{ varia menłe { Responsabile editoriale: Roberto De Meo Cura editoriale: Studio Pym Redazione: Veronica Pellegrini Progetto grafico: Rocío Isabel González Referenze fotografiche: p. 6 © redcollegiya/Fotolia; pp. 7, 11, 83 © Flavijus Piliponis/Fotolia - © dmilovanovic/Fotolia L᾽editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. www.giunti.it © 2014 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Via Borgogna 5 - 20122 Milano - Italia Prima edizione: aprile 2014 Ristampa Anno 5 4 3 2 1 0 2018 2017 2016 2015 2014 Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A. Stabilimento di Prato Sommario INTRODUZIONE Sopra la 42 ....................................................................................................8 PRIMA PARTE La bambina dagli occhi orientali CAPITOLO 1 Baby curvy ...................................................................................................12 CAPITOLO 2 Dal tutù al freestyle ................................................................................. 31 CAPITOLO 3 Due cuori e una capanna .................................................................... 50 CAPITOLO 4 Moda, mon amour ................................................................................... 65 SECONDA PARTE L’impegno curvy CAPITOLO 1 La perfezione non esiste .........................................................................84 CAPITOLO 2 Yes We Curvy .............................................................................................97 CAPITOLO 3 Ama te stessa ............................................................................................. 114 CAPITOLO 4 Curvy in TV ............................................................................................... 134 GLI AMICI DICONO .................................................................... 155 CHE TAGLIA INDOSSI? ❏ FINO ALLA 42 ❏ SOPRA LA 42 Se hai barrato la casella “Sopra la 42” sappi che per il sistema moda sei una TAGLIA FORTE. Se hai barrato la casella “Fino alla 42” sei una TAGLIA REGULAR. In Italia il 67% delle donne ha una taglia sopra la 44. E questo molti non lo sanno. INTRODUZIONE SOPRA LA 42 INTRODUZIONE Sopra la 42 Al giorno d’oggi noi donne siamo continuamente bombardate da messaggi assurdi e fuorvianti sul mito della magrezza e della fisicità. Spesso non conta tanto quante lauree abbiamo, o quante lingue conosciamo, ma che taglia indossiamo. Tra un po’ non ci chiederanno più chi siamo, ma che taglia siamo! Accade così che la donna senta il bisogno di conferme continue e che questo inneschi un meccanismo di controllo ossessivo e maniacale del proprio corpo, che nei casi peggiori porta addirittura a maltrattarlo. Proprio perché pretendiamo da noi stesse di assomigliare alle immagini patinate dei giornali, di avvicinarci a un ideale di bellezza che non è reale. Ma molti questo non lo sanno. Giornali, televisione, cinema e moda hanno i loro trucchi: a partire da Photoshop, dal make up, fino a piccoli accorgimenti ben noti agli addetti del settore, come per esempio software per snellire e allungare, o filtri colorati che levigano e rendono serica la pelle delle modelle. La tv, così come i media in generale, creano dei modelli, delle illusioni, proponendo stili di vita e di comportamento spesso irraggiungibili. Ma soprattutto ci bersagliano con immagini di corpi perfetti, tonici, giovani, atletici. Ed ecco che in noi donne, in particolare nelle ragazze più giovani e più facilmente influenzabili, nasce la frustrazione e il più delle volte restiamo sole con noi stesse, ingabbiate in un immaginario che troppo presto finisce per trasformarsi in un incubo. Allora iniziano le diete fai-da-te e si acquisiscono abitudini sbagliate che talvolta causano veri e propri disturbi alimentari. In questo libro vorrei raccontare la mia storia, quella di una ragazza che ha lavorato prima di tutto su se stessa e che adesso cerca di sensibilizzare i giovani su questi problemi per tentare di abbattere i modelli culturali e gli stereotipi che la società del 2000 imponeva… E forse impone tuttora. CAPITOLO 3 Ama te stessa Durante ogni fashion week, ecco che tra i media si diffonde una sorta di ossessione temporanea: non si fa altro che parlare di anoressia, di modelle troppo magre, di alimentazione corretta e di tanti bei propositi politicamente corretti. Nel settembre del 2010, per esempio, l’assessore alla Salute del Comune di Milano, Giampaolo Landi di Chiavenna, ha promosso un’iniziativa anti-anoressia. Nei backstage delle sfilate sono comparse le cosiddette sentinelle della salute, un gruppo di ispettrici reclutate nel mondo del jet set con il compito di controllare che le modelle non soffrissero di anoressia. Iniziativa sicuramente lodevole, che si propone di monitorare la salute di queste giovani ragazze ed evitare così che sulla passerella sfilino corpi resi scheletrici dall’anoressia, ma che nella realtà dei fatti non è risultata particolarmente efficace. E vi spiego perché. In primo luogo la presenza di queste ispettrici sarebbe stata molto più utile ai casting anziché alle sfilate. Dietro le quinte infatti tra il fervore per i preparativi, trucco, parrucco e ultime modifiche agli abiti non hanno molta possibilità di entrare in azione, e soprattutto non possono privare all’ultimo la maison di una modella. Inoltre, queste sentinelle, che non sono né medici né esperti di nutrizione, sottilizzavano su pochi centimetri di punto vita, come se il problema consistesse solo in quello. Il problema non sta nei centimetri di punto vita, ma nelle proporzioni di un fisico sano. È giusto che in passerella venga- Ama te stessa 115 no esaltati gli abiti, ma sono certa che una taglia 40 non arrecherebbe al vestito alcun danno, aiuterebbe anzi a valorizzarlo. Ricevo numerose email sull’argomento e quello che traspare è innanzitutto rabbia. Rabbia perché la donna italiana indossa taglie ben diverse da quelle che vediamo in passerella e si sente offesa da un ambiente che di fatto la esclude. E rabbia per quell’incoerenza che di fatto allontana il mondo della moda da quello reale. E non è soltanto una questione di taglie: la verità è che mancano forti punti di contatto tra la realtà di tutti i giorni e quel mondo patinato. Purtroppo, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione, è quasi impossibile cambiare un sistema ormai radicato. Almeno non in tempi brevi. L’anoressia, però, non è presente solo nel mondo della moda e dell’immagine, ma colpisce ovunque: nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche, in famiglia. In questi anni mi è capitato spesso di raccontare la mia esperienza nei salotti televisivi di Rai, Mediaset, La7, Sky e diverse emittenti locali. Ho conosciuto tantissime persone e mi sono confrontata sui temi più vari, ma nessun incontro mi ha toccato, e forse anche cambiato, come quello con Isabelle Caro. Probabilmente la ricordate tutti: nel 2007 Isabelle è stata la protagonista di una campagna choc di Oliviero Toscani, diventata nel giro di pochissimo un simbolo della lotta contro l’anoressia. Isabelle ha avuto il coraggio di dichiarare al mondo la sua malattia. Guardandoci dai cartelloni pubblicitari con i suoi grandi occhi malinconici, ha mostrato a tutti il suo corpo nudo, consumato dalla malattia. 116 L’impegno curvy Nel novembre del 2010 Isabelle ci ha lasciati. Pesava solo 31 chili. Era anoressica dall’età di tredici anni e quel male nero aveva devastato il suo corpo. Già cinque anni prima, nel 2005 aveva rischiato di morire: il suo corpo pesava appena 25 chili. Avete presente quanti sono 25 chili? All’incirca il peso di un bambino tra i sei e i dieci anni. La vita di Isabelle non è stata facile: piena di lacune affettive, soffriva per il tormentato rapporto con la madre, la quale, in seguito a una forte depressione dovuta in parte alla rottura con l’uomo che amava, aveva riversato tutto il suo dolore su quella figlia che avrebbe voluto sempre bambina. Non riusciva ad accettare che Isabelle crescesse, misurava in continuazione il suo corpo, la costringeva a indossare vestitini troppo piccoli per lei, le impediva di uscire e di andare a scuola per non doversi allontanare da lei. Isabelle bambina non voleva deludere la madre e ha iniziato così a negare il suo corpo nell’unico modo che conosceva: smettendo di mangiare. Nel gennaio del 2011 la madre, sopraffatta dai sensi di colpa, si è tolta la vita. Nel marzo del 2010, pochi mesi prima della sua morte, l’ho incontrata negli studi de La7, dove eravamo ospiti nella trasmissione di Luca Barbareschi Talk Sciock. Isabelle era lì per presentare il suo libro La ragazza che non voleva crescere, io ero con le Curvy Can. Tra me e Isabelle si è creata immediatamente una fortissima empatia, come un’onda energetica inspiegabile. Era uscita dal suo camerino, debole e affaticata, avvolta nella sua blusa gialla e viola troppo larga. I suoi occhi, truccati di lilla, apparivano enormi, su quel viso scarno. Cercava di dare l’impressione di star bene, di essere forte, ma si capiva che Ama te stessa 117 la sua vita era appesa a un filo. Avevamo scambiato qualche parola, e poi mi aveva lasciato il suo contatto Facebook per poter unire le nostre forze e continuare il programma di sensibilizzazione sui disturbi alimentari e soprattutto testimoniare che l’anoressia può uccidere. Isabelle lottava affinché non si smettesse di parlare di questo feroce disturbo che uccide l’anima e ruba il corpo e di mettere in guardia le ragazze da un mostro che prima ti seduce e poi ti strappa la vita, costringendoti a un lungo e inesorabile calvario. Isabelle si è esposta in prima persona, per gridare a tutti la sua sofferenza, in modo che fosse da monito per tutte quelle giovani che cadono nella trappola dell’anoressia illudendosi di poterla controllare. Tutto ciò che possiamo fare per provare a sconfiggere queste malattie è fare prevenzione e informazione, ma è un percorso lento e difficile. Io, per esempio, vado regolarmente nelle scuole per incontrare le tante ragazzine ossessionate dal corpo e per dire loro che devono imparare ad amarsi e accettarsi così come sono. Loro mi ascoltano rapite, si sentono considerate: finalmente qualcuno le capisce, qualcuno parla il loro linguaggio senza giudicarle, qualcuno poco più grande di loro, che ha attraversato quello stesso tunnel, le può aiutare. In questi incontri le ragazze sono libere di sfogarsi, di far uscire i loro tormenti, possono esprimere le emozioni che provano quando, guardandosi allo specchio, vedono un corpo che troppo spesso non amano e che per questo le fa soffrire. Lasciando da parte ogni pudore, mi raccontano le loro storie. Sono storie diverse, ma tutte accomunate dal senso di 118 L’impegno curvy diversità che vivono quotidianamente sulla loro pelle. C’è chi si sente diversa per qualche chilo di troppo, chi per l’apparecchio ai denti, chi perché ha un rapporto difficile con la famiglia, chi perché è dovuta crescere troppo in fretta affrontando situazioni pesantissime per la sua età. Tra le cause più frequenti e diff use di questi disturbi ci sono i rapporti madre-figlia, spesso messi sotto la lente d’ingrandimento, perché capaci di svelare le origini di un disagio profondo. I casi più estremi denunciano patologie molto gravi, come la storia di Rebecca Jones. Rebecca, inglese, ha ventisei anni. Pesa 31 chili, meno della figlia Maisy, che ha sette anni, e si vestono nello stesso modo, taglia compresa, perché, spiega Rebecca, «indossare gli stessi vestiti di Maisy mi dà un senso di orgoglio. È sbagliato, ma mi fa sentire bene. Io non penso di essere magra, mi vedo sempre come la più grande». Rebecca spinge la figlia ad abbuffarsi di cioccolato e dolci, mentre lei sopravvive con zuppe e drink energetici. I suoi disturbi alimentari risalgono a quando aveva undici anni. In quel periodo i genitori divorziarono. Cominciò allora a sfogare il suo malessere sul cibo, mangiando a dismisura, fino ad arrivare a pesare 95 chili. A tredici anni, continuamente derisa dai compagni perché era in sovrappeso, decise di fare esattamente il contrario, dimagrire a dismisura, e iniziò a perdere un chilo dopo l’altro. A diciannove anni, già consumata dall’anoressia, conobbe il padre di sua figlia e rimase incinta, ma non se ne accorse fino alla ventiseiesima settimana, praticamente quando la bimba già scalciava nella pancia. Non fu una gravidanza facile: i medici Ama te stessa 119 dovettero ricorrere all’alimentazione forzata affinché la piccola crescesse sana. Rebecca si nutriva solo di barbabietole e pane. Oggi Rebecca è in continua competizione con la figlia. Vuole pesare sempre meno. Rebecca non ha ancora sconfitto l’anoressia. Siti pro Ana e Mia Ana e Mia sono i due nomignoli che usano comunemente in rete le ragazze per riferirsi all’anoressia e alla bulimia. Due nomignoli all’apparenza simpatici, amichevoli, ma che nascondono una realtà agghiacciante. Due nomignoli che compaiono quasi sempre insieme, perché sono due mali che si muovono all’unisono, come in una danza macabra. La prima volta che mi sono imbattuta in questi siti era il 2007. È una calda notte d’agosto, quando mi chiama un’amica chiedendomi se so qualcosa riguardo ai siti pro anoressia e pro bulimia. Non li conosco ma, subito incuriosita, mi metto alla ricerca di qualche informazione in rete. Resto sconcertata. Come Alice nel Paese delle Meraviglie entro subito in un’altra dimensione, ma dai contorni molto poco fiabeschi e assai sconvolgenti. Inizio allora a documentarmi seriamente, e scopro che questi siti nascono alla fine degli anni novanta principalmente come diari di dimagrimento, una sorta di blog privati. Alcuni sono accessibili a tutti, per altri invece è necessaria la registrazione. Decido quindi di iscrivermi fingendomi una ragazza qualsiasi. Studio quel mondo, mi faccio strada là dentro per settimane intere. E quello che trovo mi turba moltissimo. Quella realtà è popolata da centinaia di ragazze, per lo più adolescenti, talmente ossessionate dal mito della magrezza estrema da aver innalzato 120 L’impegno curvy l’anoressia a religione: Ana, la chiamano, come fosse una dea, “colei che ci accompagna ogni giorno, che ci odia e ci ama, che odiamo e amiamo”. E a questa dea bisogna votarsi e sacrificarsi, nel vero senso della parola. Come ogni religione anche questa ha un proprio credo e dieci comandamenti, che le devote devono scolpirsi nella mente e seguire quotidianamente con il rigore e la determinazione di un marine impegnato in un boot camp. Questo è il credo: Credo nel controllo, unica forza ordinatrice del caos che altrimenti sarebbe la mia vita. Credo che fino a quando sarò grassa resterò l’essere più disgustoso e inutile a questo mondo e non meriterò il tempo e l’attenzione di nessuno. Credo negli sforzi, nei doveri e nelle autoimposizioni come assolute e infrangibili leggi per determinare il mio comportamento quotidiano. Credo nella perfezione, mia unica meta verso la quale rivolgere tutti i miei sforzi. Credo nella bilancia come unico indicatore di successi e fallimenti. Credo nell’Ana, mia unica filosofia e religione. Credo nell’inferno, perché questo mondo me lo ha mostrato. E questo invece il decalogo: 1) Se non sei magra, non sei attraente. 2) Essere magri è più importante che essere sani. 3) Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra. Ama te stessa 121 4) Non puoi mangiare senza sentirti colpevole. 5) Non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo. 6) Devi contare le calorie e ridurne l’assunzione di conseguenza. 7) Quello che dice la bilancia è la cosa più importante. 8) Perdere peso è bene, guadagnare peso è male. 9) Non sarai mai troppo magra. 10) Essere magri e non mangiare sono simbolo di vera forza di volontà e autocontrollo. In questi siti, inoltre, le ragazze si scambiano consigli su come arrivare a fine giornata senza assumere alcuna caloria o su come ridurle al minimo, intorno alle 100/200 kilocalorie, quando la media giornaliera consigliata dovrebbe essere di 1500. Dispensano suggerimenti sulle tecniche per vomitare senza farsi scoprire dai genitori, si incoraggiano a portare avanti a tutti i costi questa sfida verso la morte, si consolano a vicenda quando qualcuna ha sgarrato mangiando qualcosa di proibito ed è in preda ai sensi di colpa e condividono i trucchi per sembrare più magre. In rete poi ho trovato uno studio della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health che mi ha impressionato parecchio: su 180 siti analizzati (soltanto americani e probabilmente nemmeno tutti quelli esistenti), il 79 per cento offre servizi interattivi, come il calcolo dell’IMC, l’84 per cento parla di anoressia, mentre il 64 per cento di bulimia, e tra questi ovviamente una buona percentuale inneggia a entrambe le malattie. L’85 per cento di questi siti poi mostra fotografie di presunti modelli da seguire, che sono spaventosi esempi di 122 L’impegno curvy magrezza. L’83 per cento fornisce anche consigli pratici per raggiungere un pericoloso stato di incosciente alterazione di sé: consigli per vomitare meglio, per usare lassativi più efficaci, per nascondere le tracce della malattia agli altri e persino per imparare a mentire sistematicamente. Negli anni ho raccolto alcuni post e voglio condividerne qualcuno con voi. Mi rendo conto del fatto che siano scioccanti, ma se non iniziamo a calarci direttamente in queste realtà, o forse sarebbe meglio chiamarli incubi, e a conoscerli dall’interno come possiamo pretendere di fare una corretta prevenzione? Ecco alcuni esempi: Sono decisa a ricominciare. Sono appena tornata a casa più carica che mai e ho chiaro il mio obiettivo, 45 kg al più presto. Durante le feste mi sono lasciata andare e non va bene, ho sforato alla grande le calorie della tabella, maledizione. Ma non mi arrendo, questa volta voglio arrivare fino alla fine dei cinquanta giorni e senza più errori… ODIO SBAGLIARE. Adesso solo lei nella mia testa, SOLO ANA. dimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagrire… Oggi non mi sono pesata perché mi vedevo più grassa del solito, anche se ieri la bilancia segnava 52,3… ieri ero così felice dopo aver scoperto di aver perso 700 grammi, oggi invece guardandomi allo specchio mi facevo schifo… sì, proprio schifo. Ho delle gambe enormi, dei fianchi giganti... e mi dicevo che devo Ama te stessa 123 sembrare magra, devo fare di tutto per essere magra. Sfidavo il mio corpo con lo sguardo. Non voglio piangere, perché sono forte, perché ho smesso di deprimermi… Devo solo lottare contro il mio corpo, contro tutto questo grasso. Devo essere una persona migliore e per esserlo devo cominciare a migliorarmi fuori. Ieri pomeriggio è successo di nuovo, ho cercato di vomitare senza riuscirci. Ogni volta che ci provo non ci riesco. Oggi sono riuscita a mangiare solo due snack e mi sento lo stesso enorme! Come è possibile? Perché a me? Sono riuscita a evitare il pranzo con le mie amiche. So che non devo avvicinarmi al cibo tutto il giorno sennò cedo... e invece non devo ingrassare, inorridisco solo al pensiero di vedermi allo specchio... però so che ce la posso fare, sono forte. Mi chiamo Lisa, ho ventiquattro anni e soffro di disturbi alimentari da quando ne avevo venti. In questi anni sono passata dall’anoressia alla bulimia, alternando periodi in cui non mangiavo quasi nulla a momenti in cui mi abbuffavo. Per non ingrassare vomitavo almeno una volta al giorno, prendevo regolarmente dei lassativi e tenevo ossessivamente il conto delle calorie a tutte le ore del giorno. Non avevo autostima e la mia immagine allo specchio mi dava disgusto. Ho pensato di creare questo blog per avere un’ancora di salvezza, per riuscire a stare a galla. Sentirmi parte di una comunità, essere compresa e sostenuta è stato fondamentale. Ho avuto gli alti e bassi della malattia, come tutte voi, ma almeno sapevo di non essere sola. 124 L’impegno curvy Più di una volta ho provato a uscirne, e ogni volta era sempre peggio. Sono caduta così in basso che ho finito per pensare che stavo morendo, che il mio corpo non riusciva più a stare in piedi tra vomito, convulsioni. Ma ho trovato la forza di risalire di nuovo e di uscirne. Ho ritrovato interesse per la vita e ho rimosso tutti gli articoli dal mio blog. Volevo tagliare con tutto ciò che poteva ricordarmi quel periodo. Poi sono stata sei mesi in Inghilterra: è stato un periodo bellissimo, ho conosciuto persone che mi hanno fatto sentire bene, e pensavo di aver ritrovato un mio equilibrio. Poi, quando è venuto il momento di ritornare a casa, sono caduta in depressione. Subito Mia è tornata e il vomito è di nuovo parte integrante della mia vita. Mi vergogno per questa mia debolezza, che mi fa soffrire. Però chi si ricorda di me sa che ho sempre fatto del mio meglio per sostenere le ragazze come me, per aiutarle e impedire loro di fare i miei stessi errori. Non auguro a nessuno quello che ho vissuto io e non ho la pretesa di aver sofferto più degli altri, però ho capito una cosa, che senza aiuto non ce l’avrei mai fatta. Per questo sono tornata. Mi riprenderò gradualmente, lo so... Sono migliaia i post che riempiono le pagine web gestite da queste integraliste della magrezza. Come potete notare, sono parole che rivelano un disagio profondo, una sofferenza che si sfoga sul corpo, ma che probabilmente ha origine altrove. Se qualcosa nella vostra vita non funziona, non date per forza la colpa al vostro corpo, le cause dei vostri problemi possono essere altre. Non odiate il vostro corpo, non martoriatelo riducendolo alla fame, piuttosto fa- Ama te stessa 125 tevi aiutare. Le soluzioni si trovano sempre e sono a portata di mano, credetemi. Ho scoperto poi che esiste una pericolosissima tabella dietetica chiamata Abc Diet (Ana Boot Camp, con un chiaro riferimento allo stile di addestramento dei marines). Dura cinquanta giorni, prevede delle soglie caloriche bassissime e, seguita in modo rigoroso, permette di perdere peso velocemente. Eccola: ABC DIET Giorno 1: 500 kcal Giorno 2: 500 kcal Giorno 3: 300 kcal Giorno 4: 400 kcal Giorno 5: 100 kcal 6: 200 kcal 7: 300 kcal 8: 400 kcal 9: 500 kcal 10: digiuno 11: 150 kcal 12: 200 kcal 13: 400 kcal 14: 350 kcal 15: 250 kcal 16: 200 kcal 17: digiuno 18: 200 kcal 19: 100 kcal 20: digiuno 21: 300 kcal 22: 250 kcal 23: 200 kcal 24: 150 kcal 25: 100 kcal 26: 50 kcal 27: 100 kcal 28: 200 kcal 29: 200 kcal 30: 300 kcal 31: 800 kcal 32: digiuno 33: 250 kcal 34: 350 kcal 35: 450 kcal 36: digiuno 37: 500 kcal 38: 450 kcal 39: 400 kcal 40: 350 kcal 41: 300 kcal 42: 250 kcal 43: 200 kcal 44: 200 kcal 45: 250 kcal 46: 200 kcal 47: 300 kcal 48: 200 kcal 49: 150 kcal 50: digiuno 126 L’impegno curvy State attenti, però, questo non è soltanto un metodo veloce per abbattere il proprio peso: chi segue questa dieta rischia seriamente di finire all’ospedale e di causare danni irreparabili al proprio corpo e al sistema metabolico. Cinquecento kilocalorie al giorno rappresentano una soglia bassissima se paragonata al fabbisogno giornaliero di un’adolescente. Nessun nutrizionista o dietologo vi proporrà mai un simile regime alimentare, se desiderate perdere qualche chilo. Questa, lo ripeto, è una dieta pericolosissima che può compromettere per sempre la vostra salute, oltre a coprire la vostra pelle di indelebili smagliature per via della drastica riduzione di peso. Smettete di pensare che bellezza sia sinonimo di magrezza, non è così. Un segnale forte contro la lotta all’anoressia e alla bulimia arriva il 18 marzo 2011. Vogue si schiera apertamente contro i siti pro Ana e Mia, promuovendo una petizione per chiederne la chiusura. Proprio la rivista che da decenni propone donne magrissime e filiformi scende in campo per mettere fine a un sistema deleterio per la salute delle donne. Sotto l’egida della direttrice, Franca Sozzani, si raccolgono 12.000 persone, tra cui numerosi vip e personaggi del mondo dello spettacolo e della moda, come Monica Bellucci e Ester Cañadas. Gli esperti di disturbi alimentari hanno discusso a lungo su quanto i media influiscano sulla diffusione di queste patologie, mostrando continuamente donne esili. Analizzando oltre duemila immagini di pubblicità si è notato come nella maggior parte dei casi si tratti di donne sottopeso, che poco hanno in comune con quelle che vediamo nella vita di tutti i giorni. Ama te stessa 127 È stato anche preso in esame come la gente recepisce queste immagini, cosa succede a livello psicologico e se ci può essere una correlazione con i disturbi alimentari. Uno studio interessante è stato condotto dalla Durham University in Inghilterra: sono state mostrate a un gruppo di donne due fotografie; in una era ritratta una modella magra, nell’altra una dalla corporatura normale, se non addirittura plus size. La preferenza è andata alla seconda. Il risultato della ricerca è questo: noi immagazziniamo ciò che i media ci propongono creandoci uno stereotipo, ma se abbiamo la possibilità di scegliere, optiamo per ciò che ci rappresenta di più. La rivoluzione curvy parte proprio da questo presupposto: dal 2009 sto lottando per cambiare un’immagine stereotipata della donna nei media, un’immagine molto distante dalla realtà e che non ci rappresenta. Nella nostra società, inoltre, si è arrivati a essere addirittura discriminati per le dimensioni del proprio corpo, non solo nei licei, tra adolescenti, ma persino nelle aule di tribunale. In proposito, qualche tempo fa ho letto un interessante studio del Rudd Center for Food Policy and Obesity della Yale University, in cui viene messa in luce la discriminazione fisica negli ambienti della giustizia statunitense. È stato rilevato che, davanti a un’imputata con qualche chilo in più, i giudici maschi avevano dei pregiudizi, al contrario dei giudici donna, che non ne avevano. Erano infatti più veloci le sentenze verso le imputate sovrappeso, che di solito venivano etichettate come recidive o «consapevoli dei propri crimini». 128 L’impegno curvy Un altro studio del Center for Creative Leadership ha mostrato che i top manager con un alto indice di massa corporea sono stati giudicati più severamente e considerati meno efficienti rispetto ai loro colleghi più magri. Rebecca Puhl, uno dei ricercatori di Yale, dichiara: «La magrezza è diventata il simbolo dei valori importanti nella nostra società, valori come la disciplina, il duro lavoro, l’ambizione e la forza di volontà. Se non sei magra, allora questi valori non ti appartengono». Si arriva poi al caso limite di Kenlie Tiggeman, una donna che vive a New Orleans, consulente politica, alla quale l’anno scorso per due volte è stato impedito di salire su un aereo con la motivazione che era «troppo grassa per volare». Tuttavia come vi ho già spiegato anche nei capitoli precedenti, l’obesità non è un problema da sottovalutare, perché è causa di malattie che possono essere letali. Per questo Michelle Obama ha avviato una battaglia contro l’obesità infantile. Si tratta di un programma che si prefigge di insegnare nelle scuole la buona e corretta alimentazione e quanto sia fondamentale praticare sport. Gli Stati Uniti sono una nazione con un altissimo numero di soggetti obesi, e questo a causa di una cucina troppo ricca di grassi e di bevande gassate. Vorrei concludere questo capitolo con una mia intervista alla dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta e responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi, che ho conosciuto in occasione di un convegno su questi argomenti. Ama te stessa 129 Come ci si ammala di disturbi alimentari? I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono malattie a eziologia multifattoriale, ovvero a cui non si può attribuire una sola causa, ma una serie di cause e fattori che insieme concorrono al loro sviluppo. Tali fattori, presi separatamente, non porterebbero alla malattia. Sono stati individuati alcuni elementi legati alla vulnerabilità biologica e psicologica del soggetto verso il disturbo alimentare (fattori predisponenti), altri che concorrono alla manifestazione del disturbo vero e proprio (fattori scatenanti, come un trauma o un forte cambiamento) e altri ancora che mantengono il paziente dentro al circolo vizioso della malattia (fattori perpetuanti, come per esempio una situazione familiare molto problematica). I fattori predisponenti possono essere sia di carattere individuale, ad esempio la tendenza al perfezionismo o un passato di obesità in età infantile, sia di carattere socio-culturale. Molti attribuiscono alla società moderna e alla sua esaltazione della magrezza la responsabilità della diffusione dei disturbi dell’alimentazione: quanto c’è di vero in questa affermazione? Su quest’ultimo punto vi è un ampio dibattito, in quanto molti puntano il dito verso la cultura odierna e l’esaltazione della magrezza come causa della diffusione dei disturbi alimentari. È importante capire invece che, soprattutto in questo caso, non si può parlare di causa, anche se senz’altro la cultura svolge un determinato ruolo nella formazione del disturbo. Una cultura come quella occidentale, che esalta la magrezza 130 L’impegno curvy e pone molta attenzione alla forma fisica e all’apparenza, non è infatti causa della malattia, quanto del suo sintomo più conosciuto, ovvero la ricerca esasperata dell’adeguamento della propria forma fisica all’ideale di bellezza e magrezza imposto dalla cultura. Si parla quindi di patoplasticità: la cultura non è causa del disturbo ma dà forma ai suoi sintomi. Le caratteristiche del disturbo alimentare sono peculiari del nostro tempo e della nostra cultura (quella occidentale): controllo del cibo e del corpo si possono manifestare solo in un contesto di abbondanza e infinita disponibilità di alimenti accompagnate da una forte pressione sulle forme corporee. Diversi studi dimostrano, infatti, che i disturbi alimentari si diffondono di pari passo alla diffusione dello stile di vita occidentale. Che rapporto ha con il cibo una persona che soffre di disturbi alimentari? Le persone affette da disturbi del comportamento alimentare vivono il cibo in maniera completamente diversa da chi non ne soffre. Per loro il cibo assume moltissimi significati, diversi da paziente a paziente. Innanzitutto non è più vissuto come ciò che permette di avere l’energia per affrontare la giornata, in quanto ogni caloria assunta è vissuta come fonte di ingrassamento e quindi come nemica del proprio corpo. Solitamente il paziente conosce a memoria le calorie contenute negli alimenti, tiene il conto delle calorie assunte (destinate a diminuire sempre di più) e di quelle consumate con l’attività fisica o altri metodi. Nella bulimia e nel disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) invece il cibo diviene un modo Ama te stessa 131 per gestire tutte le emozioni, sia positive che negative, attraverso le abbuffate. Tale meccanismo è uno dei più difficili da scardinare, in quanto il paziente perde in questo modo anche la capacità di distinguere e accettare le proprie emozioni. In poche parole, il rapporto che le persone affette da disturbi del comportamento alimentare hanno con il cibo appare solo in funzione del controllo del corpo e quindi del dimagrimento; in realtà attraverso il cibo esse gestiscono o sfogano il loro mondo interiore. Proprio per questo tutte le loro energie sono volte a tale tentativo di controllo del cibo: senza, crollerebbero. Sappiamo che lei è responsabile di alcune strutture che si occupano di DCA: chi si rivolge ai suoi centri? La tipologia delle persone che si rivolgono ai centri da me gestiti è la più variegata, e questo testimonia come ormai i disturbi alimentari possono colpire chiunque. Sicuramente il target più frequente è rappresentato da ragazze tra i 12 e 25 anni, anche se stanno purtroppo aumentando i casi di bambine di 8/10 anni che presentano un disturbo alimentare sovrapponibile a quello degli adulti. Arrivano anche molti adulti, che il più delle volte soff rono di disturbi del comportamento alimentare da moltissimo tempo (dai dieci ai vent’anni di malattia) oppure presentano un esordio tardivo, come nei casi di disturbo da alimentazione incontrollata. Aumentano sempre di più anche i casi di disturbi alimentare nei maschi: nei disturbi da alimentazione incontrollata la percentuale di ragazzi e uomini colpiti è quasi sovrapponibile alle donne e i più giovani, di entrambi i sessi, stanno iniziando 132 L’impegno curvy a risentire della forte pressione verso la forma fisica. Ultimamente capita molto spesso di visitare pazienti che, oltre a un disturbo alimentare, presentano altre patologie psichiatriche, come depressione o disturbi di personalità, e che necessitano quindi di un trattamento per doppia diagnosi, oppure pazienti che fanno uso di sostanze, come droga o alcool. In quest’ultimo caso si parla di multicompulsione, in quanto il paziente vive intrappolato nella compulsione e nella dipendenza verso più sostanze contemporaneamente, tra le quali il cibo. Qual è l’iter di un paziente? Il primo fondamentale passo che deve compiere un paziente è quello della ricerca della motivazione: il disturbo alimentare è uno dei pochi dal quale il paziente non vorrebbe mai staccarsi, poiché in questi casi la persona si identifica con la malattia. La cura deve essere quindi volontaria: se il paziente non è motivato ogni tipo di intervento, anche il più specializzato, è vano. Il processo di cura è molto articolato e deve essere specifico e di tipo integrato (deve essere curata cioè sia la sfera psicologica che quella nutrizionale). Solitamente il punto di accesso alle cure è a livello ambulatoriale: se le condizioni fisiche sono molto gravi il paziente deve essere ricoverato in ospedale, mentre se sono buone ma il paziente necessita di un trattamento più intensivo e fuori dal contesto familiare, dovrebbe accedere a un tipo di trattamento riabilitativo in regime residenziale. Vi è inoltre una via di mezzo tra l’ambulatorio e il ricovero residenziale rappresentato dal trattamento in dayhospital. Spesso, dopo un periodo di trattamento intensivo, il Ama te stessa 133 paziente termina il percorso di cura tornando in ambulatorio. La scelta del livello di cura e del tipo di percorso deve essere stabilita da un’équipe terapeutica (composta almeno da uno psichiatra, uno psicologo e un dietista o nutrizionista), che esegue la prima visita diagnostica e accompagna il paziente per tutto il lungo percorso terapeutico. Più anni di malattia caratterizzano il disturbo, più tortuoso sarà il percorso di cura e più lungo il tempo di guarigione. Come si può fare per avere informazioni sulle strutture specializzate nella cura dei disturbi alimentari? Da un anno è attivo un servizio nazionale gratuito dedicato a chi soffre di questi disturbi e alle persone a loro vicine, il numero verde SOS Disturbi Alimentari (800 180969), promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Dipartimento della Gioventù e gestito dalla Asl 2 dell’Umbria. Il servizio, oltre a offrire sostegno tramite counselling telefonico a pazienti, genitori e amici di pazienti, fornisce informazioni sulle strutture pubbliche o private accreditate con il SSN. Gli operatori del numero verde sono in grado di indirizzare verso le strutture specializzate presenti su tutto il territorio italiano, facendo riferimento alla mappatura nazionale di tali strutture, che è consultabile sul sito www.disturbialimentarionline.it. Sia il numero verde che la mappa nazionale delle strutture rappresentano iniziative volte ad aiutare gli utenti ad arrivare alle cure in modo più veloce e soprattutto ad evitare di incappare in servizi non specializzati, costosi e a volte anche dannosi per i pazienti.