Semeiotica Medica, lezione 6 (ore 8.30-9.30) Prof. Mandas 16/03/13 Roberto Serreli Nella scorsa lezione abbiamo visto l’importanza dell’anamnesi patologica remota perché ci possono essere degli eventi pregressi in grado di darci informazioni importanti anche per l’inquadramento del problema attuale; abbiamo fatto l’esempio di patologie di carattere trasmissivo (quindi patologie infettive) che determinano lo sviluppo di immunità specifica permanente tale da determinare una assoluta improbabilità di un nuovo episodio di quella particolare malattia infettiva. Ovviamente questo tipo di inquadramento può subire delle modificazioni nel caso in cui ci troviamo di fronte ad un paziente gravemente immunocompromesso, tanto da potersi realizzare anche una nuova esacerbazione di una patologia pregressa che aveva determinato, quando ci si trovava in una condizione di buona risposta immunitaria, lo sviluppo di una immunità permanente specifica. Esempio: la presenza dell’infezione da HBV è indicata dalla positività nei confronti dell’HBsAg, mentre l’unico anticorpo che ha funzione protettiva (intesa come capacità di “clearare” il virus) è l’anticorpo anti-HBsAg, e ancora il marker che ci indica la replicazione del virus è l’HBV-DNA evidenziato con metodica PCR a livello sierico. Se un soggetto ha i markers indicativi di una pregressa infezione dell’HBV (HBsAg negativo, anti-HBsAg positivo, anti-HBeAg e anti-HBcAg anche loro positivi), ciò che ci dice senza ombra di dubbio che il paziente ha superato l’infezione è la negatività dell’HBsAg e la positività del corrispondente anticorpo. Fino a non molti anni fa si pensava che nel momento in cui si veniva a creare questo quadro sierologico (evidenza dell’anticorpo protettivo), il virus era stato sicuramente eliminato, ma in realtà non è proprio così: è vero che l’infezione viene risolta e quindi il paziente manifesta (dal punto di vista laboratoristico) una perfetta funzionalità epatica, con gli indici funzionali di sintesi epatica, necrosi epatica e colestasi nella norma, ma non dobbiamo avere la tranquillità della presenza dell’anticorpo protettivo, soprattutto se il paziente si ritrova in condizioni di significativa immunodepressione (come quella che può realizzarsi in maniera indotta ad esempio nell’eventualità di un trapianto di midollo osseo). Il soggetto che viene sottoposto a trapianto di midollo osseo, prima di ricevere il midollo del donatore, viene sottoposto ad una chemioterapia che ha la funzione di eliminare le proprie cellule midollari al fine di avvantaggiare una attivazione, sempre a livello midollare, delle cellule del donatore. Questi soggetti vengono appositamente isolati da qualsiasi agente contaminante (nelle camere sterili) perché risultano essere molto più predisposti allo sviluppo di infezioni. Nella fase successiva, cioè quando le cellule del midollo osseo impiantato cominciano a replicarsi e inizia la ricostituzione immunologica, nel soggetto che prima del trapianto aveva un quadro sierologico indicativo di pregressa infezione da HBV (essendo il danno creato dal virus B immuno-mediato), si può realizzare, dopo il trapianto, un nuovo evento epatitico, come se il paziente avesse incontrato per la prima volta il virus. Caso clinico citato dalla professoressa: paziente con morbo di Cooley, che aveva scelto di sottoporsi al trapianto di midollo (dico “aveva scelto” perché sapete bene che la talassemia major può essere adeguatamente controllata anche tramite una terapia trasfusionale, associata alla terapia ferro-chelante. Questo perché noi abbiamo un sistema di controllo, per quanto riguarda l’assetto marziale, nel senso dell’assorbimento del ferro, quindi la quantità di ferro assorbita è in funzione del pool marziale presente nel nostro organismo. Ma se il pool marziale nel nostro organismo aumenta in maniera significativa, non abbiamo nessun mezzo che ci consenta di eliminare il ferro in eccesso, quindi quando si realizzano quadri morbosi dove l’accumulo di ferro diventa significativo al punto da determinare patologie d’organo legate all’accumulo del metallo, è necessario mettere in atto una terapia ferro-chelante. Questa procedura terapeutica si rende necessaria: in alcune condizioni genetiche, come nell’emocromatosi, che origina da un difetto che conduce ad un cattivo controllo dell’assorbimento del ferro, il quale diventa continuo ed eccessivo, con conseguente accumulo parenchimale; oppure in condizioni di accumulo che sono secondarie, ad esempio, ad una terapia trasfusionale cronica. Tutto questo esempio per dire perché un paziente talassemico, nonostante ci sia possibilità di sopravvivere adeguatamente con la terapia trasfusionale associata alla terapia ferro-chelante, in presenza di un donatore compatibile che di solito è nell’ambito della propria famiglia, decide spesso di intraprendere la strada del trapianto di midollo, il quale, nel caso “attecchisca” in maniera corretta risulta essere risolutivo per la patologia talassemica), ovviamente prima del trapianto di midollo si fanno una serie di indagini al fine di stabilire se le condizioni del paziente sono adatte per poter affrontare quel tipo di trapianto oppure no, e se ci sono delle condizioni che possono mettere il soggetto in una situazione di rischio. Ebbene fino a quel momento non era stata ancora descritta la situazione che si è poi verificata in quel soggetto, che in presenza di un quadro sierologico assolutamente indicativo di una pregressa infezione da virus B, durante la ricostituzione immunitaria ha manifestato una epatite acuta fulminante, che ha portato il paziente al decesso. In questi casi l’unica possibilità di salvare il paziente è il trapianto di fegato, ma per un paziente in quelle condizioni immunologiche non sarebbe mai stato possibile affrontare un intervento del genere, in quanto il paziente era in fase di immunodepressione da ricostituzione immunitaria post-trapianto di midollo ). Quindi il soggetto è deceduto nonostante il quadro sierologico indicasse una pregressa infezione. Tutto questo per chiarire che l’anamnesi patologica prossima deve essere attentamente vagliata, considerando tutte le possibili variabili che possono realizzarsi nei quadri clinici, e si deve essere nella condizione di poter stabilire se un pregresso processo morboso possa o non possa essere correlato con il nuovo problema presentato dal paziente. Passiamo ora all’anamnesi tossicologica, che consiste nell’indagare sull’assunzione di sostanze da abuso, le quali possono essere sia sostanze lecite che illecite: quando noi parliamo di abuso di sostanze non dobbiamo pensare solamente alle sostanze illecite, ci può essere anche un abuso messo in atto dal paziente che modifica in maniera autonoma, senza cioè il consulto medico, la posologia di un farmaco, il quale può quindi dare dipendenza. Esempio: la prescrizione da parte del medico di ansiolitici (benzodiazepine) è obbligatoria e il loro uso deve essere responsabile. Sono farmaci che possono essere acquistati solo previa prescrizione medica e sono farmaci di fascia C, cioè il cui pagamento è a carico del paziente. È molto facile che possa verificarsi l’abuso per il semplice fatto che il paziente può farsi prescrivere il farmaco sia dallo specialista neurologo, sia dal proprio medico di base. L’abuso del farmaco è chiaro nel momento in cui il paziente ne acquista in un intervallo di tempo un numero di confezioni maggiori rispetto a quelle che avrebbe dovuto consumare con la normale assunzione, secondo la prescrizione del medico. Per evitare ciò le ricette di questi farmaci vengono timbrate e datate da parte dei farmacisti al giorno dell’acquisto. Inoltre il medico di base, se segue un paziente che è anche seguito da uno specialista, deve farsi mostrare prima di prescrivere altri farmaci anche la prescrizione dello specialista, e quindi da li si vede se quella prescrizione è già stata timbrata dalla farmacia. In ogni caso, nel momento in cui viene prescritto un farmaco, il paziente va informato non solo sull’utilizzo e sull’utilità di quel farmaco, ma anche sul motivo per il quale lo si sta prescrivendo, sull’effetto che si spera di ottenere dal farmaco (soprattutto se è un farmaco di tipo sintomatico, nel senso che non risolve il problema ma allevia o elimina i sintomi), e anche in maniera inequivocabile su quelli che sono gli effetti collaterali (possibili interazioni con altri farmaci o con l’assunzione di particolari cibi). Le benzodiazepine, che come abbiamo detto prima danno dipendenza, sono anche farmaci che hanno una azione inibente sulla funzione respiratoria, e di conseguenza andranno utilizzati con molta cautela nel soggetto con insufficienza respiratoria, al quale va spiegato che non deve assolutamente modificare la posologia perché questo potrebbe ripercuotersi sulla funzione respiratoria, magari già in parte compromessa da una condizione di BPCO (BroncoPneumopatica Cronico-Ostruttiva). Non solo, gli effetti della sedazione da parte delle benzodiazepine sono potenziati dall’assunzione contemporanea, per esempio, di bevande alcoliche, e il soggetto va informato anche su questo. Solo in questo modo noi possiamo ridurre il rischio dell’insorgenza di tutta una serie di complicanze che, ovviamente, dipenderanno dal tipo di farmaco utilizzato. Questo appunto per inquadrare la condizione di abuso, non solo per quanto riguarda le sostanze illecite, ma anche quelle lecite (un farmaco ad esempio, ma anche l’alcool, che ovviamente oltre a creare dipendenza predispone il paziente a patologie importanti, come per esempio l’epatite alcolica, che può avere un quadro sia acuto sia cronico, fino alla possibile evoluzione verso la cirrosi, che a sua volta espone il paziente ad un aumentato rischio di insorgenza di epatocarcinoma). Quindi l’anamnesi, in tutte le sue forme, è importante per poter avanzare delle ipotesi diagnostiche, fare diagnostica differenziale e inquadrare infine il/i problema/i del paziente. L’anamnesi, ovviamente, viene impostata in maniera diversa a seconda della situazione che stiamo fronteggiando, quindi si parla di anamnesi di elezione se il paziente non si trova in una condizione di urgenza o emergenza. In questi ultimi casi invece il paziente si trova, in particolar modo nei casi di emergenza, in immediato pericolo di vita: quindi ciò che deve essere focalizzato è il problema che ha portato il paziente a quella condizione di emergenza, al fine di risolvere la stessa nel più breve tempo possibile. Esempio: nell’edema polmonare si deve fare in modo che il paziente recuperi nel più breve tempo possibile la funzionalità polmonare (situazione di emergenza). Una condizione di urgenza può essere invece, per esempio, una importante sintomatologia dolorosa precordiale, tanto da far pensare ad una patologia ischemica del miocardio, che se persiste e si mantiene con una certa entità ci pone in condizione di sospetto di IMA, e la sopravvivenza dei pazienti con IMA è strettamente legata alla rapidità di intervento e alla tempestività dell’inizio del trattamento. Al termine di una intervista bisogna avere ottenuto informazioni su ciascuno dei seguenti 7 punti: 1. Cronologia (collocazione temporale). Esempio, paziente con un dolore precordiale da anni va trattato in maniera diversa rispetto ad un paziente che ha lo stesso dolore da un breve periodo inizio e decorso del problema (se è cronico dobbiamo anche sapere come nel tempo si è mantenuto,se è stato costante o fluttuante, e così via) 2. Sede somatica: localizzazione del problema (può capitare però che il paziente non riesca a localizzare il dolore; inoltre sintomi come la nausea non si possono localizzare e non irradiano) eventuali irradiazioni (specie se si tratta di un dolore. Esempio: nel dolore precordiale da cardiopatia ischemica il dolore irradia anche verso il collo o il braccio sinistro) 3. Qualità 4. Quantità 5. Rapporti: In quali circostanze si verifica (quali circostanze favoriscono l’insorgenza del problema) 6. Fattori aggravanti e allevianti 7. Manifestazioni associate Quindi, quando noi stiamo valutando un paziente la cui salute è stata compromessa da uno o più problemi, per poter fare un adeguato inquadramento, dobbiamo seguire questo percorso: 1. Ricerca di uno o più sintomi guida a provenienza da: a. anamnesi b. esame obiettivo c. esame di laboratorio o strumentale. Nel nostro paese la normativa vigente prevede il controllo periodico dei lavoratori al fine di stabilire se hanno una condizione fisica idonea allo svolgimento del lavoro effettuato. A seconda del tipo di lavoro svolto si fanno determinati esami: il personale di area sanitaria, nell’ambito dei controlli periodici, fa degli esami ematochimici che indagano sulla condizione funzionale midollare, l’emocromo, lo studio della funzione metabolica, l’assetto della glicemia, l’assetto lipidico, la condizione funzionale renale ed epatica e così via. Quindi un soggetto può essere in una condizione di apparente benessere ma nel fare gli esami di laboratorio può emergere, ad esempio, una compromissione della funzionalità epatica, che può essere, e anzi molto spesso è asintomatica [spesso per questo motivo il riscontro delle epatopatie è occasionale]. Quindi se da questo controllo occasionale emergono dei dati che indicano necrosi epatocitaria il medico, dopo aver fatto una attenta anamnesi per indagare se effettivamente il soggetto è in una condizione di assenza di sintomi, e ovviamente dopo aver anche effettuato un esame obiettivo accurato al fine di verificare se ci sono segni obiettivi (che possono assolutamente essere presenti in caso di epatopatia), deve andare a verificare se c’è una condizione di potenziale rischio di patologie a livello epatico, come infezioni virali acquisite per via parenterale, o secondarie ad abuso ad esempio di sostanze alcoliche. 2. Corretta valutazione dei reperti raccolti 3. Inquadramento dei sintomi in un gruppo morboso 4. Diagnostica differenziale 5. Esecuzione di esami (di laboratorio) e di prove (strumentali) tendenti ad abbattere il sospetto diagnostico formulato. Ma perché dobbiamo muoverci nel senso di abbattere e non di confermare? Perché non ci si deve affezionare ad una diagnosi, questo porterebbe molto più facilmente all’errore diagnostico, perché ogni piccolo dato verrebbe usato per supportare l’ipotesi. Se invece si cerca di abbatterla e nonostante tutto non ci si riesce, ed anzi si raccolgono informazioni e dati che tengono in piedi l’ipotesi diagnostica, è possibile che si arrivi ad avere una diagnosi corretta. Per poter fare queste azioni è fondamentale acquisire le azioni indispensabili metodologiche, e quindi la metodologia clinica. Illustrato quello che è il significato e l’importanza dell’anamnesi, e la modalità con cui questa deve essere eseguita, nell’ambito dell’anamnesi fisiologica personale dovete andare ad indagare su quelle che sono le funzioni biologiche (il sonno, la sete, la fame, la diuresi, la minzione, l’alvo, la libido e l’attività sessuale. Quest’ultima è una sfera che di solito si tende a trascurare quando poi in realtà può essere quella la fonte di grande disagio del paziente, può essere responsabile dell’insorgenza di una sintomatologia di accompagnamento che molto spesso può essere enfatizzata dal paziente per evitare di parlare del reale problema)per poi andare ovviamente ad indagare sui sintomi presentati dal paziente (vomito, singhiozzo, cardiopalmo, astenia, ognuno con dei caratteri precisi su cui si deve indagare). Esempio: il paziente può riferirci che è astenico (astenia: sensazione di stanchezza in condizioni di riposo); la prima cosa da fare è capire effettivamente se il sintomo riferito dal paziente è realmente una condizione di astenia o di facile affaticabilità: nel secondo caso il paziente in condizioni di riposo sta bene, ma non appena effettua una qualunque attività fisica, anche a basso impegno funzionale, si sentono subito stanchi; il paziente astenico è stanco in condizioni di riposo, ha una stanchezza non correlata ad uno sforzo fisico. Ovviamente, nel caso in cui ci sia astenia, questa va inquadrata dal punto di vista quantitativo (l’inquadramento è fortemente personale e soggettivo, influenzato dalle condizioni psicologiche del soggetto). Da un punto di vista semiologico l’astenia è etichettabile come lieve, moderata o grave, ma per meglio capire di quale reale grado sia l’astenia riferita si deve indagare sulle attività che il paziente riesce a mettere in atto nonostante la presenza dell’astenia, in questo modo abbiamo la possibilità di meglio comprendere l’entità del problema. Se il paziente dice “non riesco più a fare nulla di quello che facevo prima, non sono più in grado di lavorare come facevo prima” è diverso dal dire “le cose le faccio come prima ma mi costa molto di più”.