laboratorio voce - saperne di più - www.fatefaville.it UNA SACRA UNITA’ il gesto e il suono La qualità della nostra emissione vocale dipende dalla nostra coscienza corporea e dalla precisione della nostra ricezione sensoriale. (Marie Louise Aucher1) Ragazzi selvaggi Respirare, bere, mangiare, dormire, fare sesso sono le attività umane più naturali. Ed oltre a queste? C’è chi risponderebbe camminare, chi correre, lavorare, oppure parlare. Difficile che qualcuno includa in questa rosa il canto o la danza, poiché generalmente vengono ritenute arti da acquisire faticosamente. Eppure i bambini, già a pochi mesi, abbozzano reazioni ritmo-motorie assimilabili a forme di danza e sono in grado di produrre melodiose vocalizzazioni. La capacità di parlare è ritenuta l’espressione più caratteristica della nostra specie, ma sorprendentemente è meno naturale del canto: durante la nostra evoluzione, infatti, sono emerse prima le vocalizzazioni e solo molto dopo i suoni del linguaggio. I bambini, che in qualche modo nel loro sviluppo ripercorrono le tappe dei nostri arcaici progenitori, fanno un lungo tirocinio prima di riuscire ad esprimersi con i suoni della parola e, se vengono lasciati a loro stessi, non conquistano né questa capacità, né una postura eretta. Il bambino, senza un mondo attorno a lui che parla e cammina, non potrà mai sviluppare queste attitudini. E’ rimasto famoso, anche grazie al film di Truffaut, il caso di Victor, un ragazzo ritrovato nei boschi delle montagne di Aveyron nella Francia di fine Ottocento e studiato dal pedagogo Jean Itard2. Nel suo caso, come in quelli di altri bambini “selvaggi” abbandonati e sopravvissuti allo stato brado, si è potuto constatare che l’incapacità di comunicare tramite il linguaggio ed una deambulazione bipede molto approssimativa sono gli effetti più palesi della privazione del contatto con i propri simili. Questi ragazzi, di cui sono stati riconosciuti fino ad oggi una decina di casi in diverse parti del mondo, dimostrano invece di essere capaci di imparare molto bene altre cose, come procurarsi il cibo scavando nel terreno alla ricerca di radici e tuberi, 1 Marie Louise Aucher nel 1960 fonda la “psicofonia”, in seguito a ricerche sul suono e le corrispondenze vibratorie del corpo umano. La Psicofonia stabilisce un legame profondo tra recettività ed emissione: in essa i cinque sensi partecipano alla costruzione della voce, l’evento sonoro che mette in relazione le nostre percezioni interne ed esterne. 2 Truffaut, Francois, (1969) “Il ragazzo selvaggio” , DVD, MGM home video entrateinment, 2004. tratto da “Le tre anime del suono” di Stefano Anselmi e Cristina Pietrantonio © fatefaville 2010 arrampicarsi sugli alberi, usare in modo fine e adeguato gli arti superiori, emettere con la voce suoni modulati e prolungati. Un piccolo umano cresciuto senza alcun contatto con i propri simili è dunque potenzialmente in grado di riuscire a cavarsela, sviluppando alcune capacità atte a preservare la sua stessa vita. Il dottor Itard riuscì a far parlare Victor solo dedicandovi molto tempo e molta pazienza. In realtà ottenne semplici sequenze di fonemi che, assemblati a dovere, gli permettevano di padroneggiare alcune parole, ma dalle osservazioni di Itard si evince che il ragazzo non sembrava afferrare il significato delle parole: le pronunciava imitando quelle propostegli dall’educatore, senza cogliere il rapporto tra il suono e l’oggetto. Victor capiva bene che emettendo una certa sequenza di suoni avrebbe prodotto una reazione da parte di Itard e che quello che desiderava sarebbe comparso: diceva “latte” per avere il latte. Ciò nonostante per Victor l’oggetto era ciò che vedeva e assaporava nella sua sostanza fisica: costruire una sequenza di suoni e formare una parola era dunque per lui soltanto un espediente a cui si sottometteva. Il ragazzo, invece, dimostrò fin dal primo momento di essere perfettamente in grado di esprimere le sue intenzioni attraverso una certa mimica facciale, gesti, vocalizzazioni e posture: anche senza l’apporto della parola aveva a disposizione tutto ciò che gli serviva per comunicare. Nei giorni di pioggia Victor amava uscire all'aperto e dopo essersi accovacciato sul terreno come una scimmia, iniziava a dondolarsi avanti e indietro cantilenando una specie di nenia fra sé e sé. Durante la vita nei boschi l’acqua che cadeva dal cielo doveva esser stata per lui un modo di liberare la pelle da polvere e fango e nel farsi scivolare addosso la pioggia il ragazzo lasciava trasparire un palese senso di piacere. Per noi è importante sottolineare come quella bella sensazione fisica venisse sottolineata da una sorta di melodia. Come a dimostrare che piacere e canto facciano parte, in fondo, dello stesso universo emotivo ed espressivo. Canto e linguaggio I casi di soggetti cresciuti allo stato brado comprovano che senza un ambiente che ci incoraggi a camminare eretti e successivamente ad articolare un linguaggio, queste due capacità non possono avere sviluppo. E’ come se l’uomo custodisse in sé due distinte nature: una animale (pulsionale) ed una culturale (sociale). Due stati entrambi presenti, ma oggi separati da un solco profondo, per via di una visione del mondo che abbiamo scelto di abbracciare, rifiutando la nostra radice animale. Una scelta che, per riuscire a costruire una struttura sociale organizzata, si è rivelata a quanto pare decisiva. Probabilmente è proprio per questo che l’emissione della voce parlata viene oggi considerata più naturale di quella cantata. Purtroppo non ci è possibile sapere esattamente come venisse usata la voce dai nostri antenati primitivi, ma il canto prodotto da alcune delle molte culture tribali tratto da “Le tre anime del suono” di Stefano Anselmi e Cristina Pietrantonio © fatefaville 2010 laboratorio voce - saperne di più - www.fatefaville.it ancora presenti nel mondo può fornirci alcune indicazioni preziose: antropologi, etologi, ma anche scrittori attenti ad osservare queste culture arcaiche, testimoniano l’importanza di canti e vocalizzazioni. Largamente noti sono ad esempio gli appunti di viaggio di Bruce Chatwin, che ha studiato la tradizione aborigena dei canti rituali. Tramandati di generazione in generazione come conoscenza iniziatica e segreta, questi canti sarebbero contemporaneamente rappresentazione di miti della creazione e mappe del territorio3. I Fayu, una tribù della Papua occidentale rimasta all’età della pietra grazie ad un totale isolamento, hanno un linguaggio molto musicale, in cui il significato delle parole non deriva solo dalla combinazione delle sillabe, ma anche dall’accento e dall’altezza con cui vengono pronunciate (medio, grave, acuto, ma anche dall’acuto al grave e dal medio al grave). Essi, inoltre, improvvisano un canto per ogni situazione: è un canto molto semplice, composto dalla combinazione di tre sole note, con il quale esprimono gioia, tristezza e tutte le emozioni provate al momento. I Fayu non soffrono di malattie psichiche: quando qualcuno vive un’esperienza negativa rimane nella sua capanna anche per settimane, mentre il gruppo lo rifornisce di cibo, cantando per ore ed ore. Quando esce, senza più alcuna traccia di shock o trauma, egli riprende il suo posto nella tribù4. E ancora: tra gli Inuit le dispute si risolvono tramite duelli di canto. L'uso del corpo come veicolo di comunicazione linguistica e musicale è dunque per l’uomo di centrale importanza: in tutti questi esempi il canto è in primis un prodotto del movimento corporeo. La ricerca antropologica ci illumina sul fatto che la radice prima del nostro modo di comunicare non è rappresentata da fonemi, ma da suoni, ritmo, posture, gesti 5. Del resto, anche oggi, è la prosodia a dare reale significato alla frase: il tono addolorato di una madre ci fa comprendere cosa prova in modo più immediato dell’esatto racconto di ciò che le è accaduto. Sembra dunque che, per quanto riguarda la comunicazione tra esseri umani, sia esistito un unico precursore: un sistema che possedeva tutte le caratteristiche oggi condivise dalla musica e dal linguaggio e che ad un certo punto della nostra storia evolutiva si disgregò: da una parte il suono, il gesto, il canto e dall’altra la parola6. 3 Chatwin, Bruce (1987). Le vie dei canti, Milano, Adelphi, 1988. 4 Kuegler, Sabine, (2005), Figlia della giungla, Milano, Tea, 2007 5 Corballis, Michael C. (2002), Dalla mano alla bocca, Milano, Raffaello Cortina, 2008. 6 Mithen, Steven (2005). Il canto degli antenati, Torino, Codice, 2007. tratto da “Le tre anime del suono” di Stefano Anselmi e Cristina Pietrantonio © fatefaville 2010 Probabilmente gesti, versi, posture, mimica facciale furono gli “ingredienti” delle prime forme di comunicazione, che col tempo si arricchirono di vocalizzazioni, capaci di apportare all’informazione significati più esaustivi riguardo al contesto, caricandola di maggiore valenza emotiva. Ancora oggi, malgrado si abbia a disposizione una capacità verbale complessa ed esplicativa, la prosodia emotiva resta alla base della nostra comunicazione. L’evoluzione fonica, partita da versi per segnalare la propria presenza ed approdata in un secondo momento a vocalizzazioni cariche di emozioni, giunse infine ad una sorta di balbettio capace di generare via via un linguaggio strutturato7. I gridi che segnalano, i suoni che cantano, i fonemi che parlano sono tappe di un lungo viaggio, iniziato oltre due milioni di anni fa e di cui la terza e più recente occupa una frazione di tempo venti volte minore. Le retroazioni generate dalla comparsa del linguaggio rivoluzionarono il mondo della relazione, creando modelli sempre più complessi, fino a quelli odierni, dove individui separati fra loro comunicano con un linguaggio disincarnato, attraverso mezzi, come internet e la telefonia, che non prevedono una comunicazione diretta. Dentro questo paesaggio, il suono della parola ed il respiro che l’accompagna iniziano a mutare, sciogliendo i collegamenti con la nostra natura di base, cioè con l’animale che malgrado tutto continuiamo ad essere. Il suono della parola è cambiato, come sono mutate le intenzioni ad essa collegate, dando vita ad una trasmissione di dati sempre più lontana dalla sua componente emozionale: il parlato, così com’è attualmente inteso. Accade dunque che la voce, deprivata della sua originaria energia psico-motoria, tenda oggi alla “monotonìa” e che la parola, durante la comunicazione, si avvalga dell’apporto di “piccoli fiati”, che la accompagnano verso la sola espressività del concetto. Nel mondo attuale si parla senza energia, magari con forza, con violenza, ma non con energia e praticamente ci si esprime, quasi sempre, attraverso le scivolose modalità dello “sfiato”, ovvero, senza sostegno, con “l’aria in mezzo”: una modalità che corrisponde psicofisicamente alla stanchezza o al disamoramento. La voce, che un tempo fu tutt’uno con l’emozione dei significati condivisi, è ora una forma separata, lontana dalla comunione tra esseri da cui era partita. Nel migliore dei casi essa viene a configurarsi come una forma d’arte, fuori cioè dall’azione del quotidiano e chiusa nell’ambito della forma-spettacolo. 7 Lo sviluppo della coscienza, che ci ha resi consapevoli di essere (e di finire), è avvenuto probabilmente di pari passo al bisogno di dare sempre più chiarezza all'atto comunicativo. tratto da “Le tre anime del suono” di Stefano Anselmi e Cristina Pietrantonio © fatefaville 2010 laboratorio voce - saperne di più - www.fatefaville.it Cantare il gesto, danzare il suono Il canto, nella nostra cultura, non solo è stato allontanato dalla pratica quotidiana e “confinato” al palcoscenico, ma soffre di una rigida distinzione tra le arti. Il musical stesso, che prevede la compresenza di canto, danza e recitazione, mette in scena cantanti che sanno anche danzare abbastanza bene o danzatori che sanno anche cantare un po’: canto, danza e teatro rimangono, anche dal punto di vista della formazione degli artisti, ambiti separati e questo specialmente nel nostro paese. L’opera lirica, nata tra Cinque e Seicento proprio come recupero di una forma d’arte completa che, come la tragedia greca, integrasse parola, suono e gesto, spesso soffre di una formazione che paradossalmente trascura questo principio unitarietà. Al punto, che oggi il cantante lirico, specialmente nell’immaginario collettivo, appare come un emettitore di acuti praticamente inabile al movimento. Manca, in Occidente, “quell'uso del corpo in maniera organica e funzionale al canto, quale in un certo senso vediamo spesso come semplice frutto dell'istintività, ad esempio nei cantanti rock”8. Ancora una volta le culture arcaiche ci consegnano un’eredità di segno diverso, in cui canto e danza non sono mai separati. Sia a livello rituale che per cementare l’unità del gruppo in attività collettive (la caccia, la guerra, la semina, il raccolto), il gesto ed il suono sono impensabili l’uno senza l’altro. Per i nostri lontani progenitori, ed ancora oggi per molti popoli (dagli indiani d’America ai Maori, dagli Inuit ai Boscimani, dagli Aborigeni agli Yonomami), voce e corpo rappresentano un’unità sacra ed indissolubile. 8 Naglia, Sandro, Canto lirico e antropologia teatrale: primi tentativi di accostamento” in “La voce del cantante. Saggi di foniatria artistica”, a cura di F. Fussi, Torino, Omega Edizioni, 2000. tratto da “Le tre anime del suono” di Stefano Anselmi e Cristina Pietrantonio © fatefaville 2010