I CONTRATTI•ANNO XIII SOMMARIO EDITORIALE LE NUOVE NORME A TUTELA DEGLI ACQUIRENTI DI IMMOBILI DA COSTRUIRE di Carmen Leo 745 GIURISPRUDENZA Parte I - Contratti in generale PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE E NULLITÀ DEL CONTRATTO Cass., sez. II , 23 dicembre 2004, n. 23936 Commento di Cristina Menichino 751 RASSEGNA DI LEGITTIMITÀ 761 Parte II - I singoli contratti I RIMEDI PER I VIZI DEL BENE PROMESSO IN VENDITA Trib. Nola 15 settembre 2004 Commento di Linda Cilia 763 SULLA DIFFERENZA TRA MANDATO E MEDIAZIONE Corte d’Appello di Milano, sez. I - 12 maggio 2004 Commento di Ettore Battelli 770 RASSEGNA DI LEGITTIMITÀ 788 RASSEGNA DI MERITO Sentenze esposte da Elettra Bruno e Marco Rossetti 791 NORMATIVA IL D.LGS. DI TUTELA DEGLI ACQUIRENTI DI IMMOBILI IN COSTRUZIONE 801 D.LGS. 7 MARZO 2005, N. 82: IL CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE di Francesco Delfini 807 PANORAMA FISCALE A cura di Sara Armella e Francesca Balzani 819 ARGOMENTI NOTE IN TEMA DI FORO DEL CONSUMATORE di Giovanna Capilli 821 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA IL RAPPORTO CONTRATTUALE TRA GLI ARBITRI E LE PARTI NEL DIRITTO TEDESCO di Valerio Sangiovanni 827 I CONTRATTI N. 8-9/2005 743 I CONTRATTI•ANNO XIII OSSERVATORIO COMUNITARIO A cura di Elena Bigi, Studio legale De Berti, Jacchia, Franchini, Forlani - Bruxelles 838 MODELLI CONTRATTUALI IL CONTRATTO DI ADDESTRAMENTO FISICO IN PALESTRA di Carmen Leo 842 INDICI AUTORI 845 CRONOLOGICO 845 ANALITICO 845 iContratti REDAZIONE Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati scrivere o telefonare a: Rivista di dottrina e giurisprudenza www.ipsoa.it/icontratti telefono (02) 82476.782 - telefax (02) 82476.079 IPSOA Redazione iContratti Rivista di dottrina e giurisprudenza e-mail [email protected] [email protected] EDITRICE Wolters Kluwer Italia s.r.l. 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EDITORIALE•PROPRIETÀ IMMOBILIARE Le nuove norme a tutela degli acquirenti di immobili da costruire di CARMEN LEO C on l’approvazione del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122 (in G.U. 6 luglio 2005, n. 155 e infra, 801 ss.) adottato in attuazione della delega contenuta nella Legge 2 agosto 2004, n. 210 «Delega al governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire» e che entrerà in vigore il prossimo 21 luglio sono state introdotte importanti forme di tutela per gli acquirenti di immobili da costruire (o in corso di costruzione). Scopo della nuova normativa - come si legge nei lavori preparatori - è quello di evitare che, come spesso accaduto in passato, il promissario acquirente di un immobile da costruire, a causa di una «situazione di crisi» del costruttore (fallimento o altra procedura concorsuale), si trovi non solo a non veder ultimato l’immobile, ma anche a non riuscire ad ottenere la restituzione di quanto già eventualmente corrisposto al costruttore per un immobile mai venuto ad esistenza (vantando nei confronti di questo ultimo una semplice posizione di creditore chirografario). In passato il legislatore aveva preso in considerazione queste esigenze introducendo la trascrizione del contratto preliminare con il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella Legge 28 febbraio 1997, n. 30, che però non ha apportato il contributo determinante che ci si aspettava a causa principalmente della mancanza di informazione, dei costi a carico del promissario acquirente per l’assistenza tecnica e legale, dei costi notarili e fiscali, del timore dell’emersione del prezzo reale di vendita, spesso occultato al fisco. Il mancato successo dell’istituto della trascrizione del contratto preliminare e l’allarme sociale generato dal fenomeno dei fallimenti (stime di associazioni di categoria riportano un elevatissimo numero di fallimenti di imprese costruttrici e un altrettanto elevato numero di acquirenti coinvolti in tali fallimenti senza una effettiva tutela) (1) hanno indotto il legislatore ad introdurre ulteriori strumenti di tutela a favore dei promissari acquirenti. La soluzione adottata dal legislatore è stata quella di prevedere in capo al costruttore di un immobile da costruire l’obbligo di rilasciare all’acquirente, al momento della stipula del preliminare di vendita o di atto equivalente, una fideiussione a garanzia della restituzione delle somme eventualmente già versate come acconti sul prezzo dell’immobile. Ambito di applicazione del decreto P er definire correttamente l’ambito di applicazione della nuova normativa, occorre fare chiarezza su alcuni concetti e alcune espressioni utilizzate dal legislatore. a) Con l’espressione «costruttore» il legislatore ha inteso fare riferimento all’imprenditore o alla cooperativa edilizia che promette in vendita l’immobile in costruzione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che sia lo stesso costruttore a provvedere direttamente alla edificazione ovvero che ne affidi l’esecuzione ad impresa terza mediante un contratto di appalto. b) L’espressione «acquirente» e il richiamo espresso alla «persona fisica» paiono escludere tout court la possibilità di estendere l’ambito di applicazione della norma al caso in cui promissario acquirente o acquirente dell’immobile da costruire sia una «persona giuridica», quindi un ente o una società nonostante il richiamo al contratto di leasing all’art. 1, lett. a). Rimane tuttavia da verificare se il legislatore abbia voluto considerare come destinatarie dei benefici della legge tutte le persone fisiche o solo quelle che rivestono la qualità di «consumatore» e acquistano l’immobile per adibirlo a propria abitazione con ciò, quindi, escludendo le persone fisiche che acquistano per scopi imprenditoriali o professionali. c) Con l’espressione «immobile da costruire» si debbono individuare sia gli immobili che siano ancora da edificare e per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire sia gli immobili che siano in parte edificati, ma la cui costruzione non risulti ultimata, versando in stato tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di abitabilità. Il riferimento espresso alla richiesta del permesso di costruire sembrerebbe peraltro escludere gli immobili promessi in vendita «sulla carta» (e per i quali appunto non sia stato ancora chiesto il permesso) cosa questa che consentirebbe possibili elusioni della normativa (2). Dall’esame dei lavori parlamentari non sembrano ricompresi nel concetto di «immobili da costruire» Note: (1) Cfr. sul punto F. Casarano, La tutela degli acquirenti di immobili in costruzione, in Imm. e prop., Ipsoa, 2002, 193. (2) In questo senso A. Luminoso, I contenuti necessari del preliminare, Relazione al convegno del 28 giungo 2005, Milano. I CONTRATTI N. 8-9/2005 745 EDITORIALE•PROPRIETÀ IMMOBILIARE quelli oggetto di ristrutturazione, ma il decreto potrebbe tuttavia trovare applicazione nei casi di interventi importanti ossia nei casi di ristrutturazione non conservativa, ma ricostruttiva (cfr. art. 3 del T.U. edilizia D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in considerazione della sostanziale coincidenza d’interessi da tutelare. d) L’espressione «situazione di crisi» del costruttore individua la fase temporale che inizia allorquando sull’immobile oggetto del contratto venga trascritto un pignoramento, ovvero nei confronti del costruttore siano iniziate procedure fallimentari, di amministrazione straordinaria, di liquidazione coatta o, ancora, di concordato preventivo. e) Con l’espressione «contratto preliminare e ogni altro contratto che sia comunque diretto al successivo acquisto … della proprietà o di altro diritto reale su un immobile oggetto del decreto» possono intendersi, oltre naturalmente al contratto preliminare, il contratto di opzione, il contratto di vendita di edificio futuro, il contratto di leasing di edifici da costruire, il contratto di permuta di suolo contro appartamenti da costruire e, con qualche dubbio, il contratto di vendita ad un costruttore di quota indivisa di area fabbricabile con contestuale precostituzione del condominio sull’edificio da costruire a cura e spese dell’imprenditore. Entrata in vigore delle nuove norme L e nuove norme si applicano «a tutti i contratti che abbiano per oggetto immobili per i quali il permesso di costruire o atto equipollente sia stato richiesto dal costruttore in data successiva all’entrata in vigore del decreto» (art. 4). La nuova disciplina entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, con qualche precisazione. L’art. 5 del decreto in commento dichiara applicabili gli artt. 2, 3 e 4 solamente a quei contratti stipulati per acquistare edifici da costruire la cui edificazione sarà assentita da richieste di rilascio di concessioni edilizie o da presentazioni di DIA dal 21 luglio in avanti. Pertanto si sottraggono all’applicazione degli artt. 2, 3 e 4 della nuova legge: a) tutti gli edifici ad oggi già in corso di costruzione, b) tutti gli edifici per i quali è stata richiesta già prima del 21 luglio l’abilitazione, pur non essendo iniziata la costruzione. La ratio di tale previsione, come si legge nella relazione illustrativa del decreto, è quella di esentare le iniziative edilizie in corso da adempimenti ed oneri non previsti, pertanto le nuove norme non si applicano a tutti i contratti che hanno ad oggetto immobili per i quali è stato già richiesto il permesso di costruire o altro atto equivalente al momento di entrata in vigore del decreto. Fideiussione L’ art. 2 del decreto prevede che «all’atto della stipula di un contratto (….), ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’ac- 746 I CONTRATTI N. 8-9/2005 quirente, a procurare il rilascio e a consegnare all’acquirente una fideiussione di importo pari alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso». Gli aspetti interessanti mi paiono i seguenti. a) Il momento in cui deve essere consegnata la fideiussione: il legislatore ha stabilito che il costruttore debba procurare il rilascio della fideiussione o consegnarla «all’atto della stipula del contratto» ovvero «in un momento precedente» anche se appare difficile immaginare che la fideiussione possa essere consegnata addirittura prima della stipula del contratto preliminare. La contestualità tra consegna della fideiussione e stipulazione del contratto potrà costituire, a mio avviso, un intralcio alla contrattazione soprattutto in considerazione dei lunghi tempi di rilascio delle fideiussioni. La realtà delle negoziazioni immobiliari mi suggerisce che, al momento del raggiungimento dell’accordo, esso non potrà essere immediatamente formalizzato con la stipulazione del contratto preliminare. Tale momento dovrà essere rimandato a quando il costruttore sarà in grado di consegnare la fideiussione. Forse un aiuto alla celerità della contrattazione potrà venire dall’art. 2.1 che prevede la possibilità di rilasciare una fideiussione «anche secondo quanto previsto dall’art. 1938 Codice civile» e quindi anche nella forma di una fideiussione per obbligazione futura, ossia una fideiussione che vedrà aumentare il suo importo con il pagamento delle rate di prezzo dilazionate, pur nell’ambito di un importo massimo previsto. Il costruttore potrà prevedere rate di uguale importo per determinate categorie di appartamenti aventi lo stesso valore e preparare così per tempo la fideiussione con l’istituto bancario, riservandosi di completarla con il nome dell’acquirente, di volta in volta oppure si può ipotizzare (3) la stipulazione di un contratto preliminare sospensivamente condizionando il rilascio di una fideiussione entro un certo termine. In tal modo si può subito sottoscrivere il contratto preliminare e, al contempo, evitare la nullità del contratto per la mancanza del contestuale rilascio della fideiussione; il primo pagamento potrà avvenire al momento dell’avverarsi della condizione, ossia al rilascio della fieiussione; b) i soggetti che possono rilasciare la fideiussione: sono banche, assicurazioni e anche gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del D.Lgs. 1°settembre 1993, n. 385; c) l’oggetto: l’obbligazione garantita dalla fideiussione non è l’adempimento del contratto, ma la restituzione delle somme versate dall’acquirente; d) l’escussione: il diritto dell’acquirente ad escutere la fideiussione sorge in quattro ipotesi ben definite e tali da non lasciare incertezza o da non consentire eccezioni al diritto dell’acquirente di escutere. Tali ipotesi elencate all’art. 3, secondo comma, sono: a) la trascriNota: (3) A. Busani, Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2005, 29. EDITORIALE•PROPRIETÀ IMMOBILIARE zione del pignoramento relativo all’immobile oggetto del contratto; b) la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa; c) la presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo; d) la pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza o, se anteriore, del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria. Il legislatore ha posto solo un onere e un limite al diritto dell’acquirente di escutere la fideiussione, stabilendo che nell’ipotesi di cui alla lettera a) l’acquirente abbia comunicato al costruttore la propria volontà di recedere dal contratto e nelle ipotesi di cui alle lettere b), c) e d) che l’organo della procedura concorsuale non abbia comunicato per primo la sua volontà di subentrare nel contratto preliminare; e) natura: ci si è domandati se la fideiussione abbia la valenza di un contratto autonomo di garanzia, con la possibilità per l’acquirente di escutere immediatamente la fideiussione a prescindere dalle eccezioni fondate sul rapporto principale o sul contratto di fideiussione (4). A mio avviso, si tratta di una fideiussione in senso stretto e non a prima richiesta non essendovi nella legge qualcosa che legittimi la configurazione della fideiussione come contratto autonomo di garanzia; f) efficacia: l’efficacia cessa al momento del trasferimento della proprietà dell’immobile; g) sanzioni in caso di mancato rilascio: il mancato rilascio della fideiussione comporta nullità del contratto, nullità che può essere fatta valere solo dall’acquirente (5); la legge non prevede il caso in cui l’importo della fideiussione e i contenuti della stessa non siano quelli previsti dal decreto ma, a mio avviso, se il promissario acquirente riceve una fideiussione di importo diverso, ovvero minore, del prezzo indicato nel preliminare o a condizioni diverse, può comunque far valere la nullità dello stesso. Polizza assicurativa I l costruttore ha l’obbligo di contrarre una polizza assicurativa decennale a beneficio dell’acquirente, con effetto dalla data di ultimazione dei lavori, a copertura dei danni materiali e diretti all’immobile, compresi i danni ai terzi. Gli aspetti da considerare sono: a) quando deve essere stipulata: al momento del trasferimento della proprietà, con effetto dalla data di ultimazione dei lavori; b) quale è l’oggetto: il risarcimento per danni derivanti (ai sensi dell’articolo 1669 del Codice civile) da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, e comunque manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione. Non è chiaro come calcolare l’importo della polizza, se questo può essere modificato in relazione al passare del tempo e al diminuito valore dell’immobile (ma questa scelta implica chiarezza sul primo punto ossia su come calcolare il valore della polizza stessa: costo di costruzione, valore di mercato dell’immobile ecc.), se debba essere consegnata una polizza pro-quota millesimale ad ogni acquirente o possa essere consegnata una unica polizza all’amministratore del costituendo condominio. Contenuti del contratto L’ art. 6 indica i contenuti minimi che deve avere «il contratto preliminare ed ogni altro contratto… che sia comunque diretto al successivo acquisto in capo ad una persona fisica della proprietà… su un immobile da costruire». Si discute se questa norma, dato il mancato richiamo dell’art. 5, si applichi dal 21 luglio a qualsiasi contratto preliminare che riguardi edifici da costruire, oppure si applichi solo a quei contratti che abbiano ad oggetto edifici da costruire per i quali il titolo abitativo sia richiesto dopo il 21 luglio (6). Non è certamente la prima volta che il legislatore detta prescrizioni sul contenuto di un contratto, senza indicare le conseguenze dell’inosservanza delle prescrizioni stesse (7). È già infatti sorto un vivace dibattito tra i primi commentatori della Legge Delega sulle conseguenze della mancanza delle prescrizioni minime contenute nel primo comma dell’art. 6 (8). Le tesi sono sostanzialmente due: vi è chi sostiene che la mancanza delle indicazioni (di tutte le indicazioni) imposte dall’articolo 6 determini la nullità del contratto per violazione di norme imperative di ordine pubblico e che quindi si debba parlare di nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418 del Codice civile e vi è chi sostiene che la mancanza delle indicazioni imposte dall’art. 6 debba essere considerata alla stregua della violazione di un Note: (4) A. Busani, Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2005, 27. (5) Un precedente in questo senso in tema di multiproprietà, all’ art. 7, D.Lgs. n. 427/98, con funzioni però di garanzia dell’ultimazione lavori e quindi di performance bond, dove «il venditore è obbligato a prestare fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia della ultimazione dei lavori di costruzione del bene immobile, con conseguente nullità del contratto» e per altri casi previsti dalle leggi speciali, cfr. C. Leo in La Multiproprietà, di G. De Nova, P.F. Giuggioli e C. Leo, commento sub. art. 7, nota 135, in Collana Prima Lettura, Ipsoa, 1999. (6) A. Butani, Il Sole 24 Ore del 7 luglio 2005, 22. (7) G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 451 e ss; G. De Nova, Trasparenza e connotazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 940 e ss; U. Morello, L’oggetto della nuova disciplina:multiproprietà reale ecc., in questa Rivista, 1999, 68; C. Leo, Il Franchising sub commento art .3, 14 e ss., Collana Prima Lettura, Ipsoa, 2004 e note ivi citate; nel senso della nullità del contratto: F. Gambaro e A. Martini, La subfornitura cinque anni dopo, in Contr. e Impresa/Europa, 2003, 552. (8) L’art. 6 nel secondo comma prevede inoltre che «agli stessi contratti devono essere allegati» due ordini di documenti: il capitolato tecnico descrittivo dell’immobile oggetto di contrattazione e gli elaborati progettuali. I CONTRATTI N. 8-9/2005 747 EDITORIALE•PROPRIETÀ IMMOBILIARE obbligo di trasparenza e di informazione e che quindi la sanzione debba essere quella che consegue ad un inadempimento precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale. Ora, a me pare che non si possa parlare né sempre di nullità né sempre di inadempimento agli obblighi di informazione e quindi di responsabilità, e che la sanzione vada valutata e definita volta per volta. Infatti, se le finalità perseguite dal legislatore vogliono assicurare una maggiore specificazione dell’oggetto del contratto e del contenuto delle prestazioni dovute, l’indagine, caso per caso, di ogni specifica indicazione dell’articolo 6 porterà a verificare se detta mancanza comporti una indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto ai sensi dell’art. 1346 Codice civile e quindi la nullità del contratto ex art. 118 Codice civile. Ugualmente non si può escludere o ammettere del tutto l’inadempimento e la conseguente responsabilità ma, a mio avviso, va ricercata e applicata nei casi in cui il costruttore non ha denunciato l’esistenza di situazioni giuridiche o di fatto (soprattutto qualitative) attinenti all’immobile. Esenzione e limiti alla esperibilità della azione revocatoria I l decreto introduce esenzioni e limiti alla esperibilità della revocatoria fallimentare, escludendo espressamente (art. 10, primo comma) che possano formare oggetto di revocatoria fallimentare gli atti a titolo oneroso di trasferimento della proprietà (o altro diritto reale di godimento) di immobili che siano adibiti a residenza dell’acquirente o di un parente o affine entro il terzo grado e, a condizione che tali atti siano stati posti in essere al «giusto prezzo», da valutare non alla data della stipula del contratto definitivo, bensì del preliminare. Per l’operatività della norma devono quindi verificarsi due presupposti: a) l’uso abitativo dell’immobile (solo per immobili destinati ad abitazione dell’acquirente o di affini e parenti); b) il giusto prezzo corrisposto. Quanto al momento in cui valutare tale «giusto prezzo» è rilevante che, trattandosi di acquisto posto in essere in esecuzione degli impegni assunti con il preliminare, il legislatore ha ritenuto di fissare alla data di stipulazione di tale contratto il momento temporale al quale ancorare la valutazione di congruità del prezzo pagato, prescindendo dai valori correnti al momento della conclusione del contratto definitivo. Ciò in controtendenza con il consolidato orientamento dei giudici secondo cui il momento rilevante per la determinazione del valore dei beni sia quello del contratto definitivo. Ciò detto, la norma pone un problema di coordinamento con le modifiche introdotte, in tema di revocatoria, all’art. 67 Legge fall. dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, c.d. decreto competitività (e dalla legge di conversione 80/2005) che ha, infatti, introdotto una serie di esenzioni alla esperibilità della revocatoria tra cui quella relati- 748 I CONTRATTI N. 8-9/2005 va alle «vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti o affini entro il terzo grado» (art. 2, D.L. n. 35/2005, conv. Legge 14 marzo 2005, n. 80). Molte le differenze tra il nuovo art. 67 della legge fallimentare e la norma del decreto in esame: a) il decreto si applica solo agli immobili da costruire, mentre la disposizione della legge fallimentare trova applicazione alle vendite di qualsiasi immobile e quindi anche alle vendite da parte di soggetti diversi dal costruttore; b) il decreto si applica a tutti i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà e di un diritto reale, mentre la disposizione della legge fallimentare riguarda solo le vendite (ad effetti reali); c) entrambe le disposizioni fanno riferimento all’uso abitativo dell’immobile, ma solo il decreto prevede un impegno, che deve risultare in atto, da parte dell’acquirente a stabilire, entro 12 mesi dall’acquisto o dalla ultimazione dell’immobile, la propria residenza o la residenza di un parente o affine entro il terzo grado; d) entrambe le disposizioni fanno riferimento al giusto prezzo, senza fornire tuttavia alcun criterio, anche quantitativo, per chiarire come definire il «giusto prezzo». Ora probabilmente si dovrà aver riguardo al prezzo di mercato e, una volta individuato tale parametro, si dovrà stabilire entro quali limiti sia consentito discostarsene, senza che ciò comporti perdita del presupposto per ottenere l’esenzione dalla revocatoria (nel decreto, peraltro, manca il riferimento previsto dall’art. 67 Legge fall., nella quale si considerano, ad esempio «le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte che sorpassano di oltre un quarto ciò che è stato dato o promesso al fallito medesimo»). Altre previsioni P er i limiti di questo lavoro, mi soffermerò solo brevemente sulle norme degli art. 7 (Modificazioni art. 39 T.U. 1° settembre 1993, n. 385) e dell’art. 8 (Obbligo di cancellazione e frazionamento dell’ipoteca antecedente alla compravendita) che prevedono il diritto alla suddivisione in quote del finanziamento ed il corrispondente frazionamento dell’ipoteca iscritta a garanzia nonché il diritto a che l’eventuale cancellazione dell’ipoteca o del pignoramento gravante sull’immobile possa avvenire prima (o contestualmente) della stipulazione del contratto definitivo di compravendita. Viene ampliato il novero dei soggetti aventi diritto a chiedere la suddivisione del finanziamento aggiungendo il promissario acquirente e l’assegnatario e si prevede il ricorso all’Autorità Giudiziaria per la nomina di un notaio che provveda ai predetti adempimenti, qualora la Banca ometta di provvedervi entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta. L’art. 8, in particolare, stabilisce che il notaio non possa stipulare il contratto definitivo di compravendita se il finanziamento non sia suddiviso in quote o non sia stata cancellata o frazionata l’ipoteca o il pignoramento gravante sull’immobile. EDITORIALE•PROPRIETÀ IMMOBILIARE L’art. 9 attribuisce all’acquirente che abbia ottenuto la consegna dell’immobile e lo abbia adibito ad abitazione principale per sé o per un proprio parente di primo grado, il diritto di essere preferito nell’acquisto di detto immobile nel caso di vendita all’incanto dello stesso, al medesimo prezzo e condizioni fissate in sede di asta. È una prelazione obbligatoria, inopponibile ai terzi in caso di aggiudicazione dell’immobile. Infine il Fondo di solidarietà che viene previsto dall’art. 12 all’art. 18 del Decreto in commento, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze, ha lo scopo di indennizzare gli acquirenti che in caso di insolvenza dei costruttori abbiano subito un danno (nel periodo dal 31 dicembre 1993 alla data di entrata in vigore del decreto) o abbiano perso la proprietà dell’immobile a seguito dell’azione revocatoria esercitata ai sensi dell’art. 67 Legge fall. Il Fondo verrà alimentato con un prelievo a carico dei costruttori che richiedono il rilascio delle fideiussioni da consegnare ai loro acquirenti ai sensi del decreto in commento, l’Istituto che rilascerà la fideiussione percepirà dal costruttore richiedente, e poi verserà al Fondo, un importo pari al 4 per mille del valore della fideiussione (importo che dopo il primo anno potrà variare ma mai superare il 5 per mille). Conclusioni Q ueste norme, nonostante qualche mancato coordinamento, qualche imperfezione di tecnica legislativa, alcuni vuoti di disciplina e la mancata soluzione del problema dei pagamenti non risultanti dal contratto (che influenzerebbe la disciplina della fideiussione) o dell’occultamento di corrispettivo tra il prezzo effettivamente pagato e risultante dal preliminare e quello indicato nel contratto definitivo ai fini di risparmio fiscale, sono in realtà un buon passo avanti non solo al fine di tutelare l’acquirente dalla perdita delle somme versate in sede di contratto preliminare di immobile in corso di costruzione, per le situazioni di crisi dei costruttori, ma anche al di fuori di questa ipotesi. Alcune norme infatti hanno valenza generale: quelle che prevedono il contenuto minimo obbligatorio del contratto preliminare o quelle che impongono l’obbligo del costruttore di fornire garanzie per il risarcimento del danno per vizi e difformità dell’immobile ai sensi dell’art. 1669 Codice civile sono dirette a rendere il mercato immobiliare più informato, trasparente e sicuro. Si tratterà di monitorare l’applicazione di queste nuove norme e, in particolare, di verificare se e come i costi di queste garanzie influenzeranno il mercato immobiliare, magari gravando sul prezzo degli immobili e quindi, in ultima analisi, sugli stessi promissari acquirenti. I CONTRATTI N. 8-9/2005 749 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE Interpretazione Principio di conservazione e nullità del contratto Cassazione Civile, sez. II - Sentenza del 23 dicembre 2004, n. 23936 Pres. Calfapietra - Rel. Piccialli - P.M. Fuzio (Conf.) - Ric. G. - Res. V. M. O. Contratti in genere - Interpretazione - Conservazione del contratto - Interpretazione idonea a dare comunque significato alla contrattuale - Sussidiarietà del criterio - Utilizzabilità - Fattispecie In tema di interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 Codice civile comporta che, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno. (Nella specie, relativa all’obbligazione contrattuale di eradicare una pianta infestante, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che, accertata l’impossibilità della scomparsa definitiva, allo stato della scienza e della tecnica agraria, aveva escluso che si trattasse di contratto nullo per impossibilità dell’oggetto, in quanto era inverosimile che le parti avessero dedotto in contratto un’obbligazione di tal genere e non piuttosto la scomparsa temporanea dell’infestante). Svolgimento del processo on atto notificato in data 4 agosto 1990 la ditta M., meglio in epigrafe indicata, citò al giudizio del Tribunale di Pordenone C. G., al fine di sentirlo condannare al pagamento della somma di Lire 20.372.998, oltre interessi, a titolo di insoluto corrispettivo di lavori di giardinaggio eseguiti presso l’abitazione del convenuto. Costituitosi quest’ultimo, eccepiva che la prestazione convenuta con l’appaltatrice, prevedente tra l’altro e segnatamante il diserbo del giardino, era rimasta incompleta o comunque non era stata eseguita a regola d’arte, tant’è che nel terreno erano ricomparse le preesistenti erbe infestanti; si dichiarava, pertanto, disposto al concordato pagamento solo a condizione che l’attrice avesse provveduto alla bonifica, chiedendo invece, che in caso contrario o di impossibilità della stessa, il contratto venisse dichiarato risolto per inadempimento della ditta M., con condanna della stessa al risarcimento dei danni. Con sentenza del 16 ottobre 1996, confermativa di ordinanza ex art. 186 quater Codice di procedura civile l’adito Tribunale, sulla scorta delle risultanze della prova testimoniale e dell’espletata c.t.u., condannava il convenuto al pagamento della somma richiesta dall’attrice, oltre agli interessi legali ed alle spese. Proposto dal G. rituale appello, resistito dalla ditta M., con sentenza del 10 maggio-17 ottobre 2000 la Corte d’Appello di Trieste respingeva il gravame, confermando la decisione di primo grado e condannando l’appellante alle ulteriori spese. Le sentenze di merito hanno ritenuto provato, attraver- C so la prova testimoniale, e confermato, dalle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, che la ditta M. avesse interamente e correttamente eseguito la prestazione dedotta in contratto, segnatamente quella concernente il diserbo del giardino, mediante l’eliminazione della pianta infestante (c.d. «equiseto»), la cui ricomparsa, non eliminabile irreversibilmente secondo lo «stato della scienza e della tecnica agraria ... era da attribuirsi alla incuria della manutenzione da parte del proprietario» del giardino. Avverso tale decisione il G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; resiste l’intimata con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria Motivi della decisione on il primo motivo di ricorso viene dedotta «omessa e comunque insufficiente ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia». La sentenza di appello, sostanzialmente riassuntiva di quella di primo grado, avrebbe omesso di individuare l’esatta natura del contratto in questione e, segnatamente, l’oggetto della prestazione dell’appaltatore, che non sarebbe stata limitata alla scomparsa temporanea dell’«equiseto», ma al definitivo eradicamento di tale erba infestante dal prato. Tale prestazione, come confermato dalla relazione del c.t.u., non sarebbe stata adempiuta, essendo emerso che gli eseguiti «interventi di erpicatura e diserbo», ai quali non avevano fatto seguito trattamenti idonei ad evitare la ripresa vegetativa delle piante infestanti, non avevano C I CONTRATTI N. 8-9/2005 751 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE conseguito il desiderato e convenuto effetto irreversibile. Illogicamente, poi, sarebbe stato desunto dalle dichiarazioni, peraltro anche contraddittorie, dei testi, limitatisi a riferire di non aver visto nel prato, «al termine dell’intervento M.», dette piante, la circostanza dell’effettivo eradicamento delle stesse. Strettamente connesso è il secondo motivo, con il quale si censura «omessa motivazione e comunque insufficienza e contraddittorietà della stessa», per avere la Corte di merito, da un lato, affermato che la ditta M. aveva «adempiuto alla propria obbligazione di eradicare l’equiseto», pur avendo, per altro verso, considerato di «oggetto impossibile» detta obbligazione, «in quanto alla luce della scienza e della tecnica agraria attuali l’eradicamento non era possibile». Le suesposte censure non sono meritevoli di accoglimento. La Corte di merito non si è sottratta all’obbligo di individuare l’oggetto essenziale della prestazione, a carico della ditta appaltatrice, indicandola, sulla scorta delle citate risultanze documentali, nell’eradicamento totale della pianta infestante dal prato. Né è incorsa in contraddizione o illogicità al riguardo, nella parte in cui ha implicitamente confermato quella parte della motivazione della sentenza di primo grado, riportata nella narrativa della sentenza d’appello, secondo la quale la scomparsa definitiva dell’equiseto doveva considerarsi prestazione di oggetto impossibile allo stato della scienza e tecnica agraria», considerato che siffatta asserzione non equivaleva ad affermare che la prestazione dedotta in contratto sarebbe stata impossibile (ipotesi nella quale il contratto sarebbe stato affetto da nullità, ex artt. 1418 in rel. 1346 Codice civile), bensì solo che, tenuto conto dell’impossibilità di siffatto risultato, non era plausibile la tesi che le parti avessero dedotto in contratto un’obbligazione di tal genere. Così argomentando i giudici di merito hanno fatto buon governo della regola di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1367 Codice civile, a termini della quale, nel dubbio deve propendersi per quella interpretazione del contratto o delle singole clausole che ne consentano la conservazione. A tale individuazione della prestazione contrattuale incombente sulla ditta M. ha fatto seguito, da parte dei giudici di merito, l’accertamento dell’avvenuta puntuale esecuzione della stessa, sulla scorta delle riferite risultanze delle testimonianze (le cui ritenute attendibilità ed univocità non possono essere più rimesse in discussione nella presente sede), a termini delle quali il trattamento con il diserbante era stato ripetuto (fino a quattro volte), portando alla scomparsa, constatata de visu dai deponenti, delle piante infestanti in questione. Considerato che con la parola «scomparsa», secondo la comune accezione del termine, deve intendersi l’assenza per un apprezzabile lasso di tempo, ma non la eliminazione definitiva ed irreversibile dell’oggetto indesiderato (nella specie dell’«equiseto»), deve ritenersi che coeren- 752 I CONTRATTI N. 8-9/2005 te al compiuto accertamento è la conclusione, sorretta dal richiamo al parere del c.t.u., secondo la quale la ricomparsa, a distanza di tempo, delle piante infestanti non è da imputare alla negligente o imperita esecuzione della prestazione da parte della ditta M., ma alla successiva incuria della parte attrice nella manutenzione del giardino, non oggetto di ulteriori interventi che avrebbero consentito il consolidamento o comunque la maggiore durata degli effetti del trattamento, di erpicatura e diserbo, da quella posti in essere. Il suesposto apparato argomentativo della decisione impugnato si presenta, dunque, adeguato, resistendo alle censure del ricorrente, che si risolvono in palesi tentativi di rimettere in discussione, nella presente sede di legittimità, accertamenti di merito ormai incensurabili. Il ricorso va, pertanto, respinto; le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro duemilacento, di cui euro duemila per onorari. GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE IL COMMENTO di Cristina Menichino La sentenza in commento, arricchendo gli scarsi precedenti applicativi della regola ermeneutica di cui all’art. 1367 Codice civile, decide un caso in cui è stato applicato il principio di conservazione in caso di dubbio sulla validità di un contratto, in presenza di una clausola ambigua relativa ad una prestazione che, tra due significati plausibili, poteva essere interpretata sia come possibile sia come impossibile. Il commento intende fornire una riflessione sul percorso logico ed argomentativo effettuato dalla Corte di Cassazione, presentando anche una casistica relativa all’applicazione giurisprudenziale del principio di conservazione in ipotesi di contratto nullo. Premessa «Magis valeat quam pereat», questo il noto passo riportato dai compilatori giustinianei (1), cui si sono ispirate le norme del codice abrogato e di quello attuale sul principio di conservazione del contratto applicabile in tema di interpretazione. Dal «valere», nel senso di attribuire valore o validità all’atto giuridico, e dalla necessità che l’affare sia mantenuto stabile (secondo l’ulteriore passo delle fonti romane tramandatoci dalla tradizione: «Quotiens in stipulationibus ambigua oratio est, commodissimum est id accipi, quo res, qua de agitur, in tuto sit») (2), si è passati - come attestato anche dall’evoluzione linguistica del termine - all’opportunità di conservare il contratto e le sue clausole e di interpretarli, in caso di dubbio, nel senso che questi possano avere «qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno» (riprendendo l’espressione che si ritrova nell’art. 1367 Codice civile). Se, attualmente, dal punto di vista etimologico conservare significa «mantenersi, rimanere, anche dopo un lungo tempo, in un determinato stato» (3), è necessario verificare cosa si intende dal punto di vista giuridico conservare il contratto o le sue clausole; se per avere un «qualche effetto» giuridico, espresso nell’art. 1367 Codice civile, si intende un «qualche significato utile» o il «massimo significato utile» tra quelli possibili; se il principio di conservazione abbia una capacità espansiva al di là dell’ambito dell’interpretazione consentendo di convertire il contratto nullo. Queste sono principalmente le problematiche sottese alla decisione che si commenta. Il caso Una ditta appaltatrice agiva in giudizio contro Tizio, proprietario di un giardino, per il pagamento del corrispettivo per l’esecuzione di lavori di giardinaggio e di diserbo del giardino svolti a favore dello stesso. Tizio eccepiva la incompletezza o la non corretta esecuzione della prestazione, posto che non erano state eli- minate del tutto dal giardino le erbe infestanti (in particolare l’«equiseto»), poi ricomparse in epoca successiva all’intervento dell’appaltatrice. Le sentenze di primo e di secondo grado condannavano Tizio al pagamento del prezzo, ritenendo provato per testi e confermato dalle risultanze della C.T.U. che la ditta esecutrice delle opere avesse eseguito la prestazione dedotta in contratto mediante l’eliminazione della pianta infestante, e che comunque secondo «lo stato della scienza e della tecnica agraria» tale pianta non era eliminabile irreversibilimente, e che nella specie la sua ricomparsa era imputabile ad incuria del proprietario del giardino. Tizio ricorreva in Cassazione denunziando la insufficienza ed illogicità della motivazione della sentenza (per non avere individuato la prestazione dell’appaltatrice); nonché la contraddittorietà della stessa (per avere deciso che la ditta avesse adempiuto la sua obbligazione, nonostante questa fosse stata ritenuta impossibile). La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di secondo grado, respingeva il ricorso. Quanto al primo motivo di impugnazione, sosteneva che la Corte d’Appello avesse correttamente individuato l’oggetto della prestazione consistente nell’eradicamento «totale» della pianta infestante. Affrontando il secondo motivo del ricorso, la Corte di Cassazione è partita dalla premessa che l’oggetto della prestazione fosse di significato dubbio, come sembra emergere dalla lettura della sentenza sebbene la motivazione non sia proprio lineare sul punto. L’alternativa offerta dalla clausola ambigua era relativa al significato dell’«eradicamento totale» della pianta infestante: se per esso dovesse intendersi l’eliminazione «definitiva» o solo la eliminazione «temporanea». Il primo dei due significati avrebbe reso la prestazione impossibile - perché era stato accertato che la scomparsa definitiva della pianta infestante sarebbe stato impossibile secondo lo stato della scienza e della tecnica del momento - e conseguentemente il contratto nullo ai sensi degli artt. 1418 e 1346 Codice civile. Note: (1) Giuliano, in Digesto, 34, 5, 12. Il passo integrale è: «Quotiens in actionibus aut in exceptionibus ambigua oratio est, commodissimum est id accipi, quo res, de qua agitur magis valeat quam pereat», che può essere interpretato liberamente nel seguente modo: ogni qual volta nelle azioni o eccezioni il discorso è ambiguo, la cosa più conveniente è di intenderlo nel modo che l’affare, di cui si tratta, abbia validità piuttosto che venga meno. (2) Ulpiano, in Digesto, 45, 1, 80. Secondo un’interpretazione letterale e libera: ogni qual volta nelle convenzioni verbali il discorso è ambiguo, la cosa più conveniente è di intenderlo nel modo, onde assicurare l’affare, di cui si tratta. (3) N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, XI ed., Zanichelli, Bologna, 1987. I CONTRATTI N. 8-9/2005 753 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE La Corte scioglieva il dubbio considerando che «secondo la comune accezione del termine» per la parola «scomparsa» deve intendersi «l’assenza per un apprezzabile lasso di tempo ma non la eliminazione definitiva ed irreversibile dell’oggetto considerato (nella specie dell’“equiseto”)». Dopodiché la Corte di Cassazione - riportando la motivazione della Corte d’Appello - ha affermato che menzionare la «scomparsa definitiva» «non equivaleva ad affermare che la prestazione dedotta in contratto sarebbe stata impossibile», ma che, «tenuto conto dell’impossibilità di tale risultato non era plausibile la tesi che le parti avessero dedotto in contratto un’obbligazione di tal genere». La Corte così argomentando ha optato per l’interpretazione che attribuisce un «effetto utile» alla clausola ambigua (ed in questo caso l’effetto utile è di considerare la prestazione dell’appaltatore «possibile» nel dubbio tra un significato che conserva il contratto ed uno che lo rende senza effetto), facendo applicazione dell’art. 1367 Codice civile, in virtù del quale - osserva la stessa Corte - «nel dubbio deve propendersi per quella interpretazione del contratto o delle singole clausole che ne consentano la conservazione». I presupposti per l’applicazione del principio Il principio di cui all’art. 1367 Codice civile deriva dall’art. 1132 cod. abrogato che disponeva: «quando una clausola ammette due sensi, si deve intendere nel senso per cui può la medesima avere qualche effetto, piuttosto che in quello per cui non ne potrebbe avere alcuno» (4). Tale norma a sua volta trae origine dall’art. 1157 del Code Civil (5) che aveva quasi testualmente riprodotto l’insegnamento di Pothier (6), il quale si era ispirato ai testi classici riportati nella compilazione giustinianea (7). Ora la norma del codice del 1942, rispetto all’art. 1132 del codice del 1865, applica il principio di conservazione non solo alla singola clausola ma anche al contratto, ed ha come presupposto non più il significato con «due sensi», ma il «dubbio» nel suo significato (8). Si è osservato che il principio, che costituisce una massima di esperienza elevata a norma di principio (9), ispira l’intero ordinamento giuridico nazionale, ed è previsto nella maggior parte delle codificazioni moderne (10). Ha la funzione di assicurare il rispetto del regolamento di interessi voluto dalle parti ed i valori giuridici sottesi alla dichiarazione, nel senso di garantire la massima realizzazione dell’autonomia privata espressa dall’art. 1322, secondo comma, Codice civile (11). Si è precisato in particolare che l’art. 1367 Codice civile tende alla «conservazione dell’attività giuridica» in senso lato, ossia di una comune intenzione delle parti in senso oggettivo, ossia quella di stipulare e di dare vita ad un regolamento di interessi, e sceglie la soluzione che dà «valore» all’atto giuridico (regola desunta dal noto aforisma romano «magis valeat quam pereat») e/o all’efficienza 754 I CONTRATTI N. 8-9/2005 giuridica del negozio (intesa come esigenza dell’ordinamento) (12). Sul presupposto della serietà di propositi di chi emette una dichiarazione di volontà (13), il principio sarebbe idoneo a vincolare le parti sul piano giuridico (14). In definitiva, la formula tende alla conservazione dell’attività giuridica, o a dare valore all’atto giuridico, ad attribuire allo stesso efficacia o efficienza giuridica. Quanto alle sue modalità operative, il principio di cui all’art. 1367 Codice civile è considerato un criterio di natura oggettiva, in quanto presuppone una clausola o un contratto con significato ambiguo o dubbio, con funzione sussidiaria, in quanto si applica quando il ricorso ai Note: (4) Affrontano l’analisi della norma, G. Messina, Negozi fiduciari, ora in Scritti giuridici, I, Milano, Giuffrè, 1948, 95 ss; S. Pugliatti, Istituzioni di diritto civile, Milano, Giuffrè, 1933, 511; C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, in Rist. anastatica (rispetto all’edizione del 1938), Padova, Cedam, 1983, 162 ss.. A Grassetti, come ben noto, si deve la revisione critica dell’insegnamento tradizionale e la sua elaborazione di una teoria dell’interpretazione ha influenzato la redazione delle attuali norme sull’interpretazione. (5) «Lorsqu’une clause est susceptible de deux sens, on doit plutôt l’entendre celui dans lequel elle peut avoir quelque effet, que dans celui dans lequel elle n’en pourroit avoir aucun». (6) Traité des obligations, Nouvelle Édition par M. Bernardi, Letellier, Paris, 1805, I, n. 92: «Lorsqu’une clause est susceptible de deux sens, on doit plutôt l’entendre dans celui avec lequel elle peut avoir quelque effet, que dans le sens avec lequel elle n’en pourrait produire aucun». (7) Vedi i passi di Ulpiano (in Digesto, 45, 1, 80) e di Giuliano (in Digesto, 34, 5, 12), citati in nota 1. Su questi aspetti storici si rinvia a C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, cit., 162 ss.; nonché Id., Conservazione (principio di), in Enc. dir., IX, 1961, 173. (8) L’art. 1367 Codice civile dispone: «Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno». (9) M. Casella, voce Negozio giuridico (Interpretazione), in Enc. dir., XXVIII, Milano, Giuffrè, 1978, 20, che afferma: «nell’esperienza giuridica ispirata a criteri di economia, ogni atto si deve ritenere produttivo di qualche effetto, piuttosto che di nessuno». (10) C. Grassetti, voce Conservazione (principio di), cit., 173. (11) G. Stella Richter, Il principio di conservazione del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, 411; G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. al cod. civ., libro IV, II, II ed., Utet, Torino, 1967, 249. (12) L. Bigliazzi Geri, L’interpretazione del contratto, in Cod. civ. comm., diretto da Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1991, osserva: «E ciò che essa dice è che, di fronte ad un atto che ammetta due interpretazioni tutte ugualmente plausibili, ma una delle quali, se adottata, condurrebbe all’inefficienza dello stesso (perché nullo o perché privo di valore negoziale), l’interprete non può che scegliere l’altra (…). Magis valeat quam pereat, dunque: ma non il contratto, bensì, si ripete, un contratto, che, ad uscir di dubbio, la legge impone alle parti in virtù di una scelta che sembra trovare in un’oggettiva esigenza di regolarità ed efficienza giuridica (non in una presumibile volontà in tal senso orientata) il criterio risolutore dell’alternativa. È in tal senso quindi che si può considerare l’art. 1367 norma sulla conservazione dell’attività giuridica capace di esprimere quel profilo di essa che si traduce nel noto aforisma già enunciato (magis valeat quam pereat)». (13) Grassetti C., voce Conservazione, cit., 173. (14) C. Scognamiglio, L’interpretazione, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 1999, 977. GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE criteri dagli artt. 1362 a 1365 non ha dato esito positivo (15), i quali sono diretti ad accertare la volontà in concreto delle parti e prescindono dall’ambiguità della dichiarazione (16). Il principio di conservazione tende, secondo una parte della dottrina, ad individuare non la volontà in concreto, ma «la presumibile volontà espressa nella dichiarazione, considerando come effettivo un valore soltanto presumibile» (17). Secondo altri autori, invece, l’art. 1367 Codice civile non contempla l’ipotesi di una volontà neppure presunta, ma ha solo l’intento di intepretare il contratto affinché possa avere un effetto giuridico (18). Per parte nostra, riteniamo di condividere quest’ultima interpretazione perché laddove vi è un criterio oggettivo, non vi può essere un’indagine sulla volontà neppure ipotetica, che costituirebbe una finzione giuridica. La tendenza attuale verso il favor contractus L’indagine ermeneutica è relativa e condizionata dal periodo storico e dal contesto sociale di riferimento, nonché dai valori sottesi allo stesso (19). L’indagine secondo il criterio di cui all’art. 1367 Codice civile è un tipo d’interpretazione «tecnica», che è quella che si inquadra «nella totalità dell’ambiente sociale, secondo le vedute in esso correnti circa l’autonomia privata» (20). Certamente il significato che aveva la formula «conservare la clausola» nel vigore dell’art. 1132 del cod. abrogato e «conservare il contratto» al momento dell’emanazione del codice nel 1942 è diverso di quello che ha nel 2005, perché prima vigeva il principio del dogma della volontà e l’operazione ermeneutica era rivolta a conservare l’atto di autonomia privata, attualmente ci si trova in un contesto in cui «la forza di legge del contratto trova smentite via via più numerose e rilevanti» (21) da parte delle norme imperative che disciplinano i contratti. Tuttavia nel contempo si registra un passaggio da un principio di conservazione del contratto, che trova scarse applicazioni giurisprudenziali, ad uno di favor contractus (22) nel senso della possibilità di mantenere in vita il negozio mediante alcune tecniche, come la rinegoziazione dei contratti a lungo termine (23), le clausole di severability (quelle che prevedono che la nullità di una clausola non comporta la nullità dell’intero contratto (24)), i patti di irresolubilità (25), ed anche alla luce di quanto dispongono le fonti sovranazionali (26) e le fonti persuasive in ambito europeo ed internazionale (27). La scelta per il significato che ha un «qualche effetto utile» o il «massimo effetto utile» L’espressione «avere qualche effetto» di cui all’art. 1367 Codice civile è stata intesa come «effetto utile», nel senso che non si dà valore al significato intelleggibile rispetto a quello inintelleggibile, posto che si presuppone che il contratto sia intelleggibile ma che l’interpre- te si trovi di fronte ad una scelta tra due significati, uno utile ed uno inutile (28). L’art. 1367 impone all’interprete di preferire la soluzione giuridicamente utile, idonea a «a determinare contenuti e modalità delle conseguenze giuridiche» (29). Una conseguenza di tale teoria è che sia necessario attribuire un effetto inutile alla clausola, quando un’inNote: (15) C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, cit., 110-112; 131-132, con riguardo agli artt. 11321135 e 1137 del Codice civile 1865. Negli stessi termini, Cass. 13 maggio 1998, n. 4815, in Corr. giur., 1999, 470. (16) F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, § 46, VIII ed., Milano, 1952, 588. (17) G. Stella Richter, op. cit., 416. (18) V. Rizzo, Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, ESI, Napoli, 1985, 334-335; L. Bigliazzi Geri, op. cit., 287 s.s., che nega il ricorso ad elementi presuntivi o probabilistici, quali quello della volontà in abstracto o ipotetica. N. Irti, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 1156, che osserva: «L’art. 1367 stabilisce la scelta del senso produttivo di effetti e l’abbandono dell’altro non produttivo di effetti, ma pure rivelato dal testo linguistico. Qui non c’è volontà vera né volontà presunta, ma soltanto l’esigenza si sfruttare il materiale significativo del contratto nella sua giuridica destinazione, che è appunto di servire all’effetto». (19) Lo sapevano bene i giuristi romani, come osserva L. Ceci, Le etimologie dei giureconsulti romani, Loescher, Torino, 1892, 15, secondo cui: «I giureconsulti interpreti del diritto (…) dovevano evidentemente ricorrere spesso all’etimo della parola. E siccome, pur mirando a conservare la parola e la formula tradizionale, non intendevano precludere la via ai nuovi bisogni giuridici della società - e qui, com’è noto - sta la grandezza della giurisprudenza romana - così nella parola vecchia cercavano di ravvisare il pensiero nuovo». (20) E. Betti, Teoria del negozio giuridico, II ediz., Torino, Utet, 1952, 348 e 362; Id., Interpretazione della legge e degli atti giuridici. Teoria generale e dogmatica, II ed. riveduta e ampliata a cura di Crifò, Milano, 1971, 403. (21) Lo rileva G. De Nova, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, 648. (22) L’espressione è di G. De Nova, Dal principio di conservazione al favor contractus, in Clausole e principi nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, a cura di L. Cabella Pisu e L. Nanni, Cedam, Padova, 1998, 306. (23) F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione del contratto a lungo termine, Napoli, Novene, 1996. (24) Come specificato da G. De Nova, op. ult. cit., 307. (25) Si veda per tutti F. Delfini, I patti sulla risoluzione per inadempimento, Kluwer Ipsoa, 1998. (26) G. De Nova, op. ult. cit., 306, testo e nota 6. (27) I Principi di diritto europeo dei contratti (versione italiana a cura di Castronovo, Parte I e II, Giuffrè, Milano, 2001, 330) all’art. 5:106 sulla conservazione del contratto dispongono: «Le clausole del contratto devono essere interpretate nel senso in cui esse sono lecite ed efficaci». Ed il commento ufficiale spiega che l’articolo è disposto in «favor negotii». Vedi anche art. 4.5 dei Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, Unidroit, Roma, 2004, secondo cui «Le clausole di un contratto devono essere interpretate nel senso in cui tutte possano avere qualche effetto anziché in quello in cui talune non ne avrebbero alcuno». (28) N. Irti, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., 11551156, citando il pensiero di G. Messina, Negozi fiduciari, cit., 96. (29) N. Irti, op. ult. cit., 1156. V. anche C. Grassetti, op. cit., 166, secondo cui bisogna scegliere per il significato che «dà valore all’esplicazione dell’autonomia privata». I CONTRATTI N. 8-9/2005 755 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE terpretazione che dà valore all’effetto utile comporterebbe la nullità del contratto (30). La dottrina è divisa sul punto se la norma legittimi un’interpretazione del «massimo significato utile», o di «qualche effetto utile», nel caso in cui vi siano più significati utili, ma ambigui. Secondo la tesi negativa, qualora vi siano più significati utili, non si deve ricorrere a tale norma, perché si utilizzano gli altri criteri interpretativi soggettivi (31). Secondo la tesi positiva, si deve scegliere l’effetto maggiore tra quelli possibili, perché il principio di conservazione ha una capacità espansiva (32). Vi è una tesi intermedia di chi ritiene vi sia la necessità di distinguere tra contratti con obbligazioni di una sola parte e contratti a prestazioni corrispettive, in questi ultimi l’interpretazione estensiva è ammissibile perché attribuisce il massimo risultato utile (33). Applicazioni giurisprudenziali del principio: il significato che ha «qualche effetto utile» La massima è ripetuta: «l’art. 1367 Codice civile non impone di attribuire all’atto un significato tale da assicurare la sua più estesa applicazione, ma richiede soltanto, per il principio di conservazione cui attende, che il significato attribuitogli possa avere un qualche effetto» (34). Per le applicazioni, si vedano i seguenti esempi. In una sentenza si è affermato che la disdetta da un contratto di locazione inidonea a produrre la cessazione del contratto alla scadenza voluta dal locatore, in quanto inosservante del termine fissato dagli usi, ha l’efficacia di produrre la cessazione della locazione per altra scadenza successiva (35). In un altro caso si è stabilito che la clausola stipulata tra una ditta appaltatrice ed un Comune, che stabiliva la competenza di un organo giurisdizionale, va interpretata non come deroga convenzionale alla competenza arbitrale prevista da una legge speciale (art. 43, D.P.R. n. 1063/1962), ma come semplice indicazione del foro competente nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale per danni a terzi (36). Un altro caso riguardava l’interpretazione di un contratto scritto di agenzia, che prevedeva il conferimento ad un agente dell’incarico accessorio di «supervisore», e di allegate note introduttive alle tabelle provvigionali, che collegavano il conferimento e la permanenza dell’incarico di supervisore alla permanenza delle condizioni che avevano determinato il conferimento dell’incarico stesso, stabilendo che la revoca dell’incarico di supervisore non poteva intervenire se non dopo un certo periodo di tempo dal venire meno delle condizioni di supervisore. La Corte di Cassazione ha ritenuto contraria al criterio ermeneutico stabilito dall’art. 1367 l’interpretazione delle note introduttive effettuata dal giudice di merito, «secondo cui l’incarico di supervisore sarebbe revocabile senza limitazione temporale alcuna e l’agente potrebbe essere immediatamente retrocesso da supervisore ad agente non supervisore» (37). 756 I CONTRATTI N. 8-9/2005 (segue) Il significato che ha il «massimo effetto utile» Vi è una parte della giurisprudenza che attribuisce valore al «massimo effetto utile» nell’interpretazione dei vari significati dubbi offerti dalla clausola (38). Un’applicazione interessante si riscontra in materia laburistica, nell’interpretazione di clausole della contrattazione collettiva relative al periodo di comporto in caso di malattia del lavoratore. Le clausole erano del seguente tenore «durante la malattia il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare» (39). Si è discusso sulla determinazione del concetto di malattia (se riferibile ad un unico o più eventi) e sulla individuazione dell’arco temporale (se relativo all’anno solare o di calendario) entro il quale calcolare il periodo di comporto ex art. 2110 Codice civile. Si è ritenuto, in relazione ad una clausola siffatta, che la malattia si riferisse non ad un unico fatto morboso, ma ad una pluralità di episodi di infermità anche intervellati temporalmente, che sommati ai fini del comporto raggiungevano il periodo di 180 giorni; quanto all’arco temporale, si è ritenuto che andasse individuato non nell’anno di calendario (dal 1° gennaio al 31 dicembre), ma nell’anno solare (ossia il periodo di 365 giorni che «secondo la comune accezione scientifica è l’intervallo di tempo fra due successivi ritorni del sole nell’equinozio di primavera») e qualunque ne fosse il periodo iniziale. Note: (30) C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, cit., 166. (31) G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Zanichelli, Bologna, 1943, 24 ss., 58-59. R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, II, III ed., Utet, Torino, 2004, 412, secondo cui «l’art. 1367 conduce ad optare per un significato validante anziché per uno frustrante: ma non conduce ad optare per il significato che porti ad effetti maggiori». Aderisce alla tesi negativa, ma senza motivazione, G. Mirabelli, Dei contratti in generale, cit., 282. Vedi inoltre C. Scognamiglio, op. cit., 978, secondo cui il massimo significato utile non appare sostenuto da una adeguato fondamento testuale né desumibile dai principi generali in tema di conservazione degli atti giuridici, inoltre il principio di conservazione è un criterio sussidiario. (32) C. Grassetti, voce Conservazione, cit., 175; E. Betti, Teoria, cit., 362363. Aderisce a tale insegnamento, M. Casella, voce Negozio giuridico (interpretazione), cit., 21. (33) G. Stella Richter, op. cit., 428-429. (34) Cass. 17 aprile 1997, n. 3293, in Mass. Foro it., 1997, c. 310. (35) Cass. 19 marzo 1979, n. 1601, in Rep. Giust. civ., voce Locazione di cose, n. 140. (36) Cass. 17 aprile 1997, n. 3293, cit. (37) Cass. 9 novembre 2001, n. 13920, in Mass. Foro it., 2001, 1115. (38) Cass. 1° settembre 1997, n. 8301, in Foro pad., 1998, 188, che afferma, in materia di apertura di un conto corrente bancario: «Il principio di conservazione (…) al contempo esso non deve, in virtù dell’interpretazione data, risultare, seppur in parte, frustrato o limitato nella sua efficacia potenziale». Vedi anche Cass. 2 marzo 1977, n. 869, in Giur. it., 1978, I, 1, 111. (39) Cass. 11 agosto 1977, n. 3721, Rep. Giust. civ., 1972, voce Lavoro (contratto collettivo), n. 41; Cass. 2 marzo 1977, n. 869, in Giur. it., 1978, I, 111. GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE Un’interpretazione diversa (nel senso di calcolare un solo evento morboso ininterrotto della durata di 180 giorni e riferito nell’arco di un anno di calendario), secondo la Corte, avrebbe tolto qualsiasi effetto alla clausola non consentendo al datore di lavoro di esercitare il recesso decorso il termine di sospensione ex art. 2110 Codice civile, perché ciò avrebbe permesso al lavoratore di tornare al lavoro al limite del superamento del periodo di comporto e poi, riammalatosi, di godere di un uguale periodo. In un altro caso riguardante un preliminare di vendita di un fondo agricolo ove il promittente aveva inserito una clausola, in cui si dava atto che il fondo promesso era servente ad un fondo già di proprietà del promissario, tale clausola è stata interpretata come costitutiva di un diritto reale di servitù (ex art. 1032 Codice civile) e non come ricognizione di un diritto reale parziale o di qualificazione giuridica di un bene (40). La conservazione del contratto e la sua conclusione Secondo un orientamento giurisprudenziale assolutamente minoritario il principio di conservazione è stato utilizzato per ritenere concluso il contratto: nel caso di specie vi era una proposta di contratto seguita da un’accettazione non conforme, si è ritenuto che l’avviso di inizio dell’esecuzione, inviato dal primo proponente a prescindere dalla risposta, valesse come accettazione della nuova proposta sulla base del fondamentale principio di conservazione del contratto. Si è argomentato che fosse conforme all’intento delle parti ritenere concluso il contratto, nell’alternativa tra non ritenerlo mai concluso (in quanto l’accettazione non era conforme alla proposta e non era applicabile l’art. 1327 Codice civile dato che non si ricadeva nelle ipotesi tassative indicate dalla norma) e tra il ritenerlo concluso (41). Tale sentenza è stata annotata criticamente osservandosi che l’intervenuta conclusione del contratto è un presupposto per l’applicazione dell’art. 1367 Codice civile, e tale norma non può essere utilizzata per fondare l’intervenuta conclusione. Pertanto tale principio era stato invocato non a proposito (42). Art. 1367 Codice civile e il contratto nullo È ricorrente la massima in giurisprudenza secondo cui non è consentito applicare l’art. 1367 Codice civile per sanare o salvare contratti nulli (43). Si è obiettato che tale affermazione è vera, ma espressa in modo incompleto: è pacifico che il principio di conservazione non si applica quando la volontà è chiara ed univoca ed il negozio voluto risulti colpito dalla nullità, perché ciò porterebbe non a «conservare» il contratto, ma a crearlo. Ma va pure aggiunto che, diversamente, tale principio opera quando sia dubbio se l’atto sia valido o meno (44). Precisa un altro autore che le massime giurisprudenziali significano che l’art. 1367 Codice civile non auto- rizza ad effettuare conversioni di contratti nulli attraverso interpretazioni sostitutive della vera intenzione delle parti. Pertanto si dovrà procedere alla conversione mediante l’art. 1424 Codice civile (45). E laddove il contratto è nullo non si applica il principio di conservazione è vero anche considerando, a nostro parere, che il dettato letterale dell’art. 1367 Codice civile presuppone la scelta tra un significato che ha effetto e quello che non ha effetto e non tra un significato valido ed uno nullo. A ciò sovviene la distinzione effettuata da autorevole dottrina secondo cui il contratto è inefficace «quando è dotato di tutti i requisiti di legge, ma fa difetto una circostanza, diversa dai costituenti del negozio, esterna rispetto ad essi, cui è subordinata la produzione degli effetti», mentre è nullo quando il regolamento di interessi voluto dalle parti è difforme dalla fattispecie legale comprensiva degli elementi fondamentali del negozio (46). Va poi dato conto di quella tesi secondo cui il principio di conservazione può essere utilizzato come fondamento della conversione del negozio, in particolare per ridurre il contenuto di clausole nulle in clausole valide di contenuto meno ampio. Per fondare il ricorso alla conversione ci sembra opportuno menzionare l’orientamento che ha applicato lo Note: (40) Cass. 17 febbraio 1998, n. 1669, in Dir. e giur. agraria e ambiente, 1998, II, 213. (41) Cass., sez. un., 9 giugno 1997, n. 5139, in questa Rivista, 1997, 445, con nota critica di G. De Nova, Conclusione e conservazione del contratto. (42) G. De Nova, o ult. cit., 448, che ha ritenuto che alla conclusione del contratto si sarebbe potuto pervenire mediante l’applicazione del principio di conclusione mediante l’inizio dell’esecuzione, in quanto avrebbe dovuto effettuarsi una lettura più estensiva dell’art. 1327 Codice civile, a fronte di un contratto internazionale in cui devono prevalere regole che agevolino la conclusione del contratto. (43) L’orientamento consolidato risale a Cass. 14 luglio 1954, n. 2479, in Mass. Giur. it., 1954, 556, secondo cui «Il principio della “conservazione” degli effetti utili di un contratto o di una clausola presuppongono l’esistenza di una volontà, almeno parzialmente efficace sotto il profilo giuridico e come tale meritevole di protezione; ma quando fa difetto una volontà meritevole di protezione giuridica allora si è fuori della sfera di applicazione dell’art. 1367 (Nella specie, si trattava di manifestazione di volontà meramente potestativa)»; cfr. Cass. 16 dicembre 1954, n. 4515, in Mass. Giur. it., 1954, 1023; Cass. 19 febbraio 1962, n. 331, in Foro pad., 1962, I, 439. Si veda il commento e la giurisprudenza citata da G. Mirabelli, op. cit., 249. Infine, per una recente sintesi sul punto, anche giurisprudenziale, si rinvia a G. Fonsi, Il principio di conservazione del contratto, in Vita not., 1995, 1043 ss. (44) G. Stella Richter, op. cit., 415-416. (45) R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., 412. Negli stessi termini Cass. 4 luglio 1987, n. 1988, in Riv. dir. comm., 1988, II, 229. V. anche L. Bigliazzi Geri, L’interpretazione del contratto, cit., 290, secondo cui tale massima è difettosa in quanto tautologica, perché ruolo dell’art. 1367 Codice civile è di assegnare all’atto valore ed efficacia negoziale in caso di dubbio tra due soluzioni, ed esclude pertanto di attribuire valore ed efficacia negoziale all’atto che ne è privo, in quanto tale atto è non negoziale o nullo. (46) R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, Obbligazioni e contratti, in Tratt. dir. privato diretto da Rescigno, II ed., Utet, Torino, 1995, 562. I CONTRATTI N. 8-9/2005 757 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE stesso istituto ad alcuni tipi di clausole di esonero e di limitazione della responsabilità contrattuale del vettore marittimo nel vigore del codice abrogato. Sebbene il codice civile del 1865 non regolasse le clausole di irresponsabilità, queste, in virtù di un principio riconosciuto dalla giurisprudenza come esistente nel sistema, erano considerate valide nei limiti della colpa lieve, e quindi nulle in caso di dolo e colpa grave. Tale principio come ben noto è stato trasposto nell’attuale formulazione dell’art. 1229, primo comma, Codice civile (47). Orbene, secondo un filone dottrinale di allora, si è ritenuto che le cd. «clausole di esonero generico» (o di contenuto misto o omnicomprensivo) (48), ossia quelle di contenuto ampio che esoneravano dalla responsabilità senza specificare l’elemento soggettivo - e come tali riferentesi a fatti sia dolosi che gravemente colposi che lievemente colposi e considerate nulle nel loro insieme potevano essere convertite in clausole valide di parziale irresponsabilità per colpa lieve. Tale questione è stato oggetto di una vivace disputa dottrinale (49). Una parte della dottrina, per operare la conversione delle clausole di esonero nulle, applicava il principio di conservazione ex art. 1132 Codice civile 1865, ricorrendo alla riduzione del contenuto della clausola, nel senso di mantenere la clausola valida entro i confini dell’«intento utile» (50). A tale teoria si è adeguata parte della giurisprudenza italiana e francese (51). In segno contrario alla teoria sopra enunciata si sono posti quegli autori che hanno affermato che tali clausole di contenuto misto non avevano un significato plurivoco, ma univoco, in quanto «hanno una portata comprensiva di intenti utili e di intenti dannosi, entrambi in concreto voluti» (52). Ne consegue che alle suddette clausole non era applicabile il principio di conservazione, che ha per oggetto il mantenimento dell’intento pratico perseguito dalle parti, ed il giudice non poteva ridurre il contenuto della clausola o trasformarlo, perché in questo modo avrebbe creato un nuovo patto sostituendosi alla volontà delle parti (53). Avrebbe dovuto invece applicare la conversione, mediante un’indagine della volontà ipotetica delle parti (54). In definitiva, secondo questa ultima tesi, nel ricorrere alla conversione del negozio si dovrebbe utilizzare il diverso criterio dell’utile per inutile non vitiatur (55). E ciò trova ulteriore sostegno nell’argomento che la conversione è ritenuta un’operazione che ha una sussidiarietà logica sull’interpretazione (56). Peraltro, proprio in materia di clausole di esonero di contenuto misto, parte della giurisprudenza ha ritenuto di mantenere l’efficacia del patto, nei limiti in cui fosse valido in quanto esonerasse dalla responsabilità per colpa lieve, senza ricorrere al principio di conservazione (57). Applicazioni giurisprudenziali A parte le declamazioni di principio sulla non applicabilità dell’art. 1367 Codice civile ai contratti nulli (58), a 758 I CONTRATTI N. 8-9/2005 volte la giurisprudenza ha correttamente escluso l’utilizzo del principio di conservazione per determinare la validità o meno di un contratto, motivandone il percorso logico: «solo quando la volontà delle parti sia effettivamente e chiaramente individuata, anche con l’eventuale ricorso ai suddetti criteri sussidiari, e tuttavia sussistano clausole in contrasto con il negozio effettivamente voluto, è consentito considerare nulle tali clausole, in base alla disciplina dell’art. 1419, secondo comma, Codice civile (59)». Note: (47) F. Benatti, Contributo allo studio delle clausole di esonero da responsabilità, Giuffrè, Milano, 1971, 21, nota 54, e 26-29. (48) Su questa categoria v. R. Franceschelli, Le clausole di irresponsabilità nei trasporti marittimi ed il problema della protezione del contraente più debole nei contratti a serie, in Riv. dir. nav., 1938, I, 277-279; nonché Lefebvre D’Ovidio, Studii sulle clausole di irresponsabilità, ivi, 1939, 71. (49) C. Grassetti, R. Franceschelli, Lefebvre D’Ovidio, De Martino; R. Nicolò, Discussione intorno al principio di conservazione dei contratti nei riguardi delle clausole di irresponsabilità, in Riv. dir. nav., 1939, I, 345-383. (50) R. Franceschelli, Le clausole di irresponsabilità nei trasporti marittimi, cit., 255-257, 289 ss. L’autore osserva in particolare (pag. 290), che il principio di conservazione opera nel senso di «imporre la riduzione di quelle, che hanno un contenuto potenziale così vasto da essere in parte rilevante in senso negativo, in parte utile (…), entro i confini dell’intento utile». (51) Ne dà conto Lefebvre D’Ovidio, Studii sulle clausole di irresponsabilità, cit., 72, note 1 e 2. (52) C. Grassetti, Discussione, cit., 353. Ha affermato, inoltre, il Vernetti (il cui pensiero è riportato da Lefebvre in Studii sulle clausole di irresponsabilità, cit., 73), che la volontà del vettore è indivisibile, e quindi irriducibile. (53) A tali obiezioni ha replicato il Franceschelli (Discussione intorno al principio di conservazione, cit., 358-366) affermando che egli stesso intende il principio di conservazione in modo più ampio di quello inteso da Grassetti, anche nel caso di dichiarazione univoca, quando si vuole che la stessa raggiunga il massimo di utilità possibile. (54) Ciò era stato già espresso da R. Nicolò, Discussione intorno al principio di conservazione, cit., 382-382, in replica alle osservazioni critiche di Grassetti e Franceschelli. Osserva Cass. 19 gennaio 1995, n. 565, cit., in motiv. c. 1168 che la conversione «intende non già sostituire alla volontà delle parti quella dell’organo giudicando, ma, al contrario, tutelare - anche se in forma diversa da quella abi inizio divisata - l’intento comune dei paciscenti» (55) C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, cit., 178-179. (56) Avverte E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, Utet, 1952, 355 che esiste un rapporto di priorità logica tra interpretazione e conversione: «Dove l’interpretazione ricostruisce il contenuto ed il senso del negozio e pertanto ne determina la fattispecie, la correzione, invece, non altrimenti che la integrazione, presuppone già fissato il contenuto e il senso del negozio e ne determina gli effetti giuridici, non più integrandoli, ma correggendoli. Nella conversione, in particolare, la correzione si opera attraverso una trasformazione di qualifica giuridica». (57) Pret. Milano 19 dicembre 1990, in Giur. it., 1992, I, 2, 273, secondo cui «La clausola di un contratto di locazione, specificamente sottoscritta, con la quale si esclude il diritto al risarcimento e alla riduzione del corrispettivo nel caso del verificarsi dell’ipotesi di cui all’art. 1584 Codice civile, è nulla ai sensi dell’art. 1229 Codice civile solo per la parte in cui esclude la responsabilità per dolo o colpa grave, restando perfettamente valida ed efficace come patto limitativo di responsabilità». Contra, Cass. 16 maggio 1975, n. 1918, in Arch. civ., 1076, 65. (58) Vedi la giurisprudenza citata alla nota 43. (59) Cass. 11 giugno 1991, n. 6610, in Le Società, 1991, 1635. GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE Ad esempio, in un caso la Corte di Cassazione ha affermato che la conservazione del contratto non può essere autorizzata da un’interpretazione sostitutiva della volontà contrattuale, posto che l’art. 1367 Codice civile è norma sussidiaria. Nella specie, in presenza di una clausola compromissoria che stabiliva la designazione di un arbitro da parte di un ente (un certo collegio degli architetti ed ingegneri), la Corte di Cassazione ha considerata nulla la clausola in quanto il suddetto ente non era più esistente al momento di costituzione del collegio arbitrale (60). In un altro caso si è affermato che il principio non si applica ai contratti annullabili per vizio del consenso (61). Nella specie due soggetti, avevano stipulato un contratto di divisione in parti uguali di un patrimonio immobiliare oggetto di eredità, e vi era il dubbio che una delle due parti del contratto di divisione fosse caduta in errore, posto che per testamento era stata destinataria unica della proprietà di tale sostanza, mentre l’altra parte aveva ricevuto solo l’usufrutto legale sul bene. Non era in discussione un errore nella dichiarazione, ma un errore nella manifestazione di volontà contrattuale di addivenire ad una divisione. La Corte ha ritenuto non applicabile il principio di conservazione, in quanto vi era il dubbio se il contratto di divisione fosse o meno annullabile, ovvero se la divisione in parti uguali del bene oggetto di eredità fosse stata voluta dall’erede o soltanto frutto di errore sulla destinazione dell’eredità (62). Un cospicuo orientamento giurisprudenziale si è sviluppato in merito all’esclusione del principio di conservazione a contratti verbali costitutivi di società irregolari, con conferimento del godimento di beni immobili, essenziali al raggiungimento dello scopo sociale, di durata ultranovennale o a tempo indeterminato. Tali contratti sono stati ritenuti nulli per mancata stipulazione dell’atto in forma scritta in contrasto con gli artt. 2251 e 1350, n. 9, Codice civile (63). Si è affermato che l’art. 1367 Codice civile non è invocabile «al fine di circoscrivere il patto societario nei limiti del novennio per cui non è necessaria la forma scritta, in quanto ciò esulerebbe dalla mera interpretazione della volontà delle parti, traducendosi in un’arbitraria sostituzione del loro effettivo intento» (64). È stato altresì rilevato che «poiché l’applicazione della norma si risolve in tal caso in una interpretazione abrogans del precetto relativo alla prescrizione formale, il quale non viene applicato nonostante che il conferimento abbia avuto per oggetto un bene immobile ovvero un diritto immobiliare, nel silenzio delle parti, a tempo indeterminato» (65). Diversamente, in altri casi la giurisprudenza in presenza di clausole univoche, che avrebbero comportato la nullità del contratto, ha applicato il principio di conservazione per dichiararlo valido. Così ha deciso, sempre in materia di contratto orale costitutivo di una società di fatto in cui vi era stato un conferimento di beni immobili senza determinazione di tempo, stabilendo che il contratto medesimo dovesse ritenersi validamente stipulato nel limite temporale di nove anni (66). In un altro caso, un contratto di vendita di un alloggio dell’I.A.C.P. da parte dell’assegnatario con patto di riscatto è stato interpretato come preliminare di vendita dello stesso alloggio, al fine di evitare la sanzione di nullità prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 1256/1956 (67). In materia laburistica una dichiarazione di licenziamento intimata durante la decorrenza del periodo di comporto a favore del lavoratore, nell’inosservanza della prescrizione dell’art. 2110, secondo comma, Codice civile, è stata interpretata come «temporanea inefficacia del recesso stesso fino alla scadenza della situazione ostativa» (68). Come si può notare, l’orientamento giurisprudenziale è piuttosto oscillante nell’applicare correttamente il principio di conservazione e quando lo applica ai contratti nulli lo utilizza a fondamento della conversione. Osservazioni alla decisione della Corte Nell’indagine ermeneutica condotta nella sentenza in esame la Corte di Cassazione è ricorsa a criteri o fattori estranei al contesto giuridico e quindi diversi dai criteri della logica e razionalità. È ricorsa così: - all’ausilio di un’«altra scienza» (69) (ovvero alla scienza ed alla tecnica agraria) nell’accertare l’impossibilità della scomparsa definitiva della pianta infestante; Note: (60) Cass. 7 ottobre 2004, n. 19994, in Mass. Foro it., 2004, 1501. (61) Cass. 6 febbraio 1962, n. 229, in Foro pad., 1962, I, 446. (62) Annotando la sentenza indicata nel testo osserva E. Ondei, La «conservazione» dei negozi giuridici mediante interpretazione, in Riv. dir. civ., 1984, II, 37, 40, nota a Cass. 6 febbraio 1962, n. 229, che non vi era un dubbio sull’interpretazione di una volontà esistente ed espressa in modo non chiaro, per cui sarebbe stato applicabile il principio di cui all’art. 1367 Codice civile, ma un problema d’accertamento di eventuali volontà ed intenzioni diverse da quelle apparenti e desumibili dall’atto. (63) Cass. 19 gennaio 1995, n. 565, in Giur. it., 1995, I, 1, 1165, con nota di G. Cottino; Cass. 6 marzo 1990, n. 1757, in Mass. Foro it., 1990, 236; Cass. 4 luglio 1987, n. 5862, in Riv. dir. comm., 1988, II, 227, con nota di M. Cardinali. (64) Cass. 19 gennaio 1995, n. 565, cit. in motiv., 1168. (65) Cass. 4 luglio 1987, n. 5862, cit., in motiv., 229. (66) Cass. 17 giugno 1985, n. 3631, in Vita not., 1985, I, 690. (67) Cass. 13 marzo 1982, n. 1654, in Rep. Giust. civ., 1982, voce Edilizia Popolare ed economica, n. 65. (68) Cass. 4 luglio 2001, n. 9037, in Mass. Foro it., 2001, 776; vedi anche Cass. 10 febbraio 1993, n. 1657, in Giust. civ., 1993, 2421, con nota di T. Bianconcini. (69) Affronta le problematiche sottese al ricorso alla scienza secondo giudizi probabilistici, M. Taruffo, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 665 ss., ed ivi ampi rinvii alla letteratura. I CONTRATTI N. 8-9/2005 759 GIURISPRUDENZA•CONTRATTI IN GENERALE - ad una «massima di esperienza» (70) nell’interpretare il termine «scomparsa» dell’equiseto afferma infatti che lo stesso deve intendersi, «secondo la comune accezione del termine», per «l’assenza per apprezzabile lasso di tempo, ma non la eliminazione definitiva ed irreversibile dell’oggetto indesiderato (nella specie dell’equiseto)»; - ad un giudizio di «plausibilità» (infatti nella motivazione si legge: «non era plausibile la tesi che le parti avessero dedotto in contratto un’obbligazione di tale genere») o ad un giudizio di «verosimiglianza» (considerato che nella massima l’aggettivo plausibile è sostituito da inverosimile). Ammonisce la dottrina che quando il giudice va «oltre il diritto», sorge la necessità di individuare quali siano le garanzie di razionalità e di ragionevolezza, di attendibilità e di controllabilità di quei numerosi aspetti della decisione giudiziaria che non sono controllati dal diritto (71). Non possiamo valutare la correttezza e razionalità del ricorso a tali criteri extralegali, perché tale valutazione presuppone la soluzione di problemi altamente complessi legati alle tecniche del ragionamento del giudice che non possono essere affrontati in questa sede. Ma intendiamo soltanto dare atto dei vari aspetti non giuridici che sono sottesi alla decisione della Corte di Cassazione, e porre l’attenzione sulla necessità di esaminare gli stessi con ulteriori strumenti di valutazione. Ma a prescindere da questi fattori legati alla tecnica di ragionare del giudice, riteniamo che, prevalentemente, la decisione della Corte sia corretta dal punto di vista logico argomentativo. Posto che come già si è precisato presupposto per l’applicazione dell’art. 1367 Codice civile è che vi sia una dichiarazione oscura, come confermato dalla giurisprudenza (72), nella specie in effetti la Corte di Cassazione ha applicato il principio di conservazione ad una clausola di significato dubbio: il dubbio sussisteva tra due significati da attribuire alla clausola, di cui uno (la prestazione dell’appaltatore avente ad oggetto l’eliminazione temporanea della pianta infestante, che è possibile) che poteva portare alla conservazione del contratto, l’altro (la prestazione avente ad oggetto l’eliminazione definitiva, che è impossibile alla luce della scienza e della tecnica agraria attuale) ad una caducazione dell’intero contratto. E la Corte ha scelto per l’effetto che determina la conservazione del contratto e per farlo si è avvalsa dell’ausilio di una massima di esperienza secondo cui per «scomparsa» deve intendersi l’assenza dell’oggetto indesiderato per un certo periodo di tempo (nella specie, della pianta infestante). La Corte ha poi fatto corretto uso dell’art. 1367 Codice civile che si applica anche quando il dubbio ricada sulla validità o meno del contratto (73), che è cosa ben diversa dall’ipotesi in cui il dubbio non sussiste perché la clausola ha un significato univoco che determina la nul- 760 I CONTRATTI N. 8-9/2005 lità del contratto. In questa seconda ipotesi l’art. 1367 Codice civile non è invocabile per conservare il contratto nullo, eventualmente si può ricorrere alla conversione del negozio ex art. 1424 Codice civile purché venga accertata una comune volontà delle parti. Note: (70) M. Taruffo, op. ult. cit., 675-682. (71) Id., op. ult. cit., 666-667 e 692 ss. (72) Le seguenti sentenze affermano che il principio non si applica quando la clausola da interpretare ha un significato chiaro: Cass. 2 giugno 1983, n. 3769, in Rep. Giust. civ., 1983, voce Obbligazioni e contratti, n. 187; Cass. 15 ottobre 1981, n. 5399, in Rep. Giust. civ., 1981, voce cit., n. 37; Cass. 8 gennaio 1981, n. 173, in Giur. it., 1981, I, 1, 1450, che ha ritenuto non applicabile l’art. 1367 Codice civile ad una clausola di significato inequivoco (che prevedeva l’adeguamento della prestazione in caso di svalutazione ufficiale), in presenza di una svalutazione di fatto. (73) Stella Richter, op. cit., 415-416. GIURISPRUDENZA•SINTESI Rassegna di legittimità: contratti in generale Formazione Cassazione Civile, sez. III, 18 gennaio 2005, n. 910 Pres. Duva - Rel. Purcaro - P.M. Cafiero (Conf.) - Dogà c. Gruppo Pos S.r.l. Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Accordo delle parti - Conclusione del contratto - In genere - Accordo su tutti gli elementi, principali ed accessori, del contratto - Necessità - Sufficienza - Condizioni - Accertamento - Accertante del Giudice di merito - Incensurabilità in Cassazione - Limiti - Fattispecie Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorchè riportati in apposito documento (Cosiddetto «minuta» o «puntuazione»), risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. Peraltro, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. Codice civile, è rimessso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Nell’affermare il suindicato principio, la Corte Cass. ha cassato l’impugnata sentenza rilevando che, nel ritenere perfezionato un accordo transattivo tra le parti di giudizio per effetto di duplice missiva inviata dal legale di una delle parti e considerata accettata dal difensore di controparte, il giudice di merito avesse peraltro nel caso del tutto omesso di valutare il comportamento complessivo delle parti, in particolare quello mantenuto successivamente alla supposta conclusione dell’accordo transattivo, non considerando che dopo lo scambio delle suindicate lettere il difensore di una delle parti aveva dichiarato in udienza avanti al G.I. essere ancora pendenti trattative tra le parti per la formalizzazione di un accordo, al cui esito si riservava di chiedere la revoca della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; e che nel prosieguo del giudizio le parti avevano in entrambi i gradi di merito formulato opposte conclusioni). Cassazione Civile, sez. I, 2 febbraio 2005, n. 2077 (ord.) Pres. Saggio - Rel. Adamo - P.M. Golia (Diff.) - Adisal S.r.l. c. New Sistem Group S.r.l. Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Accordo delle parti - Condizioni generali di contratto - Necessità di specifica approvazione scritta - Deroghe alla competenza - Indistinto richiamo di tutte le clausole contrattuali, vessatorie e non - Relativa sottoscrizione - Insufficienza Non sussiste il requisito della specifica approvazione della deroga convenzionale alla competenza territoriale a favore di un foro esclusivo se la sottoscrizione del contraente per adesione riguarda genericamente tutte le clausole contrattuali, senza distinzione tra clausole vessatorie e non. Regolamento Cassazione Civile, sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1150 Pres. Vittoria - Rel. Segreto - P.M. Destro (Diff.) - Camping Pini Di Maresca S.n.c. c. Com. Meta ed altri Contratti in genere - Contratto a favore di terzi - in genere - Soggetti obbligati - Terzo - Obblighi nei confronti degli stipulanti - Configurabilità - Esclusione I CONTRATTI N. 8-9/2005 761 GIURISPRUDENZA•SINTESI Nel contratto in favore di terzi, che può essere costituito da un contratto di albergo, purchè lo stipulante vi abbia un interesse, che può essere economico, istituzionale o anche morale, lo stipulante rimane parte contrattuale, mentre il terzo non è parte nè in senso sostanziale nè in senso formale e deve limitarsi a ricevere gli effetti di un rapporto già validamente costituito ed operante, senza che a suo carico possano discendere obbligazioni verso il promittente. Ne consegue che è sempre lo stipulante ad essere obbligato nei confronti del locatore alla restituzione della cosa locata da parte del terzo e, in caso di ritardo, alla corresponsione di quanto dovuto ai sensi del disposto dell’art. 1591 Codice civile. Cassazione Civile, sez. III, 15 febbraio 2005, n. 2976 Pres. Nicastro - Rel. Trifone - P.M. Pivetti (Diff.) - Centro Medicina Nucleare S.p.a. c. Casa Del Sole S.p.a. Contratti in genere - Clausola penale - Divieto di cumulo - Obbligazioni di durata - Riferimento alle prestazioni maturate e inadempiute - Legittimità - Riferimento alle prestazioni non ancora maturate - Esclusione - Fondamento Nelle obbligazioni di durata assistite da una clausola penale,il divieto di cumulo fra la prestazione principale e la penale prevista dall’art. 1383 Codice civile riguarda le sole prestazioni già maturate e inadempiute, e non anche quelle non ancora maturate e per le quali permane l’obbligo dell’adempimento, poichè, in caso contrario, sarebbe consentito al debitore di sottrarsi all’obbligazione attraverso il proprio inadempimento. Invalidità e scioglimento Cassazione Civile, sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1077 Pres. Vella - Rel. Elefante - P.M. Scardaccione (Conf.) - D’Onofrio c. Imm. 90 Parco Dei Glicini S.r.l. Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Risoluzione del contratto - Per inadempimento - Rapporti tra domanda di risoluzione e di adempimento - Principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione - Applicabilità - Condizioni e limiti Il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art.1453 Codice civile) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva - sicchè l’esercizio dello ius variandi deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata; 2) che esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale - di talchè, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione de qua non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art.1453 Codice civile. Cassazione Civile, sez. I, 19 gennaio 2005, n. 1097 Pres. Saggio - Rel. Vitrone - P.M. Golia (Conf.) - Com. Brindisi c. Pinto ed altro Contratti in genere - Invalidità - Nullità del contratto - In genere - Rilevabilità d’ufficio - Rilevabilità per ragioni e vizi non prospettati dalla parte - Condizioni - Limiti - Fondamento - Fattispecie relativa ad incarico professionale conferito da Comune senza forma scritta Il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità o l’inesistenza di un contratto ex art. 1421 Codice civile, coordinato con il principio della domanda (artt. 99 e 112, Codice di procedura civile), comporta che la nullità può essere rilevata d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, (e se non si siano verificate preclusioni processuali), nel caso in cui sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione del contratto, in quanto la parte abbia chiesto l’adempimento delle obbligazioni da esso derivanti. (In applicazione di questo principio, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che, nel giudizio promosso da due professionisti nei confronti di un Comune per il pagamento degli onorari richiesti per lo svolgimento di un incarico professionale, aveva rilevato d’ufficio la nullità del contratto d’opera, per difetto della forma scritta, richiesta ad substantiam). 762 I CONTRATTI N. 8-9/2005 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Vendita I rimedi per i vizi del bene promesso in vendita Tribunale di Nola - Sentenza del 15 settembre 2004 G.U. De Rosa - Ric. Mevia - Res. T. C. S. Contratto preliminare di vendita - Mancanza effetto traslativo - Garanzia - Risoluzione Il promissario acquirente non è tenuto ad osservare i termini di decadenza di cui all’art. 1495 Codice civile per la denuncia dei vizi della cosa venduta. Vertendosi in ipotesi di contratto preliminare di vendita caratterizzato dalla mancanza dell’effetto traslativo non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, che hanno come presupposto l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene. Sussiste l’inadempimento grave nel caso in cui i vizi dell’immobile siano tali da rendere il bene offerto del tutto difforme rispetto a quello promesso in vendita ed inidoneo ad essere utilizzato come abitazione. Svolgimento del processo on citazione notificata il 10 luglio 1998 Mevia conveniva in giudizio innanzi a questo tribunale T., C. e S., per sentire dichiarare risolto un contratto preliminare di vendita stipulato il 9 novembre 1996. L’attrice, premesso che: - con scrittura privata del 9 novembre 1996 T. in proprio e quale procuratore di S. e di C., le aveva promesso in vendita un immobile ubicato in Acerra, via (…) terzo piano riportato nel catasto urbano del comune di Acerra alla partita …., foglio … numero … cat. A/2 (appartamento di circa mq. 92 oltre balconi, box, posto auto e terrazzo), per l’importo complessivo di Lire 175.000.000, - del pattuito importo aveva a tutt’oggi corrisposto la somma di Lire 167.000.000, mentre l’immobile le era stato consegnato nell’estate del 1997; - dopo poco si erano verificate copiose infiltrazioni di acqua piovana, con elevato tasso di umidità e manifestazioni di «muffa» diffusa, tali da rendere l’immobile de quo insalubre, come riscontrato anche dal Servizio Ecologia e profilassi dell’ASL Napoli 4 con comunicazione del 4 febbraio 1998 e descritto nella perizia di parte allegata; - aveva ripetutamente sollecitato, da ultimo a mezzo lettera racc. 5532 del 5 giugno 1998, i promettenti venditori ad eliminare i citati difetti di costruzione e ad eseguire le opere necessarie a rendere l’appartamento idoneo all’uso, richiedendo ai fini della stipula dell’atto notarile il certificato di regolare esecuzione del fabbricato ed il certificato di abitabilità e che tali inviti non avevano sortito alcun effetto; chiedeva dunque, stante il grave inadempimento contrattuale imputabile ai convenuti, dichiararsi risolto il contratto preliminare di vendita del 9 novembre 1996 e C condannarsi gli stessi al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa. Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda di risoluzione per inadempimento contrattuale rilevandone l’infondatezza. In comparsa deducevano che l’immobile era stato consegnato nel mese di gennaio del 1997 all’attrice, che era pertanto decaduta dal diritto alla garanzia non avendo denunciato i vizi nel termine di gg. 8 dalla scoperta, in ogni caso l’azione doveva considerarsi prescritta essendo trascorso un anno dalla consegna ai sensi dell’art. 1495 Codice civile. Evidenziavano inoltre l’insussistenza di vizi di costruzione rilevando che la compratrice aveva posto in essere opere e modifiche (nella specie verande) tali da alterare le strutture ed i volumi abitabili dell’immobile, sicché le eventuali infiltrazioni non potevano essere loro addebitate. Alla luce di tali premesse di fatto i convenuti spiegavano domanda riconvenzionale, volta all’adempimento del contratto di compravendita e trasferimento della titolarità dell’immobile in capo all’attrice ex art. 2932 Codice civile, previo pagamento del residuo prezzo in favore dei venditori. Espletata l’istruttoria ed acquisiti agli atti i documenti prodotti dalle parti, precisate le conclusioni riportate in epigrafe, la causa veniva riservata per la decisione all’udienza dell’11 marzo 2004 con i termini di cui all’art. 190 Codice di procedura civile. Motivi della decisione reliminarmente, in rito, va rilevata la procedibilità ed ammissibilità della domanda, sussistendo, nella fattispecie, i presupposti processuali, le condizioni dell’azione e la legittimazione delle parti in causa. La domanda, inoltre, risulta correttamente formulata e ritualmente proposta. P I CONTRATTI N. 8-9/2005 763 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Nel merito la domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita è fondata e va accolta nei termini di seguito indicati. L’attrice lamenta che i promittenti-alienanti non hanno adempiuto agli obblighi nascenti dal contratto preliminare stipulato in data 9 novembre 1996, in quanto l’appartamento promesso in vendita si è dimostrato inidoneo all’uso cui era destinato per la presenza di gravi vizi di costruzione. Agisce quindi per attenere la risoluzione del contratto, deducendo il grave inadempimento della controparte. In primo luogo va evidenziata la tempestività dell’azione proposta, in quanto l’attrice - promettente acquirente non è tenuta ad osservare i termini di decadenza di cui all’art. 1495 Codice civile per la denuncia dei vizi della cosa venduta. Vertendosi in ipotesi di contratto preliminare di vendita caratterizzato dalla mancanza dell’effetto traslativo (dovendosi certamente qualificare tale la scrittura privata del 9 novembre 1996 oggetto di causa ) non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, che hanno come presupposto l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene. La giurisprudenza è univoca in merito : «In caso di preliminare di vendita di un appartamento, con consegna dello stesso prima della stipula dell’atto definitivo e correlativo inizio del pagamento rateale del prezzo da parte del promissorio acquirente, la presenza di vizi della cosa consegnata abilita quest’ultimo - senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1495 Codice civile per la denuncia dei vizi della cosa venduta - ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promettente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita altresì a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promettente venditore ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa» (cfr. Cass. 14 novembre 1988, n. 6143; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9560). Alla luce delle riportate argomentazioni va evidenziata l’irrilevanza delle deposizioni testimoniali rese (sulla circostanza dell’asserita consegna del bene all’attrice nel gennaio del 1997) tenuto conto dell’inapplicabilità dei termini di decadenza di cui all’art. 1495 Codice civile. Le doglianze evidenziate in citazione hanno trovato riscontro nelle risultanze della consulenza tecnica (espletata dall’ing. MX), pienamente condivisibili per la puntualità dei rilievi, anche fotografici e planimetrici, eseguiti. Dalla consulenza è emerso che: le pareti ed i soffitti di tutti gli ambienti dell’appartamento sono interessati da zone ammalorate tipiche da fenomeni di condensa, con muffe localizzate in prossimità del cemento (precisamente agli angoli soffitto-parete e parete-parete) dove la superficie presenta una temperatura inferiore rispetto alle zone con laterizi; vi è una localizzata infiltrazione ed i materiali usati, tenuto conto anche del tipo di fabbrica- 764 I CONTRATTI N. 8-9/2005 to (costruzione da speculazione edilizia), appaiono di qualità mediocre; le cause delle infiltrazioni vanno individuate nella mancanza di una idonea coibentazione termica delle pareti esterne e del terrazzo di copertura unitamente ad una sfavorevole esposizione dell’immobile e non sono neanche in minima parte riconducibili alle opere realizzate dall’attrice (cfr. pag. 4 e 5 della ctu). Le condizioni dell’immobile di cui si controverte risultano comprovate anche dal sopralluogo effettuato in data 4 febbraio 1998 dal Servizio Ecologia Igiene e Profilassi dell’ASL NA 4, versato in atti, dal quale si evince che : «le pareti perimetrali della stanza da letto, i soffitti e le pareti dei servizi igienici e la stanza dei bambini si presentano invase da muffe ed evidenti macchie di umidità; tutto ciò può comportare grave pericolo per la salute delle persone che vi abitano». Tanto premesso in punto di fatto, ritiene questo giudice che i vizi dell’immobile siano tali da rendere il bene concretamente offerto dai convenuti del tutto difforme rispetto a quello promesso in vendita ed inidoneo ad essere utilizzato come abitazione. L’inadempimento si presenta grave e di non scarsa importanza nell’ambito dell’equilibrio e dell’economia contrattuale secondo il parametro di proporzionalità di cui all’art. 1455 Codice civile: pertanto, valutati tutti gli elementi e le circostanze addotte, deve ritenersi venuto meno il rapporto funzionale tra le reciproche attribuzioni, sicchè gli effetti del contratto non corrispondono più alla volontà iniziale delle parti e non trova più giustificazione la prestazione o la controprestazione. Va pertanto dichiarata ex art. 1453 Codice civile la risoluzione del contratto preliminare del 9 novembre 1996; conseguenzialmente i convenuti sono tenuti alla restituzione di quanto è stato loro corrisposto dall’atto della sottoscrizione del preliminare ad oggi, segnatamente euro 82.248,30 (pari a Lire 167.000.000 ). Va rigettata la domanda risarcitoria proposta dall’attrice, in quanto sfornita di adeguati riscontri probatori. All’accoglimento della domanda attorea di risoluzione contrattuale consegue il rigetto della riconvenzionale spiegata dai convenuti. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con attribuzione all’avv. DY per dichiarato anticipo fattone. P.Q.M. Il Tribunale di Nola, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Mevia nei confronti di T., S. e C., con atto di citazione notificato il 10 luglio 1998 così provvede: 1. accoglie la domanda e per l’effetto, dichiara risolto il contratto preliminare di vendita del 9 novembre 1996, intercorso tra le parti, 2. condanna i convenuti alla restituzione immediata dell’importo di euro 82.248,30 (Lire 167.000.000), oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; 3. condanna i convenuti in solido al pagamento delle GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI spese processuali, che liquida in euro 3.000 per onorario, in euro 1.100 per diritti di procuratore ed in euro 200 per spese, oltre alle spese di ctu come liquidata in corso di causa, iva e cpa come per legge con attribuzione all’avv. DY procuratore antistatario, 4. rigetta ogni altra domanda proposta dalle parti. IL COMMENTO di Linda Cilia L’Autore affronta il tema dell’applicabilità della disciplina della garanzia per vizi della cosa venduta alle ipotesi di inadempimento del contratto preliminare di vendita per la presenza di vizi nel bene promesso che lo rendono inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscono il valore, ripercorrendo il relativo dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Si sofferma, inoltre, sull’analisi dei singoli rimedi di tutela del promissario acquirente concentrando l’attenzione sull’azione di esatto adempimento e sull’azione di riduzione del prezzo. Il caso La sentenza in commento riguarda una fattispecie di inadempimento di contratto preliminare di vendita di un appartamento ad effetti anticipati per la presenza, nel medesimo, di vizi che lo rendono inidoneo ad essere utilizzato come abitazione. Con scrittura privata del 9 novembre 1996 T., in proprio e quale procuratore di S. e di C., prometteva in vendita a Mevia un immobile sito in Acerra per l’importo di Lire 175.000.000. Nelle more della stipulazione del contratto definitivo Mevia aveva corrisposto la somma di Lire 167.000.000 e aveva ricevuto in consegna l’appartamento, a suo dire, nell’estate del 1997. Successivamente si erano verificate abbondanti infiltrazioni d’acqua piovana che avevano provocato sulle pareti interne macchie di umidità con muffe diffuse che rendevano l’ambiente insalubre e, pertanto, inidoneo all’abitazione. Dopo aver ripetutamente sollecitato, invano, i promittenti venditori per ottenere l’eliminazione dei difetti dell’immobile Mevia chiedeva, con atto di citazione notificato il 10 luglio 1998, la risoluzione del contratto preliminare e il risarcimento dei danni subiti. I convenuti si costituivano eccependo che l’attrice fosse decaduta dal diritto alla garanzia non avendo denunciato i vizi entro otto giorni dalla scoperta, e che l’azione doveva comunque considerarsi prescritta atteso che era trascorso più di un anno dalla consegna dell’immobile, avvenuta nel gennaio del 1997 e non nell’estate del medesimo anno come sosteneva, invece, l’attrice. Affermavano, inoltre, che le infiltrazioni erano dovute a lavori e modifiche, operati dall’attrice sull’immobile, che avevano alterato le strutture e i volumi del medesi- mo. Proponevano, quindi, sulla base delle predette considerazioni, domanda riconvenzionale per ottenere, ex art. 2932 Codice civile, l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo ed il pagamento del corrispettivo residuo. Il Tribunale di Nola, non ritenendo applicabile al caso di specie le norme sulla garanzia per i vizi della cosa venduta, dichiara la risoluzione del contratto preliminare rigettando la domanda riconvenzionale dei convenuti. Ratio della garanzia per i vizi della cosa venduta e applicabilità della relativa disciplina al contratto preliminare di vendita La sentenza in rassegna affronta la vexata quaestio della tutela del promissario acquirente nell’ipotesi in cui il bene promesso in vendita presenti dei vizi o delle difformità che incidono sulla idoneità dello stesso all’uso cui è destinato o ne diminuiscono il valore (1). La motivazione si regge sulla considerazione che la disciplina per i vizi della cosa venduta (artt. 1490-1496 Codice civile) non trova applicazione nelle fattispecie di contratti preliminari di vendita per la mancanza, in questi ultimi, dell’effetto traslativo. La predetta affermazione non è del tutto pacifica in dottrina e in giurisprudenza. La dottrina minoritaria (2) sostiene che i rimedi Note: (1) Numerosa è la dottrina sull’argomento: Luminoso, La compravendita, Torino, 2004, 394 e ss.; Sacco e De Nova, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2004, 284 e ss.; Mantello, L’inadempimento del contratto preliminare di vendita, in Riv. dir. comm., I, 2002, 539; Delfini, Vendita di case di abitazione e contratto preliminare nella più recente giurisprudenza della Cassazione, in Riv. dir. priv., 2002, 541; Riva, Garanzia per vizi e contratto preliminare di vendita, in Contr. e impr., 2001, 1019; Plaia, Sull’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento in presenza di vizi del bene venduto o promesso in vendita, ivi, 1998, 123; Cenni, Il contratto preliminare ad effetti anticipati, ivi, 1994, 1108; Bianca, La vendita e la permuta, I, Torino, 1993, 155 e ss.; De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, Padova, 1991; Id., Preliminare di vendita ad effetti anticipati e garanzia per vizi, in Nuova giur. civ. comm., 1985, II, 139 e ss.; Speciale, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990; Gabrielli e Franceschelli, voce Contratto preliminare, in Enc. giur. Treccani, IX, 1988; Di Majo, La tutela del promissario acquirente nel preliminare di vendita: la riduzione del prezzo quale rimedio specifico, in Giust. civ., 1985, I, 1639; Montesano, voce Obbligo a contrarre, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 508; Rubino, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, XXIII, Milano, 1971, 42 e ss. (2) Cfr. Bianca, La vendita, cit., I, 161 e ss.; Rubino, La compravendita, cit., 40 e ss. I CONTRATTI N. 8-9/2005 765 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI della garanzia per vizi siano applicabili anche all’ipotesi in cui, già nella fase del rapporto preparatorio derivante dal preliminare, si scoprano nella cosa promessa vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore (3). La predetta soluzione si fonda sull’assunto che i rimedi della garanzia per vizi siano riconducibili agli ordinari rimedi per l’inadempimento di un’obbligazione che, nel caso di specie, consisterebbe nel soddisfare esattamente la pretesa del compratore, ossia nel far corrispondere l’effetto traslativo all’effetto programmato. Tale obbligazione risulterebbe inadempiuta da parte del venditore qualora non sussistano nella cosa trasferita gli attributi e le qualità garantiti. Secondo la suddetta dottrina non sarebbero, tuttavia, applicabili al preliminare di vendita i termini di decadenza ex art. 1495 Codice civile, trattandosi di una previsione eccezionale giustificata dall’esigenza di definire con celerità il rapporto contrattuale. E tale esigenza contrasterebbe con la scelta effettuata dalle parti, mediante il preliminare, di differire nel tempo il procedimento di alienazione. In giurisprudenza qualche pronuncia (4) ha affermato l’applicabilità alla fattispecie in esame dei rimedi previsti per i vizi della cosa venduta sulla base della corrispondenza tra la disciplina del definitivo e la disciplina del preliminare, nel rispetto, però, dei termini e delle condizioni stabiliti dall’art. 1495 Codice civile. Tali pronunce ribadiscono l’applicabilità della disciplina della garanzia per vizi allo scopo principale di negare il ricorso al rimedio della condanna alla eliminazione dei vizi, mediante riparazione o sostituzione, che secondo l’orientamento tradizionale non è ammesso per tutelare il compratore che scopra vizi o difetti nel bene acquistato. Si afferma, infatti, che l’art. 1492 Codice civile, applicabile anche al preliminare, prevede come azione alternativa alla risoluzione soltanto l’azione di riduzione del prezzo, con esclusione dell’azione di esatto adempimento giacché dalla compravendita non deriva alcuna obbligazione di fare ma esclusivamente l’effetto traslativo che opera immediatamente. La dottrina prevalente (5) esclude, invece, l’applicabilità della garanzia per i vizi all’ipotesi in cui a seguito della stipulazione di un contratto preliminare di vendita si manifestano vizi o difformità nella cosa promessa che legittimerebbero, dopo la conclusione del definitivo, l’esperimento dei rimedi previsti dalla suddetta garanzia. Si ritiene, infatti, che qualora il bene consegnato o da consegnare nelle more della stipulazione del definitivo si riveli inidoneo all’uso cui è destinato o, comunque, presenti delle difformità, il promittente compratore possa ricorrere agli ordinari rimedi previsti per l’inadempimento, ossia l’exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 Codice civile per rifiutare l’adempimento (la stipulazione del definitivo o il pagamento del prezzo se va corrisposto anticipatamente), la risoluzione del preliminare, la diminuzione del prezzo, 766 I CONTRATTI N. 8-9/2005 l’azione di esatto adempimento oltre, in ogni caso, al risarcimento del danno. Il predetto orientamento si basa sulla considerazione che la garanzia per vizi non sia riconducibile all’inadempimento di un’obbligazione, bensì ad una forma di responsabilità speciale che opera al fine di garantire l’equilibrio delle prestazioni a fronte dell’effetto traslativo (6). Non potrebbe configurarsi, infatti, un’obbligazione sia perché l’effetto reale della compravendita si realizza col mero consenso delle parti contraenti senza l’adempimento di alcun obbligo; sia perché un vincolo obbligatorio si giustifica solo se ad esso sia ricollegato un comportamento del soggetto obbligato strumentale al perseguimento di una data utilità. Orbene, la garanzia in esame non implica alcun comportamento doveroso da parte del venditore, ma esclusivamente una responsabilità del medesimo che consiste nella soggezione ai rimedi previsti dagli artt. 1490-1496 Codice civile (7). Nell’ipotesi di contratto preliminare sarebbe, invece, configurabile un’ordinaria fattispecie di inadempimento. E ciò sia che si tratti di preliminare complesso sia che si tratti di preliminare puro giacché da entrambi deriva l’obbligo di espletare l’attività necessaria ad assicurare il realizzarsi del risultato conforme a quello programmato. Nell’ambito di tale obbligo dall’ampio conteNote: (3) Il suddetto orientamento è condiviso da chi considera il contratto preliminare non fonte esclusivamente dell’obbligo formale delle parti di prestare il consenso definitivo, bensì l’unica vera fonte negoziale del regolamento, laddove il definitivo assolverebbe esclusivamente la formalità necessaria per il conseguimento dell’effetto traslativo. Si veda per tutti, Gazzoni, Il contratto preliminare, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, XIII, II, Torino, 2002. (4) Cfr. Cass. 5 febbraio 2000, n. 1296, in questa Rivista, 2000, 437: «in tema di contratto preliminare, il riconoscimento dell’esperibilità, da parte del promissario acquirente, in presenza di vizi e di difformità del bene promesso in vendita, dell’azione quanti minoris, contestualmente e cumulativamente all’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, comporta l’applicazione integrale della disciplina dettata dal codice civile per la garanzia per i vizi della cosa venduta, con conseguente esclusione della possibilità di chiedere, in alternativa alla riduzione del prezzo, l’eliminazione dei vizi, che è rimedio estraneo alla garanzia per i vizi e in nessun modo congeniale alla natura e alla struttura della compravendita e del corrispondente contratto preliminare»; Cass. 24 novembre 1994, n. 9991, in Foro it., 1995, I, 2, 3263; Cass. 14 marzo 1986, n. 1741, in Giur. it., 1987, I, 1, 673. (5) Così Luminoso, La compravendita, cit., 396; Mantello, L’inadempimento del contratto preliminare di vendita, cit., 571 e ss. (6) Diverse sono le teorie elaborate dalla dottrina sulla ratio della garanzia per i vizi che non riconducono quest’ultima all’inadempimento di un’obbligazione. Taluni ritengono che la garanzia per vizi rappresenti un rimedio all’errore del compratore sulle qualità v. Grassi, I vizi della cosa venduta nella dottrina dell’errore, Napoli, 1996, 83; altri ritengono che la garanzia per vizi rappresenti una vera e propria assicurazione contrattuale nel senso che il venditore è obbligato per l’eventualità in cui si verifichi a danno dell’acquirente il fatto sfavorevole consistente nella scoperta di difetti nel bene acquistato v. Gorla, voce Azione redibitoria, in Enc. dir., Milano, 1959, 875; altri ancora sostengono che la garanzia per vizi andrebbe ricondotta alla responsabilità precontrattuale v. Visentini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 173 e ss. (7) Sul punto, v. Luminoso, La compravendita, cit., 210 e ss. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI nuto rientra, indubbiamente, la consegna del bene, oggetto della futura compravendita, privo di difetti o vizi che possano renderlo inidoneo all’uso cui è destinato o diminuirne il valore. Anche la giurisprudenza prevalente (8) ritiene che non siano applicabili al preliminare i rimedi della garanzia per vizi della cosa venduta, bensì gli ordinari rimedi previsti per l’inadempimento svincolati dai termini di cui all’art. 1495 Codice civile. Si afferma, infatti, che il promissario acquirente può, come qualsiasi creditore, sospendere l’adempimento della sua obbligazione, pretendere la riduzione del prezzo o l’esatto adempimento indipendentemente dalle condizioni e dai termini prescritti dalla disciplina della garanzia per i vizi giacché quest’ultima postula il trasferimento della proprietà della cosa. Il ricorso ai suddetti rimedi si giustifica a seguito della violazione da parte del promittente venditore di quell’obbligo generale di fare tutto quanto sia necessario perché il contratto sia eseguito secondo l’originaria previsione in conformità dei principi di correttezza e buona fede. La sentenza in esame, come sopra accennato, uniformandosi alla giurisprudenza prevalente, esclude l’applicabilità della disciplina della garanzia per vizi della cosa venduta all’ipotesi di contratto preliminare di vendita. Afferma, pertanto, che la domanda di risoluzione del contratto preliminare sollevata dal promissario acquirente sia stata esperita tempestivamente sebbene nel caso di specie fosse decorso il termine di decadenza di cui all’art. 1495 Codice civile. Rimedi contro l’inadempimento del contratto preliminare di vendita La sentenza in commento, pur negando l’applicabilità della garanzia per vizi all’inadempimento del contratto preliminare derivante dalla presenza di difformità nella cosa promessa in vendita, non esclude, tuttavia, la possibilità di ricorrere ai rimedi ordinari per l’inadempimento, come ad esempio l’azione di esatto adempimento, diversi da quelli tradizionalmente riconosciuti per la tutela del promissario acquirente, aderendo, così, all’orientamento che ha prevalso sul dogma dell’intangibilità del contratto preliminare. Secondo il predetto principio, dominante in passato sia in dottrina che in giurisprudenza, in sede di giudizio ex art. 2932 Codice civile, sarebbe inconcepibile qualsiasi intervento del giudice, diverso dalla mera riproduzione del regolamento di interessi fissato nel contratto preliminare, che possa sostituirsi alla autonomia negoziale; la sentenza emessa dal giudice, pertanto, non potrebbe innovare il contratto preliminare anche a fronte di eventuali sopravvenienze o della scoperta di vizi, di ipoteche o di altri oneri che diminuiscono il valore del bene promesso, con la conseguenza che il promissario acquirente si troverebbe dinnanzi all’alternativa di concludere il definitivo conformemente al preliminare riservandosi, ad una fase successiva, l’esperimento dei rimedi propri del tipo di contratto definitivo concluso ovvero di risolvere il preliminare (9). Al dogma della intangibilità del preliminare si è contrapposta quella dottrina che ha evidenziato come la funzione tipica di quest’ultimo sia di differire nel tempo l’introduzione del regolamento di interessi delineato al fine di consentire alle parti un’ulteriore possibilità di valutazione circa la sua convenienza controllando eventuali sopravvenienze (10). Viene, pertanto, ammessa la possibilità di riequilibrare le prestazioni purché la difformità della cosa non sia di tale portata da incidere sulla struttura e funzione del bene. Anche in giurisprudenza progressivamente si sono registrate aperture verso il superamento del suddetto dogma. Si afferma il principio secondo cui la condizione di identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare, non va intesa nel senso di una rigorosa corrispondenza, ma nel rispetto dell’esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso da quello considerato ritenendo a tal fine legittimo un intervento riequilibrativo delle contrapposte prestazioni da parte del giudice. Questa svolta è caratterizzata da due orientamenti: l’uno che ritiene applicabili i rimedi previsti dalla garanzia per vizi della compravendita al corrispondente contratto preliminare (11); l’altro che ritiene applicabili i rimedi secondo i principi generali delle obbligazioni. Quest’ultimo orientamento, ad oggi prevalente, si è affermato seguendo diverse fasi. Dal 1976 in poi, si sono susseguite diverse sentenze con le quali è stato riconosciuto al promissario acquirente, per le ipotesi di preliminare con consegna anticipata rispetto alla stipula del contratto definitivo, la possibilità di richiedere (cumulativamente con l’azione di esecuzione specifica del contratto), in presenza di vizi della cosa, la condanna del promittente venditore ad eliminare a proprie spese i vizi (12) ed anche la possibilità di ridurre il prezzo per riequilibrare le prestazioni (13). I predetti Note: (8) Ex multis, Cass. 3 gennaio 2002, n. 29; Cass. 13 aprile, 1999, n. 3626, in Mass. Giust. civ., 1999; Cass. 29 aprile 1998, n. 4354, ivi, 1998; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9560, in Giur. it., 1998, 2281; Cass. 8 gennaio 1992, n. 118, in Riv. giur., 1993, I, 242; Cass. 17 novembre 1991, n. 11126, in Giust. civ., 1991, II, 1, 2751. (9) Cfr. Cass. 30 dicembre 1968, n. 4081, in Giur. it., 1969, I, 1203. (10) In tal senso, Gabrielli e Franceschelli, voce Contratto preliminare, cit., 2 e ss.; Sacco e De Nova, Il contratto, cit., 286 e ss. (11) Cfr. nota 4. (12) Cfr. Cass. 28 novembre 1976, n. 4478, in Foro it., 1977, I, 671: «stipulato un preliminare di vendita di un appartamento con espressa pattuizione della consegna anticipata rispetto alla stipula del definitivo e del correlativo inizio del pagamento rateale del prezzo, la presenza di vizi della cosa consegnata abilita il promissario a chiedere, alternativamente alla risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente, la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa»; Cass. 5 agosto 1977, n. 3560, ivi, 1977, I, 2462. (13) V. Cass. 23 aprile 1980, n. 2679, in Foro it., 1981, I, 177. I CONTRATTI N. 8-9/2005 767 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI strumenti alternativi di tutela venivano, tuttavia, limitati alle sole ipotesi di preliminare complesso giacché si riteneva che soltanto le obbligazioni accessorie derivanti da quest’ultimo fossero autonomamente azionabili. Si distingueva, pertanto, ai fini della individuazione dei rimedi azionabili nelle ipotesi di vizi e difetti del bene promesso, tra preliminare puro e preliminare complesso; distinzione che venne superata, in un secondo momento, da una nota pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (14) la quale, ispirandosi a principi equitativi, ha affermato che, nell’ipotesi di contratto preliminare puro, in presenza di vizi non sostanziali e di vizi non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene promesso, ma soltanto sul relativo valore e su qualche secondaria modalità di godimento, non può essere negato il contestuale esperimento dell’azione ex art. 2932 Codice civile e dell’azione di riduzione del prezzo. La pronuncia, tuttavia, si è espressa soltanto sull’ammissibilità di quest’ultima azione. La giurisprudenza, dunque, inizia a prendere atto dell’insufficienza dello specifico rimedio previsto dall’art. 2932 Codice civile per l’inadempimento del preliminare e del generale rimedio del risarcimento del danno ex art. 1218 Codice civile. Si assiste, così, ad una progressiva estensione della tutela delle parti di un contratto preliminare a fronte della presenza di vizi nella cosa promessa, fino a riconoscere al promissario acquirente la possibilità di «agire contro il promittente per l’adempimento chiedendo, anche disgiuntamente dall’azione prevista dall’art. 2932 Codice civile, l’eliminazione dei vizi, oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo» (15). La giurisprudenza aderendo alla più recente dottrina (16) riconosce che i rimedi della riduzione del prezzo e dell’eliminazione dei vizi, quali rimedi generali, rispondono all’esigenza di rispettare l’equilibrio sinallagmatico e si giustificano per la sussistenza di un preciso obbligo posto in capo alle parti di un contratto preliminare, ossia l’obbligo di fare tutto quanto è necessario perché il contratto sia eseguito secondo l’originaria previsione, in conformità del principio di buona fede che sovraintende l’esecuzione dei contratti. E tale obbligo non può non ricomprendere anche la consegna della cosa conforme alla previsione del contratto preliminare. La tutela del promissario acquirente, pertanto, si estende senza incontrare ostacoli diversi dall’effettiva e radicale diversità tra il bene promesso e quello trasferito o consegnato anticipatamente. Per quanto riguarda l’azione di esatto adempimento ex art. 1453 Codice civile, volta a far conseguire a chi abbia ricevuto un bene non conforme a quello promesso l’eliminazione del difetto o la sostituzione dello stesso, essa, come si è gia accennato, ha ormai ottenuto pieno riconoscimento in giurisprudenza. Si ritiene, infatti, che la suddetta azione sia uno strumento perfettamente compatibile con la concezione secondo cui la tutela costitutiva ex art. 2932 Codice civile attinge a contenuti sostanziali di tutela essendo finalizzata a produrre effetti 768 I CONTRATTI N. 8-9/2005 sostanzialmente e non solo formalmente conformi a quelli voluti dalle parti. Si è, dunque, superato l’orientamento secondo il quale così come il rimedio de quo è inammissibile nella compravendita di cosa specifica non sarebbe estensibile al corrispondente contratto preliminare (17). In dottrina, sul punto, si riscontrano, tuttavia, dei contrasti. Una dottrina minoritaria (18) esclude la possibilità di agire per l’esatto adempimento giacché nella fattispecie in esame non sarebbe rinvenibile una specifica obbligazione di trasferire il bene con le caratteristiche promesse anche qualora sia stata effettuata una consegna anticipata. Taluni (19) ritengono, invece, che il predetto rimedio possa sanzionare esclusivamente il preliminare ad effetti anticipati giacché dal preliminare puro non deriverebbe alcuna obbligazione del promittente di porsi nelle condizioni di trasferire una cosa conforme alle previsioni contrattuali. Un altro orientamento (20) sostiene che l’azione di esatto adempimento possa essere esperita sia nell’ipotesi di inadempimento di preliminare complesso sia nell’ipotesi di inadempimento di preliminare puro. L’applicabilità dell’art. 1453 Codice civile, nel primo caso, potrebbe dipendere dalla consegna di un bene inidoneo all’uso cui è destinato; nel secondo caso - qualora sia ravvisabile anticipatamente la difformità del bene che dovrà essere trasferito - dalla violazione dell’obbligo di buona fede che impone un’attività preparatoria finalizzata a rendere possibile l’assetto di interessi programmato nel preliminare, ed in tale ambito si potrebbe ricomprendere l’eliminazione di eventuali difformità. L’altro rimedio da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza (21) come rimedio di carattere generale per la salvaguardia dell’equilibrio sinallagmatico dei contratti a prestazioni corrispettive e, quindi, anche del preliminare, è rappresentato dall’azione di riduzione del prezzo esperibile per i casi in cui l’inadempimento si risolva in difformità del bene incidenti soltanto sul valore. Note: (14) Cass. S.U. 27 febbraio 1985, n. 1720, in Foro it., 1985, I, 2, 169. (15) Così Cass. 3 gennaio 2002, n. 29, in Giur. it., 2002, 917, con nota di De Rentiis; v., anche, Cass. 1° ottobre 1997, n. 9560, cit. (16) V. Luminoso, La compravendita, cit., 396 e ss.; Mantello, L’inadempimento del contratto preliminare di vendita, cit., 575 e ss. (17) Cfr., Cass. 3 gennaio 2002, n. 29, cit.; Cass. 16 luglio 2001, n. 9636, in Guida al dir., 2001, 35, 35. (18) Cfr., De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, cit., 87 e ss. (19) V., in particolare, Lener, Contratto preliminare esecuzione anticipata e rapporto intermedio, in Foro it., 1977, I, 669. (20) V., diffusamente, Mantello, L’inadempimento del contratto preliminare di vendita, cit., 575 e ss. (21) Ex multis Cass., S.U., 27 febbraio 1985, n. 1720, cit.; Cass. 18 giugno 1996, n. 5615, in Corr. giur., 1997, 48; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9560, cit.; Cass. 16 luglio 2001, n. 9636, cit.; Cass. 3 gennaio 2002, n. 29, cit. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI In dottrina, al riguardo, si discute se la predetta azione possa considerarsi un rimedio generale per ovviare alle ipotesi di squilibrio economico delle prestazioni di un contratto sinallagmatico. Taluni (22) attribuiscono natura di rimedio eccezionale alla riduzione del prezzo sulla base di alcune disposizioni della disciplina del contratto in generale, nella specie gli artt. 1432, 1450, 1467, terzo comma, Codice civile, dalle quali non sarebbe possibile ricavare un diritto simile in capo alla parte pregiudicata dallo squilibrio economico, scoperto o sopravvenuto, la quale può soltanto chiedere la rimozione del regolamento contrattuale spettando all’altra parte, invece, la possibilità di proporre un’offerta modificativa. Altri (23) sostengono che l’azione di riduzione del prezzo costituisca un rimedio generale (24) riequilibrativo del rapporto sinallagmatico operante allorquando la proporzionalità originaria delle prestazioni sia venuta meno per circostanze sopravvenute ovvero per inesattezze. Ciò sarebbe desumibile sia dall’art. 1464 Codice civile che, per l’ipotesi di impossibilità parziale della prestazione di una parte, prevede in capo all’altra il diritto di ottenere una corrispondente riduzione della propria prestazione; sia dagli artt. 1492, 1578 e 1668 Codice civile i quali per l’ipotesi di vizi prevedono la possibilità di scelta a favore della parte pregiudicata, fra riduzione del corrispettivo e rimozione del regolamento contrattuale. Dopo aver indicato i rimedi esperibili per la tutela del promissario acquirente mediante il richiamo di una massima giurisprudenziale, il Tribunale di Nola applica al caso di specie il tradizionale rimedio della risoluzione del contratto il quale si differenzia dall’actio redibitoria per la rilevanza della colpa, per la mancanza del breve termine decadenziale, per il diverso termine di prescrizione, per l’irrilevanza degli usi ed anche per la neces- sità di valutare la gravità dell’inadempimento alla stregua del parametro di proporzionalità ex art. 1455 Codice civile (25). Va osservato che proprio mediante una corretta valutazione della gravità dell’inadempimento è possibile evitare che il promissario acquirente utilizzi i rimedi della risoluzione e dell’exceptio inadimpleti contractus (26), ostacolando la pronuncia costitutiva ex art. 2932 Codice civile, al solo fine di sottrarsi all’osservanza degli obblighi assunti allorquando, a seguito delle mutate condizioni di mercato, ritenga economicamente conveniente lo scioglimento del vincolo. Note: (22) Cfr., Gabrielli e Franceschelli, voce Contratto preliminare, cit., 11. (23) Cfr. Bianca, La vendita, cit., II, 164; Luminoso, La compravendita, cit., 394; per la giurisprudenza, ex multis; Cass. 16 luglio 2001, n. 9636, cit.; Cass. 23 aprile 1980, n. 2679, cit. (24) Così Cass., S.U., 27 febbraio 1985, n. 1720, cit.: «la riduzione del prezzo non è uno strumento esclusivo del contratto di vendita, ma piuttosto un rimedio a carattere più generale per i contratti a prestazioni corrispettive». (25) La dottrina prevalente ritiene superfluo per l’accoglimento dell’azione edilizia il giudizio ex art. 1455 Codice civile atteso che esso sarebbe implicito nel presupposto per l’esperimento dell’azione stessa, ossia la sussistenza di un vizio che renda la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o che ne diminuisca in modo apprezzabile il valore. Si osserva, al riguardo, che avendo il legislatore stabilito in quali casi il compratore ha diritto alla garanzia per i vizi abbia già fatto, in astratto, una valutazione dell’importanza dell’inadempimento. In tal senso, Greco e Cottino, Della vendita, artt. 1470-1547, Bologna-Roma, 1962, 252. La giurisprudenza di legittimità sul punto si mostra divisa, per l’applicabilità dell’art. 1455 Codice civile v. Cass. 15 febbraio 1986, n. 914, in Cd-Rom Jiuris Data 2004; Cass. 25 giugno 1980, n. 3992, in Giur. it., 1981, I, 1 1027; contra Cass. 11 aprile 1996, n. 3398, in Corr. giur., 1997, 75. (26) Il riferimento è al secondo comma dell’art. 1460 Codice civile secondo il quale il rifiuto di eseguire la prestazione è contrario a buona fede ove l’inadempimento risulti non grave. I CONTRATTI N. 8-9/2005 769 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Mediazione Sulla differenza tra mandato e mediazione Corte d’Appello di Milano, sez. I - Sentenza del 12 maggio 2004 Pres. Trombetti - Rel. La Manna - Ric. A. L. - Res. Prima casa S.r.l. Contratti in genere - Compravendita beni immobili - Mediazione - Natura - Mandato - Caratteri - Differenze Il soggetto che ha ricevuto un incarico ad alienare e/o acquistare un immobile e che mette in relazione chi gli ha conferito l’incarico con la controparte ricercata sul mercato svolge - indipendentemente dal nomen iuris utilizzato nel contratto - l’attività tipica del mediatore. Unico vincolo ostativo al riconoscimento del compenso in favore del mediatore è, in caso di effettiva conclusione dell’affare, la mancanza di indipendenza del mediatore, intesa come assenza di qualsiasi vincolo o rapporto che renda (il caso di conferimento unilaterale dell’incarico) riferibile al dominus l’attività giuridica del mediatore. Svolgimento del processo on ricorso depositato in data 26 ottobre 2000 la società Prima Casa S.r.l. chiese al Tribunale di Milano ingiunzione di pagamento nei confronti del Sig. A.L. per il complessivo importo di Lire 6.840.000 (oltre accessori), quale credito provvigionale derivante dall’attività mediatoria espletata in favore di costui. Assumeva in particolare la ricorrente che, con scrittura di conferimento dell’incarico mediatorio datata 26 aprile 2000, il Sig. L. aveva proposto l’acquisto, per il tramite della Prima Casa S.r.l., di un appartamento sito in Milano, via del Mare n. 99, per il prezzo di Lire 190.000.000, promettendo il pagamento di una provvigione commisurata al 3% del prezzo d’acquisto da corrispondere all’atto del preliminare (stipulato in data 8 maggio 2000), ma poi non pagata nonostante i solleciti. Il Giudice adìto, accogliendo il ricorso, emise il richiesto decreto ingiuntivo in data 1° dicembre 2000. Contro quest’ultimo propose opposizione il sig. L. con atto di citazione notificato in data 12 febbraio 2001, chiedendo la revoca dell’opposto decreto «stante l’irregolarità del mandato a vendere ricevuto dalla società convenuta, le omissioni ed irregolarità da essa commessa nell’esecuzione della mediazione». L’opponente evidenziava, in particolare, che Prima casa aveva commesso varie irregolarità ed illiceità nel corso di svolgimento dell’incarico mediatorio, che avevano compromesso il rapporto fiduciario inter partes e il buon esito della mediazione (avendo taciuto che la vendita doveva avere ad oggetto non solo un appartamento, ma anche un box, e che sull’immobile gravava un’iscrizione ipotecaria; ed avendo redatto il mandato di vendita su un modulo diverso da quello prestabilito dalla CCIAA di Milano). C 770 I CONTRATTI N. 8-9/2005 Si costituì in giudizio la convenuta-opposta resistendo all’opposizione e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto; chiese, inoltre, «in via riconvenzionale», la condanna dell’opponente al pagamento dell’ulteriore importo di Lire 1.080.000, avendo appreso, sulla base della documentazione prodotta in causa dalla stessa controparte, che il prezzo definitivo di compravendita era lievitato da Lire 190.000.000 a Lire 220.000.000, con il conseguente maturare del suo diritto alla provvigione anche sul maggiore importo di Lire 30.000.000. All’esito del giudizio così radicato, e senza il previo svolgimento di alcuna significativa attività istruttoria, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1765/2002 pronunciata e depositata in data 21 gennaio 2002, ha rigettato l’opposizione, confermato l’opposto decreto e condannato l’opponente al pagamento in favore della convenuta del maggiore importo di Lire 1.080.000, pari ad euro 557,77 (oltre interessi legali dal dovuto al saldo) e alla rifusione delle spese di lite (complessivamente liquidate in euro 1.928,95). Riassumendo - per quanto ora interessa - la motivazione di questa pronuncia, deve rilevarsi che il Tribunale ha anzitutto dichiarato inammissibile, in quanto nuova e tardivamente proposta, la domanda svolta dall’opponente in sede di precisazione delle conclusioni, con cui aveva addotto «l’impossibilità di configurare nella specie un rapporto mediatorio, essendo controparte non in posizione terziaria rispetto allo stipulando contratto, bensì in posizione di mandatario e rappresentante sostanziale di una delle parti contraenti». Il primo Giudice ha quindi ritenuto di dover esaminare solo le iniziali prospettazioni dell’opponente, inerenti alle pretese irregolarità compiute da Prima casa nell’espletamento dell’incarico, non potendo esse considerarsi abbandonate come conseguenza della mutata posizione di- GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI fensiva assunta in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, ma le ha giudicate nel merito infondate, perché l’opponente, resosi conto che la vendita comprendeva inscindibilmente anche un box, l’aveva accettata, e peraltro senza subire nemmeno alcun pregiudizio, visto che aveva contestualmente venduto a terzi il box in questione recuperando per intero il relativo prezzo; che nel compromesso egli era stato edotto dell’esistenza dell’iscrizione ipotecaria, peraltro successivamente cancellata senza aggravio alcuno; e che fossero addirittura incomprensibili le doglianze relative alla modulistica usata dalla società mediatrice. Quanto alla richiesta formulata da quest’ultima, di condanna dell’opponente al pagamento di un supplemento di provvigione, il Tribunale ha ritenuto che tale domanda, di carattere riconvenzionale, potesse essere dedotta perché dipendente, ex art. 36 Codice di procedura civile, dal titolo già dedotto in giudizio, avendo l’opposta già monitoriamente azionato il rapporto mediatorio e potendo quindi dedurre in via riconvenzionale altre pretese derivanti da esso, pretese in concreto svolte tempestivamente con la comparsa di costituzione, ossia subito dopo aver appreso, a seguito della produzione documentale effettuata dall’opponente in allegato alla citazione, che il prezzo reale di vendita era maggiore di quello prima conosciuto. Per la riforma di tale sentenza ha interposto gravame avanti a questa Corte d’Appello il Sig. L. con atto di citazione notificato in data 6 maggio 2002. Si è costituita in giudizio l’appellata Prima casa resistendo al gravame; contestualmente il legale di tale società ha dato atto del fallimento che, nelle more, è stato dichiarato a carico della sua assistita. Dichiarato conseguentemente interrotto il giudizio, esso è stato poi riassunto dal Sig. L. nei confronti della società Prima casa essendo questa ritornata in bonis a seguito di chiusura del fallimento nel frattempo disposta. Nella fase successiva del giudizio la predetta società, ora in fase di liquidazione, si è nuovamente costituita in persona del suo liquidatore riproponendo le difese svolte in precedenza. Precisate di seguito le conclusioni - conformemente agli atti introduttivi - nei termini letteralmente trascritti in epigrafe, questa Corte ha infine trattenuto la causa in decisione all’udienza del 24 febbraio 2004 concedendo alle parti i termini di cinquanta e di venti giorni nei limiti previsti dagli artt. 190 e 352 Codice di procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di gravame l’appellante censura sia il fatto che il Tribunale abbia ritenuto che essa avesse proposto in occasione della precisazione delle conclusioni una nuova domanda, sia che abbia ritenuto di non dover esaminare nel merito quest’ultima, ma invece le prospettazioni difensive svolte in origine con l’atto di opposizione, ancorché queste fossero state palesemente abbandonate. Afferma in proposito la deducente che, nel contestare in via conclusiva che Prima Casa avesse svolto attività mediatoria, e nel sostenere, di conserva, che essa avesse invece svolto l’attività di mandataria per conto e nell’esclusivo interesse dei venditori, nessuna nuova domanda essa aveva proposto, ma aveva semplicemente profilato comunque senza incorrere in alcuna preclusione, e per il tramite dei nuovi difensori subentrati a quelli prima nominati dal Sig. L., nella convinzione che costoro avessero assunto una posizione difensiva del tutto ininfluente ed erronea - mere difese di diritto in relazione alla ipotizzata mancanza di un fatto costitutivo dell’avversa domanda. Proprio in ragione di ciò, sostiene l’appellante, i suoi nuovi difensori avevano manifestato la chiara intenzione di voler abbandonare le precedenti prospettazione difensive, che il Tribunale, dunque, non avrebbe dovuto affatto esaminare, dovendo limitarsi a verificare, anche nello svolgimento dei suoi poteri ufficiosi di qualificazione della domanda, e comunque sulla scorta delle difese svolte dai nuovi difensori dell’opponente, se davvero Prima Casa potesse vantare un diritto alla provvigione in relazione all’assunto svolgimento di un’attività mediatoria, o piuttosto tale diritto non potesse vantare, avendo svolto mera attività di mandataria e procuratrice a vendere per conto, e nell’esclusivo interesse, dei venditori. L’appellante non omette di riproporre, peraltro, le ragioni di carattere giuridico che, in relazione alla posizione del mediatore-mandatario, già aveva esposto nella fase conclusiva di primo grado a sostegno della addotta mancanza di un valido titolo al compenso provvigionale in capo a Prima Casa. 1.2. Un ulteriore profilo di critica investe poi la gravata pronuncia nel punto in cui il Tribunale ha ritenuto ammissibile la domanda svolta dalla convenuta per il pagamento di una quota supplementare di provvigione, qualificandola come domanda riconvenzionale. Ricorda in proposito l’appellante i principi giurisprudenziali affermatisi in materia di qualificazione processuale del ruolo delle parti di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, laddove è il convenuto-opposto ad assumere la veste sostanziale di attore, e l’opponente quella di convenuto, e osserva che, per tale ragione, Prima Casa non solo aveva l’onere di provare ex novo il fondamento della sua domanda originaria, ma non poteva nemmeno proporne una nuova di carattere riconvenzionale, tale possibilità essendo riservata solo alla parte avente qualità di convenuto in senso sostanziale, ossia all’opponente; né, a suo dire, la tardiva e quindi inammissibile proposizione della nuova domanda poteva trovare giustificazione nel fatto, allegato dalla mediatrice, ma in concreto poco credibile, che solo dopo aver visionato i documenti prodotti dall’opponente aveva potuto avvedersi che il prezzo definitivo di vendita era maggiore di quello prima pattuito, poiché la preclusione sullo jus novorum si forma in relazione alle scansioni che attengono ai I CONTRATTI N. 8-9/2005 771 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI termini di compimento degli atti processuali, e non possono essere superate volta a volta dal preteso posteriore apprendimento di nuovi fatti. 2. Così sintetizzato l’oggetto del contendere, reputa questa Corte che l’appello sia insuscettibile di accoglimento con riferimento a tutti gli articolati profili, ancorché alcuni degli argomenti prospettati mettano effettivamente in luce errori di impostazione giuridica da parte del primo Giudice nella parte motiva della gravata pronuncia che, comunque, non inficiano l’esattezza del dispositivo. 2.1. Quanto al primo profilo di critica, l’appellante sostiene che, nell’abbandonare in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado le precedenti prospettazione difensive, e contestando in quella sede per la prima volta che Prima Casa avesse assunto la qualità di mediatrice in senso stretto, non avrebbe proposto una nuova domanda, né una vera e propria eccezione, ma una semplice difesa alternativa atta ad incidere solo sulla mera qualificazione della domanda in relazione ad un suo fatto costitutivo, che sarebbe stato comunque onere dell’attrice sostanziale (convenuta-opposta) dimostrare esistente. La deducente censura anche il fatto che il primo Giudice abbia esaminato argomenti difensivi da considerare ormai abbandonati. Riguardo a tale ultimo aspetto vi è solo da evidenziare che esso non ha alcun concreto riflesso sull’attuale thema decidendum, visto che l’appellante non solo non ripropone ora quegli argomenti difensivi, ma sostiene che nemmeno il Giudice di primo grado avrebbe dovuto esaminarli. Con il che, evidentemente, si conferma la loro assoluta ininfluenza ai fini del decidere. Convincente è invece l’argomento con cui si censura il fatto che il Tribunale abbia ritenuto proposta una nuova domanda. A questo riguardo, per quanto possa apparire superfluo, deve tuttavia premettersi, dovendo tenersi conto delle confuse e contrastanti affermazioni svolte su questo punto dalle parti in causa, che, secondo diritto giurisprudenziale ormai ricevuto, l’opposizione a decreto ingiuntivo non costituisce mera azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente-opposto e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente. In tale giudizio la posizione processuale delle parti è in realtà invertita: la posizione sostanziale di attore, infatti, con i relativi oneri, spetta al creditore ricorrente, convenuto in opposizione, mentre quella sostanziale di convenuto spetta al debitore opponente; sicchè, dovendo aversi riguardo alla sola posizione sostanziale delle parti, e non a quella formale, devono reputarsi operanti con riferimento alla prima sia il regime probatorio, che la disciplina delle facoltà processuali. Ne consegue che, mentre l’opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, può, a norma degli artt. 183 e 184 Codice di procedura civile, solo precisare e modificare, ma non mutare la sua domanda, che è quella spie- 772 I CONTRATTI N. 8-9/2005 gata con il ricorso per ingiunzione (ammettere, infatti, la possibilità di un’autonoma riconvenzionale da parte dell’opposto significherebbe eludere il divieto di mutatio libelli), ex altero latere all’opponente, in quanto convenuto in senso sostanziale, è dato di proporre con l’atto di opposizione eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dall’ingiungente (cfr. ex multis, tra le più recenti, Cass. n. 13445/2000; n. 6528/2000; n. 2820/1999; n. 813/1999), fatta salva, naturalmente, la possibilità per il convenuto opposto, quando ne ricorrano in concreto i presupposti, di proporre una riconventio reconventionis, purchè comunque nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di risposta del convenuto (Cass. 13 maggio 1993, n. 5460; Cass. 6 aprile 1973, n. 960). Tenuto conto, dunque, del fatto che nell’opposizione l’opponente è convenuto sostanziale, e che nel caso di specie il Sig. L., opponente, già con l’opposizione si era limitato a proporre solo eccezioni per contrastare la pretesa del ricorrente, e non vere e proprie domande riconvenzionali, già questo rendeva poco probabile che una nuova domanda egli avesse inteso proporre in occasione dell’udienza di definitiva precisazione delle conclusioni, laddove, del resto, solo per contrastare l’avversa pretesa, egli addusse, per la prima volta, il fatto che Prima casa avesse agito non imparzialmente, ma a tutela piuttosto dei soli interessi dei venditori, e quindi come mandataria stricto sensu degli stessi. A parte ciò, e valutando in concreto tale conclusiva posizione processuale, sorprende che il Tribunale abbia potuto ritenere proposta una «nuova domanda», laddove l’aggettivo «nuova» sembrava porre in evidenza non già che l’opponente avesse per la prima volta proposto una domanda in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, ma che ad una domanda già prima proposta ne avesse aggiunto un’altra, appunto «nuova», laddove con l’opposizione, in realtà, come appena si è detto, l’opponente non aveva proposto invece domanda alcuna, ma si era limitato a svolgere mere eccezioni difensive per ottenere (così proponendo una conclusione che soltanto in senso improprio poteva considerarsi come una domanda) la revoca dell’opposto decreto. Ad ogni buon conto, anche se una domanda fosse stata prima proposta, reputandosi tale - sebbene in senso ampio e improprio - la richiesta di revoca dell’opposto decreto svolta dall’opponente, non poteva certo considerarsi come nuova domanda la difesa svolta dall’opponente in occasione della precisazione delle conclusioni. È infatti noto che può aversi domanda nuova solo qualora venga fatta valere una pretesa che, basandosi su un titolo diverso da quello inizialmente dedotto in giudizio, ed aggiungendo presupposti di fatto nuovi o mutando quelli già esposti nella domanda introduttiva, ne alteri obiettivamente la natura ed il fondamento di tal che, pur restando eventualmente fermo il petitum, s’introduca una situazione di fatto diversa da quella prospettata precedentemente e tale da aprire un nuovo tema di indagini. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Sotto il profilo, poi, della individuazione della domanda, per il principio della libertà di forme vigenti nel nostro sistema processuale, che consente alle parti di proporre le loro domande, difese ed eccezioni senza l’osservanza di particolari formule, deve aversi riguardo al contenuto sostanziale delle domande e conclusioni delle parti in una valutazione complessiva anche del loro effettivo interesse (Cass. n. 2325/1992). La domanda giudiziale, dunque, deve essere interpretata dal giudice non solo nella sua letterale formulazione, ma anche nel suo sostanziale contenuto, e con riguardo alle finalità perseguite dalla parte. A questo scopo, nell’individuare l’oggetto della domanda occorre avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come si desume anche dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante e dal provvedimento sollecitato in concreto, tenendo conto della volontà «effettiva», ricavabile anche per «implicito», con riferimento alla «sostanza» della pretesa così come è stata costantemente percepita nel corso del giudizio da tutte le parti, secondo quanto emerge dalla condotta processuale di esse. Per ricostruire la volontà della parte, dunque, ci si deve riferire anche ai fatti esposti ed alle considerazioni svolte nella parte motiva dell’atto, alle finalità avute di mira dall’istante, desumibili dal tipo e dai limiti dell’azione proposta, ed al comportamento processuale concretamente assunto, tenuto conto altresì delle eventuali modifiche e trasformazioni che la domanda ha subito nel corso del giudizio (v. per es. Cass., sez. lav., n. 14303/2002; Cass. n. 2908/2001; n. 8879/2000; n. 11861/1999; sez. un., n. 4779/1981). In applicazione di questi criteri, deve dunque nella specie escludersi che nella formulazione difensiva finale assunta dal Sig. L. in sede di precisazione delle conclusioni, laddove, abbandonando le precedenti prospettazione, egli contestò che Prima casa avesse assunto la veste di mediatrice, fosse da ravvisare una nuova domanda, poiché tale posizione ripeteva, nel contesto della medesima ed immutata richiesta di revoca dell’opposto decreto, solo e sempre una conclusione esclusivamente intesa al rigetto della pretesa fatta valere da Prima casa. Si tratta ora di accertare se - come l’appellante adduce tale contestazione si sia tradotta più specificamente nella formulazione di «mere difese», che, in astratto, non è dubbio avrebbero potuto come tali ritenersi sottratte al regime di preclusioni e barrages processuali che scandiscono il procedere del giudizio di primo grado (per comune opinione potendo del resto proporsi per la prima volta anche nel successivo grado d’appello). È infatti principio consolidato che il divieto di jus novorum riguarda le domande e le eccezioni «in senso stretto» e non anche le difese e le eccezioni «in senso lato», e che tra le «eccezioni improprie» o «mere difese» rientrino le contestazioni inerenti all’esistenza di tutti o di alcuni degli elementi della fattispecie costitutiva della pretesa, o quelle dirette a negare il valore probatorio dei mezzi istruttori esperiti in primo grado su istanza di parte o d’ufficio dal giudice (tra le molte, v. Cass. n. 8855/2002; n. 89/1997; n. 4806/1985). In concreto, nonostante tale ricevuta definizione, non è però possibile ritenere che il Sig. Luongo, in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, si fosse limitato a svolgere mere difese, o che comunque avesse ancora il potere di svolgerle nel senso in cui lo fece. E non tanto perché il contestare che Prima casa avesse svolto attività mediatoria non potesse in via di principio ed astrattamente considerarsi una mera difesa, nella parte in cui mirava a negare un fatto costitutivo dell’avversa domanda, quanto piuttosto perché, a partire dall’atto di citazione in opposizione, egli aveva affermato, proprio in punto di fatto (e non semplicemente in termini di qualificazione in diritto), esattamente il contrario, ossia che Prima casa aveva svolto in effetti attività mediatoria, ancorché comportandosi in modo alquanto reprensibile quanto all’adempimento dei suoi doveri professionali. In tal modo l’opponente aveva quindi ammesso in modo pacifico l’esistenza di quel fatto costitutivo dell’avversa pretesa, che poi ha voluto contestare in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni. Deve ritenersi che, per tale ragione, la sua posizione conclusiva non potesse più considerarsi una mera difesa inidonea a spostare il tema del decidere già definito in causa, perché il fatto costitutivo della domanda di Prima casa doveva considerarsi ormai acquisito a livello probatorio in ragione delle stesse ammissioni svolte dall’opponente in atto di citazione. In sostanza, con la sua nuova posizione, l’opponente proponeva ora una vera e propria eccezione con la quale intendeva contrastare un fatto ormai acquisito in causa sotto il profilo della dialettica probatoria. Tale posizione poteva quindi qualificarsi, in ragione della sottesa intenzione di chi l’aveva conformata, di incidere cioè in senso impeditivo o estintivo su un fatto costitutivo di cui prima aveva ammesso l’esistenza, come eccezione in senso stretto, che non solo per giustificarsi sotto il profilo della fondatezza avrebbe dovuto presupporre il sopravvenire di fatti nuovi (appunto impeditivi, estintivi, ecc.) tali da poter contrastare la precedente ammissione circa la positiva esistenza, in fatto, del rapporto mediatorio, ma avrebbe dovuto anche - per potersi legittimare sotto il profilo della tempestività - essere proposta non oltre i limiti fissati dalle udienze ex artt. 180-183 Codice di procedura civile, mentre, essendo stata proposta nell’udienza di precisazione delle conclusioni, risultava conseguentemente ormai preclusa. Né può ritenersi che lo stabilire se l’attività della Prima casa fosse o meno attività mediatoria si riducesse ad una semplice qualificazione giuridica del fatto demandata ex officio al Giudicante, poiché in realtà ciò che integrava le contestazioni svolte dal L. era, come si è detto testè, la negazione di un fatto prima ammesso, ossia che Prima casa avesse agito quale vera intermediaria tra le parti, mentre ora egli affermava che la suddetta società aveva I CONTRATTI N. 8-9/2005 773 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI agito da semplice mandataria dei venditori, e se ovviamente da tale diversa impostazione derivava anche una inevitabile immutazione sul piano della qualificazione giuridica, alla base di questa vi era però anche (e ancor prima) un’evidente immutazione del fatto, suscettibile peraltro, all’evidenza, di una diversa indagine effettuale sul piano istruttorio, poiché per sconfessare la sua qualità di mandataria affermata ex adverso, Prima casa avrebbe anche dovuto provare - in fatto - di aver sempre agito in modo imparziale e come mediatrice nell’interesse di entrambe le parti sostanziali del rapporto intermediato. È pertanto più che evidente come l’opponente, nell’affermare che Prima casa, come mandataria, si era comportata in modo parziale ed interessato ai suoi danni, non si fosse limitata ad introdurre una mera difesa, ma abbia inserito un thema decidendum ulteriore e oggetto di potenzialmente automa attività istruttoria (ancorché preclusa ormai in fatto sia per l’opponente medesimo, quanto, soprattutto, per Prima casa, essendo ormai stato superato il barrage delle deduzioni istruttorie ex art. 184 Codice di procedura civile). Deve peraltro aggiungersi che, quand’anche si potesse andare di contrario avviso, ritenendo che di vere e proprie mere difese si fosse trattato, non per questo la nuova prospettazione difensiva avrebbe potuto considerarsi fondata, e ciò proprio in quanto alla nuova contestazione non si era accompagnato il previo tempestivo esperimento di connesse attività probatorie, restando privo di adeguato sostegno probatorio, sul piano del fatto concreto, l’allegato compimento di un’attività gestoria, o comunque non potendo tale nuova contestazione superare la precedente ed ormai acquisita ammissione circa l’effettivo svolgimento di un’attività propriamente mediatoria limitandosi a far perno, a tal fine, su alcune espressioni e su alcuni termini contenuti nella scrittura con cui i venditori avevano conferito l’incarico mediatorio a Prima Casa. L’appellante, infatti, a sostegno della sua contestazione, si è limitato a porre in evidenzia alcune espressioni letterali di tale scrittura, senza entrare nel merito dell’attività concretamente espletata da Prima Casa e senza addurre alcuna prova - peraltro ormai preclusa - in proposito. Ebbene il mero richiamo al tenore letterale della detta scrittura non poteva considerarsi sufficiente a dimostrare l’assunto del Sig. L.; ciò che aveva rilievo, infatti, per suffragare la fondatezza della sua contestazione finale, non poteva certo essere solo il fatto che, in base alla documentazione in atti, emergesse (in asserto) che Prima Casa era stata «incaricata» o avesse ricevuto «mandato» dai proprietari dell’appartamento di provvedere alla relativa vendita, essendo un dato di comune esperienza che, nella prassi corrente, l’incarico mediatorio venga affidato utilizzando espressioni (come «si dà incarico di…», o si «dà mandato di…», et similia) che spesso sembrano rimandare ad un’attività gestoria, senza tuttavia che quest’ultima venga sussunta davvero come contenuto obbligatorio di un rapporto qualificabile in senso contrattuale come mandato. Anche le altre espressioni cui ha fatto ri- 774 I CONTRATTI N. 8-9/2005 ferimento l’appellante come sintomi dell’operare di un mandato erano in realtà inefficaci a dimostrare tale fatto. Aveva osservato ad esempio l’opponente che non era stata promessa a Prima Casa, per la sua attività, una provvigione, ma un «compenso», e ciò avrebbe dovuto indurre il Giudicante ad orientarsi vero il mandato piuttosto che verso la mediazione. La tesi è palesemente eccessiva, poiché anche la provvigione altro non è che un compenso, un corrispettivo, quello che appunto viene promesso al mediatore, e semmai ciò che ha rilievo per poter desumere dal tipo di compenso il tipo di rapporto entro cui esso si inserisce, è la modalità con cui le parti lo abbiano calcolato, nel caso di specie in percentuale sul prezzo di vendita, e dunque esattamente come avviene di norma in ambito mediatorio. Anche il fatto - pure evidenziato dall’opponente - che fosse stata inserita nella detta scrittura la facoltà per il mediatore di incassare somme e di trattenerle a soddisfazione anche del suo compenso non contrasta assolutamente con la disciplina della mediazione, cui ben possono accedere - tanto più considerata la sua natura di rapporto fattuale non riducibile sic et simpliciter allo schema del contratto - clausole anche atipiche (rispetto a quelle che compongono il tessuto delineato tipologicamente dal codice civile) senza che, per ciò stesso, possa ritenersi superata la tipologia «mediazione» e ipso facto traslata la fattispecie pratica nella sfera di un altro e diverso schema negoziale tipico. Potrebbe forse apparire più significativa un’altra previsione cui ha fatto riferimento l’opponente, quella con cui si contemplava il sorgere del diritto al compenso per il mediatore sia in caso di esecuzione del mandato o dell’incarico sia in caso di «conclusione diretta del contratto di compravendita», conclusione che l’appellante interpreta come riferita all’attività del mediatore, che, essendo stato così abilitato a concludere il contratto di alienazione, avrebbe potuto finanche agire come procuratore alla vendita, in nome e per conto dei venditori. Questa è però, a ben vedere, una semplice illazione, del tutto priva di riscontro logico-argomentativo e fattuale. Con l’espressione «conclusione diretta del contratto di compravendita», infatti, non si indicava affatto una facoltà d’azione attribuita a Prima Casa, ma solo un evento al verificarsi del quale sarebbe scattato l’obbligo di pagamento del compenso. Nulla quindi autorizzava a ritenere che la facoltà di concludere il contratto fosse stata delegata a Prima Casa, l’espressione in esame sembrando invece più congruamente riferibile, in sostanza, al caso in cui le parti avessero direttamente, e cioè autonomamente, concluso la compravendita senza intervento del mediatore durante il periodo di vigenza dell’incarico mediatorio, situazione che, com’è noto, viene solitamente considerata sufficiente ragione per il riconoscimento della provvigione al mediatore cui l’incarico sia conferito, come nella specie, in «esclusiva». Del resto, un’analoga previsione, fondata sulla medesi- GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI ma ratio, si rinveniva nella detta scrittura laddove questa contemplava il diritto al compenso anche ove la vendita fosse stata stipulata dopo l’estinzione del rapporto mediatorio, ma con soggetti già segnalati dal mediatore o che avessero visionato i locali oggetto di vendita già nel corso di vigenza del rapporto di mediazione. Se gli elementi «sintomatici» segnalati dall’opponente per dimostrare l’operare di un mandato non erano idonei a tale scopo, altri ve n’erano che invece, del tutto ignorati dall’opponente, avrebbero potuto più agevolmente dimostrare che di mandato non si trattasse, quanto piuttosto di una vera e propria mediazione. Da una parte non poteva dubitarsi che carattere mediatorio avesse l’incarico conferito, a latere emptoris, dal L., visto che nella scrittura con cui costui aveva proposto l’acquisto dell’appartamento di cui si discute era stato inserito l’espresso riferimento al fatto che il compenso avrebbe avuto come causa l’attività di intermediaria svolta da Prima Casa, per ben due volte indicata come «società intermediatrice». Inoltre, quanto alla scrittura di conferimento dell’incarico a latere venditoris, significativamente si era precisato che nessun compenso sarebbe spettato a Prima casa in caso di mancata conclusione dell’affare durante il periodo di vigenza dell’incarico, laddove invece, se si fosse trattato di vero e proprio mandato, sarebbe stato quanto meno più «normale», anche se non inesorabile, stante la contestuale previsione di un compenso in caso di buon esito delle trattative che rendeva comunque «oneroso» il rapporto, che si prevedesse la debenza del compenso in ragione del semplice compimento dell’attività gestoria, e dunque a prescindere dal risultato. La mediazione, infatti, si differenzia tra l’altro dal mandato anche perché, mentre il mandatario agisce in adempimento di un preciso obbligo giuridico consistente nel compimento di un’attività negoziale, avendo diritto al compenso - di norma - indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore invece assume l’onere, interponendosi in maniera neutrale fra due o più parti, di mettere in contatto le stesse con diritto al compenso solo in caso di effettiva conclusione dell’affare (v. Cass. n. 1719/1998). Mancando quindi la possibilità di desumere dalle citate scritture l’esistenza di un mandato nel rapporto interno tra i venditori e Prima casa, l’opponente, per dimostrare comunque esistente tale contratto, avrebbe dovuto dimostrare se non altro il concreto compimento, in via effettuale, di atti implicanti violazione dell’obbligo di imparzialità, se non addirittura l’esecuzione di attività rappresentative in nome e per conto dei venditori, qualificando in modo concludente, e non solo in via teorica, la posizione gestoria della mediatrice, sì da poter concludere che tale attività si era riflessa anche nel rapporto bilaterale tra acquirente e Prima Casa incidendo in senso impeditivo sul diritto al compenso provvigionale che, in effetti, in tal caso non sarebbe stato dovuto (ex multis, Cass. n. 1231/2000). In ultima analisi, partendo dal dato pacifico che entrambe le parti in causa conferirono a Prima Casa, da una parte l’incarico di trovare un acquirente, e dall’altra l’incarico di trovare un appartamento da acquistare, con il che almeno in apparenza poteva considerarsi operante un rapporto mediatorio con diritto al compenso sia a latere venditoris, sia a latere emptoris, il Sig. L. avrebbe dovuto dimostrare, per dare fondamento alla sua prospettazione, in via di fatto, e con prove ad hoc, che Prima casa non si era comportata come soggetto imparziale, e non limitarsi a ipotizzare in astratto l’esistenza di un mandato, facendo esclusivo riferimento alle non conclusive espressioni letterali utilizzate nella scrittura con cui i venditori avevano conferito un «incarico a vendere». Escluso che fosse ammissibile o fondata la prospettazione conclusiva dell’opponente, dovevano poi considerarsi abbandonate, per sua stessa ammissione, le altre difese iniziali, che dunque - come già s’è detto - male ha fatto il primo Giudice a ritenere ancora oggetto del thema decidendum. Se è vero, infatti, che in via di principio la mancata riproposizione, nelle conclusioni definitive di cui all’art. 189 Codice di procedura civile, di domande o eccezioni o istanze in precedenza formulate non è, di per sè, sufficiente a farne presumere la rinuncia o l’abbandono, dovendosi ciò escludere non solo quando dette conclusioni ricomprendano una generica richiesta di positiva valutazione di tutte le difese svolte, ma anche quando, pur essendo state precisate conclusioni specifiche e nonostante detta materiale omissione, la complessiva condotta della parte - la cui interpretazione è riservata al giudice del merito - evidenzi l’intento della stessa di mantenere ferme anche le domande, le eccezioni o le istanze a loro volta non specificamente riprodotte, tanto più quando queste, sotto il profilo dell’interesse della parte, risultino strettamente connesse con quelle oggetto delle conclusioni formulate (v. da ultimo Cass. n. 12482/2002); è altrettanto vero che quando delle varie tesi tra loro collidenti sostenute nel corso del giudizio ne venga conclusivamente adottata solo una che elida le altre, il principio di non contraddizione legittima il giudice a ritenere abbandonate le altre tesi e difese (Cass. n. 108/1997). Nel caso di specie l’aver prima svolto difese che presupponevano l’esistenza del rapporto mediatorio, e poi difese che la escludevano, costituiva ragione sufficiente per ritenere ormai abbandonate le prime, tanto più che, per stessa ammissione dei nuovi difensori dell’opponente, esse erano state non più riproposte perché da essi ritenute infondate. In ogni caso quelle eccezioni e difese, cui il primo Giudice si è riferito, non sono state più riproposte in appello con l’atto di gravame ed esulano pertanto - come si è già anticipato - dal tema del decidere. 2.2. Infondata è anche la seconda censura che riguarda la cd. «domanda riconvenzionale» proposta da Prima Casa. I CONTRATTI N. 8-9/2005 775 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Richiamato quanto già detto sopra circa il fatto che la consolidata giurisprudenza di legittimità esclude l’ammissibilità di domande riconvenzionali da parte dell’opposto, è altrettanto indubitabile che non costituisca mutamento della domanda, ma semplice consentita emendatio, la modifica dell’entità del petitum, ancorchè per importo maggiore di quello inizialmente richiesto, allo stesso modo in cui lo è la richiesta di una somma minore di quella originaria quando comunque, in entrambe le evenienze, non muti la «causa petendi» (arg. ex Cass., sez. lav., n. 1104/1999; n. 5648/1990; n. 7224/1987). E già sì è detto che l’opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, se non può mutare la domanda spiegata con il ricorso per ingiunzione, può invece, a norma degli artt. 183 e 184 Codice di procedura civile, precisare e modificare la stessa con la comparsa di costituzione in giudizio, e tra le modifiche consentite deve ritenersi appunto compresa anche la mera variazione e specificazione quantitativa del petitum. Le conclusioni raggiunte integrano e rettificano la motivazione in diritto della sentenza impugnata, ma evidentemente non ne toccano il decisum, che resiste pertanto alle censure formulate con l’atto d’impugnativa, il quale va conclusivamente respinto. 3. Quanto alle spese di lite del giudizio di gravame, la parte appellante, quale soccombente, dovrà rifondere in via meramente consequenziale ai sensi dell’art. 91 Codi- ce di procedura civile le spese processuali sostenute in questa fase dalla parte appellata. La relativa misura, per brevità, viene direttamente liquidata in dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei parametri contemplati dalla vigente Tariffa professionale, e tenuto conto della necessità di liquidare comunque, anche ex officio, le spese generali di studio che l’art. 15 della suddetta Tariffa quantifica a forfait nella misura del 10% (Cass. n. 11654/2002). P.Q.M. La Corte d’Appello di Milano, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda ed eccezione, così provvede: 1) respinge l’appello confermando, per l’effetto, l’impugnata sentenza n. 1765/2002 pronunciata dal Tribunale di Milano e depositata in data 21 gennaio 2002, salve le integrazioni motivazionali meglio indicate nella parte motiva della presente decisione; 2) condanna l’appellante all’integrale rifusione delle spese di lite sostenute dall’appellata nel presente grado, liquidate per tale fase in euro 3.458,20 (di cui euro 591,96 per esborsi, euro 1.355,68 per diritti, euro 1.250,00 per onorari ed euro 260,56 per spese generali di studio al 10%), oltre ai competenti oneri fiscali e previdenziali. IL COMMENTO di Ettore Battelli Il soggetto che ha ricevuto «mandato» (rectius: assunto l’incarico) ad alienare e/o acquistare un immobile e che mette in relazione chi gli ha conferito l’incarico con la controparte ricercata sul mercato, indipendentemente dal nomen iuris indicato nel contratto, in assenza di qualsiasi vincolo o rapporto che renda riferibile al dominus l’attività giuridica posta in essere, svolge l’attività tipica dell’interposizione mediatoria, cioè mettere in relazione due parti perché concludano un determinato affare. Il fatto e le questioni La sentenza in esame ripropone il dibattuto tema della individuazione del tipo contrattuale in presenza di un accordo tra le parti, una delle quali è un operatore professionista, diretto a procurare la vendita di un immobile: dottrina e giurisprudenza, lo si vedrà successivamente, ne hanno evidenziato struttura e natura. Con ricorso, depositato in data 26 ottobre 2000, la società Prima casa S.r.l. chiese al Tribunale di Milano 776 I CONTRATTI N. 8-9/2005 ingiunzione di pagamento nei confronti del Sig. L. per il credito provvigionale derivante dall’attività mediatoria espletata in favore di costui. Essa assumeva in particolare che, con scrittura di conferimento dell’incarico mediatorio, il Sig. L. aveva proposto l’acquisto, per suo tramite, di un appartamento sito in Milano (dettagliatamente individuato), per il prezzo di Lire. 190.000.000, promettendo il pagamento di una provvigione commisurata al 3% del prezzo d’acquisto da corrispondere all’atto del preliminare (stipulato in data 8 maggio 2000), ma poi non pagata nonostante i solleciti. Il Giudice adìto, accogliendo il ricorso, emise il richiesto decreto ingiuntivo contro il quale il sig. L. propose opposizione chiedendone la revoca sulla base della «irregolarità del mandato a vendere ricevuto dalla società convenuta» e delle omissioni ed irregolarità da essa commessa nell’esecuzione dell’incarico mediatorio, che avevano compromesso il rapporto fiduciario inter partes e il buon esito della mediazione (avendo taciuto che la vendita doveva avere ad oggetto non solo un ap- GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI partamento, ma anche un box, e che sull’immobile gravava un’iscrizione ipotecaria) (1). La convenuta-opposta, costituitasi in giudizio, resistendo all’opposizione e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto, in via riconvenzionale chiese anche la condanna dell’opponente al pagamento di un ulteriore importo, avendo appreso, sulla base della documentazione prodotta in causa dalla stessa controparte, che il prezzo definitivo di compravendita era lievitato considerevolmente, con il conseguente maturare del suo diritto alla provvigione anche sul maggiore importo (2). All’esito del giudizio così radicato il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1765 del 21 gennaio 2002, ha rigettato l’opposizione, confermato l’opposto decreto e condannato l’opponente al pagamento in favore della convenuta del maggiore importo ed alla rifusione delle spese di lite. Il Tribunale, peraltro, da un lato ha dichiarato inammissibile, in quanto nuova e tardivamente proposta (solamente in sede di precisazione delle conclusioni), la domanda svolta dall’opponente, con la quale quest’ultimo aveva addotto la non configurabilità, nel caso di specie, di un rapporto di mediazione, ritenendo Prima casa S.r.l., in posizione non «terza» rispetto allo stipulando contratto di compravendita, alla stregua di soggetto mandatario e rappresentante della parte venditrice; dall’altro, esaminate le iniziali prospettazioni dell’opponente, inerenti alle pretese irregolarità compiute da Prima casa nell’espletamento dell’incarico, le ha giudicate infondate, perché l’opponente, resosi conto che la vendita comprendeva inscindibilmente anche un box (3), l’aveva accettata, vendendo contestualmente a terzi il box in questione, così recuperando per intero il relativo prezzo; e perché, nel compromesso, egli era stato anche edotto dell’esistenza dell’iscrizione ipotecaria, peraltro successivamente cancellata senza aggravio alcuno. Il Tribunale ha, inoltre, accolto la richiesta formulata da Prima casa, relativa al pagamento del supplemento di provvigione, ritenendo che tale domanda riconvenzionale potesse essere accolta in virtù proprio della produzione documentale effettuata dall’opponente in allegato alla citazione, attestante il reale prezzo di vendita, all’evidenza maggiore di quello prima conosciuto. Per la riforma di tale sentenza il Sig. L. ha interposto gravame avanti alla Corte d’Appello. I motivi di appello erano due. Con il primo, di mero carattere processuale, l’appellante censura sia il fatto che il Tribunale abbia ritenuto che egli avesse proposto in occasione della precisazione delle conclusioni una nuova domanda, sia che abbia ritenuto di non dover esaminare nel merito quest’ultima, bensì le prospettazioni difensive svolte in origine con l’atto di opposizione, ancorché queste fossero state palesemente abbandonate. Afferma in proposito l’appellante che, nel contestare in via conclusiva che Prima casa avesse svolto attività mediatoria, e nel sostenere che essa avesse invece svolto l’attività di mandataria per conto e nell’esclusivo interesse dei venditori, nessuna nuova domanda egli aveva proposto, ma aveva semplicemente profilato, senza incorrere in alcuna preclusione, mere difese di diritto in relazione alla ipotizzata mancanza di un fatto costitutivo dell’avversa domanda. Proprio in ragione di ciò, con il secondo motivo di gravame, egli sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto limitarsi a verificare se Prima casa potesse vantare un diritto alla provvigione in relazione all’assunto svolgimento di un’attività mediatoria, o piuttosto tale diritto non potesse vantare, avendo svolto mera attività di mandataria e procuratrice a vendere per conto, e nell’esclusivo interesse, dei venditori (4). Il signor L., come già accennato, sostiene, infatti, l’impossibilità di configurare nella specie un rapporto mediatorio, «essendo controparte non in posizione terziaria rispetto allo stipulando contratto, bensì in posizione di mandatario e rappresentante sostanziale di una delle parti contraenti» (5). Così sintetizzato l’oggetto del contendere, la Corte d’Appello ha reputato insuscettibile di accoglimento il suddetto appello. Quanto al primo profilo di critica, cui brevemente si accenna, convincente è l’argomento con cui si censura il fatto che il Tribunale abbia ritenuto proposta una nuova domanda. A questo riguardo, deve tuttavia premettersi, che, secondo diritto giurisprudenziale (6) ormai recetto, l’opNote: (1) Sul dovere d’informazione del mediatore, tra gli altri, vedi: U. Azzolina, La mediazione, in F. Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1957, 8.2.2, 88 e ss.; L. Carraro, La mediazione, Padova, 1960, 152 ss.; A. Cataudella, voce Mediazione, in Enc. giur., Roma, 1990, XIX, 3.3, 7; G. Di Chio, La mediazione, in Cottino (a cura di), I contratti commerciali, in Galgano (diretto da) Trattato di diritto commerciale, Padova, 1991, XVI, 610 ss.; E. Guerinoni, Mediazione e obbligo di corretta informazione, nota a Cass. 26 maggio 1999, n. 5107, in questa Rivista, 2000, 247; A. Maniaci, Mediazione e obbligo di corretta informazione, in Foro pad., 2002, 322; F. Toschi Vespasiani, La responsabilità del mediatore immobiliare: gli incerti confini dell’obbligo di informazione, in questa Rivista, 2004, 1160 ss. (2) Cfr. sul punto G. Gabrielli, Il «patto di sovrapprezzo» fra intermediario e venditore, in Giust. civ., 1991, II, 563. (3) Sulla questione: M. Caputi, Il mediatore e il dovere di informazione: cronaca di un rapporto difficile, nota a Trib. Torino 13 gennaio 2000, in Foro it., 2001, I, 1885. (4) Cfr. V. Carbone, La responsabilità professionale del mediatore tra codice civile e leggi speciali, nota a Cass. 15 maggio 2001, n. 6714; Cass. 8 maggio 2001, n. 6389; Cass. 2 maggio 2001, n. 6160; Cass. 22 maggio 2001, n. 6973; Cass. 18 maggio 2001, n. 6827; Cass. 22 maggio 2001, n. 6963; Cass. 17 maggio 2001, n. 6766; Cass. 15 maggio 2001, n. 6705, in Danno e resp., 2001, 794. (5) Cfr. E. Favara, Mediazione, mandato ed imparzialità del mediatore, nota a Cass. 25 giugno 1963, n. 1719, in Riv. giur. edil., 1963, I, 1244. (6) Ex multis: Cass. 25 novembre 2002, n. 16571, in Corr. giur., 2003, 447; e Trib. Frosinone 21 gennaio 2000, con nota di G. Lotito, In tema di domanda nuova a seguito dell’entrata in vigore del nuovo rito introdotto dalla Legge n. 353/90, in Il nuovo diritto, 2000, II, 258; in dottrina: A. Carrato, Riflessioni generali sul rapporto tra il procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione previsto dalla L. 689/1981 e il processo ordinario di cogni(segue) I CONTRATTI N. 8-9/2005 777 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI posizione a decreto ingiuntivo non costituisce mera azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente-opposto e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente. In tale giudizio la posizione processuale delle parti è in realtà invertita: la posizione sostanziale di attore, infatti, con i relativi oneri, spetta al creditore ricorrente, convenuto in opposizione, mentre quella sostanziale di convenuto spetta al debitore opponente; sicché, dovendo aversi riguardo alla sola posizione sostanziale delle parti, e non a quella formale, devono reputarsi operanti con riferimento alla prima sia il regime probatorio, che la disciplina delle facoltà processuali. Ne consegue che, mentre l’opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, può, a norma degli artt. 183 e 184 Codice di procedura civile, solo precisare e modificare, ma non mutare la sua domanda, che è quella spiegata con il ricorso per ingiunzione (ammettere, infatti, la possibilità di un’autonoma riconvenzionale da parte dell’opposto significherebbe eludere il divieto di mutatio libelli) (7), ex altero latere all’opponente, in quanto convenuto in senso sostanziale, è dato di proporre con l’atto di opposizione eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dall’ingiungente (8). Deve dunque nella specie, concordando con il giudice dell’Appello, escludersi che, nella formulazione difensiva finale assunta dal Sig. L. in sede di precisazione delle conclusioni, laddove, abbandonando le precedenti prospettazioni, egli contestò che Prima casa avesse assunto la veste di mediatrice, fosse da ravvisare una nuova domanda, poiché tale posizione ripeteva, nel contesto della medesima ed immutata richiesta di revoca dell’opposto decreto, solo e sempre una conclusione esclusivamente intesa al rigetto della pretesa fatta valere da Prima casa. In concreto, non è però possibile ritenere che il Sig. L., in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, si fosse limitato a svolgere mere difese, o che comunque avesse ancora il potere di svolgerle nel senso in cui lo fece, perché, a partire dall’atto di citazione in opposizione, egli aveva affermato, proprio in punto di fatto (e non semplicemente in termini di qualificazione in diritto), esattamente il contrario di quanto sostenuto in sede di conclusioni, ossia che Prima casa aveva svolto in effetti attività mediatoria, ancorché comportandosi in modo alquanto reprensibile quanto all’adempimento dei suoi doveri professionali (9). In tal modo l’opponente aveva quindi ammesso in modo pacifico l’esistenza di quel fatto costitutivo dell’avversa pretesa, che poi ha voluto contestare in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni. Deve ritenersi che, per tale ragione, la sua posizione conclusiva non potesse più considerarsi una mera difesa inidonea a spostare il tema del decidere già definito in causa, perché il fatto costitutivo della domanda di Prima 778 I CONTRATTI N. 8-9/2005 Casa doveva considerarsi ormai acquisito a livello probatorio in ragione delle stesse ammissioni svolte dall’opponente in atto di citazione (10). È pertanto più che evidente come l’opponente, nell’affermare che Prima Casa, come mandataria, si era comportata in modo parziale ed interessato ai suoi danni, non si fosse limitata ad introdurre una mera difesa, ma abbia inserito un thema decidendum ulteriore e oggetto potenzialmente di automa attività istruttoria (ancorché preclusa ormai in fatto sia per l’opponente medesimo, quanto, soprattutto, per Prima Casa, essendo ormai stato superato il barrage delle deduzioni istruttorie ex art. 184 Codice di procedura civile ). Il contratto di mediazione. Natura La sentenza in esame si richiama, in particolare, a quella giurisprudenza (11) e a quella dottrina (12) che, Note: (segue nota 9) zione, in Arch. giur. circolaz. e sin. strad., 2002, 91; Ciaccia Cavallari Bona, Le preclusioni e l’istruzione probatoria del nuovo processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 887 ss.; L. P. Comoglio, Preclusioni istruttorie e diritto alla prova, in Riv. dir. proc., 1998, 968 ss.; V. Pisapia, Appunti in tema di deduzioni e preclusioni istruttorie nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2000, 567 ss. (7) Ex multis: Cass. 23 maggio 2002, n. 7546, con nota di M. Petri, Sull’emendatio e mutatio libelli: configurabilità e limiti, in Giur. it., 2003, I, 1, 680 e segg.; in dottrina: F. Ferrosi, Mutatio ed emendatio libelli nel processo civile di rito ordinario e di rito del lavoro, in Giust. civ.,1986, 2, 89 ss. (8) Cfr. ex multis, tra le più recenti, Cass. 9 ottobre 2000, n. 13445, in Giust. civ., 2001, I, 131; Cass. 19 maggio 2000, n. 6528, in Mass. Giust. civ., 2000, 1066; Cass. 25 marzo 1999, n. 2820, in Giust. civ., 1999, 670; Cass. 29 gennaio 1999, n. 813, in Mass. Giust. civ., 1999, 204. (9) Sulla problematica dei problemi professionali concernenti la corretta informazione da parte del mediatore nei confronti delle parti intermediate vedi: A. Salomoni, Gli obblighi di informazione del mediatore, nota a Trib. Milano 27 gennaio 1998, in Rass. dir. civ., 1998, 417. (10) In sostanza, con la sua nuova posizione, l’opponente proponeva ora una vera e propria eccezione con la quale intendeva contrastare un fatto ormai acquisito in causa sotto il profilo della dialettica probatoria. Da tale diversa impostazione derivava anche una inevitabile immutazione sul piano della qualificazione giuridica, e ancor prima un’evidente immutazione del fatto, suscettibile peraltro, all’evidenza, di una diversa indagine effettuale sul piano istruttorio, poiché per sconfessare la sua qualità di mandataria affermata ex adverso, Prima Casa avrebbe anche dovuto provare, in fatto, di aver sempre agito in modo imparziale e come mediatrice nell’interesse di entrambe le parti sostanziali del rapporto intermediato. (11) Cass. 29 maggio 1980, n. 3531, in Giust. civ., 1980, I, 2154; App. Milano 23 dicembre 1977, in Arch. civ., 1978, 555; Cass. 15 dicembre 1962, n. 3368, in Foro it., 1963, I, 259; contra: App. Napoli 31 marzo 1984, in Riv. giur. edil., 1984, I, 684, per la quale l’incarico di reperire un acquirente, di svolgere le trattative per la vendita di un immobile e di assistere il venditore sino alla stipulazione del contratto dà vita non a una mediazione, ma ad un mandato (misto a contratto d’opera intellettuale), sul che, peraltro sembra dubitare Luminoso, Mandato, commissione e spedizione, in Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano, 1984, XXXII, 119 e nota 8. Per un panorama più ricco: A. Baldassari, I contratti di distribuzione, ne I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, Padova, 1989; e G. Ingino, Rassegna di giurisprudenza sulla mediazione, in Quadrimestre, 1987, 492. (12) U. Azzolina, La mediazione, cit., 179 ss.; L. Carraro, La mediazione, GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI in più occasioni, già ha avuto modo di delineare le differenze tra mediazione (13) e mandato. Infatti, anche se le regole che governano i mercati e che condizionano il diritto dei contratti non sempre tollerano schemi normativi eccessivamente rigidi, giacché «le interrelazioni e le intersecazioni» tra le diverse figure strumentali alla circolazione dei beni e al collocamento dei servizi «sono talmente strette da rendere le rispettive linee di demarcazione alquanto incerte» (14), da un punto di vista strettamente formale il contratto di mediazione si distingue nettamente da altre figure negoziali. La riconduzione di ogni attività di mediazione nella disciplina della mediazione professionale, per di più, colloca in una nuova luce l’antica e mai sopita disputa sulla natura giuridica della mediazione. Di gran lunga prevalente è l’orientamento (15) che attribuisce alla mediazione natura contrattuale, nel senso che ravvisa in un contratto la fonte del rapporto di mediazione. Trova, peraltro, consensi anche l’orientamento (16) che nega natura contrattuale alla mediazione, anche se nel suo ambito, accanto alla mediazione non contrattuale (o tipica), si ammette la configurabilità di fattispecie atipiche di mediazione contrattuale (17); proprio come, d’altra parte, tra i sostenitori della teoria contrattualistica c’è chi ammette la configurabilità, accanto alla mediazione contrattuale, di fattispecie di mediazione non contrattuale (18). La giurisprudenza, invece, pressoché unanimemente, riconosce alla mediazione natura contrattuale. Più volte, infatti, la Corte di Cassazione (19) ha affermato che il rapporto di mediazione ha natura contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati conferiscano preventivamente l’incarico al mediatore, sia nel caso in cui accettino comunque l’attività da lui prestata, in quanto, in entrambi i casi, essa trae origine e fondamento dalla volontà dei soggetti, manifestata esplicitamente o implicitamente attraverso fatti concludenti. La Suprema Corte ha, altresì, precisato che il contratto di mediazione «non può ritenersi concluso senza il consenso espresso o tacito delle parti del contratto principale, consenso che, per quanto riguarda la parte rimasta estranea all’originario incarico di mediazione, si manifesta validamente allorquando essa, poi, si avvalga, in maniera consapevole, dell’opera del mediatore ai fini della conclusione dell’affare». (20) Per quanto riguarda, poi, i profili strutturali, sempre nell’ambito della prospettiva che pone il contratto a fonNote: (segue nota 12) cit., 85; A. Cataudella, voce Mediazione, cit., 6; Luminoso, Mandato, commissione e spedizione, cit., 119 e 128; A. Marini, La mediazione, in Schlesinger (diretto da), Il codice civile, artt. 1754-1765, Milano, 1992, 73; G. Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1948, 668 e segg.; vedi anche A. C. Jemolo, Mandato, mediazione, rapporto innominato, in Riv. dir. civ., 1976, II, 108, per un originale caso sul tema in questione. (13) Per introdurre lo studio di tale contratto: G. Alpa, Istituito l’albo dei mediatori. Commento alla l. 3 febbraio 1989, n. 39: modifiche ed integrazioni alla Legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore, in Corr. giur., 1989, 261; G. Alpa, Legge 21 marzo 1958, n. 253: disciplina della professione di mediatore, in Nuova giur. civ., 1986, II, 194; G. Armao, Mediatore, in Digesto Discipline Pubbl., Torino, 1994, IV, 334; A. Baiocco, Sulla natura della mediazione, nota a Cass. 25 ottobre 1991, n. 11384, in Giur. it., 1992, I, 1, 1059; C. M. Bianca, Brevi notazioni sulla mediazione tra codice e legge speciale, in Riv. dir. civ., 1993, II, 399; M. Bin, Broker di assicurazione, in Contratto e impresa, 1985, 531; G. Bonilini, Sulla qualificazione giuridica del rapporto di brokeraggio, nota a Cass. 29 maggio 1980, n. 3531, in Giust. civ., 1980, I, 2162; M. Brutti, Mediazione: Profili storici e dottrinali, in Enc. dir., Milano, 1976, XXVI, 12; L. Carraro, Mediazione e mediatore, in Novissimo Digesto, Torino, 1964, X, 476; A. Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm., 1978, I, 361; B. Chito, In tema di contratto di mediazione, in Giur. it., 1991, I, 1, 581; A. Donzella Campana, La responsabilità del mediatore in ipotesi di intermediazione immobiliare, nota a Cass. 17 maggio 1999, n. 4791, in Vita not., 2000, 136; L. Gambigliani Zoccoli, Sulla natura della mediazione, nota a Cass. 23 gennaio 1967, n. 206, in Giur. it., 1968, I, 1, 597; C. Garlatti, Mediazione, in Riv. dir. civ., 1981, II, 529; A. Giordano, Struttura essenziale della mediazione, in Studi in onore di F. Messineo, Milano, 1959, II, 756; G. Giordano, D. Iannelli e G. Santoro, Il contratto di agenzia - La mediazione, Torino, 1974, 618; R. Guidotti. La mediazione, in Contratti e impresa, 2004, 927 e ss.; M. Irrera, Mediazione, in Riv. dir. civ., 1993, II, 251; G. Lotito, Note minime in tema di mediazione, nota Trib. Frosinone 20 gennaio 2000, in Nuovo dir., 2000, 850; A. Luminoso, La mediazione, Milano, 1993; M. Minasi, Mediatore, in Enc. dir., Milano, 1976, XXVI, 10; A. Mora, Obblighi e responsabilità del mediatore: in particolare la responsabilità per violazione dell’art. 1759 c.c., in Resp. civ., 1999, 367; U. Perfetti, La mediazione - Profili sistematici ed applicativi, Milano, 1996; M. Stolfi, Della mediazione. Artt. 1754-1765, in Scialoja - Branca (diretto da), Commentario al codice civile, Bologna-Roma, II ed., 1966; B. Troisi, La mediazione, Milano, 1995; N. Visalli, La mediazione, Milano, 1992; A. Zaccaria, La mediazione, Padova, 1992; G. Zavattoni e D. Corapi, Mediazione nel commercio internazionale, in Enc. giur., Roma, 1993, XIX. (14) G. Cottino, Diritto commerciale, Padova, 1978, II, 413. (15) A. Cataudella, voce Mediazione, cit., 1 e ss.; A. Luminoso, La mediazione, cit., 43; G. Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, cit., 668 e ss.; A. Marini, La mediazione, cit., 10 e ss.; M. Stolfi, Della mediazione, cit., 16 e ss.; G. Di Chio, Mediazione e mediatori, in Digesto Disipline Privatistiche, Sez. Commerciale, Torino, IX, 1993, 384. (16) A. Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, cit., 361 (il quale poi ha mutato avviso); e A. Catricalà, La mediazione, in Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 1986, XII, 411 e ss. (17) L. Carraro (La mediazione, cit., 31, 64 e ss.) che, invece, individua nella disciplina legislativa una figura non contrattuale, e che, tuttavia, ammette la possibilità per le parti, di dar vita a un contratto di mediazione quando vogliano derogare alla disciplina codicistica. (18) U. Azzolina (La mediazione, cit., 28) secondo cui la mediazione disciplinata dal codice configurerebbe una fattispecie contrattuale e costituirebbe la regola, pur non potendosi disconoscere, in mancanza di un contratto, una mediazione non negoziale. Peraltro, secondo A. Marini (La mediazione, cit., 23) con la nuova disciplina di cui alla Legge n. 39 del 1989 la mediazione dovrebbe avere natura esclusivamente contrattuale; ma contra A. Cataudella (La Legge n. 39 del 1989 e la natura della mediazione, in A. Zaccaria (a cura di), La mediazione, in Antologia, Padova, 1992, II, 117) secondo il quale il contratto richiamato dalla normativa non è quello di mediazione ma quello concluso, grazie all’attività del mediatore, tra le parti messe in contatto. (19) Ex multis: Cass. 9 maggio 1980, n. 3057, in Mass. Giust. civ., 1980; Cass. 13 maggio 1980, n. 3154, ivi, 1980; Cass. 28 luglio 1983, n. 5212, ivi, 1983; Cass. 6 giugno 1989, n. 2750, ivi, 1989. (20) Così, Cass. 13 agosto 1990, n. 8245, in Giur. it., 1991, I, 1, 582; nello stesso senso, Cass. 17 gennaio 1992, n. 530, in Giust. civ., 1993, 759. Parzialmente in contrasto Cass. 25 ottobre 1991, n. 11384, in Giur. it., 1992, I, 1, 1059. I CONTRATTI N. 8-9/2005 779 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI damento del rapporto di mediazione, è stato sottolineato (21) che resta aperto il contrasto, vivo già nella dottrina formatasi prima del Codice Civile del 1942 [vedi in un senso L. Bolaffio (22) e nell’altro C. Vivante (23)], tra chi ritiene necessario il conferimento dell’incarico al mediatore ad opera di tutte le parti dell’affare e perciò configura il contratto come necessariamente plurilaterale (24) e chi ritiene sufficiente che l’incarico sia dato da una sola delle parti (25). Non è mancato, inoltre, il tentativo di soluzione intermedia di chi sostiene che nel contratto di mediazione le parti dell’affare principale costituirebbero un’unica parte rispetto al mediatore, sicché il contratto, pur essendo l’incarico conferito da tutte le parti dell’affare, resterebbe bilaterale (26). Netta, quindi, almeno in astratto, appare la distinzione tra mediazione e mandato (27). Limitandosi alle note essenziali delle due figure, occorre, infatti, notare che «mentre la mediazione appartenendo all’area della cooperazione materiale, non crea alcun obbligo del mediatore di porre in essere l’attività di cooperazione e comporta l’obbligo per l’intermediato di corrispondere il compenso in caso di conclusione dell’affare (28), il mandato obbliga il mandatario a porre in essere atti giuridici per conto del mandante (art. 1703 Codice civile) e impegna il mandante a retribuire l’opera del primo in se e per sé, anche quando nessun atto giuridico venga dallo stesso posto in essere» (29). In dottrina, autorevolmente (30) si sono individuati i tratti caratteristici della mediazione: «con sicurezza, nella messa in relazione delle parti finalizzata alla conclusione dell’affare» (c.d. natura pluridirezionale dell’attività mediatoria), e inoltre «con grande probabilità, nella onerosità, nella subordinazione della provvigione alla conclusione dell’affare, nella libertà del mediatore di attivarsi e nella libertà dell’intermediato di concludere l’affare», e infine nella determinatezza dell’affare intermediato e nella necessaria estraneità del mediatore all’affare. Secondo tale orientamento, ove faccia difetto uno soltanto dei requisiti, è da ritenere che «il concreto rapporto non sia qualificabile come mediazione (vera e propria)» (31). Peraltro, com’è noto, le vendite immobiliari passano, ormai, sempre più spesso, attraverso i cc.dd. agenti immobiliari di cui all’art. 2, n. 2 della Legge n. 39 del 1989 (32). Altresì, è noto, che i contratti che regolano il conferimento dell’incarico al mediatore immobiliare prevedono, il più delle volte, clausole le quali, anche per la loro formulazione (33) (ad esempio, chi conferisce l’incarico è sovente definito «mandante», e lo stesso incarico è indicato come «mandato a vendere» o «ad acquistare», oppure come «incarico in esclusiva a promuovere la vendita o l’acquisto di un immobile») sembrano superare i confini del rapporto di mediazione per invadere altri tipi contrattuali (34). Gli articolati prestampati su moduli dagli agenti o dalle società di intermediazione immobiliare pongono allora un problema circa la loro qualificazione, se siano 780 I CONTRATTI N. 8-9/2005 cioè contratti di mediazione oppure di mandato o misti Note: (21) A. Cataudella, voce Mediazione, cit., 1. (22) Dei mediatori - Delle obbligazioni commerciali in generale: art. 29 a 58 Cod. comm., in L. Bolaffio, A. Rocco, e C. Vivante (coordinato da), Il codice di commercio commentato, 1937, VI ed., Torino, II. (23) Istituzioni di diritto commerciale, XLV ed., Milano, 1931. (24) Fr. Ferrara, Gli imprenditori e le società, Milano, 1962, 136 e ss. (25) G. Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, cit., 668 e ss. (26) C. Varelli, La mediazione, Napoli, 1953, 20 e ss. (27) La vastissima letteratura dedicata ai diversi aspetti dell’argomento non può essere integralmente richiamata in questa sede: F. Alcaro, Mandato e attività professionale, Milano, 1988; F. Alcaro - G. Baldini - N. Grossi, Il mandato, Milano, 2000; G. Bavetta, Mandato (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1975, XXV, 312; L. Campagna, La posizione del mandatario nel mandato ad acquistare beni mobili, in Riv. dir. civ., 1974, I, 7; U. Carnevali, Mandato, in Enc. giur., Roma, 1990, XX; L. Carraro, Il mandato ad alienare, Padova, 1947; G. Chianale, Obbligazione di dare e trasferimento della proprietà, Milano, 1990; G. Cian, La sostituzione nella rappresentanza e nel mandato, in Riv. dir. civ., 1992, I, 481; G. De Nova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974; F. Dominedò, Mandato (diritto civile), in Nuovissimo Digesto Italiano, Torino, 1968, X, 108 e ss.; P. Ferro Luzzi, Le gestioni patrimoniali, in Giur. comm., 1992, I, 44; P. Ferrone, Sub. Art. 1703 e ss., in P. Perlingieri (a cura di), Codice Annotato, Napoli-Bologna, 1991; G. Gabrielli, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974; G. Giordano, Mandato. Commissione. Spedizione, in Bigiavi (a cura di); Giurisprudenza sistematica, Torino, 1969; F. Galgano, Diritto civile e commerciale, Padova, 1990, II, 2; G. Gorla, Il dogma del ‘consenso’ o ‘accordo’ e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, in Riv. dir. civ., 1956, I, 923; M. Graziadei, Mandato, in Digesto Discipline Civilistiche, Torino, 1994, XI, 154; M. Graziadei, Mandato, in Riv. dir. civ., 1991, II, 759; A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano, 1984, XXXII; G. Minervini, Mandato, submandato e sostituzione del mandatario nella prassi bancaria e nella giurisprudenza, in Riv. dir. civ., 1976, I, 471; G. Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, cit.; G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Commentario codice civile, Torino, 1968, IV, 3; L. Nanni, L’interposizione di persona, Padova, 1990; S. Pugliatti, Studi sulla rappresentanza, Milano, 1964; R. Sacco, Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., 1966, I, 1384 e ss.; C. Santagata, Del Mandato - Disposizioni generali, art. 1703-1709, in Scialoja - Branca (diretto da), Commentario del codice civile, Bologna, 1985. (28) M. Eroli, La conclusione dell’affare nella mediazione, nota a Trib. Perugia 11 giugno 1993, in Rass. giur. umbra, 1993, 629. (29) A. Luminoso, La mediazione, cit., 159. (30) A. Luminoso, La mediazione, cit., 125. (31) Cfr. F. Rosselli, Sugli elementi della mediazione, nota a Pret. Roma 29 dicembre 1973, in Giur. Merito, 197, I, 39. (32) Vedi M. De Cristofaro, D. Donella, A. Trabucchi, G. Cian, F. Galgano, R. Vigo, B. Cavallo, F. Moschetti, G. Schiavano, C. G. M. Rivolta, L. Busanel, T. Ballarino, G. Partesotti, E. Querela, G. A. Chiavegatti e P. Rescigno, La disciplina della mediazione alla luce della l. n. 39 del 3 febbraio 1989 (Atti del convegno di Verona, 3-4 novembre), Padova, 1991; M. Iacuaniello Brugi, Il regolamento di attuazione della l. 3 febbraio 1989, n. 39 sulla disciplina dell’attività di mediatore, in Giur. comm., 1992, I, 124; R. Vigo, Commento alla legge 3 febbraio 1989, n. 39, in Nuove leggi civ. comm., 1990, 1342. (33) P. Bartolomucci, Forma della procura e del mandato nella compravendita immobiliare, in questa Rivista, 2001, 978. (34) A. Alibrandi, Osservazioni sulla recente disciplina della mediazione, in Arch. civ., 1991, 5; G. Bonilini, Sulla qualificazione giuridica del rapporto di brokeraggio, cit., 2162. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI di mediazione e di mandato (oppure ancora di mandato e locazione d’opera). La lettera del modulo di conferimento dell’incarico, in effetti, spesso, sembra rinviare in maniera esplicita al mandato: «ma di mandato non vi è traccia alcuna» (35). In questi modelli contrattuali, infatti, l’agente immobiliare svolge una attività esclusivamente mediatoria, mettendo in relazione chi gli ha conferito l’incarico con la controparte ricercata sul mercato. L’agente immobiliare non compie alcun atto giuridico per conto del conferente l’incarico: la sua è una mera attività materiale il cui contenuto è quello tipico dell’interposizione mediatoria, mettere cioè in relazione due parti perché concludano un determinato affare (36). Indipendentemente dal nomen iuris indicato dalle parti, lo schema causale di un siffatto incarico riproduce, quindi, la struttura del contratto di mediazione (37). Ne consegue che le regole patrizie contenute nei moduli prestampati potranno, perciò, essere ritenute «valide a condizione che non si pongano in contrasto con i principi generali dell’ordinamento, ma non siano anche configgenti con le norme qualificanti il tipo negoziale della mediazione» (38). Il contratto di mediazione. Figura affine: il mandato È noto che l’oggetto del mandato consiste nel compimento di atti giuridici per conto di un’altra persona (art. 1703 Codice civile); il che può avvenire sia con azione del mandatario in nome oltre che nell’interesse del mandante (mandato con rappresentanza), sia con azione del mandatario in nome proprio, ma nell’interesse del mandante (mandato senza rappresentanza). Nell’un caso e nell’altro, quindi l’elemento caratterizzante del mandato risiede nel fatto che il mandatario compie uno o più atti giuridici per il mandante (39). Ben diverso è, invece, l’oggetto del contratto di mediazione, poiché «il sensale non ha il compito di porre in essere, né in proprio, né in altri nome, alcun negozio» (40), ma si limita a coadiuvare l’intermediario procurandogli l’occasione dell’affare e collaborando con lui nello svolgimento delle trattative. Questa fondamentale differenza fra i due contratti, secondo autorevole dottrina (41), già da sola, dimostrerebbe che «non vi è alcun bisogno di ricorrere ad altri elementi distintivi, quale ad es., l’obbligo di imparzialità», che invece, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, contrassegnerebbe la posizione del mediatore rispetto a quella del mandatario (42). Dal punto di vista strutturale il mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o rappresentanza, avendo poi diritto ad una provvigione solo se il contratto è concluso. Diversamente, il mandatario, che si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte, è tenuto a curare l’esecuzione dell’incarico ed acquista il diritto al compenso indipendentemente dal raggiungimento del risultato. Inoltre, come già detto, dal punto di vista dell’attività, mentre il mediatore pone in essere operazioni essenzialmente materiali, il mandatario compie atti giuridici per conto dell’altra parte. (43) Nel mandato, infatti, il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti per conto del mandante (art. 1703 Codice civile) il quale, a sua volta, si obbliga a corrispondergli il compenso per l’opera svolta (art. 1720 Codice civile) indipendentemente (salvo espresso patto contrario) dal buon esito dell’affare (sempre che l’inesecuzione non sia dipesa da causa imputabile al mandatario) di modo che quest’ultimo, per ricevere il compenso, deve solo provare di avere svolto l’incarico (44). Nell’incarico di mediazione, invece, il diritto alla provvigione spetta (art. 1755 Codice civile) solo «se l’affare si è concluso», di modo che la semplice assunzione di una iniziativa da parte di uno dei soggetti interessati alla conclusione dell’affare predetto non crea, di per sé, alcun obbligo giuridico per il mediatore (45). Pertanto, è bene ribadirlo: a differenza che nel mandato (46), in cui chi accetta l’incarico volto alla conclusione di un affare è tenuto all’obbligo di curarne l’esecuNote: (35) Come sostenuto da G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 394. (36) Osservava già F. Carnelutti (La prestazione del rischio nella mediazione, in Riv. dir. comm., 1911, I, 19) che se il mediatore non ha diritto alla provvigione ad affare non concluso, ciò accade esclusivamente perché egli non ha eseguito la sua prestazione. (37) Per una analisi sui problemi di qualificazione del contratto si veda R. Sacco, La elaborazione degli effetti contrattuali, in R. Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, 1993, II, 443. (38) Come autorevolmente sostenuto da G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 1993, 394. (39) Cfr. per ulteriori spunti: M. Molla, Il mandato nella giurisprudenza, Padova, 1977. (40) U. Azzolina, La mediazione, cit., 179. (41) U. Azzolina, La mediazione, cit., 179. (42) Vedi N. Visalli, Natura giuridica della mediazione, nota a Cass. 20 genaio 1960, n. 37, in Foro it., I, 1212. (43) In tal senso Cass. 27 giugno 2002, n. 9380, Guida al dir., 2002, 31, 82. Vedi anche Cass. 15 giugno 1988, n. 4082, in Fallimento e altre proc. concors., 1988, 1080, secondo la quale nel mandato: l’attività cui il mandatario si obbliga consiste nel compimento di atti giuridici, e cioè un’attività negoziale, che fa del mandatario un cooperatore giuridico delle parti, mentre nella mediazione l’attività libera del mediatore è costituita da un comportamento materiale diretto a mettere in contatto due o più parti al fine di far concludere fra le stesse un contratto, attività che fa del mediatore un cooperatore soltanto materiale delle parti. (44) Cfr. P. Papanti-Pellettier, Rappresentanza e cooperazione rappresentativa, Milano, 1984. (45) Cass. 17 novembre 1997, n. 11389, in Mass. Giust. civ., 1997; Cass. 29 maggio 1980, n. 3531, in Foro it., 1981, 750; conforme Pret. Roma 12 febbraio 1966, in Giust. civ., 196, 637. (46) G. Lenzi, Sulle differenze fra mediazione e figure affini e sul dovere di imparzialità del mediatore, nota a Cass. 13 gennaio 1982, n. 186, in Giur. it., 1983, I, 1, 819. I CONTRATTI N. 8-9/2005 781 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI zione e cioè a svolgere una determinata attività giuridica con diritto al compenso da parte del mandante indipendentemente dal risultato conseguito e quindi anche se l’affare non è andato a buon fine; a tale obbligo non è invece tenuto il mediatore (47) il quale, «interponendosi in maniera neutrale ed imparziale tra due contraenti» (48), ha soltanto l’onere di metterli in relazione (49), appianarne le eventuali divergenze e farli addivenire alla conclusione dell’affare (50), alla quale è subordinato il diritto al compenso, senza che l’indipendenza del mediatore, che va intesa come assenza di qualsiasi vincolo o rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario, possa venir meno per la unilateralità del conferimento dell’incarico, ovvero per il fatto che il compenso sia previsto a carico di una sola parte o in maniera diseguale (51). Con efficace espressione, si evidenzia come il mediatore, a differenza del mandatario, non contratti ma faccia contrattare (52). Colui che agisce in rappresentanza di una delle parti nella conclusione di un negozio non può pretendere la provvigione, assumendo di avere svolto anche attività di mediazione, né dalla parte rappresentata, perché ad essa legato da un rapporto di mandato, né dall’altra parte, perché nei confronti di questa agisce in veste di parte, pur se nell’interesse altrui, e non come mediatore. Viceversa il mediatore soltanto ad attività esaurita può essere incaricato da una delle parti di rappresentarla negli atti relativi al contratto concluso con il suo intervento (53). In dottrina (54), infatti, si preferisce individuare la differenza fra le due figure nella diversa tipologia dell’attività svolta e non nella unilateralità o bilateralità dell’incarico ricevuto. In particolare, il mandatario compie una attività giuridica per conto del mandante e talora anche in suo nome (se è munito dei poteri di rappresentanza) e, quindi, deve considerarsi un cooperatore giuridico di questi; il mediatore è, invece, un cooperatore materiale delle parti, in quanto si limita a metterle in relazione. Tale ruolo circoscritto si è ampliato anche con la Legge n. 39 del 1989, essendo il mediatore iscritto nel ruolo legittimato a compiere anche una prestazione di opera intellettuale a favore delle parti intermediate (55), sempre che essa sia necessaria o complementare alla conclusione dell’affare. Il mandatario si impegna ad agire per conto ed, a volte, anche in nome del mandante emettendo in questo caso una dichiarazione di volontà che obbliga personalmente costui, mentre il mediatore, dopo aver facilitato come terzo, l’incontro dei consensi e l’accordo sulle prestazioni, nonché sulle singole clausole, si mette da parte, sicché il negozio mediato si conclude direttamente fra le parti interessate. Da tali diverse caratteristiche (56) discendono ulteriori conseguenze: il mandatario, a differenza del mediatore, deve attenersi, di regola alle istruzioni ricevute (art. 1711 Codice civile); è obbligato a rendere al mandante il conto del suo operato e a rimettergli tutto ciò che ha 782 I CONTRATTI N. 8-9/2005 ricevuto a causa dell’incarico conferitogli (art. 1713 Codice civile). Egli non può rinunziare al mandato senza giusta causa, altrimenti è tenuto al risarcimento dei danni, salvo che il mandato sia a tempo indeterminato nel qual caso il risarcimento è dovuto in mancanza di un congruo preavviso (art. 1727, primo comma, Codice civile). Inoltre, mentre «le parti possono sempre allontanare l’intermediario dalla trattazione dell’affare» (57) senza incorrere in responsabilità, la revoca del mandato oneroso non è rimessa al potere discrezionale del mandante, ma è sottoposta alla disciplina dell’art. 1725 Codice civile (58). Sebbene, per quanto sin qui esposto, la posizione del mandante (per il quale l’interesse alla conclusione di un determinato negozio giuridico è del tutto personale) appare inconciliabile con quella del mediatore, l’attività del quale è caratterizzata da dipendenza, autonomia e neutralità (59); si tenga presente che un segnale in favore del cumulo delle due attività, è arrivato dalla Legge n. 39 del 1989, istitutiva del ruolo dei mediatori, che ha previsto una sezione destinata agli «agenti muniti di mandato a titolo oneroso». Tale norma, imponendo l’obbligo di iscrizione anche a quei mediatori che siano abilitati a compiere atti giuridici per conto ed eventualmente in nome del cliente, pare aver sancito la compatibilità di ruoli tra mediatore e mandatario (60). Note: (47) C. Radice, La responsabilità professionale del mediatore, nota a Cass. 22 marzo 2001, n. 4126, in questa Rivista, 2001, 364. (48) E. Favara, Limiti dell’imparzialità del mediatore, nota a Cass. 26 gennaio 1962, n. 129, in Riv. giur. edil., 1962, I, 1284. (49) Cass. 18 febbraio 1998, n. 1719, in questa Rivista, 1998, 489, con nota di A. Natale. (50) App. Firenze 3 dicembre 1996, in Toscana giur., 1997, 377. (51) Cfr. da ultimo Cass. 8 giugno 1993, n. 6384, in Mass. Giur. it., 1993; ed ex plurimis: Cass. 14 giugno 1988, n. 4032, in Arch. civ., 1988, 1174. (52) L’espressione è di M. Stolfi, Della mediazione, cit., 9. (53) Cass. 4 febbraio 2000, n. 1231, in Gius, 2000, 1029. (54) N. Visali, La mediazione, Padova, 1992, 43. (55) P. Rescigno, Note a margine dell’ultima legge sulla mediazione. Intervento conclusivo al convegno organizzato dall’Istituto giuridico italiano e dall’Ordine degli avvocati sul tema: «La disciplina della mediazione oggi, alla luce della l. n. 39, del 3 febbraio 1989», Verona, 3-4 novembre 1989, in Riv. dir. comm., 1991, 1, 243 e ss.; G. Cian, Profili civilistica della nuova legge sulla mediazione (l. 3 febbraio 1989, n. 39), in Riv. dir. civ., 1990, 1, 45 e ss. (56) Cfr. sul punto, in particolare, quanto posto in evidenza da F. Rolfi, Mediatore e falsus procurator, nota a Cass. 23 marzo 1998, n. 3076, in Corr. giur., 1999, 478. (57) M. Schipani, In tema di mediazione immobiliare: tutela delle parti, nota a App. Roma 31 gennaio 1994, in Nuovo dir., 1995, 443. (58) M. De Tilla, Il diritto immobiliare: Trattato sistematico di giurisprudenza ragionata per casi, Milano, 2004, I, 583. (59) Trib. Roma 4 marzo 1986, in Giur. it., 1987, I, 2, 374 e Cass. 25 febbraio 1987, n. 1995, in Mass. Giust. civ., 1987. (60) Secondo G. Cian (Profili civilistica della nuova legge sulla mediazione, cit., 50) e A. Luminoso (La mediazione, cit., 99), invece, la norma si rife(segue) GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Si comprende perché, quindi, nella sentenza che in questa sede si annota, la Corte d’Appello abbia escluso nel caso di specie la configurabilità del contratto di mandato, affermando che, quand’anche si potesse ritenere che di vere e proprie mere difese si fosse trattato, non per questo la nuova prospettazione difensiva avrebbe potuto considerarsi fondata. Se, quindi, si tiene nella debita considerazione il fatto che il mandato resta, tuttora, l’archetipo dei contratti e dei rapporti di cooperazione, in cui una parte si impegna a realizzare finalità determinate dall’altra parte, in una posizione di reciproca indipendenza, risultano comprensibili i numerosi rinvii alla disciplina del mandato di cui è costellata la disciplina della mediazione. (61) Imparzialità del mediatore Inoltre, nella specie, mancando la possibilità di desumere dalle scritture prodotte in giudizio l’esistenza di un mandato nel rapporto interno tra i venditori e Prima Casa, l’opponente, per dimostrare comunque esistente tale contratto, avrebbe dovuto, quindi, dimostrare se non altro il concreto compimento, di fatto, di atti implicanti violazione dell’obbligo di imparzialità, se non addirittura l’esecuzione di attività rappresentative in nome e per conto dei venditori, qualificando in modo concludente la posizione gestoria della mediatrice; solo così sarebbe stato possibile provare che l’attività, concretamente posta in essere, si era riflessa anche nel rapporto bilaterale tra acquirente e Prima Casa incidendo in senso impeditivo sull’insorgenza del diritto al compenso provvigionale che, in effetti, in tal caso non sarebbe stato dovuto (62). In ultima analisi, partendo dal dato pacifico che entrambe le parti in causa conferirono a Prima Casa, da una parte l’incarico di trovare un acquirente, e dall’altra l’incarico di trovare un appartamento da acquistare, con il che almeno in apparenza poteva considerarsi operante un rapporto mediatorio con diritto al compenso sia a latere venditoris, sia a latere emptoris, il Sig. L. avrebbe dovuto dimostrare, per dare fondamento alla sua prospettazione, in via di fatto, e con prove ad hoc, che Prima Casa non si era comportata come soggetto imparziale, e non limitarsi a ipotizzare in astratto l’esistenza di un mandato, facendo esclusivo riferimento alle non conclusive espressioni letterali utilizzate nella scrittura con cui i venditori avevano conferito un «incarico a vendere». In dottrina (63), peraltro, è ancora vivo il dibattito sul ruolo che, nella costruzione giuridica della mediazione, ricopre la c.d. imparzialità del mediatore. Si discute, cioè, se il dovere di svolgere l’attività di intermediazione in modo tale da non favorire una delle parti a scapito dell’altra è, oppure no, elemento essenziale e caratterizzante dell’istituto. La dottrina oggi prevalente (64), facendo leva sulla figura assai ricorrente nella pratica, del c.d. mediatore unilaterale (cioè, di colui che ha ricevuto l’incarico da una sola delle parti), nonché sull’assenza di una espressa ed univoca disposizione al riguardo (non potendosi confondere, si è fatto notare, il concetto di indipendenza con quello di imparzialità) (65), ha ridimensionato il carattere dell’imparzialità al punto di negarne la sua essenzialità. Di tutt’altro avviso è la giurisprudenza (66), sia di merito che di legittimità, e una parte della dottrina (67), che pur riconoscendo la mancanza di una precisa prescrizione normativa ritiene che il carattere dell’imparzialità emerga chiaramente dall’interpretazione sistematica delle norme dettate in materia di mediazione. In particolare, si è sostenuto (68) che l’art. 1754 Codice civile, nell’indicare come requisito soggettivo negativo la circostanza che l’intermediario non sia legato a nessuna delle parti «da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza», afferma in modo chiaro che tra inNote: (segue nota 60) risce ai mediatori che ricevono un incarico oneroso da parte di uno solo degli interessati, legittimando, quindi, la figura della mediazione unilaterale o fiduciaria. In realtà, secondo A. Natale (Sul cumulo delle attività di mandatario e di mediatore unilaterale, nota a Cass. 18 febbraio 1998, n. 1719, in questa Rivista, 1998, 497, nota 29) sembra che «tale legge, per raggiungere più efficacemente le finalità generali perseguite ed impedire aggiramenti o elusioni. Abbia voluto assoggettare al nuovo regime anche gli intermediari che operano avvalendosi di un contratto di mandato in senso stretto, in modo tale da impedire che costoro, se non iscritti nel ruolo dei mediatori, possano pretendere la relativa provvigione»; ed esporli, così, «alle sanzioni civili, amministrative e penali previste per l’esercizio abusivo di attività mediatizia anche occasionale»; cfr. C. Settesoldi, Mandato ad acquistare e ad alienare, in F. Alcaro - G. Baldini - N. Grossi, Il mandato, cit., I, 236. (61) A. Cataudella, Mediazione, cit., 1; G. Di Chio, La mediazione, cit., 525 e ss.; M. Graziadei, Mandato, cit., 157. (62) Ex multis, Cass. 4 febbraio 2000, n. 1231, in Mass. Giust. civ., 2000. (63) Nel senso dell’essenzialità dell’imparzialità, tra gli altri, vedi: C. Varelli, La mediazione, cit., 20 e ss. Affermano che il dovere d’imparzialità sia configurabile nelle ipotesi di mediazione c.d. bilaterale: L. Carraro, La mediazione, cit., 68 e ss.; Minervini, Mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione, cit., 669; M. Stolfi, Della mediazione, cit., 5. Negano, invece, il carattere dell’essenzialità, tra gli altri: A. Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, cit., 379; A. Luminoso, La mediazione, cit., 69 e ss.; A. Marini, La mediazione, cit., 53. (64) Negano il carattere dell’essenzialità, tra gli altri: A. Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, cit., 379; A. Catricalà, La mediazione, cit., 422 e segg.; A. Luminoso, La mediazione, cit., 69 e ss.; A. Marini, La mediazione, cit., 53. (65) Si è notato (G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 386) che la stessa Relazione al Codice Civile indica, peraltro, che elemento caratteristico della mediazione è l’indipendenza dell’opera del mediatore, mentre non vi è traccia alcuna del dovere di imparzialità. (66) Cass. 13 gennaio 1982, n. 186, in Giur. it., I, 1, 820, con nota di G. Lenzi; e recentemente Cass. 16 gennaio 1997, n. 392, in Mass. Giur. it., 1997, che ha confermato come l’imparzialità del mediatore non debba intendersi come una generica ed astratta equidistanza dalle parti, né possa escludersi per il solo fatto che il mediatore prospetti a taluna di queste la convenienza dell’affare, ma vada intesa, conformemente al dettato dell’art. 1750 Codice civile, come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario. (67) Per tutti: M. Minasi, Mediatore, cit., 50. (68) Cfr. B. Troisi, La mediazione, cit., 58. I CONTRATTI N. 8-9/2005 783 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI termediario e parti dell’affare non deve sussistere alcun legame. La giurisprudenza di legittimità (69), in proposito, ha sostenuto, poi, che l’art. 1759 Codice civile, che sancisce l’obbligo del mediatore di comunicare alle parti «le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso», presuppone in modo chiaro che l’attività del mediatore si svolga in modo imparziale, dovendosi ritenere in caso contrario che il contratto di mediazione sia giuridicamente inesistente. (70) Indipendentemente dalla soluzione che si ritiene di dover fornire al problema riguardante la configurabilità del dovere di imparzialità, si ammette, generalmente (71), l’esistenza dell’obbligo, in capo al mediatore, di comportarsi secondo buona fede (72) e correttezza (artt. 1175 e 1375 Codice civile), dal quale possono discendere, nei singoli casi, obblighi specifici di informazione (73), avviso, comunicazione, e così via. Inoltre, è indubbio, che proprio ex art. 1759, primo comma, Codice civile, oggetto del dovere di informazione del mediatore sono, dunque: «tutti i dati (ad es.: stato di insolvenza o di incapacità della parte, vizi della merce, situazione del mercato)» (74), o (come eccepito dall’opponente nella controversia oggetto della sentenza in esame, peraltro senza alcun fondamento) le caratteristiche o qualità del bene, «la cui conoscenza può incidere sulla conclusione dell’affare: nel senso di favorirla o di pregiudicarla» (75). In caso di violazione dell’obbligo di cui all’art. 1759, primo comma, Codice civile, quindi, il mediatore è tenuto a risarcire il danno derivante dalla omessa informazione; danno che si può configurare sia quando le parti concludano un contratto che altrimenti non avrebbero concluso o avrebbero concluso a condizioni diverse (76), sia quando non lo concludano a causa dell’omessa informazione (77). La provvigione e le altre clausole contrattuali Almeno qualche cenno appare necessario, infine, in ordine ad altri tipi di clausole (78) che vengono sovente inserite negli incarichi di mediazione. Nella specie, l’appellante, infatti, a sostegno della sua contestazione, si era limitato a porre in evidenzia alcune espressioni letterali e alcuni termini contenuti nella scrittura con cui la parte venditrice aveva conferito l’incarico mediatorio a Prima Casa, senza entrare nel merito dell’attività concretamente espletata da Prima Casa e senza addurre alcuna prova, peraltro ormai preclusa, sul punto. Ebbene, il mero richiamo al tenore letterale della detta scrittura non poteva considerarsi sufficiente a dimostrare tale assunto. Ciò che aveva rilievo, infatti, per suffragare la fondatezza della sua contestazione finale, non poteva certo essere solo il fatto che, in base alla documentazione in atti, emergesse che Prima Casa era stata «incaricata» o avesse ricevuto «mandato» dai proprietari dell’appartamento di provvedere alla relativa vendita, 784 I CONTRATTI N. 8-9/2005 essendo un dato di comune esperienza che, nella prassi corrente, l’incarico mediatorio venga affidato utilizzando espressioni (come «si dà incarico di…», o si «dà mandato di…», et similia) che spesso sembrano rimandare ad un’attività gestoria, senza tuttavia che quest’ultima venga sussunta come contenuto obbligatorio di un rapporto qualificabile in senso contrattuale come mandato. Pertanto, anche le espressioni cui ha fatto riferimento l’appellante come sintomi dell’operare di un mandato erano, in realtà, inefficaci a dimostrare tale fatto. Una osservazione sembra, peraltro, opportuna circa la qualificazione che le parti stesse, o più verosimilmente il solo professionista che ha predisposto il modello contrattuale, hanno dato al loro rapporto (79). Vi è una sorta di ritrosia ad utilizzare i termini di mediatore e mediazione e, nei moduli prestampati, si fa riferimento alla figura del mandante, per indicare colui che conferisce l’incarico che è detto, appunto, mandato a vendere ovvero mandato in esclusiva a promuovere la vendita; infatti, «chi predispone i formulari, è un mediatore professionista, interessato a ridurre il rischio dell’attività esercitata senza profitto» (80). Di qui la previsione di compensi che non rientrino nella nozione di provvigione e che remunerano un’attività non del tutto e non necessariamente coincidente con quella di mediatore, Note: (69) Ex multis: Cass. 28 febbraio 1986, n. 1294, in Arch. civ., 1986, 505, che conferma la sentenza della Corte d’Appello di Milano 19 gennaio 1982, in Arch. civ., 1982, II, 745, secondo cui «connotazione tipica ed essenziale del contratto di mediazione è quella dell’imparzialità del mediatore, che in tanto può assumere tale qualità in quanto operi su un piano di indipendenza rispetto alle parti a favore delle quali esplica la sua attività intermediatrice». (70) Così: Cass. 7 luglio 1980, n. 4340, in Giust. civ., 1981, I, 111. (71) Vedi A. Luminoso, La mediazione, cit., 81. (72) Cfr., per un esaustivo panorama, in dottrina e in giurisprudenza, sul punto: A. Maniaci, Intepretazione del contratto secondo buona fede, nota a Cass. 18 maggio 2001, n. 6819, in Foro pad., 2001, 1, 499 e ss. (73) Vedi A. Maniaci, Mediazione e obbligo di corretta informazione, cit., 322 e segg. Cfr. A. Catricalà, La mediazione, cit., 417 e ss. (74) A. Cataudella, Mediazione, cit., 7. (75) Sul tema M. De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002. (76) Così A. Mora, un caso di responsabilità del mediatore ex art. 1759, comma 1, c.c., in Resp. civ. e prev., 1993, 626; in giurisprudenza v. Cass. 9 aprile 1984, n. 2277, in Mass. Giust. civ., 1984. (77) Va sottolineato, comunque, che l’azione di responsabilità nei confronti del mediatore può essere esercitata anche quando il danneggiato abbia la possibilità di agire nei confronti della controparte per far valere la garanzia per i vizi o per mancanza di qualità della cosa venduta (Cass. 21 settembre 1988, n. 5183, in Mass. Giust. civ., 1988). (78) A. Luminoso, Sulla mediazione professionale con clausole anomale, nota a Pret. Cagliari 27 novembre 1993, in Riv. giur. sarda, 1996, 126. (79) A. Zaccaria, La natura e il contenuto dei cc. dd.»incarichi» di mediazione e la disciplina dedicata ai moduli e formulari che li contengono, in A. Zaccaria (a cura di), La mediazione, cit., I, 79. (80) A. Natale, Sul cumulo delle attività di mandatario e di mediatore unilaterale, cit., 493. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI quale, ad esempio, l’attività rivolta alla promozione dell’affare (81). L’opponente aveva, per esempio, osservato che non era stata promessa a Prima Casa, per la sua attività, una provvigione, ma un «compenso», e ciò avrebbe dovuto indurre il Giudicante ad orientarsi vero il mandato piuttosto che verso la mediazione. Tale affermazione appare, all’evidenza, forzata, poiché anche la provvigione altro non è che un compenso, ovvero un corrispettivo (82). Ciò che, semmai, ha rilievo per poter desumere dal tipo di compenso il tipo di rapporto entro cui esso si inserisce, è la modalità con cui le parti lo abbiano calcolato, nel caso di specie in percentuale sul prezzo di vendita, e dunque esattamente come avviene di norma in ambito mediatorio (83). Anche il fatto, pure evidenziato dall’opponente, che fosse stata inserita nella detta scrittura la facoltà per il mediatore di incassare somme e di trattenerle a soddisfazione anche del suo compenso non contrasta assolutamente con la disciplina della mediazione, cui ben possono accedere clausole anche atipiche (rispetto a quelle che compongono il tessuto delineato tipologicamente dal codice civile) senza che, per ciò stesso, possa ritenersi superata la tipologia «mediazione» e ipso facto traslata la fattispecie pratica nella sfera di un altro e diverso schema negoziale tipico; ciò a maggior ragione (84) nel caso in cui si condividesse, come sostenuto da autorevole dottrina (85), la tesi della natura di rapporto di fatto non riducibile sic et simpliciter allo schema del contratto. Più significativa, forse, potrebbe apparire, un’altra previsione contrattuale cui ha fatto riferimento l’opponente, con la quale si stabiliva il sorgere del diritto al compenso per il mediatore sia in caso di esecuzione del mandato o dell’incarico sia in caso di «conclusione diretta del contratto di compravendita», conclusione che l’appellante interpreta come riferita all’attività del mediatore, che, essendo stato così abilitato a concludere il contratto di alienazione, avrebbe potuto finanche agire come procuratore alla vendita, in nome e per conto dei venditori. Tuttavia, tale argomento, si risolve, a ben vedere, in una semplice illazione. Con l’espressione «conclusione diretta del contratto di compravendita», infatti, non si indicava affatto una facoltà d’azione attribuita a Prima Casa, ma solo un evento al verificarsi del quale sarebbe scattato l’obbligo di pagamento del compenso. Nulla quindi autorizzava a ritenere che la facoltà di concludere il contratto fosse stata delegata a Prima Casa. L’espressione in esame sembra, invece, più congruamente riferibile, in sostanza, al caso in cui le parti avessero direttamente, e cioè autonomamente, concluso la compravendita senza intervento del mediatore durante il periodo di vigenza dell’incarico mediatorio, situazione che, notoriamente, viene, solitamente, considerata sufficiente ragione per il riconoscimento della provvigione al mediatore cui l’incarico sia conferito, come nella specie, in «esclusiva» (86). Infatti, è di tutta evidenza come senza l’intervento del mediatore l’affare non si sarebbe concluso, a nulla rilevando il momento in cui le parti hanno stipulato il contratto (87). Del resto, un’analoga previsione, fondata sulla medesima ratio, si rinveniva nella detta scrittura laddove questa contemplava il diritto al compenso anche nel caso in cui la vendita fosse stata stipulata dopo l’estinzione del rapporto mediatorio, ma con soggetti già segnalati dal mediatore o che avessero visionato i locali oggetto di vendita già nel corso di vigenza del rapporto di mediazione (88). Se gli elementi «sintomatici» segnalati dall’opponente per dimostrare l’operatività di un mandato non erano idonei a tale scopo, altri ve n’erano che invece, del tutto ignorati dall’opponente, avrebbero potuto più agevolmente dimostrare che di mandato non si trattasse, quanto piuttosto di una vera e propria mediazione. Da una parte, non poteva dubitarsi che carattere mediatorio avesse l’incarico conferito, a latere emptoris, dal L., visto che nella scrittura con cui costui aveva proposto l’acquisto dell’appartamento di cui si discute era stato inserito l’espresso riferimento al fatto che il compenso avrebbe avuto come causa l’attività di intermediazione svolta da Prima Casa, per ben due volte indicata come «società intermediatrice». Inoltre, quanto alla scrittura di conferimento dell’incarico a latere venditoris, significativamente si era precisato che nessun compenso sarebbe spettato a Prima Casa in caso di mancata conclusione dell’affare durante il periodo di vigenza dell’incarico, laddove invece, se si fosse Note: (81) P. Vitucci, Impegni assunti con il mediatore e proposta contrattuale, in Riv. not., 1994, 15. (82) Dalla casistica giurisprudenziale emerge l’esistenza di una grande varietà di clausole pattizie riguardanti la provvigione; così, ad esempio, previo accordo con il mediatore, le parti intermediate possono ripartire tra loro il pagamento della provvigione in misura diversa, fino ad escluderlo del tutto (sul punto c’è concordia in dottrina, vedi: A. Cataudella, Mediazione, cit., 7; A. Luminoso, La mediazione, cit., 113), per una di esse (c.d. clausola «franco mediazione» o «franco provvigione»), senza con ciò snaturare il contratto di mediazione (Cass. 21 settembre 1988, n. 5183, cit.); oppure, ancora, possono subordinare il sorgere dell’obbligo di pagare il compenso non alla semplice conclusione dell’affare, ma al suo «buon fine», che a seconda dei casi, può consistere nella conclusione di una serie di contratti, tra loro collegati, diretti a realizzare un interesse economico unitario (Cass. 27 novembre 1982, n. 6472, in Mass. Giust. civ., 1982). (83) Cfr. sul tema M. Pollaroli, Il diritto alla provvigione del procacciatore d’affari, nota a Cass. 6 aprile 2000, n. 4327, in questa Rivista, 2001, 364 (84) G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 1993, 394. (85) Per tutti: A. Catricalà, La mediazione, cit., 411 e ss., vedi anche note 17 e 18. (86) Cass. 4 maggio 1982, n. 2772, in Arch. civ., 1982, II, 858. Su tale tipo di clausola esprime dubbi B. Troisi, La mediazione, cit., 193. (87) G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 394. (88) Cass. 3 settembre 1991, n. 9350, in Giust. civ., 1992, I, 695; conforme Cass. 22 gennaio 1982, n. 438, in Arch. civ., 1982, 605. I CONTRATTI N. 8-9/2005 785 GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI trattato di vero e proprio mandato, sarebbe stato quanto meno più «normale», anche se non inesorabile, stante la contestuale previsione di un compenso in caso di buon esito delle trattative che rendeva comunque «oneroso» il rapporto, che si prevedesse la debenza del compenso in ragione del semplice compimento dell’attività gestoria, e dunque a prescindere dal risultato. La mediazione, infatti, come già in parte detto, si differenzia tra l’altro dal mandato anche perché, mentre il mandatario agisce in adempimento di un preciso obbligo giuridico consistente nel compimento di un’attività negoziale, avendo diritto al compenso, di norma, indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore invece assume l’onere, interponendosi in maniera neutrale fra due o più parti, di mettere in contatto le stesse con diritto al compenso solo in caso di effettiva conclusione dell’affare (89). Tuttavia, vero è che le clausole che destano i maggiori «sospetti» sono quelle relative al pagamento della provvigione, allorquando si prevede che questa non sia solo dovuta nel caso in cui l’affare si conclude in relazione all’intervento del mediatore, ma anche in altre circostanze che prescindono da una qualsiasi attività di interposizione; ad esempio nell’ipotesi di rinuncia a comperare o a vendere alle condizioni pattuite al momento del conferimento dell’incarico, e nel caso di revoca dell’incarico (90) prima della scadenza (91). In verità, la giurisprudenza (92) ha ammesso senza esitazioni la validità di tali clausole in quanto si limiterebbero a prevedere delle cause di scioglimento del rapporto imputabili esclusivamente al contraente intermediato, sicché il compenso pattuito fungerebbe da corrispettivo per il recesso o la rinuncia. Ciò, naturalmente, sempre sul presupposto della «derogabilità dell’art. 1755, primo comma, Codice civile» (93), che prevede il diritto del mediatore alla provvigione solo se l’affare è concluso per effetto del suo intervento (94). Si deve, inoltre, osservare (95) che a conclusioni diverse si può, invece, giungere nel caso in cui l’incarico conferito al mediatore non si limiti a regolare l’attività materiale di interposizione, ma preveda che il mediatore compia uno o più atti giuridici per conto e nell’interesse di chi gli ha conferito l’incarico. Infatti, nell’odierna realtà economica, il mediatore oltre ad esercitare un’attività tipicamente mediatoria, si impegna, ricevendo l’incarico, ad eseguire altri servizi od a compiere altre attività. I moduli contrattuali prevedono, spesso, ad esempio, che l’agente immobiliare venga autorizzato a redigere e a far sottoscrivere dalle controparti proposte di acquisto o di vendita; oppure venga autorizzato a risolvere eventuali controversie con le controparti prima della stipulazione del contratto preliminare di compravendita. Talora, poi, l’agenzia immobiliare, oltre a promuovere la vendita o l’acquisto per conto del cliente, gli offre servizi che con tutta evidenza vanno oltre i confini naturali della mediazione. Così l’agenzia immobiliare può 786 I CONTRATTI N. 8-9/2005 svolgere per conto e nell’interesse del cliente (specie se si tratta di un costruttore di un complesso immobiliare) attività di marketing per tutta la durata dell’incarico, o di impostazione e realizzazione della campagna pubblicitaria, nonché della scelta dei mass media più idonei ed invio del materiale pubblicitario, collaborazione nello studio dei documenti contrattuali, incasso dei pagamenti effettuati dalla controparte sino al momento della stipulazione dell’atto definitivo di acquisto. Conclusioni Se si tiene conto di quanto esposto, è facile constatare come l’agenzia immobiliare svolge nella realtà giuridica-economica odierna, «indubbiamente, attività di mediazione, ma opera anche in qualità di mandataria (senza rappresentanza) di chi le ha conferito l’incarico» (96). La figura tradizionale del mediatore che svolge la sua attività con una organizzazione su base essenzialmente personale, dunque, «non appare più rispondente all’evoluzione del fenomeno mediatizio» (97). Da qui la sempre più diffusa presenza, nell’attività in questione, di complesse organizzazioni imprenditoriali in forma societaria, in grado di imporre, attraverso lo strumento della contrattazione standardizzata, condizioni alla massa degli utenti (soggetti intermediati, cc.dd. contraenti deboli). La pratica degli affari immobiliari conosce una tale varietà di regole convenute dalle parti, che difficilmente i contratti stipulati con le agenzie di intermediazione immobiliare possono rientrare negli schemi normativi. Di qui la difficoltà di individuare il tipo legale cui riportare la fattispecie concreta quale si è realizzata nella prassi dei rapporti economici. Giova, infine, sottolineare come l’agente immobiliare sia un imprenditore (98) che, tramite la predisposizione di moduli condizioni generali di contratto, disciplina in modo uniforme la prestazione del proprio servizio e come tali clausole non siano oggetto di negoziazione, sbilanciando il contratto a favore dell’imprenditore ed aggravando la posizione dell’aderente (99). Note: (89) V. Cass. 18 febbraio 1998, n. 1719, cit., 489. (90) Cass. 26 gennaio 1978, n. 378, in Mass. Giust. civ., 1978 (91) G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 394. (92) Cass. 27 aprile 1982, n. 2631, in Rep. Giur. it., 1982, voce Mediazione, n. 10; e Cass. 28 febbraio 1986, n. 1294, in Arch. civ., 1986, 505. (93) Cass. 10 settembre 1980, n. 5221, in Mass. Foro it., 1980. (94) Cass. 4 maggio 1982, n. 2772, in Arch. civ., 1982, II, 858. (95) Cfr. B. Troisi, La mediazione, cit., 193. (96) G. Di Chio, Mediazione e mediatori, cit., 394. (97) B. Troisi, La mediazione, cit., 28. (98) G. De Ferra, La figura del mediatore come imprenditore, cit., 527. (99) M. L. Spasari, I contratti di mediazione nella compravendita immobiliare, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 1126. GIURISPRUDENZA•I SINGOLI CONTRATTI Su questi presupposti, trova applicazione, altresì, la disciplina relativa ai contratti del consumatore di cui al Capo XIV bis, titolo II, libro IV, Codice Civile, che offre una tutela ulteriore rispetto a quella fornita dalla Legge n. 39 del 1989 che, all’art. 5, quarto comma, prevede che il mediatore, il quale si avvalga, per l’esercizio della propria attività, di «moduli o formulari» (100), nei quali siano indicate le condizioni del contratto, debba preventivamente depositarne copia presso la Commissione istituita presso ciascuna Camera di Commercio (101), cui è demandata l’iscrizione e la tenuta del ruolo dei mediatori. Ecco, allora, che lo schema negoziale voluto dalle parti rifletterà la struttura di un contratto misto di mediazione e mandato (102). Tramontata, peraltro, la vecchia concezione di mediatore come procacciatore di notizie e di affari, «quale uomo presente sulla piazza, sveglio e furbo» (103), si va affermando la nuova figura di mediatore anche mandatario che non solo tratta l’affare, ma anche lo definisce nel dettaglio, finendo alcune volte persino per concluderlo; tale attività di mandatario, però, in quanto solo accessoria e subordinata alla mediazione, di regola non verrà remunerata (104). Note: (100) L’art. 17 del decreto del Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato del 21 dicembre 1990, n. 452, contenente il regolamento di attuazione della Legge n. 39 del 1989, prescrive, inoltre, che i moduli o formulari debbano essere chiari, facilmente comprensibili ed ispirati alla buona fede contrattuale. Per una analisi delle ipotesi di clausole abusive presenti nei moduli di conferimento dell’incarico di mediatore, v. M. G. Lodato, Le clausole abusive nei contratti delle agenzie immobiliari, in G. Alpa e S. Patti (a cura di), Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori. Commentario agli artt. 1469 bis - 1469 sexies del Codice civile, Milano, 1997, II, 1255. (101) Su tale punto, nonostante l’esplicito motivo di ricorso del Sig. L., pare esserci nella sentenza che si annota una colpevole omissione. (102) Cfr. B. Troisi, La mediazione, cit., 193. (103) A. Natale, Sul cumulo delle attività di mandatario e di mediatore unilaterale, cit., 496. (104) Così M. Bernardini, Proposte e preliminare di contratto nei modelli dei mediatori, in F. Galgano (Trattato diretto da), I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Torino, 1995, I, 112, il quale, è ovvio, esclude il caso del mandato oneroso, in cui il mandatario è comunque da retribuire. I CONTRATTI N. 8-9/2005 787 GIURISPRUDENZA•SINTESI Rassegna di legittimità: i singoli contratti APPALTO Cassazione Civile, sez. II, 11 febbraio 2005, n. 2752 Pres. Pontorieri - Rel. Scherillo - P.M. Marinelli (Conf.) - Lenni Renato S.a.s. c. Rofor Di Formichi Ivo S.n.c. Appalto (contratto di) - Responsabilità dell’appaltatore - Esclusione - Condizioni - Controllo esercitato dal committente - Caratteristiche - Appalto «a regia» - Fattispecie Nel cosiddetto appalto «a regia», il controllo esercitato dal committente sull’esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l’appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell’iniziativa del committente, sì da giustificarne l’esonero da responsabilità per difetti dell’opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di nudus minister del committente. (Nella specie la S.C ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile l’appalto a regia sulla base delle clausole contrattuali, che prevedevano l’obbligo dell’appaltante di fornire tutte le attrezzature e i materiali d’uso, l’esecuzione sotto la direzione esclusiva dell’impresa appaltante e del personale da essa incaricato, la previsione, quale oggetto del contratto, soltanto di prestazioni di manodopera, con contabilizzazione a parte dei lavori a giornata, sfiorando la fattispecie delittuosa di cui alla Legge n. 1369/60 sul divieto di intermediazione ed interposizione di lavoro). Cassazione Civile, sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1748 Pres. Nicastro - Rel. Durante - P.M. Frazzini (Diff.) - De Lillo ed altro c. Cond. Parco Quadrifoglio Fabbricato ed altri Appalto (contratto di) - Rovina e difetti di cose immobili (responsabilità del costruttore) - In genere - Azione di responsabilà ex art. 1669 Codice civile - Natura extracontrattuale - Fondamento - Rapporti con l’azione di responsabilità ex art. 2043 Codice civile - Specialità - Conseguenze - Legittimazione attiva all’azione - Individuazione I. L’art. 1669 Codice civile, nonostante la sua collocazione nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto, dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall’interesse pubblico - trascendente quello individuale del committente - alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, a preservazione dell’incolumità e sicurezza dei cittadini; e, sotto tale profilo la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’art. 2043 Codice civile, che trova applicazione solo ove non risulti applicabile quella speciale, ed attribuisce legittimazione ad agire contro l’appaltatore ed eventuali soggetti corresponsabili non solo al committente ed ai suoi aventi causa (ivi compreso l’acquirente dell’immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa. Appalto (contratto di) - Rovina e difetti di cose immobili (responsabilità del costruttore) - In genere - Azione di responsabilità contro il proprietario dell’immobile - Da parte del terzo danneggiato - Chiamata in causa in garanzia del costruttore - Natura della garanzia - Garanzia impropria - Fondamento - Conseguenze - Scindibilità delle cause II. La chiamata in causa del costruttore da parte del proprietario dell’immobile, che sia stato convenuto in giu- 788 I CONTRATTI N. 8-9/2005 GIURISPRUDENZA•SINTESI dizio dal terzo danneggiato con invocazione della responsabilità ai sensi degli artt. 2043, 2051, 2053 Codice civile (o con invocazione di uno di tali titoli di responsabilità), configura un’ipotesi di garanzia impropria, trattandosi di titoli distinti, collegati solo indirettamente, con la conseguenza che in ragione di tale diversità dei titoli delle responsabilità ha luogo un fenomeno di scindibilità delle relative cause, sia pure legate fra loro da un vincolo di subordinazione o di pregiudizialità - dipendenza. ASSICURAZIONE Cassazione Civile, sez. III, 18 febbraio 2005, n. 3370 Pres. Vittoria - Rel. Perconte Licatese - P.M. Golia (Conf.) - Romanelli c. Milano Assicurazioni S.p.a. ed altro Assicurazione - Contratto di assicurazione - Premio - Mancato pagamento - In genere - Clausola di regolazione del premio - Natura giuridica - Clausola onerosa ex artt. 1341, 1342 Codice civile - Configurabilità - Conseguenze - Specifica approvazione per iscritto - Necessità - Portata applicativa - Mancata comunicazione degli elementi variabili da parte dell’assicurato - Conseguenze - Automatica sospensione della garanzia assicurativa ex art. 1901 Codice civile Esclusione La clausola cd. «di regolazione del premio» inserita in un contratto di assicurazione si caratterizza, sul piano morfologico, per la sua natura di clausola onerosa che, come tale, richiede la specifica approvazione per iscritto da parte dell’assicurato, giusta disposto degli artt. 134,1 comma secondo, e 1342, comma secondo, Codice civile, mentre, sul piano funzionale, si appalesa inidonea a riprodurre ipso facto lo schema dell’art. 1901 stesso codice (che prevede la sospensione della garanzia assicurativa in caso di inadempimento dell’assicurato all’obbligazione di pagare il premio), non rappresentandone punto una automatica applicazione, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente, ai fini della sospensione della garanzia assicurativa, la mera omissione della comunicazione dei dati variabili entro il termine contrattuale previsto, integrando tale condotta omissiva, piuttosto, la violazione di un diverso obbligo pattizio, estraneo al modello di cui al citato art. 1901 Codice civile. CONTRATTO DI ALBERGO Cassazione Civile, sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1150 Pres. Vittoria - Rel. Segreto - P.M. Destro C (Diff.) - Camping Pini Di Maresca S.n.c. c. Com. Meta ed altri Alberghi - Contratto di albergo e di pensione - Oggetto - Natura - Disciplina applicabile - Criterio della prevalenza delle prestazioni qualificanti - Limiti - Fattispecie in tema di locazione di alloggio alberghiero a sfrattati ed obblighi risarcitori Il contratto di albergo costituisce un contratto atipico o misto, con il quale l’albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la fornitura di servizi, il deposito, senza che la preminenza riconoscibile alla locazione d’alloggio possa valere, sotto il profilo causale, a dare carattere accessorio alle altre prestazioni. Pertanto, secondo i principi applicabili in tema di contratto misto, il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto in base alla prevalenza degli elementi, salva l’applicazione degli elementi del contratto non prevalente se regolati da norme compatibili con quelle del contratto prevalente (Nella specie, relativa a contratto di albergo stipulato in favore di terzo, avendo un assessore comunale pattuito la locazione per due mesi di un bungalow in un complesso alberghiero in favore di una famiglia sfrattata, la Suprema Corte., nel cassare la sentenza di merito che aveva limitato la condanna dell’assessore al pagamento dei canoni dei due mesi, ha ritenuto compatibile con il suddetto contratto l’obbligo del conduttore in mora nella restituzione della cosa locata di dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna e l’eventuale maggior danno). I CONTRATTI N. 8-9/2005 789 GIURISPRUDENZA•SINTESI Rassegna di merito Sentenze esposte da Elettra Bruno e Marco Rossetti CONTRATTI DI GARANZIA Tribunale di Roma, sez. II - Sentenza 22 settembre 2004 - Est. Olivieri - Fallimento Nusam S.p.a. (Avv. Guerra) c. Ag. Reg. Sviluppo Agricolo Abruzzo ARSSA (Avv. dello Stato) Contratti di garanzia - Garanzia prestata in favore del concordato preventivo - Risoluzione - Conseguenze Cessazione della garanzia - Esclusione Contratti della p.a. - Forma scritta ad substantiam - Necessità - Conseguenze Contratti della p.a. - Contratti con obbligazioni a carico del solo proponente - Efficacia - Condizioni - Fattispecie I. La garanzia prestata in favore dei creditori della società ammessa al concordato preventivo, la quale costituisce un negozio non assimilabile alla fideiussione, non viene meno per effetto della risoluzione di quest’ultimo. II. Tutti i contratti della p.a. esigono la forma scritta ad substantiam. III. Il requisito della forma scritta, nei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente stipulati dalla p.a. (nella specie, una garanzia personale in favore di una società mista) sussiste quando l’organo deliberativo abbia adottato il provvedimento contenente la proposta contrattuale, a nulla rilevando che sia mancata la ratifica da parte dell’organo consiliare. Il fatto Un ente regionale, partecipante in una società per azioni, dopo l’ammissione di quest’ultima al concordato preventivo prestava unilateralmente fideiussione a garanzia della società ed a beneficio dei creditori di quest’ultima. Successivamente, essendo emerso che l’attivo sociale era notevolmente inferiore a quanto stimato, il tribunale risolveva il concordato preventivo, e dichiarava fallita la società. A questo punto il curatore escuteva la garanzia, ma l’en- te regionale rifiutava il pagamento, adducendo che la risoluzione del concordato preventivo aveva travolto anche le garanzie prestate. Il tribunale ha rigettato tale eccezione. Le ragioni della decisione La sentenza così motiva: «la questione (relativa alla validità delle garanzie prestate nel caso di risoluzione del concordato preventivo), a lungo contrastata in giurisprudenza, è stata composta dalle SS.UU. con la nota sentenza 18 febbraio 1997, n. 1482, che ha statuito la sopravvivenza - alla pronuncia di risoluzione del concordato ex artt. 186 e 137 l. fall. - delle garanzie prestate ai sensi dell’art. 160, secondo comma, n. 2) l. fall., osservando in proposito che: - in relazione alla funzione cui assolve la garanzia in questione (nella specie garanzia personale) non è assimilabile al tipo negoziale della fideiussione in quanto («è una garanzia che il terzo non dà al creditore in un momento iniziale o successivo di uno specifico rapporto obbligatorio (…) e quindi non è una garanzia di un singolo o di più crediti») ha la funzione oggettiva, espressamente prevista dall’ordinamento ex art. 160, secondo comma, l. fall., di consentire all’imprenditore -»nel prevalente interesse pubblico»- di fare fronte al temporaneo dissesto continuando ad amministrare i propri beni e ad esercitare l’impresa «assicurando sia la produttività della stessa che il posto di lavoro dei dipendenti», in tal modo concorrendo con gli altri presupposti a rendere ammissibile la domanda di concordato proposta dall’imprenditore (art. 162, l. fall.) ed alla omologazione dello stesso concordato (art. 181, primo comma, n. 3, l. fall.): tale funzione, tuttavia, non elide né contrasta con quella tipica di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’imprenditore nei confronti dei creditori, come emerge dal coordinato disposto degli artt. 137 e 186 l. fall. dal quale si «evince, senza possibilità di equivoci, che uno dei profili della risoluzione del concordato è proprio l’inadempimento dell’imprenditore insolvente che non può non coinvolgere anche la posizione del garante, facendo scattare la garanzia che è data per il concordato e quindi ne segue le sorti, sicché il garante non può sottrarsi per il solo fatto che quest’ultimo venga risolto»; - in relazione alla struttura della fattispecie negoziale la speciale disciplina normativa del fallimento non configura l’assunzione della garanzia come negozio risolutivamente condizionato al venir meno della sentenza di omologazione del concordato preventivo, e neppure individua in tale sentenza un elemento costitutivo della I CONTRATTI N. 8-9/2005 791 GIURISPRUDENZA•SINTESI fattispecie negoziale (aderendo quindi all’orientamento cd. «fallimentarista» secondo cui il concordato preventivo omologato non è autonoma fonte di obbligazioni e non produce effetti novativi sui preesistenti rapporti obbligatori dell’imprenditore cui accede la garanzia, limitandosi ad introdurre «solo una modifica sotto il profilo delle scadenze e sotto quello quantitativo»), ma considera l’omologazione del concordato preventivo come mero evento-presupposto cui è ricollegata la produzione degli effetti obbligatori in capo al garante: con la conseguenza che la successiva eliminazione del presuppostoomologazione non può incidere sulla esistenza, validità ed efficacia del negozio di garanzia; - in relazione al contenuto della obbligazione la garanzia ex art. 160, l. fall. differisce dalla obbligazione cui sono tenuti i fideiussori con riferimento all’oggetto, essendo tenuti i comuni fideiussori per l’intero (cfr. art. 184, primo comma, l. fall.) mentre la prestazione del garante del concordato preventivo è «strettamente limitata alla stabilita percentuale concordataria e non tendenzialmente diretta a soddisfare l’intero ammontare dei crediti chirografari»; - in relazione alla legittimazione ad escutere la garanzia la titolarità della posizione attiva nel rapporto obbligatorio, avuto riguardo all’interesse pubblico cui si ricollega la garanzia ex art. 160 l. fall., va riconosciuta in capo al commissario giudiziale (durante la esecuzione del concordato preventivo omologato) ovvero al curatore fallimentare che a quello succede in caso di risoluzione del concordato. Conclusivamente la S.C. ha affermato la conservazione delle garanzie prestate per l’adempimento del concordato preventivo omologato e successivamente risolto, essendo connaturale alla assunzione della garanzia il rischio dell’insuccesso della operazione. Tali principi di diritto sono stati ribaditi ed integralmente recepiti dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione che hanno affermato il principio della conservazione delle garanzie (...) anche in caso di risoluzione del concordato ex art. 160, secondo comma, n. 2 l. fall. - con cessione dei beni nella particolare ipotesi di concordato cd. «misto» - (Cass., sez. I, 14 marzo 2001, n. 3670) e che hanno sostanzialmente parificato la tutela accordata ai creditori con riferimento alla sopravvivenza delle garanzie - nel concordato fallimentare ed in quello preventivo (Cass., sez. I, 27 febbraio 2003, n. 2961)». Ritenuto dunque che la garanzia fosse sopravvissuta alla risoluzione del concordato, il tribunale è passato ad esaminare le ulteriori eccezioni sollevate dall’ente convenuto. Questo aveva eccepito innanzitutto la nullità della garanzia per difetto di forma scritta. Il tribunale sul punto ha riconosciuto che: (a) l’attività negoziale delle pp.aa. e degli enti pubblici è assoggettata all’osservanza delle norme di evidenza pubblica che impongono il requisito della forma scritta «ad essentiam» (mentre resta irrilevante, per contro, che le 792 I CONTRATTI N. 8-9/2005 parti esprimano il proprio consenso contestualmente in un unico atto formale); (b) la delibera a contrarre costituisce «mero atto interno» propedeutico alla manifestazione esterna di volontà dell’ente affidata alla stipula del contratto da parte dell’organo rappresentativo, e pertanto tale delibera è nulla, quanto agli effetti negoziali. Tuttavia - prosegue la sentenza - l’accertamento della osservanza del requisito formale ad essentiam debba essere compiuto con riferimento allo specifico tipo negoziale in questione (contratto con obbligazioni a carico di una parte sola) ed alla peculiare modalità di conclusione del negozio di garanzia, che deve ritenersi perfezionato nel momento e nel luogo in cui il destinatario della proposta la riceva senza rifiutarla nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi (art. 1333, secondo comma, Codice civile). Pertanto, poiché il consiglio d’amministrazione dell’organo regionale nella specie aveva deliberato di «rilasciare garanzia fideiussoria per l’importo di lire 4.000.000.000», tale delibera aveva prodotto effetti, ex art. 1333 Codice civile, al momento in cui era stata trasmessa ai creditori. Né poteva avere rilievo l’omessa ratifica della suddetta delibera da parte del Consiglio dell’ente atteso che l’atto negoziale di assunzione della garanzia era stato legalmente adottato sul presupposto di una delibera emessa con i poteri di urgenza conferiti al Consiglio di Amministrazione, e che era divenuta esecutiva in assenza di rilievi da parte dell’organo tutorio. Pertanto, così come i contratti degli enti pubblici conclusi «in caso di inesistenza della volonta’ contrattuale dell’organo deliberativo» non possono ritenersi invalidi «configurandosi, invece, una fattispecie «in itinere» o a formazione progressiva assimilabile al negozio concluso dal «falsus procurator», caratterizzata da una fase interinale destinata a protrarsi fino a quando intervenga la ratifica da parte dell’organo competente, ovvero fino a quando la ratifica venga negata» (Cass., sez. III, 10 gennaio 2003, n. 195), allo stesso modo doveva escludersi nel caso di specie un vizio di invalidità derivata del negozio di garanzia, perfezionatosi sul presupposto dei una delibera a contrarre valida ed efficace. I precedenti La prima delle massime di cui in epigrafe si uniforma puntualmente al decisum di Cass., S.U., 18 febbraio 1997, n. 1482, in Fallimento, 1997, 722, con nota di Panzani, Risoluzione del concordato e sorte delle garanzie prestate per l’esecuzione, nonché in Corr. giur., 1997, 775, con nota di Sesta, La sorte delle garanzie concordatarie in caso di risoluzione o annullamento del concordato preventivo, la quale ha stabilito che a seguito della risoluzione del concordato preventivo, il terzo che aveva prestato garanzia a favore del debitore è tenuto anche nel successivo fallimento, nei limiti della percentuale concordataria, ad adempiere alla obbligazione di garanzia che assume connotati di atipicità rispetto alla normale fideiussione. GIURISPRUDENZA•SINTESI Successivamente, tale orientamento è stato condiviso ex aliis da Cass., sez. I, 27 febbraio 2003, n. 2961, in Rep. Foro it. 2003, Concordato preventivo, n. 15, ove si precisa altresì (anche in questo caso, conformemente alla sentenza qui in rassegna) che le garanzie offerte dal debitore, ai sensi dell’art. 160, secondo comma, n. 1, l.fall., come condizione per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non sono equiparabili alle fideiussioni di diritto comune, in quanto sono costituite in funzione del concordato e non diventano efficaci senza la sentenza di omologazione. Anch’esse, tuttavia, pur in mancanza di una disposizione analoga a quella specificamente dettata dall’art. 140, secondo comma, l.fall., per la risoluzione del concordato fallimentare, come già detto non perdono efficacia, negli stretti limiti della percentuale concordataria per cui sono state offerte, in ipotesi di risoluzione del concordato preventivo dovuta all’inadempimento dell’imprenditore (si veda altresì, nello stesso senso, Cass., sez. I, 14 marzo 2001, n. 3670, in Foro it., 2001, I, 2226). La seconda delle massime di cui in epigrafe è espressione di un orientamento risalente e consolidato: il principio per cui il contratto concluso dalla P.A. debba rivestire forma scritta a pena di nullità, affermato già da Cass. S.U. 14 ottobre 1972, n. 3063, in Giust. civ. 1973, 666, è stato sempre costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità. In questo senso si vedano, Cass., sez. I, 11 settembre 1999, n. 9682, in Rep. Foro it., 1999, Contratti della p.a., n. 126; Cass. 26 agosto 1997, n. 7997, in Mass. Foro it., 1997; Cass., sez. I, 30 luglio 1996, n. 6908, in Foro it., 1997, I, 891). Anzi, proprio in materia di contratti tra un privato e l’amministrazione comunale, la Suprema Corte ha affermato che il difetto della forma scritta nei contratti della p.a., forma prevista ad substantiam, non può essere sanato neppure allegando un convincimento incolpevole del privato di avere validamente contrattato con l’amministrazione, dato che la causa d’invalidità del negozio, nota ad uno dei contraenti e da questi taciuta, deriva da una norma che, per presunzione di legge, «deve essere nota alla generalità dei cittadini» (Cass., sez. I, 23 aprile 1996, n. 3843, in Mass. Foro it., 1996). Quanto alla terza delle massime di cui in epigrafe, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’approvazione, da parte dell’autorità tutoria, del contratto stipulato jure privatorum dalla p.a., opera quale condicio juris sospensiva dell’efficacia del negozio già perfezionato nei suoi elementi costitutivi. Il diniego di tale approvazione, pertanto, rende il contratto non più eseguibile (Cass. , sez. I, 12 novembre 1992, n. 12182, in Mass. Foro it., 1992; Trib. Bari 20 luglio 1981, in Rass. avv. Stato, 1982, I, 543, con nota di De Stefano; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 25 febbraio 1994, n. 72, in Giur. amm. sic., 1994, 32). Tale condicio juris sospensiva dell’efficacia del negozio non si inserisce però nel processo formativo del negozio, che è già perfetto nei suoi elementi costitutivi (Cass., sez. I, 14 ottobre 1995, n. 10751, in Mass. Foro it., 1995). In questi casi, inoltre, la sopravvenuta e definitiva inoperatività del contratto per effetto della mancata approvazione tutoria può essere dedotta da entrambe le parti contraenti, mentre i vizi concernenti l’attività negoziale dell’ente pubblico, sia che si riferiscano al processo di formazione delle volontà dell’ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria ad essa precedente, sono deducibili esclusivamente dall’ente pubblico stesso, in quanto si traducono in un difetto di capacità dell’ente (Cass. 8 luglio 1991, n. 7529, in Mass. Foro it., 1991). Ne consegue che, mentre l’approvazione da parte dell’autorità tutoria determina l’efficacia retroattiva del contratto stipulato dall’ente pubblico, a partire dalla data in cui fu concluso, il diniego della stessa produce invece il venir meno degli obblighi già sorti e l’ineseguibilità dell’accordo. In quest’ultimo caso il privato è sciolto da ogni obbligo e, se ha anticipato l’esecuzione del negozio, ha diritto di ottenere il ripristino della situazione quo ante (Cass. 1° febbraio 1985, n. 651, in Giust. civ., 1985, I, 1667). Sulla ammissibilità della fideiussione unilaterale, in senso conforme alla sentenza qui in rassegna, si veda Trib. Cagliari 23 ottobre 2001, in Riv. giur. sarda, 2002, 421, con nota di Mannoni, Lettera di patronage, fideiussione e altre forme di garanzia personale, secondo cui la volontà di prestare fideiussione manifestata senza la previsione di vantaggi o compensi per il fideiussore realizza un contratto con obbligazioni a carico di una sola parte, per il cui perfezionamento non è richiesta un’espressa dichiarazione di accettazione del creditore. CONTRATTI FINANZIARI Tribunale di Roma, sez. II - Sentenza 17 marzo 2005 Est. Oddi - Ragionieri ed al. (Avv. Castelli) c. Repubblica Argentina (Avv. Siragusa) Contratti finanziari - Obbligazioni di Stato - Rinvio della scadenza per atto normativo - Effetti dannosi prodotti in altro Stato - Conoscibilità da parte de giudice italiano - Ammissibilità Contratti finanziari - Obbligazioni di Stato - Omesso rimborso da parte dello Stato emittente - Domanda di risarcimento del danno - Previsione di una giurisdizione convenzionale nel regolamento del prestito - Giurisdizione del giudice italiano - Configurabilità - Esclusione I. Lo Stato estero è immune dalla giurisdizione italiana soltanto per quanto attiene agli atti compiuti quale soggetto di diritto internazionale, ed agli atti d’imperio compiuti nell’ordinamento interno; la suddetta immunità non si estende invece agli atti i cui effetti possono prodursi nell’ordinamento giuridico di un altro Stato, a nulla rilevando che essi siano espressione di sovranità, come l’adozione di un provvedimento normativo. I CONTRATTI N. 8-9/2005 793 GIURISPRUDENZA•SINTESI II. È sottratta alla cognizione del giudice italiano la domanda avente ad oggetto la responsabilità di uno stato estero (nella specie, Argentina) per omesso rimborso di un prestito obbligazionario, quando nel regolamento del prestito sia contenuta una clausola che devolva tutte le controversie tra le parti alla giurisdizione dei tribunali di alcuni Stati; né rileva, al riguardo, che i sottoscrittori non abbiano potuto conoscere tale clausola, in quanto tale circostanza potrebbe unicamente far sorgere una responsabilità dell’intermediario, ma non radicare una giurisdizione pattiziamente esclusa. Il fatto Alcuni risparmiatori avevano acquistato obbligazioni di Stato emesse dalla Repubblica Argentina. Il rimborso di tali obbligazioni tuttavia non avveniva, poiché lo stato emittente, a causa delle proprie difficoltà finanziarie, stabiliva per legge il rinvio della scadenza dei titoli. I risparmiatori italiani convenivano allora in giudizio la Repubblica Argentina, chiedendone la condanna al rimborso del prestito obbligazionario da essa emesso e non onorato. Lo Stato convenuto eccepiva la propria esenzione dalla giurisdizione italiana, allegando che il rinvio del rimborso era stato disposto con legge, e quindi con atto sovrano. Il tribunale ha rigettato la domanda, ma per motivi diversi da quelli invocati dalla convenuta, e cioè per la previsione nel regolamento del prestito di una giurisdizione convenzionale. Le ragioni della decisione La sentenza così motiva: «Il principio (di esenzione degli Stati esteri dalla giurisdizione del giudice italiano) «comporta non già l’insussistenza di qualsiasi tutela giudiziaria nei confronti dello Stato estero, sebbene soltanto, ed unicamente, la preclusione a che i giudici di uno Stato diverso da quello convenuto (quand’anche quelli nazionali dell’attore e competenti secondo le convenzioni internazionali sulla materia oggetto del giudizio) conoscano di una domanda proposta nei confronti dello Stato estero convenuto: da ciò, appunto, l’usuale definizione della regola col broccardo par in parem non habet iurisdictionem (Cass., S.U., 3 agosto 2000, n. 530/SU). Tale principio è ampiamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che «la norma consuetudinaria di diritto internazionale, generalmente riconosciuta, sulla immunità giurisdizionale degli Stati esteri e degli enti pubblici operanti nell’ordinamento internazionale (...) riguarda solo i rapporti che rimangono del tutto estranei all’ordinamento interno, o perché quegli Stati o enti agiscono in altri Paesi come soggetti di diritto internazionale, o perché agiscono come titolari di una potestà di imperio nell’ordinamento di cui sono portatori» (Cass., S.U., 3 febbraio 1996, n. 919; Cass. 18 ottobre 1993, n. 10294). 794 I CONTRATTI N. 8-9/2005 L’immunità dalla giurisdizione è stata riconosciuta anche per quelle attività istituzionali dello Stato straniero, compiute in territorio italiano in virtù di norma internazionale pattizia, che comportano pericolo per l’integrità personale (Cass., S.U., 00/530/SU cit., riguardante l’attività di addestramento militare compiuta in Italia dagli Stati Uniti d’America) o che, compiute nel territorio dello Stato straniero, abbiano addirittura causato danno al cittadino italiano (Cass., S.U., 12 giugno 1999, n. 328/SU, relativa al caso di cittadino italiano vittima di errore giudiziario commesso in Austria). L’immunità non viene meno neppure in ordine a domande di contenuto esclusivamente patrimoniale se l’accertamento della loro fondatezza implica valutazioni sull’esercizio dei poteri pubblicistici di uno Stato straniero o di un ente internazionale inerenti l’organizzazione dei suoi uffici o servizi (Cass., S.U., 3 agosto 2000, n. 531/SU; 8 giugno 1994, n. 5565, entrambe relative a fattispecie in materia di licenziamento del dipendente); a contrario, l’immunità recede quando il soggetto internazionale opera come privato ovvero con riguardo a rapporti relativi a mansioni puramente materiali, strumentali e ausiliarie, seppur funzionali, a quelle pubblicistiche dell’ente (Cass., S.U., 27 novembre 2002, n. 16830; 7 novembre 2000, n. 1150/SU, anch’esse riguardanti rapporti di lavoro subordinato). Recentemente, Cass., S.U., 11 marzo 2004, n. 5044 - dopo aver ribadito che «l’esistenza di una norma consuetudinaria di diritto internazionale che impone agli Stati l’obbligo di astenersi dell’esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli Stati stranieri e la sua operatività, nel nostro ordinamento, in virtù di quanto disposto dall’articolo 10, primo comma, Costit., non sono revocabili in dubbio, anche se … la portata di tale principio … è andata progressivamente restringendosi» (...) - ha affermato che deroga all’immunità dalla giurisdizione ricorre «in presenza di comportamenti che …assumono connotati di estrema gravità, configurandosi, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, quali crimini internazionali, in quanto lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali» (principio sancito in fattispecie relativa alla domanda risarcitoria proposta da un cittadino italiano deportato ed assoggettato a lavoro forzato in lager nazisti). Con particolare riguardo poi alla tematica dei provvedimenti di moratoria del debito estero e al programma di ripianamento del medesimo adottati da uno Stato straniero (come avviene nel caso in esame) Corte cost. 15 luglio 1992, n. 329 ha avuto modo di precisare che essi rientrano «nella sfera dei poteri sovrani e di governo» e godono perciò dell’immunità dalla giurisdizione italiana; diversamente, «le promesse di pagamento» rilasciate in esecuzione delle direttive del piano e «le garanzia corrispondentemente prestate dal governo» dello Stato debitore costituiscono atti iure gestionis e sono perciò soggetti alla giurisdizione italiana. La giurisprudenza italiana costituzionale e di legittimità, GIURISPRUDENZA•SINTESI pertanto, ammette l’immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera, limitatamente alle attività che costituiscono estrinsecazione dei poteri sovrani, quale principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto, al quale l’ordinamento italiano si adegua per il tramite dell’art. 10 Cost. (...). Peraltro, il principio dell’immunità ristretta ha limiti ben definiti posti in evidenza sia dalla giurisprudenza italiana sia da quella straniera. Si è infatti rilevato come la Cassazione ha avuto modo di precisare che esso riguarda solo i rapporti che rimangono del tutto estranei all’ordinamento italiano, vuoi perché gli Stati o enti stranieri «agiscono in altri Paesi come soggetti di diritto internazionale», vuoi perché «agiscono come titolari di una potestà di imperio nell’ordinamento di cui sono portatori» (Cass., S.U., 18 marzo 1999, n. 149/SU; 96/919 cit.; 93/10294 cit.) (...). Nel caso di specie, producendosi all’interno del nostro ordinamento gli effetti della normativa emergenziale adottata dallo Stato argentino, in quanto il blocco del pagamento delle cedole e del rimborso del capitale hanno luogo in Italia, il cennato limite all’operatività del principio di immunità è dunque superato. Per tale ragione (...) non si ritiene di poter dichiarare l’immunità della parte convenuta dalla giurisdizione italiana. A tale conclusione si perviene anche per altra ragione. Si è già rilevato che nei regolamenti di emissione delle obbligazioni la Repubblica Argentina ha espressamente rinunciato all’immunità. Ancorché non via sia stata specifica indicazione delle emissioni alle quali si riferiscono i vari titoli obbligazionari in possesso degli attori e degli intervenuti, è circostanza non controversa fra le parti che tutti i regolamenti di emissione contengono la clausola di espressa rinuncia alla immunità dello Stato argentino. Tale situazione, in ogni caso, trova riscontro documentale nei vari regolamenti di emissione prodotti dagli attori e dalla convenuta. Ed infatti, quest’ultima, dopo aver affermato che le obbligazioni in possesso degli attori sono riconducibili a due programmi quadro (il cd. European Medium Term Note Programme istituito con l’accordo quadro denominato Trust Deed stipulato il 27 luglio 1993 fra Repubblica Argentina e Chase Manhattan Trustee Limited - cui è subentrata JP Morgan Trustee and Depositary Company Limited - ed il cd.Global Bond Programme istituito con l’accordo quadro denominato Fiscal Agency Agreement stipulato il 19 ottobre 1994 fra Repubblica Argentina e Bankers Trust Company, modificato dal contratto Amendment n. 1 to the Fiscal Agency Agreement) contenenti il regolamento di tali emissioni, ha prodotto copia degli stessi e relativa traduzione giurata: nel paragrafo intitolato «termini e condizioni delle obbligazioni», riportato sul retro del «modulo di obbligazione al portatore definitiva», è espressamente indicato che gli obbligazionisti assumono tutti i diritti e gli obblighi previsti dalle disposizioni del programma quadro, fra le quali l’art. 17.4 del Trust Deed e l’art. 22 del Fiscal Agency Agreement stabiliscono la rinuncia della Repub- blica Argentina all’immunità dalla giurisdizione straniera (...). Gli attori del giudizio principale, a loro volta, hanno depositato alcuni prospetti informativi delle emissioni, nei quali è parimenti contenuta la rinuncia della Repubblica Argentina all’immunità dalla giurisdizione di qualsiasi Corte o da qualsiasi procedimento legale (cfr. documentazione allegata alla memoria ex art. 184 Codice di procedura civile). Sostiene parte convenuta l’inefficacia di tale rinuncia. Ciò sia perché l’art. 11 l. 218/95, che dispone il rilievo ex officio del difetto di giurisdizione se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale, non attribuirebbe rilievo ad una rinuncia all’immunità convenzionalmente espressa da uno Stato straniero, sia perché la rinuncia convenzionale può sempre essere revocata da un atto normativo successivo adottato per fronteggiare una situazione specifica di emergenza nazionale. Nessuna delle due ragioni sembra utilmente invocabile nella fattispecie. In ordine alla prima è sufficiente rilevare che l’art. 11 Legge n. 218/95 è norma che regola unicamente il regime della rilevabilità del difetto di giurisdizione e da essa non pare possano trarsi argomenti in merito alla validità della rinuncia. Quanto al secondo argomento, si possono richiamare le osservazioni poc’anzi svolte con riguardo all’efficacia extraterritoriale della norma straniera: non avendo essa efficacia nel nostro ordinamento, non si vede come possa escludere l’operatività della clausola in questione. In definitiva, per le ragioni sinora esposte l’immunità dalla giurisdizione straniera non è operante nel caso in esame. Tutto ciò, però, non porta all’affermazione della giurisdizione italiana, come sostengono attori e intervenuti. Infatti, i regolamenti così attentamente invocati in punto di rinuncia all’immunità esplicano i loro effetti anche per quanto riguarda l’affidamento delle controversie riguardanti le obbligazioni alla giurisdizione di taluni autorità giudiziarie, specificamente individuate. All’art. 17.2 del Trust Deed è stabilito che la Repubblica Argentina «si assoggetta irrevocabilmente alla giurisdizione delle Corti d’Inghilterra, di qualsiasi Corte dello Stato di New York, di qualsiasi Corte federale sita nel Distretto di Manhattan, New York City e delle Corti della Repubblica Argentina»; nell’art. 22 del Fiscal Agency Agreement l’Argentina dichiara espressamente di accettare la giurisdizione delle «Corti dello Stato di New York o delle Corti federali che si trovano nel Distretto di Manhattan, Città di New York». Nei prospetti di investimento prodotti dagli attori del giudizio principale è stabilita la giurisdizione «di qualsiasi Corte tedesca riunita a Frankfurt am Mein e di qualsiasi Corte d’appello di esse» ovvero di «qualsiasi Tribunale di Stato o federale nel Distretto amministrativo di Manhattan, Città di New York». In nessun caso è prevista la giurisdizione italiana. L’applicabilità delle clausole ora richiamate anche nei confronti degli attori e degli intervenuti, messa da costoro in dubbio non senza un’evidente contraddizione I CONTRATTI N. 8-9/2005 795 GIURISPRUDENZA•SINTESI con quanto affermato a proposito della clausola contente rinuncia all’immunità, deve invece ritenersi certa. Invero, come affermato da autorevole dottrina, il titolo obbligazionario - tanto quello emesso da soggetto privato quanto quello emesso da uno Stato sovrano ha natura giuridica di titolo di credito (è significativo che il rinvio alla disciplina delle leggi speciali sui titoli del debito pubblico sia disposto nell’art. 2001 Codice civile, contenuto fra le disposizioni generali riguardanti i titoli di credito). Inoltre, come esattamente osserva parte convenuta, le obbligazioni sono titoli a letteralità cd. incompleta, nel senso che il contenuto dei diritti che ne derivano è stabilito non solo dal tenore letterale del titolo stesso, ma anche dalla legge o dai documenti che regolano il rapporto fra detentore ed emittente. Pertanto, tutte le clausole del regolamento di emissione, anche quelle riguardanti la giurisdizione, esplicano i loro effetti nei confronti dei possessori dei titoli obbligazionari. La tematica della inopponibilità per difetto di conoscenza non rileva in questa sede, involgendo, se ne ricorrono le condizioni, profili di responsabilità degli intermediari istituzionali che provvidero al collocamento delle obbligazioni sul mercato. Essi, infatti, erano gravati da specifici obblighi di diligenza, correttezza e informazione nei riguardi della clientela (ex art. 21, primo comma, lett. a) e b), D.Lgs. n. 58/98, che impongono all’intermediario di agire con trasparenza e correttezza, nonché di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati; ex art. 28, secondo comma, regolamento Consob concernente la disciplina sugli intermediari, che obbliga questi ultimi, prima che l’investimento sia effettuato, a fornire all’investitore informazioni adeguate sulla natura e sulle implicazioni dell’operazione onde metterlo in grado di operare scelte consapevoli, in virtù dei quali avrebbero dovuto, fra l’altro, mettere a disposizione dei clienti copia di tali regolamenti o dei prospetti informativi che li richiamano e ne contengono parti significative, fra cui le clausole inerenti la giurisdizione. Tali clausole, inoltre, devono considerarsi senz’altro valide ed efficaci alla luce delle previsioni dell’art. 4 Legge n. 218/05, che richiede la forma scritta ad probationem e consente la deroga alla giurisdizione italiana se la clausola verte su diritti disponibili. Ad esse, contrariamente a quanto affermato dagli attori e dagli intervenuti, non si applicano le disposizioni sulle cd. clausole vessatorie (art. 1469 bis e ss. Codice civile), non vertendosi nell’ambito di rapporti di natura contrattuale (come già osservato, il possessore dell’obbligazione è portatore di un titolo di credito e i diritti di cui è titolare sono quelli stabiliti nel titolo e nelle altre fonti - nel caso di specie i regolamenti - che disciplinano il rapporto fra emittente e portatore, richiamate nel titolo stesso). La presenza e la validità delle clausole di attribuzione della giurisdizione a giudici stranieri (id est di deroga alla giurisdizione italiana) esclude che quest’ultima possa essere recuperata attraverso le ulteriori disposizioni norma- 796 I CONTRATTI N. 8-9/2005 tive richiamate da attori e intervenuti: art. 3 Legge n. 218/95, primo comma; sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale; Accordo italo-argentino del 22 maggio 1990 sulla protezione degli investimenti». I precedenti La prima delle massime di cui in epigrafe segna una «terza via» della giurisprudenza di merito: sino ad oggi, infatti, sulla vicenda dei bond argentini (titoli del debito pubblico emessi dalla Repubblica Argentini, e non rimborsati in base ad una legge di quello Stato) la giurisprudenza si era divisa tra quanti hanno ritenuto ammissibile la domanda di rimborso proposta dinanzi al giudice italiano (Trib. Roma 30 settembre 2002, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2003, 181; Trib. Roma 22 luglio 2002, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2003, 174); e quanti invece l’hanno ritenuta inammissibile in base al principio par in parem non habet iurisdictionem (Trib. Milano 11 marzo 2003, in Foro it., 2004, I, 293; Trib. Roma (ord.) 31 marzo 2003, in questa Rivista, 2003, 346, ed ivi l’ampia nota di ulteriori riferimenti dottrinari e giurisprudenziali, cui per brevità si rinvia). In dottrina, sull’argomento, si veda Castiglione, Immunità giurisdizionale e difetto di giurisdizione nella recente giurisprudenza italiana, in Cons. Stato, 2000, II, 2367. La seconda delle massime di cui in epigrafe non fa registrare precedenti editi. Merita tuttavia di essere segnalato come il Tribunale, muovendo dal rilievo che i titoli del debito pubblico costituiscono titoli di credito e non contratti, ha escluso l’applicabilità ad essi delle norme di cui agli art. 1469 bis e ss. Codice civile. Tribunale di Roma, sez. II - Sentenza 25 maggio 2005 - Pres. Misiti - Est. Lamorgese - Calabresi (Avv. Castelli) c. Banca Monte paschi S.p.a. (Avv. Scudella) e Consob (Avv. D’Alessandro) Contratti finanziari - Violazione degli obblighi di informazione - Nullità - Esclusione Contratti - finanziari - Omessa informazione sui rischio dell’operazione - Conseguenze - Annullabilità per errore - Ammissibilità - Condizioni Contratti finanziari - Omessa informazione sui rischi dell’operazione - Annullabilità per errore - Comportamento concludente del risparmiatore dopo la scoperta dell’errore - Conseguenze - Convalida Contratti finanziari - Conflitto di interessi della banca Conseguenze - Inadempimento - Esclusione Contratti finanziari - Omessa informazione sui rischio dell’operazione - Inadempimento - Conseguenze GIURISPRUDENZA•SINTESI I. La violazione, da parte dell’intermediario finanziario, degli obblighi di correttezza, diligenza ed informazione previsti dal t.u.i.f., non costituisce causa di nullità del contratto, ma può far sorgere unicamente una responsabilità per inadempimento. II. Chi invoca l’annullamento per errore di un contratto finanziario, per non essere stato informato sui rischi dell’operazione, ha l’onere di allegare e provare che, qualora avesse ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione del titolo, non lo avrebbe acquistato; a tal fine, peraltro, non è sufficiente la mera circostanza che dopo l’acquisto il titolo non abbia reso quanto sperato o promesso. III. Il risparmiatore il quale, dopo avere appreso il reale rating del titolo finanziario acquistato, incassi senza nulla eccepire il rendimento, tiene una condotta concludente che gli preclude, ex art. 1444 Codice civile, di invocare l’annullamento del contratto per errore sulla rischiosità dell’investimento, a nulla rilevando che in prosieguo di tempo tale rendimento divenga negativo. IV. La circostanza che la banca abbia negoziato un titolo proprio, ovvero abbia venduto prodotti finanziari al fine di lucrare sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, non costituisce di per sé inadempimento contrattuale all’obbligo di correttezza e diligenza. V. L’intermediario finanziario ha il preciso obbligo contrattuale, ex art. 1374 Codice civile, di informare sempre il cliente sulle caratteristiche e sui rischi specifici e concreti dell’investimento, e ciò sia al momento della stipula, sia durante la vigenza del contratto; tale obbligo va adempiuto con modalità diverse, a seconda della preparazione e della competenza del risparmiatore, ed ai fini della prova dell’adempimento non riveste rilievo decisivo la circostanza che il cliente abbia sottoscritto il foglio informativo predisposto dalla banca, se questo abbia contenuto del tutto generico. Il fatto Un risparmiatore acquistava, per il tramite di una banca italiana, titoli del debito pubblico emessi dalla Repubblica Argentina. A causa del tracollo finanziario dello stato emittente, tali titoli non venivano rimborsati, né venivano pagati gli interessi. Il risparmiatore conveniva allo- ra in giudizio la banca intermediaria e la Consob, chiedendo: a) nei confronti della banca, la declaratoria di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative; ovvero in subordine, l’annullamento del contratto per errore, ex art. 1427 Codice civile, con condanna della banca al risarcimento del danno; b) in via subordinata, nei confronti della Consob, il risarcimento del danno aquiliano, ex art. 2043 Codice civile, per avere concausato il danno al risparmiatore, autorizzando l’operazione finanziaria. Il tribunale ha accolto soltanto la domanda di risarcimento nei confronti della banca. Le ragioni della decisione Il tribunale ha esaminato innanzitutto la domanda di nullità del contratto, fondata sulla violazione dell’obbligo di correttezza imposto agli intermediari finanziari dall’art. 21 D.Lgs. n. 58/98. Pur ritenendo tale domanda inammissibile perché tardiva, il tribunale ha ritenuto ugualmente di valutarne - ad abundantiam - la fondatezza, escludendola. Ha osservato infatti il collegio che le norme del t.u.i.f. le quali impongono determinati obblighi di condotta agli intermediari finanziari (di informazione, diligenza, correttezza) sono prescrittive o impositive di obblighi di comportamento cui la banca è tenuta in forza di un vincolo negoziale già sorto, non rilevando, di regola, ai fini della validità del contratto, il carattere più o meno doveroso di quegli obblighi, i quali rappresentano una specificazione del generale dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, la cui violazione, com’è noto, non si traduce in causa di invalidità dello stesso. Pertanto la violazione di tali obblighi costituisce un inadempimento contrattuale, e può dar luogo ad un giudizio di responsabilità da inadempimento, ma non di nullità. Ritenere, invece, che la violazione degli obblighi di informazione determini la nullità del contratto di intermediazione mobiliare, significa introdurre per via giudiziale una nuova ipotesi di nullità, non solo non prevista dal legislatore, ma anche più grave delle nullità che lo stesso t.u.i.f. ha previsto come (nullità) soltanto relative: si tratterebbe, infatti, di una nullità assoluta rilevabile d’ufficio dal giudice a vantaggio o svantaggio del cliente (art. 1421 Codice civile), in evidente contrasto con la ratio delle normative di origine comunitaria protettive dei consumatori (qual è quella in esame). Esclusa dunque la nullità del contratto, la sentenza è passata ad esaminare la fondatezza della domanda di annullamento per errore essenziale e riconoscibile dalla banca (che avrebbe dovuto informarlo dei rischi dell’investimento) sull’oggetto, ovvero su una qualità essenziale del bond argentino (art. 1429, n. 1 e 2, Codice civile). Anche tale domanda è stata ritenuta infondata, con la seguente motivazione: «pur ammettendo, in astratto, che l’inadempimento della banca agli obblighi informativi in ordine al rating del titolo ecc., abbia inciso sulla I CONTRATTI N. 8-9/2005 797 GIURISPRUDENZA•SINTESI formazione del consenso negoziale, viziandolo e provocando nell’attore un errore nell’acquisto del titolo, non ne è dimostrata la essenzialità né la riconoscibilità (art. 1428 Codice civile). Premesso che la parte che chiede l’annullamento del contratto per errore «non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale di quel vizio, ma ha l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta» (v. Cass. n. 3378/1993), l’attore avrebbe dovuto dimostrare che, «secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze», l’errore verteva proprio sull’identità ovvero su una qualità dell’oggetto della prestazione (art. 1429, n. 2, Codice civile), intesa nel senso di conformazione giuridica e materiale del titolo acquistato, e non già sulla maggiore o minore convenienza economica dell’affare, che è ipotesi certamente estranea alla previsione degli artt. 1427 ss. Codice civile (v. Cass. n. 5139/2003; 5900/1997; 5773/1996; 9067/1995). E, comunque, trattandosi di vizio determinante la formazione della volontà negoziale, l’attore avrebbe dovuto dimostrare che, qualora avesse ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione del titolo, non lo avrebbe certamente acquistato, essendo quindi irrilevante (ai fini dell’errore richiesto per l’annullamento del contratto) il successivo andamento (e peggioramento) del titolo stesso». Ciò premesso in iure, il Tribunale ha rilevato in facto che al momento dell’acquisto dei bond argentini questi erano classificati dalle agenzie di rating con una affidabilità «insufficiente», ma che tale unica circostanza non era sufficiente ad integrare un errore essenziale tale da far ritenere che l’attore non li avrebbe certamente acquistati, trattandosi di categoria nella quale rientravano i titoli emessi da numerosi paesi c.d. emergenti, caratterizzati sia da oscillazioni anche sensibili nelle quotazioni di mercato sia da alta redditività, cui è spesso collegata proprio la loro appetibilità da parte degli investitori. Inoltre, anche a volere ravvisare nella specie un errore essenziale riconoscibile, il Tribunale ha osservato che l’azione di annullamento sarebbe stata comunque infondata: ed infatti, poiché per due anni e mezzo dopo l’acquisto del titolo il risparmiatore aveva comunque incassato i relativi interessi, tale condotta esprimeva in modo implicito, ma pur sempre chiaro ed univoco, la volontà della parte di convalidare tacitamente il negozio annullabile, ai sensi dell’art. 1444 Codice civile. Esclusa dunque la nullità e l’annullabilità del contratto finanziario, il tribunale è passato ad esaminare la responsabilità per inadempimento della banca intermediaria, osservando: «L’attore ha dedotto, del tutto genericamente, la situazione di conflitto di interessi in capo alla [banca] nella negoziazione del titolo argentino in quanto detenuto dalla banca nel proprio portafoglio, richiamando l’art. 21, lett. c), del t.u.i.f. (a norma del quale i soggetti abilitati devono «organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clien- 798 I CONTRATTI N. 8-9/2005 ti trasparenza ed equo trattamento») e l’art. 27 del reg. Consob («Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione»). Questo profilo della domanda è infondato. È necessario premettere che la negoziazione per conto proprio - che consiste nell’attività di acquisto (per la rivendita) e di vendita per conto proprio di strumenti finanziari, con lo scopo per la banca di realizzare una differenza (spread) tra prezzi di acquisto e quelli di vendita - è attività legittima e regolamentata dall’ordinamento (v. art. 1, quinto comma, lett. a), del t.u.i.f. e art. 32, quinto comma, del reg. Consob) e, pertanto, non integra di per sé un’attività in conflitto di interessi. La Consob, nella Comunicazione n. DAL/97006042 del 9 luglio 1997, ha chiarito che «una ipotesi di conflitto di interessi non può essere individuata - a priori - in tutti i casi in cui l’intermediario negozia in contropartita diretta con la propria clientela strumenti finanziari». Nel caso in esame, dal fissato bollato risulta e (...) che la [banca] ha venduto il bond argentino al [risparmiatore] senza applicare alcuna commissione, nell’ambito di una negoziazione in conto proprio disciplinata dall’art. 32, quinto comma, del reg. Consob più volte citato («Nella prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio gli intermediari autorizzati comunicano all’investitore, all’atto della ricezione dell’ordine, il prezzo al quale sono disposti a comprare o a vendere gli strumenti finanziari ed eseguono la negoziazione contestualmente all’assenso dell’investitore; sul prezzo pattuito non possono applicare alcuna commissione»). La circostanza (peraltro non dimostrata) che la banca già detenesse il titolo nel proprio portafoglio (...) non è di per sé decisiva per ravvisare un conflitto di interessi, poiché, nelle negoziazioni eseguite per conto proprio, l’intermediario, agendo in qualità di dealer, può «preleva(re) il titolo dal proprio portafoglio» (v. Comunicazione Consob n. DI/99014081 del 1° marzo 1999) (...). L’attore, inoltre, ha dedotto l’inadempimento della (banca) alla c.d. suitability rule, in base alle quale essa avrebbe dovuto informarlo della non-adeguatezza dell’investimento, con la conseguenza che deve ritenersi responsabile del danno cagionato, ai sensi dell’art. 21, lett. a) (che impone ai soggetti abilitati, ai sensi dell’art. 1 lett. r), di «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati») e lett. b) (di «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati») del t.u.i.f. La domanda sul punto è fondata. GIURISPRUDENZA•SINTESI In attuazione delle sopra citate disposizioni del t.u.i.f., il reg. Consob n. 11522/1998 ha previsto l’obbligo dei soggetti abilitati di «chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio» e di consegnargli «il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari» (art. 28, primo comma e All. n. 3). Si è già detto che il (risparmiatore) dichiarò di avere una esperienza finanziaria «approfondita» ed una propensione al rischio «alta», mentre nessuna informazione gli fu chiesta (né fu data) in ordine alla «sua situazione finanziaria» ed ai «suoi obiettivi di investimento». Pertanto, da un lato, il suddetto documento (peraltro privo di data) sottoscritto dal (risparmiatore) sui rischi generali degli investimenti (...), non corrisponde alle caratteristiche richieste dalla normativa citata. Dall’altro lato, soprattutto, la M.P.S. è stata inadempiente all’obbligo di fornire all’investitore «informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento» (art. 28, secondo comma, del reg. Consob). È costante, infatti, in giurisprudenza l’affermazione che non vale ad assicurare l’adempimento degli obblighi informativi a carico della banca «la circostanza che agli investitori sia stato consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari, trattandosi di informativa del tutto generica che non garantisce quella conoscenza concreta ed effettiva del titolo negoziato che l’intermediario deve assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi dell’investimento compiuto» (v., in tal senso, Trib. Roma 27 ottobre 2004, n. 29207, citata). La banca non è mero e passivo esecutore degli ordini di acquisto del cliente ma ha il preciso obbligo di informarlo delle caratteristiche specifiche dell’operazione (comunicandogli e spiegandogli, tra l’altro, il grado di affidabilità del titolo secondo le agenzie di rating) e della eventuale non-adeguatezza dell’investimento richiesto, come previsto dall’art. 29, primo comma, del reg. Consob, che pone a carico degli intermediari l’obbligo di astenersi «dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, frequenza o dimensione». Se è vero che, a tal fine, gli intermediari «tengono conto delle informazioni» ricevute preventivamente sui rischi generali del cliente «e di ogni altra informazione disponibile» (v. art. 29, secondo comma), è anche vero che la non-adeguatezza dell’operazione deve essere comunque segnalata dagli intermediari, i quali devono fornire a qualsiasi investitore chiare informazioni anche delle «ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione» e solo «qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione … possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto» (art. 29, terzo comma). Ciò che può mutare è soltanto il quomodo dell’assolvimento dei suddetti obblighi informativi: le modalità di acquisizione dal cliente delle informazioni relative alla sua situazione finanziaria od ai suoi obiettivi di investimento, nonché le modalità di esplicitazione delle informazioni sull’esistenza di interessi in conflitto, sulle caratteristiche e sull’adeguatezza della specifica operazione richiesta, ben possono variare a seconda che l’intermediario abbia a che fare con un investitore occasionale ovvero con un risparmiatore aduso all’impiego del denaro in valori mobiliari oppure ancora con un esperto speculatore. È significativo che l’obbligo degli intermediari di valutare l’adeguatezza dell’operazione non viene meno nemmeno nel caso in cui il cliente abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio (v. Comunicazione Consob n. DI/30396 del 21 aprile 2000). Né, del resto, é dimostrato il possesso da parte del (risparmiatore) di quei requisiti di particolare professionalità nel settore finanziario richiesti dalla (successiva) direttiva del 21 aprile 2004/39/CE (All. II) ai fini dell’attenuazione del livello di protezione dei risparmiatori e, quindi, degli obblighi informativi in capo agli intermediari. L’inadempimento della banca ha concorso in modo determinante alla perdita del capitale investito, che il [risparmiatore] avrebbe potuto evitare qualora fosse stato adeguatamente informato delle caratteristiche specifiche e, di conseguenza, della non-adeguatezza dell’investimento nel titolo argentino (il cui rating era «insufficiente» già nel giugno 1999). La possibile obiezione secondo cui non vi sarebbe certezza che, nel giugno 1999, egli avrebbe evitato quell’investimento qualora fosse stato adeguatamente informato, non coglie nel segno. Infatti, il comportamento della banca dev’essere qui valutato in executivis, cioè sotto il profilo dell’inadempimento alle obbligazioni ormai assunte con il contratto, sebbene (quello di acquisto del titolo) sia stipulato nella forma (che, a prima vista, potrebbe ricordare la fattispecie di cui all’art. 1327 Codice civile) dell’accettazione implicita mediante l’esecuzione dell’ordine del cliente da parte della banca (come si desume dall’art. 4 n. 5 della direttiva 2004/39/CE, che individua nella «esecuzione di ordini per conto dei clienti» il momento della «conclusione di accordi di acquisto o di vendita di uno o più strumenti finanziari per conto dei clienti»). Ciò, infatti, non impedisce di distinguere teoricamente la fase formativa del consenso negoziale da quella di adempimento del contratto, come nel caso della violazione degli obblighi informativi veicolati ex art. 1374 Codice civile nel negozio (sia esso quello c.d. generale o quello di acquisto del singolo titolo). Non bisogna chiedersi se il [risparmiatore] avrebbe o meno contrattato, come se dovessimo valutare l’esistenza di un vizio nella formazione del consenso negoziale. L’esistenza di un tale vizio è stata già esclusa secondo i seve- I CONTRATTI N. 8-9/2005 799 GIURISPRUDENZA•SINTESI ri parametri codicistici. E tuttavia ciò non esclude affatto la rilevanza causale dell’accertato inadempimento della banca nella produzione del danno lamentato. Da un lato, per l’illegittima compressione della libertà di autodeterminazione negoziale subita dal (risparmiatore) nella scelta dell’investimento adeguato (anche sotto il profilo della sua mera convenienza economica). Dall’altro lato, per la lesione del suo interesse (creditorio) alla conservazione dell’integrità patrimoniale, cui dev’essere ragguagliata la valutazione economica (ex art. 1174 Codice civile) della prestazione inadempiuta dalla banca avente ad oggetto gli obblighi informativi nei confronti degli investitori. Il nesso causale tra inadempimento contrattuale e danno è accertato, non avendo, del resto, la M.P.S. - sulla quale (nell’interpretazione data da una dottrina all’art. 23, sesto comma, del t.u.i.f.) ricadeva l’onere - offerto alcuna concreta e specifica allegazione (e prova) contraria. Inoltre, è importante considerare che la banca era tenuta ad informare il cliente sull’andamento del titolo anche successivamente al suo acquisto. Non soltanto in base al principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 Codice civile) ma anche in base a specifiche disposizioni normative. L’art. 21, lett. b), del t.u.i.f. (che costituisce norma primaria rispetto al regolamento Consob), nell’imporre agli intermediari di «operare in modo che (i clienti) siano sempre adeguatamente informati», al fine di consentire ad essi di effettuare «consapevoli scelte di investimento o disinvestimento» (art. 28, secondo comma, del reg. Consob), si riferisce ai servizi di investimento indicati all’art. 1, quinto comma, del t.u.i.f. senza alcuna distinzione tra le varie tipologie di servizi (tra cui rientrano anche le negoziazioni di strumenti finanziari per conto proprio e di terzi). Nessuna informazione la banca ha dato al cliente del crollo del titolo argentino a partire dal mese di ottobre del 1999 in cui fu declassato da Moody’s in categoria B1 (affidabilità «bassa») e nemmeno dopo il marzo 2001 quando fu declassato anche da Standard&Poor’s ed ulteriormente da Moody’s (in categoria B2)». I precedenti Circa gli effetti dell’omessa informazione, da parte dell’intermediario finanziario, sui rischi dell’investimento, si segnala un contrasto in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, poiché l’obbligo di informazione è sancito dall’art. 21 t.u.i.f. (D.Lgs. n. 58/98), la sua violazione costituisce una ipotesi di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative (Trib. di Mantova 18 marzo 2004, in questa Rivista, 2004, 7, 717, in nota alla quale già si diede conto delle perplessità sollevate dalla tesi della nullità del contratto per difetto di informazione). Secondo altro e più corretto orientamento, cui aderisce la sentenza qui in rassegna, invece, l’omessa informazione da parte dell’intermediario finanziario costituisce una ordinaria ipotesi di inadempimento degli obblighi con- 800 I CONTRATTI N. 8-9/2005 trattuali, con quanto ne consegue sul piano della risolubilità del contratto e del risarcimento del danno. La seconda delle massime di cui in epigrafe si uniforma al decisum di Cass., sez. III, 22 marzo 1993, n. 3378, in Giust. civ., 1994, I, 1997, con nota di Buccini, sentenza che sebbene relativa a fattispecie del tutto diversa, ha espressamente affermato che la parte la quale chieda l’annullamento del contratto per errore non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale di quel vizio, ma ha l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta. Sulla terza delle massime di cui in epigrafe non constano precedenti editi su fattispecie analoga. È, tuttavia, pacifico che la convalida del contratto annullabile possa avvenire in modo tacito, a condizione che la condotta tacita sia inequivocabile: in tal senso Cass., sez. III, 27 marzo 2001, n. 4441, in Rep. Foro it., 2001, Contratto in genere, n. 462, secondo cui l’esecuzione volontaria, che dà luogo alla convalida tacita del contratto annullabile, ai sensi dell’art. 1444, secondo comma, Codice civile, consiste in un comportamento negoziale, il quale si risolve in un’attività che, tendendo a realizzare la situazione che si sarebbe dovuta determinare per effetto del negozio annullabile, presuppone per implicito una volontà incompatibile con quella di chiedere l’annullamento; elemento rivelatore della volontà di convalidare il contratto può essere qualsiasi comportamento attinente all’esecuzione del contratto, cioè non soltanto quello di stretto adempimento proprio del soggetto passivo di un’obbligazione nascente dal contratto stesso, ma anche quello posto in essere dalla controparte di accettazione ed adesione alla prestazione dell’obbligato. La quarta delle massime di cui in epigrafe sembra aprire un contrasto proprio in seno al tribunale di Roma: in precedenza, infatti, era stato il medesimo ufficio giudiziario a ritenere che l’esecuzione, da parte di una banca, di una operazione in presenza di un conflitto di interessi, tale da potersi risolvere in un vantaggio «anche solo potenziale» della banca a scapito del cliente, costituisce negligenza ed imperizia nell’esecuzione del mandato, e dunque inadempimento (Trib. Roma 18 febbraio 2002, in Danno e resp., 2003, 291, con nota di Afferni). Infine, l’ultima delle massime di cui in epigrafe si uniforma ad un orientamento ormai consolidato, secondo il quale: (a) l’intermediario finanziario ha l’obbligo di ottenere un vero e proprio «consenso informato» dal risparmiatore, mettendolo al corrente di tutte le caratteristiche dell’investimento; (b) la prova dell’adempimento di tale obbligo di informazione, che grava sulla banca, non può essere assolta semplicemente producendo il foglio informativo sottoscritto dal cliente, se tale strumento informativo non è adeguato rispetto agli effettivi rischi dell’operazione, ovvero alle condizioni soggettive del cliente, tali da imporre una più approfondita informazione (in tal senso, ex multis, Trib. Brindisi 26 febbraio 2004, in Foro it., 2004, I, 1561; Trib. Roma 18 febbraio 2002, in Danno e resp., 2003, 291). NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE Il D.Lgs. di tutela degli acquirenti di immobili in costruzione Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 - Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della Legge 2 agosto 2004, n. 210 (G.U. 6 luglio 2005, n. 155, Serie Generale) IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione; Vista la legge 2 agosto 2004, n. 210, recante delega al Governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 febbraio 2005; Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Ritenuto di accogliere le osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari, ad eccezione di quelle aventi ad oggetto questioni meramente formali o non conformi con i principi espressi dalla legge di delegazione; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 10 giugno 2005; Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delle attività produttive; Emana il seguente decreto legislativo: Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto devono intendersi: a) per «acquirente»: la persona fisica che sia promissoria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sè o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorchè non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa; b) per «costruttore»: l’imprenditore o la cooperativa edilizia che promettano in vendita o che vendano un immobile da costruire, ovvero che abbiano stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto la cessione o il trasferimento non immediato in favore di un acquirente della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, sia nel caso in cui lo stesso venga edificato direttamente dai medesimi, sia nel caso in cui la realizzazione della costruzione sia data in appalto o comunque eseguita da terzi; c) per «situazione di crisi»: la situazione che ricorre nei casi in cui il costruttore sia sottoposto o sia stato sottoposto ad esecuzione immobiliare, in relazione all’immobile oggetto del contratto, ovvero a fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa; d) per «immobili da costruire»: gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità. Art. 2 Garanzia fideiussoria 1. All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall’articolo 1938 del Codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Restano comunque esclusi le somme per le quali è pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante, nonchè i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia. 2. Per le società cooperative, l’atto equipollente a quello indicato al comma 1 consiste in quello con il quale siano state versate somme o assunte obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa. I CONTRATTI N. 8-9/2005 801 NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE Art. 3 Rilascio, contenuto e modalità di escussione della fideiussione 1. La fideiussione è rilasciata da una banca, da un’impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni; essa deve garantire, nel caso in cui il costruttore incorra in una situazione di crisi di cui al comma 2, la restituzione delle somme e del valore di ogni altro eventuale corrispettivo effettivamente riscossi e dei relativi interessi legali maturati fino al momento in cui la predetta situazione si è verificata. 2. La situazione di crisi si intende verificata in una delle seguenti date: a) di trascrizione del pignoramento relativo all’immobile oggetto del contratto; b) di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa; c) di presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo; d) di pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza o, se anteriore, del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria. 3. La fideiussione può essere escussa a decorrere dalla data in cui si è verificata la situazione di crisi di cui al comma 2 a condizione che, per l’ipotesi di cui alla lettera a) del medesimo comma, l’acquirente abbia comunicato al costruttore la propria volontà di recedere dal contratto e, per le ipotesi di cui alle lettere b), c) e d) del comma 2, il competente organo della procedura concorsuale non abbia comunicato la volontà di subentrare nel contratto preliminare. 4. La fideiussione deve prevedere la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale di cui all’articolo 1944, secondo comma, del codice civile e deve essere escutibile, verificatesi le condizioni di cui al comma 3, a richiesta scritta dell’acquirente, corredata da idonea documentazione comprovante l’ammontare delle somme e il valore di ogni altro eventuale corrispettivo che complessivamente il costruttore ha riscosso, da inviarsi al domicilio indicato dal fideiussore a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. 5. Il mancato pagamento del premio o della commissione non è opponibile all’acquirente. 6. Il fideiussore è tenuto a pagare l’importo dovuto entro il termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di cui al comma 4. Qualora la restituzione degli importi oggetto di fideiussione non sia eseguita entro il suddetto termine, il fideiussore è tenuto a rimborsare all’acquirente le spese da quest’ultimo effettivamente sostenute e strettamente necessarie per conseguire la detta restituzione, oltre i relativi interessi. 7. L’efficacia della fideiussione cessa al momento del 802 I CONTRATTI N. 8-9/2005 trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile o dell’atto definitivo di assegnazione. Art. 4 Assicurazione dell’immobile 1. Il costruttore è obbligato a contrarre ed a consegnare all’acquirente all’atto del trasferimento della proprietà una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell’acquirente e con effetto dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni materiali e diretti all’immobile, compresi i danni ai terzi, cui sia tenuto ai sensi dell’articolo 1669 del codice civile, derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, e comunque manifestatisi successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione. Art. 5 Applicabilità della disciplina 1. La disciplina prevista dagli articoli 2, 3 e 4 si applica ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili per i quali il permesso di costruire o altra denuncia o provvedimento abilitativo sia stato richiesto successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Art. 6 Contenuto del contratto preliminare 1. Il contratto preliminare ed ogni altro contratto che ai sensi dell’articolo 2 sia comunque diretto al successivo acquisto in capo ad una persona fisica della proprietà o di altro diritto reale su un immobile oggetto del presente decreto devono contenere: a) le indicazioni previste agli articoli 2659, primo comma, n. 1), e 2826 del Codice civile; b) la descrizione dell’immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del contratto; c) gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per l’ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l’elencazione dei vincoli previsti; d) le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi ed agli impianti; e) i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle varie fasi di lavorazione; f) l’indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalità per il suo pagamento, la specificazione dell’importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalità di corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla par- NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE te venditrice ed alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell’avvenuto pagamento; g) gli estremi della fideiussione di cui all’articolo 2; h) l’eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo sull’immobile con la specificazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore risultano e del titolo dal quale derivano, nonchè la pattuizione espressa degli obblighi del costruttore ad esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita; i) gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonchè di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione; l) l’eventuale indicazione dell’esistenza di imprese appaltatrici, con la specificazione dei relativi dati identificativi. 2. Agli stessi contratti devono essere allegati: a) il capitolato contenente le caratteristiche dei materiali da utilizzarsi, individuati anche solo per tipologie, caratteristiche e valori omogenei, nonchè l’elenco delle rifiniture e degli accessori convenuti fra le parti; b) gli elaborati del progetto in base al quale è stato richiesto o rilasciato il permesso di costruire o l’ultima variazione al progetto originario, limitatamente alla rappresentazione grafica degli immobili oggetto del contratto, delle relative pertinenze esclusive e delle parti condominiali. 3. Sono fatte salve le disposizioni di cui al regio decreto 28 marzo 1929, n. 499. Art. 7 Modificazioni all’articolo 39 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 1. All’articolo 39 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) Il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. In caso di edificio o complesso condominiale per il quale può ottenersi l’accatastamento delle singole porzioni che lo costituiscono, ancorchè in corso di costruzione, il debitore, il terzo acquirente, il promissario acquirente o l’assegnatario del bene ipotecato o di parte dello stesso, questi ultimi limitatamente alla porzione immobiliare da essi acquistata o promessa in acquisto o in assegnazione, hanno diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e, correlativamente, al frazionamento dell’ipoteca a garanzia.»; b) dopo il comma 6 sono inseriti i seguenti: «6-bis. La banca deve provvedere agli adempimenti di cui al comma 6 entro il termine di novanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di suddivisione del finanziamento in quote corredata da documentazione idonea a comprovare l’identità del richiedente, la data certa del titolo e l’accatastamento delle singole porzioni per le quali è richiesta la suddivisione del finanziamento. Tale termine è aumentato a centoventi giorni, se la richiesta riguarda un finanziamento da suddividersi in più di cinquanta quote. 6-ter. Qualora la banca non provveda entro il termine indicato al comma 6-bis, il richiedente può presentare ricorso al presidente del tribunale nella cui circoscrizione è situato l’immobile; il presidente del tribunale, sentite le parti, ove accolga il ricorso, designa un notaio che, anche avvalendosi di ausiliari, redige un atto pubblico di frazionamento sottoscritto esclusivamente dal notaio stesso. Dall’atto di suddivisione del finanziamento o dal diverso successivo termine stabilito nel contratto di mutuo decorre, con riferimento alle quote frazionate, l’inizio dell’ammortamento delle somme erogate; di tale circostanza si fa menzione nell’atto stesso. 6-quater. Salvo diverso accordo delle parti, la durata dell’ammortamento è pari a quella originariamente fissata nel contratto di mutuo e l’ammortamento stesso è regolato al tasso di interesse determinato in base ai criteri di individuazione per il periodo di preammortamento immediatamente precedente. Il responsabile del competente Ufficio del territorio annota a margine dell’iscrizione ipotecaria il frazionamento del finanziamento e della relativa ipoteca, l’inizio e la durata dell’ammortamento ed il tasso relativo.». Art. 8 Obbligo di cancellazione o frazionamento dell’ipoteca antecedente alla compravendita 1. Il notaio non può procedere alla stipula dell’atto di compravendita se, anteriormente o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell’ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull’immobile. Art. 9 Diritto di prelazione 1. Qualora l’immobile sia stato consegnato all’acquirente e da questi adibito ad abitazione principale per sè o per un proprio parente in primo grado, all’acquirente medesimo, anche nel caso in cui abbia escusso la fideiussione, è riconosciuto il diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile al prezzo definitivo raggiunto nell’incanto anche in esito alle eventuali offerte ai sensi dell’articolo 584 del codice di procedura civile. 2. Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, l’autorità che procede alla vendita dell’immobile provvede a dare immediata comunicazione all’acquirente, con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario, della definitiva determinazione del prezzo entro dieci giorni dall’adozione del relativo provvedimento, con indicazione di tutte le condizioni alle quali la vendita dovrà essere conclusa e l’invito ad esercitare la prelazione. 3. Il diritto di prelazione è esercitato dall’acquirente, a pena di decadenza, entro il termine di dieci giorni dalla data di ricezione della comunicazione di cui al comma 2 I CONTRATTI N. 8-9/2005 803 NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE offrendo, con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario all’autorità che procede alla vendita dell’immobile, condizioni uguali a quelle comunicategli. 4. Qualora l’acquirente abbia acquistato l’immobile, per effetto dell’esercizio del diritto di prelazione, ad un prezzo inferiore alle somme riscosse in sede di escussione della fideiussione, la differenza deve essere restituita al fideiussore, qualora l’immobile acquistato abbia consistenza e caratteristiche tipologiche e di finitura corrispondenti a quelle previste nel contratto stipulato con il costruttore. Ove non ricorra tale condizione, l’eventuale eccedenza da restituire al fideiussore deve risultare da apposita stima. 5. È escluso, in ogni caso, il diritto di riscatto nei confronti dell’aggiudicatario. Art. 10 Esenzioni e limiti alla esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare 1. Gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire, nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi dalla data di acquisto o di ultimazione degli stessi, la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, se posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del preliminare, non sono soggetti all’azione revocatoria prevista dall’articolo 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni. 2. Non sono, altresì, soggetti alla medesima azione revocatoria i pagamenti dei premi e commissioni relativi ai contratti di fideiussione e di assicurazione di cui agli articoli 3 e 4, qualora effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. Art. 11 Introduzione dell’articolo 72-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 1. Dopo l’articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è inserito il seguente: «72-bis. (Contratti relativi ad immobili da costruire). In caso di situazione di crisi del costruttore ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c), della Legge 2 agosto 2004, n. 210, il contratto si intende sciolto se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o scioglimento, l’acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non può essere escussa dopo che il curatore abbia comunicato di voler dare esecuzione al contratto.». Art. 12 Istituzione e finalità del Fondo di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire 1. È istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze il Fondo di solidarietà per gli acquirenti di beni immobili da costruire, di seguito denominato: «Fondo», al fine di assicurare un indennizzo, nell’ambito delle ri- 804 I CONTRATTI N. 8-9/2005 sorse del medesimo Fondo, agli acquirenti che, a seguito dell’assoggettamento del costruttore a procedure implicanti una situazione di crisi, hanno subito la perdita di somme di denaro o di altri beni e non hanno conseguito il diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento su immobili oggetto di accordo negoziale con il costruttore ovvero l’assegnazione in proprietà o l’acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su immobili da costruire per iniziativa di una cooperativa. 2. Ai fini dell’accesso alle prestazioni del Fondo, devono risultare nei confronti del costruttore, a seguito della sua insolvenza, procedure implicanti una situazione di crisi non concluse in epoca antecedente al 31 dicembre 1993 nè aperte in data successiva a quella di emanazione del presente decreto. 3. L’accesso alle prestazioni del Fondo è consentito nei casi in cui per il bene immobile risulti richiesto il permesso di costruire. Art. 13 Requisiti per l’accesso alle prestazioni del Fondo 1. Per l’accesso alle prestazioni del Fondo devono ricorrere congiuntamente i seguenti requisiti oggettivi: a) aver subito, a seguito dell’insorgenza di una situazione di crisi per effetto dell’insolvenza del costruttore, perdite di somme di denaro versate o di altri beni trasferiti dall’acquirente al costruttore medesimo come corrispettivo per l’acquisto o l’assegnazione dell’immobile da costruire; b) non aver acquistato la proprietà o altro diritto reale di godimento sull’immobile da costruire ovvero non averne conseguito l’assegnazione. 2. Il requisito di cui al comma 1, lettera b), non viene meno per effetto dell’acquisto della proprietà o del conseguimento dell’assegnazione in virtù di accordi negoziali con gli organi della procedura concorsuale ovvero di aggiudicazione di asta nell’ambito della medesima procedura ovvero, infine, da terzi aggiudicatari. 3. Nei casi di cui al comma 2 l’indennizzo spetta solo qualora l’importo complessivo delle somme versate e del valore dei beni corrisposti al costruttore e delle somme versate per l’effettivo acquisto del bene sia superiore al prezzo originariamente convenuto con il costruttore ed è determinato in misura pari alla differenza tra il predetto importo complessivo ed il prezzo originario, fino comunque a concorrenza delle somme versate e dei beni corrisposti al costruttore. 4. Danno luogo alle prestazioni del Fondo le situazioni di perdita della proprietà del bene per effetto del successivo positivo esperimento dell’azione revocatoria, soltanto nel caso in cui essa sia stata promossa ai sensi dell’articolo 67, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Art. 14 Struttura e funzionamento del Fondo 1. Il Fondo si articola in sezioni autonome corrispondenti ad aree territoriali interregionali individuate con il de- NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE creto di cui all’articolo 16, sulla base della quantità e della provenienza territoriale delle richieste di indennizzo presentate entro il termine di decadenza stabilito nell’articolo 18, comma 1, in modo da assicurare una gestione equilibrata delle sezioni. L’articolazione in sezioni non comporta un decentramento territoriale del Fondo. 2. Per ciascuna sezione autonoma è tenuta dal Fondo una distinta contabilità, anche ai fini della rendicontazione periodica. 3. Gli oneri di gestione del Fondo sono contabilmente ripartiti fra le sezioni autonome, in proporzione dell’ammontare delle risorse di cui ciascuna di esse dispone in virtù dei contributi che le sono imputati ai sensi dell’articolo 17, comma 5. 4. Le risorse di ciascuna sezione, al netto degli oneri di gestione, sono destinate alla soddisfazione delle richieste di indennizzo dei soggetti aventi diritto in relazione agli immobili ubicati nel territorio di competenza della sezione medesima. A tale fine il gestore del Fondo, entro sei mesi dalla data di scadenza del termine di presentazione delle richieste di indennizzo da parte degli aventi diritto, salve le risultanze della successiva attività istruttoria, determina per ciascuna sezione l’ammontare massimo complessivo delle somme da erogare a titolo di indennizzo e, quindi, sulla base delle risorse globalmente imputate a ciascuna sezione per effetto del versamento della prima annualità del contributo obbligatorio di cui all’articolo 17, la prima quota annuale di indennizzo da erogare. 5. Le ulteriori quote annuali di indennizzo sono determinate in funzione delle variazioni della misura annua del contributo, stabilita con il decreto di cui all’articolo 17, comma 4, e del suo gettito effettivo, oltre che del decrescente ammontare residuo degli indennizzi da corrispondere. 6. In caso di integrale soddisfazione delle richieste degli aventi diritto, anche prima della scadenza del termine massimo di operatività del Fondo, le eventuali somme residue di una sezione sono attribuite alle altre sezioni, che non abbiano risorse sufficienti, proporzionalmente all’ammontare residuo degli indennizzi da corrispondersi da parte di ciascuna di queste. 7. Il Fondo ha azione di regresso nei confronti del costruttore per il recupero dell’indennizzo corrisposto all’acquirente. A tale fine il Fondo si surroga nei diritti dell’acquirente nell’ambito della procedura implicante la situazione di crisi aperta nei confronti del costruttore, progressivamente in ragione e nei limiti delle somme corrisposte a titolo di indennizzo, nonchè dei relativi interessi e spese. L’indennizzato ha facoltà di agire nell’ambito della procedura per l’eventuale residua parte del credito non soddisfatta dall’indennizzo ricevuto dal Fondo. 8. Le somme recuperate dal Fondo ai sensi del comma 7 sono imputate alla sezione autonoma del Fondo che ha erogato l’indennizzo. Art. 15 Gestione del Fondo 1. La gestione del Fondo è attribuita alla CONSAP Concessionaria di servizi assicurativi pubblici S.p.a., che vi provvede per conto del Ministero dell’economia e delle finanze sulla base di apposita concessione, approvata con decreto del medesimo Ministero. 2. La concessione si conforma al principio di affidare alla CONSAP, quale concessionaria, la gestione di cassa e patrimoniale del Fondo, la conservazione della sua integrità, la liquidazione delle relative spese, nonchè al principio di garantire la verifica periodica, da parte dell’amministrazione concedente, della corrispondenza della gestione del Fondo alle finalità indicate dal presente decreto. Ai relativi oneri e alle spese di gestione si provvede nell’ambito delle risorse finanziarie del Fondo, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 3. Ai fini di cui al comma 2, la concessione definisce, tra l’altro, le modalità di esercizio concernenti: a) iniziative informative da assumersi ad opera del Fondo, con oneri a suo carico, al fine di garantire l’effettiva fruizione dei benefici previsti dal presente decreto da parte dei destinatari; b) la rilevazione dei dati necessari per la definizione delle aree territoriali e delle corrispondenti sezioni autonome del Fondo, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, nonchè per la determinazione annua della misura del contributo obbligatorio, di cui all’articolo 17, comma 4; c) l’istruttoria delle richieste di indennizzo; d) la liquidazione degli indennizzi e la loro erogazione, anche tramite apposite convenzioni con le banche; e) la ripetizione delle somme già erogate, nei casi di revoca o riforma dell’attribuzione, nonchè l’esercizio del diritto di surroga previsto dall’articolo 14, comma 7; f) la previsione dell’ammontare complessivo delle somme da destinare all’erogazione degli indennizzi, nonchè al sostenimento degli oneri di gestione; g) la destinazione ad investimenti a redditività certa ed adeguata delle somme disponibili, compatibilmente con le esigenze di liquidità del Fondo; h) la presentazione al Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo inoltro alla Corte dei conti, del rendiconto annuale, approvato dal Consiglio di amministrazione della concessionaria, accompagnato dalla situazione patrimoniale del Fondo e da una relazione sull’attività svolta. 4. La concessione stabilisce, altresì, le modalità di accreditamento alla CONSAP delle somme che affluiscono al Fondo. Art. 16 Ulteriore disciplina per la gestione del Fondo 1. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le aree territoriali e le corrispondenti sezioni autonome del Fondo, tenuto conto dei dati raccolti ed elaborati dal gestore del Fondo medesimo. I CONTRATTI N. 8-9/2005 805 NORMATIVA•PROPRIETÀ IMMOBILIARE 2. Possono altresì essere stabiliti ulteriori criteri e modalità per la concreta gestione del Fondo, con particolare riferimento all’attuazione di quanto previsto dall’articolo 14. Art. 17 Contributo obbligatorio 1. Per reperire le risorse destinate al Fondo, è istituito un contributo obbligatorio a carico dei costruttori tenuti all’obbligo di procurare il rilascio e di provvedere alla consegna della fideiussione di cui all’articolo 2; il contributo è versato direttamente dal soggetto che rilascia la fideiussione. 2. Il contributo obbligatorio è dovuto per un periodo massimo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero, se antecedente, sino alla data nella quale risultino acquisite al Fondo risorse sufficienti ad assicurare il soddisfacimento delle richieste di indennizzo presentate dagli aventi diritto. L’eventuale ricorrenza della predetta condizione per l’anticipata cessazione della debenza del contributo è accertata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. 3. Per la prima annualità la misura del contributo è fissata nel quattro per mille dell’importo complessivo di ciascuna fideiussione ed il versamento è effettuato, entro il mese successivo a quello di rilascio della fideiussione, con le modalità stabilite e rese pubbliche dal soggetto gestore del Fondo. 4. Per le annualità successive, la misura del contributo è stabilita con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il limite massimo del cinque per mille dell’importo complessivo di ciascuna fideiussione; con il medesimo decreto possono essere stabilite, altresì, modalità per il versamento diverse o ulteriori rispetto a quelle fissate nel comma 3. 5. Le somme versate a titolo di contributo obbligatorio sono imputate alla sezione autonoma del Fondo nel cui ambito territoriale è ubicato l’immobile oggetto di fideiussione. 6. Qualora il versamento del contributo obbligatorio non avvenga entro il termine di cui al comma 3, sono dovuti interessi di mora calcolati, a decorrere dal giorno della scadenza del termine fino a comprendere quello dell’effettivo versamento, al saggio di interesse legale. 7. I soggetti che rilasciano fideiussioni ai sensi dell’articolo 2 sono tenuti a trasmettere entro il 31 dicembre di ogni anno al soggetto gestore del Fondo una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante attestazione delle fideiussioni rilasciate, con indicazione dei dati dei soggetti interessati, degli importi e degli estremi identificativi degli atti fideiussori. 806 I CONTRATTI N. 8-9/2005 Art. 18 Accesso alle prestazioni del Fondo ed istruttoria sulle domande 1. La domanda di accesso alle prestazioni del Fondo deve essere presentata dagli aventi diritto, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto di cui al comma 6. 2. Ciascun soggetto può ottenere dal Fondo l’indennizzo una sola volta, anche nel caso in cui abbia subito più perdite in relazione a diverse e distinte situazioni di crisi. Gli importi delle perdite indennizzabili sono rivalutati, in base alle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Il richiedente deve fornire la prova della sussistenza e dell’entità della perdita. A tale fine costituisce prova anche il provvedimento che ha definitivamente accertato il credito in sede concorsuale. 4. Nello svolgimento dell’attività istruttoria il gestore del Fondo, al fine di determinare criteri di valutazione uniformi in merito a situazioni e documentazioni ricorrenti, può acquisire il parere di un apposito comitato, costituito con il decreto di cui al comma 6 e composto da rappresentanti del Ministero della giustizia, del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero delle attività produttive e delle categorie interessate. 5. Il gestore del Fondo, all’esito dell’istruttoria, nei termini stabiliti in sede di concessione, delibera il riconoscimento dell’indennità e la relativa liquidazione ovvero la reiezione della richiesta. 6. Con decreto del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono dettate disposizioni relative alle modalità, anche telematiche, di presentazione della domanda ed al contenuto della documentazione da allegare a questa, nonchè in merito allo svolgimento dell’attività istruttoria di cui al presente articolo. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Per un primo commento al decreto cfr. C. Leo, Le nuove norme a tutela degli acquirenti degli immobili da costruire, retro, 745 ss. NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82: il Codice dell’amministrazione digitale Decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 - Codice dell’amministrazione digitale (G.U. n. 112, 16 maggio 2005, Supplemento Ordinario) Stralcio Capo II DOCUMENTO INFORMATICO E FIRME ELETTRONICHE; PAGAMENTI, LIBRI E SCRITTURE Sezione I Documento informatico Art. 20 Documento informatico 1. Il documento informatico da chiunque formato, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se conformi alle disposizioni del presente codice ed alle regole tecniche di cui all’articolo 71. 2. Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale soddisfa il requisito legale della forma scritta se formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71 che garantiscano l’identificabilità dell’autore e l’integrità del documento. 3. Le regole tecniche per la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione temporale dei documenti informatici sono stabilite ai sensi dell’articolo 71; la data e l’ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale. 4. Con le medesime regole tecniche sono definite le misure tecniche, organizzative e gestionali volte a garantire l’integrità, la disponibilità e la riservatezza delle informazioni contenute nel documento informatico. 5. Restano ferme le disposizioni di legge in materia di protezione dei dati personali. Art. 21 Valore probatorio del documento informatico sottoscritto 1. Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza. 2. Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civi- le. L’utilizzo del dipositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria. 3. L’apposizione ad un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate. 4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche se la firma elettronica è basata su un certificato qualificato rilasciato da un certificatore stabilito in uno Stato non facente parte dell’Unione europea, quando ricorre una delle seguenti condizioni: a) il certificatore possiede i requisiti di cui alla direttiva 1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 1999, ed è accreditato in uno Stato membro; b) il certificato qualificato è garantito da un certificatore stabilito nella Unione europea, in possesso dei requisiti di cui alla medesima direttiva; c) il certificato qualificato, o il certificatore, è riconosciuto in forza di un accordo bilaterale o multilaterale tra l’Unione europea e Paesi terzi o organizzazioni internazionali. 5. Gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalità definite con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro delegato per l’innovazione e le tecnologie. Art. 22 Documenti informatici delle pubbliche amministrazioni 1. Gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti informatici delle pubbliche amministrazioni costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge. 2. Nelle operazioni riguardanti le attività di produzione, immissione, conservazione, riproduzione e trasmissione di dati, documenti ed atti amministrativi con sistemi informatici e telematici, ivi compresa l’emanazione degli atti con i medesimi sistemi, devono essere indicati e resi facilmente individuabili sia i dati relativi alle amministrazioni interessate, sia il soggetto che ha effettuato l’operazione. I CONTRATTI N. 8-9/2005 807 NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE 3. Le copie su supporto informatico di documenti formati in origine su altro tipo di supporto sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono tratte, se la loro conformità all’originale è assicurata dal funzionario a ciò delegato nell’ambito dell’ordinamento proprio dell’amministrazione di appartenenza, mediante l’utilizzo della firma digitale e nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. 4. Le regole tecniche in materia di formazione e conservazione di documenti informatici delle pubbliche amministrazioni sono definite ai sensi dell’articolo 71, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, nonché d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Art. 23 Copie di atti e documenti informatici 1. All’articolo 2712 del Codice civile dopo le parole: «riproduzioni fotografiche» è inserita la seguente: «informatiche». 2. I duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, sono validi a tutti gli effetti di legge, se conformi alle vigenti regole tecniche. 3. I documenti informatici contenenti copia o riproduzione di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del Codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata. 4. Le copie su supporto informatico di documenti originali non unici formati in origine su supporto cartaceo o, comunque, non informatico sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è assicurata dal responsabile della conservazione mediante l’utilizzo della propria firma digitale e nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71. 5. Le copie su supporto informatico di documenti, originali unici, formati in origine su supporto cartaceo o, comunque, non informatico sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. 6. La spedizione o il rilascio di copie di atti e documenti di cui al comma 3, esonera dalla produzione e dalla esibizione dell’originale formato su supporto cartaceo quando richieste ad ogni effetto di legge. 7. Gli obblighi di conservazione e di esibizione di documenti previsti dalla legislazione vigente si intendono soddisfatti a tutti gli effetti di legge a mezzo di documen- 808 I CONTRATTI N. 8-9/2005 ti informatici, se le procedure utilizzate sono conformi alle regole tecniche dettate ai sensi dell’articolo 71 di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Sezione II FIRME ELETTRONICHE E CERTIFICATORI Art. 24 Firma digitale 1. La firma digitale deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme di documenti cui è apposta o associata. 2. L’apposizione di firma digitale integra e sostituisce l’apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente. 3. Per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso. 4. Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71, la validità del certificato stesso, nonché gli elementi identificativi del titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d’uso. Art. 25 Firma autenticata 1. Si ha per riconosciuta, ai sensi dell’articolo 2703 del Codice civile, la firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. 2. L’autenticazione della firma digitale o di altro tipo di firma elettronica qualificata consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità del certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l’ordinamento giuridico. 3. L’apposizione della firma digitale o di altro tipo di firma elettronica qualificata da parte del pubblico ufficiale ha l’efficacia di cui all’articolo 24, comma 2. 4. Se al documento informatico autenticato deve essere allegato altro documento formato in originale su altro tipo di supporto, il pubblico ufficiale può allegare copia informatica autenticata dell’originale, secondo le disposizioni dell’articolo 23, comma 5. Art. 26 Certificatori 1. L’attività dei certificatori stabiliti in Italia o in un altro Stato membro dell’Unione europea è libera e non necessita di autorizzazione preventiva. Detti certificatori o, se persone giuridiche, i loro legali rappresentanti ed i soggetti preposti all’amministrazione, devono possedere i requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE controllo presso le banche di cui all’articolo 26 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2. L’accertamento successivo dell’assenza o del venir meno dei requisiti di cui al comma 1 comporta il divieto di prosecuzione dell’attività intrapresa. 3. Ai certificatori qualificati e ai certificatori accreditati che hanno sede stabile in altri Stati membri dell’Unione europea non si applicano le norme del presente codice e le relative norme tecniche di cui all’articolo 71 e si applicano le rispettive norme di recepimento della direttiva 1999/93/CE. Art. 27 Certificatori qualificati 1. I certificatori che rilasciano al pubblico certificati qualificati devono trovarsi nelle condizioni previste dall’articolo 26. 2. I certificatori di cui al comma 1, devono inoltre: a) dimostrare l’affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria necessaria per svolgere attività di certificazione; b) utilizzare personale dotato delle conoscenze specifiche, dell’esperienza e delle competenze necessarie per i servizi forniti, in particolare della competenza a livello gestionale, della conoscenza specifica nel settore della tecnologia delle firme elettroniche e della dimestichezza con procedure di sicurezza appropriate e che sia in grado di rispettare le norme del presente codice e le regole tecniche di cui all’articolo 71; c) applicare procedure e metodi amministrativi e di gestione adeguati e conformi a tecniche consolidate; d) utilizzare sistemi affidabili e prodotti di firma protetti da alterazioni e che garantiscano la sicurezza tecnica e crittografica dei procedimenti, in conformità a criteri di sicurezza riconosciuti in ambito europeo e internazionale e certificati ai sensi dello schema nazionale di cui all’articolo 35, comma 5; e) adottare adeguate misure contro la contraffazione dei certificati, idonee anche a garantire la riservatezza, l’integrità e la sicurezza nella generazione delle chiavi private nei casi in cui il certificatore generi tali chiavi. 3. I certificatori di cui al comma 1, devono comunicare, prima dell’inizio dell’attività, anche in via telematica, una dichiarazione di inizio di attività al CNIPA, attestante l’esistenza dei presupposti e dei requisiti previsti dal presente codice. 4. Il CNIPA procede, d’ufficio o su segnalazione motivata di soggetti pubblici o privati, a controlli volti ad accertare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti dal presente codice e dispone, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all’interessato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa. Art. 28 Certificati qualificati 1. I certificati qualificati devono contenere almeno le seguenti informazioni: a) indicazione che il certificato elettronico rilasciato è un certificato qualificato; b) numero di serie o altro codice identificativo del certificato; c) nome, ragione o denominazione sociale del certificatore che ha rilasciato il certificato e lo Stato nel quale è stabilito; d) nome, cognome o uno pseudonimo chiaramente identificato come tale e codice fiscale del titolare del certificato; e) dati per la verifica della firma, cioè i dati peculiari, come codici o chiavi crittografiche pubbliche, utilizzati per verificare la firma elettronica corrispondenti ai dati per la creazione della stessa in possesso del titolare; f) indicazione del termine iniziale e finale del periodo di validità del certificato; g) firma elettronica qualificata del certificatore che ha rilasciato il certificato. 2. In aggiunta alle informazioni di cui al comma 1, fatta salva la possibilità di utilizzare uno pseudonimo, per i titolari residenti all’estero cui non risulti attribuito il codice fiscale, si deve indicare il codice fiscale rilasciato dall’autorità fiscale del Paese di residenza o, in mancanza, un analogo codice identificativo, quale ad esempio un codice di sicurezza sociale o un codice identificativo generale. 3. Il certificato qualificato contiene, ove richiesto dal titolare o dal terzo interessato, le seguenti informazioni, se pertinenti allo scopo per il quale il certificato è richiesto: a) le qualifiche specifiche del titolare, quali l’appartenenza ad ordini o collegi professionali, l’iscrizione ad albi o il possesso di altre abilitazioni professionali, nonché poteri di rappresentanza; b) limiti d’uso del certificato, ai sensi dell’articolo 30, comma 3; c) limiti del valore degli atti unilaterali e dei contratti per i quali il certificato può essere usato, ove applicabili. 4. Il titolare, ovvero il terzo interessato se richiedente ai sensi del comma 3, comunicano tempestivamente al certificatore il modificarsi o venir meno delle circostanze oggetto delle informazioni di cui al presente articolo. Art. 29 Accreditamento 1. I certificatori che intendono conseguire il riconoscimento del possesso dei requisiti del livello più elevato, in termini di qualità e di sicurezza, chiedono di essere accreditati presso il CNIPA. 2. Il richiedente deve rispondere ai requisiti di cui all’articolo 27, ed allegare alla domanda oltre ai documenti indicati nel medesimo articolo il profilo professionale del personale responsabile della generazione dei dati per la creazione e per la verifica della firma, della emissione I CONTRATTI N. 8-9/2005 809 NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE dei certificati e della gestione del registro dei certificati nonché l’impegno al rispetto delle regole tecniche. 3. Il richiedente, se soggetto privato, in aggiunta a quanto previsto dal comma 2, deve inoltre: a) avere forma giuridica di società di capitali e un capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini dell’autorizzazione alla attività bancaria ai sensi dell’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385; b) garantire il possesso, oltre che da parte dei rappresentanti legali, anche da parte dei soggetti preposti alla amministrazione e dei componenti degli organi preposti al controllo, dei requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche ai sensi dell’articolo 26 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. 4. La domanda di accreditamento si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro novanta giorni dalla data di presentazione della stessa. 5. Il termine di cui al comma 4, può essere sospeso una sola volta entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità del CNIPA o che questo non possa acquisire autonomamente. In tale caso, il termine riprende a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa. 6. A seguito dell’accoglimento della domanda, il CNIPA dispone l’iscrizione del richiedente in un apposito elenco pubblico, tenuto dal CNIPA stesso e consultabile anche in via telematica, ai fini dell’applicazione della disciplina in questione. 7. Il certificatore accreditato può qualificarsi come tale nei rapporti commerciali e con le pubbliche amministrazioni. 8. Sono equiparati ai certificatori accreditati ai sensi del presente articolo i certificatori accreditati in altri Stati membri dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 1999/93/CE. 9. Alle attività previste dal presente articolo si fa fronte nell’ambito delle risorse del CNIPA, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Art. 30 Responsabilità del certificatore 1. Il certificatore che rilascia al pubblico un certificato qualificato o che garantisce al pubblico l’affidabilità del certificato è responsabile, se non prova d’aver agito senza colpa o dolo, del danno cagionato a chi abbia fatto ragionevole affidamento: a) sull’esattezza e sulla completezza delle informazioni necessarie alla verifica della firma in esso contenute alla data del rilascio e sulla loro completezza rispetto ai requisiti fissati per i certificati qualificati; b) sulla garanzia che al momento del rilascio del certifi- 810 I CONTRATTI N. 8-9/2005 cato il firmatario detenesse i dati per la creazione della firma corrispondenti ai dati per la verifica della firma riportati o identificati nel certificato; c) sulla garanzia che i dati per la creazione e per la verifica della firma possano essere usati in modo complementare, nei casi in cui il certificatore generi entrambi; d) sull’adempimento degli obblighi a suo carico previsti dall’articolo 32. 2. Il certificatore che rilascia al pubblico un certificato qualificato è responsabile, nei confronti dei terzi che facciano affidamento sul certificato stesso, dei danni provocati per effetto della mancata o non tempestiva registrazione della revoca o non tempestiva sospensione del certificato, secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71, salvo che provi d’aver agito senza colpa. 3. Il certificato qualificato può contenere limiti d’uso ovvero un valore limite per i negozi per i quali può essere usato il certificato stesso, purché i limiti d’uso o il valore limite siano riconoscibili da parte dei terzi e siano chiaramente evidenziati nel processo di verifica della firma secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71. Il certificatore non è responsabile dei danni derivanti dall’uso di un certificato qualificato che ecceda i limiti posti dallo stesso o derivanti dal superamento del valore limite. Art. 31 Vigilanza sull’attività di certificazione 1. Il CNIPA svolge funzioni di vigilanza e controllo sull’attività dei certificatori qualificati e accreditati. Art. 32 Obblighi del titolare e del certificatore 1. Il titolare del certificato di firma è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri ed a custodire e utilizzare il dispositivo di firma con la diligenza del buon padre di famiglia. 2. Il certificatore è tenuto ad adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno ad altri, ivi incluso il titolare del certificato. 3. Il certificatore che rilascia, ai sensi dell’articolo 19, certificati qualificati deve inoltre: a) provvedere con certezza alla identificazione della persona che fa richiesta della certificazione; b) rilasciare e rendere pubblico il certificato elettronico nei modi o nei casi stabiliti dalle regole tecniche di cui all’articolo 71, nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni; c) specificare, nel certificato qualificato su richiesta dell’istante, e con il consenso del terzo interessato, i poteri di rappresentanza o altri titoli relativi all’attività professionale o a cariche rivestite, previa verifica della documentazione presentata dal richiedente che attesta la sussistenza degli stessi; d) attenersi alle regole tecniche di cui all’articolo 71; e) informare i richiedenti in modo compiuto e chiaro, sulla procedura di certificazione e sui necessari requisiti NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE tecnici per accedervi e sulle caratteristiche e sulle limitazioni d’uso delle firme emesse sulla base del servizio di certificazione; f) non rendersi depositario di dati per la creazione della firma del titolare; g) procedere alla tempestiva pubblicazione della revoca e della sospensione del certificato elettronico in caso di richiesta da parte del titolare o del terzo dal quale derivino i poteri del titolare medesimo, di perdita del possesso o della compromissione del dispositivo di firma, di provvedimento dell’autorità, di acquisizione della conoscenza di cause limitative della capacità del titolare, di sospetti abusi o falsificazioni, secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71; h) garantire un servizio di revoca e sospensione dei certificati elettronici sicuro e tempestivo nonché garantire il funzionamento efficiente, puntuale e sicuro degli elenchi dei certificati di firma emessi, sospesi e revocati; i) assicurare la precisa determinazione della data e dell’ora di rilascio, di revoca e di sospensione dei certificati elettronici; j) tenere registrazione, anche elettronica, di tutte le informazioni relative al certificato qualificato dal momento della sua emissione almeno per dieci anni anche al fine di fornire prova della certificazione in eventuali procedimenti giudiziari; k) non copiare, né conservare, le chiavi private di firma del soggetto cui il certificatore ha fornito il servizio di certificazione; l) predisporre su mezzi di comunicazione durevoli tutte le informazioni utili ai soggetti che richiedono il servizio di certificazione, tra cui in particolare gli esatti termini e condizioni relative all’uso del certificato, compresa ogni limitazione dell’uso, l’esistenza di un sistema di accreditamento facoltativo e le procedure di reclamo e di risoluzione delle controversie; dette informazioni, che possono essere trasmesse elettronicamente, devono essere scritte in linguaggio chiaro ed essere fornite prima dell’accordo tra il richiedente il servizio ed il certificatore; m) utilizzare sistemi affidabili per la gestione del registro dei certificati con modalità tali da garantire che soltanto le persone autorizzate possano effettuare inserimenti e modifiche, che l’autenticità delle informazioni sia verificabile, che i certificati siano accessibili alla consultazione del pubblico soltanto nei casi consentiti dal titolare del certificato e che l’operatore possa rendersi conto di qualsiasi evento che comprometta i requisiti di sicurezza. Su richiesta, elementi pertinenti delle informazioni possono essere resi accessibili a terzi che facciano affidamento sul certificato. 4. Il certificatore è responsabile dell’identificazione del soggetto che richiede il certificato qualificato di firma anche se tale attività è delegata a terzi. 5. Il certificatore raccoglie i dati personali solo direttamente dalla persona cui si riferiscono o previo suo esplicito consenso, e soltanto nella misura necessaria al rilascio e al mantenimento del certificato, fornendo l’infor- mativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. I dati non possono essere raccolti o elaborati per fini diversi senza l’espresso consenso della persona cui si riferiscono. Art. 33 Uso di pseudonimi 1. In luogo del nome del titolare il certificatore può riportare sul certificato elettronico uno pseudonimo, qualificandolo come tale. Se il certificato è qualificato, il certificatore ha l’obbligo di conservare le informazioni relative alla reale identità del titolare per almeno dieci anni dopo la scadenza del certificato stesso. Art. 34 Norme particolari per le pubbliche amministrazioni e per altri soggetti qualificati 1. Ai fini della sottoscrizione, ove prevista, di documenti informatici di rilevanza esterna, le pubbliche amministrazioni: a) possono svolgere direttamente l’attività di rilascio dei certificati qualificati avendo a tale fine l’obbligo di accreditarsi ai sensi dell’articolo 29; tale attività può essere svolta esclusivamente nei confronti dei propri organi ed uffici, nonché di categorie di terzi, pubblici o privati. I certificati qualificati rilasciati in favore di categorie di terzi possono essere utilizzati soltanto nei rapporti con l’Amministrazione certificante, al di fuori dei quali sono privi di ogni effetto; con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e per l’innovazione e le tecnologie e dei Ministri interessati, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le categorie di terzi e le caratteristiche dei certificati qualificati; b) possono rivolgersi a certificatori accreditati, secondo la vigente normativa in materia di contratti pubblici. 2. Per la formazione, gestione e sottoscrizione di documenti informatici aventi rilevanza esclusivamente interna ciascuna amministrazione può adottare, nella propria autonomia organizzativa, regole diverse da quelle contenute nelle regole tecniche di cui all’articolo 72. 3. Le regole tecniche concernenti la qualifica di pubblico ufficiale, l’appartenenza ad ordini o collegi professionali, l’iscrizione ad albi o il possesso di altre abilitazioni sono emanate con decreti di cui all’articolo 71 di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro della giustizia e con gli altri Ministri di volta in volta interessati, sulla base dei principi generali stabiliti dai rispettivi ordinamenti. 4. Nelle more della definizione delle specifiche norme tecniche di cui al comma 3, si applicano le norme tecniche vigenti in materia di firme digitali. 5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice le pubbliche amministrazioni devono dotarsi di idonee procedure informatiche e strumenti software per la verifica delle firme digitali secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71. I CONTRATTI N. 8-9/2005 811 NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE Art. 35 Dispositivi sicuri e procedure per la generazione della firma 1. I dispositivi sicuri e le procedure utilizzate per la generazione delle firme devono presentare requisiti di sicurezza tali da garantire che la chiave privata: a) sia riservata; b) non possa essere derivata e che la relativa firma sia protetta da contraffazioni; c) possa essere sufficientemente protetta dal titolare dall’uso da parte di terzi. 2. I dispositivi sicuri e le procedure di cui al comma 1 devono garantire l’integrità dei documenti informatici a cui la firma si riferisce. I documenti informatici devono essere presentati al titolare, prima dell’apposizione della firma, chiaramente e senza ambiguità, e si deve richiedere conferma della volontà di generare la firma secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 71. 3. Il secondo periodo del comma 2 non si applica alle firme apposte con procedura automatica. L’apposizione di firme con procedura automatica è valida se l’attivazione della procedura medesima è chiaramente riconducibile alla volontà del titolare e lo stesso renda palese la sua adozione in relazione al singolo documento firmato automaticamente. 4. I dispositivi sicuri di firma sono sottoposti alla valutazione e certificazione di sicurezza ai sensi dello schema nazionale per la valutazione e certificazione di sicurezza nel settore della tecnologia dell’informazione di cui al comma 5. 5. La conformità dei requisiti di sicurezza dei dispositivi per la creazione di una firma qualificata prescritti dall’allegato III della direttiva 1999/93/CE è accertata, in Italia, in base allo schema nazionale per la valutazione e certificazione di sicurezza nel settore della tecnologia dell’informazione, fissato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o, per sua delega, del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri delle comunicazioni, delle attività produttive e dell’economia e delle finanze. Lo schema nazionale la cui attuazione non deve determinare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato ed individua l’organismo pubblico incaricato di accreditare i centri di valutazione e di certificare le valutazioni di sicurezza. Lo schema nazionale può prevedere altresì la valutazione e la certificazione relativamente ad ulteriori criteri europei ed internazionali, anche riguardanti altri sistemi e prodotti afferenti al settore suddetto. 6. La conformità ai requisiti di sicurezza dei dispositivi sicuri per la creazione di una firma qualificata a quanto prescritto dall’allegato III della direttiva 1999/93/CE è inoltre riconosciuta se certificata da un organismo all’uopo designato da un altro Stato membro e notificato ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera b), della direttiva stessa. 812 I CONTRATTI N. 8-9/2005 Art. 36 Revoca e sospensione dei certificati qualificati 1. Il certificato qualificato deve essere a cura del certificatore: a) revocato in caso di cessazione dell’attività del certificatore salvo quanto previsto dal comma 2; b) revocato o sospeso in esecuzione di un provvedimento dell’autorità; c) revocato o sospeso a seguito di richiesta del titolare o del terzo dal quale derivano i poteri del titolare, secondo le modalità previste nel presente codice; d) revocato o sospeso in presenza di cause limitative della capacità del titolare o di abusi o falsificazioni. 2. Il certificato qualificato può, inoltre, essere revocato o sospeso nei casi previsti dalle regole tecniche di cui all’articolo 71. 3. La revoca o la sospensione del certificato qualificato, qualunque ne sia la causa, ha effetto dal momento della pubblicazione della lista che lo contiene. Il momento della pubblicazione deve essere attestato mediante adeguato riferimento temporale. 4. Le modalità di revoca o sospensione sono previste nelle regole tecniche di cui all’articolo 71. Art. 37 Cessazione dell’attività 1. Il certificatore qualificato o accreditato che intende cessare l’attività deve, almeno sessanta giorni prima della data di cessazione, darne avviso al CNIPA e informare senza indugio i titolari dei certificati da lui emessi specificando che tutti i certificati non scaduti al momento della cessazione saranno revocati. 2. Il certificatore di cui al comma 1 comunica contestualmente la rilevazione della documentazione da parte di altro certificatore o l’annullamento della stessa. L’indicazione di un certificatore sostitutivo evita la revoca di tutti i certificati non scaduti al momento della cessazione. 3. Il certificatore di cui al comma 1 indica altro depositario del registro dei certificati e della relativa documentazione. 4. Il CNIPA rende nota la data di cessazione dell’attività del certificatore accreditato tramite l’elenco di cui all’articolo 29, comma 6. Sezione III CONTRATTI, PAGAMENTI, LIBRI E SCRITTURE Art. 38 Pagamenti informatici 1. Il trasferimento in via telematica di fondi tra pubbliche amministrazioni e tra queste e soggetti privati è effettuato secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71 di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, della giustizia e dell’economia e delle finanze, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e la Banca d’Italia. NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE Art. 39 Libri e scritture 1. I libri, i repertori e le scritture, ivi compresi quelli previsti dalla legge sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili, di cui sia obbligatoria la tenuta possono essere formati e conservati su supporti informatici in conformità alle disposizioni del presente codice e secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. Capo III FORMAZIONE, GESTIONE E CONSERVAZIONE DEI DOCUMENTI INFORMATICI Art. 40 Formazione di documenti informatici 1. Le pubbliche amministrazioni che dispongono di idonee risorse tecnologiche formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le disposizioni di cui al presente codice e le regole tecniche di cui all’articolo 71. 2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, la redazione di documenti originali su supporto cartaceo, nonché la copia di documenti informatici sul medesimo supporto è consentita solo ove risulti necessaria e comunque nel rispetto del principio dell’economicità. 3. Con apposito regolamento, da emanarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla proposta dei Ministri delegati per la funzione pubblica, per l’innovazione e le tecnologie e del Ministro per i beni e le attività culturali, sono individuate le categorie di documenti amministrativi che possono essere redatti in originale anche su supporto cartaceo in relazione al particolare valore di testimonianza storica ed archivistica che sono idonei ad assumere. 4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con propri decreti, fissa la data dalla quale viene riconosciuto il valore legale degli albi, elenchi, pubblici registri ed ogni altra raccolta di dati concernenti stati, qualità personali e fatti già realizzati dalle amministrazioni, su supporto informatico, in luogo dei registri cartacei. Art. 41 Procedimento e fascicolo informatico 1. Le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei casi e nei modi previsti dalla normativa vigente. 2. La pubblica amministrazione titolare del procedimento può raccogliere in un fascicolo informatico gli atti, i documenti e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati; all’atto della comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 8 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di cui all’articolo 10 della citata Legge 7 agosto 1990, n. 241. 3. Ai sensi degli articoli da 14 a 14-quinquies della Legge 7 agosto 1990, n. 241, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza dei servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle amministrazioni medesime. Art. 42 Dematerializzazione dei documenti delle pubbliche amministrazioni 1. Le pubbliche amministrazioni valutano in termini di rapporto tra costi e benefici il recupero su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei dei quali sia obbligatoria o opportuna la conservazione e provvedono alla predisposizione dei conseguenti piani di sostituzione degli archivi cartacei con archivi informatici, nel rispetto delle regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 71. Art. 43 Riproduzione e conservazione dei documenti 1. I documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove riprodotti su supporti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione sia effettuata in modo da garantire la conformità dei documenti agli originali e la loro conservazione nel tempo, nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. 2. Restano validi i documenti degli archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o documento già conservati mediante riproduzione su supporto fotografico, su supporto ottico o con altro processo idoneo a garantire la conformità dei documenti agli originali. 3. I documenti informatici, di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, possono essere archiviati per le esigenze correnti anche con modalità cartacee e sono conservati in modo permanente con modalità digitali. 4. Sono fatti salvi i poteri di controllo del Ministero per i beni e le attività culturali sugli archivi delle pubbliche amministrazioni e sugli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico ai sensi delle disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Art. 44 Requisiti per la conservazione dei documenti informatici 1. Il sistema di conservazione dei documenti informatici garantisce: a) l’identificazione certa del soggetto che ha formato il documento e dell’amministrazione o dell’area organizzativa omogenea di riferimento di cui all’articolo 50, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; b) l’integrità del documento; c) la leggibilità e l’agevole reperibilità dei documenti e delle informazioni identificative, inclusi i dati di registrazione e di classificazione originari; I CONTRATTI N. 8-9/2005 813 NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE d) il rispetto delle misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dal disciplinare tecnico pubblicato in allegato B a tale decreto. Capo IV TRASMISSIONE INFORMATICA DEI DOCUMENTI Art. 45 Valore giuridico della trasmissione 1. I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale. 2. Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore. Art. 46 Dati particolari contenuti nei documenti trasmessi 1. Al fine di garantire la riservatezza dei dati sensibili o giudiziari di cui all’articolo 4, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i documenti informatici trasmessi ad altre pubbliche amministrazioni per via telematica possono contenere soltanto le informazioni relative a stati, fatti e qualità personali previste da legge o da regolamento e indispensabili per il perseguimento delle finalità per le quali sono acquisite. Art. 47 Trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni 1. Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono di norma mediante l’utilizzo della posta elettronica; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza. 2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se: a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata; b) ovvero sono dotate di protocollo informatizzato; c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all’articolo 71; d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. 3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice le pubbliche amministrazioni centrali provvedono a: 814 I CONTRATTI N. 8-9/2005 a) istituire almeno una casella di posta elettronica istituzionale ed una casella di posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, per ciascun registro di protocollo; b) utilizzare la posta elettronica per le comunicazioni tra l’amministrazione ed i propri dipendenti, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati. Art. 48 Posta elettronica certificata 1. La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. 2. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta. 3. La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche. Art. 49 Segretezza della corrispondenza trasmessa per via telematica 1. Gli addetti alle operazioni di trasmissione per via telematica di atti, dati e documenti formati con strumenti informatici non possono prendere cognizione della corrispondenza telematica, duplicare con qualsiasi mezzo o cedere a terzi a qualsiasi titolo informazioni anche in forma sintetica o per estratto sull’esistenza o sul contenuto di corrispondenza, comunicazioni o messaggi trasmessi per via telematica, salvo che si tratti di informazioni per loro natura o per espressa indicazione del mittente destinate ad essere rese pubbliche. 2. Agli effetti del presente codice, gli atti, i dati e i documenti trasmessi per via telematica si considerano, nei confronti del gestore del sistema di trasporto delle informazioni, di proprietà del mittente sino a che non sia avvenuta la consegna al destinatario. NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE IL COMMENTO di Francesco Delfini L’art. 10.1 della Legge di semplificazione 2001 (Legge 29 luglio 2003, n. 229) aveva conferito delega al Governo «per il coordinamento e il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di società dell’informazione (…) nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) graduare la rilevanza giuridica e l’efficacia probatoria dei diversi tipi di firma elettronica in relazione al tipo di utilizzo e al grado di sicurezza della firma; b) rivedere la disciplina vigente al fine precipuo di garantire la più ampia disponibilità di servizi resi per via telematica dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti pubblici e di assicurare ai cittadini e alle imprese l’accesso a tali servizi secondo il criterio della massima semplificazione degli strumenti e delle procedure necessari e nel rispetto dei principi di eguaglianza, non discriminazione e della normativa sulla riservatezza dei dati personali; c) prevedere la possibilità di attribuire al dato e al documento informatico contenuto nei sistemi informativi pubblici i caratteri della primarietà e originalità, in sostituzione o in aggiunta a dati e documenti non informatici, nonché obbligare le amministrazioni che li detengono ad adottare misure organizzative e tecniche volte ad assicurare l’esattezza, la sicurezza e la qualità del relativo contenuto informativo; d) realizzare il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare o semplificare il linguaggio normativo; e) adeguare la normativa alle disposizioni comunitarie». Di tali criteri direttivi quelli contenuti nelle lett. b) c) mostrano finalità precipuamente pubblicistiche, mentre quello di cui alla lett. a) incide su aspetti rilevanti del diritto privato dell’informatica, quali la disciplina sostanziale e probatoria del documento informatico. La commistione di materie pubblicistiche e privatistiche nella delega era poi resa evidente dal secondo comma del medesimo art. 10, secondo cui: «La delega di cui al comma 1 è esercitata per i seguenti oggetti: a) il documento informatico, la firma elettronica e la firma digitale; b) i procedimenti amministrativi informatici di competenza delle amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo; c) la gestione dei documenti informatici; d) la sicurezza informatica dei dati e dei sistemi; e) le modalità di accesso informatico ai documenti e alle banche dati di competenza delle amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo». La lett. a) fa infatti riferimento ad un tema, quello del documento informatico, oggetto, sin dal 1997, di plurimi interventi normativi caratterizzati dall’incidere anche sul diritto privato (dell’informatica) pur in occasione di intendimenti di razionalizzazione del diritto pubblico: e così la Legge n. 59/1997 c.d. «Bassanini» di riforma della Pubblica Amministrazione e di semplificazione amministra- tiva, attuata con D.P.R. n. 513/1997, seguita poi dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (TUDA) ancora in vigore ed oggi dal D. Lgs. n. 82/2005 qui in commento che, con effetto dal 1° gennaio del 2006 (art. 76), abrogherà (1) la parte centrale del TUDA medesimo, relativa alla disciplina, appunto, del documento informatico. Diamo qui dunque sinteticamente conto del contenuto privatistico del D.Lgs. n. 82/2005, frutto dell’esercizio, da parte del governo, della delega contenuta nell’art. 10 della Legge n. 229/2003 cit. e recante il «Codice dell’amministrazione digitale», i cui artt. 20 - 49 del Codice sono applicabili anche ai privati, ex art. 2.3 dello stesso. Anzitutto l’art. 1.1. del D.Lgs. n. 82/2005 contiene le definizioni normative rilevanti, riproducendo quella assai ampia di documento informatico (lett. p: la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti) e la tripartizione delle tipologie di firma: «q) firma elettronica: l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica; r) firma elettronica qualificata: la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca autenticazione informatica, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati, che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma, quale l’apparato strumentale usato per la creazione della firma elettronica; s) firma digitale: un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici (…)». Tra le norme applicabili anche nei rapporti tra i privati spiccano quelle relative alla disciplina del valore sostanziale e probatorio del documento informatico (artt. 20 - 21), sia per la centralità del tema, sia per la novità del dettato rispetto all’attuale art. 10 TUDA. Nota: (1) L’art. 75.1, lett. a -b), del D.Lgs. n. 82/2005 dispone infatti l’abrogazione dell’intero D.Lgs. n. 10/2002 e degli artt. 1, primo comma, lett. t), u), v), z), aa), bb), cc), dd), ee), ff), gg), hh), ii), ll), mm), nn), oo); 2, primo comma, ultimo periodo, 6; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 17; 20; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 27-bis; 28; 28-bis; 29; 29-bis; 29-ter; 29-quater; 29-quinquies; 29sexies; 29-septies; 29-octies; 36, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma; 51; del D.P.R. n. 445/2000. I CONTRATTI N. 8-9/2005 815 NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE Il secondo comma di quest’ultimo, come sostituito dall’art. 6 D.Lgs. n. 10/2002, dispone infatti che: «Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta. Sul piano probatorio il documento stesso è liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza». A differenza di tale norma, ove l’equipollenza con la forma scritta è predicata quanto al documento informatico munito di semplice firma elettronica, il nuovo l’art. 20, secondo comma, D.Lgs. n. 82 prevede che tale requisito formale sia soddisfatto esclusivamente da un documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o firma digitale, precisando che il documento dovrà essere formato nel rispetto di regole tecniche (2) che garantiscano l’identificabilità dell’autore e l’integrità del documento. La nuova formulazione della norma supera le difficoltà interpretative che la attuale formulazione del TUDA ha posto, allorché assegna valore di forma scritta al documento informatico munito di firma elettronica (non avanzata o qualificata) ma non attribuisce al medesimo l’efficacia probatoria della scrittura privata (3). Per tale tipologia di documento informatico (cui è apposta una semplice forma elettronica) resta confermato dall’art. 21, primo comma, del nuovo Codice il principio della libera valutazione probatoria da parte del giudice tenendo conto delle caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza del medesimo. Il secondo comma dello stesso art. 21 modifica invece radicalmente la attuale formulazione dell’art. 10, terzo comma, del TUDA in ordine all’efficacia probatoria del documento informatico munito di firma digitale o di firma elettronica qualificata. Torna infatti l’esplicito rinvio alla efficacia probatoria prevista dall’art. 2702 Codice civile, che era presente nel D.P.R. n. 513/1997 (art. 5) ed era stato eliminato nel TUDA. E poiché si deve supporre un legislatore consapevole del dibattito dottrinale sul tema (4), ritengo che la reintroduzione dell’inciso di rinvio all’art. 2702 Codice civile valga ad indicare che il documento informatico in questione è «ripudiabile» (per usare un anglicismo ricorrente nel dibattito specialistico) senza più necessità di ricorso alla querela di falso. Quanto alle modalità di codesta repudiation, mi pare che esse vadano ricostruite sulla scorta della seconda parte dell’art. 21.2 in esame e dell’art. 215 Codice di procedura civile. La novella introduce infatti una presunzione (relativa) all’art. 21.2, disponendo che l’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile titolare, salvo che sia data prova contraria. Per un verso, l’utilizzo di un concetto fattuale, quale quello della «riconducibilità», privo di un preciso significato normativo, sembra dover orientare l’interprete nel senso che il preteso autore del documento abbia l’onere di provare (senza necessità dell’esperimento della querela di falso) tutte quelle circostanze che valgano ad interrompere il nesso di imputazione normativa tra sé mede- 816 I CONTRATTI N. 8-9/2005 simo ed il documento, nesso che riposa sull’obbligo di diligente custodia di dati segreti e di dispositivi personali (il dispositivo di firma e dunque anche i relativi codici privati, di accesso e di cifra), ribadito dall’art. 32. Per altro verso, ritengo che il rinvio all’art. 2702 Codice civile consenta di trarre dalla disciplina processualistica, implicitamente presupposta dal codice civile, indicazioni in ordine ai tempi di tale prova contraria. Per effetto della presunzione di «riconducibilità» come testè introdotta non pare infatti esperibile il semplice «disconoscimento» di cui all’art. 214 Codice di procedura civile, perché la presunzione in questione imporrà, al titolare delle chiavi di firma impiegate, una circostanziata prova positiva delle interruzioni del nesso di imputazione normativa del documento informatico. Tuttavia, in difetto di norme ad hoc, dovrà guardarsi all’art. 215 Codice di procedura civile per la disciplina dei termini per il superamento della presunzione iuris tantum: e così, ritengo che quantomeno l’allargamento del thema probandum - e cioè quantomeno la allegazione delle circostanze volte a sovvertire la presunzione - debba avvenire nel rispetto dell’art. 215, n. 2 Codice di procedura civile e cioè «nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione» del documento informatico. Infine, quanto alla necessità di proporre la querela di falso, la nuova disciplina introdotta con il Codice pone rimedio alle perplessità condivisibilmente sollevate in dottrina di fronte al vigente testo del TUDA (5). Infatti esso (art. 10.3) attualmente impone di reagire con la querela sia a fronte di un documento informatico con firma digitale non autenticata o elettronica Note: (2) Regole tecniche che saranno emanate con decreti del Presidente del consiglio dei ministri o del Ministro delegato, secondo il procedimento di cui all’art. 71 che prevede comunque la persistente vigenza delle regole tecniche attuali - D.P.C.M. 13 gennaio 2004 - sino alla loro futura sostituzione. (3) Sul punto, Delfini, Il commercio elettronico, in Tratt. dir. economia Piccozza - Gabrielli, Padova, 2004, 104 ss.; Finocchiaro, Documento informatico, firma digitale e forme elettroniche, in Rossello - Finocchiaro - Tosi, Commercio elettronico documento informatico e firma digitale, La nuova disciplina, Torino, 2003, 546. (4) Sotto il vigore del D.P.R. n. 513/1997 erano state sostenute sia la tesi della esperibilità del disconoscimento di cui all’art. 214 Codice di procedura civile avverso il documento informatico sottoscritto con firma digitale (Patti, L’efficacia probatoria del documento informatico, in Riv. dir. civ., 1998, II, 173) sia, con articolate argomentazioni, quella della impraticabilità di tale disconoscimento (Gentili, Documento informatico e tutela dell’affidamento, in Riv. dir. civ., 1998, II, 172 ss.; Moscarini, in AA.VV., Formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a cura di C.M. Bianca, in Nuove leggi civ. comm., 2000, 681; Finocchiaro, La firma digitale, in Comm. Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 2000, 66 ss.; Graziosi, Premesse ad una teoria probatoria del documento informatico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 481 ss. 512 ss.; Clarizia, I contratti su Internet, in Scritti in memoria di Mario Buoncristiano, Napoli, 2002, I, 141). (5) Graziosi, Il documento informatico e la sua efficacia probatoria, in Rossello - Finocchiaro - Tosi, Commercio elettronico documento informatico e firma digitale, La nuova disciplina, Torino, 2003, 567 ss. NORMATIVA•AMMINISTRAZIONE DIGITALE «avanzata» (qualificata), sia a fronte di un documento informatico con firma digitale autenticata, lasciando dunque dubbi sulla diversità di portata dei due giudizi di falso e imponendo sforzi interpretativi per mantenere giustificazione e significato pratico alla possibile autenticazione della firma digitale da parte del notaio (art. 24 TUDA) (6). La disciplina recata dal nuovo Codice ripristina invece una opportuna graduazione per la repudiation dell’apparente autore del documento: presunzione iuris tantum di «riconducibilità» ex art. 21.2 per il documento informatico con firma digitale o elettronica qualificata, sovvertibile con prova contraria; piena prova ex artt. 2702 e 2703 Codice civile e 25 D.Lgs. n. 82/2005 sino a querela di falso, per il documento informatico munito di firma digitale (o di altro tipo di firma elettronica qualificata) autenticata. Nota: (6) Graziosi, Il documento informatico e la sua efficacia probatoria, in Rossello - Finocchiaro - Tosi, Commercio elettronico documento informatico e firma digitale, La nuova disciplina, Torino, 2003, 570; va tuttavia segnalato che pur nella attuale vigenza del TUDA la norma in tema di autenticazione della firma digitale mantiene pregnanza di significato sul piano sostanziale, dando riconoscimento, con il secondoi comma, a quel controllo di legalità ex art. 28 legge notarile che già la dottrina riconosceva connesso pur agli atti semplicemente autenticati (e non rogati) da notaio, nonché esplicita la necessità di un controllo notarile altresì sulla rispondenza alla volontà della parte del documento sottoscritto. I CONTRATTI N. 8-9/2005 817 CONTRATTI E FISCO•SINTESI Panorama fiscale A cura degli Avv.ti SARA ARMELLA e FRANCESCA BALZANI Studio Uckmar Fisco CONTRATTI STIPULATI DALLO STATO Agenzia delle entrate - Risoluzione 3 maggio 2005, n. 55 A seguito di un’istanza di interpello presentata da un ente pubblico nazionale in merito al trattamento fiscale applicabile a un contratto di abbonamento stipulato con una società per la fornitura del servizio di telefonia mobile, l’Agenzia delle entrate, con risoluzione 3 maggio 2005, n. 55 (in www.agenziaentrate.it), ha confermato che lo Stato non deve corrispondere la tassa sulle concessioni governative e, in particolare, quella prevista dall’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, per il rilascio della licenza (nello stesso senso, in precedenza, risoluzione 15 maggio 2003, n. 107). Ciò in quanto lo Stato è titolare di ogni diritto o facoltà e dunque non ha bisogno di rimuovere limiti per il libero esercizio degli stessi, a differenza di altri soggetti che, per l’esercizio di determinate attività, necessitano invece di apposite autorizzazioni (licenze). Nell’affermare quanto sopra, in particolare, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che il principio non opera per tutte le amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, ossia per quelle non riconducibili allo Stato titolare di ogni diritto e facoltà che, dunque, restano escluse dal regime di favore sopra delineato. Imposta di bollo BOLLI E CONCESSIONI Decreto 24 maggio 2005 Dal 1° giugno 2005 sono in vigore nuovi importi fissi dell’imposta di bollo e delle tasse sulle concessioni governative (in forza del decreto 24 maggio 2005, emanato ai sensi della legge finanziaria per il 2005). L’importo fisso della c.d. «marca da bollo» passa da euro 11 a euro 14,62. Questo bollo si applica, in generale, a innumerevoli documenti: sia atti pubblici sia semplici scritture private, con le quali si creano, estinguono, accertano o documentano rapporti giuridici di ogni specie; istanze rivolte alla pubblica amministrazione (eccettuate quelle per pubblici concorsi o pubblico impiego), atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, pubblicazioni di matrimonio e certificati, dichiarazioni e attestati delle curie. L’aumento riguarda atti, documenti e registri formati dalla mezzanotte del 1° giugno 2005, compresi quelli formati (stipulati) prima di tale data, ma presentati ai pubblici uffici per l’adempimento delle relative formalità (ad esempio, ai fini della registrazione presso l’Agenzia delle Entrate) successivamente al 1° giugno. Inoltre, nel caso di un atto formato in originale prima del 1° giugno, con copie autentiche dello stesso formate successivamente a tale data, il nuovo importo di euro 14,62 andrà applicato solo a queste ultime. Sempre con riferimento all’imposta di bollo, il decreto 24 maggio 2005 ha fissato in euro 1,81 l’imposta dovuta per fatture, note e conti (per importi diversi da quelli assoggettati ad Iva), per estratti di conto, nonché lettere e altri documenti di addebitamento o accreditamento di somme (se di ammontare superiore a euro 77,47) e per ricevute, lettere e altri documenti commerciali (fino a euro 129, 11). Per questi ultimi atti, in particolare, l’imposta varia in base al relativo ammontare: 2,58 euro per ricevute, lettere e altri documenti commerciali di ammontare compreso tra 129,11 e 258,23 euro; 4,65 euro per quelli di ammontare compreso tra 258,23 e 516,46 euro e 6,80 euro per quelli di valore superiore a 516,46 euro. L’imposta di bollo poi, va corrisposta nella misura di euro 0,52 per i disegni e i modelli di geometri, ingegneri e architetti, nonché per i calcoli, le liquidazioni e gli altri lavori contabili. Infine, per quanto concerne la tassa sulle concessioni governative, sono stati modificati gli importi dovuti per il rilascio dei passaporti: per quello ordinario per l’estero la tassa è fissata in euro 40,29, mentre per quello collettivo essa è prevista nella misura di euro 2,58 per ogni componente il gruppo (esclusi i capi gruppo e i minori di anni 10). I CONTRATTI N. 8-9/2005 819 CONTRATTI E FISCO•SINTESI Imposte ipotecaria e catastale CONFERIMENTO DI IMMOBILI Agenzia delle entrate - Circolare 30 maggio 2005, n. 25 Con circolare 30 maggio 2005, n. 25 (in www.agenziaentrate.it), l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sulla determinazione della base imponibile, ai fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, per l’ipotesi di conferimento in società di immobile gravato da passività. Conformemente a quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex pluribus, Cass., sez. V, 3 luglio 2003, n. 10486, in Mass. giur. it., 2003, e Cass., sez. V, 25 ottobre 2002, n. 15046, in Giur. it., 2003, 812), l’Amministrazione finanziaria ha precisato che la base imponibile dell’imposta ipotecaria e catastale non ammette la deduzione di «passività» prevista ai fini dell’imposta di registro per il conferimento di immobile o di diritto reale immobiliare (ex art. 50, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Per l’applicazione delle imposte in questione, invero, la base imponibile va determinata ai sensi degli articoli 43 e 51 del Testo unico dell’imposta di registro, ossia facendo riferimento al valore venale in comune commercio del bene, al lordo delle eventuali passività. Più specificamente, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che mentre ai fini dell’imposta di registro la sottrazione delle «passività» dal valore attribuito ai beni immobili conferiti trova giustificazione nel venire in rilievo, in tale fattispecie, del valore dell’operazione economica di trasferimento, ai fini delle imposte in questione la previsione speciale di cui all’art. 50, D.P.R. n. 131 del 1986, non è applicabile poiché in tale ipotesi ciò che rileva è il valore intrinseco dell’immobile conferito. Per la determinazione della base imponibile delle imposte ipotecaria e catastale, quindi, si deve tener conto di tutte le componenti economiche rilevanti, ossia tali da influire, secondo i consueti criteri di estimo, sulla quantificazione del valore venale in comune commercio dell’immobile, senza che sia autorizzata alcuna indiscriminata deduzione di «passività» e ciò in deroga a quanto disposto dagli articoli 43 e 51 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Sviluppo economico NUOVI INCENTIVI ALLE IMPRESE D.L. 14 marzo 2005, n. 35 Al fine di incentivare lo sviluppo economico, il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, ha introdotto nuovi incentivi alle imprese e modificato notevolmente le forme agevolative già esistenti. L’art. 9 del decreto citato, in particolari, ha introdotto un credito d’imposta pari al cinquanta per cento delle spese sostenute per studi e consulenze inerenti alle operazioni di concentrazione, a favore delle imprese rientranti nella definizione comunitaria di «microimprese, piccole e medie imprese, di cui alla raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003». Il comma 1-bis del predetto articolo chiarisce che per concentrazione si intende: la costituzione di un’unica impresa per effetto dell’aggregazione di più imprese mediante fusione; l’incorporazione di una o più imprese da parte di altra impresa; la costituzione di aggregazioni su base contrattuale fra imprese che organizzano in comune attività imprenditoriali rilevanti; la costituzione di consorzi mediante i quali più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per lo svolgimento di fasi rilevanti delle rispettive imprese e, infine, quelle diverse ipotesi che favoriscono la crescita dimensionale delle imprese. Per poter beneficiare del contributo è necessario che l’ultimazione del processo di concentrazione avvenga nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del D.L. n. 35 del 2005 (17 marzo 2005) e i ventiquattro mesi successivi (17 marzo 2007); l’impresa risultante dal processo di concentrazione ovvero l’aggregazione fra le singole imprese, rientri nella definizione di piccola e media impresa di cui alla raccomandazione della Commissione europea citata; e, infine, che tutte le imprese che partecipano al «processo di concentrazione» abbiano esercitato attività omogenee nel periodo d’imposta precedente alla data in cui è ultimato il processo di concentrazione o aggregazione Il credito d’imposta non è rimborsabile, non è imponibile agli effetti delle imposte sui redditi, non rileva ai fini del calcolo del «pro rata» generale di deducibilità degli interessi passivi di cui all’art. 96 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, né concorre alla formazione del valore della produzione netta ai fini Irap, ma è utilizzabile esclusivamente in compensazione nel modello F24 (ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241) e solo successivamente all’intervenuta comunicazione di avvenuto riconoscimento del contributo (atto conclusivo della procedura avviata dall’impresa «concentrataria» mediante invio di apposita istanza al Centro operativo di Pescara nel rispetto delle modalità e dei termini previsti dal comma terzo dell’art. 9, decreto citato). 820 I CONTRATTI N. 8-9/2005 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO Il rapporto contrattuale tra gli arbitri e le parti nel diritto tedesco di VALERIO SANGIOVANNI L’Autore affronta il tema del rapporto contrattuale che lega gli arbitri e le parti, con particolare riferimento al diritto tedesco: in Germania, infatti, il tema è stato studiato in modo approfondito, nonostante al rapporto arbitri-contendenti non siano dedicate norme specifiche. Introduzione N el diritto tedesco (*) l’arbitro giudica di una controversia intercorrente tra altri due soggetti e, in questa sua funzione per così dire «istituzionale», è assoggettato a una serie di obblighi (1). Sarebbe tuttavia riduttivo ritenere che il ruolo del collegio arbitrale si limiti a ciò. Al contrario: l’arbitro si trova in una relazione contrattuale con i litiganti. Sotto questo profilo la materia rientra non tanto nel diritto processuale, quanto piuttosto in quello civile. Non è quindi un caso che il codice di procedura civile tedesco non si occupi del rapporto contrattuale arbitri-litiganti. Nella ZPO si trovano, per esempio, le norme sulla nomina degli arbitri (cfr. il § 1035 ZPO) (2). Nel codice di procedura civile tedesco si specifica inoltre che l’ufficio di arbitro termina con la cessazione del procedimento arbitrale (§ 1056, terzo comma, ZPO). Nulla si dice invece sul rapporto contrattuale tra l’organo giudicante e i litiganti. Le disposizioni che regolano questa relazione vanno cercate altrove, in un testo normativo a carattere sostanziale. Del resto un legislatore processuale è tenuto a regolare gli aspetti «procedimentali», mentre non ha interesse a curarsi dei profili di diritto materiale. Lo status di arbitro, nel senso dei diritti e dei doveri nei confronti dei litiganti, è materia separata. Normalmente il soggetto che vuole avviare il procedimento arbitrale prende dapprima informalmente contatto con la persona che reputa idonea a svolgere la funzione di arbitro, le illustra le caratteristiche essenziali della controversia e le chiede se è disponibile ad assumere l’incarico (3). Ottenuta la disponibilità, l’attore lo nomina. Dopodiché la nomina viene comunicata al convenuto con l’invito a nominare il proprio membro del collegio. I due arbitri così nominati procedono a nominare il presidente del collegio giudicante (oppure questi è nominato da un terzo, per esempio un’istituzione arbitrale). A questo punto l’organo è costituito. Qui scatta la seconda fase. Gli arbitri prendono contatto con i litiganti e sottopongono alla loro attenzione una proposta di «contratto tra arbitri e litiganti» (Schiedsrichtervertrag). I contendenti vengono pregati di accettare tale regolamentazione pattizia. Una volta che si è raggiunto l’accordo sul punto, il contratto viene controfirmato dai litiganti. Gli arbitri iniziano allora tutte quelle attività costituenti il procedimento arbitrale e che termineranno Note: (*) La terminologia giuridica tedesca fa ampio uso di acronimi. Al fine di facilitare la lettura si riportano, di seguito, quelli utilizzati nel presente scritto, con una traduzione in italiano o una breve spiegazione del significato tra parentesi: BB: Betriebsberater [rivista]; BGB: Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile); DRiG: Deutsches Richtergesetz (legge tedesca sui giudici); DZWir: Deutsche Zeitschrift für Wirtschaftsrecht [rivista]; JZ: Juristenzeitung [rivista]; KG: Kammergericht (Corte d’appello di Berlino); MDR: Monatsschrift für Deutsches Recht [rivista]; Rn: Randnummer (numero a margine); OLG: Oberlandesgericht (corte d’appello); RIW: Recht der Internationalen Wirtschaft [rivista]; SchiedsVZ: Zeitschrift für Schiedsverfahren [rivista]; StGB: Strafgesetzbuch (codice penale); TranspR: Transportrecht [rivista]; ZGR: Zeitschrift für Unternehmens- und Gesellschaftsrecht [rivista]; ZPO: Zivilprozessordnung (codice di procedura civile). (1) Sull’arbitrato in Germania, oltre ai lavori citati nel prosieguo, cfr. - in lingua italiana - D’Alessandro, Il giudizio di annullamento del lodo arbitrale nell’ordinamento tedesco dopo la riforma del 1998, in Riv. arb., 2001, 563 ss.; Giardina, Il procedimento arbitrale: diritto italiano e diritto tedesco, in Riv. arb., 1999, 393 ss.; Habscheid, Il nuovo diritto dell’arbitrato in Germania, in Riv. arb., 1998, 175 ss. (trad. di Briguglio); Maglio, La nuova disciplina dell’arbitrato in Germania, in Contratto e Impresa/Europa, 1998, 999 ss.; Sangiovanni, L’applicazione in Germania della Convenzione di New York sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, 41 ss. (cui sia consentito il rinvio); Walter, La nuova disciplina dell’arbitrato in Germania (una comparazione Germania-Svizzera-Italia), in Riv. dir. proc., 1999, 670 ss. Tra i contributi a carattere generale apparsi in Germania v. Berger, Das neue deutsche Schiedsverfahrensrecht, in DZWir, 1998, 45 ss.; Habscheid, Das neue Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in JZ, 1998, 445 ss.; Kronke, Internationales Schiedsverfahren nach der Reform, in RIW, 1998, 257 ss.; Labes/Lörcher, Das neue deutsche Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in MDR, 1997, 420 ss.; Osterthun, Das neue deutsche Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in TranspR, 1998, 177 ss.; Trittmann, Die Auswirkungen des Schiedsverfahrens-Neuregelungsgesetzes auf gesellschaftsrechtliche Streitigkeiten, in ZGR, 1999, 343 ss.; Winkler/Weinand, Deutsches internationales Schiedsverfahrensrecht, in BB, 1998, 597 ss. (2) In materia di nomina degli arbitri nell’ordinamento germanico sia consentito rinviare a Sangiovanni, La costituzione del tribunale arbitrale nel diritto tedesco, in Riv. arb., 2001, 590 ss. (3) Sulla prassi che precede la nomina degli arbitri, cfr. Lachmann, Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis, II ed., Köln, 2002, 559. I CONTRATTI N. 8-9/2005 827 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO con l’emissione del lodo (4). La nomina dell’arbitro va quindi tenuta distinta dal contratto arbitri-litiganti. La nomina è il lato per così dire «processualistico» del rapporto, mentre il contratto arbitri-litiganti ne costituisce il lato «privatistico». Nel diritto tedesco il rapporto che lega gli arbitri con i litiganti è di natura contrattuale. Si tratta di un contratto come tutti gli altri. Ne consegue che trovano applicazione le norme di carattere generale che disciplinano nell’ordinamento germanico gli strumenti contrattuali. Questo principio vale sia per la formazione del contratto sia per la sua esistenza «fisiologica» sia per le sue vicende «patologiche» sia, infine, per il suo venir meno. Il contenuto del rapporto contrattuale tra arbitri e litiganti (vale a dire gli obblighi che fanno capo ai contraenti) risulta dal documento scritto che è stato eventualmente predisposto. Altrimenti, e comunque in via d’integrazione, si applicano le norme contenute nel BGB sul contratto di servizio (Dienstvertrag; § 611 ss. BGB) oppure sul mandato (Auftrag; § 662 ss. BGB). Il rapporto arbitri-litiganti non configura un contratto tipico. Mentre il BGB regola, per esempio, la compravendita (§ 433 ss. (5)) e il mutuo (§ 488 ss.), non si trova nel codice civile tedesco (e nemmeno nella ZPO) la regolamentazione del tipo «contratto tra arbitri e litiganti». «Schiedsrichtervertrag» è solo un’espressione dottrinale per indicare il rapporto intercorrente tra tali soggetti. Esso non configura un contratto tipico. Per il sorgere della relazione contrattuale non sono richieste forme particolari (6). Il rapporto arbitri-litiganti non deve essere necessariamente sancito in un documento scritto. Nell’esempio fatto sopra, il contratto è scritto perché gli arbitri inviano una bozza ai litiganti i quali - eventualmente dopo una fase di negoziazione - la restituiscono sottoscritta per accettazione. Si tratta della soluzione migliore in termini di trasparenza, perché essa sancisce sin da principio il contenuto del rapporto tra gli attori del procedimento arbitrale ed evita discussioni che possono sfociare addirittura in liti. È facilmente immaginabile il disagio che si può instaurare tra arbitro e litiganti, per esempio, quando il primo teme che il proprio compenso non venga corrisposto. Per tacere dal fatto che il collegio arbitrale potrebbe essere indotto ad agire in una situazione di conflitto d’interessi. Si pensi al caso dell’arbitro che ritarda l’emissione del lodo perché vuole che prima gli sia pagato il compenso. È evidente che situazioni del genere rendono più difficile il conseguimento degli obiettivi istituzionali dell’arbitrato. Al fine di assicurare la massima imparzialità e indipendenza degli arbitri nonché uno svolgimento celere e regolare del procedimento arbitrale è sicuramente auspicabile, fin da principio, una regolamentazione accurata e trasparente della relazione intercorrente tra tutti i soggetti del processo. Un rapporto contrattuale arbitri-litiganti sussiste comunque anche quando non sia stato sottoscritto un apposito testo scritto. Sotto questo profilo il contratto arbitri-litiganti si differenzia dalla convenzione arbitrale (Schiedsvereinbarung), per la quale occorre necessaria- 828 I CONTRATTI N. 8-9/2005 mente la forma scritta (cfr. il § 1031 ZPO) (7). Un contratto arbitri-litiganti sorge per il solo fatto dell’accettazione dell’incarico, la quale può avere luogo anche per fatti concludenti. Ciò si verifica, per esempio, quando l’arbitro avvia il procedimento arbitrale. Una volta che la persona che ha ricevuto l’offerta dell’incarico accetta - esplicitamente o implicitamente - la proposta, il contratto arbitri-litiganti è concluso. Il rapporto tra «convenzione arbitrale» e «contratto arbitri-litiganti» I l contratto arbitri-litiganti va tenuto distinto dalla convenzione arbitrale. Ai sensi del § 1029, primo comma, ZPO la convenzione arbitrale è l’accordo delle parti di rimettere a un tribunale arbitrale la decisione di tutte le o di alcune delle controversie insorte o che insorgeranno in futuro tra di esse relativamente a un certo rapporto giuridico di natura contrattuale o extracontrattuale. La convenzione arbitrale è la scelta preliminare delle parti del rapporto giuridico sostanziale sottostante di rimettere in arbitrato la soluzione di liti. Una volta accordatisi in questo senso, i litiganti procedono alla nomina degli arbitri. Tra arbitri e contendenti sorge infine un diverso rapporto contrattuale, il «contratto arbitri-litiganti» che può (ma non deve) essere specificato in un apposito documento scritto. Note: (4) Sul procedimento arbitrale nel diritto tedesco, sia permesso il rinvio a Sangiovanni, Le fasi iniziali del procedimento arbitrale tedesco, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 533 ss. Con riferimento al lodo arbitrale nell’ordinamento germanico sia permesso rinviare a Sangiovanni, Il lodo arbitrale nel diritto tedesco, in Riv. dir. proc., 2004, 437. (5) Sulla disciplina tedesca del contratto di compravendita cfr., per limitarsi a menzionare alcuni recenti contributi apparsi in lingua italiana, Abatangelo, Sostituzione di bene viziato e contrattazione di cosa specifica: i termini della questione nel diritto tedesco e nel pensiero giuridico italiano, in Riv. dir. civ., 2004, II, 635 ss.; Bianca, La nuova disciplina della compravendita: osservazioni generali, in La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? (a cura di Cian), Padova, 2004, 179 ss.; Grundmann, La nuova disciplina della compravendita: la violazione dell’impegno contrattuale, in La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? (a cura di Cian), Padova, 2004, 187 ss.; Grundmann, La disciplina della vendita dopo la riforma dello «Schuldrecht» in Germania - Da un ius commune romano a un ius commune americano-europeo?, in Annuario di diritto tedesco 2002, Milano, 2003, 77 ss. (trad. di Buchberger); Sangiovanni, Contratto di compravendita e riserva di proprietà nel diritto tedesco, in questa Rivista, 2005, 5, 511 ss. (cui sia lecito rinviare); Schmidt, Il diritto di regresso del venditore finale nella compravendita di beni di consumo: teoria e prassi, in La riforma dello Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti? (a cura di Cian), Padova, 2004. (6) Cfr. Albers, in Zivilprozessordnung (a cura di Baumbach/Lauterbach/Albers/Hartmann), LXII ed., München, 2004, Appendice al § 1035, Rn. 3; Gottwald, Zivilprozessrecht, XVI ed., München, 2004, 1275; Lörcher/Lörcher/Lörcher, Das Schiedsverfahren - national/international - nach deutschem Recht, II ed., Heidelberg, 2001, 40; Schwab/Walter, Schiedsgerichtsbarkeit, VI ed., München, 2000, 109; Schwytz, Schiedsklauseln und Schiedsrichtervertrag, III ed., Heidelberg, 2001, 17. (7) Sulla forma della convenzione arbitrale nell’ordinamento germanico v., se vuoi, Sangiovanni, La forma della convenzione arbitrale nel diritto tedesco, in Riv. arb., 2002, 591 ss. CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO La convenzione arbitrale è atto delle parti sostanziali del rapporto giuridico controverso. Alfa e Beta stipulano, si immagini, un contratto di compravendita cui accede una clausola compromissoria. Sorta la controversia, Alfa e Beta diventano rispettivamente attore e convenuto del procedimento arbitrale. Gli arbitri non hanno nulla a che fare con la vicenda di carattere sostanziale sottostante. Sia il contratto di compravendita sia la clausola compromissoria che ne costituisce parte integrante sono atti delle parti in lite, non del collegio giudicante. E tuttavia è possibile che la convenzione arbitrale, soprattutto nei casi in cui essa è particolarmente dettagliata, contenga pattuizioni che interessano gli arbitri. Si immagini, per esempio, che in tale sede vengano definiti i parametri su cui calcolare il compenso del collegio. La convenzione arbitrale non è vincolante per i futuri arbitri. Lo diventerà quando essi accetteranno la nomina oppure la proposta di contratto. In modo speculare il contratto arbitri-litiganti può contenere qualcosa in più delle mere pattuizioni relative al rapporto «contrattuale» tra tali soggetti. Nella prassi non è raro che esso regoli anche alcuni aspetti di carattere procedurale (8). Per esempio in tale sede possono essere definiti i poteri del presidente del collegio oppure possono essere presi accordi relativamente allo svolgimento di un’udienza. Un’altra possibilità è che tutti i soggetti del procedimento arbitrale (arbitri e litiganti) diano atto che la convenzione arbitrale è valida ed efficace. In questo modo si sanano eventuali vizi dell’accordo arbitrale e si ribadisce, a scanso di equivoci, la volontà di rimettere la controversia in arbitrato. Queste pattuizioni ulteriori, pur essendo fisicamente contenute nel contratto arbitri-litiganti, sono in realtà una modifica posteriore (oppure un’integrazione oppure una conferma) della convenzione arbitrale. Nella misura in cui queste decisioni vengono prese per scritto e sottoscritte (e quindi formalmente accettate) dai litiganti, esse costituiscono una valida variazione del precedente accordo arbitrale. Un unico documento scritto è allo stesso tempo contratto arbitri-litiganti e convenzione arbitrale. I litiganti possono sempre modificare la convenzione arbitrale, anche nel corso del procedimento, purché lo facciano concordemente. Si tratta di poteri rientranti nella loro autonomia contrattuale. Se però la convenzione arbitrale contiene anche regole relative al rapporto arbitri-litiganti e queste pattuizioni sono già state accettate dagli arbitri, la modificazione produce riflessi sulla posizione dell’organo giudicante. Un atto posto in essere dai soli contendenti (modificazione della convenzione arbitrale) si riverbera su un diverso rapporto contrattuale (quello arbitri-litiganti) che vede coinvolti anche soggetti terzi (gli arbitri). Le regole generali in tema di contratto prevedono la necessità del consenso di tutti i contraenti non solo per fare sorgere una relazione contrattuale, ma anche per modificarla in un momento successivo. I soggetti del rapporto contrattuale arbitri-litiganti I contraenti del rapporto arbitri-litiganti sono ciascun arbitro, da un lato, e tutte le parti in lite, dall’altro. La relazione intercorre sempre tra ciascun membro del collegio arbitrale e tutti i litiganti. Non rileva quale soggetto abbia nominato l’arbitro. Questi - del resto - potrebbe essere stato individuato da un terzo, per esempio da un’istituzione arbitrale oppure da un’autorità giudiziaria. Può quindi capitare che la parte Alfa nomini arbitro Tizio, mentre la parte Beta nomini Caio. Non per questo sussistono due rapporti contrattuali, nel senso di una relazione tra Alfa e Tizio e di un’altra tra Beta e Caio. Invece il legame è tra tutti i litiganti (Alfa e Beta) da un lato e ciascun arbitro dall’altro (9). Se l’attrice Alfa ha negoziato con il «proprio» arbitro Tizio alcuni aspetti del rapporto contrattuale (tipicamente l’importo del compenso oppure dell’anticipo), questi accordi non vincolano la convenuta Beta, la quale non vi ha preso parte. Nei procedimenti arbitrali ad hoc vi è un rapporto contrattuale diretto tra gli arbitri e i litiganti. La situazione è diversa nei processi amministrati (10). In questo caso vi sono due distinti rapporti contrattuali: una prima relazione tra i litiganti e l’istituzione arbitrale e una seconda tra l’istituzione e gli arbitri. Nel caso di arbitrati amministrati arbitri e contendenti non entrano in un rapporto contrattuale diretto, perché la relazione è mediata dall’organizzazione che gestisce il procedimento. Certi soggetti, al fine di accettare validamente l’incarico di arbitro, necessitano dell’autorizzazione di un’autorità amministrativa. Questo vale, in particolare, per i giudici. Il § 40, primo comma, prima frase, DRiG stabilisce che un giudice può essere autorizzato ad assumere un incarico come arbitro solo quando le parti del contratto arbitrale lo incaricano congiuntamente oppure quando egli è nominato da un soggetto imparziale. Questa disposizione contiene due distinte regole. Il primo principio è che l’autorizzazione deve essere negata quando un giudice è nominato da una parte sola. Il secondo principio è che il magistrato deve, in ogni caso, essere autorizzato a svolgere la funzione arbitrale. Una recente decisione giurisprudenziale concerne la prima delle due questioni appena delineate, vale a dire la necessità che il giudice sia nominato arbitro congiuntamente da entrambe le parti del rapporto giuridico so- Note: (8) Lachmann, op. cit., 563 s.; Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 40. (9) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 3; Gottwald, op. cit., 1275; Lachmann, op. cit., 557; Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 39; Schlosser, in Stein/Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, IX, XXII ed., Tübingen, 2002, Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 8; Schwab/Walter, op. cit., 107 s.; Zimmermann, Zivilprozessordnung, VI ed., Heidelberg, 2002, § 1035 Rn. 4. (10) Geimer, in Zivilprozessordnung (a cura di Zöller), XXIV ed., Köln, 2004, § 1035 Rn. 23; Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 7; Voit, in Kommentar zur Zivilprozessordnung (a cura di Musielak), III ed., München, 2002, § 1035 Rn. 22. I CONTRATTI N. 8-9/2005 829 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO stanziale sottostante (11). Un magistrato non può mai operare come arbitro di parte. La legge vieta espressamente di autorizzare un’attività del genere. La Corte d’appello di Berlino ha aggiunto che un giudice non può accettare l’incarico di arbitro, quando è stato nominato da una sola parte, nemmeno se la controparte ne ratifica la nomina. Ne consegue che il procedimento arbitrale è inammissibile per viziata costituzione dell’organo giudicante. La previsione legislativa secondo cui la nomina di un giudice ad arbitro deve avvenire congiuntamente a opera di tutte le parti è connessa al più ampio tema della imparzialità e della indipendenza di chi giudica. Il legislatore esige che entrambe i litiganti ripongono la massima fiducia nella persona scelta a svolgere la funzione di arbitro. Il fatto di essere individuato concordemente da tutti i contraenti fa salva la neutralità. L’ordinamento non può tollerare che i giudici mettano le proprie conoscenze e la propria autorevolezza a disposizione degli interessi di un privato. Nel contesto della legge tedesca sui giudici non è quindi un caso che il § 40 in esame sia collocato immediatamente dopo il § 39. Questa disposizione, rubricata «mantenimento dell’indipendenza» (Wahrung der Unabhängigkeit), statuisce il principio secondo cui il magistrato deve - nello svolgimento del proprio ufficio ma anche al di fuori di esso (in particolare se opera in politica) - comportarsi in modo tale che l’affidamento nella sua indipendenza non venga mai messo in dubbio. Una nomina di parte è circostanza tale da mettere a repentaglio la neutralità del giudice. Questa decisione giurisprudenziale ha rilevante importanza pratica. Sono infatti diffuse nella prassi convenzioni arbitrali che prevedono la costituzione di un collegio composto di tre soggetti: ciascun litigante nomina un proprio arbitro, mentre il terzo viene designato in altro modo. Laddove l’arbitro di parte sia da scegliersi tra giudici, la clausola compromissoria viola il § 40, primo comma, prima frase, DRiG. Un magistrato non può mai operare come arbitro di parte. Procedimenti arbitrali attualmente pendenti o che dovessero aprirsi sulla base di una convenzione arbitrale del genere sarebbero invalidi per viziata costituzione dell’organo giudicante. Rimane da affrontare la seconda questione posta dal § 40, primo comma, prima fase, DRiG. Questa disposizione impone al giudice che voglia diventare arbitro di essere autorizzato. Nella prassi può capitare che, in violazione di tale norma, un magistrato accetti l’incarico pure in assenza della necessaria autorizzazione. Oppure può verificarsi che l’autorizzazione venga sì data, ma sia per qualche ragione invalida. In una situazione del genere si pone la questione della legittimità del procedimento arbitrale e del lodo emesso dall’arbitro non autorizzato. Si tratta di problemi fortemente controversi in dottrina. Secondo la parte prevalente della dottrina, la mancanza di autorizzazione non produce effetti sul procedimento arbitrale né cagiona l’invalidità del lodo (12). Le conseguenze per il magistrato che accetta l’incarico di arbitro in assenza dell’apposita autorizzazione sono solo di carat- 830 I CONTRATTI N. 8-9/2005 tere disciplinare. Questa soluzione è preferibile in un’ottica di conservazione del procedimento arbitrale. Altrimenti il vizio autorizzativo in capo all’arbitro si riflette sulla posizione dei litiganti. Questi si vedrebbero invalidare l’intero procedimento arbitrale per un errore di carattere amministrativo. L’opinione maggioritaria trova conforto in una recente decisione giurisprudenziale (13) . La Corte d’appello di Stoccarda ha deciso che la mancanza di autorizzazione in capo al giudice non influisce sulla regolarità della composizione dell’organo giudicante. Il procedimento arbitrale può continuare e il lodo è valido. Secondo una diversa opinione dottrinale, invece, l’assenza di autorizzazione inficia il processo. Il ragionamento che segue questa dottrina è il seguente. Il giudice che voglia fare l’arbitro ha bisogno di apposita autorizzazione, perché è la legge a imporla. Se egli stipula un contratto con le parti in assenza del necessario permesso, tale contratto è nullo per violazione di norma imperativa (§ 134 BGB). Il procedimento arbitrale si fonda su di un contratto nullo. Esso è invalido così come è invalido il lodo che ne deriva. Il § 40, primo comma, seconda frase, DRiG stabilisce che l’autorizzazione allo svolgimento dell’ufficio di arbitro deve essere rifiutata quando il giudice, al momento della decisione sull’autorizzazione, si sta occupando della stessa questione oppure sussiste il rischio che - secondo la distribuzione organizzativa delle cause - possa essere chiamato a occuparsene in futuro. Nella prima fattispecie il conflitto d’interessi è attuale ed evidente. Il giudice, chiamato a decidere della stessa questione come magistrato statale, non può accettare un incarico arbitrale. Altrimenti sussiste il rischio che decida - come giudice in modo non trasparente, in vista della funzione arbitrale. Nella seconda fattispecie il conflitto d’interessi non è attuale, ma è altrettanto evidente. Se il giudice potesse in futuro affrontare (in qualità di magistrato statale) la stessa questione per la quale richiede ora l’autorizzazione a operare come arbitro privato, egli potrebbe strumentalizzare la decisione arbitrale. La parte soccombente in arbitrato verrebbe privata di tutela, perché in successive fasi giudiziali incontrerebbe come magistrato proprio quella persona che - prima - ha operato come arbitro. L’ufficio di arbitro deve considerarsi «altamente personale» (höchstpersönlich). Esso non può essere trasferito ad altre persone. All’arbitro non è nemmeno consentito delegare a terzi il compimento di singoli atti inerenti la sua funzione. Se il rapporto arbitro-litiganti è da qualificarsi come contratto di servizio, si applica il § 613 Note: (11) KG, decisione del 6 maggio 2002, in SchiedsVZ, 2003, 185 s., con nota di Mecklenbrauck. (12) V., in particolare, Geimer, op. cit., § 1035 Rn. 33; Nacimiento/Geimer, Eins zu null für die Verbandsschiedsgerichtsbarkeit des Deutschen Fu?ballbundes, in SchiedsVZ, 2003, 90 s. (13) OLG Stuttgart, decisione del 16 luglio 2002, in SchiedsVZ, 2003, 84 ss., con nota di Nacimiento/Geimer. CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO BGB. Questa disposizione prevede che il soggetto obbligato a rendere il servizio deve, nel dubbio, prestarlo di persona. Se il rapporto arbitro-litiganti è da qualificarsi come mandato, si applica il § 664 BGB. Questa norma stabilisce che il mandatario, nel dubbio, non può trasferire a terzi l’obbligo di eseguire l’incarico ricevuto. L’ufficio di arbitro non può essere trasferito ad altri perché i contraenti, nel designare i componenti il collegio arbitrale, individuano persone scelte in considerazione di loro particolari caratteristiche (per esempio di competenza tecnica) che altri soggetti non possiedono. Questo rapporto di fiducia sussiste solo con l’arbitro prescelto, non un’eventuale altra persona che l’arbitro sostituisca a sé. Gli obblighi derivanti dal contratto arbitri-litiganti C on l’accettazione dell’incarico, l’arbitro si obbliga a fare tutto quanto necessario affinché la controversia che gli viene sottoposta venga risolta nel minor tempo possibile nel rispetto delle specifiche regole processuali e dei principi generali che caratterizzano il giusto processo. L’arbitro è innanzitutto tenuto a essere imparziale e indipendente durante l’intero svolgimento del procedimento. La questione è delicata perché spesso sono i contendenti a nominare l’organo arbitrale. Tipico è il caso del collegio composto di tre soggetti, due nominati uno ciascuno dai litiganti e il terzo dai coarbitri. Gli arbitri nominati direttamente dai contendenti sono a questi evidentemente graditi. Il rischio di un conflitto d’interessi è evidente. Da un lato l’arbitro vorrà soddisfare chi lo ha nominato, dall’altro l’ordinamento gli impone di comportarsi e decidere in modo neutrale. Al fine di garantire la terzietà, è lo stesso soggetto cui viene offerto l’ufficio di arbitro a dover rendere note tutte le circostanze che potrebbero far sorgere il dubbio che non sussistano imparzialità e indipendenza (§ 1036, primo comma, ZPO). Se l’arbitro non svela le circostanze che mettono a repentaglio la sua neutralità, risponde dei danni che ne derivano. Legata al tema della imparzialità e della indipendenza è la questione se gli arbitri siano o meno vincolati alle istruzioni che i contraenti impartiscono nel corso del procedimento. Al riguardo occorre distinguere se l’indicazione proviene da uno solo dei litiganti oppure da tutti. Se l’istruzione proviene da un unico contendente, essa non è vincolate per l’arbitro. Se l’organo arbitrale seguisse quanto indicato da un litigante, agirebbe in violazione dei propri doveri. Il membro del collegio che seguisse le indicazioni di uno solo dei contraenti metterebbe a repentaglio la propria imparzialità e indipendenza. Diverso in caso in cui attore e convenuto impartiscono istruzioni congiunte. Queste sono vincolanti per gli arbitri, purché non contrastino con il tenore del contratto arbitri-litiganti precedentemente stipulato (14). Altrimenti occorre valutare se le nuove istruzioni rap- presentano una variazione del precedente assetto contrattuale. Ma in questo caso occorre il consenso degli arbitri. In questo contesto è opportuno richiamare il § 1042, terzo comma, ZPO. Secondo questa norma, fatte salve le disposizioni cogenti di legge, spetta alle parti regolare il procedimento arbitrale. In questo spazio di autonomia contrattuale, i contraenti possono - congiuntamente - istruire gli arbitri relativamente alla gestione del processo. Non è facile fare un’elencazione completa dei comportamenti cui sono tenuti gli arbitri nel corso del procedimento. L’organo giudicante è obbligato a informarsi e a preparasi adeguatamente in modo da poter ben gestire il processo. Gli arbitri sono tenuti a fornire alle parti informazioni sullo stato del procedimento. Nel caso di pagamento di acconti, l’organo arbitrale è tenuto a certificare - con apposita documentazione - l’avvenuto versamento. Se gli arbitri percepiscono somme destinate a uno dei litiganti, essi sono obbligate a trasferirle immediatamente al destinatario. L’organo giudicante è tenuto alla segretezza su tutto ciò di cui venga a conoscenza nel corso del procedimento. In particolare è coperta da segreto ogni circostanza relativa alla discussione e alla deliberazione del lodo. Sotto questo profilo la situazione è simile a quanto avviene nel processo statale. Va infatti richiamato il § 43 DRiG, secondo il quale il giudice - anche dopo la cessazione dal servizio - deve tacere su tutto quanto accaduto in sede di discussione e di votazione. Questa norma è imperativa, nel senso che il magistrato non può accordarsi con le parti in modo diverso. Nel procedimento arbitrale, invece, i contendenti potrebbero consentire all’arbitro di rendere note circostanze altrimenti coperte da segreto (15). Si tratta, tuttavia, di un’evenienza rara nella prassi perché i litiganti non hanno generalmente interesse alla pubblicizzazione della controversia. Terminato il procedimento arbitrale, uno degli arbitri viene normalmente incaricato di conservare la documentazione relativa all’arbitrato. Tale soggetto deve, se richiesto dalle parti, concedere visione degli atti anche dopo che il lodo è stato reso (16). Il compenso degli arbitri U na questione importante nel rapporto contrattuale tra gli arbitri e i litiganti è quella del compenso spettante all’organo giudicante. Se l’arbitrato è amministrato, il rapporto contrattuale intercorre non tanto tra gli arbitri e i contendenti quanto piuttosto tra gli arbitri e l’istituzione arbitrale. Teoricamente il soggetto cui viene proposto l’incarico potrebbe negoziare il compenso con l’istituzione. Ciò non succede mai nella Note: (14) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 8; Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 13; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 24. (15) Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 13. (16) Geimer, op. cit., § 1035 Rn. 32. I CONTRATTI N. 8-9/2005 831 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO prassi. L’istituzione arbitrale prevede infatti delle tariffe che applica agli arbitri di cui si avvale. Con l’accettazione dell’incarico, si accetta anche l’importo del compenso che dipende - quasi sempre - dal valore della controversia. L’incarico di arbitro può essere svolto verso corrispettivo oppure gratuitamente. Nella prassi l’ufficio non viene quasi mai svolto in via gratuita. In queste rare ipotesi, il rapporto contrattuale è da qualificarsi come mandato. Non si pongono in siffatto contesto problemi di quantificazione del compenso, proprio perché non ne è previsto alcuno. L’incarico di arbitro viene svolto quasi sempre a fronte di un compenso, anche perché l’ufficio comporta generalmente un considerevole dispendio di energie. Non è facile trovare persone disposte a svolgere gratuitamente un incarico complesso. Se è previsto un corrispettivo, il rapporto contrattuale tra arbitri e litiganti è da qualificarsi come contratto di servizio. Il § 611 BGB definisce le obbligazioni tipiche del contratto di servizio: con il contratto di servizio colui che ha promesso i servizi si obbliga alla prestazione degli stessi, mentre l’altra parte si obbliga alla corresponsione del compenso pattuito. Quando è previsto un corrispettivo, la soluzione meno foriera di complicazioni applicative è che sia lo stesso contratto arbitro-litiganti a determinare l’importo nonché le modalità di pagamento. È la situazione migliore da punto di vista della trasparenza del rapporto tra i contraenti. Sin da principio si sa quale sarà il corrispettivo. Si evitano così possibili discussioni o addirittura liti. In questo caso il fondamento della pretesa degli arbitri al compenso è il contratto con i litiganti. L’importo del compenso potrebbe essere addirittura già indicato nella convenzione arbitrale (17). Questa non è tuttavia vincolante per gli arbitri. Si tratta infatti di un atto delle sole parti del rapporto giuridico sottostante, cui i (futuri) membri dell’organo giudicante non hanno partecipato. Solo a seguito dell’accettazione della nomina ad arbitro, tale determinazione del compenso diventa vincolante per il collegio. Se non sono previamente intercorsi accordi tra le parti, può essere utile affrontare l’argomento del compenso arbitrale almeno in udienza (18). Può quindi succedere che un soggetto accetti l’incarico di arbitro e inizi a svolgerlo senza prima discutere le questioni attinenti al suo compenso. Si tratta di una situazione delicata perché - in casi estremi - i litiganti potrebbero pensare che l’ufficio sia a titolo gratuito, mentre l’organo arbitrale si aspetta un compenso. Più probabile è una semplice diversità di opinioni, nel senso che l’arbitro vuole un compenso maggiore di quello che i contendenti sono disposti a corrispondere. Per risolvere questo dilemma, la norma di riferimento è il § 612, primo comma, BGB. Questa disposizione prevede che un compenso si considera come tacitamente pattuito quando, alla luce delle circostanze del caso, si deve ritenere che la prestazione del servizio possa essere attesa solo verso un corrispettivo. Un incarico arbitrale rappresenta un servizio per lo svolgimento del quale si può presumere che debba essere corrisposto un compenso. 832 I CONTRATTI N. 8-9/2005 In assenza quindi di elementi che fanno ritenere che l’arbitro sia disponibile a lavorare gratuitamente (ciò avverrà, in sostanza, solo quando egli abbia espressamente dichiarato di operare a titolo gratuito), si presume che l’incarico sia a titolo oneroso. In un’ottica di trasparenza del rapporto, è vantaggioso per tutti non solo prevedere espressamente che l’ufficio di arbitro è a titolo oneroso, ma anche specificare a quanto ammonta il corrispettivo che i litiganti sono pronti a pagare. In linea di principio, la materia è lasciata alla negoziazione tra le parti (19). Un criterio ricorrente per quantificare l’importo del compenso degli arbitri è il valore della controversia (20). Il vantaggio di questa scelta è che i contendenti sanno sin da principio quale sarà il costo del procedimento arbitrale. L’idea sottostante a questa opzione è che una controversia di elevato valore sia complessa e richieda quindi un impegno particolare da parte degli arbitri. Ciò, naturalmente, non si verifica sempre. Talvolta per risolvere «piccole» liti è necessario lo studio di un’articolata fattispecie e di complesse questioni in punto di diritto. Viceversa controversie d’importo elevato possono risultare tutto sommato semplici, anche se gli avvocati dei litiganti - in considerazione della posta in palio - cercheranno di sollevare tutte le eccezioni possibili e renderanno quindi la vita difficile al collegio arbitrale. In alcuni rari casi il valore della lite è particolarmente elevato, con la conseguenza che gli arbitri percepiscono compensi molto consistenti. Nella prassi vengono occasionalmente corrisposti onorari superiori al milione di euro. In presenza di un valore della lite estremamente alto, i litiganti hanno interesse a trattare con i potenziali membri del collegio al fine di «calmierare» l’importo del corrispettivo. Teoricamente potrebbe sorgere addirittura una sorta di «mercato degli incarichi arbitrali». La società Alfa, intenzionata a citare in arbitrato la società Beta, chiede ai potenziali arbitri Tizio e Caio (ritenuti entrambi idonei a svolgere il compito) a quale prezzo sono disponibili ad assumere l’incarico. Ottenuta la risposta da entrambi, offrono l’incarico a quello dei due che è disponibile a svolgerlo per la somma inferiore. Simile al criterio del valore della controversia è la previsione di una somma fissa per lo svolgimento dell’incarico di arbitro (21). In questo caso, senza che ci si avvalga di particolari tabelle che legano il compenso al significato economico della lite, arbitri e litiganti pattuiscono che i primi percepiranno un certo importo per la gestione del procedimento arbitrale e per l’emissione del lodo. Il vantaggio di questo meccanismo per i contendenti riNote: (17) Lachmann, op. cit., 577; Schwytz, op. cit., 19. (18) Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 10. (19) Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 41; Schwytz, op. cit., 19. (20) Lachmann, op. cit., 579 s. (21) Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 41. CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO siede nel fatto di sapere sin dall’inizio quali saranno i costi cui vanno incontro. Un ulteriore sistema per determinare il compenso spettante all’arbitro può essere quello di legare il corrispettivo al tempo che sarà necessario per addivenire alla soluzione della controversia. Il problema principale in questo contesto è che è spesso difficile valutare ex ante, anche solo per sommi capi, la quantità di lavoro che occorre per gestire il procedimento arbitrale e per rendere il lodo. L’accordo secondo cui gli arbitri vengono pagati una certa somma all’ora può essere associato a una clausola che pone un limite massimo al compenso (22). Si potrebbe, per esempio, prevedere una retribuzione di 250 euro all’ora, con la specificazione che - se le ore di lavoro dovessero superare le 100 - il compenso dell’arbitro non potrà comunque oltrepassare i 25.000 euro. Un altro problema nel caso di pattuizione di un corrispettivo calcolato sul tempo è la difficoltà per i litiganti di verificare che l’arbitro abbia effettivamente lavorato per il numero di ore che afferma. Se un compenso per l’ufficio di arbitro è dovuto (come si presume che sia), ma non è stato espressamente concordato tra le parti a quanto esso ammonti, occorre fare riferimento a quello che è il «compenso usuale» (übliche Vergütung) (§ 612, secondo comma, BGB) nel luogo del procedimento arbitrale (cfr. il § 1043, primo comma, ZPO). Se questo criterio - per qualche ragione - non opera, trovano applicazione i §§ 315-319 BGB, i quali regolano i c.d. «diritti di determinazione unilaterale della prestazione» (einseitige Leistungsbestimmungsrechte) (23). Secondo il § 315 BGB, quando la prestazione deve essere determinata da uno dei contraenti, nel dubbio la determinazione va effettuata secondo equità. La determinazione si realizza mediante dichiarazione comunicata all’altra parte. In sostanza, è l’arbitro stesso che fissa il compenso che gli spetta. La garanzia per i litiganti contro il rischio che l’organo giudicante si assegni una retribuzione eccessiva è data dal fatto che l’importo deve essere equo. Se sorgono contestazioni relativamente all’equità della somma, è possibile ricorrere alla giustizia statale. In assenza di previsioni espresse sul quantum, è prassi - nella determinazione del compenso - orientarsi a quelli che sono gli onorari previsti per gli avvocati (24). Teoricamente il compenso potrebbe essere diverso da arbitro ad arbitro (25). Si tratta tuttavia di un’evenienza rara nella prassi arbitrale tedesca, soprattutto con riferimento ai due arbitri che non svolgono la funzione di presidente (26). Questi soggetti rivestono esattamente la stessa posizione ed è difficile giustificare un compenso differente. Un ragionamento diverso può essere seguito con riferimento al presidente del collegio arbitrale. Questi ha un ruolo particolare, di conduzione del procedimento, che giustifica un compenso superiore. Nella prassi è così frequente che il presidente del collegio arbitrale percepisca una retribuzione leggermente superiore a quelle degli altri due arbitri. Con riguardo alla definizione dei tempi entro i quali de- ve avvenire il pagamento del compenso, la soluzione migliore dal punto di vista pratico è quella di regolare la questione nel contratto arbitri-litiganti. In questo modo si riduce il rischio di discussioni e liti. Se nel contratto arbitri-litiganti non è stato stabilito quando debba essere corrisposto il compenso, la soluzione può essere occasionalmente rinvenuta nella convenzione arbitrale (27) . Talvolta il contratto arbitri-contendenti oppure la convenzione arbitrale rinvia a un regolamento d’arbitrato che disciplina la tempistica della corresponsione della retribuzione. Se - tuttavia - nessuno di questi strumenti contrattuali è di aiuto, trova applicazione il § 614 BGB. Questa disposizione stabilisce che il compenso va corrisposto dopo la prestazione dei servizi. Nel contesto del procedimento arbitrale, il servizio è reso quando il lodo è stato emesso. Con il compimento delle formalità relative alla redazione della pronuncia finale (cfr. il § 1054 ZPO) matura il diritto degli arbitri al compenso. È tuttavia ricorrente nella prassi il pagamento di un anticipo, materia sulla quale si tornerà nel prosieguo. Gli arbitri possono pretendere il compenso da ciascuno dei litiganti. Il ruolo di attore o di convenuto non rileva in questo contesto. In particolare l’arbitro può pretendere l’onorario anche da quella delle parti che non lo ha nominato. I contraenti rispondono solidalmente per l’obbligo di pagare il compenso. Trova applicazione il § 427 BGB, il quale stabilisce che quando più soggetti si obbligano per contratto a rendere insieme una prestazione divisibile, nel dubbio essi rispondono come debitori solidali. Terminato il procedimento arbitrale, gli arbitri possono agire in giudizio nei confronti dei litiganti che non pagano il compenso pattuito (28). Una volta che il processo dinanzi al collegio è terminato, i membri dello stesso possono far valere giudizialmente i propri diritti. Dal momento che gli arbitri hanno cessato di svolgere la funzione giudicante, la loro imparzialità e indipendenza non è più a rischio. Nulla osta che essi citino in giudizio le parti del procedimento arbitrale che si rifiutano ingiustamente di corrispondere l’onorario pattuito. Le spese del procedimento O ltre alla necessità di compensare gli arbitri, va tenuto presente che il procedimento arbitrale comporta dei costi di gestione. Può capitare che Note: (22) Lachmann, op. cit., 576 s. (23) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 10; Geimer, op. cit., § 1035 Rn. 24; Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 14; Schwab/Walter, op. cit., 117; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 26. (24) Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 41; Schwytz, op. cit., 19. (25) Lachmann, op. cit., 561; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 26. (26) Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 42. (27) Lachmann, op. cit., 578. (28) Lachmann, op. cit., 592; Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 6. I CONTRATTI N. 8-9/2005 833 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO il contratto arbitri-litiganti regoli espressamente questa questione nel senso di prevedere modalità per il rimborso delle spese affrontate dal collegio. Anche nel caso in cui il contratto arbitri-litiganti non preveda nulla, i contraenti sono obbligati a rimborsare le spese che il collegio affronta per la gestione del processo. In questo senso dispone il § 670 BGB, secondo cui se il mandatario - ai fini dello svolgimento del mandato - affronta delle spese necessarie, il mandante è obbligato a rimborsarle. Tra le fuoriuscite più ricorrenti nella prassi vanno menzionate quelle per i viaggi e i pernottamenti. L’arbitro può inoltre concludere quei negozi che si rendano necessari in un’ottica di buona gestione del procedimento arbitrale (29). Il presidente del collegio può così, per esempio, prendere in locazione degli spazi al fine di tenere un’udienza del processo. Gli anticipi N ei procedimenti arbitrali possono assumere una certa rilevanza le questioni relative al pagamento di anticipi. Il versamento anticipato di una somma può essere finalizzato tanto a pagare il compenso spettante agli arbitri quanto a far fronte ai costi del processo. Segue: a) gli anticipi sul compenso Q uasi sempre gli arbitri si premurano di ottenere dai contendenti, sin dall’inizio, una somma che copra - almeno parzialmente - i compensi loro spettanti. La ragione è semplice: il procedimento arbitrale può durare a lungo e comportare una mole considerevole di lavoro. Non ricevere alcun compenso dopo l’emissione del lodo, indipendentemente dai motivi che determinano questo esito, equivale a un grave danno in capo alla persona che ha svolto l’ufficio di arbitro. Si pensi al professionista affermato che dedica diverse decine di ore lavorative al procedimento arbitrale (sottraendole ad altre attività), per poi non ricevere alcun compenso (e, nella ipotesi peggiore, rimettendoci pure i costi affrontati per la gestione del processo). Gli arbitri hanno interesse a chiedere un «anticipo» che copra tutti i compensi loro spettanti (30). Terminato il procedimento, può infatti risultare difficile ottenere il corrispettivo dal soccombente. Se il convenuto è stato condannato dall’arbitro a pagare una certa somma all’attore, l’effetto negativo in capo a chi ha perso è doppio. Non solo il soccombente deve effettuare un pagamento all’altra parte (e già questa circostanza ne riduce il patrimonio). Chi ha perso il procedimento arbitrale si trova per di più costretto a ricompensare proprio quell’arbitro che ne ha sancito la sconfitta. In una situazione del genere non è infrequente che il soccombente tenda a frapporre ostacoli a un pagamento spontaneo. È quindi sicuramente consigliabile chiedere un congruo anticipo sugli onorari. L’arbitro, a propria ulteriore garanzia, può condizionare l’inizio dell’attività al percepimento della somma pattuita. In questo caso il 834 I CONTRATTI N. 8-9/2005 rischio per il collegio arbitrale è inesistente, perché esso - anche nell’ipotesi di mancato pagamento - non subisce alcun danno (nel senso di avere effettuato del lavoro non retribuito). La questione se sia dovuto un anticipo e a quanto esso ammonti può essere disciplinata nel contratto arbitri-litiganti. Si tratta della situazione migliore, dal punto di vista della trasparenza, perché evita discussioni successive sull’an e sul quantum del pagamento anticipato. Altrimenti la richiesta degli arbitri di ottenere un anticipo sui compensi finali può essere effettuata in qualsiasi fase del procedimento arbitrale (31). Nulla vieta che il collegio inizi a svolgere la propria attività e, in un secondo momento, ritenga opportuno chiedere un pagamento anticipato, magari perché ha già svolto una mole considerevole di lavoro. I soggetti che, rispettivamente, effettuano e ricevono il pagamento dell’anticipo sono le stesse persone che danno vita al procedimento arbitrale e che - in assenza di dazione anticipata - sono tenuti a regolare i conti alla fine. Da un lato si collocano i contendenti, dall’altro gli arbitri. Attore e convenuto del procedimento arbitrale sono obbligati in solido (§ 427 BGB) a corrispondere gli anticipi. Con riferimento alla distribuzione interna dell’onere di pagamento anticipato, si applica il § 426, primo comma, BGB, secondo il quale i debitori solidali sono obbligati in misura uguale. Normalmente ciascuno dei due contendenti pagherà quindi la metà dell’anticipo. Le parti si potrebbero tuttavia accordare nel senso che il pagamento anticipato sia a carico di una sola di esse oppure di una di esse in misura diversa da quanto spetti all’altra. Si tratta di un’evenienza rara nella prassi. Fino a quando il pagamento dell’anticipo richiesto dagli arbitri non è stato effettuato, questi possono sospendere la propria attività (32). Trova insomma applicazione il § 273, primo comma, BGB. Secondo questa norma quando il debitore vanta una pretesa scaduta nei confronti del creditore, egli può rifiutare la propria prestazione sino a quando viene resa quella che gli spetta. È opportuno che gli arbitri, nel momento in cui concordano il pagamento degli anticipi, chiariscano che - in mancanza di corresponsione degli stessi - essi sospenderanno l’attività. Questa condizione espressa può servire da deterrente per i litiganti. La sospensione dell’attività persiste fino a quando l’anticipo viene pagato. Eventualmente si deve attendere sino a quando uno dei due litiganti ha costretto giudizialmente l’altro a versare il pagamento antiNote: (29) Lachmann, op. cit., 588 s. (30) Cfr. Lachmann, op. cit., 590; Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 42 s.; Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 7. (31) Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 12 s. (32) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 13; Lachmann, op. cit., 591; Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 43; Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 14; Schwytz, op. cit., 20; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 27; Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 7. CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO cipato. Se il rifiuto persiste nel tempo, gli arbitri possono disdettare il rapporto contrattuale. Il pagamento dell’anticipo potrebbe essere rifiutato da uno solo dei litiganti. Generalmente si tratta del contendente che non ha interesse alla prosecuzione del procedimento. In una situazione del genere lo stallo può essere superato se l’altro litigante si offre di pagare quando dovuto dal soggetto riluttante. Successivamente la parte diligente può citare in giudizio la controparte per ottenere, seppure con ritardo, quanto dovuto (vale a dire la metà dell’importo complessivo versato agli arbitri a titolo di anticipo). In questo caso il sacrificio del pagamento anticipato per intero da uno dei due litiganti è finalizzato a consentire lo svolgimento del procedimento, che sarebbe altrimenti bloccato. Se il versamento dell’anticipo non viene effettuato spontaneamente, l’organo arbitrale non può agire in giudizio per ottenerlo (33). L’azione deve invece essere intentata dalla controparte. Alfa cita Beta dinanzi al giudice statale al fine di far sì che Beta corrisponda la sua parte di anticipo e il procedimento arbitrale possa proseguire. Segue: b) gli anticipi sulle spese G li arbitri hanno il diritto di ottenere un anticipo sui costi che il procedimento comporta. Stabilisce infatti il § 669 BGB che, ai fini dell’esecuzione del mandato, il mandante deve - su richiesta - anticipare al mandatario le spese necessarie. La richiesta degli arbitri può essere effettuata in qualsiasi momento del procedimento, generalmente agli inizi. Può capitare che gli arbitri omettano di chiedere un anticipo nelle fasi iniziali. Magari l’omissione è voluta, perché si giudicano i costi del procedimento bassi e non pare opportuno chiedere un contributo ai litiganti. Successivamente il collegio giudicante si trova ad affrontare delle spese (per esempio di viaggio e di pernottamento) non preventivate. Questa circostanza può indurre a chiedere un pagamento anticipato. Il mancato pagamento di un anticipo a copertura delle spese legittima l’arbitro a sospendere temporaneamente la propria attività (34). Se il rifiuto persiste, l’organo giudicante può disdettare il rapporto contrattuale. Se le questioni attinenti alle spese non sono state regolate all’inizio del procedimento mediante il pagamento di un anticipo, esse devono essere affrontate alla fine. Gli arbitri hanno diritto a ottenere il rimborso dei costi affrontati per lo svolgimento del proprio ufficio. Al riguardo trova applicazione il § 670 BGB già menzionato sopra. Questa disposizione prevede che, se il mandatario - ai fini dell’effettuazione del mandato - affronta delle spese necessarie, il mandante è obbligato a rimborsarle. La responsabilità degli arbitri T ra gli arbitri e le parti si instaura una relazione contrattuale. Il rapporto è assoggettato alle disposizioni generali in materia di contratti e di obbligazioni. Tra queste va menzionato il § 276 BGB, che statuisce il principio della responsabilità del debitore per colpa e per dolo (35). Gli arbitri sono responsabili degli atti colposi e dolosi che cagionano danni ai litiganti. Si pensi a quanto previsto dal § 1036, primo comma, ZPO. Secondo questa disposizione i soggetti cui venga proposto di svolgere la funzione di arbitro devono rendere note tutte le circostanze che mettono in pericolo la loro imparzialità e indipendenza. La persona che accetta l’incarico arbitrale in violazione di questa norma si rende responsabile nei confronti di chi ha fatto affidamento sulla sua neutralità. Con riguardo al lodo, la norma di riferimento per l’affermazione di un’eventuale responsabilità degli arbitri è il § 839, secondo comma, BGB. Si tratta della stessa disposizione di carattere generale che regola la responsabilità dei giudici. È una norma particolarmente restrittiva che afferma la responsabilità solo in casi estremi. Essa stabilisce che, se un pubblico ufficiale viola i propri doveri d’ufficio nel rendere una sentenza, egli risponde del danno che ne consegue solo quando la violazione del dovere configura un fatto di reato. Il legislatore prevede quindi, in relazione ai contenuti dei provvedimenti emanati dagli arbitri, una limitazione di responsabilità. In questo modo si vuole garantire la libertà del giudicante di decidere secondo scienza e coscienza senza il timore di essere citato per danni in conseguenza dei lodi pronunciati (36). In sostanza l’unico caso di responsabilità in cui possono incorrere gli arbitri si realizza nel caso del compimento del reato di «alterazione strumentale del diritto» (Rechtsbeugung) (37). È la fattispecie prevista e punita dal § 339 StGB. Secondo questa disposizione un arbitro che, nella conduzione oppure nella decisione di una questione giuridica, altera strumentalmente il diritto a vantaggio o a svantaggio di una parte è punito con la pena detentiva da uno a cinque anni. La cessazione del rapporto contrattuale I l contratto arbitri-litiganti è normalmente a tempo indeterminato. L’organo giudicante ha il compito di gestire il procedimento al fine di addivenire a una soluzione della controversia. Quanto tempo poi duri il processo dipende dalle circostanze del caso concreto. Non si può tuttavia escludere che, per i contendenti, la celerità della soluzione della lite costituisca elemento di centrale rilevanza. In questo caso i contraenti possono fissare un termine entro il quale l’arbitro deve rendere il lodo. Il contratto arbitri-litiganti è allora a tempo determinato. Note: (33) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 13; Geimer, op. cit., § 1035 Rn. 26; Lachmann, op. cit., 590 s.; Lörcher/Lörcher/Lörcher, op. cit., 43; Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 14; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 27; Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 7. (34) Schwytz, op. cit., 20. (35) Schwab/Walter, op. cit., 114 s.; Schwytz, op. cit., 18. (36) Schwytz, op. cit., 18. (37) Gottwald, op. cit., 1276. I CONTRATTI N. 8-9/2005 835 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO Si pone la questione di cosa succeda se il termine per l’emissione del lodo non viene rispettato. Secondo un’opinione dottrinale il provvedimento finale dell’arbitro rimane comunque valido (38). La previsione di un limite temporale non è infatti finalizzato a privare di effetti il lodo, ma solamente a garantire un veloce svolgimento del procedimento. Se il processo viene allora continuato nonostante il superamento del termine, si può presumere che i litiganti si siano accordati tacitamente per una proroga dello stesso. Una soluzione diversa va preferita quando, alla scadenza, uno dei contraenti solleva la relativa eccezione. In questo caso il ritardo configura un mancato adempimento dell’arbitro, che comporta la cessazione del procedimento (§ 1038, primo comma, ZPO), dalla quale - a sua volta - consegue il venir meno del rapporto contrattuale arbitri-litiganti. Nel caso di rifiuto di eseguire l’incarico arbitrale nonostante la formale accettazione della nomina, trova applicazione il § 1038, primo comma, ZPO. Questa disposizione stabilisce che, se un arbitro non è in grado, per ragioni di diritto o di fatto, di svolgere i propri compiti oppure se - per altre ragioni - non svolge i propri compiti entro un congruo termine, cessa il suo ufficio, se egli dà le dimissioni oppure se i litiganti si accordano per la terminazione dell’incarico. A fronte di un comportamento non cooperativo, i contendenti possono concordare la cessazione dall’ufficio arbitrale. Se attore e convenuto non trovano un accordo al riguardo, ciascuno di essi può rivolgersi al giudice statale affinché questi dichiari la terminazione dell’incarico. La cessazione dall’incarico fa venir meno il rapporto contrattuale arbitri-litiganti. Il rifiuto immotivato dell’arbitro di svolgere il proprio ufficio lo rende inoltre responsabile per danni nei confronti dei contendenti che hanno fatto affidamento sulla sua collaborazione. Se un arbitro si rifiuta di eseguire l’incarico arbitrale o parte di esso, non si può invece agire forzatamente nei suoi confronti (39). Normalmente, nel caso di obblighi di fare, se il debitore non adempie volontariamente, il giudice minaccia l’applicazione di una sanzione pecuniaria (Zwangsgeld) o di una sanzione detentiva (Zwangshaft) al fine d’incentivare il compimento dell’atto (§ 888, primo comma, ZPO). All’applicazione di questa disposizione nei confronti dell’arbitro osta il dettato del § 888, terzo comma, ZPO. Secondo questa norma l’esecuzione forzata di obblighi di fare non ha luogo con riferimento ai servizi che devono essere prestati in base a un contratto di servizio. Nel caso specifico dell’arbitrato, l’applicazione di questa eccezione appare del tutto ragionevole. Costringere un arbitro (che non vuole) a gestire lo svolgimento dell’intero procedimento arbitrale è del tutto controproducente per gli stessi litiganti. Come può una persona fatta condannare giudizialmente proprio da uno dei soggetti che deve giudicare a rendere un lodo sereno? Libertà, imparzialità e indipendenza dell’arbitro non sarebbero più garantite. Il contratto arbitri-litiganti può essere risolto consensualmente da tutte le parti dello stesso. I contraenti pos- 836 I CONTRATTI N. 8-9/2005 sono in qualsiasi momento pervenire a un accordo risolutorio per effetto del quale il rapporto contrattuale precedentemente in essere viene terminato. Gli arbitri e i contendenti del procedimento arbitrale possono poi far cessare unilateralmente («disdettare») il rapporto contrattuale. Segue: a) la disdetta dei litiganti P er quanto riguarda l’attore e il convenuto del procedimento arbitrale, questi possono disdettare il rapporto contrattuale in qualsiasi momento. Nel contesto del contratto di servizio, la disposizione di riferimento è il § 626 BGB, che disciplina la disdetta senza preavviso per importante motivo. Occorre che si siano verificati dei fatti a causa dei quali, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, non ci si può ragionevolmente aspettare dal disdettante una continuazione del rapporto. Trova inoltre applicazione il § 627, primo comma, BGB. Questa disposizione stabilisce che - in un rapporto di servizio non riconducibile a un rapporto di lavoro - la disdetta è ammissibile anche senza i presupposti di cui al § 626 BGB, quando la persona obbligata a prestare il servizio deve prestare servizi di alto livello di cui è incaricato in virtù di un particolare rapporto fiduciario. La disdetta a opera dei litiganti, vuoi in presenza di un importante motivo vuoi senza che una tale ragione ricorra, deve sempre provenire da entrambi i contraenti del rapporto giuridico sostanziale sottostante (40). Il contratto vincola infatti tutti e due i contendenti e non ha rilievo chi abbia concretamente proceduto alla nomina dell’arbitro. Se l’incarico di arbitro è svolto a titolo gratuito e il contratto è da qualificarsi come mandato, la norma di riferimento per la disdetta delle parti è il § 671, primo comma, BGB. Secondo questa disposizione il mandato può essere sempre revocato dal mandante. La disdetta a opera dei litiganti deve provenire da entrambi (attore e convenuto). Se operata da un solo contraente è inefficace. La disdetta dei litiganti è possibile anche senza un importante motivo (41). L’organo giudicante trova la propria legittimazione nella volontà dei contraenti. Non solo i litiganti hanno inizialmente rimesso la soluzione della controversia ad arbitrato, ma esse hanno anche - successivamente - individuato gli arbitri. Inoltre i contraenti possono, in qualsiasi momento, porre fine al procedimento arbitrale. La «sovranità» dei litiganti si esprime anche nella possibilità di porre termine alla relazione contrattuale con l’arbitro. Note: (38) Voit, op. cit., § 1035 Rn. 23. (39) Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 5; Geimer, op. cit., § 1035 Rn. 28; Gottwald, op. cit., 1276; Schwab/Walter, op. cit., 112 s.; Schwytz, op. cit., 17; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 23. (40) Schlosser, op. cit., Osservazioni introduttive al § 1025 Rn. 15; Schwytz, op. cit., 18; Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 8. (41) Voit, op. cit., § 1035 Rn. 30. CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•ARBITRATO Segue: b) la disdetta degli arbitri A nche l’altro soggetto del rapporto contrattuale, l’arbitro, può disdettare. A seconda che per lo svolgimento dell’incarico sia previsto o meno un compenso trovano applicazione le disposizioni in materia di contratto di servizio oppure di mandato. Nel contesto del contratto di servizio si applica il § 626 BGB. L’arbitro può disdettare solo in presenza di un importante motivo. Sull’organo giudicante incombe il dovere di far procedere il procedimento, obbligo cui si può venire meno solo in presenza di gravi circostanze. Diverse situazioni possono configurare un importante motivo (42). Una significativa ragione si ha, per esempio, quando viene meno il rapporto fiduciario tra gli arbitri e i litiganti. Si pensi al caso di un contendente che offende gravemente l’organo arbitrale. Il mancato pagamento di un anticipo costituisce ragione sufficiente per porre termine al rapporto contrattuale. Una malattia di lunga durata oppure un cambiamento di residenza oppure un trasferimento all’estero possono giustificare le dimissioni. La domanda di ricusazione avanzata da una parte può indurre l’arbitro a rimettere immediatamente il proprio incarico (cfr. il § 1037, secondo comma, ZPO che prevede espressamente la possibilità che l’arbitro contro il quale è presentata istanza di ricusazione «si dimetta»). L’inattività oppure l’impossibilità di svolgere l’ufficio (cfr. il § 1038, primo comma, ZPO) possono indurre alle dimissioni. Se la disdetta da parte dell’arbitro avviene senza importante motivo, l’obbligato è tenuto a risarcire al soggetto legittimato a ricevere il servizio il danno che ne deriva. Il nocumento consiste generalmente nel fatto che la decisione della controversia viene ritardata. In certi casi una delle parti del rapporto giuridico sostanziale controverso potrebbe addirittura, in conseguenza della disdetta dell’arbitro, perdere interesse alla soluzione della lite. Si immagini che la società Alfa voglia vedere condannata la società Beta al pagamento di una certa somma di denaro. Se Beta è in difficoltà economiche e a rischio insolvenza, la celerità del procedimento costituisce elemento di centrale rilevanza. Più dura il processo inferiori sono le probabilità di ottenere soddisfazione del credito. In una situazione del genere una disdetta senza importante motivo dell’arbitro è in grado di cagionare danni consistenti in capo alla società creditrice. Secondo quanto disposto dal § 628, secondo comma, BGB, se la disdetta è dovuta al comportamento dell’altra parte contrario ai doveri contrattuali, questa parte è obbligata a risarcire il danno derivante dalla cessazione del rapporto di servizio. Una disdetta immotivata da parte dell’arbitro comporta conseguenze anche in termini di compenso. Ai sensi del § 628, primo comma, BGB, se l’obbligato a prestare un servizio disdetta il rapporto contrattuale senza che la disdetta sia giustificata da un comportamento contrario ai doveri contrattuali dell’altra parte oppure se l’obbligato cagiona con il suo comportamento contrario a contratto la disdetta dell’altra parte, egli non ha diritto a compenso se le prestazioni poste in essere sino a quel momento non hanno alcun interesse per l’altra parte. Le somme già pagate devono essere restituite. Nei rari casi in cui l’ufficio arbitrale viene svolto in via gratuita, la disdetta dell’arbitro è regolata dal § 671 BGB in tema di mandato. Ai sensi del § 671, primo comma, BGB il mandato può essere sempre disdettato dal mandatario. Secondo invece il § 671, secondo comma, BGB, il mandatario può disdettare solo se il mandante può organizzarsi al fine di conseguire l’obiettivo cui mirava il negozio in altro modo, a meno che sussista un importante motivo per la disdetta immediata. Se il mandatario disdetta il rapporto contrattuale senza preavviso e senza un importante motivo, egli deve risarcire al mandante il danno che ne deriva. L’arbitro che accetta di svolgere la proprie funzioni gratuitamente è quindi tenuto, in linea di principio, ad andare sino in fondo. In caso di disdetta immotivata può essere chiamato a risarcire il danno. Segue: c) altri casi di cessazione del rapporto contrattuale I l caso per così dire «naturale» di cessazione del contratto arbitri-litiganti si realizza quando il lodo viene emesso. In questa ipotesi il rapporto contrattuale ha raggiunto il suo scopo. Ai sensi del § 1056, primo comma, ZPO il procedimento arbitrale cessa con il lodo definitivo. Gli arbitri hanno svolto l’incarico loro affidato. Ne consegue che, con la cessazione del procedimento arbitrale, cessa l’ufficio del collegio arbitrale (§ 1056, terzo comma, ZPO). Altre volte il rapporto contrattuale arbitro-litiganti viene meno perché si verificano certi eventi in capo all’arbitro. Si pensi al caso di morte del soggetto che svolge la funzione arbitrale. Oppure si immaginino fattispecie che rendono impossibile lo svolgimento dell’ufficio. In queste ipotesi trova applicazione il § 1038 ZPO già illustrato sopra. Un’altra fattispecie in cui viene meno il contratto tra l’arbitro e i litiganti si realizza quando il primo viene ricusato con successo. La ricusazione dell’arbitro e il procedimento di ricusazione sono regolati dai §§ 1036 e 1037 ZPO. Le vicende concernenti i contendenti non sono invece idonee, almeno in linea di principio, a produrre effetti sul contratto arbitri-litiganti. Si pensi all’ipotesi in cui uno dei due contraenti muoia nel corso del procedimento arbitrale. In questo caso il processo continua nella persona del successore del defunto. L’evento morte non intacca la sostanza del rapporto arbitri-litiganti (43). Note: (42) Cfr. Albers, op. cit., Appendice al § 1035, Rn. 15; Schwytz, op. cit., 18; Voit, op. cit., § 1035 Rn. 29 Zimmermann, op. cit., § 1035 Rn. 8. (43) Voit, op. cit., § 1035 Rn. 28. I CONTRATTI N. 8-9/2005 837 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•SINTESI Osservatorio comunitario a cura di ELENA BIGI Studio Legale De Berti Jacchia Franchini Forlani - Bruxelles Convenzione di Bruxelles La Corte di Giustizia si esprime in due sentenze sulla competenza giurisdizionale in materia di contratti assicurativi Corte di Giustizia CE, sentenza del 12 maggio 2005, causa C-112/03, Société financière et industrielle du Peloux/Axa Belgium e a. Con decisione del 20 febbraio 2003, la Cour d’Appel de Grenoble (Francia) ha adito in via pregiudiziale la Corte di giustizia delle Comunità Europee ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, punto 3 della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale («la Convenzione di Bruxelles») (1). Tale disposizione prevede la possibilità di derogare, tramite una convenzione conclusa tra il contraente dell’assicurazione e l’assicuratore, alle regole di competenza giurisdizionale in materia di assicurazione fissate dalla Convenzione stessa (2). In particolare, il paragrafo 3, dell’art. 12, permette all’assicuratore e al contraente dell’assicurazione che hanno il domicilio o risiedono abitualmente nel medesimo Stato contraente al momento della conclusione del contratto, di attribuire convenzionalmente la competenza al giudice di tale Stato, anche nel caso in cui l’evento dannoso si produca all’estero e sempre che la legge di quest’ultimo non vieti dette convenzioni. La questione interpretativa è stata sollevata nell’ambito del procedimento, fondato su un ricorso per incompetenza, pendente dinanzi alla Cour d’appel de Grenoble, tra la Société financière et industrielle du Peloux (in seguito: «SFIP»), società di diritto francese, e una serie di società assicurative francesi e belghe (3), in merito all’efficacia di una clausola di proroga della giurisdizione nel contesto dell’azione di garanzia promossa dalla SFIP contro i suoi assicuratori nell’ambito di una polizza gruppo. In particolare, la SFIP forniva nel 1990 dei pannelli ad un’impresa appaltatrice della costruzione di un centro di produzione di formaggi (Calland Realisations); l’appaltante (Laiterie du Chatelard) rilevava difetti di progettazione e di fabbricazione nei suddetti pannelli che rendevano i locali inidonei alla loro destinazione, provocando ingenti danni economici. La SFIP era assicurata, all’epoca dei fatti, presso le succitate società assicurative francesi e, in quanto filiale della società di diritto belga Recticel, anche presso vari assicuratori belgi, che prestavano garanzia sulla base di una polizza gruppo sottoscritta dalla Recticel ed estesa alla SFIP. Tale contratto di assicurazione prevedeva che, in caso di controversie, la compagnia si sarebbe assoggettata alla giurisdizione del foro del domicilio del sottoscrittore della polizza gruppo (la Recticel). Nel 2001 la Laiterie du Chatelard conveniva in giudizio la SFIP, la Calland e le relative compagnie assicuratrici dinanzi al Tribunal de Grande Instance de Bourgoin-Jallieu (Francia), il quale, a seguito dell’eccezione d’incompetenza sollevata dalle compagnie assicuratrici belghe chiamate in garanzia dalla SFIP, rinviava la causa al Tribunal de première instance de Bruxelles, perché si deliberasse in merito alle domande della SFIP nei confronti di tali compagnie. La SFIP proponeva allora ricorso per incompetenza dinanzi alla Court d’appel de Grenoble, sostenendo Note: (1) GUCE L 299 del 21 dicembre 1972, 32. Il testo consolidato della Convenzione comprende le modifiche apportate dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, 1, e - testo modificato - 77), dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all’adesione della Repubblica ellenica (GU L 388, 1), dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, 1) e dalla Convenzione 29 novembre 1996 relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (GU 1997, C 15, 1). Occorre inoltre ricordare che, a partire dall’1° marzo 2002, la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, in GUCE L 12 del 16 gennaio 2001, 1, che ha in pratica «comunitarizzato» la materia della competenza giurisdizionale e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale tra gli Stati membri dell’UE (eccetto la Danimarca, a cui continua ad applicarsi la Convenzione di Bruxelles). (2) Tali regole, contenute in particolare negli artt. 8 e 9 della Convenzione, prevedono che l’assicuratore domiciliato nel territorio di uno Stato membro possa essere convenuto dinanzi al giudice dello Stato in cui è domiciliato, oppure in un altro Stato membro dinanzi al giudice del luogo ove ha domicilio il contraente dell’assicurazione, oppure, se si tratta di un coassicuratore, dinanzi al giudice dello Stato membro presso il quale sia stata proposta l’azione contro l’assicuratore delegato della coassicurazione. Nel caso si tratti di assicurazione per responsabilità civile, l’assicuratore potrà altresì essere convenuto dinanzi al giudice del luogo ove si è verificato l’evento dannoso. (3) In particolare, Axa Belgium, Zurich Assurances, AIG Europe, Fortis Corporate Insurance, Gerling Konzern Belgique, Axa Corporate Solutions Assurance e Zurich International France. 838 I CONTRATTI N. 8-9/2005 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•SINTESI l’inopponibilità nei suoi confronti della clausola attributiva di competenza contenuta in un contratto da essa non sottoscritto. Il giudice di rinvio riteneva opportuno sospendere il procedimento per rivolgersi alla Corte di Giustizia europea, chiedendo se una clausola di proroga di competenza, stipulata in conformità all’art. 12, punto 3, della Convenzione di Bruxelles in un contratto assicurativo per conto di chi spetta concluso tra un contraente dell’assicurazione e un assicuratore, sia efficace nei confronti dell’assicurato beneficiario di detto contratto che non abbia espressamente sottoscritto la clausola in questione e che abbia domicilio in un altro Stato contraente diverso da quello dello stipulante dell’assicurazione e dell’assicuratore. Nel risolvere la questione prospettatale, la Suprema Corte osserva preliminarmente che la Convenzione del 1968 va interpretata alla luce dei suoi obiettivi specifici, dei principi generali e del suo collegamento con il Trattato CE (4); a tale proposito, la Convenzione prevede, alla sezione 3 del titolo II, un sistema autonomo di ripartizione delle competenze giurisdizionali in materia di assicurazioni (5). Secondo una giurisprudenza costante (6), tale sistema, offrendo all’assicurato una gamma di competenze più estesa di quella offerta all’assicuratore ed escludendo qualsiasi possibilità di stabilire una clausola di proroga della competenza a favore di quest’ultimo, è volto alla tutela dell’assicurato, considerato come la parte economicamente più debole, che si trova nella maggior parte dei casi di fronte a contratti predeterminati le cui clausole non possono più essere oggetto di trattative. Inoltre, in materia di contratti assicurativi, l’obiettivo di tutela della persona economicamente più debole è altresì garantito mediante l’introduzione di limiti all’autonomia contrattuale delle parti per quanto riguarda la proroga di competenza. In tal senso, l’art. 12 della Convenzione contiene un elenco tassativo delle ipotesi in cui le parti possono derogare alle regole di competenza generali, ipotesi che, secondo la Corte, devono essere restrittivamente interpretate. In particolare, la clausola di proroga di competenza rilevante nel caso a quo e prevista dall’art. 12.3 è ammessa dalla Convenzione in quanto non priva la parte più debole del contratto, l’assicurato, di adeguata protezione, consentendogli di rinunciare ad agire innanzi al giudice del luogo in cui si è verificato l’evento dannoso ma non innanzi al giudice del suo stesso domicilio (7). Relativamente all’applicazione di una tale clausola al beneficiario assicurato, la Corte del Lussemburgo rileva che, tacendo la Convenzione in proposito, la possibilità di una sua applicazione dipende dal rispetto dell’obiettivo della Convenzione stessa di tutela del contraente più debole. Orbene, l’opponibilità di tale clausola comporterebbe gravi conseguenze per un assicurato beneficiario che non l’abbia sottoscritta e che sia domiciliato in un altro Stato contraente. Infatti, secondo i giudici comunitari, essa priverebbe, da un lato, tale assicurato della possibilità di adire sia il giudice del luogo dell’evento dannoso sia quello del proprio domicilio, obbligandolo a coltivare le proprie pretese nei confronti dell’assicuratore davanti al giudice del domicilio di quest’ultimo; dall’altro lato, consentirebbe all’assicuratore, nell’ambito di un’azione contro l’assicurato beneficiario, di adire il giudice del proprio domicilio. Una siffatta interpretazione condurrebbe quindi ad accettare una proroga di giurisdizione a favore dell’assicuratore e ad ignorare l’obiettivo della tutela della persona economicamente più debole, nel caso di specie l’assicurato beneficiario. Alla luce di quanto sopra esposto la Corte di Giustizia conclude la sua pronuncia affermando che: ´Una clausola attributiva di competenza, stipulata conformemente all’art. 12, punto 3, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all’adesione della Repubblica ellenica, dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese e dalla Convenzione 29 novembre 1996, relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia, non è opponibile all’assicurato beneficiario di tale contratto che non abbia espressamente sottoscritto la suddetta clausola e con domicilio in uno Stato contraente diverso da quello del contraente dell’assicurazione e dell’assicuratore». Note: (4) Cfr. in tal senso, C. Giust. CE 6 ottobre 1976, causa 12/76, Tessili, punto 9. (5) Cfr. artt. 8 e 9 citati supra nota 2. (6) C. Giust. CE 14 luglio 1983, causa 201/82, Gerling e a., punto 17, e C. Giust. CE 3 luglio 2000, causa C-412/98, Group Josi, punto 64. (7) Pertanto, benché il principio di autonomia delle parti consenta al contraente dell’assicurazione di rinunciare a una delle due forme di tutela attribuite dalla Convenzione, tuttavia, a causa dell’inderogabilità dell’obiettivo di tutela della persona economicamente più debole, tale autonomia non è talmente ampia da includere la possibilità per il suddetto contraente di rinunciare alla competenza del giudice del luogo in cui ha il domicilio. Cfr., in via analogica in materia di tutela dei consumatori, C. Giust. CE 20 gennaio 2005, causa C-464/01, Gruber, punto 34. I CONTRATTI N. 8-9/2005 839 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•SINTESI Corte di Giustizia CE, sentenza del 26 maggio 2005, causa C-77/04, GIE Réunion européenne e.a./Zurich España e Soptrans Con decisione del 20 gennaio 2004, la Cour de Cassation (Francia) ha adito in via pregiudiziale la Corte di Giustizia delle Comunità europee ai fini dell’interpretazione dell’art. 6, punto 2 e delle disposizioni della sezione 3 del titolo II della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale («la Convenzione di Bruxelles») (8). L’art. 6 e la sezione 3 del titolo II della Convenzione prevedono regole di competenza speciale che costituiscono una deroga al criterio generale che lega il foro al domicilio del convenuto, criterio sancito nell’art. 2, primo comma, della Convenzione. In particolare, l’art. 6, punto 2, ammette che, nel caso di un’azione di garanzia o di una chiamata di un terzo nel processo, un convenuto può essere citato davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, purché quest’ultima non sia stata proposta per distogliere il convenuto dal giudice naturale del medesimo. La sezione 3 del titolo II della Convenzione, formata dagli artt. 7-12 bis, è dedicata invece alle norme sulle competenze speciali in materia d’assicurazioni (9). La questione pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia avente ad oggetto una chiamata in garanzia da parte degli assicuratori della Société pyrénéenne de transit d’automobiles (in seguito: la «Soptrans») contro la società Zurich España, per la ripartizione tra tali compagnie d’assicurazione del risarcimento dovuto dalla Soptrans alla società General Motors Espagne (in seguito: la «GME»). Nel caso di specie, la Soptrans, società con sede in Francia, è la proprietaria di un parcheggio nel quale custodisce le automobili nuove destinate alla vendita e al trasporto in Europa. Per i danni causati a tali veicoli, essa è assicurata presso le compagnie GIE (gruppo di interesse economico) Réunion européenne, Axa, Winterthur, Le Continent e Assurances mutuelles de France (in seguito: «gli assicuratori»), tutte con sede o con una succursale in Francia. La controversia nella causa a quo trae origine da un sinistro avvenuto nel parcheggio della Soptrans, a seguito del quale venivano danneggiati alcuni veicoli appartenenti alla GME, all’epoca assicurata presso Zurich España, con sede in Spagna. Nell’ambito di un procedimento dinanzi al tribunale di Saragozza (Spagna), l’azione proposta dalla GME portava ad un accordo con la Soptrans, in base al quale quest’ultima s’impegnava a versare ESP 120 milioni di risarcimento alla proprietaria dei veicoli danneggiati. La Soptrans citava in parallelo i propri assicuratori dinanzi al Tribunal de Grande Instance di Perpignano (Francia), affinché garantissero le conseguenze dell’azione intentata nei propri confronti dinanzi al giudice spagnolo. Tali assicuratori a loro volta chiamavano in garanzia la Zurich España dinanzi al detto tribunale, secondo quanto previsto dal codice delle assicurazioni francese, il quale consente all’assicuratore, convenuto in giudizio dall’assicurato, di chiamare in garanzia, facendo valere un cumulo di assicurazioni, gli altri assicuratori allo scopo di ottenere il loro contributo al risarcimento dell’assicurato. La Zurich España rivendicava la competenza del tribunale di Barcellona, luogo della sua sede sociale. A tale riguardo, il Tribunal de Grande Instance di Perpignano dichiarava che i giudici francesi erano competenti in base all’art. 6, punto 2, della Convenzione. La Zurich España impugnava tale decisione dinanzi alla Cour d’Appel de Montpellier, la quale, ritenendo che, nella fattispecie, si applicassero solamente le disposizioni della sezione 3, titolo II della Convenzione, dichiarava i giudici francesi incompetenti a conoscere della chiamata in garanzia proposta dagli assicuratori. Questi ultimi proponevano allora ricorso contro tale sentenza dinanzi al giudice di rinvio, il quale ha ritenuto necessario sospendere il procedimento e rivolgersi alla Corte di Giustizia europea per chiarire la questione, chiedendo se una chiamata in garanzia tra assicuratori, fondata su un cumulo di assicurazioni, debba essere assoggettata alle disposizioni della sezione 3 del titolo II della Convenzione e se la competenza del giudice nel caso di specie debba essere determinata sulla base dell’art. 6, punto 2 della medesima Convenzione. Nella sua pronuncia, la Corte precisa innanzitutto come, secondo una giurisprudenza costante (10), dall’esame delle disposizioni della sezione 3 del titolo II della Convenzione e alla luce dei lavori preparatori, risulta che, offrendo all’assicurato una gamma di competenze più estesa di quella offerta all’assicuratore ed escludendo qualsiasi possibilità di stabilire una clausola di proroga della competenza a favore di quest’ultimo, le dette disposizioni sono ispirate ad una preoccupazione di tutela dell’assicurato, che è la persona economicamente più debole. Tale funzione di tutela del contraente ritenuto economicamente più debole e giuridicamente meno esperto implica che le Note: (8) GUCE L 299 del 21 dicembre 1972, 32. Il testo consolidato della Convenzione, conseguente alle modifiche dovute alle adesioni di Austria, Finlandia e Svezia alla Comunità europea, si trova in GUCE C 27 del 26 gennaio 1998, 1. Va inoltre rammentato che, a partire dall’1° marzo 2002, la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita dal Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, in GUCE L 12 del 16 gennaio 2001, 1, che ha in pratica «comunitarizzato» la materia della competenza giurisdizionale e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale tra gli Stati membri dell’UE (eccettuata la Danimarca, a cui continua ad applicarsi la Convenzione di Bruxelles). (9) Per una breve descrizione della disciplina si veda, supra, nota 2. (10) Si vedano C. Giust. CE 14 luglio 1983, causa C-201/82, Gerling e.a., punto 17 e C. Giust. CE 13 luglio 2000, causa C-412/98, Group Josi, punto 64. 840 I CONTRATTI N. 8-9/2005 CONTRATTI E UNIONE EUROPEA•SINTESI norme sulla competenza speciale all’uopo previste dalla Convenzione non siano estese a favore di persone per le quali tale protezione non appare giustificata (11). Nel caso di specie, conformemente sia alla lettera che allo scopo delle disposizioni di cui trattasi, non sembra giustificata alcuna tutela speciale per quanto attiene ai rapporti tra assicuratori nell’ambito di una chiamata in garanzia, in quanto, secondo i giudici comunitari, nessuno di essi si trova in una posizione di debolezza rispetto all’altro. Tale interpretazione è confortata, in particolare, dagli artt. 8, 10 e 12 della Convenzione, i quali riguardano chiaramente le azioni proposte da un contraente dell’assicurazione, da un assicurato o da una persona lesa, e dall’art. 11 della medesima Convenzione, che si riferisce alle azioni proposte contro un contraente dell’assicurazione, un assicurato o un beneficiario. Per quanto concerne invece l’applicazione dell’art. 6, punto 2, della Convenzione alla causa a quo, la Suprema Corte constata che le azioni proposte dalla Soptrans e dagli assicuratori dinanzi al Tribunal de Grande Instance di Perpignano devono essere considerate, rispettivamente, una domanda principale ed un’azione di garanzia, ai sensi dell’art. 6, punto 2, della Convenzione (12). Nel caso di specie, ai fini dell’applicazione dell’art. 6, punto 2, della Convenzione, l’azione di garanzia non deve essere proposta al solo scopo di distogliere il convenuto dal suo giudice naturale. A tale riguardo, spetta al giudice nazionale investito della domanda principale verificare l’esistenza di un nesso sufficiente tra tale domanda e l’azione di garanzia che escludere la violazione delle norme sul foro competente. Nella fattispecie, i giudici del Lussemburgo rilevano che l’esistenza di un nesso tra le due azioni inerisce alla nozione stessa di azione di garanzia: esiste infatti una relazione intrinseca tra un’azione diretta contro un assicuratore per il risarcimento degli effetti di un evento da esso assicurato ed il procedimento con cui tale assicuratore cerca di far contribuire un altro assicuratore che si ritiene abbia coperto il medesimo evento. Infine, la Corte aggiunge che, in materia di azione di garanzia, l’art. 6, punto 2, della Convenzione si limita ad individuare il giudice competente e non riguarda affatto le condizioni di ammissibilità propriamente dette e che, per quanto concerne le norme processuali, occorre fare riferimento alle norme nazionali applicabili dal giudice nazionale, le quali tuttavia non devono compromettere l’effetto utile della Convenzione (13). Sulla base di tali considerazioni, la Corte di giustizia risolve le questioni ad essa sottoposte concludendo che: «1) Una chiamata in garanzia tra assicuratori, fondata su un cumulo di assicurazioni, non è assoggettata alle disposizioni della sezione 3 del titolo II della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come modificata dalla convenzione 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla convenzione 25 ottobre 1982 relativa all’adesione della Repubblica ellenica, dalla convenzione 26 maggio 1989 relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese e dalla convenzione 29 novembre 1996 relativa all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia. 2) L’art. 6, punto 2, della detta Convenzione si applica a una chiamata in garanzia, fondata su un cumulo d’assicurazioni, purché sussista un nesso tra la domanda principale e l’azione di garanzia, che escluda la violazione delle norme sul foro competente». Note: (11) Cfr. sentenza Group Josi, cit., punto 65. (12) Questa interpretazione è corroborata dalla relazione sulla Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, presentata dal sig. Jenard (GUCE del 5 marzo 1979, C 59, 1), secondo la quale l’azione di garanzia è definita come la causa «che il convenuto della causa principale propone contro un terzo allo scopo di restare estraneo agli effetti del giudizio». (13) Si veda C. Giust. CE, 15 maggio 1990, causa C-365/88, Hagen, punti 18 e 19. I CONTRATTI N. 8-9/2005 841 ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE Note in tema di foro del consumatore di GIOVANNA CAPILLI L’Autrice analizza la problematica dell’interpretazione dell’art. 1469 bis, n. 19, del Codice civile, in tema di foro del consumatore, attraverso un excursus della dottrina e della giurisprudenza in materia, con particolare riferimento alla soluzione offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 14699/03. Introduzione C on l’ordinanza n. 14669 del 2003, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, in seguito ai numerosi dibattiti degli ultimi anni, composto il contrasto giurisprudenziale che ha avuto ad oggetto la norma contenuta nell’art.1469 bis, n. 19 disciplinante il foro del consumatore ed in base alla quale si presume siano vessatorie le clausole contrattuali che hanno per effetto di stabilire, come sede del foro competente, località diverse da quelle del luogo della residenza o del domicilio eletto del consumatore. La formulazione della norma è risultata piuttosto oscura agli occhi degli interpreti, soprattutto tenuto conto di quanto stabilito dal legislatore nella disciplina sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali in cui è stata stabilita l’inderogabilità della competenza territoriale del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore se ubicati nel territorio dello Stato. L’ordinanza citata è stata emessa a fronte di una controversia sorta tra un privato che nel 1994 aveva stipulato nel suo luogo di residenza con una società a responsabilità limitata un contratto preliminare di compravendita di una quota di comproprietà di un residence sito nel comune di Mezzana. Il promissario acquirente si rifiutava di concludere il contratto definitivo giacché venivano richieste ulteriori somme rispetto al prezzo pattuito; in considerazione del fatto che una clausola del contratto gli attribuiva il diritto di ricevere in restituzione, in caso di recesso, la metà del prezzo versato, con ricorso depositato il 9 giugno 1998, chiedeva al Tribunale di Bari sulla base dell’art. 1469 bis, terzo comma, n. 19, Codice civile, introdotto con la Legge n. 52/1996 successivamente alla stipula del preliminare, di ingiungere alla società il pagamento della relativa somma. Quest’ultima in sede di opposizione al decreto ingiuntivo sollevava l’eccezione di incompetenza per territorio invocando la clausola n. 11 del contratto, approvata per iscritto, con cui veniva indicato quale foro esclusivamente competente quello di Milano. Il tribunale di Bari accoglieva l’eccezione dichiarandosi incompetente sul presupposto di non poter applicare al caso sottopostogli la disciplina introdotta dopo la conclusione del contratto preliminare in base al principio di irretroattività della legge sancito dall’art. 11, primo comma, preleggi. Avverso tale decisione il promissario acquirente promuoveva il regolamento di competenza e poiché il ricorso presentava una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici (1), veniva assegnato dal primo Presidente alle Sezioni Unite. La pronuncia in esame verte sull’interpretazione dell’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, Codice civile chiarendone la natura e la portata che sono state oggetto di giudizi difformi da parte della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, e della dottrina. Tale norma, come si è accennato, è stata introdotta, con l’intero capo XIV-bis, nel titolo secondo del libro quarto Nota: (1) L’orientamento della seconda sezione della Corte di Cassazione è espresso dalla sentenza 22 novembre 2000 n. 15101, in Rep. Foro it., 2001, voce Contratto in genere, n. 319 (commentata da Farkas, Profili temporali in tema di foro competente nei contratti dei consumatori, in questa Rivista, 2001, 785; da Pattay, Contratti conclusi dai consumatori: l’efficacia della clausola vessatoria, in Dir. e prat. soc., 2001, 52) con la quale la Corte ha attribuito natura sostanziale alla regola dettata dal n. 19 dell’art.1469 bis con la conseguente inapplicabilità ai giudizi che si riferivano a rapporti sorti in epoca precedente alla introduzione della nuova disciplina sulle clausole vessatorie. L’orientamento della terza sezione è espresso dalla ordinanza della S.C. 24 luglio 2001, n. 10086, in Rep. Foro it., 2001, voce Competenza civile, n. 115 (commentata da Conti, La Cassazione chiude le porte al foro esclusivo del consumatore?, in Corr. giur., 2001, 1436; Capilli, Il foro del consumatore ex art. 1469 bis n. 19, in questa Rivista, 2001, 1077; De Cristofaro, La tutela processuale del consumatore tra volontà di espansione ed opzioni conservative: contrasti in cerca di assestamento nella giurisprudenza della Suprema corte, in Resp. civ., 2002, 217) che aveva stabilito che nel caso in cui fosse stata dichiarata inefficace la clausola attributiva della competenza, stante l’efficacia per il resto del contratto («ex» art. 1469 quinquies Codice civile), sarebbero divenuti pienamente operativi i fori generali, di cui agli art. 18 e 19 Codice di procedura civile, ed il foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione, di cui all’art. 20 Codice di procedura civile. L’orientamento della prima sezione espresso dalla sentenza 28 agosto 2001, n. 11282 è quello che è risulta essere seguito dalle Sezioni Unite laddove si riconosce la configurabilità di un’ipotesi di competenza territoriale esclusiva e l’immediata applicabilità di tale criterio nei procedimenti instaurati dopo la novella. I CONTRATTI N. 8-9/2005 821 ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE del codice civile dalla Legge 6 febbraio 1996, n. 52 in attuazione della direttiva CEE 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (2). È opportuno precisare, al riguardo, che l’allegato della direttiva il quale contiene un elenco di clausole che possono dichiararsi abusive non menziona quelle che abbiano per oggetto o per effetto di «stabilire come sede del foro competente sulle controversie, derivanti da contratti stipulati tra il consumatore e il professionista, località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore» (3). La disposizione de qua, pertanto, è espressione del potere attribuito dall’art. 8 della direttiva 93/13 agli Stati membri di «adottare o mantenere nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore». Il legislatore italiano ritenendo insufficiente la precedente disciplina rappresentata dall’art. 1341, secondo comma, Codice civile laddove dispone che «in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, …deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria» ha preferito aggiungere una nuova disposizione in tema di foro del consumatore (4). Tale scelta si giustifica, in primo luogo, per il più limitato ambito oggettivo di applicazione dell’art. 1341 Codice civile, in quanto applicabile esclusivamente alle ipotesi di predisposizione unilaterale delle clausole generali; in secondo luogo per il più debole criterio di tutela offerto da quest’ultimo, ossia la doppia sottoscrizione (5). Sono diversi i profili per cui l’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, Codice civile è stato oggetto di interpretazioni contrastanti sia in dottrina che in giurisprudenza, da un lato sotto il profilo dell’applicabilità della nuova disciplina ai contratti stipulati anteriormente; dall’altro, sotto il profilo della portata della disposizione, ossia se abbia introdotto o meno un foro esclusivo del consumatore, sebbene derogabile, sostituendolo ai criteri di competenza territoriale previsti dal codice di procedura civile. Ius superveniens I l problematico rapporto tra contratti stipulati anteriormente e ius superveniens è stato affrontato ora nel senso di verificare se, perdurando il rapporto contrattuale sorto anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, quest’ultima possa negare efficacia a quelle clausole relative ad aspetti del contratto divenuti attuali in un momento successivo; ora distinguendo le clausole considerate presuntivamente vessatorie dalla nuova normativa sulla base della natura sostanziale o processuale delle medesime. L’eventuale qualificazione processuale comporta, infatti, un regime del tutto differente nell’ambito del diritto intertemporale, atteso che verrebbe in considerazione l’art. 5 Codice di procedura civile e non l’art. 11 delle preleggi. Il primo approccio è stato seguito dalla sentenza del Su- 822 I CONTRATTI N. 8-9/2005 premo Collegio del 29 novembre 1999 n. 13339 (6), che, pur avendo ad oggetto non una clausola relativa alla competenza bensì una clausola compromissoria, prevista dall’art. 1469-bis, terzo comma, n. 18, Codice civile, senza distinguere la natura della predetta clausola, ha risolto il problema di diritto intertemporale affermando che «la validità - o meno - di qualsiasi contratto - in difetto di una eventuale norma espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore - deve essere sempre riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione (e non a quello della sua applicazione o della sua verifica giudiziale)». La predetta pronuncia è stata ritenuta (7) alquanto insoddisfacente per essersi conformata all’impostazione tradizionale, ormai superata, secondo la quale il regolamento contrattuale non possa essere in tutto o in parte travolto da una sopravvenuta modifica normativa incidente sulla validità del rapporto negoziale. Note: (2) Tra i numerosi commenti si veda: Alpa, Per il recepimento della direttiva comunitaria sui contratti dei consumatori, in questa Rivista, 1994, 113; Barenghi (a cura di), La nuova disciplina delle vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; Bianca-Alpa (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati dai consumatori, Padova 1996; Carbone, La tutela del consumatore: le clausole abusive, in Corr. giur., 1996, 250; Cian, Il nuovo capo XIVbis (titolo II, libro IV) del Codice civile, sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium iuris, 1996, II, 411; De Nova, Le clausole vessatorie, Milano, 1996; Minervini, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, in Consumatori oggi, collana diretta da Mario Bessone e Pietro Perlingeri, Esi, 1999; Poddighe, I contratti con i consumatori, la disciplina delle clausole vessatorie, in Il diritto privato oggi, serie a cura di Paolo Cendon, Milano, 2000; Alpa-Patti (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Milano, 2003. (3) L’allegato della direttiva si limita a contemplare, infatti, alla lettera q), «le clausole che hanno per oggetto o per effetto di sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizione giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto». (4) Una simile formulazione era stata adottata dal Progetto di recepimento della direttiva comunitaria elaborato dalla commissione per la tutela dei consumatori istituita presso il ministero degli affari sociali, il c.d. progetto Contri (in appendice a AA.VV., Le clausole abusive, a cura di Bianca di Alpa, cit.), secondo cui «si presumono vessatorie le clausole che hanno per oggetto o per effetto di …derogare alla competenza per territorio dell’autorità giudiziaria ordinaria», e dal Disegno di legge presentato dal governo alla camera dei deputati il 16 gennaio 1995 con il n. 1882 «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle comunità europee - Legge comunitaria 1994 (in appendice a AA.VV., Le clausole abusive, a cura di Bianca e di Alpa, cit.) secondo cui «si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di sancire a carico del consumatore … deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria». (5) Sul punto diffusamente, Vaccarella, Il problema del foro competente tra «professionista» e «consumatore», in Doc. giust., 1996, II, 1709; Lapertosa, Profili processuali della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con il consumatore, in Riv. dir. proc., 1998, 712. (6) Si può leggere in Corr. giur., 2000, II, 1219. Tale sentenza rappresenta la prima pronuncia di legittimità sul regime transitorio in tema di clausole abusive. (7) Sul punto, v. Conti, Commento a Cass. 29 novembre 1999, n. 13339, in Corr. giur., II, 1220 e ss. ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE È, infatti, opinione pacificamente condivisa (8), che lo ius superveniens implicante limitazioni dell’autonomia privata, possa incidere sui contratti sorti anteriormente ed in corso di esecuzione, facendone caducare, in tutto o in parte, gli effetti non ancora verificatisi al momento dell’entrata in vigore della legge successiva (9). Sulla questione di diritto transitorio relativa alla Legge n. 52 del 1996, peraltro, autorevole dottrina (10) si era già espressa nel senso dell’applicabilità della nuova disciplina ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, sebbene limitatamente a quegli effetti realizzatisi sotto la sua vigenza. Tale orientamento si giustifica alla luce delle finalità protezionistiche della normativa comunitaria in materia di contratti stipulati tra professionista e consumatore che per realizzarsi richiedono necessariamente un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (11), quale il legislatore mediante la previsione di sostituzione automatica di clausole o di inefficacia delle medesime o il giudice mediante le clausole generali della buona fede e dell’equità (12) che gli consentono di intervenire nel rapporto contrattuale al fine di stabilire una posizione di sostanziale parità tra i contraenti. L’approccio che distingue la natura sostanziale o processuale della clausola di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 19, Codice civile è stato seguito da una pronuncia successiva della sezione seconda della Suprema Corte (13), la quale, tuttavia, ha confermato la natura sostanziale della medesima escludendone, di conseguenza, l’immediata applicabilità ad un rapporto sorto prima dell’entrata in vigore della novella. La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la ratio della disciplina di cui agli artt. 1469-bis Codice civile e ss. in cui si iscrive anche la suddetta clausola, affermando che la disposizione di cui all’art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, Codice civile «essendo ricompresa nell’ambito di una normativa ispirata alla salvaguardia dei diritti del consumatore nei contratti conclusi con il professionista…istituisce un criterio legale in ordine alla determinazione della competenza territoriale finalizzato a riverberare i suoi effetti sul piano della tutela sostanziale avendo il legislatore ritenuto che il foro di residenza o di domicilio elettivo del consumatore si configura come una garanzia di riequilibrio delle rispettive posizioni delle parti contraenti». Al riguardo, è stato osservato (14), che la collocazione topografica di una norma non può condizionare la qualificazione della medesima (15). È indubbio, infatti, che numerose norme dall’evidente carattere processuale siano contenute in fonti diverse dal codice di rito civile. Peraltro, non potrebbe pretendersi da parte del legislatore una rigorosa distinzione per settori nella produzione normativa. Anche la finalità protezionistica di una norma è irrilevante ai fini della sua qualificazione giacché le norme processuali possono avere una ratio garantistica a partire da quelle che statuiscono sulla competenza, atteso che le medesime sono dettate dall’esigenza di tutelare una posizione processuale ritenuta meritevole di maggiori garanzie rispetto ad un’altra (16). L’interpretazione della norma P er quanto riguarda il profilo della portata della disposizione in esame in dottrina ed in giurisprudenza si sono contrapposti nel tempo due orientamenti. Secondo il primo orientamento (17) la disposizione de qua prevede un’ipotesi di vessatorietà presunta per cui Note: (8) Tra coloro che hanno dedicato ampie riflessioni al tema dell’eteroregolamentazione legale dei negozi di diritto privato, v. Saracini, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, 88 e ss.; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, 44 e ss.; v. anche Di Marzio, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola interessi, in Giust. civ., 2000, III, 3108. V., in particolare, Cass. 1° febbraio 1999, n. 827, in Giur. it., 1999, 1223 e ss., con nota di Libonati; in questa pronuncia, la Corte, affrontando il delicato tema della validità delle intese restrittive della concorrenza stipulate prima dell’entrata in vigore della legislazione antitrust, ha affermato che «vi è un punto fermo circa la potestà del legislatore di innovare la disciplina dei rapporti in corso». (9) Vi è, tuttavia, un forte contrasto tra gli interpreti in ordine alla qualificazione giuridica da assegnare all’incidenza, sui rapporti contrattuali in corso, dell’eteroregolamentazione normativa successiva. Al riguardo, si contrappongono due orientamenti. Da un lato, vi è chi ravvisa in detta sopravvenienza un’ipotesi di nullità sopravvenuta del contratto v., Donisi, In tema di nullità sopravvenuta del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 773 e ss.; Saracini, op. cit., 112; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 611. Dall’altro, vi è chi, contestando l’ammissibilità della nullità sopravvenuta e, più in generale, della c.d. invalidazione successiva dei negozi giuridici, inquadra il fenomeno nella categoria dell’inefficacia sopravvenuta del contratto tra questi v., Inzitari, Autonomia privata e controllo pubblico nel rapporto di locazione, Napoli, 1979, 165; Mariconda, La nullità del contratto, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Bigiavi, diretta da Alpa e Bessone, I contratti in generale, IV, Torino, 1991, 362; Di Marzio, Il trattamento dell’usura sopravvenuta tra validità, illiceità e inefficacia della clausola interessi, cit., 3103. (10) V., Bianca, Commentario alla legge 6 febbraio 1996, n. 52, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 755; Lener, Nota a sentenza Trib. Palermo 7 aprile 1998, in Foro it., 1998, 1639. (11) V., al riguardo, Corte di Giustizia 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, in Giur. it., 2001, I, 9. (12) Cfr. Riccio, Il controllo giudiziale della libertà contrattuale: l’equità correttiva, in Contratto e impresa, 1999, 939. (13) Cass. 22 novembre 2000, n. 15101, in questa Rivista, 2001, 785, con nota di Farkas. (14) V. Senigaglia, Nota a sentenza 28 agosto 2001, n. 11282, in questa Rivista, 2002, 5. (15) Diffusamente sull’argomento, v. La China, Norma (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 411 e ss. (16) In tal senso v. Cass. 28 agosto 2001, n. 11282, in questa Rivista, 2002, 5 e ss. (17) Cfr. De Nova, Le clausole vessatorie , cit., 27; Cian, Il nuovo capo XIVbis, cit., 425; Tommaseo, Art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, in AA.VV., Le clausole vessatorie nei contratti del consumatore, a cura di Alpa e Patti, Milano, 2003, 631 e ss.; Consolo-De Cristofaro, Clausole abusive e processo, in Corr. giur., 1997, I, 468. In giurisprudenza v. Cass. 24 luglio 2001, n. 10086, ivi, 2001, II, 1436 e ss.; Conc. Venezia 26 novembre 1996, in Foro pad., 1996, 403. I CONTRATTI N. 8-9/2005 823 ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE un’eventuale clausola difforme dai criteri legali di competenza territoriale si deve presumere vessatoria qualora non indichi quale sede del foro competente per le controversie la località di residenza o di domicilio elettivo del consumatore. Da questa interpretazione deriva che l’eventuale inefficacia di una clausola che preveda come foro competente una località diversa da quella della residenza o del domicilio elettivo del consumatore - e che non sia uno dei fori previsti dal codice di rito - comporterebbe il ricorso ai criteri legali di competenza territoriale. Anche qualora le parti non stabiliscano un foro convenzionale si applicherebbero sempre i criteri legali. Le motivazioni addotte a sostegno della suddetta interpretazione sono diverse. Anzitutto, si sostiene che dalla costruzione sintattica della disposizione in esame non si evince un esplicito riferimento all’introduzione di un foro esclusivo a differenza di altre ipotesi in cui il legislatore lo ha fatto espressamente. Si vedano, al riguardo, l’art. 12 del D. Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 che ha attuato la direttiva n. 577/85 in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; l’art. 10 del D. Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 che ha attuato la direttiva 94/47 in materia di multiproprietà; l’art. 14 del D. Lgs. 22 maggio 1999, n. 185 che ha attuato la direttiva 97/7 relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza. Tutte le disposizioni citate, infatti, prevedono espressamente che per le controversie civili inerenti all’applicazione dei relativi decreti la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato. Un altro argomento a sostegno dell’orientamento che esclude la previsione di un foro esclusivo per il consumatore è rappresentato dall’art. 1469-ter, terzo comma, Codice civile secondo il quale «non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge». Si osserva, infatti, che la coesistenza della disposizione n. 19 dell’art. 1469 bis, terzo comma, Codice civile con il suddetto articolo esclude la vessatorietà di una clausola contrattuale che preveda come foro competente uno di quelli previsti dagli artt. 18, 19 e 20 del codice di rito civile, come ad esempio il forum destinatae solutionis. Se così non fosse si attribuirebbe alla disposizione n. 19 dell’art. 1469 bis, terzo comma una portata abrogante dei suddetti articoli del codice di procedura civile. Secondo un diverso orientamento (18) la disposizione de qua introduce un foro esclusivo del consumatore, che si sostituisce ai criteri del codice di rito, sebbene sia derogabile qualora la clausola che stabilisce un foro convenzionale diverso sia stata oggetto di trattativa individuale ex art. 1469 ter, quarto comma, Codice civile. All’uopo occorre provare che al consumatore sia stato consentito di esercitare una capacità di influenza sul contenuto della clausola in modo che esso derivi da una corretta e libera determinazione delle parti (19). La suddetta interpretazione circa la portata della disposizione n. 19 dell’art. 1469 bis, comma 3, Codice civile è stata accolta in precedenza da una pronuncia del Supre- 824 I CONTRATTI N. 8-9/2005 mo Collegio (20) sulla base delle seguenti motivazioni. In primo luogo, un’interpretazione diversa risulterebbe riduttiva ed in contrasto con la ratio dell’intera disciplina. Se, infatti, la clausola di determinazione convenzionale del foro indicasse quale foro competente uno diverso dalla località di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, ma coincidente con uno dei fori di cui agli artt. 18, 19 e 20 Codice di procedura civile. non potrebbe considerarsi inefficace. Ciò è in evidente contrasto con le finalità protezionistiche della disciplina sui contratti del consumatore in quanto potrebbe accadere che uno dei fori legali coincida con la residenza o la sede del professionista. Una simile ipotesi presenta indubbi vantaggi per il professionista, ma allo stesso tempo riduce notevolmente il diritto di difesa del consumatore in quanto l’obbligo per quest’ultimo di sottoporsi alla giurisdizione del foro del professionista, specialmente se molto distante dal suo domicilio, comporta inevitabilmente alti costi tanto più se paragonati al valore spesso modesto delle controversie di tal genere (21). Le medesime conclusioni valgono per l’ipotesi in cui le parti del rapporto contrattuale non abbiano stabilito alcun foro convenzionale dovendosi ricorrere, secondo l’interpretazione che si contesta, ai criteri legali del codice di rito civile. In secondo luogo si sostiene che l’art. 1469 ter, terzo comma, Codice civile non osti alla suddetta interpretazione giacché le ipotesi di clausole contemplate nell’art. 1469 bis, terzo comma, Codice civile sono considerate dal legislatore presuntivamente vessatorie secondo una specifica valutazione sottraendosi, pertanto, al giudizio di vessatorietà di cui all’art 1469 ter Codice civile. Ne consegue, dunque, che soltanto le clausole non ricomprese tra le predette ipotesi possono non considerarsi vessatorie se riproducono disposizioni di legge (22). Note: (18) Cfr., Vaccarella, Il problema del foro competente, cit.; Dalmotto, Un nuovo foro esclusivo per il consumatore, in Giur. it., 1997, IV, 161; Lapertosa, Profili processuali della disciplina, cit.; De Cristofaro, La tutela processuale del consumatore tra volontà di espansione ed opzioni conservative: contrasti in cerca di assestamento nella giurisprudenza della S.C., in Resp. civ. prev., 2002, I, 114. (19) Sulla definizione di trattativa individuale v. Cian, Il nuovo capo XIVbis, cit., 417; Trib. Bologna 14 giugno 2000, in Corr. giur., 2001, I, 524. (20) Cass. 28 agosto 2001, n. 11282, cit.; in senso conforme v. Trib. Palermo 7 aprile 1998, in questa Rivista, 1998, 344 e ss.; Giudice di Pace Prato, 28 gennaio 1999, in Foro it., 1999, I, 1697 e ss.; Trib. Roma 21 gennaio 2000, in Corr. giur., 2000, 496 e ss. (21) Cfr., al riguardo, Corte di Giustizia, 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, cit.; Alpa, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 1996, 275; Farkas, Nota a sentenza Cass. 22 novembre 2000, n. 15101, cit.; Trib. Palermo 2 giugno 1998, in Foro it., 1999, 377 il quale ha espresso la considerazione secondo cui «…addossando in modo irragionevole sul turista i notevoli costi per la tutela giurisdizionale in sede diversa da quelle di residenza e domicilio incide in modo irragionevole, comprimendola, sulla scelta dell’utente di tutelare giudizialmente i propri diritti…». (22) In tal senso De Cristofaro, La tutela processuale del consumatore, cit., 118; Dalmotto, Un nuovo foro esclusivo per il consumatore?, cit., il quale af(segue) ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE Commento all’ordinanza delle sezioni unite n. 14669/03 I contrasti interpretativi relativi alla disposizione n. 19 dell’art. 1469 bis, terzo comma, Codice civile sopra illustrati sono stati risolti dall’ordinanza delle sezioni unite n. 14669/03. Essa rileva che la disposizione descrive da un lato una clausola che abbia come contenuto quello di stabilire la sede del foro competente per la controversia, dall’altro il contenuto della clausola per cui, come sede del foro competente, è stabilita località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore. Inoltre, ha affermato che la predetta disposizione ha natura di norma processuale applicandosi, di conseguenza, alle cause instaurate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima, e che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, abbia stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo della sede o del domicilio elettivo del consumatore, presumendo vessatoria la clausola che individui come sede del foro competente una diversa località. La Corte ritiene che la norma contenuta al n. 19 dell’art. 1469 bis Codice civile debba essere letta nel senso che la sede del foro competente, individuata attraverso il riferimento alla residenza od al domicilio elettivo del consumatore, e che la deroga attuata mediante lo spostamento della competenza ad un foro diverso è sì consentita, ma si presume che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Per cui la deroga alla competenza territoriale, non sarebbe esclusa in modo assoluto, ma anzi sarebbe ammessa con l’onere a carico del professionista di provare che nel caso concreto non determini squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. La soluzione offerta dalle SS.UU. si fonda su alcune considerazioni preliminari. Anzitutto, il Supremo Collegio osserva che l’art. 5 Codice di procedura civile stabilendo che la giurisdizione e la competenza si determinano in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della domanda implica che anche le condizioni di validità ed efficacia di un accordo di deroga della competenza territoriale, come quelle previste dalla disposizione n. 19 dell’art. 1469 bis, terzo comma, Codice civile, siano valutate sulla base delle norme in vigore al momento in cui la domanda è proposta. Ne deriva, pertanto, che un eventuale accordo di proroga valido ed efficace secondo la normativa in vigore al momento della sua conclusione debba considerarsi invalido o inefficace qualora non presenti le condizioni richieste dalla legge in vigore alla data della domanda. In secondo luogo, l’eventuale inefficacia o invalidità di un accordo relativo alla competenza territoriale non condiziona il resto del contratto cui lo stesso accede, atteso che una simile pattuizione è del tutto autonoma e non richiama l’applicazione della nullità parziale del contratto. Peraltro, per quanto riguarda la disciplina dei contratti del consumatore vi è una norma (art. 1469 quinquies) che espressamente dispone «le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 1469 bis e 1469 ter, sono inefficaci mentre il contratto rimane efficace per il resto». Sulla base di un ragionamento logico-letterale la Corte afferma, inoltre, che la disposizione de qua così come formulata, ossia in negativo, fissa nella sede del consumatore un criterio di collegamento esclusivo che si sostituisce a quelli già previsti dal codice di procedura. Il Supremo Collegio aggiunge che la diversità della suddetta formulazione rispetto a quelle utilizzate, in relazione alla competenza territoriale, dai decreti legislativi 15 gennaio 1992, n. 50, 9 novembre 1998, n. 427 e 22 maggio 1999, n. 185 non può rappresentare un argomento a favore dell’interpretazione contestata giacché quest’ultimi costituiscono normative di settore mentre l’art. 1469 bis, terzo comma, n. 19, Codice civile si inserisce nel quadro più vasto delle clausole inserite nei contratti stipulati tra professionista e consumatore per le quali è stata scelta dal legislatore una tecnica diversa. Piuttosto i testi di leggi sopra citati dimostrano con evidenza l’indirizzo del legislatore di individuare come foro competente per le controversie che riguardano il consumatore il luogo di residenza o di domicilio di quest’ultimo. La pronuncia in esame, tuttavia, ha lasciato irrisolte alcune problematiche derivanti dall’interpretazione accolta (23). In primo luogo, l’introduzione di un foro esclusivo, ma derogabile si deve coordinare con la norma di cui all’art. 1469 quinquies, terzo comma, Codice civile la quale prevede che l’inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Secondo quanto prevede l’art. 38, secondo comma, Codice di procedura civile l’incompetenza per territorio derogabile va eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta, termine peraltro differibile fino a venti giorni prima dell’udienza di trattazione ex art. 180, terzo comma, Codice di procedura civile, mentre il giudice, d’ufficio, può rilevare l’incompetenza per materia, per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 Codice di procedura civile fino alla prima udienza di trattazione. Ci si chiede, quindi, se nell’ipotesi in cui il contratto contenNote: (segue nota 22) ferma che «il terzo comma dell’art. 1469-ter Codice civile … si applichi solo in relazione a quelle clausole che sono abusive in virtù della previsione generale del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e non anche alle singole ipotesi di abusività elencate nei numeri da 1 a 20 del terzo comma dell’art. 1469 bis Codice civile». (23) Palmieri, In fuga dal codice di rito: i contratti del consumatore conquistano il foro esclusivo(ma derogabile in assenza di squilibrio, in Foro it., 2003, I, 3301 (commento a Cass. SS.UU. 14669/03), rileva che è stato assegnato alle sezioni unite anche un quinto ricorso (RG 23024/00) concernente la previsione di cui al n. 19 dell’art. 1469 bis Codice civile. I CONTRATTI N. 8-9/2005 825 ARGOMENTI•CONTRATTI DEL CONSUMATORE ga una clausola che indichi quale foro competente uno diverso da quello della residenza o del domicilio eletto del consumatore e quest’ultimo sia convenuto innanzi al giudice indicato dalla clausola, se quest’ultimo possa rilevare d’ufficio la propria incompetenza nel caso di mancata eccezione del convenuto. Il dubbio sorge in quanto il potere d’ufficio può essere esercitato solo se sussista un vantaggio per il consumatore. Al riguardo, in dottrina taluni (24) ritengono che il mancato interesse del consumatore nel non eccepire l’incompetenza priverebbe il potere del giudice di qualsiasi rilievo pratico; altri (25) ritengono che il giudice possa rilevare la propria incompetenza sulla base della vessatorietà della clausola. In secondo luogo, è stato osservato (26), che l’espressione «domicilio eletto» inserita nella disposizione de qua possa consentire al professionista di aggirare la ratio pro- 826 I CONTRATTI N. 8-9/2005 tettiva della norma mediante una preventiva imposizione al consumatore di elezione di domicilio finalizzata all’individuazione del foro competente. Ove si verificasse questa ipotesi il consumatore potrebbe soltanto dedurre la vessatorietà della clausola di elezione del domicilio in quanto derivante da coartazione e non da libera determinazione della propria volontà, offrendone la prova senza potersi avvalere della presunzione di cui all’art. 1469-bis, terzo comma, Codice civile. Note: (24) Cfr. Lapertosa, Senigaglia, Nota a sentenza 28 agosto 2001, n. 11282, cit., 16. (25) Per tutti, v. Vaccarella, Il problema del foro competente, cit., 1715. (26) Cfr., sul punto, Tommaseo, Art. 1469-bis, terzo comma, n. 19, cit., 630; Vaccarella, Il problema del foro competente, cit., 1718. MODELLO Contratto di addestramento fisico in palestra I l testo contrattuale di seguito pubblicato offre lo spunto per alcune brevi considerazioni sul rapporto tra le parti e i suoi effetti nei confronti di terzi. Il contratto presenta i tratti del contratto di appalto di servizi in favore di terzi e del comodato di beni. Infatti, con esso un soggetto (committente) decide di affidare ad un altro (appaltatore) lo svolgimento dell’attività di preparazione sportiva di terzi, ai quali è legato da rapporto di lavoro o di collaborazione professionale. L’attività viene svolta all’interno della sede del committente ma (circostanza diversa dall’appalto) con l’impiego di mezzi propri dello stesso. Si tratta di un contratto consensuale a favore di terzo, ad effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive. Da un lato infatti il soggetto appaltatore si obbliga a eseguire determinati servizi, dall’altro il committente, a fronte di tali prestazioni, si obbliga a versare un corrispettivo per le prestazioni svolte a favore di terzi. Particolare attenzione deve prestarsi alla circostanza che i locali ove viene svolta l’attività sportiva, gli arredi e le attrezzature ivi presenti e i macchinari utilizzati dai terzi, appartengono al committente. Va riservata attenzione alla clausola con la quale viene posta contrattualmente a carico dell’appaltatore la responsabilità per danni a cose o persone verificatesi nei locali del committente durante l’orario in cui l’appaltatore presta i propri servizi. Da ultimo merita di essere segnalata la clausola in virtù della quale sull’appaltatore grava altresì l’obbligo di concludere i contratti di assicurazioni a copertura dei rischi di danni. Carmen Leo CONTRATTO Con il presente atto tra le sottoscritte parti ALFA, con sede legale in …………………., codice fiscale ……………….… e partita IVA …………………, in persona del legale rappresentante ………………………. e BETA, con sede legale in ………………………, codice fiscale ……………. e partita IVA …………………., in persona del legale rappresentante ……………………….. A. B. C. D. premesso che la società ALFA ha individuato all’interno della propria sede alcuni locali e li ha dotati delle attrezzature e degli equipaggiamenti necessari allo svolgimento negli stessi di attività sportiva e, in particolare, di fitness e ad uso spogliatoio; la società ALFA ha intenzione di mettere a disposizione dei propri dipendenti in servizio i suindicati locali, affinché se ne servano nel rispetto delle norme contenute nel Regolamento; a tal fine la società ALFA intende affidare a BETA lo svolgimento all’interno dei suindicati locali dell’attività di addestramento e preparazione fisica e atletica non agonistica degli Utenti e di assistenza agli stessi nell’uso delle attrezzature e degli equipaggiamenti; BETA dispone di autonoma e adeguata organizzazione e di personale con preparazione tecnica, competenze specifiche e con pluriennale esperienza e professionalità nello svolgimento dell’attività di fitness, si conviene e si stipula quanto segue. Articolo 1: Premesse - Allegati - Definizioni 1.1 Le premesse e gli allegati costituiscono parte integrante e sostanziale del presente contratto. 1.2 Sono allegati al presente contratto: - Allegato sub 1 – Planimetria dei locali adibiti ad Area Benessere - Allegato sub 2 – Regolamento in vigore nell’Area Benessere - Allegato sub 3 – Elenco attrezzature e equipaggiamenti presenti nell’Area Benessere 842 I CONTRATTI N. 8-9/2005 MODELLO 1.3 Ai fini del presente contratto si intendono: - per “Area Benessere”: l’area costituita dai locali individuati nella planimetria allegata sub 1 al presente contratto, attrezzata ed equipaggiata per lo svolgimento di attività di fitness (area Fitness) e per uso spogliatoi (area Spogliatoi); - per “Attività”: i servizi di addestramento e preparazione fisica e atletica non agonistica e di assistenza agli Utenti delle attrezzature e degli equipaggiamenti svolti dal personale incaricato di Beta nell’Area Benessere; - per “Utenti”: gli amministratori, i soci, i dipendenti in servizio e i collaboratori di Alfa; essi hanno accesso all’Area Benessere, possono utilizzare le attrezzature e gli equipaggiamenti ivi presenti e possono avvalersi dei servizi svolti dal personale di Beta. Articolo 2: Oggetto del contratto 2.1 ALFA affida a BETA, che accetta, l’esecuzione delle Attività di: i) addestramento e preparazione fisica e atletica non agonistica degli Utenti; ii) assistenza all’uso da parte degli Utenti delle attrezzature e degli equipaggiamenti presenti nell’area Fitness. Articolo 3 : Modalità di svolgimento delle prestazioni a carico di BETA 3.1 BETA metterà a disposizione di ALFA il proprio personale specializzato per tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dalle …… alle …….. per … settimane/anno, fatti salvi i periodi festivi e/o le sospensioni feriali eventualmente comunicate da ALFA a BETA con …. giorni di anticipo. 3.2 BETA, a mezzo del proprio personale, controllerà che gli Utenti rispettino il regolamento in vigore nell’Area Benessere, utilizzino le attrezzature ivi presenti e si servano degli equipaggiamenti in modo corretto e in conformità alle modalità d’uso indicate da ALFA. Articolo 4: Autonomia di BETA 4.1 BETA eserciterà la propria Attività in piena autonomia, senza alcun vincolo di subordinazione da ALFA. I collaboratori e/o dipendenti di BETA non saranno inseriti nella struttura aziendale di ALFA e non sono legati ad alcun vincolo di subordinazione da ALFA. 4.2 BETA gode di ampia libertà decisionale nello svolgimento della Attività ed è libera di organizzare la propria attività senza alcun vincolo di orario, secondo modalità e tempi opportuni. BETA non è soggetta a alcuna direttiva, istruzione o prescrizione di ALFA, fatta eccezione per le indicazioni fornite da ALFA per il coordinamento dell’Attività. 4.3 BETA si avvarrà di una propria struttura organizzativa e di propri mezzi per lo svolgimento dell’Attività, sopportando ogni relativa spesa. 4.4 BETA conserva piena facoltà di svolgere attività analoga a quella oggetto del presente contratto in favore e per conto di altri soggetti. Articolo 5: Corrispettivo 5.1 Per lo svolgimento dell’Attività, BETA ha diritto ad un corrispettivo mensile pari a ……. , che sarà pagato da ALFA …….. Articolo 6: Locali 6.1 ALFA dichiara che i locali dell’Area Benessere, che saranno adibiti in parte ad uso palestra ed in parte a spogliatoi, sono conformi alle vigenti disposizioni di legge in materia di igiene e sicurezza. 6.2 ALFA si impegna a: a) mettere a disposizione di BETA i locali dell’Area Benessere, le attrezzature e gli equipaggiamenti ivi presenti; b) garantire la piena efficienza dei suindicati locali e delle attrezzature e equipaggiamenti, c) curarne la manutenzione ordinaria e straordinaria dei locali e delle attrezzature e equipaggiamenti e sopportando le spese per la loro pulizia; d) sostenere le spese per la fornitura di energia elettrica, riscaldamento, acqua ecc. ….e le spese per la pulizia dei locali. 6.3 BETA dichiara di aver visionato l’Area Benessere, di averla trovata completa delle attrezzature e degli equipaggiamenti necessari allo svolgimento dell’attività sportiva e di averla trovata in buono stato di manutenzione e conforme alle prescrizioni di legge per l’esercizio di attività sportiva. 6.4 BETA si obbliga a eseguire le riparazioni a alle attrezzature, agli equipaggiamenti e ai locali dell’Area Benessere qualora le rotture o i guasti siano stati cagionati da fatto imputabili al personale di BETA. 6.5 L’accesso all’Area Benessere è consentito solo negli orari indicati all’art. 3.1 ed esclusivamente agli Utenti, al personale autorizzato di BETA e ai soggetti espressamente autorizzati da ALFA. I CONTRATTI N. 8-9/2005 843 MODELLO Articolo 7: Durata - Rinnovo 7.1 Il presente contratto ha efficacia dal ……………….. al………………….. 7.2 Alla scadenza il contratto si intenderà tacitamente e automaticamente rinnovato per … anno/anni, e così di volta in volta, salvo disdetta comunicata da una parte all’altra con lettera raccomandata a/r, con almeno … giorni di anticipo rispetto alla scadenza. 7.3 Ciascuna parte avrà facoltà di recedere, in qualunque momento, dandone comunicazione scritta all’altra con lettera raccomandata a.r., con almeno … giorni di preavviso. Articolo 8: Personale di BETA 8.1 Nell’esecuzione dell’Attività, BETA potrà avvalersi di collaboratori, anche esterni, che dovranno comunque agire sotto la sua direzione e diretta responsabilità. 8.2 BETA dichiara: a) di aver regolarmente adempiuto a tutti gli obblighi contributivi, previdenziali e assicurativi, anche in materia di sicurezza, infortuni sul lavoro e malattie professionali, relativi al proprio personale b) di garantire al proprio personale un trattamento retributivo e normativo conforme alla normativa di legge e collettiva. 8.3 Durante la permanenza nell’area Benessere il personale di BETA dovrà essere sempre riconoscibile con apposito tesserino ben visibile. Articolo 9: Responsabilità 9.1 BETA risponde dei danni derivati a persone e/o cose dallo svolgimento dell’Attività durante l’orario di cui all’art. 3.1 e si impegna a manlevare e tenere indenne ALFA da eventuali pretese a qualsiasi titolo avanzate dai Utenti e/o da terzi. 9.2 BETA si impegna a stipulare le necessarie polizze assicurative a copertura di tutti i possibili rischi di danni derivanti a persone e/o cose dall’esercizio dell’Attività. Articolo 10: Marchi e altri segni distintivi 10.1. BETA dovrà usare marchi, nomi e/o altri segni distintivi di ALFA solo ed esclusivamente nello svolgimento dell’Attività e nell’esclusivo interesse di ALFA. 10.2. BETA dovrà cessare ogni uso dei marchi o segni distintivi di ALFA al momento della cessazione, per qualsiasi causa, del presente contratto. Articolo 11: Clausole nulle – Comunicazioni – Modifiche 11.1 L’eventuale nullità di una clausola o di parte di essa non incide sulla validità del contratto nel suo complesso e non ne determina l’integrale nullità. 11.2 Ogni comunicazione inerente al contratto, alla sua esecuzione e alla sua risoluzione sarà validamente effettuata con l’invio di lettera raccomandata A.R. ai seguenti indirizzi, a a quelli successivamente comunicati: per ALFA: ……………………………………. per BETA: ……………………………………. 11.3 Ogni modifica e/o integrazione del presente contratto deve essere effettuata con atto scritto, datato e sottoscritto da entrambe le parti a pena di nullità. Articolo 12: Foro competente 12.1 Per ogni controversia sulla validità, esecuzione, interpretazione o efficacia per dal presente contratto sarà competente in via esclusiva il foro di ……………………………... ………………… , …………… 844 ALFA BETA ……………………………… ……………………………… I CONTRATTI N. 8-9/2005 INDICI INDICE DEGLI AUTORI que significato alla contrattuale - Sussidiarietà del criterio - Utilizzabilità - Fattispecie (Cassazione Civile, sez. II, 23 dicembre 2004, n. 23936) commento di Cristina Menichino .......................................................... 751 770 Ettore Battelli Sulla differenza tra mandato e mediazione .................. 770 Giovanna Capilli Note in tema di foro del consumatore ......................... 821 Linda Cilia I rimedi per i vizi del bene promesso in vendita .......... 763 Mediazione Contratti in genere - Compravendita beni immobili Mediazione - Natura - Mandato - Caratteri - Differenze (Corte d’Appello di Milano, sez. I, 12 maggio 2004) commento di Ettore Battelli................................. Francesco Delfini D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82: il Codice dell’amministrazione digitale............................................................. 807 Proprietà immobiliare Le nuove norme a tutela degli acquirenti di immobili da costruire di Carmen Leo ............................................ 745 Carmen Leo Il contratto di addestramento fisico in palestra ........... 842 Le nuove norme a tutela degli acquirenti di immobili da costruire .................................................................... 745 Vendita Contratto preliminare di vendita - Mancanza effetto traslativo - Garanzia - Risoluzione (Tribunale di Nola 15 settembre 2004) commento di Linda Cilia.............. 763 Cristina Menichino Principio di conservazione e nullità del contratto....... 751 Valerio Sangiovanni Il rapporto contrattuale tra gli arbitri e le parti nel diritto tedesco.................................................................... 827 INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI Giurisprudenza Cassazione civile Cass., sez. II , 23 dicembre 2004, n. 23936................... Appello Corte d’Appello di Milano, sez. I - 12 maggio 2004 ... Tribunali Trib. Nola 15 settembre 2004 ....................................... Normativa D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 ...................................... D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82............................................ 751 770 763 801 807 INDICE ANALITICO Amministrazione digitale D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82: il Codice dell’amministrazione digitale di Francesco Delfini............................ 807 Arbitrato Il rapporto contrattuale tra gli arbitri e le parti nel diritto tedesco di Valerio Sangiovanni ............................... 827 Consumatori Note in tema di foro del consumatore di Giovanna Capilli............................................................................... 821 Interpretazione Contratti in genere - Interpretazione - Conservazione del contratto - Interpretazione idonea a dare comun- I CONTRATTI N. 8-9/2005 845 PER I COLLABORATORI DELLA RIVISTA I CONTRATTI 1. Caratteristiche generali degli elaborati Tutti gli articoli (note a sentenza, argomenti, commenti a normative, quesiti) dovranno essere inviati alla Redazione in formato elettronico su file o per e-mail, seguendo le avvertenze principali qui di seguito indicate. Gli articoli devono essere originali (scilicet: non pubblicati su altre fonti) e caratterizzati dalla trattazione chiara e sintetica degli argomenti, arricchita da brevi note a piè di pagina a sostegno delle tesi esposte. I caratteri essenziali degli articoli sono i seguenti: 1) concisione del ragionamento giuridico; 2) limitazione dell’illustrazione introduttiva di temi e questioni allo stretto necessario, salvo che si tratti di temi e questioni nuove o inedite; 3) apparato di note essenziale, con citazioni che privilegino contributi dottrinali autorevoli e decisioni giurisprudenziali recenti o “capostipiti” di orientamenti; 4) esposizione chiara della posizione dell’Autore. Tutti gli articoli sono sottoposti al vaglio dei Direttori scientifici della Rivista, con riserva di accettazione e di richiesta di eventuali modificazioni o integrazioni, che saranno concordate con gli Autori. I Direttori scientifici e il Comitato di Redazione della Rivista si riservano altresì la facoltà di apportare direttamente le modificazioni formali e sostanziali necessarie per l’adeguamento agli standard della Rivista. 2. Criteri redazionali Ogni articolo deve essere intitolato (max 100 caratteri spazi inclusi) e suddiviso in paragrafi titolati per agevolarne la lettura. Ogni articolo non deve superare le 8/10 cartelle, corrispondenti a circa 35.000 caratteri spazi inclusi. Ogni articolo deve essere preceduto da una sintesi (abstract) illustrativa del contenuto, che dovrà evidenziare l’oggetto trattato e gli aspetti di maggior interesse (condensandoli in poche righe: fino a 500 caratteri per le note a sentenza, fino a 1.000 caratteri per gli altri elaborati). Nell’abstract possono anche essere espressi giudizi di merito (ad esempio: «L’Autore commenta la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di anatocismo bancario, mettendo in luce le contraddizioni dell’iter argomentativo della motivazione, nella parte in cui si sussumono gli usi tra cliente e banca nella categoria degli usi normativi»). Le note a sentenza devono contenere la massima/e della sentenza (che dovrà essere elaborata dall’Autore qualora non disponibile o diversa da quella ufficiale), preceduta dai titoletti, che identificano lo schema generale di classificazione della sentenza e sintetizzano i passaggi attraverso cui si snoda il principio di diritto espresso dalla massima. Le note a piè di pagina vanno redatte con molta precisione e secondo i seguenti criteri: 1) ogni citazione presuppone necessariamente la verifica e la lettura della fonte giuridica nella versione originale (qualora venga utilizzata una fonte secondaria o “di seconda mano”, va espressamente precisato); 2) la citazione deve essere puntuale, pertinente, fedele (cioè senza alterazione o interpolazione del contenuto della fonte), completa (ad es.: G. De Nova, Nuovi contratti, 2ª ed., Utet, Torino, 1995, 150; Cass. 20 ottobre 1998, n. 3650, in Foro it., 1999, I, 1, 250 ss.). Nelle citazioni di opere dottrinali va sempre specificata la Casa editrice (mentre può essere omesso il luogo di edizione) e nelle citazioni giurisprudenziali va sempre menzionato in lettere il mese; 3) i termini stranieri, le espressioni in latino, i titoli delle opere e delle riviste devono essere trascritti in corsivo; 4) il contenuto della fonte citata deve essere riportato tra virgolette (“……..”) o tra caporali («…..»), e trascritto in carattere non corsivo; può in alcune ipotesi essere parafrasato, nel qual caso deve risultare in modo chiaro ed univoco; 5) va costantemente verificato se un articolo dottrinale, una decisione giurisprudenziale o una fonte normativa attinente al tema o alla questione trattata sia stata pubblicata sulla Rivista, nel qual caso va citata utilizzando la dizione “in questa Rivista” (ad es.: U. Carnevali, Inadempimento e onere della prova, in questa Rivista, 2002, 118 ss.).