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Responsabile editoriale: Roberto De Meo
Cura editoriale: Studio Pym
Redazione: Veronica Pellegrini
Progetto grafico: Rocío Isabel González
Referenze fotografiche: p. 6 © redcollegiya/Fotolia;
pp. 7, 11, 83 © Flavijus Piliponis/Fotolia - © dmilovanovic/Fotolia
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Prima edizione: aprile 2014
Ristampa
Anno
5 4 3 2 1 0
2018 2017 2016 2015 2014
Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A.
Stabilimento di Prato
Sommario
INTRODUZIONE
Sopra la 42 ....................................................................................................8
PRIMA PARTE
La bambina dagli occhi orientali
CAPITOLO 1
Baby curvy ...................................................................................................12
CAPITOLO 2
Dal tutù al freestyle ................................................................................. 31
CAPITOLO 3
Due cuori e una capanna .................................................................... 50
CAPITOLO 4
Moda, mon amour ................................................................................... 65
SECONDA PARTE
L’impegno curvy
CAPITOLO 1
La perfezione non esiste .........................................................................84
CAPITOLO 2
Yes We Curvy .............................................................................................97
CAPITOLO 3
Ama te stessa ............................................................................................. 114
CAPITOLO 4
Curvy in TV ............................................................................................... 134
GLI AMICI DICONO .................................................................... 155
CHE TAGLIA INDOSSI?
❏ FINO ALLA 42
❏ SOPRA LA 42
Se hai barrato la casella “Sopra la 42” sappi che
per il sistema moda sei una TAGLIA FORTE.
Se hai barrato la casella “Fino alla 42” sei una
TAGLIA REGULAR.
In Italia il 67% delle donne ha una taglia sopra
la 44. E questo molti non lo sanno.
INTRODUZIONE
SOPRA LA 42
INTRODUZIONE
Sopra la 42
Al giorno d’oggi noi donne siamo continuamente bombardate da messaggi assurdi e fuorvianti sul mito della magrezza
e della fisicità. Spesso non conta tanto quante lauree abbiamo,
o quante lingue conosciamo, ma che taglia indossiamo. Tra
un po’ non ci chiederanno più chi siamo, ma che taglia siamo!
Accade così che la donna senta il bisogno di conferme
continue e che questo inneschi un meccanismo di controllo
ossessivo e maniacale del proprio corpo, che nei casi peggiori
porta addirittura a maltrattarlo. Proprio perché pretendiamo da noi stesse di assomigliare alle immagini patinate dei
giornali, di avvicinarci a un ideale di bellezza che non è reale.
Ma molti questo non lo sanno.
Giornali, televisione, cinema e moda hanno i loro trucchi: a
partire da Photoshop, dal make up, fino a piccoli accorgimenti
ben noti agli addetti del settore, come per esempio software
per snellire e allungare, o filtri colorati che levigano e rendono
serica la pelle delle modelle. La tv, così come i media in generale, creano dei modelli, delle illusioni, proponendo stili di
vita e di comportamento spesso irraggiungibili. Ma soprattutto
ci bersagliano con immagini di corpi perfetti, tonici, giovani,
atletici. Ed ecco che in noi donne, in particolare nelle ragazze
più giovani e più facilmente influenzabili, nasce la frustrazione
e il più delle volte restiamo sole con noi stesse, ingabbiate in
un immaginario che troppo presto finisce per trasformarsi in
un incubo. Allora iniziano le diete fai-da-te e si acquisiscono
abitudini sbagliate che talvolta causano veri e propri disturbi
alimentari.
In questo libro vorrei raccontare la mia storia, quella di una
ragazza che ha lavorato prima di tutto su se stessa e che adesso
cerca di sensibilizzare i giovani su questi problemi per tentare
di abbattere i modelli culturali e gli stereotipi che la società
del 2000 imponeva… E forse impone tuttora.
CAPITOLO 3
Ama te stessa
Durante ogni fashion week, ecco che tra i media si diffonde
una sorta di ossessione temporanea: non si fa altro che parlare
di anoressia, di modelle troppo magre, di alimentazione corretta e di tanti bei propositi politicamente corretti.
Nel settembre del 2010, per esempio, l’assessore alla Salute del Comune di Milano, Giampaolo Landi di Chiavenna,
ha promosso un’iniziativa anti-anoressia. Nei backstage delle
sfilate sono comparse le cosiddette sentinelle della salute, un
gruppo di ispettrici reclutate nel mondo del jet set con il compito di controllare che le modelle non soffrissero di anoressia.
Iniziativa sicuramente lodevole, che si propone di monitorare
la salute di queste giovani ragazze ed evitare così che sulla
passerella sfilino corpi resi scheletrici dall’anoressia, ma che
nella realtà dei fatti non è risultata particolarmente efficace.
E vi spiego perché. In primo luogo la presenza di queste
ispettrici sarebbe stata molto più utile ai casting anziché alle
sfilate. Dietro le quinte infatti tra il fervore per i preparativi,
trucco, parrucco e ultime modifiche agli abiti non hanno molta possibilità di entrare in azione, e soprattutto non possono
privare all’ultimo la maison di una modella. Inoltre, queste
sentinelle, che non sono né medici né esperti di nutrizione,
sottilizzavano su pochi centimetri di punto vita, come se il
problema consistesse solo in quello.
Il problema non sta nei centimetri di punto vita, ma nelle
proporzioni di un fisico sano. È giusto che in passerella venga-
Ama te stessa 115
no esaltati gli abiti, ma sono certa che una taglia 40 non arrecherebbe al vestito alcun danno, aiuterebbe anzi a valorizzarlo.
Ricevo numerose email sull’argomento e quello che traspare
è innanzitutto rabbia. Rabbia perché la donna italiana indossa
taglie ben diverse da quelle che vediamo in passerella e si sente offesa da un ambiente che di fatto la esclude. E rabbia per
quell’incoerenza che di fatto allontana il mondo della moda
da quello reale. E non è soltanto una questione di taglie: la
verità è che mancano forti punti di contatto tra la realtà di
tutti i giorni e quel mondo patinato.
Purtroppo, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione, è quasi impossibile cambiare un sistema ormai
radicato. Almeno non in tempi brevi.
L’anoressia, però, non è presente solo nel mondo della moda
e dell’immagine, ma colpisce ovunque: nelle scuole, negli uffici,
nelle fabbriche, in famiglia.
In questi anni mi è capitato spesso di raccontare la mia
esperienza nei salotti televisivi di Rai, Mediaset, La7, Sky e
diverse emittenti locali. Ho conosciuto tantissime persone e mi
sono confrontata sui temi più vari, ma nessun incontro mi ha
toccato, e forse anche cambiato, come quello con Isabelle Caro.
Probabilmente la ricordate tutti: nel 2007 Isabelle è stata
la protagonista di una campagna choc di Oliviero Toscani,
diventata nel giro di pochissimo un simbolo della lotta contro
l’anoressia. Isabelle ha avuto il coraggio di dichiarare al mondo
la sua malattia. Guardandoci dai cartelloni pubblicitari con i
suoi grandi occhi malinconici, ha mostrato a tutti il suo corpo
nudo, consumato dalla malattia.
116 L’impegno curvy
Nel novembre del 2010 Isabelle ci ha lasciati. Pesava solo
31 chili. Era anoressica dall’età di tredici anni e quel male nero
aveva devastato il suo corpo. Già cinque anni prima, nel 2005
aveva rischiato di morire: il suo corpo pesava appena 25 chili.
Avete presente quanti sono 25 chili? All’incirca il peso di un
bambino tra i sei e i dieci anni.
La vita di Isabelle non è stata facile: piena di lacune affettive,
soffriva per il tormentato rapporto con la madre, la quale, in
seguito a una forte depressione dovuta in parte alla rottura
con l’uomo che amava, aveva riversato tutto il suo dolore su
quella figlia che avrebbe voluto sempre bambina. Non riusciva
ad accettare che Isabelle crescesse, misurava in continuazione
il suo corpo, la costringeva a indossare vestitini troppo piccoli
per lei, le impediva di uscire e di andare a scuola per non doversi allontanare da lei. Isabelle bambina non voleva deludere
la madre e ha iniziato così a negare il suo corpo nell’unico
modo che conosceva: smettendo di mangiare. Nel gennaio del
2011 la madre, sopraffatta dai sensi di colpa, si è tolta la vita.
Nel marzo del 2010, pochi mesi prima della sua morte, l’ho
incontrata negli studi de La7, dove eravamo ospiti nella trasmissione di Luca Barbareschi Talk Sciock. Isabelle era lì per
presentare il suo libro La ragazza che non voleva crescere, io ero
con le Curvy Can. Tra me e Isabelle si è creata immediatamente
una fortissima empatia, come un’onda energetica inspiegabile.
Era uscita dal suo camerino, debole e affaticata, avvolta
nella sua blusa gialla e viola troppo larga. I suoi occhi, truccati
di lilla, apparivano enormi, su quel viso scarno. Cercava di
dare l’impressione di star bene, di essere forte, ma si capiva che
Ama te stessa 117
la sua vita era appesa a un filo. Avevamo scambiato qualche
parola, e poi mi aveva lasciato il suo contatto Facebook per
poter unire le nostre forze e continuare il programma di sensibilizzazione sui disturbi alimentari e soprattutto testimoniare
che l’anoressia può uccidere.
Isabelle lottava affinché non si smettesse di parlare di questo
feroce disturbo che uccide l’anima e ruba il corpo e di mettere
in guardia le ragazze da un mostro che prima ti seduce e poi ti
strappa la vita, costringendoti a un lungo e inesorabile calvario.
Isabelle si è esposta in prima persona, per gridare a tutti la
sua sofferenza, in modo che fosse da monito per tutte quelle
giovani che cadono nella trappola dell’anoressia illudendosi di
poterla controllare. Tutto ciò che possiamo fare per provare a
sconfiggere queste malattie è fare prevenzione e informazione,
ma è un percorso lento e difficile.
Io, per esempio, vado regolarmente nelle scuole per incontrare le tante ragazzine ossessionate dal corpo e per dire loro
che devono imparare ad amarsi e accettarsi così come sono.
Loro mi ascoltano rapite, si sentono considerate: finalmente
qualcuno le capisce, qualcuno parla il loro linguaggio senza
giudicarle, qualcuno poco più grande di loro, che ha attraversato quello stesso tunnel, le può aiutare. In questi incontri le
ragazze sono libere di sfogarsi, di far uscire i loro tormenti,
possono esprimere le emozioni che provano quando, guardandosi allo specchio, vedono un corpo che troppo spesso non
amano e che per questo le fa soffrire.
Lasciando da parte ogni pudore, mi raccontano le loro
storie. Sono storie diverse, ma tutte accomunate dal senso di
118 L’impegno curvy
diversità che vivono quotidianamente sulla loro pelle. C’è chi si
sente diversa per qualche chilo di troppo, chi per l’apparecchio
ai denti, chi perché ha un rapporto difficile con la famiglia, chi
perché è dovuta crescere troppo in fretta affrontando situazioni
pesantissime per la sua età.
Tra le cause più frequenti e diff use di questi disturbi ci
sono i rapporti madre-figlia, spesso messi sotto la lente d’ingrandimento, perché capaci di svelare le origini di un disagio
profondo. I casi più estremi denunciano patologie molto gravi,
come la storia di Rebecca Jones.
Rebecca, inglese, ha ventisei anni. Pesa 31 chili, meno della
figlia Maisy, che ha sette anni, e si vestono nello stesso modo,
taglia compresa, perché, spiega Rebecca, «indossare gli stessi
vestiti di Maisy mi dà un senso di orgoglio. È sbagliato, ma mi fa
sentire bene. Io non penso di essere magra, mi vedo sempre come
la più grande». Rebecca spinge la figlia ad abbuffarsi di cioccolato e dolci, mentre lei sopravvive con zuppe e drink energetici.
I suoi disturbi alimentari risalgono a quando aveva undici
anni. In quel periodo i genitori divorziarono. Cominciò allora
a sfogare il suo malessere sul cibo, mangiando a dismisura, fino
ad arrivare a pesare 95 chili. A tredici anni, continuamente
derisa dai compagni perché era in sovrappeso, decise di fare
esattamente il contrario, dimagrire a dismisura, e iniziò a perdere un chilo dopo l’altro.
A diciannove anni, già consumata dall’anoressia, conobbe il
padre di sua figlia e rimase incinta, ma non se ne accorse fino
alla ventiseiesima settimana, praticamente quando la bimba già
scalciava nella pancia. Non fu una gravidanza facile: i medici
Ama te stessa 119
dovettero ricorrere all’alimentazione forzata affinché la piccola
crescesse sana. Rebecca si nutriva solo di barbabietole e pane.
Oggi Rebecca è in continua competizione con la figlia. Vuole pesare sempre meno. Rebecca non ha ancora sconfitto l’anoressia.
Siti pro Ana e Mia
Ana e Mia sono i due nomignoli che usano comunemente
in rete le ragazze per riferirsi all’anoressia e alla bulimia. Due
nomignoli all’apparenza simpatici, amichevoli, ma che nascondono una realtà agghiacciante. Due nomignoli che compaiono
quasi sempre insieme, perché sono due mali che si muovono
all’unisono, come in una danza macabra.
La prima volta che mi sono imbattuta in questi siti era il
2007. È una calda notte d’agosto, quando mi chiama un’amica
chiedendomi se so qualcosa riguardo ai siti pro anoressia e pro
bulimia. Non li conosco ma, subito incuriosita, mi metto alla
ricerca di qualche informazione in rete. Resto sconcertata. Come
Alice nel Paese delle Meraviglie entro subito in un’altra dimensione, ma dai contorni molto poco fiabeschi e assai sconvolgenti.
Inizio allora a documentarmi seriamente, e scopro che questi
siti nascono alla fine degli anni novanta principalmente come
diari di dimagrimento, una sorta di blog privati. Alcuni sono
accessibili a tutti, per altri invece è necessaria la registrazione.
Decido quindi di iscrivermi fingendomi una ragazza qualsiasi.
Studio quel mondo, mi faccio strada là dentro per settimane
intere. E quello che trovo mi turba moltissimo. Quella realtà è
popolata da centinaia di ragazze, per lo più adolescenti, talmente
ossessionate dal mito della magrezza estrema da aver innalzato
120 L’impegno curvy
l’anoressia a religione: Ana, la chiamano, come fosse una dea,
“colei che ci accompagna ogni giorno, che ci odia e ci ama, che
odiamo e amiamo”. E a questa dea bisogna votarsi e sacrificarsi,
nel vero senso della parola. Come ogni religione anche questa ha
un proprio credo e dieci comandamenti, che le devote devono
scolpirsi nella mente e seguire quotidianamente con il rigore e
la determinazione di un marine impegnato in un boot camp.
Questo è il credo:
Credo nel controllo, unica forza ordinatrice del caos
che altrimenti sarebbe la mia vita.
Credo che fino a quando sarò grassa resterò l’essere
più disgustoso e inutile a questo mondo e non meriterò
il tempo e l’attenzione di nessuno.
Credo negli sforzi, nei doveri e nelle autoimposizioni
come assolute e infrangibili leggi per determinare
il mio comportamento quotidiano.
Credo nella perfezione, mia unica meta verso la quale
rivolgere tutti i miei sforzi.
Credo nella bilancia come unico indicatore di successi
e fallimenti.
Credo nell’Ana, mia unica filosofia e religione.
Credo nell’inferno, perché questo mondo me lo ha mostrato.
E questo invece il decalogo:
1) Se non sei magra, non sei attraente.
2) Essere magri è più importante che essere sani.
3) Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi,
muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra.
Ama te stessa 121
4) Non puoi mangiare senza sentirti colpevole.
5) Non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo.
6) Devi contare le calorie e ridurne l’assunzione di conseguenza.
7) Quello che dice la bilancia è la cosa più importante.
8) Perdere peso è bene, guadagnare peso è male.
9) Non sarai mai troppo magra.
10) Essere magri e non mangiare sono simbolo di vera forza
di volontà e autocontrollo.
In questi siti, inoltre, le ragazze si scambiano consigli su
come arrivare a fine giornata senza assumere alcuna caloria o
su come ridurle al minimo, intorno alle 100/200 kilocalorie,
quando la media giornaliera consigliata dovrebbe essere di
1500. Dispensano suggerimenti sulle tecniche per vomitare
senza farsi scoprire dai genitori, si incoraggiano a portare
avanti a tutti i costi questa sfida verso la morte, si consolano
a vicenda quando qualcuna ha sgarrato mangiando qualcosa
di proibito ed è in preda ai sensi di colpa e condividono i
trucchi per sembrare più magre.
In rete poi ho trovato uno studio della Johns Hopkins
Bloomberg School of Public Health che mi ha impressionato
parecchio: su 180 siti analizzati (soltanto americani e probabilmente nemmeno tutti quelli esistenti), il 79 per cento offre
servizi interattivi, come il calcolo dell’IMC, l’84 per cento parla
di anoressia, mentre il 64 per cento di bulimia, e tra questi
ovviamente una buona percentuale inneggia a entrambe le
malattie. L’85 per cento di questi siti poi mostra fotografie di
presunti modelli da seguire, che sono spaventosi esempi di
122 L’impegno curvy
magrezza. L’83 per cento fornisce anche consigli pratici per
raggiungere un pericoloso stato di incosciente alterazione di
sé: consigli per vomitare meglio, per usare lassativi più efficaci,
per nascondere le tracce della malattia agli altri e persino per
imparare a mentire sistematicamente.
Negli anni ho raccolto alcuni post e voglio condividerne qualcuno con voi. Mi rendo conto del fatto che siano scioccanti, ma
se non iniziamo a calarci direttamente in queste realtà, o forse
sarebbe meglio chiamarli incubi, e a conoscerli dall’interno come
possiamo pretendere di fare una corretta prevenzione? Ecco alcuni esempi:
Sono decisa a ricominciare. Sono appena tornata a casa più
carica che mai e ho chiaro il mio obiettivo, 45 kg al più presto.
Durante le feste mi sono lasciata andare e non va bene, ho sforato alla grande le calorie della tabella, maledizione. Ma non mi
arrendo, questa volta voglio arrivare fino alla fine dei cinquanta
giorni e senza più errori… ODIO SBAGLIARE. Adesso solo lei
nella mia testa, SOLO ANA. dimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredimagrire…
Oggi non mi sono pesata perché mi vedevo più grassa del
solito, anche se ieri la bilancia segnava 52,3… ieri ero così felice
dopo aver scoperto di aver perso 700 grammi, oggi invece guardandomi allo specchio mi facevo schifo… sì, proprio schifo. Ho
delle gambe enormi, dei fianchi giganti... e mi dicevo che devo
Ama te stessa 123
sembrare magra, devo fare di tutto per essere magra. Sfidavo il
mio corpo con lo sguardo. Non voglio piangere, perché sono forte,
perché ho smesso di deprimermi… Devo solo lottare contro il
mio corpo, contro tutto questo grasso. Devo essere una persona
migliore e per esserlo devo cominciare a migliorarmi fuori.
Ieri pomeriggio è successo di nuovo, ho cercato di vomitare
senza riuscirci. Ogni volta che ci provo non ci riesco. Oggi sono
riuscita a mangiare solo due snack e mi sento lo stesso enorme!
Come è possibile? Perché a me? Sono riuscita a evitare il pranzo
con le mie amiche. So che non devo avvicinarmi al cibo tutto il
giorno sennò cedo... e invece non devo ingrassare, inorridisco
solo al pensiero di vedermi allo specchio... però so che ce la posso
fare, sono forte.
Mi chiamo Lisa, ho ventiquattro anni e soffro di disturbi
alimentari da quando ne avevo venti. In questi anni sono passata dall’anoressia alla bulimia, alternando periodi in cui non
mangiavo quasi nulla a momenti in cui mi abbuffavo. Per non
ingrassare vomitavo almeno una volta al giorno, prendevo regolarmente dei lassativi e tenevo ossessivamente il conto delle
calorie a tutte le ore del giorno. Non avevo autostima e la mia
immagine allo specchio mi dava disgusto.
Ho pensato di creare questo blog per avere un’ancora di salvezza, per riuscire a stare a galla. Sentirmi parte di una comunità, essere compresa e sostenuta è stato fondamentale. Ho
avuto gli alti e bassi della malattia, come tutte voi, ma almeno
sapevo di non essere sola.
124 L’impegno curvy
Più di una volta ho provato a uscirne, e ogni volta era sempre peggio. Sono caduta così in basso che ho finito per pensare
che stavo morendo, che il mio corpo non riusciva più a stare in
piedi tra vomito, convulsioni. Ma ho trovato la forza di risalire
di nuovo e di uscirne. Ho ritrovato interesse per la vita e ho
rimosso tutti gli articoli dal mio blog. Volevo tagliare con tutto
ciò che poteva ricordarmi quel periodo.
Poi sono stata sei mesi in Inghilterra: è stato un periodo bellissimo, ho conosciuto persone che mi hanno fatto sentire bene, e
pensavo di aver ritrovato un mio equilibrio. Poi, quando è venuto
il momento di ritornare a casa, sono caduta in depressione. Subito
Mia è tornata e il vomito è di nuovo parte integrante della mia
vita. Mi vergogno per questa mia debolezza, che mi fa soffrire.
Però chi si ricorda di me sa che ho sempre fatto del mio meglio
per sostenere le ragazze come me, per aiutarle e impedire loro
di fare i miei stessi errori. Non auguro a nessuno quello che ho
vissuto io e non ho la pretesa di aver sofferto più degli altri, però
ho capito una cosa, che senza aiuto non ce l’avrei mai fatta. Per
questo sono tornata. Mi riprenderò gradualmente, lo so...
Sono migliaia i post che riempiono le pagine web gestite
da queste integraliste della magrezza.
Come potete notare, sono parole che rivelano un disagio
profondo, una sofferenza che si sfoga sul corpo, ma che probabilmente ha origine altrove. Se qualcosa nella vostra vita non
funziona, non date per forza la colpa al vostro corpo, le cause
dei vostri problemi possono essere altre. Non odiate il vostro
corpo, non martoriatelo riducendolo alla fame, piuttosto fa-
Ama te stessa 125
tevi aiutare. Le soluzioni si trovano sempre e sono a portata
di mano, credetemi.
Ho scoperto poi che esiste una pericolosissima tabella dietetica chiamata Abc Diet (Ana Boot Camp, con un chiaro riferimento allo stile di addestramento dei marines). Dura cinquanta giorni, prevede delle soglie caloriche bassissime e, seguita in
modo rigoroso, permette di perdere peso velocemente. Eccola:
ABC DIET
Giorno 1:
500 kcal
Giorno 2:
500 kcal
Giorno 3:
300 kcal
Giorno 4:
400 kcal
Giorno 5:
100 kcal
6: 200 kcal
7: 300 kcal
8: 400 kcal
9: 500 kcal
10: digiuno
11: 150 kcal
12: 200 kcal
13: 400 kcal
14: 350 kcal
15: 250 kcal
16: 200 kcal
17: digiuno
18: 200 kcal
19: 100 kcal
20: digiuno
21: 300 kcal
22: 250 kcal
23: 200 kcal
24: 150 kcal
25: 100 kcal
26: 50 kcal
27: 100 kcal
28: 200 kcal
29: 200 kcal
30: 300 kcal
31: 800 kcal
32: digiuno
33: 250 kcal
34: 350 kcal
35: 450 kcal
36: digiuno
37: 500 kcal
38: 450 kcal
39: 400 kcal
40: 350 kcal
41: 300 kcal
42: 250 kcal
43: 200 kcal
44: 200 kcal
45: 250 kcal
46: 200 kcal
47: 300 kcal
48: 200 kcal
49: 150 kcal
50: digiuno
126 L’impegno curvy
State attenti, però, questo non è soltanto un metodo veloce
per abbattere il proprio peso: chi segue questa dieta rischia
seriamente di finire all’ospedale e di causare danni irreparabili
al proprio corpo e al sistema metabolico.
Cinquecento kilocalorie al giorno rappresentano una soglia
bassissima se paragonata al fabbisogno giornaliero di un’adolescente. Nessun nutrizionista o dietologo vi proporrà mai
un simile regime alimentare, se desiderate perdere qualche
chilo. Questa, lo ripeto, è una dieta pericolosissima che può
compromettere per sempre la vostra salute, oltre a coprire la
vostra pelle di indelebili smagliature per via della drastica riduzione di peso. Smettete di pensare che bellezza sia sinonimo
di magrezza, non è così.
Un segnale forte contro la lotta all’anoressia e alla bulimia
arriva il 18 marzo 2011. Vogue si schiera apertamente contro i
siti pro Ana e Mia, promuovendo una petizione per chiederne
la chiusura. Proprio la rivista che da decenni propone donne
magrissime e filiformi scende in campo per mettere fine a un
sistema deleterio per la salute delle donne. Sotto l’egida della
direttrice, Franca Sozzani, si raccolgono 12.000 persone, tra
cui numerosi vip e personaggi del mondo dello spettacolo e
della moda, come Monica Bellucci e Ester Cañadas.
Gli esperti di disturbi alimentari hanno discusso a lungo su
quanto i media influiscano sulla diffusione di queste patologie, mostrando continuamente donne esili. Analizzando oltre
duemila immagini di pubblicità si è notato come nella maggior
parte dei casi si tratti di donne sottopeso, che poco hanno in
comune con quelle che vediamo nella vita di tutti i giorni.
Ama te stessa 127
È stato anche preso in esame come la gente recepisce queste
immagini, cosa succede a livello psicologico e se ci può essere
una correlazione con i disturbi alimentari.
Uno studio interessante è stato condotto dalla Durham
University in Inghilterra: sono state mostrate a un gruppo di
donne due fotografie; in una era ritratta una modella magra,
nell’altra una dalla corporatura normale, se non addirittura
plus size. La preferenza è andata alla seconda.
Il risultato della ricerca è questo: noi immagazziniamo ciò
che i media ci propongono creandoci uno stereotipo, ma se
abbiamo la possibilità di scegliere, optiamo per ciò che ci rappresenta di più.
La rivoluzione curvy parte proprio da questo presupposto:
dal 2009 sto lottando per cambiare un’immagine stereotipata della donna nei media, un’immagine molto distante dalla
realtà e che non ci rappresenta. Nella nostra società, inoltre,
si è arrivati a essere addirittura discriminati per le dimensioni del proprio corpo, non solo nei licei, tra adolescenti, ma
persino nelle aule di tribunale. In proposito, qualche tempo
fa ho letto un interessante studio del Rudd Center for Food
Policy and Obesity della Yale University, in cui viene messa
in luce la discriminazione fisica negli ambienti della giustizia
statunitense. È stato rilevato che, davanti a un’imputata con
qualche chilo in più, i giudici maschi avevano dei pregiudizi,
al contrario dei giudici donna, che non ne avevano. Erano
infatti più veloci le sentenze verso le imputate sovrappeso, che
di solito venivano etichettate come recidive o «consapevoli
dei propri crimini».
128 L’impegno curvy
Un altro studio del Center for Creative Leadership ha
mostrato che i top manager con un alto indice di massa corporea sono stati giudicati più severamente e considerati meno efficienti rispetto ai loro colleghi più magri.
Rebecca Puhl, uno dei ricercatori di Yale, dichiara: «La magrezza è diventata il simbolo dei valori importanti nella nostra
società, valori come la disciplina, il duro lavoro, l’ambizione e
la forza di volontà. Se non sei magra, allora questi valori non
ti appartengono».
Si arriva poi al caso limite di Kenlie Tiggeman, una donna
che vive a New Orleans, consulente politica, alla quale l’anno
scorso per due volte è stato impedito di salire su un aereo con
la motivazione che era «troppo grassa per volare». Tuttavia
come vi ho già spiegato anche nei capitoli precedenti, l’obesità
non è un problema da sottovalutare, perché è causa di malattie che possono essere letali. Per questo Michelle Obama ha
avviato una battaglia contro l’obesità infantile. Si tratta di un
programma che si prefigge di insegnare nelle scuole la buona
e corretta alimentazione e quanto sia fondamentale praticare
sport. Gli Stati Uniti sono una nazione con un altissimo numero di soggetti obesi, e questo a causa di una cucina troppo
ricca di grassi e di bevande gassate.
Vorrei concludere questo capitolo con una mia intervista
alla dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta
e responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi, che ho conosciuto in occasione di un convegno
su questi argomenti.
Ama te stessa 129
Come ci si ammala di disturbi alimentari?
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono malattie a eziologia multifattoriale, ovvero a cui non si può attribuire
una sola causa, ma una serie di cause e fattori che insieme concorrono al loro sviluppo. Tali fattori, presi separatamente, non
porterebbero alla malattia.
Sono stati individuati alcuni elementi legati alla vulnerabilità
biologica e psicologica del soggetto verso il disturbo alimentare
(fattori predisponenti), altri che concorrono alla manifestazione
del disturbo vero e proprio (fattori scatenanti, come un trauma o
un forte cambiamento) e altri ancora che mantengono il paziente dentro al circolo vizioso della malattia (fattori perpetuanti,
come per esempio una situazione familiare molto problematica).
I fattori predisponenti possono essere sia di carattere individuale, ad esempio la tendenza al perfezionismo o un passato di
obesità in età infantile, sia di carattere socio-culturale.
Molti attribuiscono alla società moderna e alla sua esaltazione della magrezza la responsabilità della diffusione
dei disturbi dell’alimentazione: quanto c’è di vero in questa
affermazione?
Su quest’ultimo punto vi è un ampio dibattito, in quanto
molti puntano il dito verso la cultura odierna e l’esaltazione
della magrezza come causa della diffusione dei disturbi alimentari. È importante capire invece che, soprattutto in questo
caso, non si può parlare di causa, anche se senz’altro la cultura
svolge un determinato ruolo nella formazione del disturbo.
Una cultura come quella occidentale, che esalta la magrezza
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e pone molta attenzione alla forma fisica e all’apparenza, non
è infatti causa della malattia, quanto del suo sintomo più conosciuto, ovvero la ricerca esasperata dell’adeguamento della
propria forma fisica all’ideale di bellezza e magrezza imposto
dalla cultura. Si parla quindi di patoplasticità: la cultura non
è causa del disturbo ma dà forma ai suoi sintomi. Le caratteristiche del disturbo alimentare sono peculiari del nostro
tempo e della nostra cultura (quella occidentale): controllo del
cibo e del corpo si possono manifestare solo in un contesto di
abbondanza e infinita disponibilità di alimenti accompagnate da una forte pressione sulle forme corporee. Diversi studi
dimostrano, infatti, che i disturbi alimentari si diffondono di
pari passo alla diffusione dello stile di vita occidentale.
Che rapporto ha con il cibo una persona che soffre di disturbi alimentari?
Le persone affette da disturbi del comportamento alimentare vivono il cibo in maniera completamente diversa da chi
non ne soffre. Per loro il cibo assume moltissimi significati,
diversi da paziente a paziente. Innanzitutto non è più vissuto come ciò che permette di avere l’energia per affrontare la
giornata, in quanto ogni caloria assunta è vissuta come fonte
di ingrassamento e quindi come nemica del proprio corpo.
Solitamente il paziente conosce a memoria le calorie contenute
negli alimenti, tiene il conto delle calorie assunte (destinate a
diminuire sempre di più) e di quelle consumate con l’attività
fisica o altri metodi. Nella bulimia e nel disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) invece il cibo diviene un modo
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per gestire tutte le emozioni, sia positive che negative, attraverso le abbuffate. Tale meccanismo è uno dei più difficili da
scardinare, in quanto il paziente perde in questo modo anche
la capacità di distinguere e accettare le proprie emozioni. In
poche parole, il rapporto che le persone affette da disturbi del
comportamento alimentare hanno con il cibo appare solo in
funzione del controllo del corpo e quindi del dimagrimento;
in realtà attraverso il cibo esse gestiscono o sfogano il loro
mondo interiore. Proprio per questo tutte le loro energie sono
volte a tale tentativo di controllo del cibo: senza, crollerebbero.
Sappiamo che lei è responsabile di alcune strutture che si
occupano di DCA: chi si rivolge ai suoi centri?
La tipologia delle persone che si rivolgono ai centri da me
gestiti è la più variegata, e questo testimonia come ormai i
disturbi alimentari possono colpire chiunque. Sicuramente
il target più frequente è rappresentato da ragazze tra i 12 e
25 anni, anche se stanno purtroppo aumentando i casi di
bambine di 8/10 anni che presentano un disturbo alimentare sovrapponibile a quello degli adulti. Arrivano anche
molti adulti, che il più delle volte soff rono di disturbi del
comportamento alimentare da moltissimo tempo (dai dieci
ai vent’anni di malattia) oppure presentano un esordio tardivo, come nei casi di disturbo da alimentazione incontrollata.
Aumentano sempre di più anche i casi di disturbi alimentare nei maschi: nei disturbi da alimentazione incontrollata la
percentuale di ragazzi e uomini colpiti è quasi sovrapponibile
alle donne e i più giovani, di entrambi i sessi, stanno iniziando
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a risentire della forte pressione verso la forma fisica. Ultimamente capita molto spesso di visitare pazienti che, oltre a un
disturbo alimentare, presentano altre patologie psichiatriche,
come depressione o disturbi di personalità, e che necessitano
quindi di un trattamento per doppia diagnosi, oppure pazienti
che fanno uso di sostanze, come droga o alcool. In quest’ultimo
caso si parla di multicompulsione, in quanto il paziente vive
intrappolato nella compulsione e nella dipendenza verso più
sostanze contemporaneamente, tra le quali il cibo.
Qual è l’iter di un paziente?
Il primo fondamentale passo che deve compiere un paziente
è quello della ricerca della motivazione: il disturbo alimentare è uno dei pochi dal quale il paziente non vorrebbe mai
staccarsi, poiché in questi casi la persona si identifica con la
malattia. La cura deve essere quindi volontaria: se il paziente
non è motivato ogni tipo di intervento, anche il più specializzato, è vano. Il processo di cura è molto articolato e deve
essere specifico e di tipo integrato (deve essere curata cioè sia la
sfera psicologica che quella nutrizionale). Solitamente il punto
di accesso alle cure è a livello ambulatoriale: se le condizioni
fisiche sono molto gravi il paziente deve essere ricoverato in
ospedale, mentre se sono buone ma il paziente necessita di un
trattamento più intensivo e fuori dal contesto familiare, dovrebbe accedere a un tipo di trattamento riabilitativo in regime
residenziale. Vi è inoltre una via di mezzo tra l’ambulatorio e
il ricovero residenziale rappresentato dal trattamento in dayhospital. Spesso, dopo un periodo di trattamento intensivo, il
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paziente termina il percorso di cura tornando in ambulatorio.
La scelta del livello di cura e del tipo di percorso deve essere
stabilita da un’équipe terapeutica (composta almeno da uno
psichiatra, uno psicologo e un dietista o nutrizionista), che
esegue la prima visita diagnostica e accompagna il paziente
per tutto il lungo percorso terapeutico. Più anni di malattia
caratterizzano il disturbo, più tortuoso sarà il percorso di cura
e più lungo il tempo di guarigione.
Come si può fare per avere informazioni sulle strutture specializzate nella cura dei disturbi alimentari?
Da un anno è attivo un servizio nazionale gratuito dedicato
a chi soffre di questi disturbi e alle persone a loro vicine, il
numero verde SOS Disturbi Alimentari (800 180969), promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Dipartimento della
Gioventù e gestito dalla Asl 2 dell’Umbria. Il servizio, oltre a
offrire sostegno tramite counselling telefonico a pazienti, genitori e amici di pazienti, fornisce informazioni sulle strutture
pubbliche o private accreditate con il SSN. Gli operatori del
numero verde sono in grado di indirizzare verso le strutture
specializzate presenti su tutto il territorio italiano, facendo
riferimento alla mappatura nazionale di tali strutture, che è
consultabile sul sito www.disturbialimentarionline.it. Sia il
numero verde che la mappa nazionale delle strutture rappresentano iniziative volte ad aiutare gli utenti ad arrivare alle
cure in modo più veloce e soprattutto ad evitare di incappare
in servizi non specializzati, costosi e a volte anche dannosi
per i pazienti.