Antica Pieve di Santa Maria in Silvis
È dedicata a Santa Maria Assunta, fu sede di una delle cinque pievi di Valcamonica
attestate tra il 1200 e il 1300, insieme a quelle di Rogno, Cividate Camuno, Cemmo
e Edolo.
La chiesa della Pieve di Pisogne venne consacrata nel 1580 il giorno 20 Agosto
(come si desume da una lapide posta sulla parete sinistra della navata) dal cardinale
Carlo Borromeo durante la sua visita apostolica e che qui arrivò proveniente dalla
Valtrompia a dorso di un cavallo attraverso il passo del colle di San Zeno.
In questa chiesa, sede poi della parrocchia di Pisogne fino al 1798, venne deposto il
corpo di San Costanzo martire, dalla seconda Domenica di Maggio del 1715 alla
seconda Domenica di Maggio del 1816 quando venne solennemente traslato nella
nuova parrocchiale: la festa del patrono San Costanzo si celebra infatti il 12 Maggio.
Le pievi erano collocate in luoghi strategici e Pisogne lo era, posta all’inizio della
Valcamonica e crocevia di comunicazioni con altre valli aveva molte miniere di ferro
ed era perciò sede di attività lavorative molto importanti e quindi con un’economia
forte anche perché si era sviluppato il commercio ed il trasporto via lago dei
manufatti ferrosi, del legname e dei prodotti agricoli.
Le pievi (da plebs: popolo) in epoca medioevale rappresentavano l’organizzazione
dei territori rurali appartenenti alla giurisdizione del vescovo (le attuali diocesi), sia
per la diffusione del cristianesimo e quindi per la somministrazione dei sacramenti da
parte di un vicario vescovile sia per l’organizzazione sociale ed economica dei
villaggi in quanto il vescovo era in alcuni casi l’espressione del potere feudale ed era
investito di particolari privilegi e diritti quali la riscossione delle decime (la decima
parte) sui prodotti della terra.
Come si vede, è presente di una vasca battesimale, emersa dai lavori di restauro,
risultata da un riutilizzo di un sepolcro di età romana della metà del I secolo d.C,
dedicata al sacerdote del divo Augusto Tiberio Claudio Numa, come si può leggere
nell’epigrafe del 40-50 d.C.:
TRADUZIONE
TIBERIO CLAUDIO NUMA, DELLA TRIBÙ QUIRINA, SACERDOTE DEL
DIVO AUGUSTO, DA LUI (IMPERATORE CLAUDIO O TIBERIO) NOMINATO
CON ESENZIONE DI PAGAMENTO DELLE TASSE, INSIEME A CLAUDIA
SECONDA.
Queste modifiche risalgono probabilmente alla fine dell’XI secolo quando viene
istituita la Pieve di Pisogne dato che il territorio pisognese era precedentemente sotto
la giurisdizione della primitiva Pieve di Rogno. La dotazione dell’apparato
battesimale era la principale caratteristica delle chiese plebane proprio in quanto
distaccamento della chiesa battesimale sede vescovile ed è ipotizzabile che la vasca
descritta, entro la quale si svolgeva il rito del battesimo, provenga dalla Pieve madre
di Rogno già importante pago romano e ricco di testimonianze archeologiche di
quella civiltà.
Alla fine del 1400 la chiesa venne ricostruita rialzando il pavimento di ulteriori 90
centimetri e ricoprendo i resti di due precedenti strutture, la primitiva chiesetta
campestre e l’antica chiesa plebana; l’attuale chiesa è il risultato di un poderoso
lavoro di ristrutturazione iniziato nel 1481, consolidato nel 1482 (date incise su una
mensola d’arco) e terminato nel 1485 come indicato sull’architrave dell’elegante
portale in arenaria rossa di Gorzone chiamata “pietra Simona” (dal toponimo
Simoni):
“HEC E PLEBS S’ MA’ DE PISOG - REFORMATA 148V DIE R 3 IVNI”
“Questa è la pieve (chiesa plebana) di Santa Maria di Pisogne, ricostruita (finita di
ricostruire) nel 1485, giorno della restituzione al culto 3 Giugno”.
Altre trasformazioni ha poi subito nel tempo provocando lacune e mutilazioni negli
affreschi di Giovan Pietro da Cemmo, nel ciclo del presbiterio con gli episodi della
vita della Madonna e nella sequenza del “Trionfo della Morte” sulla parete nord, con
l’apertura delle due cappelle sulle pareti laterali.
Il rifacimento della facciata è del 1732 con la sostituzione dell’oculo centrale con le
due finestre rettangolari.
Il sagrato (sacrato = luogo sacro) era un tempo il cimitero, le ossa dei defunti
venivano raccolte nell’ossario interno alla chiesa poco oltre l’ingresso mentre a
ridosso del presbiterio venivano sepolti i sacerdoti: le pietre tombali con iscrizioni ne
sono testimonianza, una scritta in latino ricorda che
“l’uomo sta nelle mani di Dio così come il fango sta nelle mani del vasaio”.
Durante i lavori per la costruzione della strada verso le frazioni montane e per lo
spostamento del cimitero vennero in luce sette teschi ora collocati in una cappella
esterna detta delle “sette teste” diventata nel tempo un luogo di devozione per coloro
che vi transitano.
Sul lato sud della chiesa si trova l’insieme degli edifici che costituivano la canonica
(residenza dei sacerdoti, uffici e archivi) ed i fabbricati utilizzati dai contadini che
lavoravano sui terreni della parrocchia ed in funzione di magazzini dei prodotti
spettanti al clero in pagamento di affitti, diritti e decime o per donazioni e benefici.
Con la sistemazione del sagrato al termine della recente ristrutturazione sono stati
tagliati sette abeti rossi quasi centenari che nascondevano la chiesa, oggi ammirabile
anche a distanza, restituendo a questo luogo ed al tempio il senso di centralità che
aveva avuto nel tempo.
L’altare maggiore e la balaustra che divide il presbiterio dalla navata sono opere dello
scultore ed architetto Andrea Fantoni di Rovetta e sono dei primi anni del 1700, il
primo commissionato dalla parrocchia per dare degna collocazione alle spoglie del
patrono San Costanzo martire, mentre la seconda per conto della confraternita del
Corpus Domini.
Il pulpito ligneo seicentesco è dell’intagliatore Pietro Ramus di Edolo ma reintegrato
nel 2007 delle quattro sculture rubate circa venti anni fa che rappresentavano i santi
Pietro e Paolo, San Giovanni Battista e l’evangelista San Giovanni.
Le pareti del presbiterio e della navata sono interamente affrescate da Giovan Pietro
da Cemmo e dalla sua scuola e sono state eseguite tra il 1480 e il 1490.
Nel presbiterio sono dipinti episodi della vita della Madonna; sulle pareti della navata
diversi esempi di “Madonna in trono col Bambino”, una “Natività”, santi guaritori
come San Rocco, Sant’Antonio abate e San Sebastiano; interessante l’affresco
narrativo della vicenda del beato Simonino, presente nelle pitture di molte chiese
della Valcamonica e del Trentino, relativo al fatto avvenuto a Trento alla vigilia della
Pasqua ebraica del 1475, esempio molto diffuso di propaganda antisemita.
A partire dalla controfacciata e per buona parte della parete nord si sviluppa un
“Trionfo della Morte”, sequenza composta da cinque riquadri ma mutilata nella parte
centrale per l’apertura della cappella della Madonna del rosario, la cui scritta
ammonisce:
“la morte è l’ultimo dei mali, l’estremo, il più terribile”.