opinioni dissenzianti sui PACS nella Chiesa

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“Noi Siamo Chiesa”
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Comunicato stampa
Le opinioni nel mondo cattolico diverse da quelle della CEI sui PACS
Perché riconoscere giuridicamente una relazione affettiva stabile tra persone dello stesso
sesso, implicante assistenza e solidarietà reciproca, e attribuire a questa convivenza benefici
assistenziali, fiscali e previdenziali (pensioni di reversibilità, facilitazioni nell'assegnazione degli
alloggi, diritti di successione, ecc.) – questo sono i Patti civili di solidarietà (Pacs) – danneggerebbe
la famiglia?
Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea: “Non è certo introducendo i Pacs che si
lacera inaccettabilmente la famiglia”, la quale è molto più colpita “se stronco le possibilità di spesa
dei Comuni, tartassandoli economicamente”, e “metto in crisi servizi fondamentali come gli asili
nido”. E con mons. Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia: “È fuori luogo parlare di
attacco alla famiglia, come se lo scardinamento della famiglia oggi dipendesse dalla sua situazione
giuridica e non fosse invece un problema educativo, etico, di coscienza”.
La questione è ben impostata dal card. Francesco Pompedda, già prefetto della Signatura
apostolica: “Le unioni di fatto sono un fatto e dai fatti nascono diritti e doveri reciproci. Perciò è
giusto e doveroso che lo Stato li regoli: ignorarli non mi sembra opportuno né concepibile secondo
diritto. Ma la regolamentazione non deve creare equivoci, fare assomigliare le unioni di fatto ai
matrimoni o essere un primo passo per un’equiparazione”. Chiarisce mons. Bettazzi: “I Pacs
riconoscono una situazione di fatto che per molti - la maggior parte di queste coppie sono giovani in
attesa di sposarsi - è una sorta di preparazione al matrimonio che oggi non ha più senso condannare.
E consentono alcuni strumenti di tutela a persone che soffrono per non potere vivere appieno la
propria vita. Non si tratta di legalizzare i matrimoni gay, anzi, è un modo per disciplinare altrimenti
una materia così vasta d’implicazioni”.
Sulla stessa linea si pone, in una lettera apparsa sul Nuovo Torrazzo del 15/7/2000, don
Vito Barbaglio, là dove, riferendosi alle coppie omosessuali, diceva: "Si trovino pure formule
(convivenze legittimate?) per garantire alle loro unioni alcuni diritti e doveri, ma non facciamo
confusioni con la famiglia".
Ora, in uno Stato laico, come sottolinea il teologo moralista Giannino Piana, “alla legge va
assegnato il compito di evitare azioni che provocano danni consistenti (e palesemente riconosciuti)
agli individui e alla società; mentre non spetta a essa determinare i precetti che devono guidare la
condotta umana dal punto di vista morale. Negare alla legge una funzione strettamente etica, cioè di
formazione della coscienza o di sostegno a una morale particolare, non significa misconoscere il
ruolo dell’etica nella definizione dei dispositivi legislativi di una società. La negatività di alcuni
comportamenti (che vengono per questo giuridicamente perseguiti) implica il ricorso a un quadro di
valori in base al quale fare la valutazione. Ma l’etica alla quale ci si deve riferire nel giudizio non
può che essere espressione di un minimo comune denominatore valoriale raggiunto attraverso il
confronto tra le diverse visioni di ordine morale presenti nella società”.
Questa concezione, che soggiace alla Costituzione “Gaudium et Spes” sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo, è oggi messa in discussione da tentazione neotemporaliste, tanto da far dire
a mons. Casale: “Dobbiamo superare l’idea che la legge garantisca la morale. Ecco la mia paura è
che la Chiesa affidi alla legge la difesa della morale: sarebbe un tornare indietro e rinnegare il
Concilio”. Ma forse questa intuizione conciliare non è stata approfondita a sufficienza, se il card.
Martini, nel famoso discorso al Sinodo per l’Europa del 1999, aveva posto nell’agenda di un futuro
Concilio “il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”.
Non convince, poi, il continuo e “fondativo” richiamo alla “natura”, a ciò che è (o sarebbe)
“naturale”, alla “legge naturale”. Si tratta, infatti, di concetti problematici, che spesso sono serviti
solo a legittimare un ordine sociale costituito (per esempio, attribuendo al maschio il ruolo di “capo
della famiglia”). Senza contare che si tratterebbe di capire qual è la “natura” e che significherebbe
comportarsi “secondo natura” per “persone omosessuali”, cioè, per tendenza “innata” (come
riconosce il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 – n. 2358) o “profondamente radicata”
(come corregge la versione del 1997), esclusivamente o prevalentemente attratte da individui dello
stesso sesso (la scoperta che ne esistano risale al XIX secolo ed entra nei documenti ufficiali della
Chiesa dal 1975, mentre prima era ignota e la riflessione etica si riferiva sempre ad atti omosessuali
compiuti da soggetti ritenuti eterosessuali). Marco Ivaldo, ex presidente della Federazioni
universitaria cattolica italiana (Fuci), “non penso sia sostenibile l’idea che processi naturali
rilevabili fattualmente rappresentino ipso facto posizioni di valore o comunichino imperativi morali.
Essi possono offrire al più indicazioni pragmatiche, che tuttavia assumono rilievo morale soltanto se
sono abbracciati da una prospettiva di valore, e quest’ultima non nasce affatto dalla natura in noi e
fuori di noi (che è solo un livello della creazione), ma dalla ragione illuminata dalla fede. Il
cristianesimo non è religione della natura, ma religione del logos, che nel Dio crocifisso si è
manifestato come amore”.
In ultima analisi, è decisiva la risposta alla domanda: “Il fatto che due persone dello stesso
sesso si amino è positivo, è un valore?”. Nel 1995 il card. Basil Hume, arcivescovo di Westminster,
scriveva: “L’amore tra due persone, siano dello stesso sesso o di sesso diverso, va apprezzato e
rispettato. Quando due persone amano, sperimentano in modo limitato in questo mondo ciò che sarà
la loro gioia infinita quando saranno uno con Dio nel mondo futuro. Amare un altro significa in
realtà raggiungere Dio che è presente con la sua amabilità in colui che amiamo. Essere amato
significa ricevere un segno, o una parte, dell’amore incondizionato di Dio. Amare un altro, sia dello
stesso sesso sia di sesso diverso, significa entrare nell’area della più ricca esperienza umana”.
Ma se la comunità cristiana può “dire che è bene quando due persone, anche dello stesso sesso, si
amano”, allora mi chiedo se non sia tempo, anche per la Chiesa cattolica, di pensare, come già
hanno fatto altre Chiese cristiane, a un qualche segno di fraternità nei confronti delle coppie
omosessuali che vogliono dichiarare il loro amore davanti a Dio e assumere pubblicamente un
impegno a consolidare la loro unione. Si benedicono gli armenti, le automobili e, da parte di
qualche cardinale, perfino le portaerei. Possibile che non possa essere benedetto l’amore tra due
persone, solo perché dello stesso sesso?
Roma, 10 gennaio 2006
“Noi Siamo Chiesa”
“Noi Siamo Chiesa” fa parte del movimento internazionale We Are Church-IMWAC, fondato a Roma
nel 1996. Esso è impegnato nel rinnovamento della Chiesa Cattolica sulla base e nello spirito del Concilio
Ecumenico Vaticano II (1962-1965). IMWAC è presente in venti nazioni ed opera in collegamento con i
movimenti per la riforma della Chiesa cattolica di orientamento simile.
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