Il risveglio del mondo arabo Decolonizzazione e post colonialismo: definizione di colonialismo il declino degli imperi coloniali le modalità Il colonialismo (a partire dalla II metà del XIX scolo fino alla fine del II Conflitto Mondiale) indica il dominio del centro del sistema mondiale sulle aree esterne, attraverso modalità che assumono, più o meno, alcune caratteristiche: Assunzione di responsabilità di governo Coinvolgimento di energie tecniche, economiche,politiche e militari della madrepatria. Sfruttamento di risorse naturali e di manodopera Tentativo di assimilazione culturale Il declino dei grandi imperi coloniali inizia già dopo la I Guerra Mondiale per poi compiersi dopo la II. Il crollo è legato al ridimensionamento politico di Francia ed Inghilterra in favore delle due nuove super potenze (USA e URSS) le quali, per ragioni diverse, si presentano in contrasto con la pratica del colonialismo: gli Usa sono spinti da esigenze economiche quali la possibilità di poter accedere ai vari mercati mondiali senza dover sfidare posizioni privilegiate. L’Unione sovietica accanto ad evidenti fattori ideologici, è motivata da considerazioni di ordine politico; infatti, il crollo dei domini coloniali occidentali lascia la possibilità dell’edificazione di nuovi stati a modello socialista (per molti popoli, compresi quelli islamici, l’ideologia comunista diventa una via di liberazione, anche culturale, dalla dominazione del mondo occidentale!) Il fenomeno della decolonizzazione presenta in alcuni casi connessioni evidenti con la struttura stessa del sistema coloniale entrato in crisi: nell’azione di dominio la potenza coloniale tende a produrre, in funzione dell’esercizio del proprio potere, la formazione di élites politiche e culturali che devono svolgere la funzione di intermediari con la popolazione locale, ma che finiscono per costituire un elemento di disgregazione dello stesso potere coloniale. Questo modello di dominio è tipico, ad esempio, dell’Inghilterra che pratica l’INDIRECT RULE. Utilizzazione di risorse umane locali per l’amministrazione del potere Separazione netta delle culture Diverso è, invece, il caso della Francia che tende ad un’opera di totale assimilazione culturale dei popoli soggetti al suo potere, attraverso l’utilizzo di operatori locali direttamente controllati dal centro.( cfr. gli studenti del Senegal chiamati a vedere nei Galli i loro antenati) Decolonizzazione o postcolonialismo? La relazione tra questi due termini ci porta a mettere in evidenza il fatto che il post- colonialismo è spesso l’altra faccia, a volte la continuazione, del colonialismo. Per molto tempo si usato il termine “neo.colonialismo” per indicare la permanenza di un rapporto asimmetrico tra Paesi ricchi e paesi ex-domini coloniali, in quanto le ex potenze coloniali tendono a costituire una rete di rapporti forti a livello politico, culturale, economico nei confronti delle ex colonie. Un dato emerge per primo, in questo perdurare ambiguo della dominazione: la difficoltà del radicarsi della democrazia in questi paesi, difficoltà che può essere almeno in parte illuminata da alcune osservazioni: Peso di una tradizione diversa La democrazia non si esporta Carattere autoritario delle élites locali Gravi condizioni di arretratezza economica Il fenomeno dell’integralismo: considerazioni iniziali Dopo i fatti tragici dell’11 Settembre, le immagini che maggiormente giungono attraverso i canali d’informazione, soprattutto televisivi, sono quelli relativi al preoccupante fenomeno dell’integralismo religioso. Le immagini in questione (che contrastano con quello che, apparentemente, i capi di stato delle potenze occidentali sostengono a proposito del rispetto di fondo nei confronti dell’islamismo che è – a detta loro- religione che nulla ha a che fare con il fanatismo religioso!) producono, o forse accompagnano, alcune considerazioni di larga diffusione (spesso finalizzate a giustificare atteggiamenti di discriminazione nei confronti di uomini e donne appartenenti a quel credo religioso) Islam=fanatismo Islam= aggressività nei confronti del mondo occidentale Islam= incapacità di aderire al principio di libertà religiosa, patrimonio, invece, del mondo occidentale –cristiano Islam e integralismo= destino di popoli barbari ed arretrati L’Islam e l’incontro con l’Occidente Una prima considerazione: l’Islam scopre (attraverso la colonizzazione) l’Occidente che ha già operato il proprio rovesciamento epistemologico, in pratica l’Occidente dei Lumi. Questo, mentre le società islamiche sono rimaste ferme nelle dimensioni storiche, intellettuali e sociali del periodo della distruzione di Baghdad (1258) Viviamo ,oggi, in un’epoca che, a detta di alcuni (forse in modo un pò semplificatorio), è segnata dalla fine delle ideologie, in quanto la fine del modello bipolare avrebbe costituito il superamento delle grandi fratture ideologiche. E invece ,proprio a partire da queste “certezze” siamo costretti a prendere atto della cosiddetta “riscoperta del sacro”, evento che può essere collegato con la crisi della ragione politica. Il riferimento alla riscoperta dell’Islam da parte dei popoli arabi è esemplare: si parla di “reinvestimento nel sacro”: il sacro viene indagato come codice simbolico capace di produrre nuove forme di aggregazione sociale,policia,religiosa, etnica... Secondo alcuni studiosi,( v. “ Il disincanto del mondo” di Marcel Gaucher –Einaudi 1991) la ripresa di forza del linguaggio religioso non va spiegata come un puro e smplice ritorno ad una tradizione ormai superata, un puro no alla modernizzazione: la ripresa del sacro, nel segno di un’adesione fanatica ed esclusiva, implica l’apparizione di un nuovo tipo di individualità che si viene a trovare difronte ad una modernità devastante ( modernizzazione senza filtri, senza mediazioni!) Ecco che ,in questo ambito , l’odio per l’Occidente e ,in particolare , per la “sfacciata” modernità del modello americano, si fonde con la convinzione di subire un’ingiustizia storica permanente. L’integralismo è, tuttavia, la forma ideologiaca più evidente ,nel mondo attuale, della reazione antioccidentale del mondo arabo. Ma la storia del recente passato ci dice che non è certamente la sola. Nel processo di superamento del dominio coloniale dell’Occidente il mondo arabo-islamico ha infatti incontrato varie fasi per quanto concerne il progetto di liberazione: Nazionalismo liberale Socialismo arabo Nazionalismo economico Panarabismo Rinascita dell’Islam con fenomeni di integralismo Egitto-Iran-Afghanistan: tre esempi di “liberazione L’Egitto e l’orgoglio del panarabismo Panorama coloniale dell’Africa L’Africa è coinvolta in modo particolarmente incisivo dalla corsa al colonialismo del secondo ‘800 e presenta una divisine interna in aree molto differenziate tra di loro: Inghilterra: gran parte dell’Africa orientale- intorno al 1900 possiede Egitto, Sudan, Kenia, Rhodesia, Sudafrica, e Nigeria ad Ovest. Dalla foce del Nilo al capo di Buona Speranza si poteva attraversare l’intera Africa, da nord a sud, per circa 7000Km sempre in territorio dell’Impero Britannico Francia: Algeria (dai tempi di Carlo X) occupa l’Africa Occidentale e in parte equatoriale comprendendo il Senegal, la Costa d’Avorio il Gabon il Ciad e, il Congo francese, e il Madagascar Altri: il Belgio è in Congo dal 1885- la Germania alla fine del XIX sec. conquista Camerun e Togo- il Portogallo controlla Angola e Mozambico Italia: Eritrea e Somalia- poi Libia ed Etiopia nel XX secolo L’Egitto si presenta come il paese africano più moderno, tradizionalmente legato all’Inghilterra, interessato al controllo del Canale di Suez. Nel 1922 viene trasformato in regno autonomo e nel 1936 ottiene l’indipedenza ( anche se l’Inghilterra conserva il controllo del Canale di Suez). La stabilità politica viene messa in discussione dalla progressiva degenerazione della monarchia, accusata di servilismo nei confronti degli interessi inglesi. Nel 1952 un Comitato di Ufficiali Liberi, guidati da Nasser, assume il potere ed elimina la monarchia nel 1954. Gamal Abd-Nasser intraprende la carriera militare nel 1937 e , 5 anni dopo, fonda l’associazione dei Liberi ufficiali con lo scopo di sottrarre l’Egitto al controllo britannico e di avviarlo alla modernizzazione. Interpreta la sconfitta subita nella guerra con Israele del 1948 come un segno evidente della debolezza della monarchia , immobilista e corrotta. Di qui il progetto del cambiamento di regime attraverso il colpo di stato di cui sopra. Giunto al potere, dà il via ad un processo di liberazione del paese attraverso la modernizzazione, con un piano politico di ispirazione socialisteggiante, mirante alla partecipazione delle masse alla vita civile.. In particolare la sua azione mira a recidere i condizionamenti delle potenze straniere sul suo paese , per cui il punto qualificante del processo di modernizzazione diventa il progetto di sbarramento delle acque del Nilo (costr.della diga di Assuan) per irrigare le zone desertiche e fornire di energia elettrica il Paese. La Banca Mondiale rifiuta il prestito su veto degli USA.Di qui la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez. Il 26 Luglio del 1956 Nasser annuncia la nazionalizzazione senza indennizzo degli azionisti stranieri.Questo gesto provoca una crisi internazionale di vasta portata al punto che Israele (appoggiata da Inghilterra e Francia, cioè le potenze espropriate)) attacca l’Egitto. L’attacco si ferma grazie all’intervento diplomatico congiunto di americani e sovietici che costringono l’esercito israeliano a ritirarsi dal Sinai. L’Egitto ottiene così un indiscusso successo politico diventando ,in quella fase, lo stato-leader indiscusso del riscatto dei popoli arabi oppressi. A partire da questo momento l’opera di nazionalizzazione prosegue : l’Egitto si rivolge ai sovietici per la diga di Assuan che diventa il più grande impianto di produzione di energia idroelettrica del mondo. Si rafforza il legame con l’URSS, anche nel senso dell’assistenza militare in senso anti-israeliano. La rivoluzione anti-moderna dell’Iran Uno dei nodi storici più interessanti, quando si parla del mondo arabo-islamico, è il contrasto tra modernizzazione ed islamismo. E’ bene chiarire un punto ed evitare così facili quanto fuorvianti semplificazioni: modernizzazione non è un termine “univoco”, non è cioè un termine che indica un solo tipo di processo storico dai connotati chiari ed immediatamente riconoscibili. Infatti il caso dell’Iran ci può far capire che lo scontro non è semplicemente quello che si apre tra modernizzazione e tradizionalismo( religioso o culturale che dir si voglia) , ma anche quello che collega tipi diversi di “modernizzazione”. L’Iran si trova in una posizione strategica, nell’area del Golfo Persico, e dalla fine del II Conflitto Mondiale costituisce il principale pilastro della potenza americana in questa zona; si tenga poi presente anche la ricchezza delle sue risorse naturali accanto alla posizione centrale rispetto alle grandi rotte petrolifere. Ricordiamo che fino alla metà,circa,degli anni settanta l’ideale del comunismo aveva rappresentato il modello politico vincente nelle lotte di liberazione dei popoli oppressi dalle potenze occidentali. Naturalmente le idee del comunismo entrando in contatto con aspirazioni di carattere indipendentistico-nazionale mutavano e subivano delle significative ibridazioni.. Si costituivano forme di nazionalismo che prospettava la possibile alleanza strategica della classe operaia con i popoli oppressi dal neo-colonialismo. ( qualche esempio: la posizione di Arafat che abbandona la giovanile colocazione nei “Fratelli musulmani” per aderire ad un nazionalismo progressista; la connotazione laica del nazionalismo di Nasser..) In Iran , negli anni ’50, il nazionalismo di Mossadegh, laico e nettamente anti-imperialista, si oppone decisamente al modello filo-occidentale prodotto dallo Shah che finisce per avere la meglio grazie alla dura repressione che gli usa promuovono con tro forze democratiche locali per timore di una loro possibile alleanza con il blocco comunista. Sono qui di fronte due tipi di modernizzazione che hanno in comune solo alcuni tratti (l’idea laica della società e lo sviluppo tecnologico) Nelò 1953 l’esperimento riformatore del ministro( esperimento che comprende, tra le altre iniziative, l’idea della nazionalizzazione delle compagnie petrolifere straniere) crolla a causa di un colpo di stato che consente allo shah Rheza Pahlavi di governare il paese con metodi autoritari. A partire dagli anni ’60 lo shah dà il via alla sua modernizzazione, che mira a rafforzare la potenza militare dell’Iran pur senza produrre significativi progressi nella condizione di vita delle masse. La sua politica , che non collega modernità a democrazia) suscita dure opposizioni in due forze presenti nel paese, seppur in modo diverso: la sinistra e il movimento del clero islamico tradizionalista che nel 1978 assume la guida di un grande movimento popolare di protesta.Nel gennaio del ’79 lo shah , abbandonata dagli USA, lascia il paese dove si instaura una Repubblica Islamica di stampo teocratico , caratterizzata da un vago riformismo legato ai dettami del Corano, e guidata dall’ayatollah Khomeini, massima autorità dei musulmani sciiti.( una precisazione: gli sciiti sono appartenenti ad una corrente islamica che si riconosce seguace di Ali’, genero di Maometto, e dei suoi discendenti legittimi) Va detto in modo chiaro che Khomeini , in quanto leader religioso, combatteva lo shah per ragioni ben diverse da quelle che avevano animato Mossadegh o i gruppi della sinistra(decisamente minoritaria in un Iran ancora poco industrializzato!) :il suo progetto, nel rifiuto dell’emancipazione della donna, della riforma agraria, della laicizzazione della vita pubblica, era quello di riportare il paese al contenuto originario dell’insegnamento religioso. D’altra parte non si può dimenticare che le moschee e le mederse(cioè le scuole di teologia) erano diventate , già ai tempi della lotta contro lo shah, centri inespugnabili di opposizione e di discussione politica. Il nuovo regime esprime fin dall’inizio il suo carattere violentemente anti occidentale e anti-americano, arrivando ad appoggiare il sequestro di di più di un anno di diplomatici americani dell’ex ambasciata a Teheran. Nel Sett. Del 1980 l’Iran viene attcaccto dall’Iraq che, armato e assitito in buona parte da potenze occidentali , tenta di appropriarsi di territori da tempo oggetto di contesa tra i due paesi. Il “trafficato” Afghanistan Confinante con l’Iran, l’Afghanistan gravita nell’orbita dell’Unione Sovietica, dalla fine del II Conflitto Mondiale. Il governo afghano, di impronta nettamente laica, viene spinto dall’URSS, che teme un allargamento dell’esperienza fondamentalista ed isolazionista del vicino Iran, ad affrettare e a rafforzare un programma di modernizzazione sociale, politica e culturale. Nel 1979 un trattato tra Afghanistan e Urss consente la presenza stabile di truppe sovietiche su territorio afghano, in un’ottica che lascia pensare ad una completa trasformazione dell’Afghanistan in paese socialista. Nasce uno stato di guerra tra le truppe sovietiche e un movimento di guerriglia anti-comunista che per 12 anni si scontreranno in un conflitto tra i più sanguinosi e logoranti. Teniamo presente che il fondamentalismo religioso, di cui le forze della guerriglia sono espressione, odia il comunismo tanto quanto il modello capitalista occidentale. Accusa il comunismo di essere “senza Dio”, di promuovere la modernizzazione che sfigura la cultura delle genti del luogo, e di mettere in forse le gerarchie tradizionali. La lotta contro l’Urss comprende, al di là dell’impegno visibile della guerriglia, una vera e propria operazione sotterranea finalizzata ad abbattere il governo di Barba Kamal. Particolarmente decisivo è il ruolo del Pakistan che, guidato dal regime militare del Gen.Zia Ui Hag, diventa un luogo di addestramento (non solo militare, ma anche religioso, attraverso la formazione data dalle madrasah, le scuole coraniche) per le forze della guerriglia antisovietica, mentre sotto la vigile sorveglianza della Cia, arrivano in Afghanistan flussi continui di armi e di specialisti attraverso la mediazione dell’Isi (Inter-service-Intelligent) pakistano. Sostegno della lotta è anche il denaro generato dalla coltivazione, dalla lavorazione e dal traffico dell’oppio (oggi l’Afghanistan produce intorno al 90% dell’oppio mondiale) Nel 1995 Charles Cogan , uomo della Cia legato all’impegno in Afghanistan, ammette il fatto che gli Usa , in questa contingenza, ha sacrificato la guerra alla droga per continuare il conflitto politico con l’Urss. Dalle sue parole si può comprendere che la lotta alla droga è passata in secondo piano rispetto all’esigenza di rafforzare la posizione di influenza politico-militare-economica su di un’area del mondo particolarmente strategica. Usa e Pakistan giocano dunque su due fronti, quello esterno della possibile mediazione e quello, indiretto, in cui si punta a produrre un’ escalation finalizzata al rovesciamento totale del regime di Kabul. La sconfitta dell’Unione Sovietica, seguita dal ritiro completo dell’Armata Rossa, segna la tragica fine del governo filo-comunista e la salita al potere del regime dei Talebani che costituiscono una repubblica teocratica segnata da fanatismo, intolleranza e permanenti violazioni dei diritti, soprattutto, delle donne, che vengono di fatto private delle più elementari forme di libertà e di dignità personali. Secondo alcuni il governo dei Talibani risulta ,dagli anni ’90, funzionale a determinati interessi geopolitici americani, dal momento che il traffico del Golden Crescent va a finanziare le forze militari dell’esercito musulmano bosniaco e l’esercito di liberazione del Kossovo., mentre i principali leader ribelli della Cecenia sono stati addestrati in campi afghani e pakistani legati all’attività della Cia. Di qui ,forse, il disinteresse per il regime di terrore imposto alle donne dai Talebani : la democrazia continua a non essere un bene d’esportazione.