che si chiama un equilibrio fra la forza di pressione (che tenderebbe a far espandere il gas nello spazio interstellare e a far disperdere la massa di gas) e la forza di gravitazione (che invece tenderebbe a far collassare il gas al centro). La forza di pressione è dovuta all’agitazione termica delle particelle: quindi, quando la temperatura è sufficientemente alta, l’agitazione delle particelle serve a sorregge- 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 143 04_capitolo.indd 143 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 re il peso della massa sovrastante; la temperatura, cioè l’agitazione termica, è mantenuta alta dalle reazioni nucleari che avvengono regolarmente nell’interno. Quando l’idrogeno s’è trasformato tutto, abbiamo un nucleo inerte di elio. La temperatura non è sufficiente a innescare il bruciamento dell’elio. Il nucleo tende a raffreddarsi, l’agitazione termica delle particelle diminuisce e non è più sufficiente a sorreggere il peso della massa sovrastante. La stella comincia a collassare, a condensarsi, e condensandosi si riscalda, perché quando un gas si comprime la sua temperatura aumenta. La condensazione continua finché la temperatura al centro è sufficientemente alta per innescare il bruciamento dell’elio. Se la stella ha una grande massa (10-20 volte quella del Sole), è in grado di innescare in fasi successive tutta una serie di reazioni nucleari. Vediamo prima questo caso, e poi la morte di stelle di massa simile al nostro Sole. In una stella di grandi dimensioni, quando l’elio è consumato, il nucleo si raffredda di nuovo, la stella si condensa finché la temperatura è sufficientemente alta perché il carbonio possa trasformarsi in ossigeno, e così via. Attraverso questi successivi bruciamenti e condensazioni si arriva a un punto in cui la parte centrale, il nocciolo della stella, è costituito da nuclei di ferro. I nuclei di ferro, alle temperature centrali di qualche miliardo raggiunte dalla stella in queste condizioni, si possono trasformare in elio. In tutte le reazioni delle fasi precedenti si è verificata produzione di energia, perché la massa dei nuclei iniziali era maggiore della massa dei nuclei prodotti; questa differenza di massa si trasforma in energia. Nel caso del ferro invece succede il contrario. Un nucleo di ferro dà luogo a 13 nuclei di elio più 4 neutroni. La massa totale del prodotto della reazione è un po’ più grande di quella dei nuclei di ferro, per cui la reazione, invece di produrre energia, ha bisogno di energia che viene sottratta dalla massa grande e calda della stella. La trasformazione del ferro in elio ha un effetto refrigerante e al centro della stella la temperatura cala bruscamente: dai 10 miliardi di gradi a cui si verifica la reazione ferro-elio, crolla a un centinaio di milioni di gradi. Un brusco abbassamento di temperatura vuol dire anche una brusca diminuzione della velocità di agitazione termica delle particelle: è come se al centro della stella si fosse improvvisamente creato il vuoto. Tutta la massa di gas sovrastante precipita verso il centro che viene compresso a enormi densità, dando origine a una stella a neutroni, in cui elettroni e protoni danno luogo a neutroni «stabili» (si consideri che in condizioni normali il neutrone è una particella instabile con una vita media di circa 15 minuti). Più la massa della stella originaria è grande, più l’evento è drammatico: i nuclei di 144 04_capitolo.indd 144 CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 ••16 La Nebulosa Trifida M 20 (NGC 6514), una nebulosa diffusa composta di gas surriscaldati, osservabile nella costellazione del Sagittario. (NOAO) stelle molto massicce si trasformano addirittura in buchi neri (sui quali torneremo nelle prossime pagine). Per quanto riguarda, invece, gli strati più esterni, in cui si trovano materiali come idrogeno ed elio in grado di produrre energia, durante il collasso si riscaldano tanto da innescare una gran quantità di reazioni nucleari, nel corso delle quali si formano tutti gli elementi che conosciamo sulla Terra, dall’idrogeno all’uranio. La stella, in quest’ultima parte della sua vita, si trasforma in una vera e propria bomba nucleare. Tutta la materia viene scagliata nello spazio, ma resta il nocciolo della stella a neutroni (o il buco nero) che può avere un diametro di due o tre chilometri ed è un pallino estremamente denso, milioni di miliardi di volte la densità dell’acqua. Invece la materia scagliata nello spazio interstellare si espande. Questo fenomeno è un’esplosione di supernova, nella 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 145 04_capitolo.indd 145 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 quale la stella aumenta di splendore centinaia di milioni di volte nel giro di poche ore, così che noi vediamo apparire una stella là dove prima non si vedeva niente. Le supernovae sono le principali responsabili dell’evoluzione chimica della galassia che le contiene, dando luogo a un progressivo aumento della percentuale di elementi più pesanti di idrogeno ed elio. ••17 La morte di stelle di massa più piccola, invece, è quieta. In una stella di piccola massa (com’è il nostro Sole) che abbia esaurito l’idrogeno, la materia al centro dopo il primo collasso, a causa dell’aumento di densità è in una condizione particolare, per cui si comporta come un solido: la pressione esercitata dal gas non dipende più dalla temperatura. Difatti normalmente la velocità d’agitazione termica del gas produce la pressione che controbilancia la forza di gravità. Questo è vero quando il gas si comporta come un gas perfetto. Invece il gas al centro delle stelle di piccola massa (più piccola del Sole), che hanno già esaurito l’idrogeno, si trova in una condizione che si definisce degenere e si comporta come un solido. Un solido, per esempio un tavolo, caldo o freddo che sia, oppone sempre la stessa resistenza a una spinta esterna; non è che scaldandolo eserciti una pressione più forte di quando è freddo. La stella non potendo contrarsi, non potrà nemmeno riscaldarsi e quindi innescare la reazione elio-carbonio. Avrà esaurito le 146 04_capitolo.indd 146 ••17 La nebulosa del Granchio è il residuo dell’esplosione di una supernova, registrata dagli astronomi cinesi nove secoli or sono. In questa immagine multibanda sono rappresentate con colori codificati anche le radiazioni invisibili all’occhio umano. Raggi X (in blu), infrarossi (in rosso) e luce visibile (in verde) sono stati ripresi da tre diversi telescopi spaziali: rispettivamente Chandra, Spitzer e Hubble. (NASA, JPL, ESA) CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 ••18 La nebulosa planetaria Elica (NGC7293) nella costellazione dell’Aquario. Questa è la nebulosa planetaria più vicina alla Terra, trovandosi a 650 anni luce da noi. (NOAO/HST) sue fonti di energia nucleare, o meglio non potrà sfruttare tutte le fonti di energia nucleare di cui potrebbe disporre se avesse una massa più grossa. La stella si raffredderà lentamente e diventerà una nana bianca, cioè una stella di piccole dimensioni che in tempi lunghissimi si trasformerà in nana nera. Le nane nere non irraggiano più perché si sono raffreddate. Prima di passare alla fase di nana bianca, le stelle un po’ più grosse, come il Sole, hanno un comportamento un po’ più complicato, subiscono un’espansione degli strati esterni che si raffreddano. La stella diventa una gigante rossa. Ma come mai passa attraverso la fase di gigante rossa? Prendiamo il caso del nostro Sole. Esso ha un’età di circa 5 miliardi di anni e ha trasformato in elio circa la metà dell’idrogeno nel suo centro, alla temperatura di 13 milioni di gradi. Fra circa altri 5 miliardi di anni il centro del Sole conterrà solo nuclei di elio, che alla temperatura di 13 milioni di gradi è inerte, non in grado di trasformarsi in carbonio. Il centro privo di «combustibile nucleare» comincia a raffreddarsi, la forza di pressione del gas diminuisce e la gravità prende il sopravvento, comprimendo il gas del centro che si riscalda fino a una temperatura di circa 100 milioni di gradi e l’elio si trasforma in carbonio. L’energia nucleare liberata cresce rapidamente al crescere della temperatura. Il Sole diventa una centrale nucleare che produ- 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 147 04_capitolo.indd 147 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 ce enormemente più energia di prima. Per irraggiare tutta l’energia prodotta senza esplodere, il Sole deve espandersi, aumentando il suo raggio di quasi 200 volte, fino a inghiottire Mercurio e Venere e lambire l’orbita della Terra che diventerà un pianeta torrido e deserto. L’espansione raffredda gli strati più esterni del Sole, la sua temperatura superficiale scende dagli attuali circa 6000 gradi a più o meno 3000 e il suo colore da giallastro diventa rossastro: il Sole è diventato una gigante rossa. Il suo centro è ormai di gas degenere, e quando tutto l’elio si sarà trasformato in carbonio non potrà più contrarsi per sfruttare altri combustibili nucleari. L’esteso inviluppo rarefatto andrà lentamente evaporando nello spazio interstellare, formerà un guscio attorno al caldo nocciolo centrale e si avrà la fase di nebulosa planetaria. Questa non ha niente a che fare con i pianeti, ma fu chiamata così per l’aspetto simile a un dischetto che nei modesti telescopi di una volta la rendeva simile all’immagine di un pianeta. ••18-19 La differenza di comportamento fra il Sole e stelle di massa più piccola dipende dal fatto che lo stato di gas degenere viene raggiunto a densità tanto più basse quanto più bassa è la temperatura centrale che a sua volta è tanto più bassa quanto più piccola è la massa della stella. Per questo stelle molto più grosse, 10 o 20 volte la massa del Sole, non diventano mai degeneri e terminano la loro vita esplodendo come supernove. 148 04_capitolo.indd 148 ••19 Nebulosa Occhio di Gatto (NGC 6543). Le nebulose planetarie altro non sono che uno stadio evolutivo stellare successivo a quello di nova. (NASA) CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 NOVAE, SUPERNOVAE, PULSAR E BUCHI NERI Abbiamo seguito l’evoluzione delle stelle dalla nascita alla morte. Ora cerchiamo di guardare più da vicino quello che accade e nelle supernovae e nelle novae, che si manifestano in modo simile pur essendo prodotte da cause molto diverse. Il nome di nova fu dato dagli antichi a stelle che apparivano improvvisamente là dove prima nessuna stella era visibile, pensando che si trattasse dell’apparizione di una nuova stella. Oggi sappiamo che si tratta di fenomeni esplosivi che avvengono in particolari tipi di stelle. Le stelle novae aumentano improvvisamente di splendore anche di 100.000 volte. In alcuni casi molto più rari si assiste ad aumenti di splendore anche di miliardi di volte, e in tal caso si parla di supernovae. Le cause che producono le novae sono nettamente diverse da quelle che producono una supernova. Si sono osservati vari tipi di novae: novae lente, che impiegano molti mesi per tornare allo splendore che avevano prima dell’esplosione; novae rapide che invece impiegano giorni; novae ricorrenti, di cui si sono osservate più esplosioni. Si può dire che ogni nova ha caratteristiche sue proprie, anche se, probabilmente, tutte sono membri di stelle binarie, contenenti una nana bianca e una compagna molto vicina. L’esplosione avviene quando la compagna comincia a evolvere verso la fase di gigante rossa e i suoi strati superficiali ricchi di idrogeno formano il cosiddetto disco di accrescimento attorno alla nana bianca, prima di caderci sopra spiralando. L’idrogeno trasferito dalla compagna sulla nana bianca, può far sì che la massa della nana bianca superi il cosiddetto limite di Chandrasekhar, pari a 1,44 masse solari, limite massimo che un gas degenere può sostenere senza collassare. Quando viene raggiunto questo limite l’idrogeno a contatto con la superficie della nana bianca dà luogo a reazioni nucleari che provocano un aumento di splendore di circa 100.000 volte in pochi giorni, esplosioni che espellono nello spazio i prodotti delle reazioni. La temperatura alla superficie può raggiungere parecchi milioni di gradi, dato che il gas degenere si comporta come un metallo ed è altamente conduttivo, per cui la temperatura superficiale diventa eguale a quella dell’interno. In media ogni anno nella Galassia esplodono 25 novae, quindi è un fenomeno molto più frequente delle supernovae, che sono in media circa tre in un millennio, ma liberano ciascuna un’energia pari a un milione di volte quella liberata da una nova. ••20 È stato negli Anni Trenta che astrofisici e fisici come Fritz Zwicky e Lev D. Landau e Robert J. Oppenheimer hanno dimostrato che le stelle più massicce non si fermano allo stadio di nana bianca. Abbiamo visto nel paragrafo precedente che queste grandi stelle, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 149 04_capitolo.indd 149 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 anche dopo varie contrazioni e innesco di vari combustibili nucleari restano sempre formate di gas perfetto, e che l’esito della reazione ferro-elio, facendo scendere bruscamente la temperatura centrale da 10 miliardi a 100 milioni di gradi, fa sì che tutta la massa stellare crolli sotto il suo stesso peso con tale forza che le loro particelle subatomiche, quali protoni ed elettroni, si condensano in neutroni e così strettamente che l’equivalente di due o più masse solari giunge a occupare un volume che a stento tocca un diametro di 20 o 30 km. Abbiamo visto che questa situazione porta a un’esplosione di supernova, mentre una piccola frazione della massa originale della stella collassa, trasformandosi in una stella a neutroni, che spesso avvistiamo come una pulsar. Dai dati storici attualmente disponibili risulta che nel corso di 1500 anni si sono verificate sette gigantesche esplosioni stellari di cui oggi sono osservabili i resti. L’esempio più noto lo troviamo nella costellazione del Toro, e più precisamente nella Nebulosa del Granchio, scoperta nel 1731 da John Bevis e poi indipendentemente da Charles Messier nel 1758. Questa pulsar nella Nebulosa del Granchio venne individuata per caso da Jocelyn Bell, una dottoranda di Anthony Hewish, nell’agosto del 1967. Dapprima non si capiva cosa fosse, e nell’eccitamento di quegli anni per le ricerche di civiltà extraterrestri, si pensò che fosse un segnale artificiale indirizzato anche a noi terrestri. Poi si capì che doveva essere una di quelle stelle a neutroni preconizzate da Zwicky. Ruotando intorno al proprio asse in 1/30 di secondo, emette 30 radio-impulsi e altrettanti lampi di luce ogni secondo. Un’altra pulsar si trova nella Gum Nebula (dal nome dell’astronomo australiano Colin S. Gum) nella costeIIazione della Vela. Oggi si conoscono alcune centinaia di pulsar. ••21 È probabile che la maggioranza delle stelle con massa superiore a 3 volte quella del Sole concludano come pulsar la loro evoluzione, ma non è detto che avvenga sempre così. Si conoscono, infatti, delle stelle molto grosse che perdono massa con continuità: qualora giungano a ridursi a meno di 3 masse solari, non c’è bisogno che entrino in crisi esplodendo come supernovae e finendo come pulsar. Si trasformeranno invece in nane bianche, come fa la maggior parte delle stelle. D’altra parte, stelle più grosse di 3 masse solari e incapaci per qualche ragione di espellere dalle loro atmosfere abbastanza gas 150 04_capitolo.indd 150 ••20 Cassiopea A è un residuo di supernova con intensissima radioemissione. Sebbene l’esplosione sia avvenuta in epoca storica, non vi sono cronache che attestino il fenomeno. L’immagine è una sovrapposizione di raggi X (in blu), infrarossi (in rosso) e luce visibile (in giallo), ripresi dai telescopi spaziali Chandra, Spitzer e Hubble. La nebulosa Cassiopea A si trova a 11.000 anni luce da noi. (NASA, ESA, HST) CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 ••21 La nebulosa Velo. Si tratta di un residuo di supernova esplosa tra 5.000 e 10.000 anni fa, ormai quasi completamente disperso nello spazio. Sono messi in evidenza alcuni dettagli studiati dal Telescopio Spaziale. (NASA, ESA, HUBBLE) per raggiungere quel limite di massa che s’è detto, possono imboccare un cammino evolutivo ancora più complesso e drammatico. Dopo essere esplose come supernovae, diventano ancora più dense delle stelle di neutroni. Il campo gravitazionale di una stella collassata fino a questo punto è tanto grande da trattenere anche la luce e le altre radiazioni elettromagnetiche e perciò non è più possibile né vederla coi nostri telescopi né udirla con i radiotelescopi: è diventata un «buco nero». Il solo modo di individuarlo è cercare di scoprire gli effetti gravitazionali che esercita sulle stelle vicine. Lo stato della materia in un buco nero supera di gran lunga anche le condizioni estreme che si trovano nelle stelle a neutroni, poiché un buco nero con una massa uguale a quella del Sole 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 151 04_capitolo.indd 151 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 avrebbe un diametro di appena 6,4 km. Gli astronomi credono che una stella di questo tipo si trovi nella costellazione del Cigno: è una sorgente di raggi X, costituita da una binaria, di cui la componente maggiore (l’invisibile buco nero, ma causa indiretta della radiazione X) avrebbe una massa 8 volte più grande di quella del Sole. Da quanto abbiamo appena finito di dire, sembrerebbe che i buchi neri siano la tomba definitiva delle stelle di grossa massa e che un buco nero sia come un pozzo gravitazionale dove tutto può entrare e nulla può uscire. Tuttavia, nuove ricerche teoriche hanno portato alla conclusione che anche i buchi neri evolvono, si consumano ed esplodono. Inoltre potrebbero esistere buchi neri di ogni massa, come i mini o micro buchi neri, che, secondo i teorici, si sarebbero potuti formare subito dopo il Big-Bang in certe sacche di altissima densità, ed è probabile anche l’esistenza di grossi buchi neri, con masse di milioni o miliardi di masse solari, al centro delle galassie, come nel caso della nostra Via Lattea. MESSER LO FRATE SOLE Come annunciato in apertura del capitolo, parliamo ora del Sole, la stella a noi più vicina e l’unica studiata in dettaglio. Francesco, il Poverello d’Assisi, amante di Dio e di tutto il creato e le creature, lo chiamava così: «Messer lo frate Sole…» Si cominciò a sapere che era una stella soltanto ai tempi di Newton, e chissà se riusciremo mai ad arrivare nelle vicinanze di un’altra stella, per vederla come un disco e non più come un punto. Intanto sappiamo che il Sole brilla di una luce quasi gialla perché ha una temperatura superficiale di circa 6000 gradi Kelvin (K), alimentata da una fornace atomica situata al centro dove la temperatura raggiunge i 13 milioni di gradi K. In questa fornace, 564 milioni di tonnellate di idrogeno vengono trasformate ogni secondo in 560 milioni di tonnellate di elio. La differenza, 4 milioni di tonnellate, è la quantità di materia irradiata sotto forma di energia per secondo. ••22 Per quanto tempo brillerà ancora in questo modo? Dato che la massa del Sole è 333.000 volte quella della Terra, e ammesso che il Sole fosse composto interamente di idrogeno, se tutta la sua massa si trasformasse in elio, seguiterebbe a risplendere per circa 100 miliardi d’anni. Però, tenuto conto che il Sole è composto di idrogeno per circa 2/3 della sua massa, e che le reazioni nucleari possono avvenire solo nel nucleo contenente il 10% dell’intera massa, il tempo di durata del combustibile idrogeno si riduce a circa 8 miliardi d’anni. Ma da quanto tempo il Sole risplende come oggi? I fossili terrestri ci suggeriscono che ha continuato a irradiare in modo costan152 04_capitolo.indd 152 CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 ••22 Il Sole fotografato in diverse bande spettrali. Sopra: nelle radioonde e nella luce H-alfa. Al centro: in luce visibile. Sotto: raggi ultravioletti e raggi X dal satellite Soho. (NASA) Le stelle 153 04_capitolo.indd 153 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 te all’incirca durante gli ultimi 3,5-4 miliardi d’anni. Ciò significa che la nostra stella è tuttora abbastanza giovane e seguiterà così ancora per almeno altri 5 miliardi d’anni prima di passare a più avanzate e irrequiete fasi evolutive di gigante rossa e poi di nana bianca, come abbiamo già spiegato. Il Sole è molto più complesso di come ci appare, e per accorgersene basta osservarlo a diverse lunghezze d’onda, con vari tipi di strumenti. Nel visibile noi vediamo il Sole quasi fosse delimitato da un «guscio» detto fotosfera, e durante le eclissi totali (cioè quando la Luna passa fra la Terra e il Sole al momento della Luna Nuova) si rivela circondato da una corona perlacea, di forma e dimensioni variabili. Però, se i nostri occhi fossero sensibili alle onde radio, il Sole ci apparirebbe più grande di quello «ottico» e non rotondo, ma ellittico. Costituito essenzialmente da una palla di gas, la sua densità media è 1,41 volte quella dell’acqua, ma al centro tocca le 80 volte. Il diametro solare è di circa 1.392.000 km, il che rappresenta il doppio del diametro dell’orbita lunare. Il Sole ruota su se stesso, facendo un giro in media in 25,4 giorni; tuttavia, il periodo di rotazione varia con la latitudine, ed è di 24,9 giorni all’equatore solare e di 34 giorni in prossimità dei poli. Anzi, ci sono novità al riguardo, perché si sospetta che questa rotazione subisca variazioni anche in rapporto al ciclo delle macchie solari. Infatti, Robert Howard ha constatato che dal 1967 la rotazione solare all’equatore è passata da 7200 a 7600 km/h, ma deve trattarsi di un fenomeno limitato alla fotosfera, perché se coinvolgesse gli strati più profondi, richiederebbe enorme dispendio di energie. Tale accelerazione si crede prodotta dai campi magnetici originati all’interno del Sole che, emergendo a velocità maggiore dei gas circostanti, agiscono come pagaie. La fotosfera, il cui spessore si stima sui 400 km, appare formata di granuli brillanti, intervallati da zone scure, nelle quali, quando il Sole è disturbato, si formano come dei «pori», che possono moltiplicarsi e ingrandirsi diventando «macchie». Queste sono costituite da un nucleo centrale detto «ombra», circondato da un’aureola grigiastra chiamata «penombra»; l’ombra è più scura perché la temperatura è di circa 4000 K assoluti, rispetto ai circa 6000 della fotosfera. Correlate alle macchie, abbiamo poi le «facole», dette anche «flocculi brillanti», simili a nubi filamentose. Sede di importanti correnti di materia, le macchie sono anche luoghi di forti campi magnetici; e la loro comparsa e scomparsa è un fenomeno oltremodo variabile. Esse si spostano dal bordo Est al bordo Ovest in circa 13 giorni, e il loro numero aumenta da un minimo a un massimo, ritornando quindi a un minimo in circa 11 anni. Alle macchie vanno associati fenomeni, come esplosioni di gas con espulsione di particelle ad alta energia, e radioemissioni. 154 04_capitolo.indd 154 CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 ••23 Fotografia della corona solare ripresa durante l’eclissi del 1° agosto 2008. Si possono osservare i pennacchi (o getti) coronali. (A&A) Di solito il nuovo ciclo undecennale si sovrappone in parte al vecchio: quando cominciano ad apparire le macchie ad alta latitudine caratteristiche del nuovo ciclo, si osservano ancora nascere macchie del vecchio ciclo in prossimità dell’equatore solare. In realtà, è soltanto dal 1715 che abbiamo incominciato a contare i cicli solari, ed è soltanto dal 1843 che Heinrich Schwabe confermò l’esistenza approssimativa del periodo undecennale. Negli anni seguenti la scoperta delle macchie (nel 1611), si verificarono due massimi alla distanza di 15 anni, e poi l’attività solare decrebbe a un livello bassissimo fino al 1715, tanto che per questi settant’anni di inattività (1645-1715) la corona solare, che è riscaldata in larga misura dalla frizione e dall’agitazione delle regioni attive del Sole, non venne mai osservata. Quando nel 1715 ripresero fenomeni quali le aurore boreali, causate appunto dall’attività solare, destarono a Stoccolma e a Copenhagen la più grande meraviglia e paura. Al di sopra della fotosfera, si trova l’atmosfera solare che ha una massa stimata sulle 1017 tonnellate, e cioè uguale alla ventimiliardesima parte dell’intera massa del Sole. In realtà, essa rappresenta soltanto pochi grammi di materia per ciascuna colonna di atmosfera solare di un cm2 di base. L’atmosfera solare si distingue in cromosfera e corona. ••23 La cromosfera (così chiamata dal colore rossastro dovuto all’emissione dell’idrogeno) ha uno spessore di circa 10.000 km, ed è composta da lingue di gas, dette «spicole», che la fanno assomigliare a una prateria infocata, e da «protuberanze» consistenti in getti di gas che dalla cromosfera si slanciano verso l’esterno, e assumono le forme più diverse. Le protuberanze sono associate quasi sempre alle zone di attività solare; però mentre le macchie non appaiono mai a latitudini maggiori di 50°, le protuberanze si presentano ovunque e dalle zone polari tendono a migrare lentamente verso latitudini più basse. La corona, che avviluppa la cromosfera e che si presenta come un’aureola argentea intorno al disco solare, con dei getti che si estendono per parecchi raggi solari, è un’altra specie di atmosfera estremamente tenue e di struttura eterogenea. Essa si compone di polveri (corona F), elettroni e ioni (corona K) e la sua temperatura è compresa fra 500.000 e 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 155 04_capitolo.indd 155 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 1.000.000 di gradi, tanto che gli atomi si trovano in uno stato fortemente ionizzato ossia mancanti di numerosi elettroni. La corona solare non ha limiti precisi, ma si estende, secondo alcuni, oltre l’orbita terrestre, immergendosi e confondendosi con la materia interplanetaria. Inoltre, ricordiamo il flusso di particelle cariche espulso senza interruzione dal Sole a velocità comprese fra i 300 e gli 800 km/s: è il «vento solare», che possiamo considerare un prolungamento o un’espansione della corona. Concludiamo con un cenno sull’attività solare e le relazioni Sole-Terra. Nel 1942, i radar di guerra captarono casualmente le prime radioonde di origine solare. Oggi si studiano con radiotelescopi a lunghezze d’onda che vanno da pochi millimetri a una ventina di metri: le più corte vengono emesse in prevalenza nella parte più bassa delle cromosfera, le più lunghe nella corona. Durante i periodi di calma solare, intorno al minimo di macchie, la forza delle radioemissioni corrisponde a quella che ci si può aspettare da un corpo alla temperatura della cromosfera e della corona. Ma quando il Sole è attivo e sono numerose le macchie e i brillamenti, cresce anche l’emissione radio con bruschi aumenti di intensità (le radiotempeste) che si sovrappongono alle ordinarie radioonde. In questi casi si pensa che dai brillamenti vengano espulsi getti di protoni e altre particelle a velocità di migliaia di chilometri al secondo, disturbando nello spazio di pochi secondi i gas ionizzati della corona e raggiungendo la Terra 24 ore dopo, dove producono tempeste magnetiche, aurore boreali ecc. PIANETI EXTRASOLARI Dall’antichità fino a pochi decenni fa, gli unici pianeti conosciuti erano quelli del Sistema solare e questo per molti secoli ha rappresentato un caso unico, il centro dell’Universo. Quando si è cominciato a comprendere la natura fisica delle stelle, e che il Sole era una stella comunissima fra miliardi di altre, conseguentemente si è cominciato a ritenere probabile l’esistenza di altri sistemi planetari. In realtà, già Giordano Bruno scriveva: «Esistono innumerevoli soli, innumerevoli terre ruotano attorno a questi similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro sole». E aggiungeva: «Questi mondi sono abitati da esseri viventi». Il primo pianeta extrasolare, in orbita cioè attorno a una stella diversa dal Sole, è stato scoperto solo nel 1995 da due astronomi svizzeri, Michel Major e Didier Queloz. Si supponeva che altre stelle, forse tutte, avessero dei pianeti, perché il Sole è una stella comunissima, e non c’era alcuna ragione di ritenere che avesse una speciale particolarità. Oggi si pensa che, quando si forma una 156 04_capitolo.indd 156 CAPITOLO 4 13/04/12 17:48 ••24 Le stelle vicine al Sole entro un volume con raggio di 20 anni luce. Vi troviamo numerose stelle ben conosciute, nonché alcuni possibili sistemi planetari extrasolari. stella, si formi contemporaneamente anche una nebulosa proto planetaria da cui poi avranno origine i pianeti. Non è però facile scoprirli, non solo perché sono come «affogati» nella luce della loro stella, ma anche perché perfino i più lontani dal loro sole sono visti dalla Terra a una distanza angolare troppo piccola per essere risolta dai nostri telescopi. Supponiamo per esempio che Proxima Centauri abbia un pianeta alla distanza che ha Plutone dal Sole. Per calcolare la sua distanza angolare, dovremmo dividere la distanza Sole-Plutone, pari a 5870 milioni di km, per la distanza di Proxima Centauri da noi, pari a 4,22 anni luce, ossia 40.000 miliardi di km. Si trova così un angolo di 1,46 decimillesimi di radiante pari a 30 secondi d’arco: pur avendo considerato il caso di gran lunga più favorevole, il pianeta sarebbe comunque difficilmente visibile nascosto dal fulgore della stella. E la maggioranza 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 Le stelle 157 04_capitolo.indd 157 13/04/12 17:48 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 delle stelle si trova a decine, centinaia, migliaia di anni luce da noi. Nel caso di una stella a 100 anni luce da noi, la distanza angolare di un pianeta che abbia da questa stella la distanza che Plutone ha dal Sole sarebbe inferiore al millesimo di secondo d’arco. ••24 In realtà, tutti i pianeti extrasolari scoperti fino a oggi sono stati individuati in maniera indiretta, rilevando cioè i disturbi che il pianeta produce al moto della stella a causa della sua attrazione gravitazionale, oppure – quando la nostra visuale giace sul piano dell’orbita – rilevando la minima, ma misurabile, diminuzione di luce che avviene tutte le volte che c’è un transito del pianeta davanti alla stella. Due telescopi in orbita attorno alla Terra, Kepler della Nasa e Corot dell’agenzia spaziale francese, osservando automaticamente milioni di stelle, hanno misurato periodiche diminuzioni di luce dovute a transiti. Con questi metodi sono stati scoperti fino a oggi parecchie centinaia di pianeti extrasolari. In gran parte sono grossi come e più di Giove, orbitano molto vicino alla loro stella e quindi hanno temperature troppo alte per ospitare la vita. Più i pianeti sono grandi e vicini alla stella, maggiore è il disturbo che provocano al suo moto, e per questo è molto più facile scoprirli rispetto a pianeti piccoli come la Terra, ma non per questo dobbiamo dubitare che esistano anche miliardi di pianeti come il nostro. È in progetto, da parte dell’Osservatorio Europeo dell’emisfero australe (ESO), un grande telescopio al suolo, di circa 40 metri di diametro, che dovrebbe essere in grado di scoprire pianeti come la Terra e fornircene delle immagini. Un altro metodo per scoprire pianeti extrasolari si basa sulla teoria della relatività. Einstein aveva previsto che anche la luce fosse soggetta all’attrazione gravitazionale e una massa come per esempio quella di una galassia frapposta fra noi e una galassia più lontana funzionerebbe come una lente ottica facendo convergere i raggi provenienti dalla galassia lontana e dandone una o più immagini virtuali, a seconda dell’allineamento tra l’osservatore, la «galassia lente» e la galassia lontana. Ci sono numerose osservazioni di queste immagini date da lenti gravitazionali. Ma anche una singola stella può agire da lente. Supponiamo che ci sia perfetto allineamento fra una stella lontana, una stella più vicina agente da «microlente» e l’osservatore. La microlente fa convergere la luce proveniente dalla stella lontana che viene intensificata. L’osservatore noterà l’aumento di splendore della stella: poiché osservatore, stella lente e stella lontana sono tutti in moto relativo l’uno rispetto all’altro l’allineamento dura poche settimane. Se poi la stella lente è accompagnata da uno o più pianeti, anche questi agiranno da micro-microlente e l’osservatore noterà altri minori aumenti di splendore della stella lontana della durata di poche ore. Con questo metodo si sono scoperti una diecina di pianeti. 158 04_capitolo.indd 158 CAPITOLO 4 13/04/12 17:48