Università degli Studi di Napoli Federico II DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO E COSTITUZIONALE XXV° CICLO Tesi di Dottorato: Internet: governance e diritti Coordinatore del dottorato: Ch.mo Prof. Agatino Cariola Tutor: Ch.ma Prof.ssa Giovanna De Minico Dottoranda: dott.ssa Carmela Sabatelli Anno accademico 2012/2013 A mio nonno 1 L‟intelletto annulla il fato. Finché un uomo pensa, egli è libero. (Ralph Waldo Emerson) 2 INDICE INTRODUZIONE. La questione “Internet” ............................................ 5 CAPITOLO PRIMO INTERNET TRA GOVERNANCE E REGOLE TECNICHE 1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto .......................................... 9 1.1. Internet: la specificità del mezzo e le tecniche di regolazione ... 17 2. Internet: una governance possibile? ................................................. 28 2.1. Il Cyberspazio: il dibattito americano sulla regolazione della Rete ........................................................................................................ 29 2.2. ―Sovranità‖ e ―Ordinamento giuridico‖: vecchi concetti e nuove realtà ...................................................................................................... 52 2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi privati in Rete ...... 78 2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana all‘approccio europeo .................................................................................................. 95 3. Proposta di un modello regolatorio: dall‘autosufficienza della selfregulation alla necessità di una regolazione sovranazionale .................... 98 4. Il mito dell‘effettività regolatoria della Rete e il ruolo del soggetto pubblico .................................................................................................. 103 CAPITOLO SECONDO IL DIRITTO DI ACCESSO A INTERNET 1. La libertà di ―manifestazione‖ e di ―diffusione‖ del pensiero nell‘era della convergenza tecnologica ................................................................ 107 1.1. Il percorso giurisprudenziale della Corte Costituzionale e le posizioni della dottrina sul mezzo di diffusione del pensiero ............. 109 1.2. L‘informazione come bene comune ......................................... 117 3 2. Il diritto di accesso come ―nocciolo duro‖ dell‘articolo 21 Cost. .. 127 2.1. L‘accesso a Internet alla prova del bilanciamento dei valori. Questioni rilevanti in tema di diritto d‘autore ..................................... 134 2.2. Il diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata ............ 153 3. L‘accesso a Internet come ―nuovo diritto sociale‖ ........................ 157 3.1. L‘incidenza dell‘intervento del decisore politico sul diritto di accesso. Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale realtà? ..... 178 CAPITOLO TERZO LA LIBERTÁ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ON LINE 1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori dell‘Assemblea Costituente all‘era della Rete .................................................................. 188 1.1. Free speech, controllo e censura: la lettura americana ............ 210 1.2. I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero on line: il buon costume nel rapporto con la tutela dei minori. .................................... 229 2. La disciplina della stampa on line: tra ―scritto‖ e ―pubblicato‖ ..... 255 2.1. La legge n. 62 del 2001 e l‘equivoco del prodotto editoriale .. 269 2.2. Responsabilità per le pubblicazioni on line: tra principio di legalità e separazione dei poteri........................................................... 274 3. La posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in rete e sulla giurisdizione ......................................................................... 284 CONCLUSIONI. Le sfide della Rete .................................................... 289 BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 296 4 INTRODUZIONE. La questione “Internet” Per introdurre le considerazioni svolte in questo scritto, partirò dalle domande che mi sono posta quando ho cominciato a studiare il tema di Internet. Cos‘è la Rete? Perché il giurista deve porsi di fronte a questa realtà come a un rebus da risolvere? Lo studio, inizialmente solo tecnico del tema, ha fatto luce sull‘evidenza delle problematiche squisitamente giuridiche rispetto alle quali chi studia Internet s‘imbatte ad ogni passo. La Rete delle reti non è una realtà unica e omogenea: essa è un insieme di cavi, è il nuovo mezzo di diffusione dell‘informazione, è il contenitore del sapere nuovo e condiviso, è il modo inedito di comunicare, riunirsi, informare, dialogare con i pubblici poteri. Internet ha completamente rivoluzionato la vita di ciascuno di noi e la sua così penetrante influenza sulla vita del singolo, chiama, in primis, il diritto a dare concretezza e risposte alle nuove umane esigenze. D‘altronde, se le nuove forme di relazione sono create dalla scienza, che inesorabilmente avanza, s‘impone, ci circonda e ci condiziona nella quotidianità, immediatamente deve giungere il diritto, a tutelare i bisogni, le situazioni, i diritti della nuova era. Del resto, quella giuridica è la scienza che meglio risponde all‘evolversi della società perché vive e serve in ragione di essa, ne è, cioè, la più viva ed evidente espressione. In punto di diritto, dunque, le prime domande sono le seguenti: si può esigere che l‘evoluzione tecnologica sia orientata al raggiungimento di obiettivi di interesse pubblico e comune? O, invece, la libertà di gestire le nuove forme della comunicazione planetaria deve restare nelle mani di chi vuole usufruirne senza vincoli, obiettivi e limiti? 5 Le domande sono volte a indagare il contenuto del ―nocciolo duro‖ delle libertà, partendo da una considerazione: il limite al diritto è la più grande garanzia dello stesso, sempre che esso assuma carattere eguale per ciascun soggetto. Dunque, è nell‘architrave dell‘uguaglianza che è possibile riconoscere il filo rosso che potrebbe condurre questa ricerca a esiti di benefici per tutti, per l‘internauta, per l‘operatore di telecomunicazione, per i pubblici poteri, per la cassa dello Stato, per lo sviluppo del Paese, in una parola, per noi. Rispetto alle problematiche evidenziate, ho suggerito una risposta alla luce dell‘intenso dibattito affiorato e reso fervido dalla dottrina americana, che da anni si è spesa per risolvere il primo grande rebus che la Rete pone: la sua governance. I quesiti in tema di regolazione non possono che attenere, in primo luogo, alla legittimazione a dettare le regole di Internet e, in secondo luogo, alla non facile possibilità di coniugare le diverse categorie di ―sovranità‖ e ―ordinamento giuridico‖ con l‘impetuosità di una vicenda che si veste innanzitutto della grandezza sconfinata del pianeta. Le tematiche tracciate conducono, per logica conseguenza, a indagare il peculiare connubio tra Rete e democrazia rappresentativa, tra il diritto autoctono e la sovranità statale, tra la auto-legittimazione e il pubblico potere d‘imperio. Le soluzioni per sciogliere questo nodo gordiano si presentano diverse e alternative: lasciare il mondo della Rete in mano ai privati; lasciarlo completamente delle mani dei singoli legislatori nazionali; provare a leggere nella realtà quello che ci suggerisce, un approccio internazionale e multi-stakeholder. Va detto, che ciascuno dei modelli proposti presenta diverse incertezze e ambiguità ma, a parer mio, il giusto equilibrio va trovato nell‘approccio pratico al problema, nello studio del reale e delle soluzioni 6 che meglio si attagliano alla questione in oggetto, nel massimo rispetto delle garanzie minime del costituzionalismo. Il problema della governance è solo il primo degli interrogativi che la Rete propone. In sintesi, apre lo scenario, ma poi si viene al dunque. Infatti, se è vero che Internet è la rivoluzione cui abbiamo fatto cenno, ci si deve chiedere, innanzitutto, se poter usufruire delle potenzialità di questo mezzo è già un diritto che appartiene al singolo. Qui, i livelli di pretesa si presentano diversi, proprio nell‘ottica delle caratteristiche non più asfittiche dei tradizionali mezzi di comunicazione. Ci si chiede se, in Costituzione, sia già rinvenibile un obbligo dello Stato di garantire l‘accesso ai suoi cittadini; se l‘accesso, strumentale all‘esercizio delle più tradizionali libertà, sia di per sé configurabile come un nuovo diritto sociale; e ancora, se a questa domanda impegnata del singolo corrisponda un dovere ―europeo‖ e se l‘Europa del Trattato di Lisbona sia già una risposta valida e sufficiente. Del resto, i problemi sorti riguardo alla gestione delle risorse per investire nella banda larga, a livello nazionale e sovra-nazionale, pur indagati in questo lavoro, non sono altro che la conseguenza di un sistema di diritto che muta, e che, talvolta, non basta a se stesso per garantire i diritti dell‘individuo, riconosciuti come inviolabili, come proprio patrimonio indisponibile e irretrattabile. Di qui, l‘immancabile e conseguenziale riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, la prima a essere messa in pericolo dall‘inefficienza della governance della Rete, pericoli di vario tipo: censure, violazione del diritto, bilanciamento irragionevole, effettiva soppressione della libertà. Infatti, dalla questione della disconnessione dall‘accesso alla Rete, momento che già di per sé implica un freno all‘esercizio della libertà, si passa all‘esame delle diverse e delicate situazioni che abitano la realtà c.d. 7 virtuale, che, in spregio alla sua definizione, di reale ha molto, a cominciare dai soggetti che in essa si esprimono. A fronte di tali implicazioni giuridiche, ci si domanda se il decisore politico abbia mostrato lungimiranza e proporzionalità nelle scelte, se abbia operato equi-ordinazioni ragionevoli o se, invece, con politica miope, abbia lasciato per certi versi la Rete alla sua evoluzione, consegnando nelle mani della giurisprudenza la risoluzione di questioni pratiche, mettendo così a rischio, inevitabilmente, i principi cardine delle garanzie: la certezza del diritto, il principio di legalità, il trattamento eguale di situazioni non dissimili. Vaglierò, nel testo, le scelte operate dal legislatore, tentando di trovare una soluzione ai diversi quesiti che i temi della stampa, della diffamazione e del concetto di buon costume presentano a contatto con Internet. Il fine di questa ricerca è, dunque, partire dai fatti, dalla realtà. E guardare oltre, al diritto. 8 CAPITOLO PRIMO INTERNET TRA GOVERNANCE E REGOLE TECNICHE SOMMARIO: 1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto. – 1.1. Internet: la specificità del mezzo e le tecniche di regolazione. – 2. Internet: una governance possibile? – 2.1. Il cyberspazio: il dibattito americano sulla regolazione della rete. – 2.2. ―Sovranità‖ e ―Ordinamento giuridico‖: vecchi concetti e nuove realtà. – 2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi privati di rete. – 2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana all‘approccio europeo. – 3. Proposta di un modello regolatorio: dall‘autosufficienza della self-regulation alla necessità di una regolazione sovranazionale. – 4. Il mito dell‘effettività regolatoria della rete. 1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto L‘approccio alle diverse problematiche e implicazioni giuridiche che derivano dalla Rete non è univoco e la scelta del metodo da adottare per lo studio delle questioni di Internet e dei diritti on line diventa fondamentale per la comprensione della materia in oggetto. La prima domanda che il giurista si pone nell‘affrontare il tema della Rete è: che cos‘è Internet? Le conoscenze di carattere tecnico risultano, infatti, indispensabili al fine di comprendere il complesso fenomeno, nonché preliminari rispetto alle considerazioni giuridiche. Necessario appare, dunque, fare chiarezza su cosa sia la rete internet e su come si contraddistingua la sua struttura, la cui intima comprensione è imprescindibile per l‘interprete che voglia proporre delle soluzioni ai problemi giuridici che la Rete presenta. Internet è tante cose: è contemporaneamente un insieme di cavi che collegano i pc, è il più grande strumento di comunicazione di massa, è 9 l‘insieme di tutti i servizi veicolati on line, è, inoltre, la capacità di comunicare da un lato all‘altro del pianeta potendo ritenere del tutto azzerate le categorie di spazio e di tempo, avvalendosi, innanzitutto, della caratteristica della immediatezza. Internet, o più semplicemente ―the Net‖, è stata definita1 come una sorta di ―meta-rete costituita da molte reti telematiche connesse tra loro‖. Non ha importanza quale sia la tecnologia che le unisce: cavi, fibre ottiche, ponti radio, satelliti o altro, né è rilevante di che tipo siano i computer connessi. Punto di forza di Internet e motivo del suo velocissimo espandersi sono, infatti, la sua capacità di parlare un linguaggio universale, adatto alla quasi totalità degli elaboratori esistenti (il c.d. Protocollo TCP/IP). La dottrina americana, che da subito si è occupata delle conseguenze di carattere sociologico e giuridico che derivano dalla Rete Internet, ha dato alla stessa diverse definizioni, ciascuna pensata in ragione della rilevanza da attribuire alle sue peculiarità, talvolta a quelle che l‘hanno resa il più diffuso mezzo di comunicazione di massa2, talaltra alla particolarità della struttura tecnica di una rete di comunicazione dalle caratteristiche inedite3. M. CALVO – F. CIOTTI – G. RONCAGLIA – M.A. ZELA, Internet ‟98. Manuale per l‟uso della Rete, Laterza, 1998, p. 23 ss. 2 J. MATHIASON, nel testo Internet Governance. The new frontier of global institutions, Routledge, 2009, così scrive a p. 11: ―What can we say that the Internet is? As can be seen, the simple question has a complicated answer. We can say simply that it is communication channel or medium and as such a piece of the communication process. It is a network of networks, starting with the network of which a sender is a part, continuing to larger networks that link smaller ones, and finishing with the network of which the receiver is part. The networks connect because of agreed protocols. Most of these are technical pieces of engineering software that are agreed by technicians. As institutions, the Internet is made up of individuals who get services from institutions (companies, universities, government offices) who get services from other institutions who may invest in infrastructure or technological development‖. Si veda anche G.J. SMITH, Internet Law and Regulation, London, 2007, che scrive: ―Stripped of all mystery and mystique, the Internet is an electronic delivery mechanism for messages and information. In that sense, it is not fundamentally different from other electronic communications networks such as radio, television and telecommunications. These other networks are regulated and so should the Internet. Of course, broadcasting and communications are the subject of very different regulatory regimes and similarly the Internet will need its own distinctive system of regulation‖. 3 T. RUTKOWSKI, The Internet is Its Own Revolution, Internet Society News, 1993, così definisce la Rete: ―The Internet is a global data communication capability realized by 1 10 La struttura della Rete, che qui verrà tracciata, è diretta conseguenza della ragione per cui Internet è nata, è frutto cioè della mente degli ingegneri che risposero alle richieste ben precise del Governo americano. Com‘è noto, Internet, infatti, è frutto indiretto della Guerra Fredda. Il Ministero di Difesa americano avviò, in quegli anni, un progetto di ricerca col fine di preservare le telecomunicazioni in caso di una guerra nucleare. In quest‘ottica nacque Arpa, Agenzia governativa che coordinava e finanziava la ricerca nel campo delle TLC. Il suo fine ultimo era creare un‘infinità di reti, che avrebbero sopravvissuto agli eventuali attacchi nucleari su una rete di telecomunicazioni. Era necessario realizzare, cioè, una serie di strade alternative per la circolazione dei dati, ―in modo che l‘eventuale distruzione dei molti nodi funzionanti non interrompesse il flusso delle informazioni all‘interno della Rete4‖. La genialità della scoperta stava in ciò: ottenere una totale decentralizzazione che non compromettesse l‘integrità dell‘intera rete e, con essa, le informazioni che sulla stessa circolavano5. In caso di attacchi, il sistema avrebbe cercato percorsi alternativi, laddove la comunicazione tra i due nodi fosse stata interrotta. Infatti, la diffusione dei dati avviene, in Rete, tramite la tecnologia della commutazione di pacchetto6. Peraltro, i dati inviati da un indirizzo fonte a un indirizzo destinatario attraversano diversi nodi, detti routers, the interconnection of public and private telecommunication networks using Internet Protocol (IP), Trasmission Control Protocol (TCP), and the others protocols required to implement IP inter-networking on a global scale, such as DNS and packet routing protocols‖. 4 M. CALVO – F. CIOTTI – G. RONCAGLIA – M.A. ZELA, Internet ‟98. Manuale per l‟uso della Rete, cit., p. 26. 5 N. DI NARDO – A.M. ZOCCHI, Internet. Storia, tecnica, sociologia, Torino, 1999. 6 Appare necessaria questa precisazione in quanto la tecnologia utilizzata per la trasmissione dei dati in Internet connota la Rete stessa della caratteristica dell‘a-centralità. Non a caso, infatti, le comunicazioni su rete telefonica sono rette dalla tecnica della commutazione di circuito, che, invece, può causare l‘interruzione della comunicazione in caso di blocco di taluni nodi. 11 presenti in diverse Nazioni, senza che i governi possano in alcun modo impedirlo. Il fenomeno della Rete, dunque, è scevro da qualsiasi connotazione geografica. Ai fini della comunicazione, il luogo fisico in cui si trovano i computer che dialogano è totalmente indifferente. Infatti, anche se i dati inviati dal soggetto fonte vengono instradati su percorsi diversi, essi si riuniranno una volta giunti a destinazione, in modo che l‘informazione giunga completa e corretta. La descrizione della struttura reticolare di Internet serve a sgombrare in campo da un comune equivoco: Internet non è solo uno strumento di comunicazione. Esso è tanto la complessa Rete di cui abbiamo parlato – che, come si vedrà in seguito, fa sorgere una serie di interrogativi in ordine ai concetti di governabilità, di governance, di sovranità statale o sovrastatale e di ordinamento giuridico, non facilmente coniugabili on line – quanto il Word Wild Web, che ha comportato un aumento esponenziale dei soggetti connessi e ha fatto scoprire al mondo le potenzialità della Rete delle reti7. Il www è uno dei modi di manifestazione della Rete, la quale fornisce una piattaforma per una serie di altre applicazioni, come le mail e un‘enorme varietà di programmi di condivisione di file, come il peer to peer, e si risolve nel modo per accedere a qualsivoglia informazione attraverso l‘utilizzo dei diversi browsare8. I servizi che la Rete offre sono i più disparati: si pensi ai forum di discussione, ai newsgroup, alle chat e ai blog. 7 Sulla necessità di guardare al fenomeno Internet nella sua interezza, si veda L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, Oxford, 2009, p. 48. 8 S‘intende per browsare un programma che consente di usufruire dei servizi di connettività in Rete e di navigare sul World Wide Web, appoggiandosi sui protocolli di rete forniti dal sistema operativo, permettendo di visualizzare i contenuti delle pagine dei siti web e di interagire con essi. 12 La Rete, dunque, può essere ricostruita9 come una struttura a tre strati. Il primo, caratterizzato dall‘infrastruttura fisica, in cui si fanno rientrare le caratteristiche degli hardware10 che permettono alla rete di funzionare, le reti fisse di telecomunicazioni, reti mobili, reti cablate, tecnologia satellitare e router; il secondo, da quella logica, che comprende il protocollo di Rete11, TCP e IP, http, UMTS e molti altri; il terzo, infine, che attiene al contenuto veicolato in Rete e che comprende tutti i materiali memorizzati e trasmessi e ai quali si può accedere utilizzando gli strumenti di software12 dell‘infrastruttura logica. Appurato cosa sia Internet da un punto di vista tecnico-strutturale, le domande che bisogna porsi e le cui risposte appaiono preliminari allo studio di qualsiasi problematica attinente alla Rete, sono: qual è la natura ―giuridica‖ di Internet? Cos‘è la Rete in punto di diritto? Alla luce delle considerazioni finora svolte, si può affermare che Internet non sia uno status, non abbia personalità giuridica, non sia titolare di diritti o di doveri. Non esiste, data la sua struttura decentrata, un unico amministratore della Rete, né un gestore unico delle diverse infrastrutture che rendono possibile la comunicazione on line. Se, dunque, non esiste soggetto che 9 Si veda a riguardo A.D. MURRAY, The Regulation of Cyberspace. Control in the Online Environment, Roultedge, 2007, p. 75. L‘Autore approva e ripropone la descrizione della Rete avanzata da Y. BENKLER, in The Wealth of Networks. How social production transforms Markets and Freedom, Yale University Press, 2006. 10 Con il termine hardware si indica la parte fisica di un computer, ossia tutte quelle parti elettroniche, meccaniche, magnetiche e ottiche che ne consentono il funzionamento. 11 Per una visione peculiare del protocollo TCP/IP, si veda L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 69, che così lo definisce: ―it is the code of the Internet that determines the architecture of the Internet. In a significant sense, then, TCP/IP is the most important institution of Internet governance‖. 12 ―Con l‘espressione software si intende (dall‘inglese soft, leggero, e ware, componente) tutto ciò che costituisce la componente logica (i francesi usano, infatti, più efficacemente l‘espressione logiciel) e quindi l‘insieme delle strutture necessarie per consentire l‘elaborazione dei dati, istruzioni che possono assumere la forma di programmazione diretta, ovvero possono essere contenute in programmi appositamente predisposti, in grado, se eseguiti dall‘hardware, di raggiungere determinati risultati o di organizzare sistematicamente determinate operazioni‖, in G. CORASANITI, Diritti nella Rete. Valori umani, regole, interazione tecnologica globale, Milano, 2006, p. 50. 13 possa qualificarsi come Internet, se nessuno può concludere un contratto con la Rete, ma tuttalpiù in Rete, si potrebbe dire che giuridicamente Internet, come realtà a sé, non esiste13. La Rete è, come sopra sottolineato, un insieme di beni materiali – cavi, antenne, apparecchiature di commutazione – e di beni immateriali – i software che ne permettono il funzionamento. Il punto è, però, che non esiste uno solo di tali beni materiali o immateriali che appartenga a Internet. ―Ogni pezzo dell‘infrastruttura globale di telecomunicazioni appartiene a un soggetto diverso, pubblico o privato, nazionale o multinazionale. Ogni rete fa capo a uno o più soggetti proprietari delle infrastrutture fisiche e titolari dei diritti di utilizzo del software. Ma Internet, di per sé, non è proprietaria di alcuna infrastruttura‖14. In sostanza, si può dire che la Rete più estesa al mondo, dal cui funzionamento oggi dipende la maggior parte dei traffici commerciali e della comunicazione globale, non esiste come realtà unitaria, ancorché perfettamente funzionante. Già la dottrina americana15 aveva sottolineato quest‘aspetto, è stato scritto infatti: ―Internet non è una cosa, non è un‘entità, non è un‘organizzazione. Nessuno ne è proprietario, nessuno la gestisce. È, semplicemente, tutti i computer connessi‖. ―Internet è, per un verso, tutto, poiché è Rete delle reti e, per altro verso, null‘altro che il protocollo, lo standard che consente alle reti sparse in tutto il mondo di comunicare tra di loro, ossia di essere interconnesse. Internet è il traguardo dell‘astrattezza dei bits; essa, in quanto tale, non esiste‖16. La questione è stata affrontata da M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, 19-06-1997, in http://www.interlex.it/regole/mcmeta1.htm. 14 M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, cit. 15 S.E. MILLER, Civilizing Cyberspace: Policy, Power and the Information. Superhighway, New York, 1996, p. 47. 16 F.G. PIZZETTI, Internet e la natura “caotica” del diritto giurisprudenziale, in Politica del diritto, XXXII, n. 3, 2001, p. 468. 13 14 In realtà, per spiegare in cosa consista questa particolare rete di telecomunicazioni, è necessario indagare il quomodo del suo utilizzo. Un soggetto che voglia collegarsi alla Rete deve fare almeno due cose: stipulare un contratto con un Internet Access Provider e installare nel suo computer (o qualunque altro strumento che possa connettersi alla Rete) un software con determinate caratteristiche, definite da un insieme di norme tecniche designate come protocolli TCP/IP. Fondamentale è l‘attribuzione a quella connessione di Rete di un indirizzo IP17, che può essere fisso o assegnato di volta in volta per ogni collegamento. Tutto questo dà la misura di cosa sia ―giuridicamente‖ Internet. Perché esso si qualifichi nella realtà di fatto e di diritto, è necessario un soggetto, un contratto di connessione (o l‘aggancio a una connessione wireless con dispositivo apposito) e un software TCP/IP, che rappresenta il linguaggio comune che permette al soggetto di comunicare con altri dispositivi connessi alla Rete. Internet è, dunque, un insieme di regole, una struttura caratterizzata da una logica interna fondata su regole tecniche. Alla domanda cos‘è Internet, si può rispondere ―una struttura logica‖18. Da un punto di vista più strettamente giuridico, se Internet non è un soggetto, e se, dunque, i vari rapporti telematici si realizzano ―nella Rete‖, essa può essere definita un ―luogo‖, in cui si instaurano relazioni commerciali, personali o in cui vengono commessi atti illeciti. Da questo 17 Gli indirizzi IP (Internet Protocol addresses) sono una delle risorse necessarie per il successo e la crescita di un Internet globale. Ogni computer che si connette a Internet possiede un unico numero seriale che identifica il suo luogo virtuale, alla stregua dell‘indirizzo postale che identifica il luogo fisico di un‘abitazione. L‘indirizzo IP è assegnato in via permanente a un dispositivo o temporaneamente per l‘accesso a una sessione Internet. L‘informazione che viaggia in Rete è suddivisa in tante piccole unità, dette pacchetti, che, di volta in volta, vengono instradati verso l‘indirizzo destinazione. Ogni pacchetto contiene gli indirizzi IP del dispositivo fonte (chi richiede l‘informazione) e del dispositivo destinazione (che deve essere raggiunto) e i routers utilizzano gli indirizzi per avviare la comunicazione. Sul problema degli indirizzi IP come risorsa limitata e della gestione degli stessi a livello globale, si veda ampiamente L. D ENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, The Mit Press, London, 2009. 18 M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, cit. 15 dato di partenza, parte della dottrina ha parlato di ―spazio virtuale‖ o ―cyberspazio‖. L‘immagine di uno spazio ―virtuale‖ è suggestiva e di certo più aderente alla realtà tecnica descritta, ma, per certi versi, fuorviante. Immediatamente, infatti, emergono le prime difficoltà sia nel definire le relazioni tra spazio reale e virtuale, sia nello stabilire come predisporre un diritto della Rete senza poterlo ancorare a uno spazio territoriale fisico, individuando linee di confine non più fisiche, ma inevitabilmente logiche. Come si vede, il primo problema giuridico che la Rete presenta è quello della possibilità e dell‘opportunità di una regolazione. È un problema innanzitutto di diritto pubblico. Non è un caso, infatti, che la voce ―Internet‖19 sia stata inserita nel Digesto delle Discipline Pubblicistiche, e che in essa vengano trattate le problematiche attinenti al concetto di sovranità e ai diritti di libertà esercitabili on line. Parte della dottrina italiana20, infatti, ha inquadrato Internet come una rete dalla struttura ―acentrica‖ e ―acefala‖ e, in verità, ha sottolineato un aspetto fondamentale, non da tutti condiviso: ―la Rete è un luogo profondamente concreto e capace di accogliere nel suo seno, nel bene e nel male, le più umane esigenze‖. Essa, dunque, è una realtà più che mai reale e che, proprio per la sua capacità di incidere sulla vita e sui diritti di ogni soggetto, ci mostra l‘inesorabile insufficienza delle tradizionali categorie concettuali, richiedendo al giurista uno sforzo ricostruttivo. La rivoluzione prospettica che la Rete ha comportato dipende, in definitiva, da tre caratteristiche: l‘a-centralità, l‘a-territorialità e l‘interattività, la quale consiste nella possibilità, per l‘utente, di dialogare con la Rete. Il cybernauta, infatti, può essere mero destinatario di contenuti, 19 P. COSTANZO, Internet (voce), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, 2000, p. 347-371. 20 P. COSTANZO, Internet (voce), cit., p. 349. 16 creatore degli stessi, o entrambe le cose, diventando al tempo stesso spettatore e protagonista21. 1.1. Internet: la specificità del mezzo e le tecniche di regolazione La dottrina italiana22 ha osservato che è stata forte, per certo tempo, la tentazione dei giuristi di ridurre l‘informatica a un problema solo tecnico, dimenticandone tutte le implicazioni e ritenendo che, ―anche facendo appello ai caratteri specifici delle regole e delle regolamentazioni di tipo giuridico, queste sarebbero state oggetto di un linguaggio difficilmente riconducibile alla logica conseguenziale all‘algoritmo di programmazione‖. Questo atteggiamento di sfiducia verso la capacità del legislatore di dar corpo a norme tagliate sulla realtà tecnologica oggetto di regolazione è, in verità, conseguenza di una difficoltà effettiva in cui è incorso il legislatore23 e, prima ancora, in cui si è imbattuta la giurisprudenza, trovatasi di fronte a norme stantie da applicare a nuove realtà. C‘è, comunque, in dottrina24 chi ha capovolto il preconcetto comune circa l‘uso dell‘informatica da parte dei giuristi e affermato che il linguaggio del legislatore ―deve‖ mutare al fine di adeguarsi alle nuove tecnologie. Infatti, riesce impossibile, e spesso inutile, imporre alla Rete regole e politiche pensate per i mezzi di comunicazione tradizionali come la stampa, la radio o la televisione. S. RODOTÀ, Relazione introduttiva al Convegno “Internet e privacy – quali regole? dell‘8 maggio 1998, in www.interlex.it/675/rodotint.htm, ma anche G. CORASANITI, Diritti nella Rete, cit., p. 69, il quale ben spiega la logica dell‘ipertesto. 22 G. CORASANITI, Diritti nella Rete, cit., p. 55. 23 Su questo concetto, si veda P. COSTANZO, Internet (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, cit., p. 370, il quale già evidenziava ―Il legislatore italiano si muove con difficoltà nell‘individuazione di regole specifiche‖. 24 R. BORRUSO (et alii), L‟informatica del diritto, Milano, 2007, p. 375 ss. 21 17 Non a caso è stato sostenuto: ―Sono le regole più apparentemente semplici quelle che producono l‘effetto più pericoloso per la libertà interattiva, soprattutto quando esse muovono da una falsa analogia, dal presupposto che internet sia un mezzo come gli altri, che richiede la stessa disciplina degli altri media‖25. Anche la dottrina americana, del resto, ha ritenuto che le diversità strutturali del nuovo mezzo di comunicazione, Internet, giustificassero di per sé una diversa disciplina. È stato infatti notato che ―the Internet is now a fundamentally different operation than the days before the arrival of the web and the mass usage of the medium. Now some literally billions of users are accessing some tens of billions of web sites and, in these circumstances, there is content and there are activities that require some form of regulation. It is argued that there is no regulate the Internet because use of it is quite different from other communications networks. Whereas radio and television s pumped into millions of homes simultaneously (push technology), the Internet is an interactive medium and requires a particular user actively to seek a particular site or application (pull technology). In fact, this difference in operation of the Internet is an argument for some regulation not an argument against any regulation‖26. Le peculiarità della Rete sono, dunque, il punto di partenza per inquadrare la regolazione di Internet, innanzitutto, come nuovo mezzo di comunicazione di massa e, in secondo luogo, come nuovo spazio virtuale27. Le sue caratteristiche intrinseche dovrebbero, cioè, spingere il legislatore e i giudici a rifuggire facili equiparazioni, foriere di confuse interpretazioni che, in genere, dipendono da una scarsa conoscenza tecnica 25 G. CORASANITI, op. ult. cit., p. 75. G.J. SMITH, Internet law and regulation, cit. 27 A questo aspetto si dedicherà la seconda parte di questo capitolo. 26 18 dei nuovi media, o peggio, dalla volontà di imbrigliare la Rete in norme che ragionevolmente non dovrebbero esserle imposte28. Già la Corte Costituzionale, del resto, con la sentenza n. 155 del 2002, aveva espresso questo concetto, nel valutare la ragionevolezza di applicare la medesima disciplina a mezzi di comunicazioni differenti. In quel caso, si esaminava il tema dell‘accesso dei partiti politici ai mezzi di comunicazione di massa, rispettivamente alla stampa e alla radiotelevisione. La Corte ha, in primo luogo, ritenuto che fosse giustificato l‘intervento del legislatore diretto a regolare, durante la campagna elettorale, la concomitante e più intensa partecipazione di partiti e cittadini alla campagna politica e che i mezzi di informazione fossero tenuti alla parità di trattamento nei confronti dei soggetti politici richiedenti l‘accesso29, in ossequio al principio della par condicio. Il Giudice delle Leggi, dunque, presenta come punti di partenza il principio da applicare e la ratio della normativa e, come obiettivo, la necessità di valutare se un‘equiparazione di situazioni, e dunque di disciplina, sia in grado di garantire effettivamente la corretta applicazione del principio alla realtà circostante. La questione, per quello che qui interessa, era incentrata sulla legittimità costituzionale dell‘art. 7 della legge n. 28 del 2000, sotto il profilo della disparità di trattamento in danno del Ciò è accaduto, per esempio, nel caso dell‘audiovisivo. Infatti, il Governo italiano, con il d. lgs. n. 44 del 2010, nel recepire la Direttiva comunitaria 2007/65/CE, ha optato per una tecnica normativa insolita e confusa, estendendo la portata e i limiti delle definizioni di ―servizio media audiovisivo‖ e di ―fornitore di servizio audiovisivo‖, inquadrate diversamente dal legislatore comunitario. Ritenendo totalmente equivalenti il servizio audiovisivo veicolato sulla tv tradizionale e una serie di servizi offerti on line, ha optato per un‘equiparazione, che, dettata da una pretesa aderenza al principio della neutralità tecnologica, è stata foriera solo di un‘iper-regolazione della Rete, nociva innanzitutto per i cittadini, destinatari delle norme che dovrebbero tutelarli. Per un approfondimento sul tema, si rinvia, se si ritiene, a C. SABATELLI, Media Audiovisivi e Minori: quale convergenza e quale tutela?, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi Media e Minori, Roma, 2012, p. 131-172. 29 Corte Costituzionale, sentenza n. 155 del 2002, Considerato in diritto, punto 2. 28 19 settore radiotelevisivo, poiché per la stampa non erano previste altrettanto incisive limitazioni in ordine alla propaganda elettorale30. Secondo la Corte, la prospettata violazione dell‘art. 3 Cost. non sussiste, ―in quanto emittenza radiotelevisiva e stampa periodica hanno regimi giuridici nettamente diversi in relazione alle loro differenti caratteristiche: nel settore della stampa non c‘è alcuna barriera all‘accesso, mentre nel settore televisivo la non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione della particolare forza penetrativa di tale specifico strumento di comunicazione impone il ricorso al regime concessorio‖. ―In ogni caso‖, continua la Corte, ―la disomogeneità dei mezzi di comunicazione è tale da escludere qualsiasi disparità di trattamento, poiché è noto e costante, nella giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività del messaggio radiotelevisivo, così da giustificare l‘adozione, soltanto nei confronti dell‘emittenza televisiva, di una rigorosa disciplina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento nella formazione della volontà degli elettori‖. Dunque, non sussiste un tertium comparationis, non può instaurarsi un giudizio ternario, perché non sussistono le situazioni analoghe. In altre parole, pur dovendo applicare a stampa e radiotelevisione lo stesso principio della parità di accesso allo strumento di informazione, non Più nello specifico, l‘art. 7 della legge 28 del 2000 così recita: ―Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro. La comunicazione deve essere effettuata secondo le modalità e con i contenuti stabiliti dall'Autorità. Sono ammesse soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale: a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi; b) pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; c) pubblicazioni di confronto tra più candidati‖. 30 20 si realizza un‘effettiva equiparazione perché la diversità del mezzo è tale da giustificare una diversità della disciplina. Nel caso di specie, la Corte non si è interrogata direttamente sull‘applicabilità di una disciplina prevista per i tradizionali mezzi a Internet, nel qual caso, in verità, a parere di chi scrive, il discorso prima logico e poi giuridico della Corte dovrebbe valere a maggior ragione per la Rete che, in funzione delle sue caratteristiche, ha da subito sollevato questioni particolarmente spinose in ordine alla possibilità di disciplinarla. Nel caso di specie, per applicare a Internet il medesimo principio della par condicio, che di per sé è frutto del combinato disposto degli art.i 48, 49, 1, 3 e 21 Cost.31, si potrebbe immaginare un‘applicazione della disciplina prevista per i vecchi mezzi in via analogica? I principi che ispirano la legge 28 del 2000, dettata per la stampa e la radiotelevisione, con l‘adeguata differenziazione per i due diversi mezzi, sono così riassumibili: la parità di accesso ai mezzi, medesimo trattamento nelle trasmissioni di comunicazione politica, nonché rispetto ai messaggi autogestiti e, infine, il silenzio pre-elettorale, che garantisca all‘elettore di ragionare sul voto da accordare all‘una o all‘altra forza politica, accompagnato dal divieto di diffusione dei sondaggi, che è pensato in ragione del medesimo obiettivo. Posto che questi principi valgono chiaramente per ogni mezzo di informazione, ci si chiede, quale la disciplina da applicare sulla Rete? In primo luogo, in termini di fatto, va valutata Internet come una realtà diversa, infatti, ci si imbatte immediatamente nella valutazione di casi Si vedano sul tema O. GRANDINETTI, ―Par condicio‖, pluralismo e sistema televisivo, tra conferme e novità giurisprudenziali, in un quadro comunitario e tecnologico in evoluzione, in Giur. cost., 2002, 3, p. 1315; A. ODDI, La “ragionevole” impar condicio, in Giur. cost., 1998, 2, p. 556; S. BAGNI, La propaganda elettorale tramite Internet: quale disciplina?, in Dir. inf. informatica, 2004, 4-5, p. 629; E. BETTINELLI, Propaganda elettorale (voce) in Digesto delle Discipline pubblicistiche, 1997; A. STAZI, “Marketplace of ideas” e “accesso pluralistico” tra petizioni di principio e ius positum, in Dir.inf. informatica, 2009, 4-5, p. 635; G. DE MINICO, Silenzio elettorale e Costituzione, in Diritto e Società, 2, 2010, p. 221-238; ID., I poteri normativi del Garante per la radiodiffusione e l'editoria, in Pol. dir., 3, 1995. 31 21 particolari, quali la pubblicità elettorale sulle pagine web dei siti dei partiti in competizione elettorale, o forum di discussione a cui partecipano gli antagonisti dell‘agone politico. In secondo luogo, in termini di diritto, ci si chiede se sia plausibile un‘analogia legis per le diverse realtà presentate dalla Rete o, quanto meno, un‘analogia iuris, e dunque di principio, in ragione del fatto che gli interessi in gioco in tema di competizione elettorale sono, come sopra ricordato, gli stessi (voto libero e diritto ad essere informati da un lato, e libertà di manifestazione del pensiero e di partecipazione alla politica nazionale dall‘altro). Su questo tema, intervenne un parere consultivo32 dell‘AGCom, del 7 maggio del 1999, nel quale si prevedeva che le disposizioni previste dalla legge in materia elettorale (allora era in vigore la legge del 1993), limitative dell‘art. 21 Cost., in ragione dell‘equa ripartizione del tempo e del corretto svolgimento del processo democratico, ―non sono suscettibili di applicazione analogica con riguardo a forme di comunicazione che si avvalgono di mezzi diversi, in particolare di Internet, che costituisce mezzo autonomo e con proprie caratteristiche del tutto peculiari, distinto dalla stampa e dalla televisione‖. Alla luce di quanto detto, potrebbe concludersi che un‘analogia legis sarebbe irragionevole, posta la natura della Rete, intimamente diversa dal mezzo radiotelevisivo, di cui si disciplinano ―le modalità di espressione‖33. Per quanto attiene all‘ipotesi dell‘analogia iuris, non si può negare che i principi che ispirarono il Costituente restano ancora immutati, ma la difficoltà rimane nel coniugarli rispetto alla questione ―Internet‖. Basandoci, come del resto fa la Corte Costituzionale nella citata sentenza, su presupposti di fatto e di diritto, si può sostenere che tutti i 32 Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, Roma, 7 maggio 1999, Prot. n. 1677/A99. 33 R. BORRELLO, Stampa e par condicio: riflessioni critiche sulla recente disciplina, in Giur. cost., 2008, 03, p. 2767. 22 partiti possono potenzialmente creare un sito in cui ―pubblicare‖ programmi che mirano a orientare l‘elettorato. Ciò comporta che di per sé siano già garantiti la parità di chance, l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero di cui al 21 Cost., l‘esercizio del diritto di voto libero e consapevole di cui all‘art. 48 Cost. e la parità di trattamento per i vari partiti, diretta conseguenza dell‘art. 3 Cost., così come risulta già tutelato il diritto a un‘informazione completa dell‘elettore – declinazione passiva dell‘art. 21 Cost. –, perché il pluralismo esterno, in questo caso legato alla possibilità di accesso34, basta qui a garantire l‘effettività del diritto (ciò che non avviene, invece, per la radiotelevisione). Non sembra, dunque, essere necessaria una più stringente disciplina, caratterizzata da spazi e tempi predeterminati, specie se si considera che i concetti di spazio e tempo, in internet, sono di fatto relativi. L‘unico principio cui le caratteristiche della Rete non danno risposta immediata è quello del silenzio pre-elettorale, immediatamente precedente alla consultazione e pensato in ragione di evitare all‘elettore un bombardamento incontrollato di suggestioni. Si potrebbe, dunque, suggerire, de jure condendo, l‘estensibilità della norma sul divieto di pubblicazione dei sondaggi o l‘avvio di messaggi autogestiti in apertura alle pagine web, lasciando solo all‘elettore la scelta di riascoltare messaggi propagandistici, già precedentemente pubblicati nel web. Per il resto, introdurre una disciplina più restrittiva potrebbe risultare deleterio per l‘esercizio dei diritti di libertà e condurre a un progressivo deperimento delle fonti di informazione e a un avanzamento in rete del ruolo del mercato e delle logiche economiche a tutto scapito dei diritti di libertà. C‘è da considerare che la potenziale parità di accesso a Internet, garantita dalle caratteristiche stesse della Rete, non sempre corrisponde all‘effettiva possibilità di accedervi, specie nei casi in cui si evidenzia la presenza del digital divide. Su questo tema, sulla qualificazione giuridica del diritto di accesso e sulla stretta connessione tra la banda larga e l‘esercizio dei diritti di libertà, si rimanda al secondo capitolo di questo lavoro. 34 23 Il ragionamento che porta a concepire, in tema di par condicio come – del resto – per altri temi, la necessità di una diversità di approccio nell‘individuazione della disciplina per il nuovo mezzo di informazione, era già presente nella giurisprudenza americana dagli anni ‗90. Infatti, più nello specifico, sul tema della regolazione di Internet come nuovo mezzo di comunicazione di massa35, si è espressa la Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America, nella nota sentenza Reno v. Aclu (American Civil Liberties Union)36. L‘approccio della Corte Suprema degli Stati Uniti ha avuto il pregio di osservare il fatto nella sua interezza e di valutare tutti i diversi tipi di comunicazione – one to one, one to many e many to many – che la Rete consente, al fine di vagliare la legittimità costituzionale del Communication Decency Act, atto del Congresso che introduceva due disposizioni di legge allo scopo di proteggere i minori da comunicazioni ―indecenti‖ e ―palesemente offensive‖ veicolate in Rete. La prima norma oggetto di giudizio incriminava penalmente la condotta di ―chiunque, in comunicazioni interstatali, consapevolmente produce, crea o sollecita e avvia la trasmissione di commenti, richieste, suggerimenti, proposte, immagini o altre comunicazioni oscene o indecenti, sapendo che il destinatario della comunicazione è un minore di anni diciotto, abbia o meno egli stesso effettuato la richiesta o iniziato la comunicazione‖ e di ―chi, consapevolmente, permette l‘utilizzo di Sul tema si veda D.R. JOHNSON – D. POST, Law and borders. The rise of law in Cyberspace, in Standaford Law Review, 48, 1996, p. 1378, in cui gli Autori partono dal presupposto della diversità che la comunicazione in Rete presenta rispetto a quella che avviene con l‘uso della posta o del telefono. Le analogie – sottolineano – tra i vari mezzi non sono soddisfacenti. Ciò implica una regolazione differente, che abbia a oggetto il più ampio ambito della Rete globale e che possa sfociare, come si dirà anche in seguito, in una regolazione non solo statale. 36 Reno, Attorney general of the United States, et alii v. American Civil Liberties Union, U.S. 511 (1997), argued March 19, 1997 – Decided June, 26, 1997, reperibile in http://www.supremecourt.gov/opinions/boundvolumes/521bv.pdf. Per un commento alla sentenza, si veda V. ZENO ZENCOVICH, Manifestazione del pensiero, libertà di comunicazione e la sentenza sul caso Internet, in Dir. inf. informatica., 1996, p. 641. 35 24 attrezzature per le telecomunicazioni poste sotto il suo controllo per le attività vietate dal par. 1 con l‘intento che esse vengano impiegate per tali attività‖37; la seconda, invece, puniva ―chiunque, consapevolmente, nell‘ambito di comunicazioni interstatali o con l‘estero (…) utilizza un servizio informatico interattivo per trasmettere a una specifica persona o a più persone di età inferiore agli anni diciotto – ovvero utilizza un servizio informatico interattivo in modo da rendere accessibile, anche a una persona di età inferiore ai diciotto – commenti, richieste, suggerimenti, proposte, immagini o altre comunicazioni che, nel loro contesto, raffigurino o descrivano, in termini palesemente offensivi in base a criteri di giudizio della comunità contemporanea (community standard), attività o organi sessuali, indipendentemente dal fatto che l‘utente del servizio ne abbia richiesto la visualizzazione‖38. La Corte utilizza il seguente schema di ragionamento: osservazione della realtà di fatto – bene giuridico protetto – valutazione dell‘effettività della norma in oggetto rispetto all‘obiettivo – ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore e conseguente decisione di (il)legittimità costituzionale. In primo luogo, dunque, indaga39 la natura della Rete, come mai ancora fatto dalla giurisprudenza italiana. La Corte, infatti, riconosce che chiunque abbia accesso alla Rete può utilizzare una grande varietà di sistemi di comunicazione e di recupero delle informazioni e che, essendo essi in continua evoluzione, risulta difficile classificarli in modo preciso. I più rilevanti ai fini del giudizio, sostiene la 37 Communication Decency Act, 47 U.S.C., 223 (a), 1994 ed., Supp. II. Communication Decency Act, 47 U.S.C., 223 (d), 1994 ed., Supp. II. 39 Reno, Attorney general of the United States, et alii v. American Civil Liberties Union, U.S. 511 (1997), cit., Opinion of Court, I, ―The findind describe the character and the dimensions of the Internet, the availability of sexuality explicit material in that medium, and the problems confronting age verification for recipients of Internet communications. Because those findings provide the underpinnings for the legal issues, we begin with a summary of the undisputed facts. (…) Internet is a unique and wholly new medium of worldwide human communication‖. 38 25 Corte, sono la posta elettronica (e-mail), i servizi di mailing list automatici (mail exploder), newsgroup, chat rooms e il www. Considerati nel loro complesso, questi sistemi di comunicazione formano un unico medium, che gli utenti chiamano cyberspazio, privo di una specifica localizzazione geografica, ma a disposizione di chiunque, dovunque nel mondo si abbia accesso a Internet. Il materiale sessualmente esplicito su Internet comprende testi, immagini, conversazioni e varia dal contenuto di forme soft a quelle più propriamente hard-core. Ai file è possibile accedere deliberatamente o anche involontariamente se una ricerca viene condotta in modo impreciso. Peraltro, nota la Corte, data la scarsa diffusione di sistemi di filtraggio sicuri, che garantiscano la limitazione all‘accesso ai contenuti dannosi per i minori, e data l‘inesistenza di metodi certi per la verifica dell‘età di chi accede a certi siti o certe informazioni e immagini audio-video, non possono ritenersi legittime le norme predisposte dal Communication Decency Act. La decisione di diritto, dunque, è diretta conseguenza dell‘analisi del fatto40. La Corte, del resto, già in precedenti sentenze, aveva osservato che ―each medium of expression…may present its own problems‖. Nella sentenza in oggetto, infatti, si ribadisce ―Thus, some of our cases have recognized special justifications for regulation of the broadcast media that are not applicable to other speakers‖. L‘assenza di fattori, come la scarsità delle frequenze o la pervasività del messaggio, che spingono la Corte a desumere la legittimità di talune restrizioni all‘esercizio del free speech sul mezzo radiotelevisivo, sono causa essenziale della diversità di disciplina da applicare alla Rete. ―Those factors‖, ritiene la Corte, ―are not present in cyberspace. Neither before nor after the enactment of the CDA 40 Si veda in tal senso anche Southeastern Promotions, Ltd. v. Conrad, 420 U.S. 546, 557 (1975). 26 have the vast democratic forums of the Internet been subject to the type of government supervision and regulation that has attended the broadcast industry. Moreover, Internet is not as ‗invasive‘ as radio or television. Communications over the Internet do not ‗invade‘ an individual‘s home or appear on one‘s computer screen anbidden (…) Our cases provide no basis for qualifying the level of First Amendment scrutiny that should be applied to this medium‖. La Corte si chiede se il Congresso abbia formulato la disciplina legislativa in modo tale da raggiungere la finalità perseguita, senza imporre restrizioni ingiustificatamente estese alla libertà di espressione. E, poiché nel caso sottoposto alla Corte Suprema, la tecnologia disponibile non consentiva – come non consente tuttora – a chi immette materiali su Internet di escluderne con certezza l‘accesso ai minori, senza al tempo stesso negarlo agli adulti, l‘ampiezza della portata precettiva del CDA restava un fatto che, inevitabilmente, avrebbe comportato una censura di incostituzionalità. Si afferma in sentenza, infatti, che ―the strenght of the Government‘s interest in protecting minors is not equally strong throughout the coverage of this broad statute‖. Spesso, peraltro, la disciplina della Rete si traduce in una regola sul contenuto veicolato41, più che su modalità e tempi di esercizio della libertà, contingentabili in ossequio a esigenze di tutela superiori e preminenti, come può esserlo la tutela dei minori dai contenuti nocivi della loro salute psicofisica. In altre parole, la possibilità di ―zonizzare‖ Internet, ancorché valida in astratto, è decisamente non ancorata alla realtà di fatto, in cui il tentativo di creare un divieto di accesso per i minori, proprio per l‘inesistenza di misure efficaci che consentano una ―zonizzazione‖ come quella che avviene nel mondo reale (si pensi al divieto di vendita dei film a contenuto nocivo a minori di anni diciotto nelle videoteche), si tradurrebbe in una evidente In questo senso, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance. Infrastructure and Institutions, 2011, p. 48. 41 27 censura, motivo che ha spinto la Corte a dichiarare illegittime le norme del CDA. Come si vede, dunque, che il principio da applicare sia quello della par-condicio, o la tutela dei minori o ancora la libertà di stampa42, è sempre necessario attingere dalla realtà di fatto gli elementi necessari per produrre una ragionevole disciplina, specie se si tratta della rete Internet, che, in ragione delle sue caratteristiche, si presenta decisamente diversa dagli altri mezzi di informazione, non solo per l‘enorme quantità delle informazioni che circolano su di essa, ma per la particolarità dei servizi e le modalità di fruizione degli stessi. 2. Internet: una governance possibile? Il punto fermo cui si è giunti, e cioè il binomio ―diverso mezzodiversa disciplina‖, apre l‘orizzonte a una domanda non meno complessa della precedente: posto che Internet, come nuovo mezzo di comunicazione, in ragione delle sue caratteristiche, merita una disciplina diversa da quella pensata per i vecchi mezzi, chi e con quale legittimazione dovrà dettare queste regole? Il problema della governance della Rete è particolarmente complesso, specie perché trova origine in un fatto peculiare: Internet, oltre a essere un nuovo mezzo di comunicazione, è una struttura eterogenea, che va pensata e disciplinata in quanto tale. Possibile? Ragionevole? Il tema verrà affrontato a partire dal contributo della dottrina americana in materia di governance. Si ripercorrerà l‘evoluzione sulla 42 Per quanto attiene al tema della stampa on line, si vedano i paragrafi 2, 2.1. e 2.2. del terzo capitolo di questo lavoro. Basti ora rammentare che sul tema la giurisprudenza ha tentato, più o meno correttamente, di dare risposta alle questioni di fatto che presentavano una realtà decisamente diversa da quella regolata e pensata dal legislatore intervenuto a dettare la normativa sulla stampa. Negli ultimi anni, comunque, la giurisprudenza si è assestata sull‘opinione, quasi unanime, della non estendibilità sic et simpliciter, della normativa sulla stampa anche alla pubblicazione di post e blog on line. 28 governabilità della Rete che ha attraversato diverse fasi: dall‘impossibilità di una regolazione alla necessità di una governance dettata da diversi attori, pubblici e privati. Il dibattito americano, particolarmente ampio e multiforme sul tema, mostrerà l‘insufficienza di un modello regolatorio basato sull‘intervento di un unico attore e aprirà, dunque, alla problematica di fondo che permea tutte le questioni attinenti alla Rete Internet: la crisi del concetto di ―sovranità‖ e l‘interpretazione evolutiva del concetto di ―ordinamento giuridico‖. Particolare attenzione sarà poi posta sui soggetti privati che agiscono in Rete al fine di dedurre quante e quali ricadute ha il loro intervento sui diritti di libertà dei singoli soggetti. Infine, sarà analizzato l‘approccio europeo, di cui si evidenzieranno gli aspetti di ragionevolezza delle scelte politiche e la (scarsa) effettività delle stesse. 2.1. Il Cyberspazio: il dibattito americano sulla regolazione della Rete Nel ripercorrere l‘evoluzione del dibattito americano in materia di governance di Internet, è d‘obbligo il riferimento al primo Autore che, mettendo in luce una serie di problemi di carattere giuridico, poi via via affiorati e risolti solo in parte, rivendicò la natura libertaria della Rete, unico spazio ―virtuale‖ che potesse e dovesse restare scevro da qualsiasi tipo di regolazione, specie se statale. Si tratta di Perry Barlow, membro e fondatore dell‘Electronic Frontier Foundation43, pioniere dell‘idea per la Si tratta di un‘organizzazione internazionale no profit di avvocati, volta alla tutela dei diritti digitali, definita: ―an organization that – throught political partecipation, litigation, education, seminars and campaigns of various sourts – was devoted to developing the legal conception of cyberspace as a separate place and to defending it from the intrusion of territorial government‖, in J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, Oxford, 2006, p. 18. 43 29 quale il cyberspace potesse sfidare l‘autorità degli Stati e delle nazioni e spingere il mondo verso un nuovo sistema. Di certo, ancorché superate, come vedremo, lo storico significato di queste idee non può essere ignorato per il forte impatto che hanno avuto sulla dottrina giuridica e sulla giurisprudenza della Suprema Corte degli Stati Uniti d‘America. L‘idea di fondo era legata alla carismatica visione di Internet come un ―nuovo spazio‖ e alla necessità di costruire una governance libera da ogni identità nazionale e fisica: uno spazio che corrispondesse a una società in cui venisse comunque rispettata la dignità degli individui e che ―accettasse nel suo seno le persone tenendo in minima considerazione il loro aspetto o il loro luogo di provenienza‖44. Nel 1990 Barlow scrisse e distribuì la Declaration of the Indipendence of Cyberspace45, in cui proclamò l‘assoluta indipendenza dell‘universo di Internet e con cui rivendicò l‘assenza di legittimazione di qualsiasi tipo di sovranità che non fosse quella degli utenti stessi. Le leggi e i governi del mondo reale non avrebbero trovato cittadinanza nello spazio virtuale. È stato sostenuto, infatti, ―Barlow argued that the cyberspace legal order would reflect ethical deliberation instead of the coercive power that characterized real-space governance‖46. J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 16. Gli Autori scrivono: ―A liberal view of the good society says that individuals should be able to shape their lives as they wish, provided that such choices respect the dignity of others. Just as you choose you mate, your job, and your favorite brand of sodapop, you should be free to minimize the relevance of how you look and where you live. This is very hard to do in real space, within the traditional system of territorial governance‖. 45 La dichiarazione, reperibile in https://projects.eff.org/~barlow/DeclarationFinal.html, proclamava: ―I come from Cyberspace, the new home of mind. On behalf of the future, I ask you of the past to leave us alone. You are not welcome among us. You have no sovereignty where we gather. (…) We will identify and address them by our means. We are forming our own Social Contract. (…) Our identities have no bodies, so, unlike you, we cannot obtain order by physical coercion. We believe that from ethics, enlightened self-interest, and the commonweal, our governance will emerge‖. 46 J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 20. 44 30 Barlow diede avvio a una scuola di pensiero definita ―cyberlibertarianism‖, così sintetizzabile: il cyberspazio è un territorio che può e deve essere espressione di una democrazia deliberativa47. L‘idea dell‘assenza di regolazione, come anche quella di una regolazione non eteronoma, che non intervenga dall‘alto, dal potere politico, a qualunque livello di governo, si diffuse rapidamente, anche in ragione della sempre maggiore attenzione prestata alle ragioni tecniche che giustificavano e supportavano una tale teoria. In questo senso, infatti, si esprime anche uno dei maggiori esponenti americani sul tema della Rete, Lawrence Lessig. La linea di pensiero di questo Autore rappresenta il fulcro dell‘evoluzione dottrinaria sul tema della governance: egli, infatti, sostiene di aver originariamente aderito alla tesi della non regolabilità48. Solo in un momento successivo l‘Autore, seguito poi dalla più recente dottrina americana, addiverrà alla definizione di un modello peculiare di regulation. Originariamente, egli ritenne che l‘unico fattore di regolazione esistente ed efficace sulla Rete fosse quello che viene definito ―the code‖, il codice di architettura, l‘insieme, cioè, delle regole tecniche che disegnano le 47 Sul tema, si veda A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, Oxford, 2009, p. 56. L‘Autore, a commento del cyberlibertarianism, sostiene ―They believed that as traditional lawmakers may only enforce their laws within the confines of their legal jurisdiction, subject of course to a few specialized examples of extraterritorial effect, when a citizen of a real world jurisdiction, such as England and Wales, enters Cyberspace they cross a virtual border to a new sovereign state where the laws of the old state they left are no longer legitimate or valid. (…) This led to the belief, as expressed by Barlow, that traditional lawmakers could not enforce their laws against citizens of Cyberspace‖. Sul tema della democrazia deliberativa, si vedano G. MANIACI, Quale razionalità per la democrazia deliberativa?, in Diritto e questioni pubbliche, n. 9, 2009, p. 268-300; A. FLORIDIA, La democrazia deliberativa, dalla teoria alle procedure. Il caso della legge regionale toscana della partecipazione, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 5, 2007, p. 603-624; R. LEWANSKI, La democrazia deliberativa. Nuovi orizzonti per la politica, in Aggiornamenti sociali, n. 12, 2007, p. 743 ss.; R. BIFULCO, Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa, in www.astrid.eu; M. BONINU, La democrazia deliberativa. Costituzione e volontà generale, Roma, 2012, p. 111 ss. e 121 ss.; L. BOBBIO, Non proprio politica. Non proprio tecnica. La terza via della democrazia deliberativa, Relazione al Convegno nazionale SISP, Roma, 14 settembre 2012; M. STARITA, Democrazia deliberativa e Convenzione Europea dei diritti umani, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, p. 245-260; M. DELLA MORTE, Rappresentanza vs. partecipazione? L‟equilibrio costituzionale e la sua crisi, Milano, 2012, p. 107 ss. 48 L. LESSIG, Code. Version 2, New York, 2006, p. 32. 31 caratteristiche di Internet. Particolare merito va riconosciuto all‘Autore in commento, che già nella sua originaria tesi del ‗Code che guida l‘evolversi della Rete‘ e, con essa, la sua governance, aveva sottolineato un aspetto particolarmente rilevante: da qualunque ―soggetto‖ provenga la regolazione, sia esso anche lo stesso Codice tecnico, saranno da questo disegnati i valori, ritenuti fondamentali, che prenderanno corpo nella Rete. È stato, infatti, sostenuto: ―we can build, or architect, or code cyberspace to protect values that we believe are fundamental. Or we can build, or architect, or code cyberspace to allow those values to disappear‖49. Se si volesse aderire alla tesi della regolazione del Cyberspace, anche laddove il soggetto ―regolatore‖ fosse endogeno – la tecnica del code o gli stessi privati che gestiscono la Rete dal punto di vista tecnico-politico50 –, la regolazione stessa dovrebbe comunque seguire un orientamento univoco, segnato dai valori la cui realizzazione guiderà la determinazione delle singole norme. Le prime domande da porsi sarebbero dunque: quali valori possono essere protetti nel cyberspace? Il cyberspazio prometterà libero accesso e tutela della privacy? Preserverà uno spazio per la libertà di manifestazione del pensiero? Se e come potrebbe intervenire il governo nel framework regolatorio? ―The regulability‖, sostiene l‘Autore, è la capacità del governo di regolare i comportamenti e, nel contesto di Internet, è la capacità di regolare i comportamenti assunti dai cittadini on line. Per il regolatore è, però, necessario conoscere ―quali soggetti‖ siano assoggettati alle sue norme e ―quale spazio‖ sia regolato dalle stesse, infatti, proprio quando la determinazione di questi fattori diventa difficile, ne deriva una maggiore difficoltà di introdurre una seria regolazione. I primi e più importanti precetti, sostiene Lessig, sono, dunque, imposti dall‘architettura dello 49 L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 6. Si pensi all‘ICANN o all‘IETF. Su questo argomento, si veda il paragrafo 2.3. di questo Capitolo. 50 32 spazio digitale: ―the architecture of the space – at least as it was – rendered life in this space less regulable‖51. La prima teoria sul cyberspazio, intimamente legata alla sua natura libertaria, avrebbe escluso in radice qualsiasi possibilità e suscettibilità di regolazione: ―if there was a meme that ruled talk about cyberspace, it was that cyberspace was a place that could not be regulated. That it cannot be governed, its nature resists regulation. Not that cyberspace cannot be broken, or that government cannot shut it down. But if cyberspace exists, so first-generation thinking goes, government‘s power over behavior there is quite limited, in its essence, cyberspace is a place of no control‖52. La non suscettibilità di regolazione dipenderebbe, dunque, dalla natura della Rete. È la sua ―architecture‖ che detta legge in questo senso: la difficoltà di rendere effettiva una legislazione sulla Rete comporta l‘impossibilità di regolarla, l‘inutilità di un intervento eteronomo, l‘assenza di pubblico potere nello spazio virtuale. Del resto, la dottrina che si è occupata in principio del tema era orientata nel senso della a-regulation o, quando si riconosceva un ruolo pregnante ai privati che agiscono in Rete, come gli ISP o le associazioni di settore, in quello della self-regulation. Taluni Autori americani, infatti, hanno ritenuto che il fenomeno Internet avesse creato un nuovo ordinamento53, di per sé basato sul consenso degli utenti stessi e dotato di una propria giurisdizione. ―Cyberspace‖, è stato sostenuto, ―is a distinct place for purposes of legal analysis by recognizing a legally significant border between Cyberspace and the real world‖54. In sostanza, il cyberspazio non sarebbe 51 L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 23. L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 31. 53 Per le considerazioni in merito all‘evoluzione che ha interessato la figura dell‘ordinamento giuridico e alla dottrina che si è occupata del tema, si rimanda al par. 2.2. di questo capitolo. 54 D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in Standford Law Review, vol. 48, 1996, p. 1378. 52 33 uno spazio senza regole, ma uno spazio, distinto, diverso, in cui perdono la legittimazione le autorità pubbliche dei luoghi ―reali‖55, sostituibili dagli utenti della Rete, che dettano per se stessi regole in grado di garantire una pacifica convivenza. Entrare nel cyberspazio, del resto, è un atto di volontà ben preciso e la sola entrata in Internet determina accettarne le sue regole. ―No one accidentally strays across the border into cyberspace. To be sure, Cyberspace is not a homogenous place. Crossing into Cyberspace is a meaningful act that would make application of a distinct ‗law of Cyberspace‘ fair to those who pass over the electronic boundary‖56. Parte della dottrina americana è, dunque, orientata nel senso di ritenere necessaria per il cyberspazio una governance che provenga dal basso, in cui a dettare regole siano gli stessi utenti della Rete che, proprio dall‘utilizzo della stessa, traggono la loro legittimazione. La legge, infatti, intesa come ―thoughtful group conversation about core values‖ persisterà, ma non potrà – e d‘altro canto, non potrebbe e non dovrebbe – essere quella applicabile ai territori fisici e geograficamente definiti57. Si tratterebbe, dunque, di un diritto spontaneo58, autopoieutico59, che nasce per regolare rapporti non altrimenti regolabili dalla legislazione Ivi, ―Governments cannot stop electronic communication from coming across their borders, even if they want to do so. Nor can they credibly claim a right to regulate the Net based on supposed local harms caused by activities that originate outside their borders and that travel electronically to many different nations. One nation‘s legal institutions should not monopolize rule-making for entire Net‖. 56 D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1379. 57 Ibidem, p. 1402. 58 Sul tema, lucide le riflessioni di G. DE MINICO, Regole. Comando e Consenso, Torino, Giappichelli, 2005, p. 195 ss. e 227 ss., sulla riconducibilità dei sistemi di selfregulation nel quadro costituzionale e nei sistemi giuridici che radicano la legittimazione politica nella sovranità popolare. 59 Su questo concetto, con specifico riferimento al cyberspace, ampiamente, A. MURRAY, The Regulation of cyberspace. Control in on line environment, New York, Roultedge, 2007, p. 249-251. L‘ipotesi di regolazione proposta trova la sua fonte nel pensiero di Luhmann e si sostanzia nella visione di un ordinamento che si autocrea, in senso autopoieutico: ―According to Luhman there is no central organisational body and no hierarchical structure; merely unique system, and subsystems‖. In tal senso, l‘autoregolazione sarebbe l‘unica soluzione prospettabile per lo spazio di Internet. 55 34 vigente. Proprio da questa suggestiva immagine, nasce il paragone che parte della dottrina americana disegna tra la self-regulation nel cyberspace e la lex mercatoria, nata nel medioevo per regolare i rapporti commerciali60. In tal modo, il cyberspazio diventa ―an important forum for the development of new connections between individuals and mechanisms of selfgovernance‖61. Questa teoria, se ha il pregio di analizzare taluni fondamentali aspetti della Rete e di evidenziare tutta la difficoltà che il comune legislatore incontra nella regolazione di uno spazio diverso da quello pensato per l‘efficacia delle regole giuridiche, resta fallace e miope per vari aspetti. Primo fra tutti: all‘approccio particolarmente attento alla struttura della Rete, e dunque al fatto da regolare, non segue, però, un rilievo immediato, colto invece da altra dottrina62, l‘evidente ricaduta nel mondo materiale di tutte le attività che si svolgono on line. È, infatti, questo un elemento di debolezza, messo in evidenza dalla dottrina più attenta: quando si visita il cyberspace non si viaggia in nessun posto. Anche nello spazio virtuale un comportamento antisociale è vietato e il soggetto che lo compie, ancorché agisca on line, resta soggetto alla diretta regolazione dello Stato in cui risiede63. Sul tema del diritto autopoieutico, si veda per tutti G. T EUBNER, Il diritto come sistema autopoietico, Giuffrè, Milano, 1996. 60 La tesi è di D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1389: ―Perhaps the most apt analogy to the rise of a separate law oh Cyberspace is the origin of the Law Merchant – a distinct set of rules that developed with the new, rapid boundary-crossing trade of the Middle age. Merchant could not resolve their disputes by taking them to the local noble, whose establish meaningful rules for a sphere of activity that he barely understood and that was executed in locations beyond his control. The result of this jurisdictional confusion was the development of a new legal system – Lex Mercatoria‖. 61 Ibidem, p. 1397. 62 J.E. COHEN, Cyberspace as/and places, in Columbia Law Review, 2007. Si vedano anche, in questo senso, T.S. WU, Cyberspace sovereignty? – Internet and the International System, in Harvard Journal Of Law and Technology, 1997 e L. LESSIG, The Law of the Horse: what cyberlaw might teach, in Harvard Law Review, 2000. 63 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 56. 35 A fronte di queste osservazioni, i sostenitori del cyberlibertarianism affermano che il cyberspazio racchiuda in sé una nuova giurisdizione, altra e diversa da quella propria degli Stati in cui agiscono gli internauti, in cui nessuna regola esistente risulta applicabile. Il territorio in questione, insomma, non ha esistenza fisica, è uno spazio virtuale che si espande a seconda della connessione intervenuta tra gli host64. L‘assenza di fisicità, però, non negherebbe di per sé la presenza di territori e confini, pur non tradizionalmente intesi. I confini del cyberspazio resterebbero, cioè, assolutamente fermi e significativi a tal punto che, entrati in questo virtual space e superati i confini del mondo reale, si sarebbe legittimati a muoversi liberamente nel cyberspazio. La regolazione dello spazio reale, dunque, non potrebbe avere effetto per due motivi: è priva di legittimazione e sovranità rispetto al nuovo territorio e, anche laddove si volesse ritenere la stessa applicabile, essa risulterebbe inutile perché inefficiente, data la diversità strutturale della Rete. I cittadini del cyberspazio dovrebbero, cioè, scegliere un regime regolatorio differente da quello che regola le loro attività nello spazio reale. L‘unica efficace ―law of cyberspace‖65 potrebbe essere determinata dal ―free market in regulation‖ in cui gli utenti della Rete possano scegliere le regole più congeniali. Una regolazione per il cyberspazio dovrebbe nascere, quindi, da un‘azione collettiva decentralizzata ―decentralised, emergent law‖. La natura decentralizzata e non corporale del cyberspazio mostrerebbe che la sola possibilità di un sistema regolatorio si traduce in un sistema sviluppato organicamente col consenso della maggioranza dei cittadini del cyberspace66. D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1367. 65 D.R. JOHNSON – D. POST, The new civil Virtue of the Internet: a complex systems model for the Governance of Cyberspace, in C. FIRESTONE (edited by), The Emerging Internet (Annual Review of the Institute for Information Studies), 1998, anche reperibile in http://www.temple.edu/lawschool/dpost/Newcivicvirtue.html. 66 Ivi. 64 36 In verità, questa visione della Rete come luogo in cui le leggi, nascenti dal basso, possano essere espressioni di valori condivisi dalla comunità, separati e altri da quelli propri dei legislatori nazionali, desta una serie di perplessità. Rispetto a questa tesi, sono stati posti, infatti, diversi interrogativi: innanzitutto, la difficoltà di capire di chi si componga la comunità di utenti che caratterizza la Rete, di chi, tra essi, sarebbe legittimato a rappresentare il volere della comunità e, ancora, quali valori potrebbero essere considerati ―condivisi‖ in una comunità così variegata67. Secondo altri68, un ―democratic discourse‖ non sarebbe nemmeno pensabile in Rete, perché la natura di Internet porta a isolare gli individui attraverso filtri e schermi e, conseguentemente, non fornisce la possibilità di creare una ―comunità effettiva‖. Mentre un sistema ben funzionante di democrazia deliberativa richiede un certo grado di informazioni che i cittadini possono assumere durante le attività deliberative, l‘abilità di filtrare informazioni, offerta dalle nuove tecnologie, interferisce col flusso delle stesse in due modi: quanto al primo, l‘utente potrebbe decidere di non ricevere talune informazioni, utilizzando filtri che gli assicurino di ricevere solo quelle che siano di suo specifico interesse; quanto al secondo, ciò comporta una disomogeneità di informazioni all‘interno della macrocomunità di utenti, che di per sé rende impossibile concepire una reale democrazia deliberativa per Internet. Se questo discorso viene accettato, se ne dedurrà che la mancanza di omogeneità di valori, che permea una società frammentata – come è quella della Rete – determina l‘impossibilità di un discorso effettivamente democratico, a sua volta indispensabile per la creazione di una ―cyberspace law‖. Il risultato di questo ragionamento è che Internet non potrebbe essere regolato solo dal suo interno. Di certo, la regolazione della Rete implica tante e tali problematiche, da far ritenere insoddisfacenti quasi tutte le teorie che si sono contese il 67 68 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 59. C.R. SUNSTEIN, Republic.com 2.0, Princeton, 2007. 37 campo del tema della governance di Internet. La stessa teoria di Sunstein, che ha indubbiamente il pregio di aver rilevato l‘insufficienza di una supposta legittimazione della self-regulation, non risolve comunque la questione dell‘effettività di una regolazione eteronoma, né illumina sul chi dovrebbe intervenire69. Comunque, già l‘aver messo in luce taluni aspetti della Rete Internet, particolarmente rilevanti ai fini della regulation, è un decisivo passo avanti, specie se si sottolinea la capacità di chi ha scardinato l‘idea di un cyberspazio virtuale e separato da quello reale, ottenendo un approccio decisamente più pratico alla questione della governance e più aderente alla realtà. Com‘è stato evidenziato, infatti, il cyberspazio è di per sé uno spazio del mondo reale, e ciò non solo perché da esso può essere regolato, ma, soprattutto, perché gli utenti del cyberspazio sono situati nel mondo reale. ―Cyberspace is not, and never could be, the kingdom of mind; minds are attached to bodies, and bodies exist in the space of the world. And Cyberspace as such as does not preexist its users‖70. Se c‘è qualcosa di ―unique‖ rispetto al cyberspazio come ―place‖, è la particolare interazione tra potere normativo e progettazione tecnica, che qualifica questo spazio e che va continuamente esaminata. È solo traducendo queste considerazioni in leggi e in politiche mirate che potrà avviarsi un progetto di regolazione del cyberspazio, ancorato a un approccio di carattere pragmatico71. L‘immagine della ―invasione‖72 della self-regulation per Internet è, infatti, decisamente fuorviante. Lo sviluppo della Rete comporta diverse questioni di policy pubblica, che vanno risolte perlomeno attraverso una co69 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 60. J.E. COHEN, Cyberspace as/and places, in Columbia Law Review, 2007. Si vedano anche, in questo senso, T. WU, Cyberspace sovereignty? – Internet and the International System, cit., p. 218. 71 Ivi, p. 256. 72 C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, London, 2008. 70 38 regulation, che implichi l‘ingresso nella scena regolatoria di soggetti pubblici e privati. Parte della dottrina americana ha, non a caso, sostenuto che: ―Our emerging structure of media regulation develop through competition in response to a demand for regulation which is a constant negotiation between private and public institutions‖73. L‘Autore in questione sostiene che, mentre la self-regulation implica un alto grado di indipendenza dalla etero-normazione statale, la co-regulation coinvolge lo Stato nel processo di formazione delle regole. Tale modello di regolazione sarebbe in realtà più rispondente alle esigenze e alle istanze che dal cyberspazio prendono forma e corpo. Infatti, i metodi di self-regulation applicati alla Rete si risolverebbero in poco più che dichiarazioni di buona volontà74. La regolazione dal basso, infatti, può essere definita un ―laboratory of law and regulation‖75 che, pur avendo presente le ampie questioni in gioco – la natura dell‘affidamento ingenerato nell‘utente o il tema della libertà di manifestazione del pensiero on line – si manifesta in tutta la sua inadeguatezza, in conseguenza di una mancanza di efficacia delle regole, dovuta alla genesi endogena, che non consente di per sé una coercizione rispetto al comportamento che le trasgredisce. Tale inadeguatezza si svela nell‘assenza di garanzie dei diritti degli utenti e in una forma di legittimazione poco chiara, tratta dalla semplice appartenenza alla comunità digitale, senza però il necessario consenso di tutta la comunità di riferimento, concetto di per sé già difficilmente individuabile, in ragione delle caratteristiche della Rete. 73 Ibidem, p. 4. Si pensi ai codici di condotta o ai contratti stipulati tra gli ISP e gli utenti, in cui le limitazioni dei diritti, nonché le violazioni degli stessi, non sortiscono conseguenze di sorta. Sul modus operandi degli organismi privati in Rete si rimanda al paragrafo 2.3. 75 C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, cit., p. 4. 74 39 La realtà è che per chi usa Internet, sia come utente che come operatore di settore, la sua regolazione è aspetto di fondamentale importanza. Per questo, c‘è chi ha ritenuto auspicabile la combinazione di elementi di self-regulation, quali i codici di condotta scritti ed eseguiti dagli ISP dei diversi Paesi, e la legge, la cui ―sottile relazione‖76 potrebbe dare risposta alle problematiche che la Rete presenta: da un lato, l‘intervento dei privati nel dettare regole per se stessi, in un modo che implichi e garantisca una sensibilizzazione rispetto a certe tematiche, come la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto alla privacy, il diritto d‘autore e, dall‘altro, la certezza dell‘intervento pubblico che agisca, innanzitutto, per assicurare l‘uniformità della disciplina giuridica e la tutela dei diritti vecchi e nuovi esercitabili in Rete. Peraltro la tesi della co-regulation, nasce anche da un fatto: Internet ha subito una regolazione dall‘alto77, innanzitutto perché la sua stessa architettura ha subito delle modifiche nel tempo. È stato, infatti, sostenuto: ―The environment of the Internet is itself a determinant of its physical and virtual boundaries‖78 e, dunque, se la sua architettura cambia, muterà anche l‘approccio alla sua regolazione. Il cyberspazio non sarebbe, quindi, immune da un intervento regolatorio da parte di chi detta regole e leggi nel mondo reale: questa, la La felice espressione è di C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, cit., p. 5, in cui si sostiene: ―The combination of self-regulatory codes and law, and the subtle relationship between them, can define the difference between a situation in which a company has legal liability for content, and one in which the liability for content remains with others in the value chain. They may be cases in which the adoption of a selfregulatory code of conduct could lead to an increase in the due diligence burden, and others in which it is sensible business practice to adopt a code of conduct in order to reduce risk‖. 77 Particolarmente ampio sul tema delle modalità di regolazione intervenute di fatto sulla Rete: J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 68 ss. e 90 ss. 78 Ibidem, p. 5, ma anche in L. LESSIG, Reading the Constitution in Cyberspace, in Emoy Law Journal, 1996, 869, nonchè in J. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, in University of Pennsylvania Law Review, vol. 153, 2005. 76 40 sintesi di una diversa scuola di pensiero, che ha preso il nome di ―cyberpaternalism‖79. La vera rilevanza della teoria in questione è, come detto, la particolare attenzione alla geografia della Rete. Essa, inesistente fisicamente solo se si utilizzano gli schemi tradizionali e le tipiche categorie di confini e frontiere, è disegnata dall‘uomo, dalla tecnica, dagli standard che permettono e potenziano tutte le possibili comunicazioni (one to one – one to many – many to many). Tali regole, secondo alcuni, possono addirittura sostituire i confini geografici perché impongono un preciso assetto allo spazio della Rete. Gli esponenti di questa teoria suggeriscono un nuovo modo di guardare al controllo e alla regolazione dello spazio on line, concettualizzando ciò che viene definita ―lex informatica‖80. Questa attingerebbe al principio della lex mercatoria e farebbe riferimento alle norme imposte agli utenti dalle capacità tecnologiche e dalle scelte progettuali di sistema. Dunque, ―whereas political governance processes usually establish the substantive laws of nation states, in Lex informatica the primary sources of default rule making are the techonology developers and the social processes throught which customary uses of the technology evolve. To this end, rather than being inherently unregulable due to its design or architecture, the internet is in fact closely regulated by its architecture‖81. Alla luce della dipendenza della lex informatica dalle scelte progettuali, il controllo pubblico, associato ai regimi di regolamentazione, potrebbe essere mantenuto spostando l‘attenzione delle azioni di governo 79 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit. p. 60. J. REIDENBERG, Governing Networks and Rule-Making in Cyberspace, in Emory Law Journal, 1996, p. 911, ma anche ID., Lex Informatica: the formation policy rules through technology, in Texas Law Review, 1998, p. 553. 81 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 61. 80 41 dalla regolazione diretta del cyberspazio alla regolazione e alla modifica della sua architettura.82 In sostanza, il cyberpaternalism suggerisce che i legislatori, che cercano affannosamente di regolare e controllare le attività svolte dai propri cittadini on line, dovrebbero, invece, cercare di regolare solo indirettamente queste attività, producendo piuttosto modifiche all‘architettura di Rete, oppure sostenendo le attività di autoregolamentazione da parte dei progettisti della stessa83. Dunque, si tratterebbe di una forma di coregulation, in cui le leggi dettate dallo Stato s‘integrano con una politica di self-regulation, indispensabile in ragione del determinante apporto che i progettisti di Rete danno all‘utilizzabilità di essa, incidendo indirettamente sulla possibilità di utilizzare Internet da parte di ogni cittadino. L‘Autore che meglio sintetizza questo concetto di co-regulation è Lawrence Lessig. Mentre nelle sue prime riflessioni84, come accennato sopra, egli aveva affermato che mai il governo avrebbe potuto regolare la 82 La teoria in esame non è così peregrina. Infatti, gli interventi del Governo americano si stanno muovendo anche in questa direzione. Sul tema della Privacy, uno degli ultimi disegni di legge presentati al Congresso ha proprio a oggetto la regolazione della privacy in Rete attraverso interventi di sistema: imporre, per esempio, agli ISP di non utilizzare tecniche di tracciamento dei dati personali, con l‘aiuto di appositi software che garantirebbero un maggior anonimato nella navigazione in Rete - peraltro già in commercio per il software di Mozilla Firefox, che ha previsto l‘addon (componente aggiuntivo) del track me not. Si veda, a riguardo, l‘atto Consumer Data privacy in a Networked World: a framework for protecting privacy and promoting innovation in the global digital economy, del febbraio 2012, reperibile in http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/privacy-final.pdf, con cui si propone una modifica del software, imposta per legge, e una possibilità di intervento a tutela della privacy che sia espressione di un intervento regolatorio a più voci, legge (Consumer Privacy Bill of Rights), regolamenti FTC (che garantiscono la presenza di una fonte eteronoma uguale per tutti gli operatori e obbligatoria) e codici di condotta degli ISP, il tutto orientato a un monitoraggio della tecnologia in continua evoluzione (p. 35 ss. del documento). Si tenga presente che nel mese successivo, marzo 2012, anche la FTC si è mossa in questa direzione, pubblicando un rapporto ―Protecting Consumer Privacy in an era of rapid change. Recomandations for business and policymakers‖, che, se da un lato spinge il Congresso a intervenire con legge, dall‘altro propone alle imprese e agli organismi di autoregolamentazione di accelerare l‘adozione di principi a tutela della privacy. 83 Si propone, infatti, che ―lawmakers could support self-regulatory activities of network designers‖, in A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, p. 61. 84 Si veda L. LESSIG, Code and other law of Cyberspace, New York, 1999. 42 Rete e che questa ―assenza‖ del potere pubblico sulle attività svolte on line avrebbe solo giovato alle libertà esercitabili in Internet, al termine della sua riflessione sul cyberspazio giunge a una conclusione opposta: la legislazione statale entra inevitabilmente nella regolazione dello spazio on line e, soprattutto, essa diventa necessaria, specie quando si tratta di tutelare libertà e vietare comportamenti lesivi dei diritti dei cittadini. Una legislazione, opportunamente introdotta, dunque, non va avversata ma va trovata una forma di governance che superi la naturale sfiducia85 verso il legislatore, che difficilmente riesce a regolare ―adeguatamente‖ la Rete86. L‘errore della teoria libertaria stava essenzialmente in ciò: valutare lo spazio internet com‘è nato e non come oggi effettivamente è. Infatti, l‘originaria architettura della Rete rendeva la regolazione particolarmente difficile, ma essa può mutare, ed è mutata nel tempo. Con l‘evolversi della tecnologia, anche le tecniche di controllo e di censura sono aumentate e ora, come sostiene l‘Autore, il cyberspazio può divenire il territorio più regolato tra quelli esistenti87. Nello stesso senso anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 54-55. Gli Autori ritengono, infatti, che i politici, come del resto anche gli economisti e i politologi, ignorino l‘architettura della Rete e siano spesso incapaci di prendere decisioni orientate a implementare lo sviluppo della stessa. 86 L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 27. 87 Ibidem, p. 32, ―I begin with here is the claim that cyberspace can‘t be regulated. As this, the view is wrong. Whether cyberspace can be regulated depends upon its architecture. The original architecture of the Internet made regulation extremely difficult. But the original architecture can change. And there is all evidence in the world that is changing. Indeed, under the architecture that I believe will emerge, cyberspace will be the most regulable space humans have ever known. The ‗nature‘ of the Net might once have been its unregulability; the ‗nature‘ is about to flip‖. In questo senso, il primo regolatore di internet è la Rete stessa, concetto sintetizzato nella celebre espressione dell‘Autore, Code is law. Sulla definizione di governance che cambia in ragione dell‘evolversi della tecnologia, si veda anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 50. Gli Autori così definiscono la regolazione della Rete: ―it is the regulation of Internet infrastructure, its current operation, and the process by which it develops and changes over time‖, ma anche a p. 61, dove si sottolinea che il codice di carattere tecnico ha effetti regolatori sui comportamenti umani. Come l‘architettura degli edifici e delle strade, si dice, orienta i cittadini a riunirsi in determinati luoghi, così 85 43 Nella convinzione, dunque, che il rifiuto della regolamentazione del mondo virtuale, improntata alla proclamazione della sovranità e dell‘indipendenza del cyberspazio, fallirà, l‘Autore sostiene che una forma efficace e corretta di governance sia il risultato della combinazione di più elementi e attori: la legge, il mercato, la tecnica e le regole sociali. Ciascuna delle quattro modalità individuate da Lessig sortisce un effetto diverso sui cittadini: la legge costringe attraverso il timore della sanzione legale; le regole sociali spingono a non assumere determinati comportamenti per timore della reazione sociale del criticismo; il mercato induce a determinati comportamenti attraverso l‘imposizione di prezzi; l‘architettura costringe, dal punto di vista fisico, impedendo l‘accesso a talune zone dello spazio in rete88. La legge, dunque, interviene in senso preventivo, utilizzando la sanzione come deterrente, ma è da sola insufficiente a garantire la correttezza dei comportamenti on line. L‘Autore ci propone come esempio la condotta di chi, scaricando musica, viola il diritto d‘autore dei titolari dell‘opera creata. Essa non riesce a essere arginata solo con le sanzioni civili, in termini di risarcimento del danno, né penali, per quanto attiene alle fattispecie di reato. I comportamenti irrispettosi dei precetti, infatti, continuano a verificarsi a prescindere dall‘esistenza della norma di divieto. Il fallimento dell‘effettività della legge sui comportamenti on line, d‘altra parte, era già stato evidenziando dai fautori del cyberlibertarianism. In genere, gli utenti utilizzano la Rete Internet proprio al fine di evadere il controllo legale. Ciò, però, non significa, continua l‘Autore, che il mercato della musica non debba essere soggetto ad alcun tipo di controllo. È proprio quando da sola la legge fallisce che si necessita dell‘intervento delle altre modalità di regolazione, che forniscono un‘alternativa al caso concreto: la l‘architettura della Rete incoraggia i comportamenti umani al compimento di certe attività e ne scoraggia altre. 88 Questa la sintesi del pensiero di L. LESSIG, proposta da A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, p. 62 ss. 44 possibilità di un‘integrazione normativa, che abbia come effetto una regolazione efficace89. Le regole del mercato, in tal caso, sorreggono le norme a tutela del diritto d‘autore: è il mercato, infatti, a offrire la possibilità o di acquistare legalmente un album mp3 on line o di ricevere nuovi servizi che forniscono l‘accesso a un sito con raccolte di musica, pagando un prezzo iniziale decisamente accessibile a tutti. Tale risposta del mercato è stata fondamentale e ha comportato una diminuzione effettiva del numero degli illeciti in Rete. In sostanza, dove la legge è stata insufficiente, è intervenuto il mercato a sopperire le sue mancanze e ha mostrato di ottenere un più efficiente risultato90. Ancora su questo esempio. Per rendere più incisivo il controllo sull‘illegalità on line, con riferimento alla musica scaricata illegalmente, sarebbe necessario intervenire sull‘architettura della Rete e prevedere dei filtri che impediscano il download illegale91. 89 Sulla necessità di un intervento parallelo di più attori nella scena regolatoria della Rete, si veda anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 55. Gli Autori sostengono che dalla constatazione per la quale l‘architettura della Rete sia elemento indispensabile per la governance di Internet non deriva, come conseguenza immediata, che l‘architecture sia il fattore esclusivo di regolazione. Internet, infatti, non è solo una congerie di progetti di ricerca, ma il più importante mezzo di comunicazione di idee e di informazioni. In questo senso, anche L. LESSIG, Code. Version 2.0, cit., p. 112: ―Which architecture we encourage is a choice about which policy we encourage. This is true even in the context in which the Internet is not a ‗place‘ – even where, that is, it is ‗just‘ a medium‖. 90 Sull‘insufficienza di una regolazione lasciata solo alla lex mercatoria, si veda, però, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 75. Gli Autori sostengono che, così come la sola regolazione nazionale nulla può rispetto alla Rete, anche le regole dettate dal mercato, se non si muovono in un framework disegnato dalle norme di legge, finiscono per comportare un vulnus eccessivo all‘interesse e al bene pubblico, muovendosi invece verso una tutela dei soli interessi economici privati. 91 Per una disamina attenta della giurisprudenza americana sul tema del download illegale, si veda J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit. p. 106 ss. e 114 ss., con commento alle sentenze Metro-GoldwynMayer Stuodios Inc. et alii v. Grokster, Ltd et alii, 545, U.S., 2005 e A.M. Records et alii v. Napster, Inc., U.S. Court of Appeals for the Ninth Circuit, 2001. 45 L‘abilità dell‘uomo di ―manipolare la Rete‖92 è, infatti, la migliore evoluzione della regolazione del cyberspazio, perché le scelte di carattere tecnico possono e devono, secondo Lessig, essere orientate a seconda del fine che si vuole raggiungere, dei valori che si vogliono proteggere. L‘Autore, infatti, giunge alla descrizione della regolazione più adeguata per il cyberspace a seguito di una valutazione degli obiettivi dei regolatori. Il fine ultimo della regolazione della Rete deve essere, inevitabilmente, quello della tutela delle libertà dei cittadini che vivono on line. In astratto, una minaccia alla libertà può derivare dall‘intervento del governo, che ne impone regole eccessivamente restrittive, dal mercato, che incide sulla libertà di accesso all‘esercizio di determinate attività da parte degli operatori, dalle norme sociali, che impongono comportamenti scorretti e discriminatori93. Nel cyberspazio, una minaccia alla libertà può anche derivare dalla tecnica. ―The cyberspace‖, è stato sostenuto, ―creates a new threat to liberty, not new in the sense that no theorist had conceived before, but new in the sense of newly urgent. We are coming to understand a newly powerful regulator in cyberspace. The regulator could be a significant threat to a wide range of liberties, and we don‘t yet understand how best to control it. The regulator is what I call ‗code‘ – the instructions embedded in the environment of social life in cyberspace. It is its architectures‖94. Se nella metà del diciannovesimo secolo la minaccia alla libertà era rappresentata dalle norme sociali, e all‘inizio del ventesimo secolo lo era dal potere dello Stato, e ancora durante o oltre la metà del ventunesimo secolo dal mercato, ora è necessario capire come agisce il nuovo regolatore A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 64, ―Like Reidemberg, Lessig saws our ability to manipulate the network architecture as the most obvious development in Cyber-regulation‖. Infatti, L. LESSIG, Code. Version 2, cit., così si esprime a p. 114: ―In cyberspace in particular, but across the Internet in general, code embeds values. It enables, or not, certain control‖. 93 L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 120 ss. 94 Ibidem, p. 121. 92 46 – the code – e quali tipi di preoccupazioni esso può destare in termini di libertà95. La preoccupazione principale, dunque, in chi96 si occupa della regolazione della Rete, deve essere, secondo Lessig, quella di garantire la correttezza delle condotte on line, tenendo però presente che qualunque forma di regolazione deve essere improntata innanzitutto alla garanzia delle libertà. È chiaro che l‘Autore americano faccia riferimento principalmente alla freedom of speech, non solo alla luce dell‘estesa portata dello stesso, riconosciutagli dalla dottrina97 e dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America, ma perché essa rappresenta la libertà che, prima fra tutte, viene esercitata on line, in forme inedite in termini di portata ed estensione. Proprio al fine di tutelare questa libertà e di evitare che l‘evoluzione tecnologica diventi un ostacolo alla realizzazione della stessa, l‘Autore sostiene che la predominanza della regolazione a carattere tecnico non escluda la presenza dei diversi regolatori. In ragione di ciò, devono e possono intrecciarsi le diverse modalità di regolazione, che così possono essere riassunte: ―law, social norms, the market and the architecture‖98. Asserito, infatti, che la violazione delle regole dettate da ciascuno di questi regolatori implica un costo differente e che il grado di coercizione è di certo diverso, tanto da far pensare che essi per certi versi operino indipendentemente, deve comunque dedursi che 95 Ivi. Sull‘idea che l‘Internet governance debba focalizzarsi sulla relazione tra l‘infrastruttura tecnica e l‘impatto che essa ha sulle questioni di policy, si veda anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 52, in questi termini: ―focus on nexus between internet architecture and social policy‖. 97 Al tema del fredoom of speech e alla portata che la dottrina americana riconosce al primo emendamento della Costituzione Americana, è dedicato il paragrafo 1.1. del Capitolo terzo di questo lavoro. 98 L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 122. Alla stessa conclusione giungono, dopo un‘attenta e puntuale analisi delle teorie sulla Regolazione, L.A. BYGRAVE e J. BING, in Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 86 ss. 96 47 l‘azione dell‘uno riesce a supportare quella dell‘altro, in un quadro di regolazione ―completo‖99. L‘interazione tra le diverse modalità di regolazione può essere la più varia, ma fondamentale resta la forte impronta che a questa può dare l‘intervento del legislatore. ―Law can have a significant role in this mechanism‖100. Pur essendo da sola insufficiente, infatti, la legge può orientare le scelte di mercato, può indirizzare la tecnica verso l‘implementazione dei diritti101 e del rispetto delle regole, può agire sulle norme sociali suggerendo norme comportamentali. La dottrina americana in commento termina qui il suo ragionamento, riuscendo solo a evidenziare quanto possa essere rilevante l‘apporto della norma di legge nell‘orientare la tecnica al raggiungimento di obiettivi, in primo luogo politici102. Un ulteriore passo in questo senso è, invece, avanzato dalla dottrina italiana103, che così si esprime: ―La pluralità di Ibidem, p. 124: ―Law regulates behaviour in cyberspace. Copyright law, defamation law and obscenity laws all continue to threaten ex post sanction for the violation of legal rights. How well law regulates or how efficiently is a different question. Anyway, legislatures enact, prosecutors threaten, courts convict‖ (…) ―Norms also regulate behavior in cyberspace‖ (…) ―Markets regulate behavior in cyberspace. Pricing structures constrain access, and if they do not, busy signals do‖ (…) ―Finally, an analog for architecture regulate behavior in cyberspace – code. The software and hardware that make cyberspace what it is constitute a set of constraints on how you can behave. The substance of these constraints may vary, but they are experienced as conditions on your access to cyberspace‖. 100 Ibidem, p. 125. 101 Si esprimono in questi termini anche M. VILLONE, La Costituzione e il “diritto alla tecnologia”, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete, Jovene, 2010 e E. CHELI, Conclusioni al Convegno I nuovi diritti, la Tecnica, l‟Uguaglianza, tenutosi a Napoli, il 13 giugno 2011. 102 Ibidem, p. 237, nella felice espressione ―The technology interacts with law to create policy‖. 103 G. DE MINICO, Diritti. Regole. Internet, in www.costituzionalismo.it., 8 novembre 2011, p. 18 ss., con specifico riferimento alla governance della Rete e, molto ampiamente sul tema della self-regulation, G. DE MINICO, Regole. Comando e consenso, cit., in particolare p. 195 ss. Qui l‘Autrice ripercorre le tesi sulla ricostruzione giuridica dell‘autoregolazione, prima in termini di cessione del potere regolativo, poi di delega e, infine, di modello autopoieutico, sottolineando come, anche in quest‘ultimo, lo Stato non perda il suo ruolo di architetto di sistema ma sia, invece, accompagnato dalla regolazione dei privati ―orientandone l‘esercizio e controllandone i risultati, se occorre‖, p. 210. 99 48 strumenti regolativi pone la questione dell‘esistenza di un ordine tra i medesimi‖. La necessità di una commistione di fonti regolative, conseguenza dell‘inadeguatezza di ognuna di esse a disciplinare in via esclusiva il fenomeno Internet, non può significare abbandono normativo dello spazio on line. Com‘è stato sottolineato104, infatti, è necessario che sia il legislatore, legittimato in quanto soggetto pubblico105, a parlare per primo, a dettare le direttive alle quali i privati dovranno adeguarsi, al fine di garantire la realizzazione di un comune progetto politico ed evitare che gli interessi economici, che spingono i privati ad agire, possano prevalere inesorabilmente sull‘esercizio dei diritti di libertà in un regime di uguaglianza, aldilà delle difficoltà106 che questa regolazione può implicare. Del resto, la primarietà dell‘intervento del soggetto pubblico nella regolazione107 della Rete risponde anche a un‘ulteriore esigenza, quella di 104 G. DE MINICO, Diritti. Regole. Internet, cit., p. 20 ss. Si veda, sul tema della legittimazione, N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano, 1995. L‘Autore, allontanandosi dalle teorie giusnaturalistiche, ritiene che la legittimazione tragga il suo fondamento dai contesti sociale e giuridico che istituzionalizzano il riconoscimento di decisioni vincolanti. 106 L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 58. Gli Autori evidenziano che i governi nazionali dovranno, comunque, far fronte alla scivolosità della Rete, capace di sfuggire per certi versi alla regolazione normativa, nonché ai costi che deriverebbero dal monitoraggio completo del contenuto che veicola in Rete in un Paese, tenuto conto anche del fatto che i dati che viaggiano in Internet non possono essere intercettati con la stessa facilità con cui sono reperiti i dati del traffico telefonico. 107 D‘altra parte, il fatto che gli Stati nazionali abbiano cercato di regolare, più o meno correttamente, la Rete è un fatto innegabile. Si pensi ai numerosi disegni di legge in ogni parte d‘Europa, e non solo, che hanno a oggetto attività che si svolgono interamente on line. Il modello della regolazione nazionale, pensato da alcuni Autori americani come panacea dei mali che dalla Rete possono derivare, si poggia sull‘idea che proprio il forte impatto che Internet ha avuto nella vita di relazione e nelle relazioni commerciali di ogni cittadino è sintomo della necessità di una regolazione, che provenga innanzitutto dai governi. Internet deve essere regolato per le stesse ragioni per cui anche le altre attività umane sono soggette a regolazione. Si pensi alla pubblicazione sulle pagine web, ai problemi che essa comporta in tema di diffamazione on line, o anche alla condivisione peer to peer del materiale coperto da copyright, che ha comportato una serie di condanne giudiziali. Gli studiosi che aderiscono alla teoria di una governance della Rete tutta nazionale partono, dunque, dalla constatazione di un fatto, la normazione può avere e ha effetti nella sfera digitale, così come li ha off line. Per una disamina della teoria del ―National governance and law‖, si veda L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: 105 49 riconoscere una legittimazione nei soggetti che agiscono in Rete e ne dettano le norme regolatrici. In tal senso, si presenta la teoria del network communitarism, la quale, ancorché legata alla primitiva idea dell‘Internet governance, intimamente connessa all‘intervento regolatorio autonomo, recupera l‘idea della necessità di una legittimazione attiva ad intervenire nel processo regolatorio, difficile a trovarsi nella stretta regolazione nazionale, di per sé insufficiente e poco adeguata. L‘idea di A. Murray, che lo porta un po‘ a distanza dalla celebre lezione di Lessig sulle modalità di regolazione della Rete108, è basata sulla necessità di un continuo dialogo con la società che naviga in essa. L‘Autore Infrastructure and Institutions, cit., p. 69 ss. Qui gli Autori, nel descrivere i passaggi chiave della teoria in esame, sottolineano un aspetto essenziale: la regolazione eteronoma di fonte parlamentare-governativa ha di solito una forte ricaduta in tema di libertà e, spesso, si colora di connotati censori. Un intervento dei governi nazionali che avesse a oggetto l‘architettura di Rete si tradurrebbe in un futile tentativo di regolazione, messo in crisi dalla stessa struttura di Internet (rete stupida – nodi intelligenti). Per cui, una policy regolatoria nazionale, non avendo la possibilità di modificare l‘architettura di Internet tale da imporre un cambiamento a livello mondiale, finirebbe, come spesso accade, per incidere sul contenuto delle informazioni veicolate on line e non sulla struttura della Rete, facendo nascere una serie di perplessità quanto alla democraticità di un Paese. In Cina, ad esempio, il governo ha istituito una policy regolatoria che mira a creare l‘equivalente funzionale di un cambiamento a livello strutturale. Non potendo agire sulla struttura della Rete, ha agito su gli ISP, imponendo agli stessi di censurare ai cittadini cinesi l‘accesso ai siti scomodi al governo, che, in questo modo, ha ottenuto un monopolio sulle connessioni interne ed esterne al Paese in termini di controllo. In tal modo, i siti considerati a contenuto sovversivo del regime socialista e che, in quanto tali, provocano un disturbo dell‘ordine sociale, sono irraggiungibili dai cittadini cinesi. La tecnica dello spacchettamento dei dati, diversamente instradati, che ha fatto di Internet la sua più grande fortuna e che ha permesso l‘evolversi della più grande possibilità mai concepita di comunicazione globale, è stata usata a fini censori ed egoistici di uno Stato, tutt‘altro che democratico. Il great firewall, di origine cinese, non è però infallibile. Il costoso meccanismo, costoso in termini economici quanto in termini di pluralismo e democraticità, non è del tutto efficace; esistono, infatti, meccanismi di carattere tecnico per aggirarlo. Per una visione d‘insieme sulle modalità di intervento da parte dei governi nazionali, si veda anche J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 68 ss. e 90 ss. 108 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 68: ―in the modalities of regulation proposed by Lessig, we find that of the four, three of them, Laws, Norms and Markets are in fact a proxy for community-based control. Laws are passed by lawmakers elected by the community, markets are merely a reflection of value, demand, supply, and scarcity as reflected by the community in monetary terms and norms are merely the codification of community values. These ‗socially mediated modalities‘ reflected an active role for the ‗dot‘ in the regulatory process, far from being a ‗pathetic dot‘ which was the subject of external regulatory forces the dot was in fact an ‗active dot‘ taking part in the regulatory process‖. 50 scrive: ―the socially mediated modalities of law, norms and markets draw their legitimacy from the community meaning the regulatory process is the nature a dialogue not an externally imposed set of constraints‖109. La regolazione dello spazio digitale dovrebbe, a rigore teorico, secondo Murray, essere diversa da quella dello spazio reale. Il cyberspazio pretenderebbe una regolazione più leggera e, per certi versi, dovrebbe essere scevra da regolazione alcuna. La governance nel mondo on line non potrebbe essere sempre frutto dell‘eteronomia, anzi, l‘evolversi della regolazione dovrebbe riflettere i cambiamenti della società. In altre parole, nel network communitarism ―the power to determine the regulatory environment does not rest with the regulator alone‖110. In sostanza, ciò che Murray rimprovera al cyberpaternalism, sulla base anche dei supposti111 insegnamenti della dottrina tedesca sul diritto autopoieutico, è l‘assenza di un ruolo più pregnate che andrebbe invece attribuito alla società digitale. ―Regulation‖, continua l‘Autore, ―is a process of discourse and dialogue between the individual and society‖. L‘insufficienza di questa teoria, che, in sostanza, risulta solo un‘evoluzione del ciberlibertarianism (anche definita teoria dello spontaneous ordering), rivela, però, un aspetto essenziale della problematica attinente al cyberspazio e lascia aperte una serie di domande: perché la sovranità statale non ha una legittimazione sufficiente? Usando le parole dell‘Autore: ―who are people with the opportunity to amend the 109 Ibidem, p. 68. Ibidem, p. 70. 111 È stata, infatti, evidenziata da G. DE MINICO, in Diritti. Regole. Internet, cit., l‘interpretazione non propriamente letterale che A. MURRAY, in Information Technology Law. The law and society, cit., dà dell‘Autore tedesco G. TEUBNER, il quale, nel testo Il diritto come sistema autopieutico, cit., p. 140 ss., pur riconoscendo la validità di un sistema misto di creazione normativa, non si spinge fino all‘esclusione totale e senza riserve della presenza del soggetto pubblico nel momento della formazione della regola giuridica. 110 51 software code of the digital environment and on which basis do they exercise their power?‖112. Questo quesito apre, di per sé, un‘altra questione, per la verità poco indagata. La legittimazione all‘intervento regolatorio è legata, infatti, alla dimostrazione dell‘insufficienza degli Stati nazionali, non più sovrani nello spazio della Rete. Dunque, chi può e deve dettare la ―law‖ di cui parla Lessig? Quale soggetto pubblico? Si può ammettere una cessione di sovranità totale da parte dello Stato? Cos‘è la sovranità e in quale ordinamento giuridico può essere esercitata? Cosa di questi vecchi concetti resta e deve restare immutato, pur dinanzi all‘impetuoso cambiamento che ha investito la comunicazione globale? 2.2. “Sovranità” e “Ordinamento giuridico”: vecchi concetti e nuove realtà I concetti di ―ordinamento giuridico‖ e ―sovranità‖ vanno indubbiamente riletti in ragione delle numerose novità che hanno investito lo spazio globale e la comunicazione a livello planetario113. Si cercherà qui di percorrere l‘evoluzione delle tematiche in questione, attraverso le diverse ricostruzioni che la dottrina ha offerto, al fine di comprendere se e come queste categorie debbano essere ripensate rispetto al cyberspazio e se, in ultima analisi, esistano ragionevoli interpretazioni delle stesse, che lascino intatta la riconducibilità della nuova realtà tecnologica alle risalenti categorie disegnate dalla dottrina costituzionalistica. Anche questo aspetto, come vedremo, è un tassello indispensabile per ottenere una completa 112 A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, p. 70. Questi sono solo alcuni dei motivi che spingono al ripensamento di certe categorie. Si pensi, infatti, alla perdita della sovranità da parte degli Stati nazionali in conseguenza della profonda crisi che ha investito la politica, oggi totalmente dipendente dalle dinamiche dei mercati finanziari, o ancora dalle decisioni di un‘Europa, tanto rilevante quanto deficiente in termini di rappresentazione democratica. 113 52 visione della governance della Rete, rispetto alla quale si presenterà, al termine del Capitolo, una proposta regolatoria. È innanzitutto dalle riflessioni della dottrina costituzionalistica americana che prende corpo la questione del cyberspace non solo come spazio a sé ma, conseguentemente, come ordinamento giuridico autonomo114. L‘analisi che qui si condurrà ha, in primo luogo, lo scopo di dimostrare che rispetto alla Rete non può parlarsi di un ordinamento giuridico indipendente né, d‘altra parte, di diversi e frammentati ordinamenti minori, eventualmente formati dalle diverse comunità on line, che dettano regole di ingresso e di convivenza civile per gli utenti. Ciò condurrà alla necessità di rinnegare – come, peraltro, già fatto dalla più recente dottrina americana - l‘attribuzione di una sovranità ―propria‖ al Cyberspace e permetterà di recuperare il concetto di sovranità, con particolare riferimento a quella ―dello Stato‖ e ―del popolo‖, nell‘ottica, da un lato della constatazione di una crisi di sistema che ha investito la sovranità statale, dall‘altro di un recupero del significativo intervento pubblico nella formazione della regola giuridica, ancorché non solo a carattere nazionale. Illustre dottrina ha contribuito alla definizione di ―ordinamento giuridico‖ e alla preliminare differenza che esiste tra ―ordine‖ e ―ordinamento‖, differenza che potrà tornare utile quando, inquadrato il concetto di ordinamento giuridico, si cercherà di capire se l‘ordine creato Si veda, in questo senso, D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1370: ―Cyberspace radically undermines the relationship between legally significant (online) phenomena and physical location. The rise of the global computer network is destroying the link between geographical location and: (1) the power of local governments to assert control over online behavior; (2) the effects of on line behavior on individuals and things; (3) the legitimacy of a local sovereign‘s efforts to regulate global phenomena; and (4) the ability of physical location to give notice of which sets of rules apply. The Netthus radically subverts the system of rule-making based on borders between physical spaces, at least with respect to the claim that Cyberspace should naturally be governed by territorially defined rules‖; e, ancora più esplicitamente, p. 1402: ―the relationship between the ‗citizen‘ and the ‗State‘ changes radically‖. 114 53 dalle diverse comunità on line, con la definizione di una serie di norme, possa acquisire la qualifica di ordinamento giuridico minore, tollerato o derivato. ―L‘ordine, nel senso che oggi si direbbe istituzionale, viene contrapposto alle leggi singole; esso è un principio regolativo ed è un valore di carattere politico o civile, che esercita una funzione di freno sulle passioni e gli interessi in conflitto‖115. Esiste, indubbiamente, una stretta affinità semantica tra ―ordine‖ e ―ordinamento‖, ma i due concetti, originariamente legati, non vanno confusi. L‘ordinamento viene disegnato come un insieme di norme che regolano le situazioni giuridiche degli appartenenti a una categoria sociale116. È stato sostenuto, ed è oggetto di comune esperienza, che nell‘ambito di un ordinamento giuridico coesistano una serie di norme, che possono costituire ordinamenti minori o micro-ordinamenti, talvolta anch‘essi forniti di un certo grado di complessità117. Un sistema giuridico, come un complesso di elementi interagenti, determina che ciascuno di questi microordinamenti assuma un carattere funzionale118. 115 V. FROSINI, (voce) Ordinamento giuridico (filosofia del diritto), in Enciclopedia del diritto, vol. XXX, Milano, 1980, p. 639. 116 Ivi. Tre diversi modelli concettuali vengono adottati per la descrizione del fenomeno in questione: in senso teoretico, l‘ordinamento è il diritto, ossia il campo dell‘esperienza giuridica nelle relazioni umane, è organizzazione giuridica e struttura normativa; in senso tecnico, l‘ordinamento giuridico non è l‘intero diritto, ma solo un modello di esperienza giuridica che non basta di per sé a esaurirla; in senso pratico, l‘ordinamento è più che diritto, esso è un principio interpretativo della realtà sociale nella sua globalità, delimitata dal diritto in un campo peculiare, ma per ciascuno dei diversi campi - sociologico, morale, economico - è possibile rilevare un ordinamento. 117 Ivi, p. 642-643. 118 L.M. BENTIVOGLIO, Ordinamento giuridico o sistema di diritto?, in Riv. trim. dir. pubbl., XXVI, 1976, p. 893, il quale si esprime sulle norme giuridiche qualificandole come elementi del tutto, come ‗elementi di coesione‘ del sistema giuridico, e V. F ROSINI, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 647. L‘Autore ha sostenuto che l‘ordinamento giuridico non è solo il complesso di regole che definiscono il comportamento sociale e che, a loro volta, sono sottomesse alle ―regole d‘insieme‖, che ne disciplinano la formazione e il riconoscimento, quanto piuttosto un insieme di regole ed eccezioni. Da qui deve escludersi il proposito di attribuire a un ordinamento, ―un carattere rigoroso di 54 Secondo Frosini, dunque, lo stesso concetto di ―unità‖ dell‘ordinamento sarebbe di per sé fittizio e risponderebbe più a un‘esigenza pratica, quella di risolvere conflitti di attribuzione, competenza e giurisdizione119. In verità, se ci attenessimo solo alle parole dell‘Autore – chiarissime sul concetto di ordinamento ma anche perfettamente radicate nel momento storico in cui sono state scritte – saremmo portati a ritenere che una pluralità di ordinamenti giuridici comporta la sola presenza di diversi sistemi giuridici, i quali, l‘un l‘altro, stanno in un rapporto di reciproca tolleranza o autonomia. Secondo questa definizione, potremmo dire che le diverse regole dettate nello spazio on line (si pensi ai forum di discussione o alle community on line, i cui amministratori stilano norme di accesso alle discussioni, come la creazione di account e quelle di sopravvivenza nella stessa comunità, imponendo, ad esempio, norme comportamentali di obbligo o di divieto, tenendo per sé la possibilità di sanzionare i soggetti irrispettosi delle stesse, anche con l‘espulsione dallo spazio on line – blocco dell‘account) possono rappresentare dei micro-ordinamenti tollerati o autonomi da quelli statali nei quali, di volta in volta, operano. In realtà, bisognerebbe recuperare la visione di ―ordinamento‖, cara alla dottrina più risalente, che trae origine dalle parole di Santi Romano120, e cioè, l‘istituzionalizzazione del concetto di ordinamento e di diritto, che si sposa perfettamente con ciò che oggi il diritto è. L‘Autore in parola sostiene che il diritto, prima di ―concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura, regolarità, di un ordine sistematico che viene contraddetto dalla sua flessibilità, ambiguità e adattabilità al terreno accidentato del reale, su cui l‘ordinamento si colloca e si muove‖. 119 Ibidem, p. 648. ―L‘unità sistematica‖, si dice, ―non è un‘istanza del diritto positivamente inteso, non nasce, cioè, dall‘insieme delle proposizioni giuridiche, ma è un‘istanza che sorpassa la positività e che ritrova altrove la sua legittimità‖ . 120 S. ROMANO, L‟ordinamento giuridico, Firenze, 1977, così commentato da V. FROSINI, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 640: ―Santi Romano riscopre il significato specifico dell‘ordinamento giuridico, compiendo un‘operazione mentale simile a quella dell‘intagliatore di pietre preziose, che ripulisce dal magma, sfaccetta e mette in piena luce un cristallo‖ . 55 posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità‖. ―Se così è‖, continua l‘Autore, ―il concetto che ci sembra quasi necessario e sufficiente per rendere in termini esatti quello di diritto, come ordinamento giuridico considerato complessivamente e unitariamente, è il concetto di Istituzione. Ogni ordinamento giuridico è Istituzione e, viceversa, ogni Istituzione è un ordinamento giuridico: l‘equazione tra i due concetti è necessaria e assoluta‖121. Volendo assumere questa definizione di ordinamento, che, dunque, è insieme di precetti giuridici e istituzionali, ci si chiede se il cyberspace possa essere considerato un autonomo ordinamento giuridico. Alla luce di quanto esposto, sembra, in verità, che il cyberspazio non potrebbe mai ottenere la qualifica di ordinamento, poiché, in primo luogo, di esso non ha i requisiti essenziali. Infatti, non ha una comunità identificabile, non ha Istituzioni che ne guidano il governo, non ha un territorio122 sul quale imporre il rispetto delle regole. Conseguentemente, ci si chiede: potrebbe essere, invece, l‘insieme di tanti ordinamenti giuridici minori? In realtà, questa ipotesi sembra inverosimile, perché, anche laddove volessimo qualificare la netiquette123 come norma giuridica – la qual cosa già sembra un‘operazione azzardata –, comunque, i soggetti che impongono le norme comportamentali on line non sono qualificabili come istituzioni organizzate, con la legittimazione di dettare regole valevoli erga omnes. Il diritto, dunque, è sì norma diretta a ordinare la società (ubi societas ubi jus) ma è anche norma connessa a un‘organizzazione, a un‘istituzione, condizione necessaria e sufficiente, volendo accogliere la tesi di Santi S. ROMANO, L‟ordinamento giuridico, cit. Sul concetto di territorio come elemento dell‘ordinamento giuridico, si veda per tutti A. GIOIA, (voce) Territorio in diritto internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1999. 123 Il termine deriva dal vocabolo inglese net (rete) e quello francese étichette (buona educazione). Si tratta di norme dettate dagli stessi utenti o da amministratori di siti e forum al fine di realizzare una pacifica convivenza on line. Sulla qualificazione della netiquette come codice di autoregolamentazione si veda A. PAPA, Espressione e diffusione del pensiero in Internet, Torino, Giappichelli, 2009, p. 338 ss. 121 122 56 Romano, per attribuire alle norme carattere giuridico. Il diritto c‘è a condizione che vi sia ordinamento e ordinamento c‘è a condizione che vi sia istituzione124. Chiaramente, l‘istituzione non è solo lo Stato, il fenomeno giuridico esiste anche al di fuori dello Stato, nella misura in cui, però, esistano Istituzioni diverse dallo stesso. Certo, la dottrina italiana si è a lungo dilungata sul tema dell‘ordinamento e la teoria istituzionalistica è solo una delle interpretazioni date al tessuto connettivo che lega le norme a carattere giuridico. Proveremo a capire se, anche alla luce di diverse definizioni, sarà possibile riconoscere delle peculiarità al cyberspace tali da permetterne l‘inquadramento nella categoria suddetta. Alcuni hanno sostenuto che siano quattro i modelli di ordinamento125, descritti a partire dalla definizione di esso come un insieme di norme126. Secondo il primo (modello lineare, a una dimensione), l‘ordinamento sarebbe figurabile come una sequenza lineare di norme, legate tra di loro da una relazione di successione. Graficamente, sostiene l‘Autore, potrebbe La teoria dell‘Istituzionalismo, com‘è stato sostenuto, prevede tre condizioni perché ci sia ordinamento: società, ordine e organizzazione. Dell‘ordinamento la società è causa materialis, l‘ordine causa finalis e l‘organizzazione causa formalis. L‘istituzionalismo risponde alla domanda ―an ius‖, enuncia cioè le condizioni necessarie e sufficienti affinché ci sia ordinamento. Su questo concetto, si veda A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1976, p. 46. 125 La teoria è di A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 48-52. 126 Il normativismo, il cui maggiore esponente è H. KELSEN (La dottrina pura del diritto, Torino, 1956, spec. p. 92 ss.) risponde alle diverse domande ―quid ius‖ e ―quid iuris‖. La risposta alla prima è la qualificazione dell‘ordinamento come insieme di norme, gerarchicamente ordinate in una struttura graduale, culminante in una norma fondamentale, dalla quale ogni altra norma ripete validità. La risposta alla seconda sta nell‘offrire un criterio per decidere se una norma è valida in un certo ordinamento. Per A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 47, il concetto di istituzionalismo e normativismo d‘ordinamento giuridico sono ―compatibili‖ e ―complementari‖. ―Una ulteriore conferma di questa tesi è data dall‘analisi del processo di istituzionalizzazione. Tre sono le condizioni dell‘istituzionalizzazione, dell‘ordirsi, ordinarsi, organarsi d‘un insieme di agenti in istituzione, in ordinamento: proporre i fini, disporre i mezzi, imporre le funzioni. Ma funzioni, mezzi, fini si impongono, dispongono, propongono con norme. Per l‘istituzionalismo stesso, insomma, solo e primariamente attraverso norme un insieme di atti si ordina, solo e primariamente attraverso norme un insieme di agenti si organa‖. 124 57 rappresentarsi con una linea retta unita da punti di norme sul medesimo piano. Questo modello unidimensionale suscita subito una critica: le norme di un ordinamento non sono in relazione semplice e lineare: non in relazione semplice, perché, oltre che in successione, sono anche in relazione di interazione e integrazione, ogni norma, infatti, interagisce con le altre e ne risulta integrata nel significato e nella portata; non in relazione lineare, perché non tutte le norme sono in relazione di successione127. Si pensi, ad esempio, alle norme di rango diverso, attinenti a materie differenti: esse non sono né in rapporto di successione, né d‘integrazione. O ancora, laddove volessimo qualificare giuridiche le norme dettate dagli utenti nello spazio virtuale, si pensi a quelle che attengono ai diversi forum o a quelle dettate nei termini contrattuali dagli ISP, che forniscono servizi agli utenti: anch‘esse, come si vede, possono essere totalmente autonome le une dalle altre, infatti, l‘unico legame tra di esse sarebbe l‘appartenenza a un unico e autonomo ordinamento giuridico, teoria che qui, per le ragioni già esposte, e che verranno affrontate, non si sposa. Il secondo modello (bidimensionale) prevede che le norme si coordinino in una relazione complessa e piana. La teoria in questione parte dal presupposto per il quale le relazioni che intercorrono tra le varie norme non possono essere tutte rappresentate graficamente come punti adiacenti. Esse vivono in una rete di relazioni più complessa, relazioni di successioni e intermediazione. Non sono, dunque, riproducibili graficamente con una linea retta di norme128. La critica a questa teoria sta nel fatto che, se da un lato essa colma una carenza della prima, resta comunque insufficiente essa stessa. In altre parole, nel secondo modello, ancorché si metta in luce una genetica complessità del sistema normativo, non si riesce a spiegare l‘essenza dello stesso e la ragione delle diverse relazioni che intercorrono tra le norme, mancando del tutto il riferimento alla norma fondamentale. 127 128 A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 48. Ibidem, p. 48. 58 Il terzo modello, invece, disegna l‘ordinamento giuridico come un insieme spaziale di norme. Lo spazio è individuato dalle norme e da un punto, che si pone al vertice dell‘ordinamento e che consiste nella norma fondamentale129. Anche laddove volessimo aderire alla teoria in questione, quale sarebbe la norma fondamentale nel cyberspazio? Quale la norma da cui ripetere la validità? In verità, immaginare in via teorica un ordinamento aterritoriale, parallelo a quello spaziale, che si auto-qualifica come norma valida e validante, sembra allontanarci troppo dalla realtà di fatto, ancor prima che dalle teorie costituzionalistiche sul tema, e un diritto non ancorato al fatto, specie con riferimento alla Rete Internet, peculiare sotto diversi aspetti, perderebbe la sua ragion d‘essere. È chiaro che nel cyberspazio una norma superiore non esiste. Esistono solo le diverse norme che, di volta in volta, vengono create dagli utenti o dagli Isp, quindi, immaginare che una qualsiasi delle norme create dai privati possa assurgere a norma fondamentale, implicherebbe un‘attribuzione arbitraria di validità che non trova in nessun modo giustificazione. La norma fondamentale, peraltro, è, secondo l‘Autore130, condizione necessaria ma non sufficiente della validità delle norme e, dunque, si deve giocoforza ritenere che in ogni ordinamento vi sia un grado di indeterminazione tra il grado supremo della norma fondamentale e il grado delle altre norme. Sorvolando sulla differenza che il pioniere del normativismo131 disegna tra l‘indeterminazione e l‘indeterminatezza delle norme, la terza 129 Il terzo modello presentato da Conte è quello propriamente Kelseniano. A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 49. 131 L‘indeterminatezza consisterebbe nel fatto che la norma inferiore non è completamente determinata dalla norma superiore. In questi casi il giudice si troverà a godere di una certa discrezionalità, che, talvolta, gli è intenzionalmente lasciata dal legislatore stesso. L‘indeterminazione si sostanzia nel fatto che la norma inferiore non è 130 59 tesi giunge, dunque, alla conclusione che ―ogni ordinamento, per semplice che sia, ha una norma fondamentale: nessun ordinamento è acefalo‖132. Dato che la struttura di Internet si presenta ―acefala‖ e ―acentrica‖133, come già sottolineato, sarebbe dunque la sua stessa struttura a comportare l‘impossibilità che la Rete si qualifichi come ordinamento a sé. In verità, la questione per Internet è stata posta e, aldilà della diversa tematica dell‘accesso alla Rete, su cui ci si soffermerà in seguito, una proposta nel senso di prevedere una Carta fondamentale per i diritti on line è stata presentata dalla dottrina e dai privati attivisti delle libertà digitali. La dottrina134, da qualche tempo, accarezza l‘ipotesi di introdurre un Internet Bill of Rights, al fine di rivendicare le libertà esercitabili on line non solo verso gli Stati – rappresentando questa l‘evoluzione compiuta della Declaration di Perry Barlow – quanto soprattutto nei confronti dei ―nuovi signori dell‘informazione, che, attraverso gigantesche raccolte di dati, governano le nostre vite‖135. L‘iniziativa costituzionale che la dottrina in questione propone si allontana dagli schemi tradizionali, perché troppo diversa è la realtà che la richiede. La stesura del Bill of Rights136, infatti, non dovrebbe essere frutto della procedura adottata – ad esempio – per la Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione Europea, di per sé costruita sulla ―convenzione rappresentativa del Parlamento e della Commissione Europea, dei parlamenti e dei governi nazionali‖137, quanto piuttosto generata dall‘incontro di più voci, di una pluralità di attori a diversi livelli, secondo la logica del multistakeholderism. La stessa dottrina riconosce come degna di valore la integralmente determinata dalla norma superiore. Su questo tema, si rimanda a H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit. 132 A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 51. 133 P. COSTANZO, (voce) Internet, in Digesto delle discipline pubblicistiche, cit. 134 S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, in Politica del diritto, XLI, n. 3, 2010. 135 Ivi, p. 342. 136 La Carta dei Diritti Umani e dei Principi in Internet, di cui si è discusso a Vilnius, all‘Internet Governance Forum, nel 2010, è reperibile all‘indirizzo http://internetrightsandprinciples.org/. 137 S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 343. 60 proposta intervenuta in seno all‘ONU, all‘interno dell‟Internet Society Organization, da parte delle Dinamic Coalitions, gruppi di lavoro spontanei che si occupano delle libertà della Rete e che hanno avuto occasione di intensificare studi e proposte in conseguenza dell‘Internet Governance Forum138, organizzato dalle Nazioni Unite. Il loro impegno è finalizzato a creare e rendere effettivo un patrimonio comune di diritti, a garantire che le libertà on line vengano esercitate all‘interno di un sistema di garanzie ben definito. Questa proposta, che indubbiamente ha il pregio di porre al centro del dibattito socio-politico la questione della Rete e dei diritti in Internet, sconta però, a parere di chi scrive, un difetto originario: proviene dal basso e non ha forza cogente. Va considerato, di certo – come la dottrina139 ha sottolineato – che, data la natura della Rete, è difficile che questi principi vengano imposti dall‘alto e che, indubbiamente, un impegno del genere è espressione della partecipazione di una molteplicità di privati che sfruttano la tecnologia per mettere a punto progetti che siano espressione dell‘elaborazione comune e, soprattutto, che questo determina forme inedite di creazione della regola giuridica, creazione che diventa inevitabilmente ―orizzontale‖. In realtà, però, questa visione eterea e ottimistica di una nuova produzione giuridica, anche se indubbiamente suggestiva, è da guardare con sospetto. A fronte di una partecipazione globale e di una più diffusa sensibilizzazione costituzionale, si radicano, infatti, fenomeni di frammentazione, frutto della spinta degli interessi economici settoriali che, di volta in volta, intervengono nella costruzione orizzontale. La proposta in questione, poi attuata con la redazione della Carta dei Diritti in Internet, appare piuttosto come un buon inizio, come un buono stimolo verso il riconoscimento dei diritti digitali, che sono nient‘altro che vecchi diritti esercitabili in forme inedite e implementate, e che necessitano, 138 139 Per un approfondimento sul tema, si rimanda al paragrafo 2.3. di questo capitolo. S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 344 ss. 61 però, dell‘intervento di un soggetto pubblico, nazionale o sovranazionale (questo dipenderà dal significato che vorrà darsi alla crisi140 della sovranità nazionale di fronte all‘impetuosa era della globalizzazione). Una proposta simile, dunque, è insufficiente a garantire un‘effettiva tutela dei diritti on line per la più semplice delle ragioni: non è una fonte del diritto, né nazionale né sovranazionale, non impone, non garantisce, non riconosce, insomma, da sola non regola141. Il fatto che sia stata emanata, non a caso, non ha determinato nessun cambiamento effettivo nella governance della Rete: i governi continuano a rivendicare il diritto di mettere le mani su Internet, i tecnici a stabilire norme che, di fatto, ne garantiscono il funzionamento e le istituzioni sovranazionali ad auspicare più alte forme di garanzia e di efficaci applicazioni. In sostanza, dunque, l‘idea di una norma fondamentale per il cyberspazio non riesce a trovare risposta in una Costituzione per la Rete dettata da privati o, come la dottrina auspica, in un ―costituzionalismo Sul concetto di crisi della sovranità si veda P. BELLOLI, L‟antinomia tra sovranità e diritto, in F.A. CAPPELLETTI (a cura di), Diritti umani e sovranità. Per una ridefinizione del politico, Torino, 2000, p. 149-161 e B.M. BILOTTA, Crisi di sovranità e rappresentatività normativa, in F.A. CAPPELLETTI (a cura di), Diritti umani e sovranità. Per una ridefinizione del politico, cit., p. 213-226; M. GOLDONI, Critica e sovranità. I nuovi approcci del diritto internazionale, in http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2003_n3/studi/D_Q-_studi_Goldoni.pdf; M. LUCIANI, L‟anti-sovrano e la crisi delle costituzioni, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, II, Padova, 1998, p. 731-808; F. BILANCIA, La crisi dell‟ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, Padova, 2000. 141 Doveroso il rinvio a F. MODUGNO, (voce) Ordinamento giuridico (dottrine generali), in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, p. 693 ss. Qui l‘Autore sostiene che ―l‘autonomia privata rappresenta, in teoria generale, una potestà normativa autonoma di disciplina dei rapporti tra privati che si aggiunge o si sostituisce alla normativa statale della materia‖. Essa, anzi, darebbe luogo a uno o più ordinamenti minori, indipendenti dall‘ordinamento statale, ―in quanto costituiti da regole di condotta non prodotte dai pubblici poteri‖. Non si tratterebbe qui di potestà negoziale delegata dalle norme dell‘ordinamento statale, in quanto la formazione è tutta spontanea e ―naturale‖. ―Si deve considerare‖, però, come l‘Autore sostiene, ―che le norme di condotta poste nell‘ambito dell‘autonomia privata non assurgono al rango di norme costitutive del c.d. diritto oggettivo, ossia non entrano a far parte dell‘ordinamento normativo propriamente detto, secondo la norma positiva sulla produzione normativa‖. Si veda sul tema anche V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1984, p. 42 ss. e 63 ss. 140 62 globale‖142, e, se così è, lo spazio digitale non può rappresentare di per sé un ordinamento giuridico, perché privo di istituzionalizzazione e di una seria forma di regolazione, che abbia come fonte una norma sovraordinata e fondamentale. Tornando ai modelli disegnati dalla dottrina143 per inquadrare l‘ordinamento giuridico, la critica al terzo modello sta in ciò: oltre alle coordinate spaziali, un ordinamento presenta anche coordinate temporali. La norma fondamentale è, in realtà, anche un prius rispetto alle altre. L‘ordinamento giuridico, quindi, può essere definito diacronico, e ripete la sua validità dalla norma fondamentale144, che è precedente e validante rispetto alle altre. Anche aderendo a questa visione dell‘ordinamento, sarebbe impossibile rintracciare una norma fondamentale nel cyberspazio, che sia soprattutto temporalmente precedente rispetto alle altre. Dunque, da quanto argomentato, il cyberspazio non è e non potrebbe essere un ordinamento giuridico a sé. S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 351, ―E proprio riflettendo su Internet possono essere individuate le vie di un costituzionalismo globale possibile, non affidato alla vertical domestication, con norme sovra-statuali incorporate nei diritti statuali, né semplicemente trans-locale. Dunque, una costruzione del diritto per espansione, orizzontale, un insieme di ordini giuridici correlati, quasi una costituzione infinita‖. 143 A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 51 ss. 144 Per quanto attiene all‘aporia della norma fondamentale, si rimanda a A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 53, secondo il quale la norma fondamentale è per definizione invalida, essendo di per sé suprema e non potendo ripetere la validità da nessuna norma. Per qualificare un ordinamento come valido, dunque, sarebbe necessario attribuire validità alla norma fondamentale per ipotesi o alla stregua del principio di effettività, ossia la norma fondamentale è valida solo se l‘ordinamento in toto è nel suo complesso efficace ed effettivo. Sul tema della norma fondamentale come elemento unificatore dell‘ordinamento giuridico, si veda N. BOBBIO, Teoria dell‟ordinamento, Torino, 1960, p. 40 ss. Sul problema della validità dell‘ordinamento, si veda anche F. MODUGNO, (voce) Ordinamento giuridico, cit. L‘Autore propone anche una diversa teoria dell‘ordinamento giuridico, che si discosta dall‘istituzionalismo e dal normativismo. L‘ordinamento non sarebbe solo l‘insieme delle istituzioni o l‘insieme delle norme, ma dovrebbe constare di tre piani: rispettivamente, l‘insieme di uomini che costituiscono il gruppo sociale, l‘insieme dei fatti sociali che rappresentano il gruppo sociale in divenire e l‘insieme delle qualificazioni e valutazioni di quegli uomini come soggetti dell‘ordinamento e di quei fatti come attività, azioni, strutture, oggetti che ne costituiscono imprescindibili elementi. 142 63 Visione diversa del concetto di ordinamento giuridico è quella di Fazzallari145, il quale sottolinea la stretta connessione che esiste tra società e ordinamento giuridico. ―Essi vengono a trovarsi in corrispondenza biunivoca, nel senso che a una certa società corrisponde un certo ordinamento, e che società e ordinamento s‘implicano a vicenda e s‘individuano l‘una mediante l‘altro: ordinamento costituendo la struttura portante di una società, e la determinata società costituendo l‘ambito in cui l‘ordinamento vive e si svolge‖146. Di certo, la società della Rete non può essere legata al solo ordinamento giuridico statale, proprio in quanto a carattere globale, a meno di non voler immaginare un Internet settato e ridotto agli stretti confini territoriali, visione miope quanto errata già in principio. L‘Autore, peraltro, supera147 le due concezioni già trattate, attinenti alla teoria ―istituzionale‖ e ―normativa‖ e suggerisce un modello che si basa anch‘esso sulle norme, ma è articolato conformemente alla realtà, cioè all‘effettiva connessione tra le stesse148. 145 E. FAZZALLARI, (voce) Ordinamento giuridico (Teoria generale), in Enciclopedia giuridica, Treccani, XXXI, Roma, 1990. 146 Ibidem, p. 1 ss. È chiaro che, come l‘Autore sostiene, in un ordinamento articolato e complesso, ma proprio di uno Stato, è relativamente semplice stabilire quali siano le sue norme. La loro produzione, infatti, è riservata a determinati soggetti e, quindi, la giuridicità delle norme statuali può riconoscersi per il fatto che esse sono imposte da fonti abilitate alla produzione. È proprio la provenienza da fonte legale, dunque, che attribuisce la validità alla norma. In quest‘ottica la produzione normativa che nasce dal basso non potrebbe assurgere a norma giuridica, perché non esiste fonte legale che la legittimi a produrre norme. 147 Ibidem, p. 5 ss. Della prima teoria critica lo stesso ricorso alla nozione di Istituzione nel significato di organizzazione di sistemi e apparati. In realtà, da un punto di vista giuridico, si dice, la stessa organizzazione, dove c‘è, non è un prius rispetto al diritto ma è anch‘essa un prodotto del diritto, cioè di norme giuridiche che, non per loro natura ma per contenuto, si dicono di organizzazione. Nello stesso errore, secondo Fazzallari, sarebbero incorsi i fautori della teoria normativa, secondo la quale l‘ordinamento è composto di norme che traggono validità proprio in quanto collegate tra di loro in un assetto a gradi, al cui vertice c‘è la Grundnorm. 148 Ivi. ―Come la norma giuridica, così l‘ordinamento è contraddistinto dall‘esclusività. (…) L‘ordinamento è dunque superiorem non recognoscens, cioè mutua da se stesso la propria legittimità‖ . Questa caratteristica può indicarsi come autonomia, originarietà, autosufficienza e, per gli Stati, sovranità. Quando l‘autonomia manca è improprio qualificare i sistemi come 64 Un ordinamento giuridico, si dice, è da intendere nella sua accezione più propria e completa, come complesso di norme, di atti giuridici, di posizioni soggettive e di connessioni tra questi, in astratto e in concreto. L‘esperienza giuridica, chiaramente, non si esaurisce in quella di un unico Stato, essa conosce una pluralità di ordinamenti giuridici. Diventa necessario, dunque, indagare il rapporto che può esistere tra i vari ordinamenti. Se, infatti, essi si trovano in rapporto di reciproca collaborazione, la produzione della regola giuridica si arricchisce di nuove norme e nuove forme di legittimazione. Non sarà, dunque, solo lo Stato a poter porre la regola, ma cederà, per certi versi e con i limiti che ogni Costituzione prevede, parte della propria sovranità, in una logica che non risponde solo a processi volontaristici, quanto a effettive esigenze di convivenza civile o di applicazione generalizzata di valori condivisi. Questa questione è particolarmente attinente al tema del cyberspazio. Se, come abbiamo visto, non si vuole inquadrarlo come unico ordinamento giuridico, né come una serie di ordinamenti giuridici derivati, va affrontato, per uscire dall‘impasse e capire chi e come deve dettare regole, il tema della sovranità statale, e conseguentemente, della crisi che ha investito la stessa, a partire da un‘eccessiva, quanto inevitabile, espansione dell‘internazionalismo. Sembra opportuno, infatti, prendere il via dal rapporto tra gli Stati disegnato in Costituzione, al fine di capire se a questo si può ancor far riferimento per dar sfogo alle istanze globali di uno spazio digitale oggi sconfinato. La Costituzione italiana annovera diversi precetti internazionalistici. Essi sono frutto della consapevolezza che lo Stato è interamente calato nella realtà internazionale, che ne condiziona inevitabilmente la vita interna. ordinamenti, si può trattare tuttalpiù di settori dell‘ordinamento superiore, quindi di ordinamenti derivati. 65 Tra le direttrici essenziali149 dettate in Assemblea Costituente, che risultarono da un‘ampia convergenza tra le principali forze politiche italiane, appaiono rilevanti l‘esigenza di proiettare anche sul piano internazionale i valori di libertà e democrazia, il solidarismo internazionale, nonché la necessità di assicurare che certi momenti salienti della politica estera venissero controllati dal Parlamento. Per i democristiani, le relazioni internazionali trovavano giustificazioni di ordine ideologico, etico e politico. Esse erano da ricondurre all‘universalismo cattolico di Moro150, dal quale derivava ―illusoria‖ e ―delittuosa‖151 l‘assoluta sovranità invocata nel corso della storia. Quanto ai comunisti e socialisti, essi guardavano aldilà dei confini perché consapevoli dell‘interdipendenza economica degli Stati. Lo stesso Calamandrei152 ritenne necessario gettare le basi giuridiche per una più vasta costruzione internazionale che potesse essere utile in futuro. Egli ritenne strettamente indispensabile estendere la dottrina democratica oltre le frontiere. Sempre in seno alla Costituente, La Pira153 accolse il pieno riconoscimento della società oltre-frontiera: ―la sovranità dello Stato va considerata nell‘ambito della comunità internazionale‖. Quasi tutti i partiti in Costituente, dunque, sentirono la necessità di promuovere un nuovo assetto della comunità internazionale fondato sul superamento della sovranità assoluta dello Stato nazionale, su un‘intensa collaborazione tra Stati e, quindi, su più penetranti limitazioni allo loro sfera di libertà. 149 Sul tema chiare le parole di A. CASSESE, Lo Stato e la comunità internazionale. Gli ideali internazionalistici del costituente, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Principi fondamentali, Art. 1-12, Bologna, 1975, p. 461 ss. 150 A. MORO, Lo Stato, Padova,1943, p. 223 ss. 151 G. GRANERIS, La Costituzione e i fini dello Stato, in Costituzione e Costituente, Atti della XIX settimana sociale dei cattolici d‘Italia, Firenze, 1945, p. 53 ss. 152 P. CALAMANDREI, Costituente italiana e federalismo europeo, in Scritti e discorsi politici, I, 2, p. 414 ss. 153 G. LA PIRA, in Assemblea Costituente, seduta pomeridiana dell‘11 marzo 1947, reperibile al sito http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed058/sed058nc.pdf. 66 Dai lavori preparatori154 all‘art. 11 Cost., si evince che quando si parlò di organizzazioni internazionali, s‘intese riferirsi sia a organizzazioni mondiali, come l‘ONU, sia a organizzazioni europee. L‘espressione ―limitazioni della sovranità‖, peraltro, non venne usata in senso generico, non ci si riferiva, cioè, solo all‘obbligo di trasferire ad altri enti potestà legislative e giudiziarie, ma alla possibilità di instaurare ampi e penetranti vincoli internazionali155. Queste ragioni politico-giuridiche, se da un lato, segnano il principio della rilevanza della limitazione della sovranità statale, dall‘altro sono insufficienti a spiegare la crisi che ha investito il concetto di sovranità nel corso negli ultimi decenni. Altro, infatti, è prevedere la possibilità di limitare la propria sovranità al fine di riconoscere valori condivisi a livello mondiale156, altro è riconoscere una perdita in termini di efficacia della sovranità statale, di fronte a una realtà come quella della globalizzazione, ma soprattutto, della comunicazione globale, che mostra con estrema chiarezza l‘insufficienza di un intervento meramente statale nella disciplina dei più diversi settori dell‘ordinamento. L‘indagine è ampiamente descritta da A. CASSESE, Art. 11, in G. BRANCA (a cura di) Commentario alla Costituzione, Bologna, 1975, p. 569 ss. 155 Ivi. 156 Per quanto attiene alla legittimità delle limitazioni della sovranità, si veda A. CASSESE, Art. 12, cit., p. 581 ss. L‘Autore ripropone la questione della parità tra gli Stati, a condizione della quale, l‘Italia potrebbe cedere parte della propria sovranità. Ci si è chiesti se fosse una condizione di reciprocità: sarebbe legittima la limitazione della sovranità solo laddove una limitazione avesse riguardato gli altri Stati in egual misura. L‘Autore ricorda che, quando è stato scritto l‘art. 11 Cost., il Costituente faceva riferimento proprio all‘ONU, che solo in parte si fonda sul principio di uguaglianza. L‘assoluta uguaglianza, dunque, in termini di cessione della sovranità, non è di certo essenziale. Ciò che si esige è, secondo l‘Autore, che l‘Italia non si trovi in una situazione di disparità, salvo che non sia necessario per promuovere la pace e la giustizia tra le nazioni. Del resto, anche la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 98 del 1965 (con nota di M. MAZZIOTTI, in Giur. cost., 1965, p. 1322 ss.) e n. 183 del 1973 (con nota di P. BARILE, in Giur. cost., 1973, p. 2402 ss.), aveva statuito che la formula costituzionale legittima le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all‘esercizio della funzione legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per l‘istituzione di una comunità degli Stati europei, ossia di una nuova organizzazione interstatuale, di tipo sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e capacità di rappresentanza internazionale. 154 67 Queste nuove realtà si sono realizzate in contrapposizione al ―mondo ordinato del diritto di ieri‖157 e hanno generato la necessità di far riferimento al concetto di global governance, sempre più distante da quello di global government. Le regolazioni, come avviene per il cyberspace, sono molte, ma non c‘è un‘autorità unica che possa imporne l‘obbedienza dall‘alto, sanzionandone l‘inottemperanza158. Ci si è chiesti in dottrina159 – e con ciò ci ricongiungiamo al tema della regolazione senza legittimazione, affrontata con riguardo all‘ordinamento giuridico – se può ancora parlarsi di ―diritto‖. Infatti, non essendoci un‘unica volontà che s‘impone, pur interessando le questioni attinenti all‘esercizio delle libertà tutti i Paesi attraversati dalla comunicazione globale e dalla Rete delle reti, lo spazio globale, più che formato da norme e regole indirizzate ai consociati soggetti all‘obbedienza, sembra governato da una serie di interessi dei privati. Sembra più vicino, cioè, a un modello di mercato, più che a quello di uno Stato. A fronte di ciò, deve, dunque, dirsi che la comunicazione globale fa recedere totalmente il ruolo degli Stati nella produzione delle regole giuridiche e che, quindi, siano – e debbano essere – solo i privati a dettare regole, per se stessi e per gli altri, in una sorta di sistema bidimensionale in cui ―regolato‖ e ―regolatore‖ si equivalgono? È vero che, come evidenziato160, questo procedimento non sempre porta conseguenze di segno negativo, tuttavia, va osservato che i S. CASSESE, C‟è un ordine nello spazio giuridico globale, in Pol. dir., XLI, n. 1, 2010, p. 138. 158 Ibidem, p. 139. 159 Ivi. 160 S. CASSESE, C‟è un ordine nello spazio giuridico globale, cit., p. 142 ss., in cui l‘Autore sostiene che lo spazio globale sostituisce il meccanismo dell‘obbedienza alle norme con ―dispositivi miranti a ottenere l‘osservanza delle norme su base volontaria incentivata‖, fondati su premi e costi, che rendono conveniente osservare le regole globali. Nello spazio globale, inoltre, vi è il fattore della molteplicità, che, ben lontana dall‘essere pluralismo, contiene però regimi regolatori diversi. Infine, caratteristica essenziale dello spazio globale è ―l‘apertura verso il basso‖. ―I Governi nazionali, di fronte a una tale situazione, si trovano stretti tra società civile e procedure globali, che assicurano vantaggi ai cittadini, e sono così costretti ad accettare limitazioni continue 157 68 meccanismi che operano nello spazio globale sono ―largamente incompleti, asimmetrici e inefficaci‖161. In sostanza, la prima grande problematica sollevata dalla dottrina è il percorso cui conduce una regolazione confusa e complessa, in cui non è più attribuito a ciascuno il proprio ruolo, regolazione, che approda all‘inevitabile conseguenza della prevalenza di interessi economici su quelli non economici, quali i diritti umani. Questo effetto, così come l‘assenza di un serio regime di enforcement delle regole, rende di fatto debole e precario il sistema delle norme ora esposto. Ancorché, infatti, sia necessario ritenere, alla luce della valutazione della realtà circostante, che debba essere abbandonata una concezione esclusivamente volontaristica del diritto, per la quale esso sarebbe frutto solo della regolazione statale, non si ritiene, come alcuni Autori162, che le istituzioni globali abbiano in sé già una forma di legittimazione, e che l‘assenza di un ordine generale e l‘esistenza di spazi non regolati possano ottimisticamente operare in funzione evolutiva e condurre alla creazione di un governo del mondo. A parere di chi scrive, questo modo di intendere gli effetti della globalizzazione e della perdita di sovranità statale non porta molto lontano. Lasciare totalmente a sé, ad esempio, la produzione giuridica, che ha come oggetto le questioni della Rete, non può che comportare una frammentazione giuridica, la quale non risponde né a esigenze di effettività, escluse dalla Rete in linea di principio, né a esigenze di tutela, perché, laddove diventa necessario intervenire, con regole precise, a garantire interessi individuali e sovra-individuali, in realtà si finisce solo per scrivere norme senza effetto. della loro sovranità‖. In tal modo ne risulta un‘enorme diffusione di regole e principi. I Governi nazionali, gli organismi sovranazionali e globali, nonché tutti gli ―attori‖ dello spazio globale, cercano di ridurre asimmetrie e differenze per dialogare e competere sullo stesso piano e ottenere così un più diffuso benessere sociale. 161 Ivi. 162 Ivi. 69 Da soli i privati non dettano norme che garantiscano i diritti di tutti e da soli gli Stati non riescono a dettare norme che siano efficaci sulla Rete. La soluzione, però, non sembra possa essere cercata in un finto spazio globale, che è tutto e nulla in termini di legittimazione e garanzie. Aderire a tale tesi, infatti, porterebbe a svuotare ogni norma di garanzia scritta nelle Costituzioni europee e d‘oltre oceano. La globalizzazione ha di certo posto un problema essenziale: possono gli obiettivi dell‘uguaglianza sociale e del common good diventare un traguardo generale, che fa prescindere dalle questioni politiche della rappresentanza e della democrazia?163 In verità, appare preliminare rispondere a un‘altra domanda: siamo veramente certi che la globalizzazione e il disordine giuridico creato dalla stessa riescano a raggiungere l‘obiettivo prefissato? L‘asciugarsi delle distanze fisiche e spaziali, la convergenza dei mezzi di comunicazione e la diffusione del www come finestra sul mondo dell‘informazione hanno avuto una serie di conseguenze sulla politica e, più in generale, sulla vita costituzionale164. L‘impossibilità di far riferimento al limite e al territorio tradizionalmente inteso ha posto, come visto, il problema del dominio statale di tale realtà, in assenza di una trasformazione di sistema. Come individuato dalla dottrina165, infatti, non solo lo Stato, come entità autonoma, trova difficoltà a imporre regole dettate dalla propria sovranità, ma anche il diritto internazionale in genere non ne va esente. Non a caso, si parla, come abbiamo visto, di global governance, di politica globale, di per sé diversa da quella strettamente internazionale, frutto della collaborazione degli Stati in settori precisi e ben indentificati. 163 In questi termini, A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma, 2002, p. 12 ss. 164 Ivi. 165 Ivi. 70 Con riferimento alla rete Internet, e cioè all‘insieme di attività economiche e di azioni comunicative, una politica espressa da istituzioni, e che sia di governo complessivo delle relazioni globali, manca del tutto166. Non esiste autorità definibile come pubblica, che sia legittimamente investita del potere di disciplinare tutte le attività della Rete e che possa essere imputata a una comunità globale. Dunque, ci si chiede, la soluzione è la ―non politica‖? La totale rinuncia a una forma di eteronormazione? In altre parole, si deve immaginare un sistema di comunicazioni sociali che si autoregola e che sia consapevolmente sottratto alle regole stabilite dalle istituzioni politiche, col rischio che ciò comporti la prevalenza di interessi economici privati nazionali e internazionali? In verità, si deve concordare con chi167 ritiene che neanche il governo dell‘Onu e delle istituzioni internazionali in suo seno, siano la riproduzione di una politica in senso stretto. Certo, deve riconoscersi che la globalizzazione168 ha comportato una de-istituzionalizzazione della politica, cioè un impoverimento della stessa a favore di quella non istituzionalizzata. Ciò ha avuto come effetto un ingresso delle grandi corporations169 nella scrittura delle norme e nella gestione di una grande quantità di risorse e, dunque, l‘acquisto nelle loro mani di un potere politico prima 166 Il tema è ampiamente affrontato, sotto diversi aspetti, da A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit. 167 Ibidem. Ma si vedano anche C. BONVECCHIO, Lo Stato e il sovranazionale, in M. BASCIU (a cura di), Crisi e metamorfosi della sovranità, Atti del XIX Congresso nazionale della società italiana di filosofia giuridica e politica, Milano, 1996, il quale parla espressamente di ―fictio giuridica e politica‖ con riferimento all‘ONU, essendo essa del tutto priva di una sovranità effettiva, p. 6 ss. e A. CARATI, La crisi della sovranità statale nelle nuove forme di ingerenza, in Quaderni di relazioni internazionali, n. 6, 2007, p. 33 ss. 168 Sul tema della globalizzazione, si veda ampiamente M.R. FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bari, 2006, p. 30 ss. e 107 ss. 169 Si pensi a Google, che scrive la normativa privacy degli utenti in spregio ai moniti dell‘Unione Europea (su questo tema di veda M. VECCHIO, Privacy. L‟Europa da Google vuole di più, in http://punto-informatico.it/3626898_2/PI/News/privacy-europa-googlevuole-piu.aspx), o ancora alle grandi major americane, che spingono il governo americano verso politiche di tutela del diritto d‘autore, in criticabile bilanciamento con l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero on line. In questo senso J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet?, cit., p. 68 ss. 71 inimmaginabile. In questo deficit istituzionale, che si traduce in una perdita di legittimazione e di responsabilità politica, ci si chiede quale ruolo resti alla sovranità statale170, e ancora, su cosa si baserà l‘ordine globale, se quello internazionale, comunque, si basava sulla sovranità statale171. Quando si parla di diritto, come giustamente affermato172, bisogna sempre distinguere due momenti, il riconoscimento e le garanzie. Il primo concerne l‘enunciazione dei diritti, il secondo riguarda i mezzi attraverso i quali quelle enunciazioni possano essere tradotte nelle realtà. Il sistema delle garanzie, in verità, può essere assicurato solo dai singoli Stati nazionali con riserve di legge, di giurisdizione e attraverso il principio di legalità. Dunque, proprio nella scissione tra il livello del riconoscimento e quello delle garanzie, la globalizzazione incontra un limite significativo e un‘insuperabile contraddizione, infatti è come ammettere che i diritti umani sono universali ma la loro garanzia non può che restare agli Stati nazionali173. Con riferimento alla Rete, non può pensarsi di abbandonare la sovranità statale e di far intervenire nella regolazione solo ed esclusivamente regole di mercato. Quest‘ultimo, infatti, tende 170 La base giuridica del diritto internazionale è sempre stata la sovranità statale. Essa è commisurata al territorio e al popolo e ha sempre avuto un carattere relazionale perché da un lato rende possibile la convivenza delle distinte sovranità, dall‘altro è condizione necessaria al fine di legittimare lo Stato come soggetto dell‘ordinamento internazionale. Si vedano sul tema: G. CHIARELLI, (voce) Sovranità, in Nov. dig. it., XVII, Torino, 1976, p. 1043-1053; M.S. GIANNINI, (voce) Sovranità, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, p. 225-231; D. QUAGLIONI, La sovranità, Roma, 2004. 171 Le domande sono poste da A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 48. 172 Ibidem, p. 55 ss. 173 Ibidem, p. 118 ss. L‘Autore sottolinea, infatti, che la politica e la pubblica amministrazione non potranno mai globalizzarsi a causa di vincoli oggettivi legati all‘organizzazione del consenso politico e a causa degli insormontabili problemi giuridici, specie in ordine alla competenza o alla spettanza del potere di regolazione e controllo. La razionalità comunicativa della politica si fondava su valori legati alla legittimazione popolare e sul perseguimento del bene comune. Oggi la politica muta il riferimento ai valori che l‘hanno caratterizzata in passato. Alla politica intesa come libertà di scelta subentra un‘antipolitica che si esprime nelle forme della tecnocrazia. In altre parole, diventa ricerca dei mezzi più efficienti per raggiungere i fini e gli obiettivi fissati dalla competizione globale. 72 incessantemente a produrre disparità e disuguaglianze174 fra le persone, sia sotto il profilo dell‘accesso, sia sotto quello delle opportunità e dei risultati conseguibili. Ciò significa che il mercato, come sistema di regolazione politica, per un verso crea cittadinanza diseguale e, per altro verso, produce una diseguale ripartizione delle risorse e dei poteri, tanto da dar vita a posizioni fortemente differenziate, a un‘accentuata polarizzazione tra ricchezza e povertà, tra potere e mancanza di potere. La dottrina175 ha sostenuto che, data l‘impossibilità di individuare un‘autorità globale (per alcuni nemmeno auspicabile) che possa dettare legge su Internet, l‘unica via percorribile per regolare la Rete in modo uniforme sarebbe quella di un accordo tra gli Stati, dunque, un trattato internazionale. Per rendere efficace tale scelta, però, si dovrebbe garantire l‘adesione di tutti gli Stati e, siccome sarebbe difficile addivenire a una totale partecipazione, la soluzione sarebbe da trovare nell‘esclusione dell‘utilizzo di Internet per i Paesi non aderenti al trattato. In verità, questa soluzione appare irragionevole. Infatti, in forza di quale autorità si potrebbe privare uno Stato dell‘utilizzo della Rete? Inoltre, una tale soluzione, se da un lato renderebbe definitivamente efficace in tutti i Paesi che utilizzano Internet una serie di principi indispensabili per la tutela dei diritti di libertà, dall‘altro sembra decisamente impraticabile, senza contare che essa risolverebbe il problema della sovranità ultra-nazionale, azzerando per alcuni quella nazionale, che di essa è presupposto indefettibile. Anche altra dottrina176, infatti, sfata il mito177 della global governance178, sostenendo, innanzitutto, la difficoltà nell‘affidarsi a fonti e 174 Su questo concetto si veda B. KINGSBURY, Globalizzazione, Sovranità e Disuguaglianza, in Alberico Gentili nel quarto centenario del De Jure Belli, Atti del Convegno ottava giornata gentiliana, Milano, 2000. 175 A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 263. 176 C. FOCARELLI, Costituzionalismo internazionale e costituzionalizzazione della Global Governance: alla ricerca del diritto globale, in Pol. dir., 2011, fasc. 2, p. 207237. 73 regolatori esterni allo Stato, poiché in essi si svela una realtà internazionale ―fragile‖. Dunque, alla domanda sul se la regolazione globale riesca a raggiungere l‘obiettivo del common good, la risposta non può che essere negativa. Infatti, anche se la prospettiva della regolazione cambia (da statecentred a people-centred), la dottrina179 ha comunque ritenuto difficoltoso anche solo pensare a una Costituzione internazionale. Innanzitutto, ci si è chiesti se la Carta delle Nazioni Unite possa considerarsi una Costituzione della comunità internazionale, al di sopra di ogni Trattato. A suffragio di tale teoria, sono state poste due ragioni: in primo luogo, la costituzionalità della Carta sarebbe conseguenza del fatto che essa s‘imporrebbe a Stati terzi anche senza il loro consenso e, in secondo luogo, che sia suscettibile d‘interpretazione evolutiva, alla stregua delle Costituzioni statali. A contrario, però, si concorda con chi180 ha sostenuto che le ragioni addotte per la costituzionalità della Carta siano fragili e poco persuasive. È stato messo in luce, infatti, che, nelle Nazioni Unite, manca qualsiasi tipo di separazione dei poteri, un‘adeguata distribuzione di pesi e contrappesi tra i suoi organi e, si aggiunge, una reale forma di rappresentanza, che possa suffragare l‘esercizio di poteri costituenti. Per una visione scettica del diritto globale, si veda A. COLOMBO, L‟interminabile tramonto del sistema degli Stati, in Quaderni di diritto internazionale, n. 6, 2007, p. 17 e p. 24. 178 Il concetto della global governance, va ricordato, prende le mosse da lontano, dall‘idea di una costituzione internazionale, una norma fondamentale che si indentifichi nel principio di diritto: ―pacta sunt servanda‖ e ―consuetudo est servanda‖. Sul tema si veda H. KELSEN, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, Milano, 1989; si veda anche G. AZZARITI, Il futuro dei diritti fondamentali nell‟era della globalizzazione, in Pol. dir., 2003, fasc. 3, p. 341, in cui l‘Autore sottolinea la necessità della politica e dei soggetti politici, anche se nella forma di istituzioni adeguate alla globalizzazione, che rispondano alle esigenze nate dai diritti globali. 179 C. FOCARELLI, Costituzionalismo internazionale e costituzionalizzazione della Global Governance: alla ricerca del diritto globale, cit., p. 226 ss. 180 Ivi. 177 74 Alla luce di ciò, la difficoltà anche solo di pensare a una Costituzione internazionale (si pensi a quella redatta per il cyberspace) sta, inoltre, nel fatto che le Costituzioni statali variano da Stato a Stato ed è difficile estrarre un nucleo comune. Inoltre, nel diritto internazionale, mancando un‘autorità mondiale e uno Stato capace di imporsi sugli altri, non resta plausibile la costruzione di una Costituzione siffatta. In verità, il fatto che l‘obiettivo, nel caso della Rete, sia conseguire il riconoscimento delle libertà esercitabili in Internet, nonché una disciplina che sia effettivamente armonizzata, fa nascere l‘inevitabile riferimento a un‘autorità ―politica‖, legittimata, capace di porre regole tali da garantire a tutti gli attori della scena regolatoria, anche privati, dei limiti invalicabili. Del resto, questa sentita necessità di recuperare il significato della sovranità nazionale, almeno in forma di sovraordinata determinazione delle regole su quelle dei privati, che si gestiscono da sé senza limiti e garanzie, non allontana la regolazione dai destinatari delle norme, anzi, ne presuppone l‘intervento, o in forma integrativa delle regole dettate dal soggetto pubblico, o in forma indiretta, attraverso la creazione delle norme dai soggetti legittimati a dettare regole erga omnes, secondo il meccanismo della democrazia rappresentativa181. D‘altra parte, non si può non tenere in considerazione che la Costituzione italiana all‘art. 1 prevede che la sovranità appartenga al popolo. Questo principio fondativo e indissolubile dà forza e sostanza ai diritti declinati in Costituzione, esso è, cioè, un limite tanto alla revisione costituzionale, quanto alle eventuali interferenze sovra-statali, un controlimite dunque, che pone un argine a quella forma di cessione della sovranità, prevista agli artt. 10 e 11 Cost., e alla perdita di sovranità, 181 Sulla necessità di recuperare un intervento statale, si veda A. COLOMBO, L‟interminabile tramonto del sistema degli Stati, cit., p. 25. Sul legame indissolubile tra sovranità e rappresentanza, si veda C. FOCARELLI, La sovranità nell‟epoca della politica globale, in Quaderni di Relazioni internazionali, n. 6, 2007, p. 50 ss. 75 conseguenza del diffondersi dello spazio digitale, in cui oggi i rapporti umani si realizzano. ―La potestà sovrana‖182, è stato scritto, ―una volta affermatasi, se trova nella Costituzione la sua fonte giuridica, e diviene così entità costituita, tende tuttavia a ricercare in fonti extragiuridiche, espressione di una ideologia politica, un titolo di giustificazione trascendente l‘ordine positivo‖183. Col collegamento con la Costituzione, però, la sovranità acquista un carattere giuridico e non più ―meramente fattuale, discendendo da essa a carico di coloro che la esercitano un vincolo di corrispondenza ai fini propri del tipo di ordine garantito dalla Costituzione medesima‖. In verità, non è sempre facile tenere ben distinto il concetto di sovranità popolare da quello della formazione della regola giuridica proveniente dal basso. È stato, infatti, sottolineato184, il difficile rapporto che sussiste tra la sovranità del ―popolo‖ – e dunque la partecipazione democratica alle scelte di carattere squisitamente politico – e la capacità dei privati di imporre delle regole, specie in una realtà, come quella di cui ci si occupa, in cui è la tecnica a orientare una serie di scelte. La crisi della sovranità degli Stati, così fortemente influenzata dalla comunicazione globale, è, in primo luogo, una crisi della politica e della 182 Si veda sul tema V. CRISAFULLI, La sovranità popolare nella Costituzione italiana, 1954, ora in ID., Stato, popolo, governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p. 33 ss. e G. JELLINEK, Dottrina generale dello Stato, Milano, 1921, p. 43; L. CARLASSARE (a cura di), La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, Padova, 2004; R. MORETTI, (voce) Sovranità popolare, in Enciclopedia giuridica, XXX, Roma, 1993; G. AMATO, La sovranità popolare nell‟ordinamento, in Riv. trim. dir. pubbl.,1962; L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno, Milano, 1995; S. RODOTÀ, La sovranità nel tempo della tecnopolitica. Democrazia elettronica e democrazia rappresentativa, in Pol. dir., n. 4, 1993, p. 569-600. Sul tema della sovranità come espressione della politica, si veda L. BENTON, Empires of exception: History, Law and the Problem of Imperial Sovereignty, in Quaderni di Relazioni Internazionali, n. 6, 2007, p. 54. 183 Le parole sono di C. MORTATI, Art. 1, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 1975, p. 22; si veda anche M. OLIVETTI, Art. 1, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006. 184 N. IRTI, Tramonto della sovranità e diffusione del potere, in Diritto e società, 2009, 3-4, p. 468 ss.; si veda anche A. GENTILI, La sovranità nei sistemi giuridici aperti, in Pol. dir., 2011, fasc. 2, p. 181-205. 76 legittimazione democratica, affiancata da un‘impetuosa evoluzione tecnologica, che, spesso, tramite i privati che gestiscono e utilizzano la Rete, prende il sopravvento. Prendere atto di questi cambiamenti e della necessità di superare la concezione stantia del diritto, legata solo all‘eteronormazione, non può, però, significare azzerare né il ruolo del soggetto pubblico, né il ruolo, ancora più essenziale e, potremmo dire, pregiudiziale, della politica democratica185, che, sola, può legittimare la regolazione erga omnes, quanto meno nei principi ai quali i regolatori devono attenersi. Ai cittadini va ridata la sovranità che gli appartiene, ai privati, invece, la possibilità di regolare in via integrativa l‘eteronormazione del potere pubblico, a prescindere dal livello di governo al quale si faccia riferimento, che, nel caso del cyberspazio, difficilmente sarà a carattere nazionale. Ciò comporta che l‘affidarsi a istituzioni globali non rappresentative, se da un lato risolve il problema dell‘insufficienza del singolo Stato di fronte all‘a-territorialità del fenomeno Internet, dall‘altro, priva della possibilità di scelta chi dovrebbe dettarla in prima istanza e svilisce del tutto il concetto di sovranità. Alla luce di quanto detto, le tematiche attinenti alla sovranità risultano indispensabili ai fini di una proposta regolatoria della Rete delle reti. La misura di quanto ciascuno Stato debba fare o possa fare in un territorio senza confini territoriali è il primo passo per identificare gli autori delle regole che disciplinano la Rete. Interessante è anche il tipo di approccio che l‘Unione Europea ha avuto rispetto ai temi della governance di Internet, ma, prima di guardare alla regolazione intervenuta dall‘alto, è necessario un focus sulle norme che effettivamente vengono scritte dai privati, tecnici e non, che, come 185 Si veda sul tema M. DOGLIANI, Deve la politica democratica avere una sua risorsa di potere separata? in S. CASSESE – G. GUARINO (a cura di), Dallo Stato monoclasse alla globalizzazione, Milano, 2000, p. 61-72. 77 vedremo, hanno ricadute immediate, sulla vita dei singoli cittadini della Rete. 2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi privati in Rete Appare preliminare capire chi e come, aldilà delle valutazioni di carattere concettuale sulla sovranità dei soggetti che dovrebbero intervenire nella regolazione di Internet, prende le decisioni che quotidianamente, pur senza accorgercene, condizionano la nostra navigazione on line. I soggetti privati che agiscono in Rete sono i più diversi. In questa sede, ci si soffermerà su quelli che con maggiore forza s‘impongono nel governo della Rete. Essi sono l‘ICANN186, l‘IGF, l‘IETF e il WSIS187. Un comune denominatore lega tutte queste associazioni, con e senza scopo di lucro: l‘essere soggetti non pubblici che si interessano di pubbliche questioni attinenti alla Rete delle reti. Quando si affronta questo tema, non si può non cominciare dall‘ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, al fine, innanzitutto, di indagarne la natura giuridica, oggi a carattere privato. Cercheremo di spiegarne la nascita e l‘evoluzione, sottolineando il ruolo che essa svolge nella governance della Rete e le problematiche di carattere giuridico che ne conseguono. La comunità di ingegneri che si occupò, dopo la Guerra fredda, di costruire la Rete Internet, si adoperò anche per creare un‘istituzione che potesse guidarne lo sviluppo e la diffusione. Solo nel 1988 vi fu il primo riferimento alla Internet Assigned Names Authority (IANA), il vero Per una ricostruzione dell‘organizzazione, si veda A. MURRAY, The Regulation of cyberspace, cit., p. 100-110. 187 Per una comparazione tra le forme di legittimazione dei citati organismi, si rimanda a I. TAKE, Regulating the Internet infrastructure: A comparative appraisal of the legitimacy of ICANN, ITU, and the WSIS, in Regulation & Governance, Volume 6, Issue 4, p. 499-523, dicembre 2012. 186 78 predecessore dell‘ICANN. Guidata da John Postel188, il pioniere della Rete delle Reti, e priva di personalità giuridica, IANA creò il sistema dei nomi a dominio, stipulando un contratto con le Università e con l‘amministrazione americana (DARPA189). Nel 1998 fu istituita una ―Newco‖, cui fu affidata la distruzione degli indirizzi Ip e dei nomi a dominio, l‘ICANN, una ―no-for profit corporation‖, con sede in California – dunque, assoggetta alle leggi californiane – che, a seguito della stipula di un Memorandum of Understanding con il Department of Commerce statunitense, assunse da subito un ruolo determinante nella gestione della Rete. L‘organizzazione, dunque, si occupa di distribuire gli indirizzi Ip e tradurli in nomi a dominio ed è a carattere piramidale190: l‘ICANN distribuisce una somma di indirizzi Ip ai gestori regionali (Registrars) nelle varie parti del mondo e questi a loro volta li distribuiscono agli ISP, i quali li concedono sotto pagamento del canone di abbonamento ai soggetti richiedenti. Per comprendere perché quest‘organizzazione191 svolga un‘attività determinante per l‘accesso alla Rete192, è necessario un approfondimento sul tema degli indirizzi IP (Internet Protocol Addreddes). Essi sono una delle risorse necessarie per il successo e la crescita di un Internet globale, ecco perché è stato il primo compito assegnato all‘organismo privato di settore. 188 Per una precisa descrizione della storia di Postel, della nascita della Rete e dell‘ICANN si veda J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 46 ss. 189 Acronimo di Defence Advance Research Project Agency, Dipartimento della Difesa del governo degli Stati Uniti d‘America, da sempre impegnato nel finanziamento del progetto di ricerca che portò alla nascita di Internet. 190 Per una visione grafica della distribuzione di competenze all‘interno dell‘organizzazione in parola, si veda la pagina http://www.icann.org/en/groups. 191 Sull‘organizzazione interna all‘ICANN, sui metodi di elezione, sulla struttura e la direzione, nonché sul tema dei nomi a dominio, si veda, J. MATHIASON, Internet Governance. The new frontier of global institutions, New York, 2009, p. 70-96. 192 Sull‘incidenza di quest‘organismo su diritti e libertà nella Rete, si veda T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1 del 2011, 15-12-2010, p. 3. 79 A ciascun soggetto, quando si connette a Internet, viene accordato un indirizzo Ip193, un numero seriale che indentifica un luogo virtuale, che può essere permanentemente attribuito a un dispositivo o temporaneamente concesso al soggetto per l‘accesso alla sessione Internet tra quelli disponibili all‘ISP, con cui il singolo ha stipulato un contratto. Gli indirizzi Ip sono una risorsa limitata, o almeno lo erano nella versione che fino a poco fa è stata utilizzata (Ipv4)194, e, pur essendo risorsa invisibile e astratta, essa si rivela, come abbiamo visto, indispensabile alla comunicazione nel web. Il 6 giugno 2012 (Ipv6 day)195 c‘è stato il passaggio al nuovo protocollo, messo a punto dall‘ICANN, che garantisce la possibilità di moltiplicare per infinite volte (o quasi) il numero degli indirizzi Ip disponibili per l‘accesso alla Rete internet. L‘Ipv6, dunque, frutto del lavoro dei componenti dell‘ICANN, ha permesso alla Rete di sopravvivere, evitando il collasso annunciato dalla scarsità degli indirizzi Ipv4 e garantendo, in effetti, la possibilità di accesso a Internet da parte di un numero pressoché illimitato di persone. Queste scelte tecniche, com‘è evidente, incidono in maniera inesorabile sulla governance della Rete, infatti, anche laddove i singoli Governi avessero voluto investire sulla Rete, nell‘ottica di un‘implementazione dei diritti e di competitività internazionale, non avrebbero potuto ottenere un risultato effettivo, se la Rete si fosse di colpo ―bloccata‖ in ragione della limitatezza 193 Si veda anche nota 17 sul tema. La versione ―4‖ dell‘Internet protocol prevede uno schema formato da 4 blocchi, ciascuno di otto numeri tra 0 e 1, che permette la gestione contemporanea di 4,3 miliardi di indirizzi univoci. Questa cifra, raggiunta nel 2011, ha generato l‘urgenza della migrazione all‘Ipv6. 195 Lo schema Ipv6 provvede alla gestione di un numero al momento quasi illimitato di indirizzi: 3,4 per 10 alla 38esima indirizzi. Un indirizzo tipico Ipv6 è formato da 128 bit, rappresentato da 8 gruppi di 4 cifre, che utilizzano tutti i numeri da 0 a 9 e le lettere da a ad f. Il nuovo protocollo è stato reso disponibile dall‘ICANN nel luglio del 2004, ma i primi indirizzi col nuovo sistema sono apparsi solo nel 2008. Entrato in funzione l‘Ipv6, il vecchio Ipv4 sarà tenuto in vita solo fino al 2025, come sistema di backup per evitare eventuali errori di comunicazione. Per una descrizione tecnica della questione, si veda DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p. 1-20. 194 80 delle risorse. Dunque, la sperimentazione tecnica e le decisioni prese da tali organizzazioni, ancorché poi decentrate, perché coinvolgono l‘azione coordinata dei singoli ISP, diventano di fatto il presupposto di qualunque politica regolatoria, nazionale o sovranazionale. La gestione del nuovo protocollo196, dunque, oltre a essere totalmente tecnica, è anche inevitabilmente politica. Le decisioni sull‘introduzione di nuove tecniche, infatti, incidono sul controllo del globale flusso di informazioni, sull‘accesso alla conoscenza, sui diritti di libertà on line, su politiche per l‘innovazione, sulla competitività economica e sulla sicurezza nazionale. Peraltro, va sottolineato che il protocollo Ip rappresenta una delle regole tecniche (technical standard) che svolge un ruolo fondamentale. Le due più significative caratteristiche sono la sua universalità (l‘Ip è condizione necessaria per stare in Rete) e il riconoscimento (indipendentemente da se l‘indirizzo Ip è assegnato in via permanente a un pc o in via temporanea per un sessione Internet, può potenzialmente fornire informazioni rispetto a quale dispositivo conduce una specifica attività in uno specifico momento nel tempo)197. Prima di interrogarci sulla questione di fondo, e cioè sul come ovviare alla totale mancanza di legittimazione di un organismo come l‘ICANN e sul se esistono proposte nel merito, va aggiunto un altro tassello alla 196 Per le una rassegna stampa della vicenda si vedano i seguenti indirizzi http://www.ispaziomac.com/22876/oggi-internet-si-allarga-ufficialmente-con-ilpassaggio-a-ipv6; http://punto-informatico.it/3533699/PI/News/ipv6-day-2012-cominciaswitch-off.aspx e http://www.key4biz.it/News/2012/06/06/Tecnologie/Internet_Society_ipv6_ipv4_Microsof t_Facebook_Google_Yahoo_garr_cnr_210929.html. La pagina ufficiale dell‘organizzazione interna all‘ICANN che si è occupata della questione è reperibile in http://www.internetsociety.org/ipv6/archive-2011-world-ipv6-day. Va sottolineato che lo sviluppo dell‘Ipv6 è uno degli elementi chiave della Digital Agenda europea. La stessa Neelie Kroes, vice commissario della Commissione Europea responsabile dell‘Agenda digitale, ha sostenuto che esso è presupposto per l‘innovazione della Rete e dell‘Europa. Si veda, a riguardo, la pagina http://ec.europa.eu/digitalagenda/en/newsroom/all/speeches. 197 DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p. 15 ss. 81 spiegazione. Alla questione degli indirizzi Ip è intimamente legata quella dei nomi a dominio. La riconoscibilità dei nodi della Rete, infatti, è garantita dagli indirizzi Ip, ma non è sufficiente a permettere una veloce comunicazione. Raggiungere un indirizzo è molto più semplice se si conosce il nome a dominio198, che traduce in parole i numeri dell‘indirizzo Ip, rendendone più facile la memorizzazione e, quindi, il raggiungimento. L‘ICANN, a riguardo, ha diverse competenze, innanzitutto coordina questo settore. ―Le sue funzioni sono definite meramente tecniche ma, in realtà, si tratta di funzioni di determinazione degli indirizzi (policymaking)‖199. Quest‘organizzazione, di fatto, può autorizzare una società a operare con un determinato nome a dominio, con effetti immediati sui diritti degli operatori200. L‘acronimo del sistema dei nomi a dominio (Domain Name System) è DNS. I nomi a dominio sono strutturati in maniera gerarchica: ―.org‖ o ―.com‖ etc. sono nomi a dominio di primo livello (top-level domain name, TLD), il nome che precede, ad esempio ―google‖, è il nome a dominio di secondo livello (second level domain name, SLD). Prima di quest‘ultimo, c‘è il www, che indica la navigazione nel web, a meno che non siano utilizzati altri livelli gerarchici, che implicano la presenza di uno o più nomi prima del www. Ogni parola compresa tra i punti indica una particolare zona, gestita da un soggetto. Il modello è quello del ―distributed administration‖, che permette la delega dei differenti livelli del nome a dominio. Su questo concetto si veda, in particolare, M.L. MUELLER, Ruling the Root. Internet Governance and the taming of cyberspace, The Mit Press, 2002, p. 41-42. Ancora, va detto che i top-level domain possono essere generici (.org - .net - .com) o nazionali (.it - .uk -.de), in tale ultimo caso c‘è una diretta corrispondenza tra un sito e un‘area geografica. 199 L‘osservazione è di B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 03, p. 681 ss. 200 Si veda, infatti, W. KLEINWÄCHTER, Beyond ICANN vs. ITU? How WSIS tries to enter the new territory of Internet Governance, in http://www.unicttaskforce.org/perl/documents.pl?id=1294, p. 2, in questi termini: ―The introduction of new Top Level Domains, while basically a technical question (…) is like the creation of new territory in Cyberspace and has unavoidable economic and political implications‖. Si pensi anche alla questione del top domain name ―.xxx.‖ Già anni fa era stata presentata richiesta per l‘introduzione del suddetto nome a dominio, in modo che esso corrispondesse ai siti vietati ai minori, a contenuto pornografico, sia per ragioni commerciali che di più facile identificazione. Originariamente respinta dall‘ICANN, per ragioni di natura etica (motivazioni reperibili dall‘Internet Governance Project, Review of Documents Released under the Freedom of Information Act in the XXX Case - 19 maggio 2006 - paper IGP06-003, disponibile su http://internetgovernance.org/pdf/xxx-foia.pdf.), la proposta è stata poi accettata nel 2011 e il passaggio di molti siti al nuovo nome a 198 82 Inoltre, va detto che l‘ICANN ha un meccanismo proprio di risoluzione amministrativa delle controversie, denominato UDRP201. Si tratta di un procedimento amministrativo, messo a disposizione degli utenti di rete che hanno acquistato un nome a dominio. Esso può essere intrapreso da un privato laddove ritenga che il suo diritto all‘uso del nome a dominio sia stato illegittimamente leso. La finalità del denunciante è ottenere la cancellazione del nome a dominio usurpato illegittimamente o il trasferimento dello stesso in capo a sé. Se l‘arbitro, cui si fa riferimento, decide per la ragione del denunziante (nei casi di mala fede nella richiesta del nome a dominio o di tentativo di frode o ancora di concorrenza sleale da parte del convenuto) si attendono dieci giorni prima di attuare la decisione. Se nei giorni successivi non viene notificato alcun avviso, la decisione viene resa esecutiva. Se, invece, nei dieci giorni suddetti, si ha notizia di un procedimento giurisdizionale (a esso parallelo e cumulativo, salvo chiaramente la prevalenza del provvedimento giurisdizionale nel caso di contrasto), non viene data attuazione alla decisione ma si attende un documento ufficiale che attesti l‘estinzione del processo o l‘avvenuta dominio è già avvenuto. La notizia è reperibile in http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/09/07/news/siti_porno_un_dominio_tutto_loro _l_indirizzo_diventa_xxx-21350137/ e in http://www.key4biz.it/News/2012/01/12/Net_economy/icann_internet_tld_domini_rod_be ckstrom_207785.html, in cui si evidenziano le ricadute che la scelta dell‘ICANN ha avuto sulle aziende che dovranno trovare il modo di difendere il proprio marchio per evitare che esso venga registrato come nome a dominio di secondo livello, affiancato a quello di primo livello del .xxx. Non a caso, già la Federal Trade Commission americana, in una lettera del 16 dicembre 2011, aveva sottolineato che i nuovi domini avrebbero ―aumentato incredibilmente la possibilità di frodi‖ e aveva chiesto all‘ICANN di avviare un progetto pilota e di ridurre il numero di suffissi passibili di approvazione. 201 Si veda, infatti, l‘art. 4 del Policy document, in http://www.icann.org/en/help/dndr/udrp/policy#4. E, per la dottrina americana a riguardo, si vedano L.R. HELFER, Whither the Udrp: Autonomous, Americanized, or Cosmopolitan?, in Cardozo Journal of International and Comparative Law, 2004, p. 493 ss.; M. FROOMKIN, Icann‟s “Uniform Dispute Resolution Policy” - Causes and (Partial) Cures, in Brooklyn Law Review, 2002, p. 605 ss.; L.M. SHARROCK, The Future of Domain Name Dispute Resolution: Crafting Practical International Legal Solutions from within the Udrp Framework, in Duke Law Journal, 2001, p. 817 ss.; J.G. WHITE, Icann‟s Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy in Action, in Berkeley Technology Law Journal, 2001, p. 229 ss. 83 transazione della controversia, o ancora una sentenza che, eventualmente, o ordini ai Provider dell‘ICANN di cancellare il nome a dominio, o stabilisca il ―non diritto‖ del convenuto di continuare a utilizzare il nome in questione. In sostanza, si tratta di una gestione del nome a dominio202 del tutto arbitrale, senza nessun tipo di garanzia giurisdizionale, o quanto meno in concorrenza con essa. La procedura è, infatti, obbligatoria, e l‘obbligatorietà discende dall‘inserimento delle clausole nei contratti tra operatori e utenti finali. Il sistema, di fatto, incide sulle situazioni giuridiche dei singoli perché può privarli dell‘uso di un particolare nome a dominio. Certo, è sempre possibile ricorrere ai tribunali nazionali, che applicheranno chiaramente il diritto interno, anche se c‘è stato un caso, invero unico, peraltro ribaltato in appello203, in cui un giudice americano dichiarò la propria incompetenza in ragione del fatto che la lite fosse stata già arbitrata dall‘ICANN. Possiamo, dunque, trarre le prime conclusioni rispetto all‘attività che quest‘organizzazione svolge. Essa è, da un lato, una corporation204, 202 Sul tema, si vedano i contributi di M. PIERANI, Marchi e nomi a dominio: un “doppio binario” per la risoluzione delle controversie, in Riv. dir. ind., 2001, 6, p. 495 ss.; C.M. CASCIONE, I domain names come oggetto di espropriazione e di garanzia, in Dir. inf. infomatica, 2008, 01, p. 25 ss.; E. FOGLIANI, Recenti sviluppi dell‟Internet Governance italiana: la nuova “Commissione per le regole” del registro del ccTDL.it, in Dir. inf. informatica, 2004, 06, p. 791 ss.; A. MAIETTA, Il Regolamento CE n. 874/04 per i domini “.eu”: una prospettiva convincente, in Dir. inf. informatica, 2004, 4-5, p. 679 ss.; L. MARINI, Il sistema dei nomi a dominio per l‟identificazione dei domini Internet, in Dir. un. eur., 2000, 03, p. 631 ss.; ID., Reti di comunicazione elettronica e servizi collegati nel diritto comunitario: il caso dei nomi a dominio internet, in Dir. comm. internaz., 2001, 01, p. 3 ss.; L. MENDOLA, La Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy, in Dir. comm. internaz., 2003, 01, p. 57 ss. 203 Si tratta del caso Barcelona.Com, Inc. v. Excelentisimo Ayuntamiento de Barcelona, U.S. Court of Appeal of the First District, consultabile in http://www.ca1.uscourts.gov/pdf.opinions/01-1197-01A.pdf. Per un commento alla sentenza, si veda Z. EFRONI, A Guidebook to Cypersquatting Litigation: The Practical Approach in a Post-Barcelona.com World, in Journal of Law, Technology and Policy, Vol. 2, p. 457 ss. 204 In questo senso, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 60. Qui gli Autori definiscono l‘ICANN come una corporazione no profit, basata sull‘autoselezione del consiglio di amministrazione. In termini economici, si dice, l‘ICANN è un‘impresa e il suo statuto è basato sui valori della stabilità operativa, 84 dall‘altro, un ente di standardizzazione e, soprattutto, un organo di governo205. Quattro sono le caratteristiche che qualificano l‘ICANN come un‘istituzione globale206: la struttura è atipica e denota un sistema multiorganizzativo207 nell‘ordinamento sovranazionale (l‘ente, di natura privata, svolge un‘attività che ha di certo risvolti globali, ed è a lui affidata indubbiamente una funzione ―pubblica‖); il sistema delle regole è periferico, spontaneo208 (esso si fonda sul diritto privato: uno statuto, un Memorandum, e i contratti conclusi con i gestori dei nomi a dominio), ma riesce a incidere sui diritti dei singoli209; infine, il regime dell‘ICANN scavalca quello degli Stati nazionali. Le norme adottate, infatti, sono imposte direttamente ai privati, senza passare per il consenso dei governi. È vero, però, che negli anni l‘ICANN ha subito notevoli modifiche di sistema, infatti, anche se formalmente resta un‘organizzazione privata – che taluni, già in origine, guardavano con sospetto per il legame che la teneva unita al governo americano210 –, all‘interno dei diversi organi consultivi di cui essa è dotata, ha assunto una particolare rilevanza il GAC (Governmental Advisory Committee)211, composto dai rappresentanti dei governi nazionali, che fornisce consulenza all‘ICANN per questioni che attengono in genere all‘ordine pubblico. affidabilità, sicurezza e globale interoperabilità di Internet, imperativi tecnici che riflettono in modo evidente le origini tecniche della comunità dell‘ICANN. 205 Così B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit., p. 12. 206 La ricostruzione si deve a B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit., 13 ss. 207 Si veda sul tema, G. DELLA CANANEA, I pubblici poteri nello spazio giuridico globale, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, p. 1-20. 208 Qui il riferimento va immediatamente a G. TEUBNER, Global Private Regimes: Neo-Spontaneous Law and Dual Constitution of Autonomous Sectors?, in K.H. LADEUR (edited by), Public Governance in the Age of Globalization, Ashgate, 2004, p. 71 ss. 209 Si pensi alle tasse sulla registrazione dei nomi a dominio che l‘ente può, per il tramite dei registrars, far riversare sugli utenti finali. 210 Si veda L. DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit. p. 166-171 e anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 60. 211 La pagina ufficiale dell‘organo consultivo, all‘interno dell‘ICANN, è reperibile al sito https://gacweb.icann.org/display/gacweb/Governmental+Advisory+Committee. 85 Ciò denota non solo la formazione di una peculiare partnership pubblico-privata ma anche, e con ciò ci ricolleghiamo al discorso precedente sulla sovranità, un‘evidente spinta degli Stati nazionali verso il governo della Rete e, soprattutto, verso il recupero della sovranità perduta, in ragione dei cambiamenti tecnologici e di una produzione giuridica nata da sé, come nel caso sottoposto alla nostra attenzione. Com‘è stato giustamente affermato, ―l‘analisi di questo settore conferma che, nell‘arena globale, gli Stati perdono alcune potestà ma non scompaiono definitivamente: piuttosto rimodulano l‘esercizio dei loro poteri‖212. Non dettano regole di principio, all‘interno delle quali i privati possono agire, ma, al contrario, per riappropriarsi di una forma di sovranità, intervengono nella struttura di un ente privato al fine di collaborare con esso e giocare un ruolo non marginale nella produzione delle regole. In verità, questa spinta degli Stati verso una più incisiva presenza nella governance della Rete dipende anche dalla convinzione che la scelta di lasciare la gestione di rilevanti questioni tecniche – come i nomi a dominio e la distribuzione degli indirizzi Ip – nelle mani di un‘organizzazione di tecnici, che avrebbero garantito di certo trasparenza e sviluppo, celasse, in realtà, un legame endogeno che univa l‘ICANN al Department of Commerce americano, specie in considerazione del fatto che non esiste un atto giuridico di legittimazione delle funzioni attribuite all‘ICANN. Proprio questa sensazione di perdita – ancora una volta – di sovranità, avvertita dagli Stati, ha condotto a una serie di proposte, aventi tutte come fulcro la riconduzione dei poteri dell‘ICANN sotto il controllo dell‘ONU, in un‘ottica di collaborazione intergovernativa. Alle domande iniziali, dunque, su quale sia la natura dell‘organizzazione e se ci siano state proposte modificative, la risposta deve essere univoca ed è positiva. 212 Così B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit., p. 17. 86 Due sono i punti fermi acquisiti: L‘ICANN è una struttura privata, i cui contatti reali, però, col governo degli Stati Uniti restano per certi versi oscuri, e diversi sono i tentativi di ricondurla sotto un controllo intergovernativo, che snaturi agli effetti la sua originaria natura giuridica. In verità, si deve riconoscere che la perplessità che nasce di fronte a una realtà a tutti gli effetti politica, gestita da soli privati e tecnici della Rete, con forti ed evidenti ricadute sull‘accesso a Internet, sulla possibilità per gli stessi governi di mettere in opera politiche di innovazione e crescita, non è meno forte rispetto alla possibilità di mettere il governo della Rete nelle mani dell‘ITU, organismo dell‘ONU. Infatti, come già sostenuto sul tema della sovranità, una tale scelta non rappresenterebbe una risposta effettiva all‘assenza di legittimazione e, dunque, di sovranità statale e sovranazionale, ma solo la possibilità, peraltro non auspicabile, di riprodurre nella governance della Rete gli stessi squilibri di potere che esistono all‘interno delle Nazioni Unite. La proposta iniziale è stata quella di stilare un trattato internazionale213 – come si vede, torna l‘ipotesi del trattato suggerita dalla dottrina214 rispetto alle questioni della Rete – che attribuisse all‘ITU215 gran parte dei poteri che oggi competono all‘ICANN, cercando però di ottenere una garanzia di rappresentanza e di partecipazione dei Paesi in via di sviluppo. Nel 2004 si espresse anche Zhao, direttore dell‘ITU, sostenendo che la gestione degli indirizzi Ip e dei nomi a dominio non potesse essere lasciata nelle mani dell‘ICANN, perché formalmente soggetto privato, ma La proposta era già stata presentata dall‘Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione n. 183 del 2001 (reperibile in http://www.itu.int/wsis/documents/background.asp?lang=en&c_type=res). S‘invitava, in quella sede, l‘ITU a interessarsi alla questione e proporla in tutte le sedi in cui era possibile riportare la voce delle Nazioni Unite, specie nei diversi forum organizzati per le questioni di Internet. 214 A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 263. 215 È l‘acronimo di International Telecommunication Union. Essa è un‘agenzia specializzata delle Nazioni Unite, che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni. 213 87 comunque intimamente legato al governo degli Stati Uniti. Zhao riteneva che fosse indispensabile legare la questione della governance di Internet a un organismo a carattere globale, che fosse emanazione delle Nazioni Unite, come l‘ITU, occupandosi quest‘ultimo delle questioni attinenti alle TLC. È proprio da questa presa di posizione che nacque il WGIG, il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite che si occupa dell‘Internet Governance. Lo stesso gruppo di lavoro ha definito l‘Internet governance come ―the development and application by governments, the private sectors and civil society, in their respective roles, oh shared principles, norms, rules, decision-making and programmes that shape the evolution and use of the internet‖216, sottolineando, così, la necessità di un approccio multistakeholder. Anche la dottrina americana, del resto, ha sollevato il problema della legittimità dell‘ICANN, salutando, però, con favore, la possibilità che certe funzioni fossero trasferite a organismi sovra-nazionali217. L‘ultima proposta a riguardo risale al febbraio del 2012. Il 27 febbraio è, infatti, iniziato a Ginevra un negoziato diplomatico che avrebbe potuto portare alla rimodulazione del trattato dell‘ITU attribuendogli poteri senza precedenti in materia di Internet. 216 L. DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p. 169. Ibidem, p. 207. L‘Autrice si esprime in questi termini: ―the question of who should centrally administer the allocation of resources has remained a source of controversy centered around issues of international fairness, institutional legitimacy, security and stability. This question is at the heart of ongoing conflicts between US oversight of the IANA function under ICANN and the possibility of turning that function over to the United Nations or other organization perceived as more international and multistakeholder‖. In senso contrario, invece, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 60. Gli Autori, nonostante i nodi problematici attinenti alla partecipazione democratica e alla competizione, ritengono che l‘ICANN debba essere inteso come un tentativo di istituzionalizzare e preservare l‘autonomia dell‘approccio di carattere tecnico-ingegneristico rispetto all‘internet governance e di fronteggiare la pressione sulla cessione del controllo ai governi nazionali e ai meccanismi di mercato. 217 88 Questa soluzione avrebbe messo in crisi la gestione multistakeholders appena descritta e avrebbe potuto essere foriera di riforme non propriamente positive. Il dialogo tra più parti del mondo per una gestione della Rete comune, neutrale e libera sarebbe un risultato formidabile, ma c‘è chi ha dubitato218 che lo strumento del Trattato potesse portare a una soluzione siffatta. In linea di principio, infatti, taluni Paesi potrebbero non aderire al Trattato e creare così una rete balcanizzata219 che di per sé devasterebbe il commercio 218 Anche N. Kroes, oltre al governo degli Stati Uniti, si è dimostrata fortemente contraria alla possibilità che Internet divenga merce di scambio tra Paesi che contano nel contesto internazionale. Potrebbero, sostiene la Commissaria, risentirne i diritti di libertà esercitabili in Rete. Si veda, infatti, http://www.zdnet.com/no-need-for-un-to-take-overinternet-says-eu-digital-chief-kroes 7000003145/. 219 L‘espressione è di R. NATALE, Riforma di Internet: Russia e Cina stanno spingendo per una nuova regolamentazione che darebbe poteri all‟ITU. Quali i rischi? in www.key4biz.it, 21 febbraio 2012. Una rete a strati è, difatti, il primo rischio di un Trattato cui non aderiscano tutti gli Stati. Si pensi alla Cina, che sta adottando una politica decisamente censoria, e le cui decisioni potrebbero incidere negativamente se si desse all‘accordo intergovernativo il potere di regolazione della Rete. In questo senso, anche R. MCDOWELL (Commissioner of the Federal Communications Commission), The U.N. Threat to Internet Freedom. Top-down, international regulation is antithetical to the Net, which has flourished under its current governance model, reperibile in http://online.wsj.com/article/SB10001424052970204792404577229074023195322.html. Si vedano inoltre http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2012-10-19/rischio-governoliquido-201553.shtml?uuid=AbJOavuG; http://www.key4biz.it/News/2012/10/22/Policy/telco_ott_franco_bernabe_wcit12_giulio_t erzi_corrado_passera_213392.html; http://www.lastampa.it/2012/10/20/cultura/opinioni/editoriali/la-nostra-sfida-per-laliberta-su-internet-2G7Vzl3eOXpM55wbFfGnnK/pagina.html. Sul sito del ministero dello sviluppo economico è anche stata pubblicata un consultazione pubblica sui temi affrontati dal consesso internazionale dell‘ITU nel dicembre 2012, disponibile alla pagina http://www.sviluppoeconomico.gov.it/?option=com_content&view=article&idmenu=804 &idarea2=0&sectionid=1&andor=AND&andorcat=AND&idarea3=0&partebassaType =4&MvediT=1&showMenu=1&showCat=1&idarea1=0&idareaCalendario1=0&idarea 4=0&showArchiveNewsBotton=1&id=2024409&viewType=0&directionidUser=24. Va detto che la proposta di modifica del Trattato è anche intervenuta dall‘ETNO (The European Telecommunications Network Operators Association), reperibile al sito http://www.etno.be/. La modifica della Rete qui presentata avrebbe effetti immediati sull‘utilizzo di Internet perché riguarda anche il pagamento obbligatorio di determinati servizi, nonché l‘abbandono del principio della Net Neutrality. Per una rassegna stampa sul tema si veda la pagina http://radiobruxelleslibera.wordpress.com/2012/09/19/internet-e-itu-linsostenibileambiguita-delle-proposte-etno/ e per una critica alla proposta in commento si veda anche L. DOWNES, EU telcos defend UN Internet takeover plans, in http://news.cnet.com/830113578_3-57518427-38/eu-telcos-defend-un-internet-takeover-plans/. 89 internazionale e la crescita della Rete, o peggio, potrebbero essere imposte limitazioni alle libertà on line, proprio da parte di Paesi che attuano politiche a carattere censorio. Al fine di trovare una soluzione congeniale al problema, l‘ICANN ha creato attorno a sé una serie di organizzazioni, anche legate alle Nazioni Unite, come il WSIS, prima menzionato. Esso, creato dall‘ONU, potrebbe definirsi un organo pubblico internazionale che, peraltro, si è riunito a Dubai nello scorso dicembre220, proprio per trattare le questioni attinenti al trattato ITU. La rivoluzione digitale, che ha cambiato radicalmente il modo di pensare, comportarsi, comunicare e lavorare, ha fatto sentire la necessità di creare un forum mondiale, che affrontasse le tematiche della Rete e, con esse, quelle del divario digitale, primo grande problema dell‘evoluzione- Per un commento si veda F. BARCA – C. SCAGLIONI, Il Dubai Round delle Telcos: proposte per una nuova Internet Governance, in Economia della cultura, XXII, n. 3, 2012, p. 315-323. In verità, quella che poteva apparire come un‘effettiva rivoluzione nella governance della Rete, non ha portato molto lontano. Le discussioni tenutesi all‘ITU, in sede di conferenza mondiale sui temi della modifica al Trattato ITU, sono contenute in documenti tenuti segreti, per cui la posizione ufficiale dei diversi Stati in merito alle modifiche proposte non è accessibile. Ciò non toglie però che, appena al termine della chiusura del vertice, le informazioni più rilevanti sul tema in questione siano trapelate sulla stampa estera e italiana. La revisione del Trattato che regola le telecomunicazioni internazionali (ITRs), che include misure che conferiscono ai Paesi il diritto di accedere ai servizi di telecomunicazioni e la facoltà di bloccare lo spam (reperibile alla pagina http://www.itu.int/en/wcit-12/Documents/final-acts-wcit-12.pdf), non è stata ratificata da tutti i Paesi. Determinante appare la decisione degli Stati Uniti di non ratificare e di imporre alla propria delegazione di lasciare la Conferenza. In verità, l‘atteggiamento americano altro non è che il risultato della volontà politica di non permettere la trasmigrazione di poteri di direzione e di governance nelle mani di un‘organizzazione dell‘ONU (l‘ultima posizione ufficiale del Senato americano sul tema è reperibile alla pagina http://thomas.loc.gov/cgi-bin/bdquery/z?d112:sc50). In sostanza, dunque, la Conferenza mondiale di Dubai ha condotto, in tema di governance della Rete, a un compromesso: la possibilità, cioè, che un possibile trasferimento della maggior parte degli elementi Internet potesse essere deciso solo con una risoluzione separata ‗stile ONU‘, dunque, ancora una volta, non vincolante. D‘altra parte, un parere fortemente negativo all‘ipotesi di modifica del Trattato ITU, che prevedesse un‘estensione dei poteri dell‘organizzazione sulla gestione della Rete, è anche stata fortemente osteggiata dal Center for Democracy & Technology (CDT) – https://www.cdt.org/ – la cui posizione ufficiale è stata pubblicata alla pagina http://www.itu.int/en/wcit-12/Pages/public.aspx. 220 90 involuzione tecnologica. Dopo la risoluzione221 adottata dall‘Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo vertice si tenne a Ginevra nel 2003, il secondo a Tunisi nel novembre del 2005. Questo forum di discussione globale è stato descritto dalla dottrina americana222 in questi termini: ―a people-centred, inclusive and development-orientated Information Society where everyone can create, access, utilize and share information and knoledge, enabling individuals, communities and peoples to achieve their full potential in promoting their sustainable development and improving their quality of life‖. Anche nei vari incontri del WSIS sono emerse le diverse istanze dei Paesi partecipanti. Taluni, per esempio, hanno, col tempo, denotato la loro stessa incapacità di partecipare a molte delle scelte inerenti ai metodi di regolazione della Rete, dell‘allocazione degli indirizzi Ip e dei nomi a dominio223, spesso in ragione della scarsa penetrazione di Internet nel Paese. Altri, invece, come gli Stati Uniti, hanno chiesto con parole chiare e ferme che il settore dell‘ICT debba essere sostenuto nella sua crescita solo dall‘intervento del settore privato, posizione che chiaramente rispecchia quella assunta rispetto all‘ipotesi della trasmigrazione dei poteri dall‘ICANN all‘ITU. Le divergenze rispetto al ruolo che i privati avrebbero dovuto assumere si sono via via manifestate con maggiore forza. Da un lato Cina, Brasile e Stati Arabi spingevano verso una maggiore presenza del governo e, dall‘altra, Europa, Giappone e Canada appoggiavano la visione tendenzialmente privatistica presentata dagli Stati Uniti, per timore che i governi entrassero eccessivamente nella governance della Rete e che questo avrebbe aperto un varco alle politiche censorie e alla gestione del contenuto on line. 221 La risoluzione 56/183 è reperibile al http://www.itu.int/wsis/docs/background/resolutions/56_183_unga_2002.pdf. 222 Si veda A. MURRAY, The Regulation on cyberspace, cit., p. 119. 223 Ibidem, p. 120. sito 91 Comunque, per incrementare la relazione tra il settore pubblico e quello privato, il WSIS ha voluto la creazione dell‘IGF (Internet Governance Forum), che fornisce una seria possibilità di scambio di idee tra gli stakeholders, oltre a essere una guida per la public policy in materia. Diverse furono le proposte sui cambiamenti nelle relazioni tra i soggetti che si contendono le decisioni sulla governance, molte delle quali ispirate a un potenziamento dell‘IGF. Per la precisione, il mandato del Forum224 contiene i seguenti punti principali: discutere di questioni di politica pubblica legate agli elementi chiave della governance di Internet al fine di favorire la sostenibilità, la robustezza, sicurezza, stabilità e lo sviluppo di Internet; facilitare una discussione tra gli enti che si occupano di diverse politiche internazionali trasversali per quanto riguarda Internet; interfacciarsi con appropriate associazioni inter-governative e altre istituzioni sulle questioni di loro competenza; facilitare lo scambio di informazioni e migliori pratiche, e in questo senso fare pieno uso delle competenze del mondo accademico, le comunità scientifiche e tecniche; rafforzare e valorizzare l'impegno delle parti interessate esistenti e / o futuri meccanismi di governance di Internet, in particolare quelli provenienti dai paesi in via di sviluppo; individuare i problemi emergenti, portarli all'attenzione degli organi competenti e l'opinione pubblica, e, se del caso, formulare raccomandazioni; promuovere e valutare, su base continuativa, l'incarnazione dei principi del WSIS nei processi di governance di Internet; 224 È reperibile al sito http://www.intgovforum.org/cms/aboutigf e in A. MURRAY, The Regulation on cyberspace, cit., p. 123. 92 discutere, tra l'altro, questioni relative alle risorse critiche di Internet; aiutare a trovare soluzioni ai problemi quotidiani derivanti dall'uso e dall'abuso di Internet, di particolare interesse per gli utenti; pubblicare i suoi lavori. Come si vede, per quanto sempre interessanti le dichiarazioni di principio adottate dal WSIS (si pensi agli incontri di Ginevra 225 e Tunisi226), e nonostante l‘impegno sociale e la maggiore attenzione che le riflessioni dell‘IGF promettono sui problemi di governance227 (si pensi anche alla Carta dei diritti di Internet, frutto del lavoro delle Dinamic Coalitions, nate in seno all‘IGF), queste organizzazioni scontano un difetto genetico, la non vincolatività delle loro decisioni, che nasce dalla loro natura di soggetti ibridi, pubblico-privati, non legittimati ad adottare norme in principio valevoli a livello globale. Diverso discorso vale, invece, per l‘IETF228 che, come l‘ICANN e in collaborazione con la stessa, agisce con scelte tecniche che hanno ricadute a carattere politico. 225 Il testo della Dichiarazioni di principi varata a Ginevra è reperibile al sito http://www.itu.int/wsis/docs/geneva/official/dop.html. 226 Per le proposte sulle politiche regolatorie indicate a Tunisi si veda la pagina http://www.itu.int/wsis/docs2/tunis/off/7.html. 227 I temi delle discussioni sono: il diritto di accesso, gli standard della Rete, l‘esercizio della libertà in Rete, la stabilità e la sicurezza della stessa. 228 Si tenga presente che, accanto all‘IETF, Internet Engineering Task Force, ci sono altre diverse associazioni che si occupano dei vari aspetti della Rete, tra le quali l‘ISOC (Internet Society Organization). Questa è un‘organizzazione no profit, impegnata in un ampio spettro di problemi di Internet, tra cui la politica, la governance, la tecnologia e lo sviluppo. Stabilisce e promuove i principi che sono destinati a persuadere i governi a prendere decisioni ritenute giuste per i cittadini e per il futuro di ogni nazione. Tutta l‘attività dell‘ISOC è finalizzata a garantire un Internet sano, sostenibile e disponibile per tutti. Si può così sintetizzare l‘attività (reperibile al sito http://www.internetsociety.org/whowe-are/mission) dell‘ISOC: • Sostenere le politiche pubbliche che consentano il libero accesso • Facilitare lo sviluppo aperto e trasparente di standard e protocolli per l‘amministrazione e l'infrastruttura tecnica di Internet • Organizzare eventi e predisporre opportunità che portino le persone a condividere conoscenze e opinioni 93 L‘IETF è una grande Comunità internazionale aperta ai progettisti di reti, agli operatori, ai fornitori e ai ricercatori interessati allo sviluppo dell‘architettura di Internet e al suo funzionamento. Questa comunità è riuscita già a risolvere i più seri problemi di comunicazione legati alla rete, permettendo agli utenti internet di tutto il mondo di navigare senza accorgersi dei piccoli cambiamenti tecnici che, nel frattempo, miglioravano il servizio. Le decisioni prese dalla comunità sono di certo molto lontane dal concetto di legge, obbligo e coercizione. I componenti dell‘IETF prendono, infatti, decisioni di comune accordo, su vasto consenso, e, sulla base di esse, redigono documenti che finiscono con l‘avere un serio e determinante impatto sulla rete. La tecnica utilizzata è quella del ―bottom up‖229. Gli ingegneri, secondo parte della dottrina americana230, sarebbero la personificazione della democrazia deliberativa, teoria questa che non si può accogliere, per le ragioni sopra evidenziate, prima fra tutte l‘impossibilità di inquadrare una comunità virtuale e, soprattutto, di trovare in questi meccanismi un‘adeguata forma di partecipazione democratica. L‘idea di una governance informale, infatti, lascia perplessi per i motivi sopra esposti, anche se qui ci si imbatte in una realtà tecnica, in cui la competenza è componente necessaria per una policy di successo. Più che, però, organismi privati senza controllo, si potrebbe immaginare la possibilità di istituire un‘Authority che risponda, quanto meno a chi ne ha eletto i componenti, delle decisioni adottate e delle politiche intraprese. • Fornire informazioni affidabili e di opportunità educative che comprendono seminari di formazione nei paesi in via di sviluppo • Incoraggiare l'innovazione e le idee nuove, fornendo sovvenzioni e premi per le iniziative pertinenti. Partners dell‘ISOC sono IETF e W3C. Le loro decisioni sono rilevanti nella misura in cui partecipano allo sviluppo tecnico della rete e agiscono al fianco di organizzazioni come l‘ICANN. La loro attività è la base, il fondamento per la regolazione tecnica della rete. 229 J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 24. 230 Ivi. 94 2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana all‟approccio europeo A fronte del vastissimo panorama della dottrina americana sul tema della governance, non si registra altrettanta attenzione al tema nell‘ambito europeo, se non in campo più strettamente politico. L‘approccio europeo è essenzialmente uno ed è volto a garantire un multi-stakeholderism, unico rimedio possibile alla complessa struttura della Rete e all‘eterogeneità dei temi e dei diritti coinvolti. All‘IGF del 29 settembre 2011, Neelie Kroes, la Commissaria europea per l‘Agenda digitale231, ha sostenuto232 che Internet è un enorme potenziale per la promozione della democrazia, della partecipazione sociale e per il rafforzamento dei diritti umani, è cioè ―una piattaforma stupefacente per l‟innovazione e un potente veicolo per le libertà fondamentali‖. Data questa premessa, sostiene la Kroes, un ―buon governo‖ dovrebbe promuovere l‘apertura della Rete come passo preliminare per il rispetto dei diritti, per il pluralismo e per la stessa sopravvivenza dello Stato di diritto. Da ciò deriva la necessità di una governance comune, perché inutili risultano gli sforzi fatti in modo isolato dai singoli Stati. Data la notoria sconfinatezza del cyberspazio, diventa necessaria la creazione di ―canali di fruttuosa cooperazione‖ tra tutti gli interlocutori statali e tutti i partner istituzionali, di per sé vitale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi comuni. La Kroes propone, dunque, un approccio necessariamente multiskeholder, all‘interno e all‘esterno dell‘Ue, in modo che si agisca ―nella medesima direzione per rispondere alle diverse sfide 231 Sul tema ci si soffermerà più specificamente quando si affronterà la questione dell‘accesso alla Rete, perché essa attiene al tasso di penetrazione della banda larga in Europa ed è legato alle politiche di diffusione di Internet, più che a quelle inerenti la governance. Si rimanda, pertanto, al Capitolo II. 232 L‘intero intervento della Commissaria Kroes è reperibile all‘indirizzo: http://www.intgovforum.org/cms/2011/transcripts/IGF_Nairobi_Opening_Session_27_Se p_2011.txt. 95 della Rete‖. Non solo, la Commissaria europea sostiene anche la necessità di coinvolgere tutte le parti interessate e incoraggiare un‘autoregolamentazione chiara e responsabile, che potrà portare beneficio per tutti233. Se, però, da un lato, l‘approccio europeo è nel senso di incoraggiare la formazione di codici di condotta e, quindi, di spingere verso una selfregulation che abbia come obiettivo politico quello di garantire una Rete libera e neutrale, dall‘altro, la Commissaria europea, nella stessa sede, ricorda che bisogna sempre evitare che interessi privati possano prevalere su quelli pubblici e che ―possano addirittura porsi al di sopra delle leggi‖234. Anche l‘Europa, dunque, vede la necessità di un intervento pubblico in prima battuta, coadiuvato, sorretto, aiutato dall‘autoregolazione privata. Le autorità pubbliche, si dice, devono avere un ruolo ―modesto‖ ma non ―passivo‖235. In quell‘occasione la Kroes si è mostrata scettica rispetto all‘adozione di norme internazionali vincolanti, ma, ha anche sostenuto che le leggi sono la conseguenza e la base della democrazia stessa, fatto, questo, che non può essere messo totalmente da parte quando si tratta della Rete. Medesimo approccio si registra dagli ultimi interventi del Consiglio d‘Europa. La Dichiarazione236 del Comitato dei Ministri sui principi La Commissaria Kroes si esprime in questi termini: ―Involving different stakeholders in policy making and encouraging transparent and accountable selfregulation is a benefit for everyone‖. 234 Infatti è stato sostenuto: ―the fact remains that public authorities have a particular role; indeed, a particular obligation to deal with public-policy matters off- and online, and this must be reflected in the decision-making process. Otherwise, the outcome of multistakeholderism is that lobbyists hijack decision-making that private-vested interest from the public interest and that some put themselves above the law. These are not things I will accept now or in the future‖. 235 Le parole della Commissaria Kroes sono molto chiare: ―We must be clear what multistakeholder means. Ultimately, different actors have different fields of expertise and of responsibility, and that must be respected and due weight must be given accordingly. And I can agree that sometimes the question of attribution of who is responsible for what might not always be perfectly clear. And the public authorities must cooperate to avoid legal uncertainty or outright conflict, especially in cross-border environment like the Internet‖. 236 Il testo della Dichiarazione è reperibile al sito https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=Decl(21.09.2011_2)&Language=lanEnglish&Ver= 233 96 dell‘Internet Governance, adottata il 21 settembre 2011, comprende 10 principi, tra i quali, per quel che qui ci interessa, il Multi-stakeholder governance, la responsabilità degli Stati e la gestione decentrata. Secondo il modello multi-stakeholderism, la realizzazione di accordi sulla governance della Rete dovrebbe assicurare, in modo aperto, trasparente e responsabile, la piena partecipazione dei governi, del settore privato, della società civile, della comunità tecnica e degli utenti, tenendo conto delle loro specifiche responsabilità. Lo sviluppo internazionale delle politiche pubbliche legate a Internet dovrebbe, cioè, consentire la piena partecipazione di tutti gli attori di tutti i Paesi. Per quanto attiene alla responsabilità statale, basti qui sottolineare che anche il Consiglio d‘Europa sostiene che i singoli Stati abbiano delle responsabilità nei confronti dei cittadini sulle questioni di politica pubblica legate alla Rete, ma che, comunque, la natura decentrata delle responsabilità debba essere preservata. I privati dovrebbero, cioè, mantenere il loro ruolo di primo piano nelle questioni tecniche e operative, garantendo al contempo la trasparenza e la responsabilità verso la comunità globale per le azioni che hanno un impatto sulla politica pubblica. Quest‘ultima dichiarazione di principio può, a parere di chi scrive, restare solo tale, perché fino a quando la comunità di tecnici che si occupa della Rete resterà totalmente privata, è ovvio che risponderà solo relativamente delle politiche adottate, non essendoci un‘effettiva corrispondenza tra legittimazione e responsabilità per organi di tale natura giuridica. original&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&Bac kColorLogged=FDC864. Si vedano, inoltre, le Raccomandazioni CM/Rec (2011)8-9, del Comitato dei Ministri agli Stati membri, sulla protezione e promozione della universalità, integrità e l'apertura di Internet, adottate dal Comitato dei Ministri il 21 settembre 2011, in occasione della riunione 1121 dei Delegati dei Ministri, reperibili al sito https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=DEL1121&Language=lanEnglish&Site=COE&Ba ckColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864. 97 Va, invece, detto che la politica del multi-stakeholderism ha, indubbiamente, degli aspetti di vantaggio, specie nell‘ottica, come la Kroes ha ben sottolineato, di un ordine nelle regole giuridiche, che non metta nelle mani dei privati la definizione di principi basilari per lo sviluppo della Rete e per il riconoscimento dei diritti. Anche perché, a onor del vero, che siano i privati a scrivere regole di principio (si pensi alle Dinamic Coalitions) o il Consiglio d‘Europa, fino a quando si tratterà solo di atti di soft-law, la differenza sarà di fatto minima, quanto meno in termini di effettività. 3. Proposta di un modello regolatorio: dall‟autosufficienza della selfregulation alla necessità di una regolazione sovranazionale Alla luce di quanto detto, sembra opportuno tirare le somme sul tema della governance di settore e riuscire a individuare quello che, a parere di chi scrive, sia il modello più verosimilmente congeniale alla regolazione della Rete. I modelli presentati in questo studio sono i più diversi: a partire dal primo, lo ―sponteneus ordering‖237, ideato sull‘autosufficienza della selfregulation, si è poi passati alla normazione della rete sulla base delle sole decisioni di carattere tecnico238, poi ancora al necessario intervento dei governi nazionali239 – Istituzioni legittimate ad adottare norme per gli utenti della Rete e per i traffici informatici – ancora, al modello della regolazione di mercato240, in cui lo Stato dovrebbe intervenire in minima parte a dettare Sul tema si vedano D.R. JOHNSON – D. POST, Law and borders. The rise of law in Cyberspace, cit.; A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit.; L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit. 238 L. LESSIG, Code and other law of Cyberspace, cit.; ma anche L. DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit.; posizione intermedia è quella di J. ZITTRAIN, The Generative Internet, in Harvard Law Review, 2006, p. 19752040. 239 Sul tema, J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit. 240 L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit. 237 98 le regole, e, infine, a quello più vicino all‘approccio europeo, del ―transnational institutions and international organization‖241, basato sulla convinzione che l‘internet governance trascenda i confini nazionali e, in ragione di ciò, solo da Istituzioni sovra-nazionali potrebbe essere disciplinata. Internet è, come visto, un fenomeno globale, pertanto, il controllo dei singoli governi nazionali non sarebbe sufficiente. La regolazione globale sembra essere, quindi, prima facie, la migliore soluzione al problema poiché essa risponderebbe ai bisogni collettivi che riguardano la comunità mondiale della rete. Ma, a ben vedere, il concetto di ―regolazione globale‖ è affascinante quanto fuorviante. Infatti, più si sale nella regolazione degli interessi e ci si allontana dalla regolazione legislativa degli Stati, più forte diventa il problema della rappresentanza e della legittimazione degli organismi che operano nel settore, senza contare il fatto che le regole dettate da organismi internazionali finiscono spesso per essere belle proclamazioni prive di effettività e valore giuridico e, quindi, poco inclini a prestare effettive garanzie in termini di diritti di libertà. Parte della dottrina242 ha guardato con sfavore alle nuove forme di normazione che ―supererebbero la logica politica degli Stati nazione, per imporre il dominio di regimi privati globali regolati da un ‗diritto sostantivo‘, prodotto dagli stessi portatori di interessi settoriali‖. Questa considerazione sembra da condividere, specie nella conclusione che immaginare – come pure si è fatto nella dottrina americana – una regolazione completamente autoctona per Internet sarebbe una regressione alla pre-modernità243 e una totale cessione di poteri e risorse nelle mani 241 Ivi. G. AZZARITI, Internet e Costituzione, in www.costituzionalismo.it, n. 2 del 2011. 243 Ivi. Sul tema si veda anche S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet, cit., sull‘incapacità di elaborare categorie adeguate alle nuove realtà. 242 99 delle corporations private che, evidentemente, adotterebbero politiche indirizzate alla realizzazione dei propri interessi economici. È stato sostenuto, infatti, che la risposta a una regolazione della Rete può essere solo un ―corpus complesso e articolato di regole di comportamento che operino sul piano planetario‖ e che esso non potrebbe essere oggetto né di un‘insufficiente regolazione nazionale, né, d‘altra parte, di una Costituzione globale, a oggi di dubbia realizzazione. Fin qui, il discorso è perfettamente condivisibile. Ci si allontana, però, da questo modo di vedere, quando si giunge a dire244 che la soluzione di diritto auspicabile sarebbe quella di una Carta dei diritti, che non assurga al rango costituzionale, ma che, comunque, rappresenti una risposta di carattere giuridico, ancorché non vincolante. Una Carta dei diritti siffatta, non recepita in un Trattato internazionale vincolante, o adottata da Istituzioni che non hanno alcun carattere di sovranità, come la comunità globale o la stessa ONU, opererebbe solo sul piano della persuasione. A questo punto, però, anche volendo aderire alla tesi per cui la giuridicità non sempre è sinonimo d‘imperatività, in concreto, come sarà possibile garantire l‘applicazione delle regole di soft-law? E, dunque, come assicurare al cittadino che i suoi diritti, che le Carte nazionali e internazionali gli riconoscono, non saranno violati on line? È stato sostenuto245 che, in un‘era in cui internet sta cambiando il ruolo del mercato e della conoscenza, parrebbe naturale che i cambiamenti si riflettessero anche sulle regole della politica e che l‘era dell‘informazione potrebbe sostituire vecchie idee come il voto, la legislazione e la rappresentanza territoriale con flessibili regole di consenso, create da comunità organizzate, non istituzionalizzate, attraverso l‘interesse e la competenza, piuttosto che la rappresentanza. 244 G. AZZARITI, Internet e Costituzione, cit. J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World, cit., p. 25. 245 100 Ciò comporterebbe, specie da parte dei costituzionalisti, uno sforzo nel definire i limiti della democrazia come organizzazione politico-giuridica della società246. In questo modo, infatti, la tecnologia, che potrebbe consentire la realizzazione di una ―iperdemocrazia‖247, ne mostrerebbe in concreto tutti i limiti e le insufficienze. Invero, anche questo ragionamento non sembra condivisibile. Ci sembra, infatti, di dover concordare con chi248 ritiene necessario conservare il tradizionale modello di democrazia rappresentativa, evitando la pericolosa immagine di una democrazia diretta planetaria, anzi, si ritiene che sia necessario ridarle forza e rilevanza anche a livello internazionale, in modo che un‘istituzione internazionale che decida della Rete abbia una qualche forma di responsabilità politica per la policy regolatoria intrapresa. Dunque, i punti fermi cui si è giunti sono essenzialmente i seguenti: la sola self-regulation è estremamente pericolosa per le ritorsioni egoistiche che essa può comportare; la sola regolazione nazionale è inefficace249, perché troppo stretta in confini che ormai perdono di consistenza; infine, una regolazione sovra-nazionale appare necessaria, quanto meno per dettare una normativa di principio, poi integrata dalle regole tecniche e tecnicogiuridiche dei privati che agiscono in Rete – grosso modo, il modello multistakeholder individuato dall‘Europa. Se, però, esso deve essere globale, la prospettiva cambia, e non può essere esclusivamente europea, ma deve essere internazionale. Il fatto che sia tale, però, non deve far illudere che la regolazione apprestata e tentata dalle istituzioni globali basti. Essa non è sufficiente e non lo è per una ragione semplice: fino a quando le istituzioni internazionali saranno espressione di logiche di potere di Paesi forti e non A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”. Storia di una metamorfosi: dalla sovranità dei popoli nazionali alla sovranità dell‟opinione pubblica (e della finanza) internazionali, in Pol. dir., XXIX, n. 3, 1998, p. 457. 247 Sul concetto di ―iper-democrazia‖ si veda A. DI GIOVINE, Democrazia elettronica: alcune riflessioni, in Dir. soc., n. 3, 1995, p. 399 ss. 248 A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”, cit., p. 458. 249 Il tema sarà approfondito nel prossimo paragrafo. 246 101 invece di effettive rappresentanze dei popoli, non si tradurranno mai in norme di hard law e, dunque, rimarranno dichiarazioni di principio, che nulla aggiungono ai diritti che nelle Costituzioni nazionali sono garantiti ai cittadini. Chiare le parole che la dottrina ha utilizzato per descrivere il fenomeno in atto: ―il diritto costituzionale fa ancora fatica a star dietro alla complessità, caoticità e ingovernabilità dei fenomeni sociali (…), forse perché ormai sono su scala planetaria‖250. Per ovviare a questo problema è stata proposta, ad esempio, una modifica dell‘ONU. La sua struttura di vertice, si è detto251, dovrebbe essere riformata in senso democratico, per esempio ripensando il diritto di veto dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza, o, si aggiunge, potenziando i poteri dell‘Assemblea Generale, di certo più rappresentativa a livello internazionale. Solo con questa primaria regola di base si potrà pensare a un‘effettiva Carta Costituzionale minima universale, che fissi, quanto meno in linea di principio, ―le principali regole del gioco fra gli Stati del mondo‖252. In questo modo, si avrebbe la possibilità di regolare la Rete con una governance globale, che però non annichilisca il principio della sovranità popolare e statale, che è di per sé il presupposto di una regolazione a livello costituzionale che sia di hard law. Diversamente, infatti, la regolazione della Rete continuerà a essere settoriale, diversificata e, in quanto tale, totalmente inefficace. Allora sì, si dovrà riconoscere ai giuristi americani che la loro intuizione originaria dello spazio senza regole, tanto avversata, corrisponde al vero, se le regole dettate, in via approssimativa e confusa, finiscono per lasciare spazio alle più ampie forme d‘inottemperanza. A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”, cit., p. 456. Ibidem, p. 458. 252 Ibidem, p. 459. 250 251 102 4. Il mito dell‟effettività regolatoria della Rete e il ruolo del soggetto pubblico Nell‘attesa di una regolazione armonica della Rete, almeno nella definizione delle linee di principio, i problemi nell‘immediato vanno risolti dalla giurisprudenza. Parte della dottrina americana253, di cui si condivide il pensiero, proprio a partire dalle problematiche attinenti all‘applicazione della giurisdizione nazionale alle attività on line, ribadisce con forza la superiorità e l‘indispensabilità di un generale principio di legalità (rule of law)254. In verità, la difficoltà dei giudici non è stata solo quella di interpretare vecchie norme e valutarne l‘applicazione alle nuove realtà, ma anche quella di capire i confini della propria competenza, e cioè, se si potesse definire competente il giudice del luogo in cui risiede l‘autore del fatto di reato commesso on line o se, invece, si dovesse ritenere competente il giudice del luogo in cui si sono verificati i deleteri effetti dell‘azione criminosa255. Da 253 J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, in University of Pennsylvania Law Review, Vol. 153, 2005, p. 1951 ss. 254 Nello stesso senso, J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004, p. 53, in questi termini: ―Technological designs and standards can let private parties become gatekeepers and bottlenecks controlling the flow of information and the scope of permissible innovation; or, conversely, they can promote widespread participation and innovation. Law has an important role to play here. Laws affect how technology is designed, the degree of legal protection that a certain technology will enjoy, and whether still other technologies that modify or route around existing technological forms of distribution and control will be limited or forbidden (…)The free speech values I have identified—participation, access, interactivity, democratic control, and the ability to route around and glom on—won‘t necessarily be protected and enforced through judicial creation of constitutional rights. Rather, they will be protected and enforced through the design of technological systems—code—and through legislative and administrative schemes of regulation, for example, through open access requirements or the development of compulsory license schemes in copyright law‖. 255 Sulla questione è intervenuta, di recente, la Corte di Giustizia, con sentenza del 2010-2011, reperibile al sito http://www.leggioggi.it/allegati/qual-giurisdizione-su-internetil-testo-della-sentenza-della-corte-di-giustizia-del-25-ottobre-2011/, cause riunite C509/09 e C-161/10. Nella prima causa, un cittadino tedesco, imputato in un procedimento 103 ultimo, poi, si è presentata la questione del riconoscimento delle sentenze straniere, che si è rilevata spesso problematica. Infatti, le norme di ordine pubblico del luogo in cui l‘attività è cominciata potrebbero confliggere con quelle del luogo in cui l‘attività ha sortito i suoi effetti. A tal proposito, le convenzioni internazionali sul riconoscimento delle sentenze straniere forniscono un‘eccezione all‘imposizione quando si manifesta un conflitto con l‘ordine pubblico dello Stato che deve far eseguire la sentenza256. Certo, il fatto che la tecnologia sfidi la giurisdizione è cosa nota 257, ma essa potrebbe anche consentire agli Stati sovrani di far rispettare le norme penale, si era rivolto a un giudice nazionale affinché intimasse a un sito di informazione di non riportare più notizie che riguardassero la sua vicenda giudiziaria. In quel caso, il sito era gestito da una società austriaca e, conseguentemente, questa contestò la competenza del giudice tedesco, sostenendo di poter essere giudicata solo da un tribunale austriaco. La seconda causa invece, riguardava un cittadino francese che, a tutela della sua privacy e del suo diritto all‘immagine, lamentava la pubblicazione su un sito web di un articolo di gossip che lo riguardava. Ancora una volta, veniva eccepita l‘incompetenza del giudice, in questo caso francese, perché il sito del giornale on line era gestito da una società britannica. La Corte di Giustizia riunisce le cause e stabilisce, in sentenza, che la pubblicazione di contenuti su internet sia una fattispecie del tutto diversa dalla stampa, in quanto quest‘ultima è, per definizione, circoscritta. In ragione di ciò, proprio perché l‘impatto di un‘informazione messa in rete sui diritti della personalità di un soggetto può essere valutata meglio dal giudice del luogo in cui la vittima risiede, la Corte designa tale giudice come quello competente per la totalità dei danni causati sul territorio dell‘Unione europea. Dunque, la vittima potrà sempre adire il giudice di ciascuno Stato membro sul cui territorio un‘informazione messa in Rete sia accessibile, al fine di promuovere un‘azione di risarcimento per la totalità del danno. Questa è la soluzione adottata dalla Corte di Giustizia con riguardo ai casi in cui sia difficile individuare il locus commissi delicti. 256 J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, cit., p. 1958. 257 Si pensi, ad esempio, al noto caso della vendita di oggetti nazisti sul sito americano Yahoo!, diffuso anche in pagine web francesi. Alla decisione del giudice francese di far eleminare quegli oggetti dal sito e di imporre un risarcimento, il giudice americano eccepì la mancanza di giurisdizione di un giudice straniero a sentenziare sull‘ampiezza della freedom of speech. La questione ha creato diversi problemi di interpretazione ed è simbolo di come, talvolta, le Corti siano scarsamente ―ill-equipped to evaluate the nuances of foreign public order decisions‖. La Corte distrettuale della California, infatti, aveva tradotto la sentenza francese in modo non corrispondente al testo. Questa fuorviante traduzione ha riguardato, peraltro, un passaggio chiave della sentenza, per il resto accuratamente tradotta. La Corte francese aveva ordinato a Yahoo! di prendere tutte le misure ―de nature‖ per rendere impossibile la consultazione del sito (nella parte in cui c‘era la vendita di ―objets‖ nazisti). La traduzione inglese della parte della sentenza è stata: ―to take all necessary measures to dissuade and render impossible any access via yahoo.com to nazi artifact auction service..‖. La traduzione della Corte americana ignora il termine ―de nature‖ e aggiunge ―necessary‖, non presente nella sentenza francese. L‘effetto di questa distorta traduzione è stato convertire l‘obbligazione di filtrare da uno 104 dettate su certe attività, anche se svolte on line258. In tal modo, l‘ottica sarebbe totalmente rovesciata. La tecnica sarebbe non più ostacolo, ma strumento259. D‘altra parte, come sopra chiarito, per le società democratiche, l‘aderenza al principio di legalità comporta che l‘uso di ogni strumento di enforcement, anche a carattere tecnologico, necessiti di autorizzazioni date sulla base di criteri attentamente e preventivamente descritti260. In altre parole, gli Stati hanno l‘obbligo di ―proteggere‖ i diritti dei propri cittadini, anche da attività esercitate on line. Essi dovrebbero, anzi, trovare il modo per prevenire e sanzionare le attività in internet che violano le norme di diritto. Come la dottrina americana ha sottolineato, infatti, gli Stati non possono permettere che l‘avvento della tecnologia digitale si traduca in una perdita di potere politico sui diritti dei singoli261. Come si vede, dunque, è inequivocabilmente necessario un intervento strettamente ―politico‖ da parte di un soggetto ―pubblico‖, che sia lo Stato o un organo sovranazionale, comunque rappresentativo della sovranità propria di ciascuno Stato. sforzo in buona fede ―from one of good faith efforts‖ a un‘obbligazione di risultato ―successful results‖. Non solo, ―nazi objects‖ è diventato ―nazi artifacts‖, la cui vendita non è vietata in Francia. Queste distorsioni hanno avuto l‘effetto di incrementare il senso di conflitto sui valori tra le diverse Nazioni. Dato che gli Stati sono comprensibilmente interessati a giocare un ruolo nella regolazione delle attività illecite on line, essi difficilmente possono restare passivi quando qualche attività o comportamento confligge con le regole di ordine pubblico dettate nel proprio territorio. La questione è affrontata in J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, cit., p. 1959-1960. 258 J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, cit., p. 1960, in questi termini: ―just as the internet attack uses technological infrastructure to challenge jurisdiction, technological innovation also empowers sovereign states to assert their rues on internet activity. In other words, the evolution of sophisticated information processing and information technologies provides states with greater contacts that justify personal jurisdiction and a stronger claim to prescriptive jurisdiction. At the same time, these technologies offer states important means to enforce their decisions‖. 259 Sul tema si veda N. IRTI – E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma, 2001. 260 Ibidem, p. 1964. L‘Autore sostiene che ―the adherence to the rule of law means that use of any technological enforcement instrument necessitates carefully prescribed authorization criteria‖. 261 Ibidem, p. 1969, ―this means that states cannot allow technologic attacks to defeat their citizens‘ politically chosen rights‖. 105 La prevalenza della legge è una forma di garanzia irrinunciabile. Il principio di legalità deve, infatti, precedere le scelte tecnologiche nello stabilire i confini che la società impone sui comportamenti illeciti on line. Anzi, la supremazia della legge deve fornire gli incentivi per l‘innovazione e lo sviluppo delle tecnologie, che possono sostenere e supportare le scelte di public policy fatte dagli Stati. È necessario, cioè, che essi, nella forma nazionale o sovranazionale, affermino la supremazia del diritto sul determinismo tecnologico262. Quest‘affermazione di principio, cui si è giunti, è la premessa per affrontare i temi del diritto di accesso e della libertà di manifestazione del pensiero on line. Posto, infatti, che il ruolo del soggetto pubblico non può essere completamente permutato con una regolazione privata o sovranazionale ma inefficace, perché solo un intervento pubblico di hard law può porsi a garanzia dei diritti dei singoli, saranno esaminati, nei prossimi capitoli, da un lato, la natura giuridica del diritto di accesso alla Rete e le politiche regolatorie intervenute sul tema, dall‘altro, la portata della libertà di manifestazione del pensiero on line e le sue implicazioni in tema di legalità e di uguaglianza. Ibidem, p. 1974, in questi termini: ―In summary, the assertion of sovereign jurisdiction to protect citizens is likely to advance the fundamental public policy that the rule of law should be supreme to technological determinism. At the same time, the multiplicity of states with jurisdiction over internet activities is likely to stimulate creativity and new internet services such as more accurate and selective filtering technologies, stronger security zones and more robust, customized compliance capabilities‖. Si veda anche R.W. RIJGERSBERG, The State of Interdependence. Globalization, Internet and Constitutional Governance, The Hague, T.M.C. Asser Press, 2010, p. 49-68 e 213-230. 262 106 CAPITOLO SECONDO IL DIRITTO DI ACCESSO A INTERNET SOMMARIO: 1. La libertà di ―manifestazione‖ e di ―diffusione‖ del pensiero nell‘era della convergenza tecnologica. – 1.1. Il percorso giurisprudenziale della Corte Costituzionale e le posizioni della dottrina sul mezzo di diffusione del pensiero. – 1.2. L‘Informazione come bene comune. – 2. Il diritto di accesso come ―nocciolo duro‖ dell‘articolo 21 Cost. – 2.1. L‘accesso a Internet alla prova del bilanciamento dei valori. Questioni rilevanti in tema di diritto d‘autore. – 2.2. Il diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata. – 3. L‘accesso a Internet come ―nuovo diritto sociale‖. – 3.1. L‘incidenza dell‘intervento del decisore politico sul diritto di accesso. Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale realtà? 1. La libertà di “manifestazione” e di “diffusione” del pensiero nell‟era della convergenza tecnologica L‘indissolubile legame che unisce la libertà di manifestare il proprio pensiero e quella di diffonderlo attraverso ogni mezzo è ormai fatto consolidato in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale263. Proprio quest‘interpretazione ha ―affrancato‖ l‘art. 21 Cost. ―dalle sue lacune formali e l‘ha agganciato alla trama costituzionale complessiva, nei suoi principi fondanti, e in quegli istituti o regole richiamati dalla forte connotazione economica degli strumenti di divulgazione del pensiero‖264. Così come ricostruito, in ragione della ratio della tutela apprestata alla libertà dal Costituente, l‘art. 21 Cost. è oggi idoneo ―a guidare i passaggi innovativi che hanno caratterizzato il sistema delle comunicazioni di massa, 263 Per una più ampia ricostruzione sul punto, si rimanda al paragrafo successivo. A. D‘ALOIA, Libertà di manifestazione del pensiero e mezzi di comunicazione, in A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G. SILVESTRI (a cura di), Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 2005, p. 67. 264 107 dall‘esplosione del mezzo radiotelevisivo ai nuovi modelli della convergenza multimediale‖265. L‘interattività del mezzo, infatti, permette la realizzabilità pratica della libertà266 da parte di ogni cittadino, comporta un‘espansione della possibilità di accedere alle fonti di informazione e la crescita esponenziale delle modalità attraverso le quali esprimere il proprio pensiero e informarsi su questioni di ogni genere. Ciò premesso, in questa parte del lavoro s‘intende indagare il tema del diritto di accesso al mezzo Internet, sotto due diversi ma collegati profili. I. Diritto di accesso al contenuto. Esso attiene al diritto di accesso al mezzo come strumento di realizzazione della libertà di cui al 21 Cost. L‘analisi di quest‘aspetto comporterà la rapida ricostruzione della giurisprudenza costituzionale sul tema e della dottrina, che si è spesa nel riconoscere dignità al diritto di accesso al mezzo di diffusione del pensiero come autonomo e preliminare rispetto alla libertà di manifestazione dello stesso. Alla luce di tale ricostruzione, infatti, si proporrà la necessità di leggere il diritto di accesso a Internet come strumentale e necessario all‘esercizio della libertà di pensiero. Verranno, dunque, affrontate tre questioni: l‘informazione come bene comune, il diritto di accesso come nocciolo duro dell‘art. 21 Cost. e, infine, il bilanciamento dello stesso con altri diritti, da inquadrarsi nei canoni della proporzionalità e della ragionevolezza. II. Diritto di accesso al mezzo. Questo secondo profilo giunge a qualificare il diritto di accesso alla Rete come autonomo diritto 265 Ivi. Sul tema della convergenza multimediale, si vedano, tra gli altri, F. BASSAN, Diritto delle comunicazioni elettroniche. Telecomunicazioni e televisione dopo la terza riforma comunitaria del 2009, Giuffrè, 2010; M. OROFINO, Profili costituzionali delle comunicazioni elettroniche nell‟ordinamento multilivello, Giuffrè, 2008; G. MORBIDELLI – F. DONATI, La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche. Atti del Convegno (Firenze, 13 giugno 2008), 2008. 266 In questo senso V. FROSINI, Telematica (e informatica) giuridica (voce), in Enc. dir., XLIV, 1992, p. 81. 108 sociale, perché strumentale alla completa realizzazione dei diversi diritti garantiti in Costituzione. Da qui andranno indagate le peculiarità dei diritti sociali, confrontando la dottrina che li ritiene pretese effettive nei confronti del soggetto pubblico e quella che, accompagnata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, li subordina alla ragione primaria della spesa pubblica. Solo dopo aver indagato entrambi gli aspetti, il diritto di accesso sarà trattato in entrambe le sue sfaccettature e ci si potrà soffermare, nel successivo capitolo, sulla una delle libertà esercitate sulla Rete, la manifestazione del proprio pensiero. 1.1. Il percorso giurisprudenziale della Corte Costituzionale e le posizioni della dottrina sul mezzo di diffusione del pensiero Come anticipato, quest‘analisi verterà sull‘endiadi ―manifestazionediffusione‖ e sul significato che la giurisprudenza costituzionale e la dottrina già risalente le hanno riconosciuto. Essa, come sarà dimostrato, è la necessaria premessa all‘individuazione del diritto di accesso alla Rete Internet. L‘art. 21 Cost. recita, al primo comma, ―Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione‖. La questione da affrontare è se il testo costituzionale garantisca il diritto di manifestare la parola, tanto quanto il diritto di diffonderla al maggior numero di persone, e, dunque, il diritto di accedere al mezzo di diffusione del pensiero che permetta la più ampia divulgazione. L‘annosa querelle sull‘esistenza di un diritto di accesso al mezzo è di fondamentale importanza per la questione Internet, perché il riconoscimento in Costituzione di un diritto autonomo, distinto, ma inscindibilmente legato 109 alla libertà di cui al 21 Cost., è premessa logica e indispensabile per la valutazione della normativa sull‘accesso e, conseguentemente, per la valutazione della proporzionalità267 della sanzione della disconnessione dalla Rete, in ragione della violazione di altri diritti. La Corte Costituzionale non si è mai espressa riguardo alla Rete, se non una sentenza che ha a oggetto l‘alfabetizzazione informatica268, ma, rispetto ad altri mezzi di diffusione, nello specifico la radiotelevisione – complice una legislazione sorda ai diversi richiami della stessa Corte – ha dettato principi di diritto valevoli, a parere di scrive, per qualsiasi mezzo di diffusione del pensiero. Già nella prima sentenza sul tema, la n. 59 del 1960, il Giudice delle leggi statuisce che i soli due limiti apponibili al diritto di accesso al mezzo radiotelevisivo sono rappresentati da: I. gli altri valori costituzionali, eventualmente confliggenti; II. gli eventuali limiti tecnici, che, nella specie, consistevano nella limitatezza delle frequenze. La Corte, infatti, così si esprime: ―Per le ragioni inerenti alla limitatezza di questo particolare mezzo, è escluso che chi lo desideri, e ne abbia la capacità finanziaria, sia senz‘altro in grado di esercitare servizi di radiotelevisione: in regime di libertà di iniziativa, questi non potrebbero essere che privilegio di pochi‖269 e, ancora, ―Allo Stato…incombe l‘obbligo di assicurare, in condizioni di imparzialità e obiettività, la possibilità Va indubbiamente segnalata una rilevante sentenza inglese, High Court of Justice – Court of Appeal, The Queen v. Smith and Others, consultabile in www.bailii.org. La Corte si esprime in questi termini, concludendo per la sproporzione della scelta di privare della connessione Internet un soggetto con tendenze criminose: ―A blanket prohibition on computer use or internet access is impermissible. It is disproportionate because it restricts the defendant in the use of what is nowadays an essential part of everyday living for a large proportion of the public, as well as a requirement of much employment‖. 268 Corte Costituzionale, sentenza n. 397 del 2004, reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0307s-04.html. 269 Corte Costituzionale, sentenza n. 59 del 1960, considerato in diritto, punto 7. Il testo della sentenza è consultabile in http://www.giurcost.org/decisioni/1960/0059s60.html. 267 110 potenziale di goderne – naturalmente nei limiti che si impongono per questa come per ogni altra libertà, e nei modi richiesti dalle esigenze tecniche e di funzionalità – a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero nei vari modi del suo manifestarsi‖270. Da ciò si evince con chiarezza che, se non sussistono le limitazioni di carattere tecnico – in termini di disponibilità del mezzo –, come accade nel caso di Internet, il diritto di accesso al mezzo non solo appare come strumentale all‘esercizio del diritto ma diventa il diritto stesso, perché in assenza di esso il ―diritto alla manifestazione del pensiero attraverso ogni mezzo di diffusione‖ non può essere compiutamente esercitato. Se ciò è vero, dunque, come la Corte sottolinea, lo Stato avrà il dovere, l‘obbligo di garantire a tutti la possibilità di accedere al mezzo per la diffusione del pensiero. Ripercorriamo ancora il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte, al fine di valutarne la ragionevolezza nell‘applicazione anche a un diverso strumento di divulgazione del contenuto, Internet. Nella sentenza nel 1972 n. 105271, la Corte Costituzionale ha sostenuto che il significato del primo comma dell‘art. 21 Cost. sta nel riconoscere che ―la legge deve garantire a tutti la giuridica possibilità di accedere ai diversi strumenti, con i limiti resi necessari dalle peculiarità tecniche dei mezzi‖. Appare chiaro innanzitutto che, menomando il diritto di accesso al mezzo, si comprime un 21 attivo, la possibilità stessa di esercitare la libertà. Tale compressione non resta, peraltro, priva di risultato sul piano passivo del diritto all‘informazione. La più logica conseguenza diventa, infatti, la mancata possibilità di accedere all‘informazione, di ottenere un‘informazione effettivamente plurale, nonché l‘apposizione di un ostacolo forte alla libera circolazione delle idee. 270 271 Ivi. La sentenza è consultabile http://www.giurcost.org/decisioni/1972/0105s-72.html. alla pagina 111 Non a caso, sulla questione del monopolio radiotelevisivo, la Corte così si esprimeva: ―non è violato l'art. 21 della Costituzione, perché data la limitatezza di fatto della possibilità di utilizzazione del mezzo televisivo, lo Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obbiettività e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto costituzionale volto ad assicurare a tutti la possibilità di diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo. Il monopolio è la scelta più appropriata per garantire il massimo di esercizio della libertà perché attraverso di esso si tenta di superare la scarsa disponibilità del mezzo…La verità è che proprio il pubblico monopolio – e non già la gestione privata di pochi privilegiati – può e deve assicurare, sia pure nei limiti imposti dai particolari mezzi tecnici, che questi siano utilizzati in modo da consentire il massimo di accesso, se non ai singoli cittadini, almeno a tutte quelle più rilevanti formazioni nelle quali il pluralismo sociale si esprime e si manifesta‖272. Certo, la situazione allora esistente – la garanzia di una televisione pubblica e sottoposta a regime di monopolio – è oggi preistoria, ma il ragionamento della Corte in punto di diritto è ancora decisamente attuale e utile per la valutazione di un diritto di accesso al mezzo Internet, come diritto irrinunciabile, caratterizzato da un contenuto minimo insopprimibile. Ragionando a partire dalle statuizioni della Corte, si può infatti trarre una considerazione. Se è vero che esiste un generale diritto di accesso al massimo delle risorse disponibili e, se la scelta di non garantire un autonomo diritto di accesso al mezzo – la possibilità concreta, cioè, di utilizzare la rete Internet per l‘esercizio delle libertà on line – è solo figlia della limitatezza tecnica, che di per sé impedisce di assicurare un diritto di accesso pieno ed indiscusso a tutti, va da sé che, in assenza di questo ostacolo, la conseguenza giuridica muta. 272 Corte Costituzionale, sentenza n. 225 del 1974, Considerato in diritto, punto 2, lettera d, reperibile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0225s-74.html. 112 Nell‘equazione vanno, cioè, modificate le grandezze. In altre parole, se il diritto di accesso è indispensabile per la realizzazione della libertà di pensiero, in mancanza di limiti tecnici insuperabili, diventa di per sé il diritto da garantire, nel nostro caso, l‘accesso alla Rete. D‘altra parte, così la stessa Corte: ―alla conclamata libertà di diffusione del pensiero dovrebbe accompagnarsi la libertà di fare uso dei mezzi indispensabili ad essa‖273. Dunque, se non sussistono invalicabili ostacoli, gli unici limiti apponibili al diritto di accesso al mezzo di trasmissione sono gli eventuali altri diritti in conflitto con lo stesso. Da qui, ci si chiede: quando si può limitare l‘accesso alla Rete? Di fronte a quale violazione di diritto risulta proporzionata questa scelta? Il diritto di accesso non rappresenta forse già il contenuto minimo del diritto alla libera manifestazione del pensiero? E, se così fosse, come potrebbe ritenersi giustificata una sua forte compressione? Per rispondere a queste domande, risulta preliminare qualche altra e più articolata considerazione sul nesso tra manifestazione del pensiero e diffusione dello stesso. Già la dottrina più risalente274 riteneva che manifestazione-diffusione rappresentasse un‘endiadi inscindibile e sottolineava il carattere strumentale e necessario del mezzo di diffusione rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, conseguentemente qualificando entrambe come oggetto della copertura costituzionale di cui all‘art. 21 Cost. Del resto, la dottrina275 ha fatto delle parole della Corte un simulacro incontestabile, negando ogni distinzione tra manifestazione e divulgazione 273 274 Ivi. P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., XXIV, 1974, p. 424 ss. 275 Ibidem. 113 del pensiero e ribadendo ciò che più di tutto connota il loro legame reciproco: il ―nesso di indispensabile strumentalità‖276. Non solo, la dottrina si spinge anche oltre, riconoscendo al corretto esercizio del diritto di cui al 21 Cost. un imprescindibile precedente logicogiuridico, che trova nell‘art. 3 Cost. il suo referente costituzionale: ―L‘effettività dell‘utilizzazione dei diversi mezzi di diffusione del pensiero rappresenta un‘esigenza espressamente sottolineata dall‘art. 3 comma secondo della Costituzione, per questa come per altre libertà, che pone a compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l‘uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione all‘organizzazione politica, sociale del paese…Tale effettività, nel caso della libertà di manifestazione del pensiero, non può prodursi altro che mediante la garanzia del libero accesso, da parte di tutti, ai mezzi di diffusione del pensiero, libero accesso che in taluni casi avrà luogo mediante l‘approvazione privatistica del singolo mezzo e nella maggioranza di essi viene (o dovrebbe essere) assicurato mediante la predisposizione di un <diritto all‘accesso>‖277. Del resto, in questo senso si espresse già Crisafulli, sostenendo che ―anche nel silenzio costituzionale, la garanzia della libertà di espressione deve comprendere anche quella del libero uso dei mezzi, nel senso che deve esserne assicurata la libera utilizzazione in condizioni di uguaglianza‖278. Pertanto, è chiaro che il diritto di accesso, inteso in senso di strumento per l‘esercizio del diritto fine279, non è un diverso diritto a sé stante, ma il 276 Corte Costituzionale, sentenza n. 48 del 1964. Il testo è consultabile in http://www.giurcost.org/decisioni/1964/0048s-64.html. 277 P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 426. 278 V. CRISAFULLI, Problematica della “libertà dell‟informazione”, in Il Politico, 1964, p. 297. Nello stesso senso, anche C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, Giuffrè, Milano, 1958, p. 26. 279 Diversa è la questione relativa alla banda larga come prestazione oggetto di un nuovo diritto sociale. Quest‘aspetto verrà trattato più approfonditamente nei prossimi paragrafi. 114 diritto stesso. Non è, cioè, un diritto nuovo e diverso, dunque, per esso non si pongono i problemi di discrezionalità del legislatore nel renderlo effettivo e azionabile280. Lo stesso Mortati281 già sosteneva che i limiti posti all‘accesso al mezzo di diffusione sono i medesimi che si riscontrano in tema di libertà di 280 Diversamente S. FOIS, La libertà di informazione, Maggioli, 1991, p. 440-450. L‘Autore, infatti, annovera tra i nuovi diritti quello di accedere all‘uso dei mezzi di informazione da parte dei soggetti privati. Da questo punto di partenza, il primo problema che si annovera è quello dell‘effettività di tali diritti. Con riferimento al mezzo televisivo, ad esempio, l‘Autore ritiene che il diritto di accesso al mezzo radiotelevisivo abbia per oggetto un‘esigenza che può essere soddisfatta, esclusivamente o almeno prevalentemente, mediante prestazioni effettuate dai pubblici poteri o imposte a concessionari di pubblici servizi o, ancora, stabilite a carico dei privati: prestazioni che implicano molto spesso che venga stabilita una data organizzazione della funzione, del servizio, dell‘attività, e comunque che venga stabilita una disciplina per così dire ―in positivo‖ della funzione, del servizio, dell‘attività. Fois mette in dubbio la stessa possibilità di qualificare tale diritto come un diritto di libertà e sostiene che, laddove si volesse agire in tal senso, si dovrebbe comunque parlare di diritti di libertà in un senso completamente diverso da quello che riguarda i tradizionali diritti. ―Per questi ultimi la libertà, cioè la garanzia di una sfera intangibile di attività o situazione libera, rappresenta il loro oggetto specifico, il loro contenuto diretto e immediato. Per i nuovi diritti invece la libertà sembra essere solo un effetto indiretto, una conseguenza più o meno mediata della loro garanzia e del loro godimento. In altri termini, i nuovi diritti non hanno specificatamente per oggetto singoli aspetti di libertà: possono solo rappresentare condizioni per ampliare e migliorare il complessivo ambito di libertà che in definitiva risulta assicurato alla situazione dei singoli e dei gruppi…Si può dire che tali diritti possono essere riconosciuti e garantiti in modo identico a quello valido per i diritti di libertà? Nel caso di questi ultimi, essi, in quanto costituzionalmente riconosciuti, esistono già immediatamente e sono esercitabili prima e indipendentemente dall‘intervento legislativo volto a disciplinarli, limitarli e a disciplinarne il contenuto. La situazione è rovesciata per i nuovi diritti: per essi il riconoscimento costituzionale risulterebbe insufficiente: il loro riconoscimento effettivo e la garanzia giuridica del loro godimento in realtà dipenderebbero dal se, dal quando e dal come di un intervento dei pubblici poteri, e primo fra tutti il legislatore. Se e fino a quando il legislatore non stabilisca limiti e confini ad altri diritti od attività, non preveda prestazioni a carico di soggetti pubblici o addirittura di soggetti privati, non imponga obblighi nei confronti di altri soggetti, i nuovi diritti non risulterebbero effettivamente riconosciuti, la loro garanzia non sarebbe esercitabile, la loro eventuale lesione non azionabile. Nel caso dei nuovi diritti l‘esercizio della discrezionalità del legislatore non funge da limite al diritto ma da condizione essenziale per la loro garanzia e godimento. Dunque, mentre i vecchi diritti possono al più ammettere l‘esercizio della discrezionalità legislativa, i nuovi diritti all‘opposto sembrano esigere tale esercizio quale momento determinante per l‘individuazione del contenuto del diritto, e comunque per la possibilità di un suo giuridico godimento‖. Si è voluto, in questa sede, riportare il pensiero di un Autore che legge già nell‘accesso un diritto nuovo e nel diritto nuovo una situazione di pretesa nei confronti del soggetto pubblico. Il tema, però, sarà meglio trattato appresso, perché attiene più nello specifico al diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale. 281 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, p. 1070-1071. 115 manifestazione del pensiero: ―I limiti all‘uso dei mezzi attraverso i quali la libertà si estrinseca, in quanto siano ritenuti necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti, non devono essere tali da annullare la libertà stessa, o comprimerla al punto da snaturarla. Sicché dovrebbe ritenersi che limite assoluto alla disciplina dei mezzi non è solo quello di riservare un dato mezzo, in via esclusiva ed in generale, solo a manifestazioni di un particolare contenuto, ma anche di precludere l‘uso di un mezzo che si presenta come l‘unico utilizzabile in pratica per le manifestazioni di un certo tipo‖. Dunque, spostando il discorso sulla Rete, essendo Internet l‘unico mezzo che garantisce l‘accesso a un ―certo tipo di informazione‖, la possibilità effettiva di manifestare liberamente il proprio pensiero senza dover attendere concessioni e autorizzazioni, ma semplicemente lasciando un post in un blog aperto o creando una propria pagina web, costruendo così uno spazio di discussione e informazione libero da preventivi controlli, non può non ritenersi ricoperto dalla medesima garanzia. Ciò detto, appurata la stretta e connaturata endiadi costituzionale, può farsi spazio ai temi che ne conseguono: riconoscimento del diritto di accesso come ―nocciolo duro‖ dell‘art. 21 Cost. e bilanciamento degli altri diritti con quello all‘accesso alla rete Internet. Prima, però, di addentrarsi nelle questioni appena esposte, appare preliminare un focus sul rapporto tra l‘accesso alla Rete e la visione dell‘informazione come bene comune. Anch‘esso, infatti, rappresenta un tassello indispensabile per completare il quadro delle motivazioni poste alla base della scelta di leggere nella Carta fondamentale quello che già c‘è e, d‘altra parte, scongiurare l‘ipotesi di una modifica che, se da un lato potrebbe assumere carattere chiarificatore, dall‘altro sconterebbe i limiti dell‘interpretazione che ciascuna norma inevitabilmente presenta. 116 1.2. L‟informazione come bene comune Come la dottrina ha evidenziato282, oggi l‘insieme delle tecnologie estende la platea dei comunicatori fino a comprendere ogni persona, rendendo sempre più difficile – talvolta impossibile – la distinzione tra produttori e consumatori, e l‘informazione, che sfida le frontiere senza freni, rappresenta la risorsa ―più globale che esiste‖. Queste innovazioni hanno comportato un forte mutamento qualitativo del contenuto e delle forme della comunicazione. Non solo. Una delle serie novità dell‘intensa commistione tra tecnologie e informazione è rappresentata proprio dalla potenziale capacità di accedere a quest‘ultima. Prima della rivoluzione tecnologica, infatti, per accedervi era inevitabile imbattersi nelle logiche proprietarie che gestiscono i canali d‘informazione. Oggi, invece, ―l‘accesso diretto, generalizzato e senza confini a questo sconfinato patrimonio informativo‖ comporta la possibilità di configurare la ―conoscenza come bene comune‖283. In altre parole, l‘accesso alla Rete pretende che il bene comune dell‘informazione sia disponibile a tutti, sia fruibile da tutti e sia suscettibile di uso rivale284, alla luce del fatto che attraverso di esso più persone riescono a raggiungere la stessa informazione nel medesimo istante. 282 S. RODOTÀ, Informazione e nuove tecnologie, in S. MERLINI (a cura di), L‟informazione: il percorso di una libertà, Passigli, 2012, p. 91. 283 S. RODOTÀ, Informazione e nuove tecnologie, cit., p. 94-95. 284 Ibidem, p. 95. Sul punto si veda anche C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEORNARDI, Codifying Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet convergence, cit., p. 9 ss. Gli Autori sostengono che il bene pubblico è ―not-rival‖, il che significa che dalla messa a disposizione di esso beneficia più di una persona. Esso non sarebbe esclusivo, dunque, una volta prodotto, risulterebbe quasi impossibile impedire che gli altri accedano simultaneamente ai benefici della sua produzione. Pertanto, il design end-to-end già di per sé comporta che il contenuto della rete sia un ―public good‖, suscettibile di controllo esercitato solo da parte dell‘utente finale. A p. 11, gli Autori intervengono sul tema della governance di un bene pubblico, optando per la necessità di una regolazione eteronoma, in questi termini: ―the excludability of information from users by strong filtering and cryptography, secure payment system and like may be essential in order to advance a safer, more trusted Internet, but changes the nature of the medium from a public to an 117 A ciò consegue che le logiche del web andrebbero pensate in ragione della considerazione che l‘informazione è e deve restare bene comune285. Più chiaramente, vanno ripensati le regole del copyright, il ruolo delle pubbliche amministrazioni, le forme di insegnamento. Tutto va letto e rivisto alla luce dell‘informazione globalizzata, che non può che essere foriera di rilevanti novità e condurre al mutamento di tempi e modi di realizzazione della società democratica, pur non rappresentando, ad avviso di chi scrive, unica e sola risorsa della democrazia, quanto piuttosto uno strumento, un‘opportunità per la realizzazione di obiettivi univoci, volti alla realizzazione del common good. D‘altra parte, com‘è stato notato, ―il processo di creazione della conoscenza pubblica che si determina attraverso la produzione e la circolazione delle informazioni, anche e soprattutto di quelle in mano pubblica, ha un‘innegabile valenza di potenziamento dei presupposti fattuali individuali e collettivi ad essa connessi‖286. Ed è proprio la visione dell‘informazione in questa prospettiva che ne fa derivare la qualificazione di bene comune, per ciò che essa può rappresentare per la società globale, per il singolo cittadino e, non ultimo, per le peculiari e potenzialmente illimitate modalità d‘accesso. increasingly private sphere. The regulation of this new global space is essential to address this contradiction to maintain global goods of free information, privacy, interconnectedness and development‖. 285 Su questa questione, ampiamente, C. HESSE – E. OSTROM, Understanding Knowledge As a Commons, The Mit Press, Massachusetts Institute of Technology, 2007. Gli Autori sostengono con forza che il sapere sia risorsa condivisa e ritengono che Open content, creative commons e open source rappresentino il modo migliore per garantire l‘accesso alla conoscenza e la sua più ampia diffusione globale. Sul punto, anche G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, Jovene, 2012, p. 181183, in questi termini: ―Con la rete, la conoscenza, bene comune per eccellenza, non è più contenibile nelle anguste categorie del bene privato o pubblico, che entrambe riservano l‘oggetto a un titolare solitario. La conoscenza, invece, è completata da un dovere di destinazione: giovare a un‘intera comunità che ne possa disporre liberamente per trarvi un‘utilità indistintamente distribuita‖. 286 P. MARSOCCI, Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in www.costituzionalismo.it, 13-12-2011 e, più ampiamente, ID., Poteri e pubblicità. Per una teoria della comunicazione istituzionale, Cedam, Padova, 2002. 118 Quanto detto fino a ora, però, ha il solo pregio di sottolineare il rilievo delle conseguenze della rivoluzione tecnologica e mettere in luce la possibilità dell‘inquadramento del bene ―informazione‖ al servizio della società tutta, ma manca ancora un passaggio che giustifichi la scelta di affrontare tale questione a questo punto della trattazione. In altre parole, le ragioni per le quali l‘informazione debba essere considerata un bene comune sono di facile intuizione, ma dove ci conduce quest‘osservazione? Esiste un‘immediata conseguenza di un tale assunto? In verità, a parere di chi scrive, la risposta alla domanda sta in ciò: se l‘informazione è bene a disposizione di tutti, e se per giungere all‘informazione è indispensabile garantire una generale libertà di accedervi, sembra potersi dire che la qualità di bene comune non debba essere accreditata solo al ―bene fine‖, quanto piuttosto direttamente al ―bene mezzo‖. Diversamente, l‘accessibilità all‘utilità finale risulterà meramente fittizia. In sostanza, sarebbe come sostenere che l‘ambiente è bene comune, e poi decidere di privatizzare la gestione di ogni luogo che in astratto andrebbe ritenuto ad accesso libero e indiscriminato. Infatti, così come la Corte Costituzionale ha sempre sostenuto che l‘etere fosse un bene pubblico e, in quanto tale, la sua disciplina dovesse garantire il massimo di accesso a chi intendesse esercitare la libertà di manifestazione del pensiero per il tramite del mezzo radiotelevisivo, qualche mese fa la Commissione Europea si è espressa nello stesso senso con riguardo allo spettro radio, utilizzabile come strumento di riduzione del c.d. digital divide. La Commissione, già a partire dal 2007287, aveva sostenuto una politica regolatoria volta all‘uso comune dello spettro radio liberato dal 287 Si veda a riguardo la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, dall‘intestazione ―Trarre il massimo beneficio dal dividendo digitale in Europa: un approccio comune all‟uso dello spettro liberato dal passaggio al digitale‖, Bruxelles, 119 passaggio dall‘analogico al digitale (dividendo digitale). Infatti, così si è espressa nel suggerire un intervento in tal senso: ―Il dividendo digitale offre un‘occasione unica di soddisfare la domanda in rapida crescita di servizi di comunicazione senza filo. Esso libera una porzione di spettro sufficiente per consentire allo stesso tempo lo sviluppo e l‘espansione significativi dei servizi offerti dalle emittenti e l‘utilizzo di questa preziosa risorsa per altri usi economici e sociali importanti, ad esempio le applicazioni in banda larga miranti a ridurre la ‗frattura digitale‘. Il dividendo digitale crea, pertanto, potenzialmente, una situazione vincente per tutti‖288. La Commissione ricorda, inoltre, che lo spettro radio è risorsa pubblica, per sua natura scarsa, e che, proprio alla luce di tali caratteristiche, deve essere volta alla realizzazione dell‘interesse pubblico, attraverso una gestione efficace ed efficiente, che riesca a implementare i servizi di diffusione a banda larga senza fili. In tal modo, una stessa risorsa pubblica, grazie ai sistemi tecnici di condivisione dello spettro, potrebbe portare vantaggi sia al settore dei broadcaster, sia a quello degli operatori di rete mobile, con un unico grande obiettivo: sfruttamento intelligente e innovativo della risorsa pubblica e, dunque, migliori servizi per gli utenti. Pertanto, già dalla Comunicazione del 2007, risulta chiaro l‘obiettivo della Commissione: spendere una risorsa pubblica per un fine pubblico, il quale non si traduce solo ed esclusivamente nella configurazione di un miglior assetto del mercato comune, affinché sia effettivamente uno spazio competitivo per gli operatori, ma nel riconoscere valore politico e sociale a tale esigenza, direzionandola nel senso della implementazione dei servizi e dei vantaggi per i singoli utenti della Società dell‘Informazione. L‘intuizione della Commissione è poi sfociata nel Vertice Europeo sul tema dello spettro radio, tenutosi nei giorni 22-23 marzo 2010. In quell‘occasione, la commissaria per l‘Agenda Digitale, Neelie Kroes si è 13.11.2007, COM(2007) 700. Il testo è reperibile alla pagina http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2007:0700:FIN:it:PDF. 288 Ibidem, p. 3. 120 così espressa: ―we all agree, firstly, that efficient spectrum management is a key element in tackling key social and economic challenges and, furthermore, that Europe has an important role to play in achieving that. The challenges we face are huge and we cannot shy away from them – we have to adopt a clear and strong policy line to take full advantage of current and future technological developments, in order to make the best use of spectrum for the benefit of European citizens and business‖289. La posizione della Commissaria è piuttosto chiara: l‘azione europea non può e non deve sostituire l‘intervento dei singoli Stati290, ma non può, d‘altra parte, restare inerte di fronte a politiche omissive dei legislatori nazionali. Un intervento, cioè, appare indispensabile, perché strumentale all‘esercizio dei diritti dei cittadini, e l‘Unione Europea si dice pronta a dare il supporto che serve alle politiche pubbliche nazionali, se necessario con l‘elaborazione di norme di armonizzazione, o, meno incisivamente, contribuendo con apporti tecnici e strumenti di coordinazione. Questa la posizione ufficiale dell‘Europa: ―We should assume nothing beyond the need to maximise the social, economic and environmental value that spectrum can be used to generate. My first principle is that spectrum is a public good, not an entitlement or private play-thing. My second principle is that flexibility aids efficiency‖291. La Commissione europea è tuttora impegnata nella questione. Infatti, nel settembre 2012, è intervenuta una nuova Comunicazione292 sul tema, Il testo dell‘intervento è reperibile all‘indirizzo http://europa.eu/rapid/pressrelease_SPEECH-10-115_en.htm. 290 Sulla posizione assunta dal legislatore italiano, si vedano le delibere 181/09/CONS e 300/10/CONS (28 giugno 2010), Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva terrestre in tecnica digitale: criteri generali, reperibili in www.agcom.it. Per una critica alla scelta italiana, a fronte, invece, della più lungimirante posizione europea, si veda, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, Jovene, 2012, p. 167-169. 291 Ivi. 292 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, ―Promuovere l‟uso 289 121 dall‘intestazione: ―Promuovere l‘uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno‖. Il punto di partenza dell‘UE è la constatazione che la banda larga senza fili è per i cittadini uno strumento di accesso a Internet disponibile in qualsiasi luogo, data la profonda innovazione che ha interessato il mercato degli smartphone, dei tablet e di tutti i dispositivi mobili capaci di collegarsi alla Rete. Da qui, proprio in ragione dell‘esigenza di soddisfare le necessità di spettro per la connettività senza fili, limitata de facto dalla scarsità della risorsa e dai costi inevitabilmente elevati per una riassegnazione dello spettro per usi nuovi e diversi, si cerca una strada alternativa e più efficace: la condivisione delle medesime bande di frequenza da parte di diversi utilizzatori, dunque, un diritto di accesso alla medesima risorsa. È chiaro, però, che per conseguire un tale ambizioso obiettivo, si necessita di un quadro normativo che lo consenta. Ma, ―per cogliere pienamente i benefici di una condivisione dello spettro non è sufficiente rimuovere gli ostacoli normativi che frenano la diffusione di tecnologie innovative di accesso alle frequenze radio ma anche intervenire attivamente per agevolare tale la condivisione. In linea con il programma strategico in materia di spettro radio (RSPP), la Commissione mira a ottenere il più ampio consenso politico possibile per gli interventi proposti al fine di sostenere le innovazioni senza fili nell‘UE e di garantire che lo spettro attualmente assegnato sia pienamente valorizzato‖293. La Commissione, dunque, come risulta da tutti gli atti intervenuti dal 2007 a oggi, parte da un presupposto basilare: il legislatore nazionale, come quello europeo, ha il dovere di intervenire per sfruttare al massimo una risorsa di natura pubblica. condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno‖, Bruxelles, 3.9.2012 COM(2012) 478, reperibile in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0478:FIN:IT:PDF. 293 Ibidem, p. 3. 122 In altre parole, un bene comune pretende di per sé, laddove la tecnica lo consenta, l‘accessibilità diretta e condivisa nel massimo delle sue potenzialità. Pertanto, il filo rosso che lega la politica regolatoria dell‘Unione e la lunga e corposa giurisprudenza costituzionale in materia di radiotelevisione sta nella garanzia dell‘accesso allo strumento attraverso il quale si esercitano diritti e facoltà dei singoli. Non a caso, del resto, è la stessa categoria dei beni pubblici, specie in conseguenza degli acuti interventi della dottrina e della giurisprudenza italiana, a scontrarsi con l‘esigenza di superare la classificazione stantia che il codice civile riserva loro. Difatti, non risulta peregrina l‘affermazione della Commissione sulla natura di bene comune dello spettro, ipotizzata da una piuttosto recente proposta di legge, di modifica degli art. 822 c.c. ss. La qualità del bene comune, riconosciuta in principio all‘informazione, deve, secondo il nostro ragionamento, scivolare anche sullo strumento che veicola la stessa. Del resto, il diritto di accesso allo spettro non può che garantire un accesso allargato alle reti wireless e, conseguentemente, all‘informazione on line. Ma, cos‘è il bene comune? È un termine alternativo a quello di bene pubblico294? Sono beni comuni sono quelli definiti pubblici dal codice civile? Sul tema è intervenuta di recente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 3665, del 14 febbraio 2011295. La decisione in oggetto si rivela un passo decisamente considerevole in tema di beni comuni, perché la Cassazione prescinde totalmente dal 294 Per una visione completa della questione dei beni pubblici, si veda il lavoro di S. RODOTÀ – U. MATTEI – E. REVIGLIO (a cura di), I beni pubblici. Dal governo democratico dell‟economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010. 295 Per un commento alla sentenza si veda L. CIAFARDINI, in Giust. civ., 2011, 12, p. 2844. 123 concetto di proprietà296, individuando come beni comuni quelli in cui si evidenzia una funzionalità rispetto agli interessi, non del singolo, ma dell‘intera collettività. Un criterio funzionale, dunque, che sostituisce la statica ripartizione tra beni demaniali, beni appartenenti al patrimonio indisponibile e disponibile dello Stato, alla quale corrisponde l‘appartenenza al relativo regime giuridico. Nella ricostruzione sistematica della Corte, il bene comune deve essere a disposizione della comunità e la sua accessibilità si deve al fatto che l‘utilizzo dei beni appartenenti a tutti e a ciascuno è strumentale all‘esercizio dei diritti fondamentali e, con essi, allo Stato sociale. In verità, il criterio funzionale è quello che meglio riesce a dar effettività alla diversità strutturale dei beni comuni. La logica proprietaria non può bastare perché non risponde alla vocazione intrinseca dei suddetti beni. Da ciò si desume che non può ritenersi tassativa la classificazione di cui agli artt. 822 c.c. ss., dunque, la definizione di bene pubblico dovrà derivare direttamente dall‘interpretazione sistematica non solo del codice civile e delle leggi speciali, quanto soprattutto del testo costituzionale. La Corte, infatti, si esprime in questi termini: ―La Costituzione, com‘è noto, non contiene un‘espressa definizione di beni pubblici, né una loro classificazione, ma si limita a stabilire alcuni richiami che sono, comunque, assai importanti per la definizione del sistema positivo. Tuttavia, dagli articoli 2, 9, 42 Cost., e stante la loro diretta applicabilità, si ricava il D‘altra parte, già V. CERULLI IRELLI, Beni pubblici (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, II, Roma, 1987, p. 25, evidenziava che, ―sul versante costituzionale, la proprietà privata intanto è riconosciuta e tutelata in quanto, nelle varie categorie di beni, essa, come modello, riesce ad assicurare dei beni stessi la funzione sociale, nonché a renderli accessibili a tutti; e, sul versante della legislazione ordinaria, vige piuttosto il principio del diritto potenziale di dominio dello Stato su tutto il territorio, sancito dall‘art. 827 c.c.‖. In tal senso, più recentemente, P. M ADDALENA, I beni comuni nel codice civile, nella tradizione romanistica e nella Costituzione della Repubblica italiana, in Giur. cost., 2011, 03, p. 2613: ―La proprietà privata non è un diritto umano inviolabile, che precede l‘ordinamento giuridico‖. 296 124 principio della tutela dell‘umana personalità e del suo corretto svolgimento nell‘ambito dello Stato sociale…con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio o il patrimonio oggetto della ‗proprietà‘ dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per la loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell‘intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività‖. Quest‘approdo giurisprudenziale diventa fondamentale per il tema qui trattato, perché il devolvere alla categoria dei beni comuni quelli che, a prescindere da scelte legislative, si mostrano tali, implica una decisiva presa di posizione sulla conseguente governance degli stessi297. In altre parole, se il bene comune appartiene alla comunità tutta, lo Stato deve intervenire con una politica che ne garantisca un uso comune e un godimento senza discriminazioni di sorta. Non a caso, la Cassazione opta per un‘interpretazione del tessuto costituzionale che trova origine nel valore personalistico e solidaristico dell‘art. 2 Cost. Lo Stato ha l‘obbligo di garantire che la personalità dell‘individuo possa svilupparsi anche attraverso la scelta ragionevole ed equa della governance di un bene pubblico che può di per sé contribuire all‘evoluzione socio-culturale del singolo, specie, si può aggiungere, se quel bene è un architrave dello Stato democratico, come l‘informazione. La questione è messa in luce la S. LIETO, “Beni comuni”, Diritti fondamentali e Stato sociale. La Corte di Cassazione oltre la prospettiva codicistica, in Politica del diritto, XLII, n. 2, 2011, spec. p. 334. Si vedano anche F. CORTESE, Dalle valli da pesca ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, 11, p. 1170 e C.M. CASCIONE, Le Sezioni Unite oltre il codice civile. Per un ripensamento della categoria dei beni pubblici, in Giur. it., 2011, p. 12. Va detto, peraltro, che già la più risalente dottrina aveva qualificato come meramente dichiarativo il valore degli atti amministrativi che intervengono nella classificazione di detti beni, annunciando già il criterio sostanzialistico di valutazione del bene di carattere pubblico. Si veda a riguardo V. CERULLI IRELLI, Beni pubblici (voce), cit., spec. p. 284. 297 125 A tal fine, sembra opportuno proporre il riconoscimento di una categoria dei ―beni comuni‖298, che sia autonoma da quella dei beni pubblici già prevista, e che abbia la finalità di scongiurare l‘ipotesi in cui determinati beni, che per loro intima vocazione soddisfano bisogni fondamentali dell‘individuo, possano essere assoggettati alla logica tradizionale della proprietà privata. Ciò, sia con riferimento al bene immateriale dell‘informazione, da non lasciare appannaggio di pochi, sia dello strumento di accesso alla stessa, ad esempio lo spettro radio, che, utilizzato sfruttando le tecnologie, può presentarsi come un utile mezzo di realizzazione del bene comune. Certo, l‘individuazione della suddetta categoria di ―beni comuni‖ indispensabili alla realizzazione di esigenze collettive non risulterebbe agevole, anche solo per la molteplicità dei bisogni umani, però, un appiglio sicuro può certamente essere rappresentato dalla Carta Costituzionale. Quale migliore fonte per la selezione di una serie di bisogni primari? Così ragionando, il discorso torna all‘osservazione fatta in apertura. In altre parole, l‘art. 21 Cost., garantendo una libertà di pensiero, esercitabile attraverso qualsiasi mezzo, produce due corollari: il primo, l‘informazione è bene immateriale comune e, se così non fosse, non potrebbe sussistere il diritto a essere informati, strenuamente difeso dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale; il secondo, se l‘informazione va garantita, non si può prescindere da politiche regolatorie che rendano effettiva la disponibilità del mezzo per accedervi, in quanto anch‘esso bene comune. D‘altra parte, se il fine della Repubblica deve essere quello di garantire che tutti accedano alla soddisfazione dei bisogni primari, questi 298 A riguardo, si segnala la proposta di modifica degli articoli del c.c. in tema di beni pubblici, presentata dalla Commissione Rodotà, il 14 giugno del 2007. Il testo della Relazione è reperibile alla pagina http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?contentId=SPS47617. L‘articolato del disegno di legge di delega al governo può essere consultato in http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_1_12_1&contentI d=SPS47624. 126 devono riguardare sia beni materiali che quelli immateriali, come l‘informazione. Solo questa sembra essere la via per concretizzare l‘obiettivo della giustizia sociale e non lasciare la lettera della Costituzione come una promessa a futura memoria. 2. Il diritto di accesso come “nocciolo duro” dell‟articolo 21 Cost. Il nesso di ―indispensabile strumentalità‖ che unisce l‘accesso alla Rete – come a ogni altro mezzo – e l‘esercizio della libertà on line, produce, a parere di chi scrive, un‘importante conseguenza: il diritto di accesso è il nocciolo duro dell‘art. 21 Cost., cioè, è quel contenuto minimo del diritto, che la Corte Costituzionale ha sempre ritenuto inevitabilmente esente da compressione, perfino ad opera del legislatore in sede di bilanciamento di valori. In altri termini, se la libertà di manifestazione del pensiero on line è esercitabile se e in quanto si acceda alla Rete, l‘accesso non è solo strumento indispensabile ma diventa momento indefettibile dell‘esercizio della libertà, senza il quale essa non verrebbe compressa, ma annullata in radice, snaturata, cancellata. Il concetto di ―limite‖ al diritto è già desumibile dalla prima sentenza della Corte Costituzionale, faro per il legislatore futuro con riguardo alla chiarezza espositiva e ai principi di diritto dettati. Nella sentenza n. 1 del 1956, infatti, la Corte già si esprimeva in questi termini: ―Una disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo che l‘attività di un individuo rivolta al perseguimento dei propri fini si concili con il perseguimento dei fini degli altri, non sarebbe perciò da considerare di per sé violazione o negazione del diritto. E se pure si pensasse che dalla disciplina dell‘esercizio può anche derivare indirettamente un certo limite al 127 diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e che nell'ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell'ordinata convivenza civile‖299. Il limite a ciascuna libertà nel vivere civile è, dunque, inevitabile, ma va rispettata, d‘altra parte, la necessità di non comprimere eccessivamente il diritto, pena l‘illegittimità della misura esercitata. La Corte ha avuto modo di esprimersi sul punto, proprio con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero: ―É indubbio, infatti, che la Costituzione garantisce sia la manifestazione del pensiero sia la divulgazione del pensiero dichiarato. É pur vero che tale libertà non esclude possano essere disciplinate dal legislatore le modalità di esercizio del diritto, per il necessario contemperamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti, come già più volte riconosciuto da questa Corte (sentenze n. 129 del 1970; n. 1 del 1956; n. 48 del 1964). Ma detta disciplina non può essere mai tale da rendere più difficile, e per taluni casi limite anche impossibile, l‘espressione del pensiero‖300. Il contenuto essenziale diventa, dunque, più che uno dei criteri – su cui ci si soffermerà in seguito – un ―limite di resistenza‖301 al bilanciamento. Infatti, violare il contenuto minimo del diritto equivale a rinunciare alla ―minima applicabilità‖302 dello stesso, erodendone inevitabilmente l‘essenza. 299 Corte Costituzionale, sentenza n. 1 del 1956, Considerato in diritto, punto 3, reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/1956/0001s-56.html. 300 Corte Costituzionale, sentenza n. 131 del 1973, Considerato in diritto, punto 2. Il testo è consultabile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0131s-73.html. 301 L‘espressione è di R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza, in Studi in onore di G. Berti, I, Napoli, 2005, p. 368 ss. 302 Ivi. 128 Peraltro, va sottolineato che il criterio del contenuto ―minimo‖ – o contenuto ―essenziale‖ – ha concorso a determinare il significato del c.d. ―contro-limite‖ all‘applicazione del diritto comunitario. In altre parole, se in origine il contro-limite consisteva nell‘obbligo dell‘ordinamento europeo di osservare il contenuto fondamentale e integrale delle garanzie costituzionali previste per i diritti costituzionali nazionali303, successivamente, le Corti nazionali, sulla scia di un‘Europa più attenta ai diritti fondamentali, ritenuti non più solo strumenti per la realizzazione di un mercato unico, quanto piuttosto obiettivo della politica europea, hanno ritenuto304 che il contro-limite da apporre al diritto europeo non potesse che corrispondere al contenuto minimo del diritto305, a quel nucleo costituzionale insopprimibile, quel livello di garanzia irrivedibile e irretrattabile306. 303 La celebre e risalente sentenza Solange 1 (BVerfG, 2BvL 52/71 del 29 maggio 1974), emanata dalla Corte Costituzionale tedesca, aveva, infatti, stabilito che il limite all‘applicabilità del diritto comunitario nell‘ordinamento tedesco fosse rappresentato proprio dalle decisioni europee in materia di diritti. In altri termini la Corte Costituzionale tedesca rivendicò la competenza a sindacare le norme europee che potevano trovarsi in conflitto con le norme costituzionali tedesche in tema di garanzia dei diritti fondamentali. Come la dottrina ha evidenziato, la rilevanza di una tale affermazione va comunque ridimensionata, perché emanata in un tempo in cui ―l‘ordinamento europeo non solo difettava ancora di un Parlamento legittimato sulla base di principi democratici ed eletto a suffragio universale, ma soprattutto era privo di un catalogo codificato di diritti fondamentali‖. Così, V. NUCERA, Il diritto tributario commentato, serie I, vol. CX, Padova, Cedam, 2010, p. 174. Si veda anche E. BULZI, Tendenze comuni in Europa (est e ovest) nella recente giurisprudenza costituzionale in materia di controlimiti, in www.federalismi.it, n. 4 del 2011, anche reperibile alla pagina http://www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=17599#.UUBovhxBSR8. 304 Per tutte si faccia riferimento alla sentenza del Tribunale Costituzionale tedesco, Solange II (2BvR 197/83 del 22 ottobre 1986). Con questa pronuncia, il Tribunale stabilì che non avrebbe riesaminato pronunce della Corte di Giustizia, fintanto che ―la Comunità europea, e in particolare la giurisprudenza comunitaria garantirà una protezione generale ed effettiva dei diritti fondamentali di fronte all‘esercizio dei poteri sovrani riconosciuti alla Comunità medesima, in modo sostanzialmente analogo alla tutela incondizionatamente richiesta dalla Costituzione, così da soddisfare il contenuto essenziale dei diritti fondamentali‖. 305 Sul punto, O. CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e implicazioni di un difficile bilanciamento, in Giur. cost., 1998, 2, p. 1170 ss. 306 Sul tema, si veda, ampiamente, D. BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali nell‟ordinamento costituzionale italiano ed europeo, E.S.I., Napoli, 2009. Sul punto, anche M. LUCIANI, Integrazione europea, sovranità statale e sovranità popolare, 2009, 129 D‘altra parte, una valutazione non strettamente ancorata ai confini nazionali307 è d‘obbligo se ci si riferisce, come già sostenuto sopra, a una realtà che travalica confini e che attiene, pertanto, a quelle garanzie minime che il costituzionalismo dovrebbe assicurare. Dunque, il fatto che il nocciolo duro dei diritti rappresenti la soglia oltre la quale non può spingersi nel bilanciamento anche il Legislatore comunitario è conseguenza del fatto che le strenue garanzie poste a presidio dei diritti fondamentali nella nostra Carta Costituzionale (riserva di legge e riserva di giurisdizione) non valgono anche oltrefrontiera. Pertanto, il porre come contro-limite all‘intervento europeo la parte irrivedibile di ciascun diritto è una forma di tutela del proprio patrimonio costituzionalistico308, che, però, lascia oggi la disciplina dei diritti anche a in http://www.treccani.it/enciclopedia/integrazione-europea-sovranita-statale-esovranita-popolare_(XXI-Secolo)/; P. BILANCIA, Possibili conflittualità e sinergie nella tutela dei diritti fondamentali ai diversi livelli istituzionali, in P. BILANCIA – E. DE MARCO (a cura di), La tutela multilivello dei diritti: punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004, p. 113-126; R. MASTROIANNI, Conflitti tra norme interne e norme comunitarie non dotate di efficacia diretta: il ruolo della Corte Costituzionale, in Dir. Un. Eur., 2007, 03, p. 585 ss.; L. SALVATO, Il rapporto tra le norme interne, diritto dell‟UE e disposizioni della CEDU: il punto della giurisprudenza, in Corriere giuridico, 2011, n. 3, p. 333 ss. Ma anche, V. MANES – V. ZAGREBELSKY (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell‟Uomo nell‟ordinamento penale italiano, Giuffrè, 2011, spec. p. 15 ss. Più in generale, sui vincoli al legislatore derivanti dall‘ordinamento comunitario, si veda G. SERGES, I vincoli derivanti dall‟ordinamento comunitario ai sensi dell‟art.117, comma 1, Cost., in AA. VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007, con presentazione di E. CASTORINA, p. 412-423. 307 Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, Jovene, 2012, spec. p. 187193. 308 Su questa questione, F. SALMONI, La Corte costituzionale, la Corte di giustizia CE e la tutela dei diritti fondamentali, in P. FALZEA – A. SPADARO – L. VENTURA (a cura di), La Corte costituzionale e le Corti d‟Europa, Torino, 2003, p. 306: ―La creazione di questa sorta di riserva di giurisdizione ha avuto sì come obiettivo quello di garantire l‘inviolabilità da parte del diritto comunitario del cuore della costituzione italiana, di quell‘insieme di principi e diritti che rappresentano il nucleo intangibile della Carta costituzionale, ma anche, contestualmente, quello di esaltare il ruolo della Corte costituzionale come soggetto legittimato a difendere ad oltranza la Costituzione e i diritti dei singoli, in quanto organo di chiusura del sistema‖. Il problema della possibile frizione tra i due ordinamenti era stato, del resto, già messo in luce da M. LUCIANI, La Costituzione italiana e gli ostacoli all‟integrazione europea, in Politica del diritto, 1992, p. 574, che così si esprime in tema di indispensabile tutela da parte della Corte Costituzionale: ―occorre considerare che, nonostante tutti gli Stati 130 istituzioni diverse, in ragione della riconosciuta parziale cessione della sovranità nazionale. Nell‘ottica europea, infatti, il contenuto essenziale è inteso in senso relativo e casistico. Esso, cioè, diventa determinabile caso per caso, ―operato sempre dal giudice fra le esigenze del limite e le ragioni della libertà‖309, ponderazione che deve osservare i limiti di un bilanciamento non arbitrario ma fissato in criteri certi. Va detto, peraltro, che il limite del contenuto minimo del diritto, se può essere apposto al diritto comunitario, non funziona allo stesso modo per altre norme che pur trattano di diritti (si pensi alla Cedu). Ciò comporta che, anche allorché esse possano rappresentare parametro di costituzionalità in forza del novellato art. 117 Cost., ciò non le equipara alle norme comunitarie, rispetto alle quali può valere il meno esteso limite dei principi supremi e del contenuto essenziale dei diritti fondamentali. Infatti, come sostenuto dalla Corte Costituzionale nelle celebri sentenze del 2007310, è necessario che le stesse norme che integrano il membri delle Comunità facciano parte delle stessa koinè democratico-pluralistica, l‘individuazione dei principi costituzionali comuni è assai problematica e, comunque, non esclude che vi siano casi in cui le tradizioni costituzionali comuni non hanno avuto modo di formarsi. Casi, cioè, in cui il diritto comunitario finisce per andare in cortocircuito‖. Sulla necessità di conservare il contenuto minimo dei diritti garantiti nella Carta nazionale, si veda anche C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa configgenti, in Giurisprudenza Costituzionale, 2007, p. 3518 ss. 309 D. BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali nell‟ordinamento costituzionale italiano ed europeo, Abstract, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/autorecension i/0027_butturini.pdf. 310 Si fa riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale, n.i 348 e 349 del 2007. I relativi testi sono reperibili alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/index.html. Per i commenti alle sentenze si vedano C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell‟uomo ed interpreta l‟art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in http://www.giurcost.org/decisioni/index.html; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d‟inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz a/2007/0001_ruggeri_nota_348_349_2007.pdf; R. DICKMANN, Corte costituzionale e diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l‟articolo 117, primo 131 parametro costituzionale, tra le quali si fa rientrare la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell‘uomo), pur rimanendo a livello sub-costituzionale, siano conformi a Costituzione (posizione ribadita anche all‘entrata in vigore del Trattato di Lisbona311). ―La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e diritti fondamentali312, o dei principi supremi313, ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le ‗norme interposte‘ e quelle costituzionali‖314. Infatti, la norma Cedu sarà considerata dalla Corte legittima solo laddove essa garantisca una tutela dei diritti fondamentali ―almeno equivalente‖315 al livello garantito dalla Costituzione italiana316. comma, della Costituzione, in http://www.federalismi.it/federalismi/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=8789&dpath=docum ent&dfile=30112007051737.pdf&content=Corte+costituzionale+e+diritto+internaziona le+nel+sindacato+delle+leggi+per+contrasto+con+l%E2%80%99articolo+117,+prim o+comma,+della+Costituzione+-+stato+-+dottrina+-+; A. MOSCARINI, Indennità di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti e uno indietro della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo, in http://www.federalismi.it/federalismi/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=8785&dpath=docum ent&dfile=20112007075626.pdf&content=Indennit%C3%A0+di+espropriazione+e+val ore+di+mercato+del+bene:+un+passo+avanti+e+uno+indietro+della+Consulta+nell a+costruzione+del+patrimonio+costituzionale+europeo+-+stato+-+dottrina+-+; T.F. GIUPPONI, Corte costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”: che tutto cambi perché tutto rimanga uguale?, in www.forumcostituzionale.it; V. SCIARABBA, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/; S. CICCONETTI, Creazione indiretta del diritto e norme interposte, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/; F. DONATI, La CEDU nel sistema italiano delle fonti del diritto alla luce delle sentenze della Corte costituzionale del 24 ottobre 2007, in http://www.osservatoriosullefonti.it/. 311 Si fa riferimento alle sentenze n. 1 del 2011, n. 196 del 2010 e n. 311 del 2009. 312 Sul punto è ampia la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Si segnalano le sentenze più rilevanti: sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 168 del 1991, n. 73 del 2001, n. 454 del 2006. 313 Copiosa la giurisprudenza costituzionale sui ―principi supremi‖: sentenze n. 30 e n. 31 del 1971, n.i 12 e 195 del 1972, n.i 175 e 183 del 1973, n. 1 del 1977, n. 16 del 1978, n.i 16 e 18 del 1982, n. 203 del 1989. 314 Corte Costituzionale, sentenza n. 348 del 2007, Considerato in diritto, punto 4.7. 315 Corte Costituzionale, sentenza n. 349 del 2007, Considerato in diritto, punto 6.2. 316 Si tenga presente che nel 2009, con sentenza n. 317, la Corte Costituzionale sosteneva: ―Con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall‘ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento 132 D‘altra parte, anche nell‘ottica di una massima espansione delle garanzie, che deve derivare dallo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali e dal confronto tra la tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti, va detto che il margine di apprezzamento nazionale deve sempre e comunque essere orientato all‘equilibrio tra i diritti ugualmente tutelati dalla Carta Costituzionale e dalla Cedu. In verità, ciò che dovrebbe accomunare i diversi sistemi costituzionali è la condivisione di un comune contenuto essenziale dei diritti medesimi, quale patrimonio proprio e irretrattabile dell‘individuo, universalmente riconosciuto317. Si pensi, infatti, che in ambito comunitario, il contenuto essenziale è confluito nella previsione dell‘art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione europea, nelle vesti di barriera invalicabile alle limitazioni volte a vincolare l‘esercizio dei predetti diritti318, insieme ai criteri di un equilibrato bilanciamento di valori. efficace di ampliamento della tutela stessa…Del resto, l‘art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l‘interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali‖. La posizione è stata poi pedissequamente ribadita nella sentenza n. 264 del 2012. A commento della sentenza, si veda A. RUGGERI, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale (“a prima lettura” di Corte cost. n. 264 del 2012), in http://www.giurcost.org/decisioni/index.html. 317 A riguardo si veda Q. CAMERLENGO, La vocazione cosmopolitica dei sistemi costituzionali, alla luce del comune nucleo essenziale, in http://www.news.unina.it/tmpPDF/Camerlengo.pdf, p. 30; I. MASSA PINTO, Il contenuto minimo essenziale dei diritti costituzionali e la concezione espansiva della Costituzione, in AA. VV., I diritti fondamentali in Europa (XV Colloquio biennale dell‘Associazione italiana di diritto comparato, Messina-Taormina, 31 maggio - 2 giugno 2001), Milano, 2002, spec. p. 607 ss.; D. MESSINEO, La garanzia del contenuto essenziale dei diritti fondamentali. Dalla tutela della dignità umana ai livelli essenziali delle prestazioni, Giappichelli, 2012. 318 Sul punto, il commento di T. GROPPI, in R. BIFULCO – M. CARTABIA – A. CELOTTO (a cura di), L‟Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione europea, Bologna, 2001, p. 355. Si veda anche L. MARI, La Carta di Nizza: contenuti e principi ispiratori, in M. NAPOLI (a cura di), La carta di Nizza. I diritti fondamentali dell‟Europa, Milano, 2004, p. 16 ss. e M. BELLETTI, “Livelli essenziali delle prestazioni” e “contenuto essenziale dei diritti” nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Alla ricerca del parametro plausibile, in L. CALIFANO (a cura di), Corte 133 Questo ragionamento, dunque, conduce alla considerazione che il diritto di accesso alla Rete, inteso come accesso allo strumento per l‘esercizio della libertà di manifestare il proprio pensiero, non potrebbe essere compresso in sede di bilanciamento, perché ciò tradirebbe l‘essenza stessa della tutela e della garanzia. Quanto affermato non corrisponde, però, alla strada intrapresa dal legislatore francese e dal regolatore italiano, i quali, specie in materia di diritto d‘autore, hanno considerato comprimibile il diritto di accesso alla rete Internet, non intendendolo, evidentemente, come contenuto essenziale del diritto alla libera manifestazione del pensiero, tesi che, invece, qui si sostiene. 2.1. L‟accesso a Internet alla prova del bilanciamento dei valori. Questioni rilevanti in tema di diritto d‟autore In questa fase del lavoro, si sta sostenendo che l‘accesso alla rete Internet è quel contenuto minimo essenziale della libertà di cui al 21 Cost. che, imprescindibilmente, deve essere garantito all‘individuo. Tirando le fila del discorso fin qui fatto, la tesi che si sostiene è la logica conseguenza delle premesse su cui si è ragionato. In altre parole, il nostro ragionamento è partito dall‘aderire alla tesi dottrinaria e giurisprudenziale del diritto di accesso allo strumento di manifestazione del pensiero come diritto direttamente derivante dall‘art. 21 Cost. Da quest‘impostazione si è ragionato sul perché di una tale tesi e si è giunti a sostenere che, se così non fosse, si finirebbe per perdere l‘ubi costituzionale e diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2004, p. 619 ss.; R. BIFULCO, “Livelli essenziali”, diritti fondamentali e statuti regionali, in T. GROPPI – M. OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, 2003, p. 137 ss.; E. PASARESI, La “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e la materia “tutela della salute”. La proiezione indivisibile di un concetto unitario di cittadinanza nell‟era del decentramento istituzionale, in http://www.robertobin.it/REG10/pesaresi.pdf. 134 consistam del diritto stesso, la sua intima consistenza, nonché la ratio della sua previsione. A questo punto, dunque, appare necessario confrontarci con il reale, con le norme, cioè, che sul tema della Rete sono state emanate dalle Autorità italiane ed europee, al fine di comprendere se la tesi fin qui sostenuta abbia o meno trovato un riscontro normativo. Va detto, però, che prima di approfondire le risultanze normative della ricerca, è d‘obbligo un preliminare passaggio, che funga da risposta a domande pregiudiziali: quale il bilanciamento tra valori? Su quali criteri va costruito l‘equilibrio che tiene insieme il contenuto essenziale del diritto compresso e la ragionevole espansione del contro-valore? I suddetti criteri possono valere anche per le libertà esercitate on line? Per rispondere a queste domande, non può che venirci in soccorso la copiosa giurisprudenza costituzionale che negli anni ha disegnato il perimetro delle libertà, di volta in volta intervenendo a censurare o meno l‘arte deliberativa del legislatore di turno, restando sempre attenta all‘obiettivo primario, la tutela dei diritti di libertà319. Non c‘è dubbio, quindi, che una tale ricostruzione può essere utile e può guidare il nostro ragionamento verso l‘obiettivo: capire se e come un bilanciamento tra diritti possa valere per le libertà on line e quali siano i limiti invalicabili della libertà di manifestazione del pensiero esercitata in Rete. A ben vedere, però, questa pur fondamentale ricostruzione non può appagare da sola il ragionamento e soddisfare le esigenze della Rete. Internet è struttura complessa che fa viaggiare qualsiasi informazione oltrefrontiera e non si può - come già visto in tema di governance - La giustizia costituzionale è stata, infatti, definita ―giurisdizione delle libertà‖. L‘espressione è di A. MORRONE, Corte costituzionale e principio generale di ragionevolezza, in AA. VV., La ragionevolezza nel diritto, Milano, Giuffré, pp. 239-286, Atti del Convegno, La ragionevolezza nel diritto, Roma, Università “La Sapienza”, 2-3-4 ottobre 2006. 319 135 prescindere da questo dato di fatto, che deve invece guidare il legislatore nella scrittura di norme che non risultino galleggianti, a-temporali e aspaziali, dunque inutili. Già si anticipa, dunque, un doveroso passaggio, non solo attraverso il costituzionalismo italiano, ben rappresentato dalle sentenze della Corte Costituzionale in merito, ma anche per quello europeo e internazionale in tema di diritti, perché, appunto, lo spazio di Internet non è l‘angusta frontiera italiana, ma la sconfinata realtà mondiale. I due criteri cardine, indicati dalla giurisprudenza costituzionale come guida per il legislatore nel bilanciamento tra valori confliggenti si traducono nella ragionevolezza320 della previsione e nella sua proporzionalità321, intesa come congruità del mezzo a fine e compressione non eccedente. 320 Sul tema le sentenze della Corte Costituzionale sono innumerevoli. Si segnalano le seguenti pronunce: sentenza n. 145 del 2002, n. 151 del 2009, n. 171 del 1996, n. 298 del 2008, n. 432 del 2005, di cui si riporta quanto segue: ―al legislatore (statale o regionale che sia) è consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una ―causa‖ normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria…La disposizione in discussione si pone in contrasto con il principio sancito dall‘art. 3 della Carta fondamentale, perché il relativo scrutinio va circoscritto all‘interno della specifica previsione, in virtù della quale la circolazione gratuita viene assicurata non a tutti gli invalidi residenti in Lombardia che abbiano un grado di invalidità pari al 100%, ma soltanto a quelli, fra essi, che godano della cittadinanza italiana. Il requisito della cittadinanza non può assumersi – come deduce la Regione – quale «criterio preliminare di accesso» al beneficio‖, nonché le più recenti pronunce: n. 2 del 2013, n. 28 del 2013, n. 20 del 2013, n. 8 del 2013, n. 23 del 2013, n. 29 del 2013, n. 4 del 2013, n. 36 del 2013, n. 3 del 2013, n. 32 del 2013, n. 35 del 2013, n. 7 del 2013. Per un commento a quest‘ultima, si veda V. MANES, La Corte Costituzionale ribadisce l‟irragionevolezza dell‟art. 569 c.p. ed aggiorna la “dottrina” del “parametro interposto” (art. 117, comma primo, Cost.), in http://www.penalecontemporaneo.it/tipologia/0-/-/-/2048la_corte_costituzionale_ribadisce_l___irragionevolezza_dell___art__569_c_p__ed_aggi orna_la____dottrina____del____parametro_interposto_____art__117__comma_primo_ _cost_/ e in www.giurcost.it. 321 A riguardo, si segnalano le seguenti sentenze: n. 223 del 2012, con commenti di S.M. CICCONETTI, Dipendenti pubblici e principio di eguaglianza: i possibili effetti a catena derivanti dalla sentenza n. 223 del 2012 della Corte costituzionale, in http://www.giurcost.org/decisioni/index.html e O. BONARDI, La corta vita dei contributi di solidarietà, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz a/2012/0027_nota_223_2012_bonardi.pdf; n. 106 del 2009, con commento di A. ANZON DEMMIG, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente del Consiglio, autorità giudiziaria e Corte Costituzionale, in http://www.astrid-online.it/Giustizia-/Studi-- 136 Il termine ragionevolezza ―evoca attualmente: per un verso i processi dell‘argomentazione razionale ed i risultati della stessa; per l‘altro l‘esperienza pratica, il buon senso comune che governa i comportamenti umani, sì che ragionevole diventa sinonimo di ponderatezza, equilibrio, ma anche giustizia‖322. Nel diritto costituzionale, il termine può assumere diversi significati: può essere inteso come esigenza di parità di trattamento tra situazioni analoghe, la cui disciplina poggia sulla medesima ratio legis, o come predicato – non di una discriminazione a opera del legislatore – ma del contenuto proprio di una disposizione. In quest‘ultimo caso, come evidenziato dalla dottrina323, la Corte dovrà sanzionare la mancanza di fondamento razionale alla normativa o la ―sua difformità rispetto alle strutture del reale‖. In ultimo, si deve far cenno alla ragionevolezza intrinseca ed estrinseca324, la prima riguardante la contraddittorietà della norma con l‘atto che di essa si compone (norma in sé irragionevole), la seconda facente riferimento alla illogicità della norma rispetto a norme estranee all‘atto ma proprie di altri atti dell‘ordinamento325. ric/Anzon_AIC_luglio2009.pdf e G. PILI, Il segreto di Stato nel caso Abu Omar ed equilibri(smi) di sistema, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz a/2009/0036_nota_106_2009_pili.pdf; infine, sentenze n. 288 del 2010 e n. 172 del 2012. 322 Così G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Giuffrè, 2000, p. 3. 323 Ibidem, p. 4. 324 Sul punto, celebre l‘espressione del Giudice delle leggi che, in tema di ragionevolezza, ha statuito: ―il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese civile‖ sta ―nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le norme degradano al livello di gregge senza pastore‖. Il riferimento è alla sentenza n. 204 del 1982. 325 Sul concetto di ragionevolezza come razionalizzazione della legislazione esistente, si veda G. VOLPE, Razionalità, ragionevolezza e giustizia nel giudizio sull‟eguaglianza delle leggi, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Atti del seminario di Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1992, Milano, 1994, p. 198 ss. Più in generale, sul tema della ragionevolezza al vaglio della Corte Costituzionale e, in particolare, sulla ragionevolezza come categoria autonoma, ricostruita in sede di teoria generale, A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Giuffrè, 2001; A. D‘ANDREA, Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Milano, Giuffrè, 2005. Per un‘ampia visione della ragionevolezza come risultante dell‘interpretazione del principio di uguaglianza o dell‘eccesso di potere legislativo, si 137 Va sottolineata, peraltro, la visione di chi in dottrina326 legge nella ragionevolezza uno strumento di realizzazione di giustizia sostanziale, un mezzo, cioè, nelle mani della Corte Costituzionale che corrisponde in fatto a un criterio equitativo, in grado di garantire la giustizia del caso concreto attraverso il giudizio di legittimità costituzionale. Questo rapido esame della ragionevolezza nel sistema costituzionale non è fine a se stesso. Infatti, il focus su questi significati può essere utile all‘obiettivo di trovare i limiti di una compressione della libertà di manifestazione del pensiero on line. Per quanto attiene alla proporzionalità, il sindacato è sempre articolato in più gradi di giudizio327: una verifica dell‘idoneità della normativa, tesa all‘accertamento della effettiva e indispensabile strumentalità del mezzo veda M. LUCIANI, Lo spazio della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Giuffrè, 1994, p. 245-252; A. CELOTTO, Art. 3, Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 80; A. RUGGERI, Principio di ragionevolezza e specificità dell‟interpretazione costituzionale, in http://www.costituzionalismo.it/docs/ragionevolezza.pdf; O. CHESSA, Principi, valori e interessi nel ragionevole bilanciamento dei diritti, in M. LA TORRE – A. SPADARO (a cura di), La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002, p. 207 ss.; A. RUGGERI, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, in A. PISANESCHI – L. VIOLINI (a cura di), Poteri, Garanzie e diritti a sessant‟anni dalla Costituzione, Giuffrè, 2007, p. 415460; A. ANZON, La motivazione dei giudizi di ragionevolezza e la dissenting opinion, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistici (Atti del Seminario di Palazzo della Consulta del 12-14 ottobre 1992), Milano, 1994. 326 G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 156 ss. 327 La dottrina italiana ha individuato tre momenti dello scrutinio di proporzionalità. In questo senso, G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, cit., p. 271. L‘Autore ricava i gradi dello scrutinio dai significativi apporti che la giurisprudenza della Corte Costituzionale tedesca ha dato al tema della proporzionalità. Non a caso, viene spesso sottolineata la notevole influenza che essa ha ottenuto in ambito comunitario. Va, comunque, evidenziato che altra parte della dottrina, proprio alla luce dello studio della giurisprudenza tedesca, suddivide differentemente i momenti dinamici di valutazione della proporzione delle norme di legge. Sul punto, infatti, si veda D. SCHEFOLD, Aspetti di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale tedesca, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., p. 128 ss. L‘Autore propone una suddivisione in quattro momenti: la valutazione dello scopo perseguito dal legislatore (momento teleologico assente nella valutazione presentata dalla dottrina italiana); la congruità del mezzo prescelto rispetto al fine; la necessità dell‘intervento; infine, la valutazione della proporzionalità non solo in termini qualitativi (congruità del mezzo), ma anche in termini quantitativi. 138 prescelto dal legislatore rispetto al fine da raggiungere; la valutazione sulla necessità dell‘intervento, nell‘ottica della scelta del mezzo più mite per raggiungere lo scopo prefissato (in altre parole, il mezzo prescelto deve essere infungibile e indispensabile); infine, la ponderazione di valori e interessi confliggenti. L‘ultimo dei momenti suddetti assume un particolare rilievo, perché in esso l‘interprete si trova a commisurare i benefici e i sacrifici imposti al singolo con i vantaggi conseguiti dall‘altro. La questione, peraltro, diventa particolarmente complessa quando, sul piano dei valori, si confrontano un bene individuale e uno superindividuale o, quantomeno, quando i vantaggi o i sacrifici del singolo si traducono, indirettamente, in vantaggi e sacrifici per la collettività. Si pensi al diritto di accesso alla Rete, oggetto della nostra indagine. Se di fronte a un altro diritto del singolo, esso fosse totalmente eliminato, anche in conseguenza dell‘applicazione di una norma sanzionatoria, il costo del sacrificio non solo ricadrebbe sul singolo individuo, in ragione dell‘esclusione dello stesso dalla partecipazione alla vita virtuale – la quale appaga le umane esigenze di condivisione e di scambio di informazioni in una società governata dall‘innovazione tecnologica – ma anche sulla collettività, perché quell‘informazione, che abbiamo qualificato come bene comune, verrebbe inevitabilmente ridotta, compressa. Con ciò, beninteso, non si vuole intendere che deve sussistere necessariamente un ordine gerarchico di valori che ponga su un gradino superiore quelli a tutela dei beni della collettività328, perché ciò La ―teoria dei gradini‖ è di origine tedesca. Si pensi alla celebre sentenza BVerfGE, 7, 377. Nel caso di specie (si trattava della non ottenuta licenza necessaria per aprire una farmacia in applicazione di una legge della Baviera che condizionava il rilascio della stessa alla valutazione dell‘interesse pubblico e non alterazione del mercato in pregiudizio delle altre farmacie), il Tribunale stabilì che la limitazione della libertà del singolo va sempre valutata rispetto al bene comune, nel senso che una maggiore restrizione della libertà individuale trova giustificazione solo nella necessità di tutelare il pubblico interesse preminente. In senso critico rispetto a questa impostazione, perché ritiene che la giurisprudenza tedesca faccia così assumere una dimensione sociale alla libertà, C. 328 139 escluderebbe in radice ogni ponderazione concreta tra interessi, che, invece, ad avviso di chi scrive, serve e, soprattutto, basta già per provare la mancanza di proporzionalità che, ad esempio, ha caratterizzato la scelta del legislatore francese con la prima legge Hadopi. Come anticipato, è necessario un riferimento anche ai criteri comunitari e internazionali utilizzati per ponderare le diverse libertà. In tema di bilanciamento, va detto che l‘opera condotta dalle Corti nazionali ha indubbiamente influenzato il diritto comunitario e, da subito, la stessa Corte di Giustizia. Nelle sentenze, infatti, che avevano a oggetto il bilanciamento tra valori, il Giudice comunitario utilizza come criteri imprescindibili la ragionevolezza e la proporzionalità. Quest‘ultima, peraltro, anche in ragione dell‘influenza della lunga esperienza tedesca sul punto. Infatti, anche se nella prima formulazione del Trattato istitutivo della Comunità europea non era già presente il criterio della proporzionalità come guida nel giudizio dell‘intervento normativo nazionale limitativo dei diritti, la Corte di Giustizia già fece proprio il suddetto criterio, ergendolo a principio generale dell‘ordinamento comunitario329. Secondo la Corte, infatti, sono soggette al principio di proporzionalità le norme e i provvedimenti adottati dagli organi comunitari330, le norme o i provvedimenti adottati dagli Stati membri in adozione di obblighi AMIRANTE, La Costituzione come “sistema di valori” e la trasformazione dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale federale, in Politica del diritto, 1981, spec. p. 50 ss. Su come la giurisprudenza tedesca abbia influenzato il diritto pubblico italiano, specie il diritto amministrativo, si veda A. SANDULLI, Proporzionalità, in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, Vol. V, p. 4643 ss. e, più di recente, U. FANTIGROSSI, Sviluppi recenti del principio di proporzionalità nel diritto amministrativo italiano, in Liuc Papers n. 220, Serie Impresa e Istituzioni, settembre 2008, anche reperibile in http://www.biblio.liuc.it/liucpap/pdf/220.pdf. 329 Corte di Giustizia, sentenza del 26 novembre 1985, causa 182/84. 330 Corte di Giustizia, sentenza del 13 novembre 1990, Causa 331/88; Regno Unito c. Commissione, C-180/96. 140 comunitari331 e, infine, le norme di deroga previste a favore degli Stati membri rispetto alle libertà previste nel Trattato332. Peraltro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità sono stati poi stigmatizzati da una modifica del Trattato CE. Infatti, l‘art. 5 prevede che ―nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell‘azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell‘azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario‖. Il Protocollo allegato al TCE, relativo ai principi di sussidiarietà e proporzionalità stabilisce, poi, che ciascuna Istituzione comunitaria deve assicurare, nell‘esercizio delle sue competenze, il rispetto del principio di proporzionalità, a mente del quale l‘azione comunitaria non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato (punto 1), nonché che (punto 2) ―l‘applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità avviene nel rispetto delle disposizioni generali e degli obiettivi del trattato, con particolare riguardo al completo mantenimento dell‘acquis comunitario e dell‘equilibrio istituzionale; non deve ledere i principi elaborati dalla Corte di giustizia relativamente al rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario e dovrebbe tenere conto dell‘articolo 6, paragrafo 4, del trattato sull‘Unione europea, secondo il quale l‘Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche‖. È evidente, da quanto si legge, che il principio di proporzionalità introdotto nel Trattato non si risolve solo nel principio che accompagna e 331 Corte di Giustizia, sentenza del 10 marzo 2005, Tempelman e.a.c. Directeur van de Rijksdienst voor de keuring van Vee en Vlees, C -96/2003 e C- 97/2003; conclusioni dell‘Avv. Tizzano nel caso ABNA Ltd e al. c/ Secretary of State for Health e al., C 453/03, C-11/04 e C-12/04. 332 Corte di Giustizia, 30 aprile 1974 n. C-155/73, in Foro Italiano, 1974, IV, p. 249; Corte di Giustizia, 20 marzo 1985 C- 41/83, ivi,1986, IV, p. 4; Corte di Giustizia, 19 marzo 1991, C- 202/88. 141 specifica quello di sussidiarietà, criterio guida nella gestione delle competenze tra Stati e Comunità Europea333, e che, tra l‘altro, più facilmente si allontana dal concetto di proporzionalità elaborato dalla giurisprudenza tedesca334, ma diventa strumento di bilanciamento di valori, indispensabile per discernere il necessario intervento dall‘eccesso di normazione. Infatti, anche per quanto attiene al bilanciamento dei diritti, nella giurisprudenza più recente, la Corte ha optato per la scelta dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità nella valutazione dei costi e benefici335 imposti ai soggetti ricorrenti. 333 Su questo aspetto, si segnala la seguente giurisprudenza della Corte di Giustizia: sentenza del 9 novembre 1995, C-426/93, Germania c/ Consiglio dell‟Unione europea, in http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d0f130d52c07137901264d01ae5 bbf6503882030.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4Oa3aTe0?text=&docid=99394&pageIndex =0&doclang=EN&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1626996; sentenza del 5 ottobre 1994, Germania c/ Consiglio dell‟Unione europea, C-280/93, spec. punto 7, in http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d0f130d50d3ea74b16c744fe8f7b f93de968e7d1.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4Oa3uRe0?text=&docid=99082&pageIndex= 0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=7771; sentenza del 12 novembre 1996, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c/ Consiglio dell‟Unione europea, C-84/94, spec. punto 4 – le motivazioni della sentenza sono reperibili in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61994J0084:IT:HTML. Più recentemente, a seguito dell‘approvazione del Trattato di Lisbona, si vedano le sentenze: 8 giugno 2010, C-58/08 (caso Vodafone) – la sentenza è reperibile all‘indirizzo http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dbc2de9018c ae64d989ca0d3b9e5f35421.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuLa310?text=&docid=79665&p ageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731195; 9 novembre 2010, Cause riunite C-92/09 e C-93/09, reperibile alla pagina http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=79001&pageIndex=0 &doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731403; 1 marzo 2011, C236/09, in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0236:IT:HTML. Per un commento alle ultime sentenze citate, si veda K. LENAERTS, The European Court of Justice and Process-oriented Review, in Research Paper in Law n. 1/2012, in http://aei.pitt.edu/39282/1/researchpaper_1_2012_lenaerts_final.pdf. 334 Sul punto, lucide le riflessioni di G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, cit., p. 293. 335 Si veda la sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012, Causa C-360/10, in cui il Giudice comunitario ha ritenuto sproporzionata la misura del filtraggio preventivo sullo scambio di contenuti on line, imposta da un giudice belga a un service provider. Per una più ampia riflessione sul contenuto della sentenza, si rimanda a Capitolo terzo di questo lavoro, par. 3. 142 Appurato, dunque, che, a livello comunitario, i criteri per un adeguato bilanciamento ricalcano quelli fatti propri dalla tradizione costituzionalistica italiana, ci si chiede se lo stesso valga per la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell‘uomo, unico giudice competente a interpretare il Trattato dei diritti (Cedu) il quale, da oltre un decennio, partecipa alla connotazione semantica del parametro costituzionale. Anche qui, le garanzie minime del costituzionalismo sembrano essere rispettate, infatti, lo studio della giurisprudenza della Corte EDU evidenzia un‘enorme quantità di casi in cui i criteri suddetti fungono da preziosa guida nella valutazione della ponderazione di interessi contrapposti336. A questo punto, dunque, c‘è da chiedersi se questo basti, cioè, se i criteri della ragionevolezza e della proporzionalità siano sufficienti a garantire un bilanciamento corretto ed effettivamente equilibrato. Come messo in evidenza dalla dottrina337, le garanzie irretrattabili del costituzionalismo non possono limitarsi a questi criteri, esse si sostanziano anche di altri due parametri inevitabili: ―la natura del bene limitato‖, che garantisce in contemperamento tra valori di pari grado – peraltro, già presente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana338 –, e 336 A riguardo, chiara la posizione della Corte EDU. Tra le più recenti sentenze in cui maggiormente viene in risalto l‘utilizzo dei parametri della ragionevolezza e proporzionalità, si vedano: sentenza Vinter et alii c. Regno Unito, 17 gennaio 2012 (cause n. 66069/09, 130/10 e 3896/10); sentenza Austin et alii c. Regno Unito, 15 marzo 2012 (cause n. 39629/09, 40713/09 e 41008/09); sentenze Von Hannover c. Germania e Axel Springer AG c. Germania, 7 febbraio 2012 (cause n. 40660/08, 60641/08 e 39954/08); sentenze Krone Verlag GmbH & Krone Multimedia GmbH & co KG c. Austria e Kurier Zeitungsverlag e Druckerei GmbH c. Austria, 17 gennaio 2012 (cause n. 33497/07 e 3401/07). 337 G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 188. 338 Si ricorda, infatti, una risalente, quanto determinate, pronuncia della Corte Costituzionale in merito: sentenza n. 25 del 1965, di cui si riporta un passaggio del Considerato in diritto (punto 3): ―La tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nell'esigenza che, attraverso l‘esercizio di essi non vengano sacrificati beni ugualmente garantiti dalla Costituzione…Né con ciò un bene viene sacrificato ad un altro, quando invece viene regolata, nella armonica tutela di diversi fondamentali interessi, la coesistenza di essi in un ben ordinato sistema di convivenza sociale‖. 143 ―l‘essenzialità‖, posta a presidio del contenuto minimo dei diritti contrapposti. Ciò premesso, può ora affrontarsi il tema del bilanciamento delle libertà on line alla luce della normativa che ha riguardato la tutela del diritto d‘autore e che, non solo ha comportato l‘arretrare del diritto di accesso alla Rete in quanto diritto non preminente, ma ha ridotto a tal punto il valore limitato da annullarlo definitivamente e senza riserve. Partiamo dalla querelle nata sulla legge Hadopi 1339. La prima versione della legge, fortemente voluta dal governo Sarkozy, istituiva un‘Autorità amministrativa indipendente a tutela delle opere protette dal diritto d‘autore. In prima stesura, all‘Haute Autoritè pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur internet era affidato il compito di monitorare il traffico on line dei contenuti scambiati dagli utenti della Rete attraverso la tecnologia peer to peer, al fine di ammonire l‘utente con una mail, laddove fosse stato riscontrato un presunto traffico illegale di materiale coperto da copyright (presunzione nata dalla semplice Ex multis, sentenza n. 86 del 1974, in cui la Corte si esprime in questi termini: ―La previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata ed illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall'esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione‖; ma anche, sentenza n. 11 del 1968: ―il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione è coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v‘è pubblico interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta costituzionale‖. 339 Loi n. 2009-1311 du 28 octobre 2009 relative à la protection pénale de la propriété littéraire et artistique sur internet, reperibile in http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021208046&date Texte=&categorieLien=id. Per i commenti alla legge, si veda N. LUCCHI, Le regole della comunicazione e dell‟informazione nell‟era di Internet, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 8, p. 858 ss.; per una indagine anche in senso comparatistico, S. ALVANINI, La disconnessione da Internet come sanzione per il download illegale, in Dir. industriale, 2010, 2, p. 176 ss.; P. PASSAGLIA, L‟accesso a Internet è un diritto (il Conseil Constitutionne dichiara l‟incostituzionalità di parte della c.d. “legge anti file-sharing”), in Foro it., IV, p. 472 ss.; O. POLLICINO – M. BELLEZZA, Tutela del Copyright e della privacy sul web: quid iuris?, in O. POLLICINO – A.M. MATTARO (a cura di), Tutela della privacy e protezione dei diritti di proprietà intellettuale in rete, Aracne, Roma, 2012, p. 15. 144 constatazione della quantità e della frequenza degli scambi di informazioni tra utenti). Se l‘utente, poi, avesse continuato a commettere le violazioni presunte, la pena irrogata dall‘Autorità sarebbe stata la sospensione del diritto di accesso alla Rete. Ora, una tale previsione tradisce almeno tre dei criteri che rendono un bilanciamento tra diritti quanto meno equilibrato: il primo, due grandezze differenti sono poste sul medesimo piano; il secondo, si oltrepassa la soglia del contenuto minimo del diritto, annullando l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero attraverso la disconnessione dalla Rete; il terzo, un diritto fondamentale, come la libertà di pensiero, non viene tutelato e limitato da un organo terzo e imparziale, che svolge la funzione giurisdizionale, ma da un‘Autorità amministrativa, di cui si dubita da anni nella dottrina italiana, la stessa indipendenza dal potere esecutivo340. Certo, la garanzia della riserva di giurisdizione, che tutela in modo pregnante talune libertà costituzionali nella nostra Carta Costituzionale, non può ergersi a garanzia da pretendersi anche in altri sistemi costituzionali, o nell‘ordinamento comunitario o internazionale. Ciò non toglie, però, che il Conseil Constitutionnel abbia ritenuto di censurare talune norme della legge presentata dal Parlamento, proprio in ragione della violazione delle diverse garanzie rispetto alla libertà di pensiero, considerate eccedenti la discrezionalità legislativa, sproporzionate e irragionevolmente limitative della libertà in questione. 340 Per una bibliografia di massima sul tema, si vedano G. GRASSO, Le Autorità amministrative indipendenti della Repubblica. Tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Giuffrè, Milano 2006; G. DE MINICO, Le Autorità Indipendenti nella prospettiva della “democrazia Maggioritaria”, in ASTRID, Studi, note e commenti sulla riforma della seconda parte della Costituzione, in http://www.astridonline.it/FORUM--Le-/Commenti-a/ASTRID---S/DE-MINICO-AI-e-2544.pdf; F. LUCIANI (a cura di), Le autorità indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia, ESI, 2011; A. VALASTRO, Le Autorità Indipendenti in cerca di interlocutore, ESI, 2008; M. MANETTI, Le autorità indipendenti, Laterza, 2007; M. CUNIBERTI, Autorità indipendenti e libertà costituzionali, Giuffrè, 2007. 145 Infatti, il Conseil, con decisione n. 2009-580 DC341, si è espresso nel senso dell‘illegittimità della decisione di affidare a un‘Autorità l‘applicazione di sanzioni che incidono in maniera determinante su un diritto fondamentale, in conseguenza della violazione del più generale principio della separazione dei poteri, a prescindere dalle garanzie espressamente previste in Costituzione: ―Considérant que les pouvoirs de sanction institués par les dispositions critiquées habilitent la commission de protection des droits, qui n'est pas une juridiction, à restreindre ou à empêcher l'accès à internet de titulaires d'abonnement ainsi que des personnes qu'ils en font bénéficier; que la compétence reconnue à cette autorité administrative n'est pas limitée à une catégorie particulière de personnes mais s'étend à la totalité de la population; que ses pouvoirs 341 Il testo della sentenza è reperibile alla pagina http://www.conseilconstitutionnel.fr/decision/2009/2009-580-dc/decision-n-2009-580-dc-du-10-juin2009.42666.html-. Per i commenti alla sentenza, si vedano F. CHALTIEL, La loi Hadopi devant le Conseil Constitutionnel, in Les Pet. Aff., n. 125, 2009, p. 7; A. GAUTRON, La “réponse graduée” (à nouveau) épinglée par le Conseil constitutionnel. Ou la délicate adéquation des moyens aux fins, in Rev. Lamy. Dr. Immatériel, n. 51, 2009, p. 63; M. VERPEAUX, La liberté de communication avant tout. La censure de la loi Hadopi 1 par le Conseil constitutionnel, in Sem. Jur. Éd Gen., n. 39, 2009, p. 45. Nella dottrina italiana, E. BERTOLINI, La lotta al file sharing illegale e la “dottrina Sarkozy” nel quadro comparato: quali prospettive per libertà di espressione e privacy nella rete globale?, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 1, 2010, p. 74 ss.; T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 12-13.; B. CAROTTI, L‟accesso alla Rete e tutela dei diritti fondamentali, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 6, p. 643 ss. Sul diritto di accesso alla Rete, non può mancare il riferimento alla sentenza della Sala Constitucional della Corte Suprema del Costa Rica, n. 12790 del 30 luglio 2010, in http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=exp%3A%2009-013141-0007co%20res.%20n%C2%BA%202010012790%20sala%20constitucional%20de%20la%20 corte%20suprema%20de%20justicia&source=web&cd=1&ved=0CDIQFjAA&url=http %3A%2F%2Fpaniamor.org%2F_literature_53334%2FAcceso_a_Internet_como_Derec ho_Fundamental&ei=K0NEUfiYB8iKswazl4C4BQ&usg=AFQjCNHELgcvT8tXAwtpGcf wxkpTvjGnzw&bvm=bv.43828540,d.Yms&cad=rjt, in cui la Corte qualifica il diritto di accesso a Internet come diritto fondamentale. Per una disamina dei suddetti approdi giurisprudenziali, pur in un‘ottica cauta nella definizione dell‘accesso come diritto fondamentale e per la proposta di una più certa qualificazione dello stesso come servizio pubblico, si veda P. PASSAGLIA, Diritto di accesso a Internet e giustizia costituzionale. Una (preliminare) indagine comparata, in M. PIETRANGELO (a cura di), Il diritto di accesso ad Internet, Atti della tavola rotonda svolta nell‟ambito dell‟IGF Italia 2010, Roma, 30 novembre, 2010, ESI, 2011, spec. p. 59-88. 146 peuvent conduire à restreindre l'exercice, par toute personne, de son droit de s'exprimer et de communiquer librement, notamment depuis son domicile; que, dans ces conditions, eu égard à la nature de la liberté garantie par l'article 11 de la Déclaration de 1789, le législateur ne pouvait, quelles que soient les garanties encadrant le prononcé des sanctions, confier de tels pouvoirs à une autorité administrative dans le but de protéger les droits des titulaires du droit d'auteur et de droits voisins‖342. Sembra, dunque, particolarmente rilevante la decisione in commento, proprio perché, pur non essendo espressamente prevista nella Costituzione francese una riserva di giurisdizione a tutela della libertà di pensiero, il Conseil la considera, comunque, una necessaria forma di garanzia a tutela dell‘interesse in gioco. Peraltro, va sottolineato che a garanzia delle libertà fondamentali, nella Carta di Nizza, così come nella Carta europea dei diritti dell‘uomo e del cittadino, vien posta la più lieve forma di protezione del due process343, del giusto processo che sia caratterizzato dal contradditorio tra le parti e che, dunque, consenta al soggetto leso, non solo di ottenere le motivazioni che spingono il giudice o l‘Autorità344 ad agire in senso repressivo, ma 342 Conseil Constitutionnel, decisione n. 2009-580 DC, punto 16. Sul tema, si veda V. VIGORITI, Due process of law (voce), in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1991. 344 Sia nell‘art. 47 della Carta di Nizza, sia nell‘art. 6 della Cedu si fa riferimento a un‘Autorità imparziale, espressamente ―independent and impartial tribunal established by law‖. D‘altra parte, l‘art. 11 della Carta di Nizza prevede: ―Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati‖. L‘interpretazione della norma non va nel senso di un‘implicita riserva di giurisdizione a tutela della libertà, anche se il Parlamento Europeo si era espresso proprio in tal senso, nel parere reso in prima lettura alla Direttiva 2009/140/CE. Nel documento europeo, infatti, il Parlamento Europeo, si era così espresso per una modifica dell‘art. 1, Direttiva Quadro 2009/140/CE, comma III bis: ―applicando il principio in base al quale non possono essere imposte limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali degli utenti finali, in mancanza di una decisione preliminare dell'autorità giudiziaria, in particolare in conformità dell‘articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione europea sulla libertà di espressione e di informazione, ad eccezione del caso in cui vi sia una minaccia per la sicurezza pubblica e l'intervento dell'autorità giudiziaria sia successivo‖. Va detto, 343 147 anche a partecipare attivamente al procedimento e a seguire l‘iter logico che conduce alla definizione della scelta definitiva. In verità, il Conseil lamenta anche la violazione del due process, dal punto di vista sia processuale345 che sostanziale346 e, conseguentemente, censura la previsione legislativa anche perché dettata in ragione di una sproporzione evidente. Infatti, la Corte francese così si esprime: ―Considérant qu‘aux termes de l'article 34 de la Constitution: "La loi fixe les règles concernant...les droits civiques et les garanties fondamentales accordées aux citoyens pour però, che la Direttiva 2009/140/CE, all‘art. 1 non ha colto l‘acuta osservazione del Parlamento Europeo e l‘accesso alle reti di comunicazione elettronica resta subordinato a garanzie più lievi rispetto all‘assoluta riserva di giurisdizione: ―Qualunque provvedimento di questo tipo riguardante l‘accesso o l‘uso di servizi e applicazioni attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, che ostacolasse tali diritti o libertà fondamentali può essere imposto soltanto se appropriato, proporzionato e necessario nel contesto di una società democratica e la sua attuazione dev‘essere oggetto di adeguate garanzie procedurali conformemente alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali e ai principi generali del diritto comunitario, inclusi un‘efficace tutela giurisdizionale e un giusto processo. Tali provvedimenti possono di conseguenza essere adottati soltanto nel rispetto del principio della presunzione d‘innocenza e del diritto alla privacy. Dev‘essere garantita una procedura preliminare equa ed imparziale, compresi il diritto della persona o delle persone interessate di essere ascoltate, fatta salva la necessità di presupposti e regimi procedurali appropriati in casi di urgenza debitamente accertata conformemente alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali. Dev‘essere garantito il diritto ad un controllo giurisdizionale efficace e tempestivo‖. Gli esempi di come l‘ordinamento comunitario abbia, per certi versi, equiparato la funzione giurisdizionale a quella di qualunque Autorità amministrativa indipendente sono rinvenibili anche nella stessa Direttiva sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE), spec. agli artt. 12, III comma, 13, I comma lett e), II comma e 14, III comma. 345 V. VIGORITI, Due process of law, cit., in questi termini: ―Il contenuto precettivo della norma varia secondo le particolarità delle situazioni controverse e le differenze strutturali dei procedimenti. L‘assunto di base, comune a tutti, è che la clausola vale come garanzia di un processo corretto (fair trial) e che è tale solo un processo «adversary» (informato al principio accusatorio e a quello dispositivo) che assicuri alle parti la possibilità del contraddittorio. Di qui la costituzionalizzazione e l‘inserimento nel due process di tutta una serie di diritti processuali, riguardanti tutte le fasi del procedimento, dall'inizio alla fine‖. 346 Ivi. L‘Autore, nel proporre la disamina della giurisprudenza americana sul tema, fa riferimento al contenuto sostanziale del due process, come momento in cui la Suprema Corte valuta la ragionevolezza delle scelte legislative, allontanandosi dalla mera valutazione della legittimità della norma e entrando nei confini propri del merito legislativo, specie con l‘ausilio del criterio della ragionevolezza, che di per sé oltrepassa quei confini orientando la Corte nella scelta tra le soluzioni non solo legittime, ma, inevitabilmente, più opportune. 148 l‘exercice des libertés publiques"; que, sur ce fondement, il est loisible au législateur d‘édicter des règles de nature à concilier la poursuite de l‘objectif de lutte contre les pratiques de contrefaçon sur internet avec l‘exercice du droit de libre communication et de la liberté de parler, écrire et imprimer; que, toutefois, la liberté d'expression et de communication est d'autant plus précieuse que son exercice est une condition de la démocratie et l'une des garanties du respect des autres droits et libertés; que les atteintes portées à l‘exercice de cette liberté doivent être nécessaires, adaptées et proportionnées à l‘objectif poursuivi‖347. In sostanza, pur considerando la proprietà intellettuale come una proiezione della proprietà materiale, la quale riveste il ruolo di diritto fondamentale nella Costituzione francese, il bilanciamento operato dal legislatore non può reggere, in quanto l‘informazione è bene prezioso, perché momento pregiudiziale all‘esercizio delle altre libertà. Dunque, una tale compressione della stessa, specie se riferita al mezzo di comunicazione che meglio rappresenta oggi lo strumento attraverso il quale la libertà può effettivamente essere esercitata non può che soccombere di fronte alla declaratoria di incostituzionalità. Le norme censurate sconfinano ogni criterio, nazionale, comunitario e internazionale di un equilibrato bilanciamento di valori, che si assesta su parametri di irragionevolezza e sproporzione. Va detto che il legislatore francese è tornato sul testo di legge, modificandolo in ragione delle censure del Conseil. La legge c.d. Hadopi 2348 prevede che il potere sanzionatorio sia delegato all‘autorità giudiziaria; inoltre, sparisce il singolo avvertimento sulla base della presunzione, il quale viene sostituito dalla struttura del procedimento a tre fasi: l‘utente 347 Conseil Constitutionnel, decisione n. 2009-580 DC, punto 15 (corsivo nostro). Loi n° 2009-1311 du 28 octobre 2009 relative à la protection pénale de la propriété littéraire et artistique sur internet, reperibile alla pagina del sito ufficiale http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021208046&date Texte=&categorieLien=id. 348 149 sospettato di download illegale riceve due avvertimenti (il primo tramite email, il secondo tramite raccomandata) e, al terzo richiamo, viene invitato a comparire in udienza dinanzi a un giudice, il quale non deve, ma può decidere di applicare la pena della disconnessione dalla rete Internet o di comminare la meno invasiva pena pecuniaria. Ora, non c‘è dubbio che la normativa risulti più compatibile con la Costituzione francese, ma la domanda che ci si pone è: è sufficiente questo intervento? In altre parole, c‘è un aspetto che ancora non risulta chiaro al giurista che si occupa della materia dell‘informazione? Ecco che si ritorna al discorso dell‘accesso alla Rete. A parere di chi scrive, infatti, la nuova normativa, approvata in via definitiva nel 2010 dal Parlamento francese, ancora non soddisfa le garanzie minime del costituzionalismo, perché comunque lascia al giudice la possibilità di scegliere l‘opzione della disconnessione dalla Rete, seppur temporanea. Ma se, come sopra sostenuto, l‘accesso è requisito minimo, momento indefettibile dell‘esercizio della libertà di pensiero, preliminare e necessario per il completo soddisfacimento del diritto riconosciuto a livello nazionale, comunitario e internazionale, può esso stesso essere annullato? Può essere compresso del tutto? O siamo ancora di fronte a una sproporzione, a un bilanciamento che ancora non coglie l‘essenza del significato proprio della ragionevolezza? Sembra potersi sostenere, infatti, che la disconnessione dalla Rete è, in ogni caso, sanzione eccessiva rispetto alla tutela della proprietà intellettuale per almeno due ordini di motivi: il primo sta nel piegare le logiche della libertà fondamentale alla tutela di un diritto economico349, che, se violato, dovrebbe comportare una pena pecuniaria (come, infatti, in parte è In questo senso, si veda G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, in www.costituzionalismo.it, 22 luglio 2011. Sul tema del rapporto tra diritto d‘autore e libertà di espressione, si veda da ultimo O. POLLICINO, Tutela del diritto d‟autore e protezione della libertà di espressione in chiave comparata. Quale equilibrio su Internet?, in F. PIZZETTI (a cura di), I diritti “nella Rete” della Rete. Il caso del diritto d‟autore, Giappichelli, 2011, p. 97-122. 349 150 previsto); il secondo, come sopra sottolineato, sta nel porre sullo stesso piano grandezze diverse e scegliere di garantire una sola delle stesse, in ragione di una sua presupposta e imposta preminenza, riducendo l‘altra a una figura invisibile, a un diritto-fantasma. In questo modo, il contenuto minimo non risulta più limite alla regolazione del legislatore, non è più stabile certezza del cittadino. La questione, in realtà, non si è proposta solo per la Francia. Il Regolatore italiano, l‘AGCom, non è stato molto più attento al rispetto dei valori costituzionali sensibili che, invece, dovrebbe tutelare e custodire. Il primo intervento sul tema da parte dell‘Autorità per le garanzie nelle comunicazioni giunge nel 2010, con l‘allegato B alla delibera 668/10/CONS350. Nel documento, l‘Autorità propone l‘introduzione di un procedimento, anch‘esso per gradi, che possa prevenire e sanzionare le violazioni del diritto d‘autore intervenute nel web. Le fasi si articolavano in questi termini: I. Segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo. II. In caso di mancata rimozione del materiale, segnalazione all‘Autorità. III. Verifica dell‘Autorità in contraddittorio con le parti. IV. Adozione da parte dell‘Autorità del provvedimento di ordine alla rimozione. V. Monitoraggio successivo del rispetto dell‘ordine e applicazione di sanzioni in caso di reiterata inottemperanza. Il testo dell‘allegato alla delibera è reperibile alla pagina http://www.agcom.it/Default.aspx?DocID=5415. Sui poteri dell‘Autorità in materia di diritto d‘autore, in dottrina si veda M. OROFINO, Una vicenda di rilevante interesse costituzionale che coinvolge l‟AGCOM in materia di diritto d‟autore. Come andrà a finire?, in http://www.astrid-online.it/Libert--di/Studi-ric/Orofino--Una-vicenda-di-rilevante-interesse-costituzionaleche-coinvolge-l-AGCOMin-mat.pdf; A. PIROZZOLI, L‟iniziativa dell‟AGCom sul diritto d‟autore nelle reti di comunicazione elettronica, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2 del 2011, del 28-06-2011. 350 151 Nei casi, poi, in cui il solo fine del sito fosse la diffusione di contenuti illeciti sotto il profilo del rispetto del diritto d‘autore, o i cui server fossero localizzati al di fuori dei confini nazionali, l‘Autorità, previa segnalazione delle parti interessate, avrebbe potuto avviare un procedimento in contraddittorio, affinché tutti i contenuti illeciti fossero cancellati. A tal fine, si ipotizzavano, in via alternativa, due possibili modelli: - predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione degli internet service provider; - possibilità, in casi estremi e previo contraddittorio, dell‘inibizione del nome del sito web, ovvero dell‘indirizzo IP. In sostanza, una scarsa differenza con la legge francese censurata dal Conseil. Scarsa, se non si considera che, mentre la Costituzione francese non prevede espressamente la riserva di giurisdizione per l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, la nostra Costituzione è più strettamente garantista a riguardo; particolare, però, che sfugge all‘Autorità. Peraltro, come acutamente evidenziato351, le sfugge anche in seconda battuta, con l‘emanazione dell‘allegato A della delibera 398/11/CONS352 (Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d‘autore sulle reti di comunicazione elettronica), intervenuto a seguito delle diverse obiezioni poste dagli studiosi del tema e dal popolo della Rete. In quest‘ultimo documento, infatti, l‘Autorità non esclude il suo intervento, anzi, lo ritiene utilizzabile dal privato, a prescindere dalla possibilità, da parte del cittadino, di adire il giudice per la lesione di un diritto fondamentale. Come se Sul punto, G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, cit. Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Delibera 398/11/CONS, All. A, in http://www.agcom.it/Default.aspx?message=visualizzadocument&DocID=6694. Sulle modifiche intervenute sulla prima delibera dell‘AGCom, si veda anche la valutazione positiva di C. CALABRÒ, Audizione al Senato della Repubblica, VII Commissione (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport), VIII Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni), 21 marzo 2012, “Aggiornamento problematiche emerse nel settore internet in materia di diritto d‟autore”. Il testo dell‘Audizione è reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=8334. Per un ulteriore parere in merito, si veda V. ONIDA, reperibile in http://www.key4biz.it/files/000191/00019143.pdf. 351 352 152 un‘Autorità amministrativa indipendente potesse cancellare la riserva di giurisdizione prevista nell‘art. 21 Cost. o, più in generale, l‘art. 24 Cost., che tutela la difesa o, ancora, l‘art. 25 Cost. che, al primo comma, assicura al cittadino il giudizio dinanzi a un giudice naturale precostituito per legge. Va detto, però, che nello schema di regolamento viene scongiurata l‘ipotesi di un‘inibizione dell‘indirizzo IP, altra modalità di incidere sul diritto di accesso alla rete e sulla libertà di informazione, anche se meno incisiva di quella introdotta dalla legge Hadopi 1. Alla luce delle osservazioni poste, emerge indubbiamente un susseguirsi convulso di tentativi di mettere mano alla regolazione della Rete, che, ancora una volta, sono la risultanza della grande difficoltà che i regolatori nazionali e internazionali incontrano nella valutazione della rivoluzione epocale che la Rete ha importato nelle piccole realtà nazionali. In questo quadro normativo, però, non può non farsi riferimento alle diverse garanzie poste a tutela del cittadino, che restano le forti e consolidate certezze del costituzionalismo e che evolvono, in relazione al progredire della società e delle forme di espressione della personalità. Così, il diritto di accesso alla Rete assurge, nel ragionamento di chi scrive, a diritto strumentale e necessario, direttamente derivante dall‘art. 21 Cost., a contenuto minimo di questa libertà, indefettibile, irrinunciabile, così come – e forse ancora in maggior misura – la Corte Costituzionale ebbe modo di qualificarlo con riferimento al mezzo radiotelevisivo. 2.2. Il diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata Da quanto affermato finora non si può non dissentire con chi paventa la necessità di una modifica costituzionale per l‘ingresso del diritto di accesso alla Rete nel catalogo dei diritti fondamentali fissati nella Carta. 153 Infatti, a questo punto della trattazione è quasi superfluo sostenere che il diritto di accesso alla Rete sia già scritto in Costituzione, perché espressione della fisiologica evoluzione del diritto alla libera manifestazione del pensiero353. Però, la questione non è tutta qui. Il diritto di accesso ai contenuti, cui finora si è dato spazio, lascia il passo al diritto di accesso alla Rete, che assume un significato diverso, non più inteso come strumento di accesso a una libertà, ma come mezzo per l‘esercizio di diverse libertà fondamentali garantite in Costituzione. Il fatto che l‘accesso a Internet veloce permetterebbe a tutti di usufruire nella stessa misura delle medesime quantità e qualità di servizi di ogni tipo, offerti dalla Rete, ha fatto sì che nascesse il comune sentimento di scrivere in modo chiaro in Costituzione che il diritto a Internet veloce è 353 Si tenga presente che la ricostruzione del diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale, che implica la messa a disposizione di infrastrutture tali da garantire a tutti di godere dei servizi resi on line, sia da parte degli operatori di rete privati, sia da parte delle Amministrazioni pubbliche, verrà trattato nel paragrafo successivo. Corre l‘obbligo, però, di citare, già in questa sede, la dottrina che sostiene una lettura evolutiva dell‘art. 21 Cost., riconoscendo nella Rete lo strumento indispensabile alla realizzazione della libertà in parola, ma non ritiene configurabile un diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale, a meno di un esplicito intervento nella Carta Costituzionale e, contestualmente, di una normativa che imponga a soggetti pubblici e/o privati un‘obbligazione di prestazione. In questo senso, P. COSTANZO, Miti e realtà dell‟accesso a Internet (una prospettiva costituzionalistica), in P. CARETTI (a cura di), Studi in memoria di Paolo Barile, Passigli, Firenze, 2012, anche reperibile in http://www.giurcost.org/studi/Costanzo15.pdf. Vien fatto salva, però, dall‘Autore, ―l‘attrazione del diritto di accesso ad internet anche nella dimensione costituzionale‖, come conseguenza dell‘esistenza degli obblighi di prestazione già previsti dal Codice dell‘Amministrazione digitale, attrazione, però, che resta ―ben al di là di quanto la sua configurazione nei termini di uno strumento liberamente utilizzabile per un esercizio sostanziale di determinati diritti costituzionalmente tutelati consente già…di concepire‖. Sulla necessità di distinguere tra un diritto di accesso ai contenuti e un diritto di accesso alla Rete, si veda M. PIETRANGELO, Introduzione. Il diritto di accesso ad Internet a mezzo secolo della nascita di Internet. Stato dell‟arte e prospettive, in M. PIETRANGELO (a cura di), Il diritto di accesso ad Internet, cit., p. 11-21; Ivi, A. VALASTRO, Le garanzie di effettività del diritto di accesso ad Internet e la timidezza del Legislatore italiano, spec. p. 52 e P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo diritto sociale?, Relazione al Convegno annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖, “I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno 2012, reperibile in http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2012/05/trapanitanzarella.pdf, che attribuisce solo al primo aspetto effettiva copertura costituzionale. 154 proprio di tutti, in ragione del fatto che l‘esclusione dalla vita digitale diventa, oggi, inevitabilmente, una forma evidente di discriminazione. Per quanto attiene all‘Italia, la questione trova origine nella proposta di S. Rodotà354, confluita in un ddl costituzionale, avente a oggetto l‘aggiunta di un articolo alla Costituzione italiana, il 21 bis, che così avrebbe recitato: ―Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale‖355. Ma l‘Italia non è la sola. Anzi, a fronte della proposta italiana, non confluita poi in una modifica costituzionale, esistono diverse realtà in cui Internet è diventato un diritto costituzionale. In diversi Paesi, infatti, l‘esplosione della tecnologia e il timore che questa occasione di crescita per tutti potesse, invece, rappresentare una nuovo incolmabile divario, hanno smosso la coscienza del legislatore e spinto all‘introduzione chiara e decisa della norma che riconosce il nuovo diritto. Si pensi alla Grecia, all‘Islanda, ai Paesi latinoamericani (Honduras, Venezuela, Ecuador), o ancora, Estonia, Spagna, Finlandia356: questi Paesi La proposta fu presentata all‘Internet Governance Forum, nel novembre 2010. Si veda a riguardo il programma presentato in http://www.igf-italia.it/igfitalia10/programma. Il lavoro scientifico di riferimento è, invece, S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit. Nel senso di una modifica costituzionale, anche G. AZZARITI, Internet e Costituzione, cit. 355 Disegno di legge costituzionale, A.S. n. 2485, XVI Leg., ―Introduzione dell‘art. 21 bis della Costituzione, recante disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso a Internet‖, assegnato alla I Commissione Affari Costituzionali il giorno 1 febbraio 2011. Il testo del ddl e la relazione di accompagnamento, sono reperibili in http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=005191 14&part=doc_dc&parse=no. Nello stesso senso, ma per la modifica dell‘art. 21 Cost., si veda A.S. n. 2922, XVI Leg., recante ―Modiche all‘art. 21 della Costituzione in materia di istituzione del diritto di accesso alle reti telematiche‖. La relativa documentazione è anche reperibile in http://www.astrid-online.it/Regolazion1/TLC---NGN/Atti-parla/AS2922.pdf. Per una rassegna stampa in merito, si veda J.C. DE MARTIN, Qui ci vuole una Costituzione dei diritti digitali, in La Stampa, 13-09-2012. 356 Per una rassegna stampa, M.S. NATALE, Una Costituzione approvata in Rete in Islanda nasce la democrazia digitale, in Corriere della Sera, 22-10-2012; Il Perù dichiara Internet diritto di tutti, in http://mag.wired.it/svegliaitalia/2011/05/03/internetin-peru-e-un-diritto-di-tutti.html; In Islanda la prima Costituzione scritta dai cittadini, in http://www.treccani.it/enciclopedia/percorsi/scienze_naturali_e_matematiche/costituzion 354 155 hanno tradotto in norma giuridica il diritto alla banda larga, al fine di spalancare le porte delle garanzie alla Rete e ai diritti digitali e non lasciare adito e spazio a dubbi di sorta. Ma, questo ragionamento, di certo apprezzabile nella misura in cui denota una particolare attenzione e sensibilità nel riconoscere nella Rete lo strumento indispensabile per garantire diritti e progresso, può valere anche per una Costituzione come la nostra? Cosa manca alla nostra Carta? Quale cambiamento giustifica una revisione così incisiva e determinante? Il nome ―Internet‖ in Costituzione e il ―diritto di accesso‖ non sono già desumibili dall‘intero tessuto costituzionale? La presa di posizione in questo scritto è piuttosto chiara e già velocemente presentata in tema di governance. Il titolo di questo paragrafo, infatti, vuole solo essere una provocazione e, come tutte le provocazioni, muove nuove domande: posto che, se si considera il diritto di accesso come strumento di realizzazione del 21 Cost., non risulta affatto necessario intervenire con una revisione della Carta, ciò vale anche se si fa riferimento al diritto di accesso come diritto a Internet veloce? Come ―nuovo‖ diritto sociale? Nonostante l‘apparente semplicità nella risposta, la domanda non è di poco conto e implica, perciò, una riflessione più approfondita sul tema. Solo al termine della stessa, infatti, potrà affermarsi, con una ragionevole certezza, che il diritto di accesso vive già, a Costituzione invariata. e_islanda.html/; G. MICELI, Internet si fa legge. Crescono i Paesi in cui Internet è un diritto costituzionale, in http://www.lettera43.it/tecnologia/web/internet-si-falegge_4367550486.htm; P. LICATA, Osce: “Internet diventi un diritto costituzionale”, in Corriere delle Comunicazioni, 13 novembre 2012. Si tenga presente che la Grecia, l‘Islanda e i Paesi latinoamericani (Honduras, Venezuela, Ecuador) hanno modificato in tal senso la propria Carta Costituzionale. Diversamente, un‘introduzione legislativa volta a garantire ai cittadini una determinata quantità di banda è stata la scelta di Estonia, Spagna e Finlandia. 156 3. L‟accesso a Internet come “nuovo diritto sociale” Per comprendere se e in che termini può giungersi alla qualificazione del diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale, è necessario un preliminare passaggio sul concetto di nuovo diritto e su quali siano i limiti ai diritti sociali, anche alla luce della modifica costituzionale dell‘art. 81 Cost. e della sempre più penetrante influenza dell‘ordinamento comunitario, specie a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona. Sembra imprescindibile prendere le mosse dall‘annosa querelle sulla clausola ―diritti fondamentali‖ presente all‘art. 2 Cost. Infatti, già la scelta tra l‘interpretazione della norma in senso ricognitivo o in senso ampliativo è momento pregiudiziale ad ammettere la possibilità di leggere, a carte ferme, nuovi diritti nella Carta Costituzionale. In verità, altro aspetto che si mostra indispensabile e preliminare alla trattazione in oggetto è l‘attenzione che il Costituente pose sulle ―formazioni sociali‖, il cui inserimento nella Carta mostra il frutto del compromesso raggiunto dalle sinistre a fronte della proclamazione del principio personalista, fortemente voluto dalla componente cattolico-liberale che animava l‘Assemblea Costituente. Il concetto di formazione sociale assume, infatti, un rilievo essenziale, tanto quanto quello di garanzia dei diritti del singolo individuo. D‘altra parte, l‘uomo non vive isolato, anzi, i suoi diritti fondamentali sono spesso meglio e più compiutamente esercitati nelle diverse forme di aggregazione che la società offre. In altre parole, la condivisione, lo scambio, il confronto e l‘esercizio reciproco delle diverse libertà non possono che implementare il più intimo significato dei diritti di ognuno e l‘effetto benefico per l‘intera società, aspetto questo, tenuto presente in sede di scrittura dell‘art. 2 Cost. Si pensi alle parole dell‘on. La Pira, che sostenne la ragione di tale intima connessione: ―il sistema integrale dei diritti della persona esige, per essere davvero integrale, che vengano riconosciuti e protetti [...] anche i 157 diritti essenziali delle comunità naturali, attraverso le quali gradualmente si svolge la personalità umana: i diritti del singolo vanno integrati con quelli della famiglia, della comunità professionale, religiosa, locale e così via‖357. D‘altra parte, anche l‘azione delle sinistre in questa fase della scelta fu determinante per ottenere la scrittura di un articolo che non fosse solo carico di tensioni ideologiche ma che pervenisse a ―conclusioni politicamente e socialmente concrete‖358. Lo stesso on. Basso, infatti, sostenne in Assemblea che la persona non potesse essere concepita ―che in funzione di una società più o meno organizzata‖359, nella quale si esplicano le relazioni di carattere materiale e spirituale di cui l‘uomo vive. Al singolo, in altre parole, va riconosciuta una ―necessaria socialità‖360. Il concetto di ―formazioni sociali‖ è stato oggetto di attento studio da parte della dottrina361, impegnata nel valutare se andasse letto in 357 Seduta del 9 settembre 1946, in Assemblea Costituente, Prima sottocommissione, p. 14 ss. Il resoconto stenografico della seduta è reperibile alla pagina http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na v. 358 Si veda, l‘intervento dell‘onorevole Togliatti. Sempre in http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na v, p. 17-18. 359 Seduta del 10 settembre 1946, Assemblea Costituente, Prima sottocommissione, p. 24-25, Intervento dell‘On. Basso. Il testo è reperibile alla pagina http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed004/sed004.pdf. 360 Seduta del 9 settembre 1946, in Assemblea Costituente, Prima sottocommissione, intervento dell‘on. Dossetti. Il resoconto stenografico della seduta è reperibile alla pagina http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na v. Doveroso il richiamo alle parole dell‘on. A. Moro, Seduta del 13 marzo 1947: ―uno Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell'uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l'autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità‖, in http://www.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/Assemblea/sed060/sed060.pdf, Resoconto stenografico della seduta, p. 2039 ss. 361 Per una disamina completa sul punto, si vedano A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 101-121; E. ROSSI, Art. 2, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, 2006. 158 Costituzione un favor per le sole formazioni che avessero la capacità di favorire effettivamente lo sviluppo della personalità umana, valorizzando così l‘interpretazione teleologica dell‘art. 2 Cost. o, invece, se andassero tutte tutelate proprio in ragione del dettato costituzionale, a prescindere dalla possibilità per il legislatore di vietare talune forme di aggregazione. Ma quel che qui interessa è la ratio sottesa a una scelta così determinante, identificata dalla dottrina ―nelle finalità riconosciute alle formazioni sociali di favorire la socialità della persona, il suo inserimento nel contesto sociale mediante una rete di relazioni che ne consenta la partecipazione alla vita collettiva e quindi la sua piena realizzazione: per dirla con le parole di Rescigno, il riconoscimento delle formazioni sociali tende ad offrire una risposta alle ragioni opposte di angoscia in cui si muove la condizione umana, sospesa tra la paura dello Stato e il deserto della solitudine‖362. Tale riferimento non è solo enunciativo di un corposo dibattito sul tema. Esso già apre alla problematica sull‘accesso a Internet che qui ci accingiamo a trattare come nuovo diritto sociale. L‘individuo che accede alla Rete e trova nelle diverse forme di aggregazione on line uno spazio, ancorché virtuale, in cui agire ed esercitare i diversi diritti fondamentali tradizionalmente riconosciuti, non sta forse ―svolgendo la sua personalità‖, così come previsto e garantito dall‘art. 2 Cost., ancorché nelle nuove forme suggerite e presentate dall‘evoluzione tecnologica? Se svolgere la propria personalità significa esercitare i propri diritti all‘interno della società, perché luogo primo e fondamentale in cui le libertà hanno ragione d‘essere tutelate, non va forse qualificata quella virtuale come nuova forma di società e, in quanto tale, garantita? Così, E. ROSSI, Art. 2, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit. 362 159 A parere di chi scrive, è già dalla lettera dell‘art. 2, che nasce il riferimento implicito alla Rete, perché conseguenza di un‘interpretazione evolutiva, che non si ferma sull‘uscio della porta del tempo, ma la attraversa con una convinzione foriera della necessità di garantire al singolo i diritti che, nella società che evolve, diventano indispensabili per il compiuto svolgimento della propria personalità. Del resto, il problema era già nato con riferimento alla possibilità di riconoscere carattere di apertura o di chiusura alla clausola dell‘art. 2 Cost. in tema di diritti fondamentali. Dunque, una breve disamina della questione, diventa passaggio fondamentale per la trattazione. Le tesi che si contendono il campo sono due, ridotte poi a una posizione mediana dalla parte della dottrina363. In sostanza, si tratta di considerare l‘articolo in oggetto come fattispecie ―chiusa‖ o ―aperta‖, a seconda della considerazione che i diritti fondamentali, a cui la norma fa riferimento, siano solo quelli di volta in volta elencati in Costituzione – assumendo così la norma carattere riassuntivo – o che essi rappresentino, invece, il tessuto costituzionale fondamentale, che lascia aperto il riferimento ad altri diritti, nuovi, non espressamente previsti in Costituzione, ma comunque necessari per lo svolgersi della personalità dell‘uomo. Chi propende per la prima tesi ragiona, in verità, sulla possibilità di una pericolosa deriva della tesi opposta364, che potrebbe comportare, da un Per una critica a entrambe le teorie sull‘art. 2 Cost., si veda F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, p. 2-4, che definisce ―cieca‖ la teoria della fattispecie ―chiusa‖ e ―vuota di criteri e di contenuti giuridicamente accettabili‖ l‘altra. 364 In questo senso e, specie sul timore che un‘interpretazione diversa aprisse a inammissibili soggettivismi giurisprudenziali, si vedano P. GROSSI, Introduzione ad uno studio dei diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1972, p. 126 e 160; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, 3ª ed., Padova, 2003, p. 21 ss.; P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e Diritti sociali, Torino, 2005, p. 137 ss. Va detto, comunque, che chi sostiene la tesi del catalogo chiuso dei diritti fondamentali non esclude a priori un‘interpretazione estensiva delle singoli diritti riconosciuti in Costituzione. 363 160 lato la copertura costituzionale di diritti non tutelati dalla Costituzione ma riconosciuti da fonti di rango inferiore, dall‘altro il possibile conflitto con altri diritti presenti in Costituzione e la conseguenziale nascita di nuovi obblighi365, che farebbero da contraltare ai nuovi diritti ricavati dalla fattispecie aperta. Chi, in dottrina366, invece, ha ragionato in senso inverso ha trovato suffragio della propria tesi nella giurisprudenza della Corte Costituzionale367, la quale in diversi casi ha avuto modo di inquadrare e riconoscere diritti in apparenza ―nuovi‖, in quanto non espressi nel testo scritto della nostra Carta. D‘altra parte, i diritti fondamentali di cui all‘art. 2 Cost. sono da considerare, più che ―diritti‖, ―valori‖368, poiché essi ―assumono una Sul punto, si veda la critica di F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, cit., p. 4. 366 Così A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., spec. p. 65 e 102; A. PIZZORUSSO, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, Napoli, 1997, p. 213; L. BIGLIAZZI GERI, Impressioni sull‟identità personale, in Dir. inf. informatica, 1985, p. 572, secondo cui la clausola aperta dell‘art. 2 Cost. non intacca la rigidità della Costituzione ―perché appartiene al suo stesso tessuto connettivo‖. 367 Qui la giurisprudenza è ampia. Si pensi alla sentenza n. 561 del 1987, nella quale la Corte ha riconosciuto il diritto ―all‘identità sessuale‖, ritenendo che la sessualità sia uno degli essenziali modi di espressione della persona umana e ―il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire‖; si pensi ancora al ―diritto di abbandonare il proprio Paese‖, riconosciuto dalla Corte nella sentenza n. 278 del 1992; al ―diritto al nome‖, in quanto segno distintivo dell‘identità personale. Sul punto le sentenze n. 297 del 1996, n. 13 del 1994 e n. 120 del 2001. La Corte ha, in tutti questi casi, pur se non esplicitamente ammesso il carattere aperto della fattispecie dell‘art. 2 Cost., valutato se il parametro di costituzionalità che s‘intendeva violato avesse introdotto una nuova forma, un nuovo aspetto del diritto fondamentale. Si pensi, infatti, al diritto all‘ambiente, al diritto alla privacy, che sono la più chiara conseguenza del riconoscimento dei diritti di libertà di una società in continua evoluzione. 368 Sul punto, A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., p. 69, in questi termini: ―Occorre ricordare come un radicale filone di ricerca di spinge già verso la negazione dell‘esistenza nel nostro ordinamento di diritti di libertà, ritenuti espressione di dogmatiche non più adeguate a una realtà in evoluzione, prospettando le libertà più come ―valori‖ che come diritti e pervenendo alla conclusione che di esse ‗non è possibile parlare in modo significativo senza considerare l‘assetto complessivo dei poteri capaci di restringerle o tutelarle, il rapporto tra questi e le classi sociali e la distribuzione che tutto ciò determina, in seno alla società, non solo della libertà negativa, ma anche delle diverse forme in cui si articola la stessa libertà positiva‘‖. 365 161 valenza giuridica di tale essenzialità, da poter affermare che la stessa organizzazione di pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione‖369. Certo, propendere per la fattispecie aperta, presta il fianco a diverse problematiche, per esempio quali sono i campi370 e i valori cui può attingersi per colmare l‘ampio spazio lasciato a disposizione dall‘art. 2 Cost. Non è questa la sede per affrontare l‘ampia disamina sul tema, ma, va detto che chi ha sostenuto la tesi dell‘apertura, presto con il supporto della Corte Costituzionale, ha guardato con lungimiranza all‘insufficienza del catalogo costituzionale, non perché non basti di per sé, ma perché esso va letto inevitabilmente alla luce dell‘evolversi dei diversi bisogni. Le nuove umane esigenze, in altre parole, possono e devono pretendere le vecchie garanzie. Diversamente, si finirà per dar ragione a chi sostiene che la nostra Carta Costituzionale è vecchia, perché vive nel momento datato in cui fu scritta, mortificando così gli sforzi ricostruttivi e ideativi che in Assemblea Costituente furono compiuti per consegnare ai cittadini posteri una Carta destinata a durare, quanto meno nella sua parte prima, quella essenziale per i diritti di libertà. Le parole sono di G. AMATO, Libertà, (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, XXIV, 1974, p. 277. 369 Relazione predisposta in occasione dell‟incontro della delegazione della Corte Costituzionale con la il Tribunale costituzionale della Repubblica di Polonia, Varsavia, 30-31 marzo 2006, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU185_principi.pdf. 370 Secondo taluni, la categoria andrebbe aperta ai contenuti del diritto naturale. Si veda, in questo senso C. MORTATI, La Corte Costituzionale e i presupposti della sua vitalità, in Iustitia, 1949, p. 69 ss.; S. GALEOTTI, Garanzia costituzionale, in Enc. dir., XVIII, 1969, spec. 496-497; ID., La garanzia costituzionale. Presupposti e concetto, Giuffrè, Milano, 1950, p. 108. In senso opposto, P. BARILE – E. CHELI – S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, VIII edizione, Padova, 1998, p. 603. Parte della dottrina ha invece optato per una soluzione intimamente connessa all‘evolversi dei diritti in conseguenza dell‘evoluzione culturale e storica della società. In questo senso, P. RIDOLA, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. NANIA – P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, I, Torino, 2001, p. 54. 162 L‘ordinamento, in altre parole, non può non ―adeguarsi al nuovo universalismo dei diritti, non più fondato su basi giusnaturalistiche, ma su quelle di un costituzionalismo cooperativo, proiettato oltre i confini dello Stato nazione‖371. D‘altra parte, l‘opera del Giudice delle Leggi, che ha ricucito ciascuna delle nuove forme di espressione ai diversi diritti elencati in Costituzione e all‘art. 2 Cost., in ossequio a quel criterio interpretativo evolutivo evocato da parte della dottrina372, non ha riguardato solo le libertà negative, ma anche quelle positive e, dunque, i diritti sociali. È stato, in altre parole, liberato dalla Corte, ―quel potenziale rimasto complesso entro gli schemi angusti delle situazioni giuridiche soggettive‖373. Dunque, come si vede, che possa trarsi dalla Costituzione un nuovo diritto è cosa nota e pacifica, anche laddove esso sia un diritto sociale. Si pensi al caso del diritto all‘abitazione, che, come la Corte ha sostenuto ―indubbiamente…costituisce, per la sua fondamentale importanza per l‘individuo, un bene primario che deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge‖374. E, anche se la stessa Corte ha più volte evidenziato che esso, ―come ogni altro diritto sociale, è anche diritto che tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività‖ e che, dunque, ―solo il legislatore, misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere 371 P. RIDOLA, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, cit., p. 54. Il riferimento va a F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, cit., p. 4-5. 373 A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., p. 70. 374 La sentenza riportata è la n. 404 del 1988, ma non è l‘unica sul tema. Con la sentenza n. 217 del 1988, la Corte ha, infatti, statuito che il diritto all‘abitazione rientra tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione…In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all‘abitazione, contribuire a che la vita di ogni altra persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l‘immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso‖. 372 163 a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie espressivi di tali diritti fondamentali‖375, non viene meno l‘obbligo di garantirne l‘effettività. In altre parole, se sul quantum e sul quomodo il legislatore esercita la sua discrezionalità, sull‘an e sul quid egli non può consegnare ad altri il suo ruolo ed esimersi dall‘intervenire376. La stessa Corte ha affermato che il principio della c.d. ―riserva del possibile‖377, da cui si fa dipendere l‘attuazione dei diritti sociali, non può comunque mai significare una degradazione dalla tutela costituzionale a quella di fonte legislativa, perché necessario si rende sempre un ragionevole bilanciamento di interessi e beni di pari rango costituzionale – si aggiunge, ancorché non espressamente enucleati in Costituzione ma da essa 375 Si vedano le sentenze n. 252 del 1989 e n. 121 del 1996. Sul punto, chiare le considerazioni di F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, cit., spec. p. 65-72. In effetti, proprio con riferimento al diritto alla salute, la Corte si è espressa proprio in questi termini: ―la tutela del diritto alla salute non può subire condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone‖ e che ―le esigenze di finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana‖. (Sentenze n. 267 del 1998, n. 252 del 2001 e n. 309 del 1999). 377 Sulla problematica dei diritti sociali, di vedano per tutti, A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur., vol XI, Roma, 1989; F. POLITI, I diritti sociali, in R. NANIA – P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, vol. III, cit., p. 1019 ss.; ID., I diritti sociali quali diritti costituzionali fondamentali, in AA. VV., Alle frontiere del diritto costituzionale, Scritti in onore di Valerio Onida, Giuffrè, 2011, p. 1475-1505; Ivi, C. PINELLI, Dei diritti sociali e dell‟uguaglianza sostanziale. Vicende, Discorsi, Apprendimenti, p. 1429-1443; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Studi in onore di Manlio Mazziotti di Celso, Padova, 1995, p. 97 ss.; M. MAZZIOTTI, Diritti sociali, in Enc. dir., Milano, 1964, XII, p. 805 ss. Più recentemente, G. RAZZANO, Lo “statuto” costituzionale dei diritti sociali, Convegno annuale dell‟Associazione “Gruppo di Pisa”, “I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno 2012, in http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2012/05/trapanirazzano.pdf; S. SCAGLIARINI, Diritti Sociali nuovi e diritti sociali in fieri nella giurisprudenza costituzionale, in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/08/ScagliariniDEF.pdf; L. TRUCCO, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, Relazione al Convegno annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖ sul tema: ―I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza‖, Trapani, 8-9 giugno 2012, in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/09/TruccoDEF.pdf; A. D‘ALOIA, I diritti sociali nell‟attuale momento costituzionale, Relazione di sintesi al Convegno annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖ sul tema: ―I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza‖, Trapani, 8-9 giugno 2012, in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/12/DALOIADef.pdf. 376 164 desumibili –, bilanciamento che è e resta oggetto di sindacato da parte della Corte rispetto alle ―forme e all‘uso della discrezionalità legislativa‖378. Come dunque ben messo in luce dalla dottrina, il fondamento di un diritto sociale, anche di un diritto nuovo (quale quello all‘abitazione o, nel nostro caso, il diritto di accesso alla banda larga), ―non è di tipo semplicemente legale o legislativo, ma è propria dei diritti costituzionali e dei valori costituzionali. In altri termini, il fondamento della pretesa non sta nella legge che li rende eventualmente graduabili in concreto, ma nella Costituzione‖379. In sostanza, anche nel caso in esame, ci si trova di fronte a una pretesa a prestazione positiva, a prescindere da quanto possa essere reso in ragione della riserva del possibile. Ciò perché, volendo qualificare il diritto di accesso alla banda larga come diritto sociale380, in quanto strettamente strumentale all‘esercizio dei tradizionali diritti di libertà, non solo in forme inedite, ma ormai per certi 378 La sentenza a cui si fa riferimento nel testo è la n. 455 del 1990, il cui testo è reperibile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0455s-90.html. 379 F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, cit., p. 69. 380 In questo senso, ampiamente, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 128-193; T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 8, in questi termini: ―Il diritto di accesso a Internet è da considerarsi un diritto sociale, o meglio, una pretesa soggettiva a prestazione pubbliche‖. Concorde anche A. V ALASTRO, Le garanzie di effettività del diritto di accesso a Internet e la timidezza del legislatore italiano, cit., p. 45-57. Diversamente, invece, sull‘inopportunità di qualificare il diritto di accesso come nuovo diritto sociale, P. COSTANZO, Miti e realtà dell‟accesso a Internet (una prospettiva costituzionalistica), cit.; L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra retoriche globali e dimensione sociale, in Politica del diritto, XLII, 2012, p. 263-287. L‘Autore ritiene che non ci sia effetto utile nella qualificazione dell‘accesso come diritto sociale, in quanto, non immediatamente giustiziabile e sulla problematica in oggetto così si esprime: ―La regolazione positiva del legislatore appare insostituibile ed il diritto di accesso a Internet sembra concettualmente sovrapporsi all‘utilizzo della telefonia. Un innalzamento di tutela nell‘accesso ad Internet, pertanto, dovrebbe passare attraverso una disciplina normativa dei requisiti tecnici e delle condizioni di tale accesso, secondo le garanzie tipiche del servizio pubblico, senza necessità di scomodare i diritti umani‖. Nello stesso senso, si vedano P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo diritto sociale?, cit. L‘Autrice sostiene, a p. 19, che, tuttalpiù, potrebbe parlarsi di diritto sociale in progress, non riconoscendo oggi la possibilità di una qualificazione piena in termini di diritto all‘accesso; P. PASSAGLIA, Diritto di accesso a Internet e giustizia costituzionale. Una (preliminare) indagine comparata, cit. 165 versi, quasi esclusive (si pensi ai programmi di e-government, ai servizi che le Pubbliche amministrazioni rendono ormai solo via web), esso risulta una pretesa nei confronti dello Stato e, a nostro avviso, non potrebbe essere diversamente. Infatti, l‘art. 2 Cost., che abbiamo visto essere appiglio solido e necessario per inquadrare il nuovo diritto all‘accesso, va letto in combinato disposto con l‘art. 3, II comma della Costituzione381 e con l‘art. 117, II comma, lett. m) Cost.382. Da ciò discende che non basta sostenere che il diritto di accesso sia un nuovo diritto sociale e che, in quanto tale, il cittadino risulti creditore di prestazioni positive che nell‘an non possono subire una violazione. A parere di chi scrive, infatti, in questo caso, il legislatore risulta anche obbligato nel quantum, almeno per la quantità di banda che riesca a soddisfare in modo eguale i livelli essenziali delle prestazioni riferite al diritto sociale in questione sull‘intero territorio nazionale. Solo in questo modo gli articoli citati, già norme giuridiche, ancorché talune programmatiche383, saranno effettivamente terreno di garanzia per i Sull‘intimo collegamento tra l‘art. 2 e l‘art. 3, II comma, Cost., si veda E. ROSSI, Art. 2, cit.; A. BARBERA, Art. 2, cit., p. 80. 382 In questo senso, anche G. DE MINICO, Internet. Regola o anarchia, cit., p. 131-133. Sulla possibilità di leggere diritti sociali diversi da quelli espressamente tipizzati in Costituzione anche come titolo legittimante di intervento statale, si veda A. D‘ALOIA, Diritto e Stato autonomistico. Il modello dei livelli essenziali delle prestazioni, in E. BETTINELLI – F. RIGANO (a cura di), La Riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 116 ss. 383 Sull‘effettività giuridica delle norme programmatiche, obbligatorio è il rinvio alla prima sentenza della Corte Costituzionale, n. 1 del 1956, in questi termini: ―Ma non occorre fermarsi su di esse né ricordare la giurisprudenza formatasi in proposito, perché la nota distinzione fra norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con norme che si dicono programmatiche, tanto più che in questa categoria vogliono essere comprese norme costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali fissano principi fondamentali, che anche essi si 381 166 cittadini, poiché garantiranno che il soggetto pubblico intervenga a rimuovere gli ostacoli di ordine economico-sociale ―che, limitando di fatto la libertà e l‘eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l‘effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‘organizzazione politica, economica e sociale del Paese‖. In tal modo, l‘intervento statale sarà diretto a garantire il nuovo diritto di accesso alla Rete, strumento indispensabile per la fruizione dei servizi pubblici e privati e per l‘esercizio dei propri diritti384, e a garantire, soprattutto, che i livelli essenziali delle suddette prestazioni, che rendono utile e inevitabile l‘intervento strutturale, possano equamente distribuirsi sul territorio. Diversamente, sarà un nuovo diritto per pochi. Allora, non un nuovo diritto, un nuovo privilegio. Sul se e sul come il legislatore italiano abbia onorato l‘obbligo che gli appartiene in virtù del più generale principio della separazione dei poteri, ci si soffermerà nel paragrafo successivo. Qui preme ancora qualche considerazione sul potere della Corte Costituzionale rispetto all‘eventuale omissione o insufficiente attuazione dei diritti sociali da parte del legislatore, specie alla luce delle intervenute modifiche al testo riverberano sull'intera legislazione‖. Il testo è reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/1956/0001s-56.html. Più in generale, sulla coercibilità dei diritti sociali, ancorché conservati in norme programmatiche, si veda M. VILLONE, Il tempo della Costituzione, Aracne, 2012, Roma, p. 57-64. L‘Autore ricorda che la scelta del carattere programmatico fu solo il risultato del migliore compromesso tra le varie forze politiche, compromesso, però, che nulla toglie alla coercibilità del diritto. 384 Sul collegamento tra diritto sociale e il catalogo del ―servizio universale‖, doveroso il rimando a G. DE MINICO, Tecnica e diritti sociali nella regulation della banda larga, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete, Jovene, 2010, p. 3-50. Chiarissime le parole di M. VILLONE, La Costituzione e il “diritto alla tecnologia”, ivi, p. 260 e 262: ―La garanzia di diritti e libertà copre in principio anche gli strumenti necessari per il pieno ed effettivo diritto da parte dei titolari. Colpire gli strumenti significa in realtà violare la garanzia…Esiste, dunque, un diritto alla tecnologia come parte integrante della garanzia costituzionale delle situazione soggettiva protetta? Certamente sì, se la tecnologia è strumento necessario per il pieno ed efficace esercizio di diritti e libertà‖. 167 costituzionale e del momento storico segnato dal termine spending review, che risponde a esigenze anche europee. Come autorevole dottrina ha evidenziato, ―nel modello costituzionale i diritti sociali sono concepiti come il presupposto e l‘obiettivo dell‘azione dei pubblici poteri. Come il presupposto, perché essi fanno parte di quel patrimonio di situazioni giuridiche che caratterizzano la traduzione in termini di diritto della complessità della persona umana e vanno tutelate se di questa si vuole salvaguardare il pregio. Come l‘obiettivo, perché l‘agire pubblico in loro favore e sostegno è immaginato non solo come vantaggioso per i singoli beneficiari, ma come corrispondente a un utile sociale, quanto meno al fine del mantenimento di una vita collettiva pacifica. La protezione costituzionale, comunque, è rivolta immediatamente ai diritti, mentre l‘interesse sociale viene raggiunto indirettamente, grazie al soddisfacimento dei primi‖385. Insomma, i diritti sociali sono la pre-condizione all‘esercizio dei pubblici poteri, dunque, non possono cedere del tutto alle logiche dell‘economia di mercato, pena la perdita dell‘essenza del sostrato costituzionale386. Ora, ci si chiede: ciò vale anche in una situazione connotata da un‘emergenza economica? E, quanto e in che direzione ci influenza il diritto comunitario? Le due domande sono intimamente legate, specie se si considera che la modifica costituzionale del pareggio di bilancio387 è frutto della necessità 385 Le parole sono di M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, in Politica del diritto, XXXI, n. 3, 2000, p. 379. 386 Sull‘intima connessione tra Stato di diritto e Stato sociale, si veda il pensiero di C. MORTATI, Art. 1, cit., p. 48. 387 Legge costituzionale n. 1 del 2012, Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale. Il testo è reperibile in http://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto;jsessionid=D6965E92BD4809E88DC 0B7A9E558707F?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-0423&atto.codiceRedazionale=012G0064. 168 di rientrare nel Patto di stabilità e di porre una soglia non troppo ampia al debito pubblico italiano. Infatti, dato che i diritti sociali, ancor più (ma non solo)388 rispetto altri diritti di libertà, richiedono azioni positive da parte del soggetto pubblico e sono, cioè, il legittimo titolo creditorio del cittadino nei confronti dello Stato, è chiaro che essi subiranno un forte freno in termini di effettività in ragione di una politica così orientata. Sono, ripetiamo, legittimo titolo creditorio perché il titolo legittimante è il combinato disposto di norme costituzionali, che valgono a connotare questa situazione giuridica come effettiva389, esistente e giustiziabile390 se Sul punto, di veda S. HOLMES – C.R. SUNSTEIN, The cost of rights : why liberty depends on taxes, New York, 1999. 389 Sulla qualificazione soggettiva come pretesa nei confronti dello Stato, si veda V. FROSINI, Situazione giuridica (voce), in Novissimo Digesto Italiano, XVII, 1970, p. 468469, in questi termini: ―in sede di teoria generale del diritto, il termine situazione giuridica (…) designava in origine la condizione di aspettativa in cui si trova colui che non sia ancora divenuto titolare di un diritto soggettivo o di interesse legittimo, e quindi si trovi ancora in una posizione preliminare a quella di un rapporto giuridico…Il presupposto della situazione giuridica soggettiva, intesa a sostituire nella concezione di Duguit, il diritto soggettivo, è dato dalla destinazione di un bene determinato a un fine determinato, individuale o collettivo, tutelato dal diritto mediante un insieme di sanzione‖. Ancora, a p. 470, Frosini richiama Paul Roubier, riportando le sue chiare parole: ―le situazioni giuridiche soggettive sono situazioni prestabilite da un regola giuridica, sia per un atto volontario che per una norma di legge, e dalle quali derivano principalmente delle prerogative, che segnano una condizione vantaggiosa per i destinatari, ed a cui essi possono per principio rinunciare‖. Si veda anche W. CESARINI SFORZA, Il diritto soggettivo, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, I, 1947, p. 181211, Autore della prima formulazione della teoria del diritto come pretesa individuale. Per un commento a Cesarini Sforza, si veda C. LOTTIERI, Alle origini della teoria del diritto come pretesa individuale, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XLI, n. 1, Il Mulino, giugno 2011, che così si esprime: ―il fine esplicito del testo del 1946 consiste nell‘evidenziare come il diritto soggettivo sia l‘oggettivarsi di un‘azione rivendicativa avanzata dai singoli nel loro agire effettivo‖. In questo senso, anche B. LEONI, Il diritto come pretesa, Macerata, 2004, p. 202: ―la norma giuridica non è altro che la formulazione linguistica di una pretesa giuridica‖. Ma anche, ampiamente, W.N. HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, 1913, p. 63 ss., sul concetto che il diritto ―in senso stretto‖ è una pretesa a un comportamento altrui, diritto e obbligo sono cioè in relazione necessaria, la quale costituisce un assioma. In particolare, p. 73: ―nel caso in cui J abbia un diritto (in senso stretto) nei confronti di K ―the right of J is but one phase of the total relation between J and K, and the duty of K is an- other phase of the same relation – that is, the whole ‗right – duty‘ relation may be viewed from different angles‖. Per una disamina attenta della teoria Hohfeldiana, si veda B. CELANO, I diritti della jurisprudence anglosassone contemporanea, In Analisi e Diritto, 2001, p. 1-58. 388 169 violata da una norma di legge che dimentica l‘obbligo e la sua subordinazione alla fonte costituzionale391. Queste importanti certezze sbiadiscono392 di fronte al novellato art. 81 della Cost., che, al primo e secondo comma, prevede: ―Lo Stato assicura l‘equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali‖. Un tale ulteriore limite, infatti, non può che comportare un ostacolo alla realizzazione effettiva dei diritti sociali393, tra i quali quello che qui si sostiene esistere, il diritto di accesso alla Rete. 390 Sulla giustiziabilità dei diritti sociali, si veda A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all‟uguaglianza sostanziale, Napoli, Jovene, 1999, p. 2-12. 391 Sull‘impossibilità di configurare il diritto di accesso alla Rete come pretesa giustiziabile, L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra retoriche globali e dimensione sociale, cit., spec. p. 282. 392 Sul punto, M. VILLONE, Il tempo della Costituzione, cit., p. 270 ss.; G. FERRARA, Regressione costituzionale, in Il Manifesto, 18 aprile 2012; A. PACE, Il pareggio di bilancio nella Costituzione, in La Repubblica, 20-09-2011; A. PIROZZI, Il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, in AIC, n. 4 del 2011; N. LUPO, Costituzione europea, pareggio di bilancio ed equità tra le generazioni. Notazioni sparse, in http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/?p=16882; ID., La revisione costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti, in http://www.astridonline.it/COSTITUZIO/; R. BIFULCO, Jefferson, Madison e il momento costituzionale dell‟Unione. A proposito della riforma costituzionale sull‟equilibrio di bilancio, in Rivista telematica giuridica dell‟Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 2/2012, p. 1 ss.; A. RUGGERI, Crisi economica e crisi della Costituzione, in http://www.giurcost.org/studi/Ruggeri19.pdf; G. PITRUZZELLA, Chi governa la finanza pubblica in Europa?, in Quad. cost., n. 1 del 2012; I. CIOLLI, Crisi economica e vincoli di bilancio, V Giornate italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale. La Costituzione alla prova della crisi finanziaria mondiale, Lecce, 14-15 settembre 2012, in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/10/CiolliDEF.pdf. 393 Per un‘attenta disamina delle gravose conseguenze della riforma dell‘art. 81 Cost. sulla realizzazione dei diritti sociali, di veda G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 146-154, spec. p. 153, in questi termini: ―L‘81 rompe con l‘architettura costituzionale nel sovvertire la scala delle grandezze, mettendo prima ciò che la Costituzione ordina per secondo. L‘economia non è più uno strumento al servizio del progetto politico, cui competerebbe di scegliere priorità e graduarne nel tempo e nei modi l‘attuazione grazie alla prima, perché il fine, la politica, è stato liquidato e costretto così a consegnare carta bianca all‘economia‖. 170 Il problema fondamentale nasce dal fatto che l‘Europa degli equilibri economici, che impone politiche di carattere restrittivo, non presenta momenti di bilanciamento, non assicura, in altre parole, quel sostrato di diritti sociali394, che invece sono parte integrante delle Costituzioni nazionali e che qualificano la stessa forma di Stato democraticorepubblicana395. Anche il Trattato di Lisbona non ha comportato modifiche essenziali in tale direzione396, tant‘è che non si è fatto un passo in avanti decisivo con 394 Si veda, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in www.costituzionalismo.it, fascicolo 3, 2012, in questi termini: ―I diritti in generale e i diritti sociali in particolare sono proprio uno strumento che consolida l‘idea di Nazione e di appartenenza e proprio per questo sostenerli nei momenti di crisi economica significa cercare una strada alternativa per provare a superare, in modo adeguato, la crisi stessa senza creare contrasti sociali insanabili e rotture non più componibili‖. 395 Ivi. Ma già, L. CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, in Quad. cost., 1995, p. 56 ss. L‘Autrice sostiene che debbano ritenersi indispensabili alla qualificazione della forma di Stato non solo i diritti costituzionalmente riconosciuti anche quelli che si ricavano direttamente come sviluppo del principio personalistico; G. FERRARA, La pari dignità sociale (Appunti per una ricostruzione), in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Milano, Giuffrè, 1974, p. 1089 ss. Si veda anche E. DICIOTTI, Stato di diritto e diritti sociali, in http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2004_n4/mono_E_Diciotti.pdf. 396 In questo senso, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit.: ―In prospettiva futura è probabile che l‘Unione Europea potrà offrire migliori e più ampie garanzie. Al momento, però, la sua natura economica è ancora prevalente e tutti i diritti sociali – e non solo essi – sono condizionati da questa caratteristica ineludibile‖. Lucide le riflessioni si C. SALAZAR, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione europea da un tormentato passato…a un incerto presente?, in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2011/12/SALAZAR-diritti-sociali2011.pdf, spec. p. 19. L‘Autrice ritiene che dal Trattato di Lisbona non possa ragionevolmente aspettarsi la realizzazione di politiche di solidarietà, poiché manca in Europa il tassello essenziale, la legittimazione politica e la trasformazione effettiva in questa direzione degli apparati dell‘Unione. Nel senso di un futuro e doveroso impegno da parte dell‘Unione Europea sul tema dei diritti sociali, anche attraverso la creazione di una base giuridica di ordine costituzionale, si veda P. COSTANZO, Il sistema di protezione dei diritti sociali nell‟ambito dell‟Unione Europea, in http://www.giurcost.org/studi/CostanzoBelem.htm, spec. p. 24-25: ―All‘imporsi di un‘economia sempre più aperta e la revival sempre più forte di una regolazione in senso liberistico della società, sta corrispondendo la perdita crescente del senso di solidarietà collettiva e dell‘uguaglianza sostanziale. Ciò impone senza dubbio l‘adozione di ottiche inedite attraverso le quali traguardare i diritti sociali che di tali valori costituiscono la più compiuta espressione. Ma lo sforzo in tal senso non può più essere all‘evidenza sostenuto dai singoli Stati, entità divenute sempre più piccole e impotenti di fronte alla mondializzazione dell‘economia. In questo quadro, infatti, la manutenzione ed anche il recupero dei diritti sociali non può che essere tentato e sostenuto da un‘entità più grande e maggiormente attrezzata quale è appunto l‘Unione Europea‖. 171 la parificazione della Carta di Nizza a livello di diritto comunitario primario. È un buon inizio, ma non si può certo affermare che la Carta di Nizza riconosca il primato dei diritti sociali. Certo, ne garantisce alcuni, ma la vera spinta del diritto comunitario verso l‘Europa dei diritti è sempre stata conseguenza degli approdi giurisprudenziali397. Sull‘insufficienza del modello europeo, si veda anche D. TEGA, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, Relazione al Convegno annuale dell‟Associazione “Gruppo di Pisa”, “I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno 2012, reperibile in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/06/trapanitega.pdf. 397 Sul punto, si veda P. COSTANZO, Il sistema di protezione dei diritti sociali nell‟ambito dell‟Unione Europea, cit. Sulla concezione strumentale della protezione dei diritti sociali, si veda F. SALMONI, Diritti sociali, sovranità fiscale e libero mercato, Torino, Giappichelli, 2005, spec. p. 94. Per la giurisprudenza comunitaria in tema di diritti sociali, tutelati in quanto coincidenti con le libertà economiche, si vedano le sentenze Albany International BV c. Stichting Bedrijfspensioenfonds Textielindustrie (21 Settembre 1999 – Causa C-67/96), reperibile in http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dd2de4f8d307ce4d1ba7c 2b47e48d6f9c6.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxqTbN10?text=&docid=100908&pageIndex= 0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=48944; Laval un Partneri Ltd c. Svenska Byggnadsarbetareförbundet et alii (18 dicembre 2007, C-341/05), reperibile in http://www.giurcost.org/casi_scelti/CJCE/C-341-05.htm; Commissione c. Granducato di Lussemburgo (19 giugno 2008 – Causa C-319/06), il cui dispositivo è reperibile in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:209:0004:0005:IT:PDF; Commissione v. Germania (15 luglio 2010 – Causa C-271/08); Causa C‑515/08, Procedimento penale a carico di Vítor Manuel dos Santos Palhota e altriSantos Palhota, ottobre 2010, reperibile in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62008J0515:IT:HTML; Causa C34/09, Gerardo Ruiz Zambrano c. Office national de l‟emploi (ONEm), in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009J0034:IT:HTML. Va, comunque, evidenziata la sentenza C-236/09, Association belge des Consommateurs Test-Achats ASBL and Others v. Conseil des ministres, resa il primo marzo 2011, in cui la Corte di Giustizia, in ragione del nuovo ruolo assunto rispetto alla Carta dei Nizza, ora recepita a pieno dal Trattato sull‘Unione Europea, ha dichiarato invalido un articolo di una direttiva europea per violazione dei diritti della Carta. Va, però sottolineato che, anche in questo caso, pur essendo sicuramente apprezzabile la sentenza, laddove sostiene la necessità di assicurare il principio di parità tra uomini e donne in materia di occupazione, il diritto soggettivo dei lavoratori viene tutelato in ragione della sua strumentalità rispetto alla tutela del mercato del lavoro. La pronuncia, cioè, denota ancora una volta la debolezza di tutela accordata ai diritti sociali nell‘UE. Il testo della sentenza è reperibile in versione inglese all‘indirizzo http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0236:EN:HTML. Sul punto, con riferimento al diritto al lavoro, già G. AZZARITI, Verso un governo dei giudici? Il ruolo dei giudici comunitari nella costruzione dell‟Europa politica, in Rivista di diritto costituzionale, 2009, p. 3 ss. 172 Per l‘Unione Europea, le politiche sociali, generalmente intese, sono obiettivi398, non diritti e questo gap di democraticità non è stato totalmente colmato con la ratifica del Trattato di Lisbona, che, si ricorda, è comunque la conseguenza del fallimento del progetto di una Costituzione Europea. Dunque, l‘attuazione dei diritti sociali resta in mano al nostro legislatore e, laddove questi non si assuma le responsabilità che gli competono, alla nostra Corte Costituzionale, a cui resta il compito di valutare l‘eccesso di discrezionalità legislativa399 che connota le norme di legge. Gran parte della dottrina400, in verità, si è spesa per sostenere la necessità di un‘inversione di tendenza nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha, comunque, avallato la tesi della ―riserva del possibile‖ per l‘attuazione dei diritti sociali, strappando alla discrezionalità del legislatore solo il contenuto minimo degli stessi, che resta un obbligo per il soggetto pubblico. 398 Già così, M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 372. Più recentemente, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit., in questi termini: ―nella sostanza il mosaico di disposizioni sociali presenti nel trattato non ha per ora contribuito a conferire una maggiore effettività a essi in ambito comunitario‖. 399 Sul ruolo della Corte Costituzionale rispetto alle scelte del legislatore, chiara la ricostruzione di G. SERGES, Anacronismo legislativo, eguaglianza sostanziale e diritti sociali, in Giur. It., 2000, 4, nota a sentenza n. 167 del 1999. L‘Autore si esprime in questi termini: ―L‘incostituzionalità (e il conseguente obbligo dell‘addizione da parte della Corte) nasce, dunque, quale conseguenza dei mutamenti prodottisi intorno alla disposizione impugnata dall‘opera del legislatore ordinario che ha operato un decisivo ribaltamento nel modo di trattare i problemi delle c.d. barriere architettoniche così da rendere non più adeguate al contesto normativo (e di conseguenza anche a quello sociale e politico), anacronistiche, talune disposizioni – quale appunto l‘art. 1052 c. c. – rispetto al quadro dei principi di fondo che caratterizzano siffatte opzioni legislative. Senonché lo stesso legislatore, che pure ha chiaramente orientato verso queste finalità di tutela dei soggetti affetti da invalidità il complesso degli interventi normativi, avrebbe finito per dettare una «disciplina insufficiente rispetto al fine perseguito» non includendo l‘accessibilità agli immobili tra le esigenze che possono legittimare la costituzione coattiva della servitù‖. 400 R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, p. 72 ss. L‘Autore sostiene che, anche se il bilanciamento va operato dal legislatore, è la Corte che deve valutare quando esso risulti incrinato, tenendo conto del diverso peso dei diritti nel testo costituzionale; A. G IORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all‟uguaglianza sostanziale, cit., p. 179; C. PINELLI, Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, co. 2, lett. m, Cost.), in Diritto pubblico, n. 3, 2002, p. 895. 173 Anzi, c‘è chi401 ha sostenuto la possibilità di un ripensamento dei limiti ai poteri della Corte Costituzionale e proposto una soluzione all‘assenza di effettività delle libertà positive, in ragione di una più forte garanzia dei diritti e di una scelta orientata alla graduazione dei diritti di libertà che connotano la personalità dell‘uomo, diritti che non possono che acquisire una posizione privilegiata rispetto a quelli a connotato economico e alle ragioni finanziarie. Ciò risponde indubbiamente all‘inadeguatezza e all‘insufficienza della scelta di lasciare l‘effettività del diritto alla definizione sibillina del ―contenuto minimo‖, che comporta la necessità di valutare, caso per caso, la legittimità della norma legislativa di turno. Tornando all‘oggetto della nostra indagine, pur condividendo la teoria della necessaria graduazione dei diritti in Costituzione, non a caso ritenuti dallo stesso Giudice delle leggi ―inviolabili‖402, va detto che deve pretendersi dall‘opera della Corte Costituzionale quanto meno una ragionevole valutazione dell‘essenzialità delle prestazioni da garantire ai Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 142-145. L‘Autrice riporta un‘interessante sentenza in cui il Tribunale costituzionale tedesco (Bundesverfassungsgericht, n. 5/2009 del 9 Febbraio 2010), guida le scelte del legislatore ―dettandogli un criterio oggettivo, ragionevole, affidabile cui attenersi nella valutazione dei bisogni‖, come esempio di una modalità di intervento giurisdizionale sulla scelta legislativa e commenta in questi termini: ―Si è ben consapevoli che un siffatto judicial review sulla norma primaria equivalga a sostituire il potere giudiziario a quello legislativo, surrogazione, come tale, illegittima perché la decisione normativa viene orientata in direzione dei risultati scelti dai giudici; ma il rispetto dell‘intangibilità della discrezionalità politica produrrebbe un male peggiore del rischio che si vuole evitare: la negazione dei diritti sociali. Per stemperare questa confusione tra poteri, la Corte potrebbe ricorrere a tecniche decisorie compromissorie, in grado di tenere insieme discrezionalità politica e tutela dei diritti sociali: la prima, orientandola verso un obbligo di risultato; la seconda, affidandola alla capacità conformativa dei criteri dettati dalla Corte. In tal modo non si azzererebbe lo spatium deliberandi del legislatore, come accade, invece, con le sentenze additive di prestazione; né si consegnerebbe alla sua incontrollata libertà la realizzazione dei diritti sociali, stante il vincolo cogente del giudicato costituzionale‖. 402 Ritengono che al termine ―inviolabilità‖ corrisponda un limite alla revisione costituzionale, E. ROSSI, Art. 2, cit.; A. BARBERA, Art. 2, cit.; P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2005, p. 143; P. BARILE, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 53; A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili (voce), in Enc. Giur., vol. XI, Treccani, Roma, 1989, p. 3. 401 174 cittadini, corrisponda o meno essa con il contenuto minimo del diritto in questione. Dunque, se il nuovo diritto sociale di accesso alla Rete pretende un intervento di carattere pubblico, esso non potrà limitarsi a promettere banda larga per tutti, ma dovrà, pena la scure dell‘incostituzionalità, garantire un‘equa distribuzione della stessa, nella misura che basta a ciascuno per usufruire di tutti i servizi elargiti dalle amministrazioni pubbliche e per fruire delle opportunità di crescita, condivisione, partecipazione, che la Rete offre. La chiave, dunque, non è tagliare, ma investire. E non è una scelta folle o saggia di politica pubblica, è un obbligo che lo Stato deve ai suoi cittadini. D‘altra parte, i diritti economici trovano sempre un limite in Costituzione alla realizzazione della persona singola e di essa nelle formazioni sociali, attraverso un implicito riferimento al principio di solidarietà sociale, di cui all‘art. 2 Cost.: si pensi alla libertà di iniziativa economica, che non può porsi in contrasto con l‘utilità sociale o alla proprietà, la cui disciplina deve assicurare la funzione sociale. Il Costituente ci ha già dettato la via e l‘ha fatto nell‘art. 2 e nell‘art. 3 Cost., cioè in quella parte della Carta che resiste anche al revisore costituzionale, perché è il nocciolo duro dello Stato sociale, è, cioè, la rappresentanza dell‘inviolabilità dei diritti irrinunciabili della persona. Di fronte a quest‘indicazione, il legislatore, pur in condizioni di crisi economica, non può o non potrebbe essere refrattario, mortificando i diritti sociali in virtù di vincoli di bilancio403. 403 In questo senso, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit. Ma già, M. LUCIANI, L‟art. 81 Cost. e le decisioni della Corte Costituzionale, in AA. VV., Le sentenze della Corte Costituzionale e l‟art. 81 Cost. u.c. della Costituzione. Atti del seminario svoltosi a Roma, 8-9 novembre 1991, Milano, Giuffrè, 1993, p. 53-63; ID., Sui diritti sociali, in Studi in onore di Manlio Mazziotti di Celso, cit., p. 126; D. BIFULCO, L‟inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, Jovene, 2003, p. 365; B. PEZZINI, La decisione 175 Ciò detto, dunque, laddove accadesse, sarebbe auspicabile un intervento della Corte Costituzionale nel senso sopra suggerito. I sostenitori dell‘impossibilità di configurare il diritto di accesso alla Rete404 come nuovo diritto sociale hanno posto a sostegno della propria tesi il fatto che la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sul progetto statale ―PC ai giovani‖405, non l‘abbia riconosciuto pur avendone l‘opportunità e nonostante la soluzione prospettata dall‘Avvocatura di Stato in questo senso. Inoltre, è stato sostenuto che né il Conseil Constitutionnel406 ha effettivamente riconosciuto autonomia al diritto in questione, se non come strumento indispensabile per esercitare altre libertà, né, nell‘ultimo Report dell‘ONU407 sulla libertà di espressione, la scelta di sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali, Giuffré, Milano, 2001, p. 189. 404 L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra retoriche globali e dimensione sociale, cit. 405 Il riferimento è alla sentenza n. 307 del 2004. Qui la Corte Costituzionale non ha seguito la prospettazione, pur presentata dall‘Avvocatura di Stato, del diritto di accesso alla Rete come diritto sociale, ma ha sostenuto, più semplicemente, che la diffusione dei personal computer corrisponde a finalità di interesse generale, ―quale è lo sviluppo della cultura, nella specie attraverso l‘uso dello strumento informatico, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di cui all‘art. 117 della Costituzione‖. Si vedano, a commento, A. PACE, I progetti „PC ai giovani? E „PC alle famiglie: esercizio di potestà legislativa esclusiva statale o violazione della potestà legislativa regionale residuale?, in Giur. Cost., 2004, p. 321 ss.; F. LEOTTA, La competenza legislativa nei sistemi autonomisti. Dalla crisi della sovranità statale all‟affermarsi della sussidiarietà, Giuffrè, Milano, 2007, p. 264 ss. Sul tema della diseguaglianza digitale e nulla necessità di una politica volta alla diffusione della cultura digitale, si vedano E. DE MARCO, Introduzione all‟eguaglianza digitale, in E. DE MARCO (a cura di), Accesso alla Rete e uguaglianza digitale, Giuffrè, 2008, p. 1-9; Ivi, A. PAPA, Il principio di uguaglianza (sostanziale) nell‟accesso alle tecnologie digitali, p. 11-36; Ivi, D. GALLIANI, L‟accessibilità ai siti Internet delle pubbliche amministrazioni e la c.d. “Legge Stanca”, p. 107-118. 406 Il riferimento è alla decisione n. 2009-580 DC. 407 ONU, General Assembly, Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression, Frank La Rue, 16 maggio 2011. Il testo è reperibile in http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session20/AHRC-20-17_en.pdf. Sul punto, si veda L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra retoriche globali e dimensione sociale, cit., p. 265-267. 176 inquadrare Internet come lo strumento irrinunciabile per l‘esercizio della libertà di pensiero basta a qualificarlo come diritto fondamentale autonomo. Ora, posto che, come rilevato dalla dottrina408, la Corte Costituzionale non si è espressa in merito al diritto di accesso come diritto in sé, e ciò non esclude che possa farlo in futuro, e posto che il Conseil Constitutionnel si è espresso sul diritto di accesso ai contenuti e non sul diritto di accesso alla Rete come diritto sociale, sembra potersi dedurre che si sia in attesa di una pronuncia giurisprudenziale di rilievo che lo qualifichi come tale. A fronte di tali affermazioni, va detto che la pronuncia c‘è stata, non italiana, ma c‘è stata. È la sentenza del Tribunale Federale Tedesco di Karlsruhe, n. 14, del 24 gennaio 2013409. Il Tribunale tedesco ha riconosciuto a un cittadino il diritto al risarcimento del danno subito per l‘illegittima disconnessione dalla Rete internet, non tanto e non solo quantificando il danno sulla base della prestazione eseguita senza corrispettivo, ma potenziando il quantum economico in ragione del mancato accesso alla Rete, che di per sé, produce un danno alla vita di relazione dell‘individuo, al godimento, cioè, di ogni servizio e beneficio fornito dalla navigazione on line. In sostanza, il giudice tedesco ha riconosciuto dignità di diritto autonomo all‘accesso a Internet, senza mediazioni di sorta e riferimenti ad altri diritti, ma proprio in ragione della sua strumentalità-necessità per l‘esercizio degli altri410. 408 G. DE MINICO, op. ult. cit., p. 137-138. Tribunale Federale Tedesco di Karlsruhe, n. 14, del 24 Gennaio 2013, III ZR 98/12, reperibile in http://www.caspersmock.de/publikationen/bgh_schadensersatz_bei_ausfall_internet.htm. 410 Il punto è ben colto in queste parole: ―Die Nutzbarkeit des Internets ist ein Wirtschaftsgut, dessen ständige Verfügbarkeit seit längerer Zeit auch im privaten Bereich für die eigenwirtschaftliche Lebenshaltung typischerweise von zentraler Bedeutung ist‖. Parzialmente critica sui criteri di quantificazione del danno, pur riconoscendo la rilevanza della pronuncia in oggetto, G. DE MINICO, Uguaglianza e accesso a Internet, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0394_d e_minico.pdf. Sulla peculiarità del diritto sociale in oggetto, ID., Internet. Regola e anarchia, cit., p. 128: il diritto di accesso alla banda larga condivide la funzione equilibratrice propria dei diritti sociali, ―rispetto ai quali, però, presenta un profilo di unicità: a differenza del diritto alla salute o al lavoro, in grado di procurare vantaggi da 409 177 A parere di chi scrive, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, suffragate per certi versi dalla sentenza tedesca, non si può non ritenere che il diritto di accesso sia già bagaglio proprio di ciascun cittadino, in forza dell‘art. 2 Cost. e dell‘art. 3 Cost., II comma: il primo lascia aperto o, comunque, suscettibile di evoluzione, il catalogo dei diritti disegnato dal Costituente, e, laddove si tratti di diritti a prestazioni positive, l‘obbligo dello Stato troverà ancoraggio certo nel secondo, che, aldilà del vincolo di bilancio, come i manuali insegnano, trova sempre il suo destinatario diretto nel legislatore e il suo obiettivo nell‘eguale punto di partenza per ciascuno di noi, tassello indispensabile per dare ratio e contenuto al concetto costituzionale di dignità. 3.1. L‟incidenza dell‟intervento del decisore politico sul diritto di accesso. Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale realtà? Appurato che la situazione di pretesa da parte del soggetto esiste, cerchiamo ora di capire se e quanto il legislatore italiano abbia contribuito a tradurre in fatti le belle parole della nostra Carta Costituzionale. Vedremo, inoltre, quali sono le politiche comunitarie rispetto alla Rete, al fine di valutare se, a prescindere dall‘incidenza o meno del Trattato di Lisbona, l‘Europa sia orientata a una politica di crescita e condivisione. La premessa è quella annunciata in principio: il diritto ad avere una connessione veloce si traduce nella pretesa del singolo cittadino a navigare da casa, dovunque sia ubicato e a prezzi accessibili, con una velocità di banda che gli consenta di fruire dei servizi della P.A., ormai quasi del tutto digitalizzati, di tessere relazioni sociali in cui si esplica la sua persona, soli, il diritto alla connessione in sé non soddisfa alcun bisogno: la soddisfazione dell‘interesse è qui rinviata all‘acquisizione del bene finale, di volta in volta procurato dalla navigazione‖. 178 insomma di godere del livello essenziale di banda che rende utile, indispensabile e fruttuoso l‘utilizzo della Rete. Andiamo ai fatti. La politica della banda larga in Italia non ha mai brillato per slanci innovativi e trasparenza nella gestione dei fondi411. Ad ogni modo, sotto la spinta degli interventi comunitari, soprattutto di soft law, si è giunti a stilare il ―Piano nazionale Banda Larga‖. In verità, il percorso non è stato univoco e deciso e non ha, ancora a oggi, portato a significativi e apprezzabili risultati, quanto meno se comparati con gli inziali più ambiziosi progetti. Gli interventi, dunque, sono stati diversi e le promesse disattese. Procediamo con ordine. Il primo intervento in tema di banda larga risale alla legge finanziaria del 2008412, poi si susseguono: la legge n. 133 del 2008, che si è occupata di questioni di carattere strettamente amministrativo413; legge n. 69 del 2009, con la quale si stanziavano 800 milioni di euro per un programma di interventi infrastrutturali nelle aree sottoutilizzate, a detta del Governo414, ―necessari per facilitare 411 A riguardo, si vedano i contributi di G. DE MINICO, Regulation, Banda Larga e Servizio Universale. Immobilismo o Innovazione?, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0133_d e_minico.pdf; ID., Tecnica e diritti sociali nella regulation della banda larga, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti, cit., p. 3-50; S. FROVA, La banda larga in Italia. Storia probabile di un‟altra occasione perduta, in Mercato concorrenza regole, XII, n. 3, 2010, p. 447-458; A. TONETTI, La nuova disciplina per lo sviluppo della banda larga: vera semplificazione?, in Mercato concorrenza regole, XIII, n. 1, 2011; A. RUBINO, Banda larga: servizio universale e aiuti di Stato, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti, cit., p. 51-99; Ivi, M. AVVISATI, Banda larga: politiche regolatorie e digital divide, p. 101-160. 412 Si tratta della legge n. 300 del 2007, il cui art. 2 è stato poi abrogato dal d.l. n. 93 del 2008 (convertito in legge n. 126 del 2008), con il quale si è scelto di impiegare le somme stanziate per le infrastrutture di rete per coprire buchi di bilancio. 413 All‘art. 1 prevedeva, infatti, che gli interventi di installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica fossero realizzabili mediante denuncia di inizio attività. Il testo è reperibile alla pagina http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm. 414 Preme ricordare che già quella scelta politica era lontana dall‘effettiva realizzazione di un piano che colmasse il divario digitale. Si veda, infatti, il rapporto di F. CAIO, Portare l‟Italia verso la leadership europea nella banda larga. Considerazioni sulle opzioni di politica industriale, in http://digidownload.libero.it/ordingnatlc/documenti/italia-caio-broadband-report- 179 l‘adeguamento delle reti di comunicazione elettronica pubbliche e private all‘evoluzione tecnologica e alla fornitura dei servizi avanzati di informazione e di comunicazione del Paese‖, procedendo ―secondo finalità di riequilibrio socio-economico tra le aree del territorio nazionale‖415 – cifra, quella gli 800 milioni, poi congelata dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) che, ai sensi della medesima legge, avrebbe dovuto approvare il programma delle risorse necessarie; la legge n. 40 del 2010, che ancora ripropone scelte di ordine amministrativo, non determinanti in termini infrastrutturali416; la legge finanziaria 2011, che prevede, invece, uno slancio nell‘ottica dell‘investimento. Si stabilisce, infatti, all‘art. 30, che ―ai fini del raggiungimento degli obiettivi dell‘Agenda digitale europea, concernenti il diritto di accesso a internet per tutti i cittadini "ad una velocità di connessione superiore a 30 Mb/s" (e almeno per il 50% " al di sopra di 100 Mb/s"), il Ministero dello sviluppo economico, con il concorso delle imprese e gli enti titolari di reti e impianti di comunicazione elettronica fissa o mobile, predispone un progetto strategico nel quale, sulla base del principio sussidiarietà orizzontale e di partenariato pubblico – privato, sono individuati gli interventi finalizzati alla realizzazione dell‘infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e ultralarga, anche mediante la valorizzazione, l‘ammodernamento e il coordinamento delle infrastrutture esistenti‖. Già a questo, che sembra il primo passo verso una politica realmente indirizzata a colmare il divario esistente, al fine di non lasciare al buio 2009.pdf, in cui fu stimata la cifra di circa 1 miliardo di euro per serio un piano d‘investimento, volto a conseguire il risultato prefissato. 415 Art. 1 della citata legge. Per il testo si veda in http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/mise_extra/Legge%2018%20giugno %202009%20%20n.%2069%20-art.1%20Banda%20Larga.pdf. 416 Si legga, a riguardo, l‘art. 5 bis della citata legge, reperibile in http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/adi/Art5bis_40_2010.pdf. 180 digitale parte della popolazione italiana, va fatta una prima critica: la banda larga per tutti, la banda ultralarga per il 50 % dei cittadini. Quale parte della cittadinanza non potrà aspirare alla restante banda? Secondo quale criterio non discriminatorio sarà operata la scelta? Forse, quello proprio delle imprese che dovranno investire cofinanziando il progetto pubblico-privato. Dunque, un criterio di carattere economico: la banda più veloce nelle zone dove le infrastrutture rendono meno dispendioso l‘intervento. Insomma, il gap che prima interessava il divario digitale non verrà eliminato, ma solo spostato verso l‘alto. Più che un giusto approdo, sembrerebbe l‘affermarsi di una nuova disuguaglianza, perché la parte della cittadinanza abilitata a godere della banda ultralarga avrà servizi migliori a prezzi competitivi e la restante parte del Paese non sarà più al buio digitale, ma la luce che illuminerà la sua navigazione non potrà che essere fioca. Ad ogni modo, tali considerazioni lasciano il tempo che trovano, perché, come si diceva, i progetti di investimento sono rimasti belle promesse su carta. Peraltro, sull‘art. 30 della legge in oggetto è stata sollevata questione di legittimità costituzionale417, da parte della Regione Liguria, per presunto contrasto con gli articoli 117, III comma, 118 e col principio di leale collaborazione. Quale migliore occasione di una giudizio di legittimità costituzionale, per ridare alla Corte Costituzionale il ruolo di giudice della legittimità delle scelte legislative che oltrepassano i limiti della ragionevolezza nell‘attuazione dei diritti sociali? Purtroppo, nel caso sottoposto alla nostra attenzione, la questione era relativa a un giudizio in via principale, rispetto al quale, a onor del vero, la 417 La sentenza alla quale si fa riferimento è la n. 163 del 2012, reperibile al sito http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=163. 181 Corte ha fatto quel che ha potuto per rimarcare la legittimità di un intervento statale in termini di investimento per la banda larga, non demandabile di per sé alle Regioni, pena l‘inevitabile differenza che, in termini di godimento del diritto, si sarebbe venuta a creare tra cittadini che vivono in Regioni differenti. La querelle sulla competenza, dunque, sembra essere ben risolta. Ma, a un‘attenta analisi della vicenda, si capirà che quella garanzia di uniformità e uguaglianza, che soprattutto in tema di diritti sociali dovrebbe essere garantita, viene comunque disattesa. Partiamo dai termini della questione. La regione Liguria sostiene che le materie interessate dalla disposizione di legge siano l‘―ordinamento della comunicazione‖ e il ―governo del territorio‖, dunque, oggetto di competenza concorrente tra Stato e Regioni ma che, dalla lettera della norma nessuno spazio residuerebbe alle stesse per operare, poiché anche l‘attuazione dei principi è demandata allo Stato. Inoltre, è stato sostenuto: ―Anche ove si volesse riconoscere che il potenziamento dell‘infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e ultralarga possa costituire compito da attuare con strumenti di rilievo nazionale, ad avviso della Regione non sussisterebbero, nella specie, i presupposti per la chiamata in sussidiarietà‖. ―Qualora, poi, si ritenesse legittima l‘attrazione in sussidiarietà, sarebbe comunque violato il principio di leale collaborazione, non prevedendosi che la predisposizione del progetto strategico avvenga d‘intesa con la Conferenza Stato-Regioni e che la sua realizzazione concreta sul territorio avvenga sulla base del progetto concordato con la Regione interessata‖. La Corte è piuttosto chiara nel definire i perimetri delle competenze: ―Una simile disciplina, sebbene sia riconducibile, in via prevalente, alla materia dell‘ordinamento delle comunicazioni, come riconosciuto da questa Corte in relazione al settore degli impianti di comunicazione elettronica (in 182 particolare, sentenza n. 336 del 2005), risponde, tuttavia, alla necessità di soddisfare l‘esigenza unitaria corrispondente all‘adozione – in armonia con quanto prescritto dalle fonti comunitarie – di un programma (o progetto) strategico che definisca, con una «visione a lungo termine ed equilibrata dei costi e benefici» (così nella citata Comunicazione della Commissione UE 20 settembre del 2010 su ―La banda larga‖) gli obiettivi nazionali volti ad assicurare la realizzazione delle infrastrutture inerenti agli impianti di comunicazione elettronica a banda larga in maniera diffusa ed omogenea sull‘intero territorio nazionale‖. Secondo la Corte, la chiamata in sussidiarietà sussiste tutta, perché è proprio l‘esercizio unitario della funzione amministrativa in questione a pretendere l‘intervento statale, intervento, che si traduce anche in norme di legge, al fine di disciplinare con una certa uniformità la funzione amministrativa di cui si tratta. Insomma, una riedizione della celebre sentenza n. 303 del 2003, dove la Corte riconobbe come plausibile la chiamata in sussidiarietà anche a livello legislativo, se diretta conseguenza dell‘esercizio unitario nazionale della medesima funzione. Mancherebbero, però, come giustamente rilevato dalla Corte, quei criteri correttivi all‘intervento statale, in assenza dei quali la stessa interpretazione giurisprudenziale si porrebbe ai limiti della compatibilità costituzionale con l‘impianto disegnato dall‘art. 117 Cost. Infatti, a detta della Corte, se ―le misure previste soddisfano sia il requisito della proporzionalità che quello della pertinenza rispetto allo scopo perseguito‖, risulta, però, fondata la censura proposta per violazione del principio di leale collaborazione. D‘altra parte, ricorda la Corte, ―solo la presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, consente di giustificare la scelta statale dell‘esercizio unitario di funzioni, allorquando emerga tale esigenza‖. Infatti, ―nei casi di attrazione in sussidiarietà di funzioni relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, è 183 necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un‘intesa, in modo da contemperare le ragioni dell‘esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni‖418. Dunque, posto che in materia di realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica è necessaria una visione unitaria, ―nello stesso tempo, tuttavia, considerata la rilevanza del progetto strategico di individuazione degli interventi finalizzati alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione da banda larga ed ultralarga e la sua diretta incidenza su territorio e quindi sulle relative competenze regionali, anche in tal caso risulta costituzionalmente obbligata la previsione di un‘intesa fra gli organi statali ed il sistema delle autonomie territoriali (Conferenza unificata Stato-Regioni), da un lato, con riguardo alla predisposizione del predetto progetto strategico, e, dall‘altro, con le singole Regioni che siano, di volta in volta, interessate dagli specifici e concreti interventi di realizzazione del progetto sul proprio territorio‖. Sorvolando sul principio di sussidiarietà verticale419, come possibile sostituto di quella clausola di ―interesse nazionale‖, distrattamente 418 Sul punto, si vedano le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004, n. 165 del 2011, n. 278 del 2010; n.i 383 e 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003. 419 Si vedano, a riguardo, e a commento della sentenza n. 303 del 2003 della Corte Costituzionale, i contributi di A. RUGGERI, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia, in www.forumcostituzionale.it; A. MORRONE, La Corte costituzionale riscrive il Titolo V?, ivi; F. CINTIOLI, Le forme dell‟intesa e il controllo sulla leale collaborazione dopo la sentenza 303 del 2003, ivi; S. BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, ivi; A. D‘ATENA, L‟allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, ivi; L. VIOLINI, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa “concorrente”, leale collaborazione e strict scrutiny, ivi; più recentemente, T.E. FROSINI, Sussidiarietà (principio di) (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali II, Tomo II, ed. Giuffrè, Milano, 2008; C. MAINARDIS, Chiamata in sussidiarietà e strumenti di raccordo nei rapporti Stato – Regioni, in http://www.robertobin.it/REG11/mainardis_def.pdf; C. PADULA, Principio di sussidiarietà verticale ed interesse nazionale: distinzione teorica, sovrapposizione pratica, in http://www.federalismi.it/federalismi/document/11072006101409.pdf. Sul tema della potestà concorrente e sulle modalità di intervento tra Stato e Regioni, si veda G. SERGES, Riassetto normativo e delega legislativa per la determinazione dei principi 184 dimenticata dal revisore costituzionale in sede di riforma nel 2001, soffermiamoci sull‘aspetto che a noi interessa. Qual è la diretta conseguenza di tutto ciò? Basta l‘interpretazione della Corte a garantire quell‘uguaglianza e quell‘unità che il testo costituzionale promette? Per rispondere a queste domande, un passo in avanti nel tempo è d‘obbligo. L‘ultimo, meglio ordito, piano per investire nella banda larga, è stato siglato con il d.l. n. 179 del 2012, denominato ―Decreto Crescita 2.0‖, convertito il l. n. 221 del 2012420. All‘art. 14 si prevede lo stanziamento, ―per il completamento del Piano nazionale banda larga‖, di 150 milioni di euro da utilizzare nelle aree del territorio nazionale, tenendo conto delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa‖. Ora, l‘attuazione di questa previsione a livello statale dipenderà comunque dall‘intesa che verrà, di volta in volta, siglata con le rispettive Regioni. Dunque, quell‘immagine salvifica dell‘unità nazionale, in cui la Corte ancora ci aveva fatto credere anche con la sentenza in commento, rimane in ogni caso sbiadita dalla scarsa effettività della realizzazione della funzione, che non potrà che dipendere da quanto e come ciascuna Regione si prodigherà a tal fine. L‘esempio è sotto i nostri occhi. È del 13 marzo 2013 la notizia del Protocollo d‘Intesa421 tra il Piemonte e il Ministero per lo sviluppo economico. Dai dati, risulta che questa sia la regione leader fondamentali nelle materie di potestà concorrente, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, 2005, p. 161-168. 420 Il testo è reperibile alla pagina http://www.normattiva.it/urires/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2012;221. 421 Si veda R. NATALE, Agenda digitale: 256,5 mln di euro per l‟innovazione italiana. Oltre 300 le startup registrate, in http://www.key4biz.it/News/2013/03/13/Policy/Corrado_passera_agenda_digitale_startu p_innovazione_pmi_convergenza_mezzogiorno_216304.html. 185 nell‘innovazione. Non lo stesso, invece, per le Regioni che non investono nella banda larga. Ora, forse, il quadro appare più chiaro. La chiamata in sussidiarietà serve ma non basta, perché, probabilmente, l‘art. 117 Cost., III comma, non è il referente normativo giusto per garantire un reale progetto a sfondo nazionale, che sia effettivamente in grado di condurre verso innovazione ed equità. Diversamente sarebbe, ad esempio, far rientrare tali funzioni nei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti sociali. Allora sì, si potrebbe pretendere un livello essenziale eguale su tutto il territorio, in ragione dell‘intervento statale. Peraltro, i risultati dell‘ambizioso progetto dovranno ancora attendersi. Per il momento ci si deve attenere ai dati OECD422, che non offrono un quadro ottimistico della politica italiana in tema di banda larga. Va detto, comunque, che il Governo Monti, ha dato avvio con il Decreto Crescita all‘Agenda digitale, sempre in risposta alle forti pressioni in tal senso intervenute dall‘Unione Europea. Curiosa, infatti, la posizione dell‘Europa sul tema. Da un lato, una forte spinta a valutare la Rete come mezzo per sfidare la competitività internazionale e garantire l‘esercizio di diritti fondamentali per tutti i cittadini europei423, promettendo un magico equilibrio tra l‘Europa dei 422 In Italia la banda larga è diffusa solo per il 48,9% delle famiglie e il divario digitale raggiunge il 13% della popolazione. Peraltro, il nostro tasso di penetrazione, il 22,4%, che ha sortito un incremento dell‘1,3% dal dicembre 2010 al dicembre 2011, è inferiore alla media europea, che è pari al 25,6%; in termini comparativi, pertanto, si piazza, nella classifica dell‘OECD, solo 24º. I dati sono reperibili al Broadband Portal, alla pagina http://www.oecd.org/sti/broadbandandtelecom/oecdbroadbandportal.htm#Penetration. 423 Si pensi alla posizione della commissaria N. Kroes, in Future Internet – the way foreward; discorso reso al Convegno ―The European Framework Programmes: From Economic Recovery to Sustainability‖, Valencia, 14 Aprile 2010, reperibile in http://ec.europa.eu/informationsociety/policy; alla Comunicazione, Un‟agenda digitale europea, COM(2010) 245 def., della Commissione Europea, consultabili in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52010DC0245R(01):IT:NOT – qui la Commissione si esprime nel senso della Rete come occasione di crescita per i cittadini e gli Stati d‘Europa; alla posizione del Consiglio Europeo, Quadro finanziario pluriennale, 8 Febbraio 2013, in http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/135375.pdf. 186 diritti e quella dei mercati; dall‘altro, si perde l‘occasione di riscrivere in un atto cogente – revisione del Pacchetto Direttive TLC del 2002, intervenuta nel 2009424 – norme di peso giuridico maggiore. In sede di scrittura della Direttiva 2009/136/CE, infatti, la scelta di non inserire nel paniere del servizio universale la connessione alla banda larga, pur promuovendo l‘azione politica dei governi in tal senso, è parsa alla dottrina425 decisamente irragionevole. Insomma, il quadro disegnato non è dei più rassicuranti. Tirando le fila del discorso, non si può che ammettere un fallimento del sistema Nazione e del sistema europeo in tema di diritto di accesso alla Rete: il primo, troppo impegnato a tagliare la spesa pubblica senza orientarsi nel senso dell‘investimento e dell‘innovazione; il secondo, che troppo spesso non basta a se stesso, restando intrappolato tra ciò che ancora non è e ciò che vorrebbe essere, in divenire. 424 Il riferimento è alle Direttive 2009/136/CE e 2009/140/CE, reperibili rispettivamente agli indirizzi http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:337:0011:0036:it:PDF e http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:337:0037:01:IT:HTML. Da ultimo, si veda Commissione Europea, Comunicato stampa, Elenco delle cose da fare in campo digitale: le nuove priorità digitali per il 2013-2014, Bruxelles, 18 dicembre 2012. In questi termini, la Commissaria Kroes: ―Il 2013 sarà l‘anno più intenso per l‘Agenda digitale. Le mie priorità assolute sono aumentare gli investimenti nella banda larga e massimizzare il contributo del settore digitale per la ripresa dell‘Europa‖. Il testo è reperibile in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-12-1389_it.htm. 425 Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 155-157; T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 8; A. VALASTRO, Le garanzie di effettività del diritto di accesso ad Internet e la timidezza del Legislatore italiano, cit., p. 51; P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo diritto sociale?, cit., p. 22-23. 187 CAPITOLO TERZO LA LIBERTÁ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ON LINE SOMMARIO: 1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori dell‘Assemblea Costituente all‘era della Rete. – 1.1. Free speech, controllo e censura: la lettura americana. 1.2. – I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero on line: il buon costume nel rapporto con la tutela dei minori. – 2. La disciplina della stampa on line: tra ―scritto‖ e ―pubblicato‖. – 2.1. La legge n. 62 del 2001 e l‘equivoco del ―prodotto editoriale‖. – 2.2. Responsabilità per le pubblicazioni on line: tra principio di legalità e separazione dei poteri. – 3. La posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in rete e sulla giurisdizione. 1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori dell‟Assemblea Costituente all‟era della Rete Il valore sotteso alla libertà di manifestazione del pensiero è la misura di ciò che siamo stati, che siamo, che saremo. Esprimere il proprio pensiero liberamente è il fulcro dello statuto delle libertà disegnate nella nostra Carta, destinata a durare anche di fronte alle profonde innovazioni che permeano la società. A parere di chi scrive, i punti di partenza sono rappresentati dalle seguenti domande: qual è il significato della libertà di manifestazione del pensiero oggi, nell‘era della Rete? Il contenuto della libertà, su cui tanto si è discusso in sede di Assemblea costituente, è ancora lo stesso? In altre parole, il mezzo di comunicazione che veicola l‘informazione – nel nostro caso Internet – può incidere sul significato della libertà? O, invece, essa è la medesima di quella pensata dai Costituenti? E, ancora, pur se tale libertà non è soggetta a modifiche nel contenuto, può e deve 188 pretendere diverse garanzie, in ragione dei possibili e nuovi limiti che l‘uso della Rete può comportare? Al fine di rispondere a tali domande e di disegnare un perimetro della libertà in questione, che possa orientarci nel rapporto che la lega indissolubilmente alle tecnologie che di essa sono il nuovo veicolo, appare preliminare un focus sull‘immancabile punto di partenza: l‘interpretazione del testo costituzionale. L‘art. 21 della Costituzione recita al primo comma: ―Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione‖. Ciò che la Costituzione intende assicurare è, cioè, la manifestazione del pensiero in sé e per sé, la rilevanza del pensiero manifestato, che supera, per il soggetto emittente, l‘importanza della persona del destinatario426. Dunque, ―la ratio di questa proclamazione sta nel garantire la libera circolazione delle idee‖427. Comunemente, la libertà di manifestazione del pensiero viene declinata nel senso attivo e passivo, corrispondendo al primo la libertà di informare, e al secondo la libertà di informarsi o diritto a essere informati. È stato, però, sottolineato che il risvolto passivo di tale libertà non rappresenterebbe ―un‘autonoma situazione giuridica soggettiva di contenuto pretensivo nei confronti di chi manifesti‖428, quanto invece una libertà esercitabile solo in conseguenza dell‘esistenza di fonti generalmente accessibili. In sostanza, dunque, l‘esercizio effettivo della libertà di manifestazione del pensiero sarebbe, secondo parte della dottrina, il A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 17. Gli Autori descrivono così il contenuto della libertà, anche per distinguerla da quella garantita all‘art. 15 Cost., per la quale, invece, appare rilevante la persona del destinatario, caratterizzandosi la corrispondenza per la segretezza della comunicazione. 427 Ibidem, p. 15. 428 Ivi, p. 16. Contra C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 4, il quale sostiene che la relativa pretesa costituisce oggetto di autonoma libertà, che non è legata da nesso logico e indefettibile alla libertà di manifestazione. 426 189 presupposto di fatto, ineliminabile, per il realizzarsi della libertà in forma passiva429. Prima, però, di valutare in che termini la libertà di manifestazione del pensiero si traduca nella libertà di informazione e quali conseguenze abbiano sulla stessa i mezzi di diffusione di massa – oggi soppiantati in gran parte dall‘avvento di Internet – si considera necessaria un‘indagine sull‘intimo significato dell‘espressione costituzionale, quale momento conclusivo di un‘evoluzione che questa libertà ha attraversato nel passaggio dallo Statuto Albertino all‘età costituente. La libertà di manifestazione del pensiero ―affonda le sue radici nelle correnti filosofiche individualistiche ed è stata prospettata sempre come una rivendicazione di autonomia del singolo da ogni potere estraneo ad esso‖430. Essa rappresenta, dunque, un valore da tutelare per il pieno sviluppo della personalità del singolo, un valore individuale da tutelare in sé431. Sotto la vigenza dello Statuto albertino, a differenza di quanto previsto in Costituzione, la libertà di manifestazione del pensiero era garantita solo attraverso la tutela dei mezzi di diffusione e, nello specifico, attraverso la In questo senso, si veda V. CRISAFULLI, Problematica della libertà d‟informazione, in Il Politico, 1964, p. 291, che così si esprime: ―La libertà di informarsi attiene al risultato sociale dell‘esercizio dell‘altrui libertà di manifestazione del pensiero e di cronaca‖, nonché A. PACE, Stampa, giornalismo, radiotelevisione, Padova, 1983, p. 16. Diversamente, C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, Padova, 1973, p. 8. Si veda anche G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 1997, vol. 1, p. 273 ss. 430 In questi termini, A. BARBERA – F. COCOZZA – G. CORSO, Le situazioni soggettive. La libertà dei singoli e della formazioni sociali. Il principio di uguaglianza, in G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, V edizione, vol. I, Bologna, 1997, p. 273. 431 In questo senso, C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., che a p. 8 ss. scriveva: ―Questo si afferma che la nostra Costituzione garantisce il diritto di manifestazione del pensiero in senso individualistico si intende dunque dire che esso è garantito al singolo come tale indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi che possono derivarne allo Stato, indipendentemente dalle qualifiche che il singolo possa avere in alcuna comunità e dalle funzioni connesse a tali qualifiche; si vuole dire che esso è garantito perché l‘uomo possa unirsi all‘altro uomo nel pensiero e col pensiero ed eventualmente insieme operare: i vivi ed i morti con i vivi e non per le utilità sociali delle unioni di pensiero‖. Sul punto si veda anche A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 25 ss. 429 190 libertà di stampa. L‘art. 28 dello Statuto Albertino, infatti, prevedeva: ―La Stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi‖432. La scelta costituzionale, invece, va chiaramente nella direzione di garantire, da un lato, il suo aspetto sostanziale, dall‘altro, il suo aspetto strumentale, la libertà, cioè, di ―adoperare ogni mezzo adatto a divulgare il proprio o altrui pensiero‖433. La svolta costituzionale dipende essenzialmente dalla scelta di una Costituzione rigida e dalle conseguenti garanzie che la Carta disegna a tutela delle libertà. Infatti, l‘intrinseca flessibilità della vecchia Carta e la conseguente assenza di un organo di garanzia costituzionale riuscirono ad asciugare in via definitiva il significato e la rilevanza della riserva di legge434, consegnata dallo Statuto a tutela della libertà di stampa. La riserva, infatti, si traduceva in una sorta di ―delega in bianco a favore delle contingenti maggioranze parlamentari‖435 e, dunque, sottraeva l‘oggetto della garanzia a una tutela effettiva. Non a caso, l‘impostazione tipica dello Stato liberale, in cui le coordinate essenziali per l‘esercizio della libertà di stampa erano ―lo strumento della riserva di legge per la definizione dei 432 Ivi. Sul punto gli Autori descrivono le possibili ragioni per le quali lo Statuto albertino non riconoscesse direttamente la libertà di parola ma, più specificamente, la libertà di stampa. Le ipotesi presentate si basano sul fatto che la libertà di espressione potesse rientrare nella più ampia libertà personale e che la scelta operata dallo Statuto fosse figlia del suo tempo, in cui vi era un‘ampia consapevolezza dell‘importanza politica della stampa ―come fattore di movimento sociale, incommensurabilmente superiore alla semplice parola‖, p. 30. 433 Così A. BARBERA – F. COCOZZA – G. CORSO, Le situazioni soggettive. La libertà dei singoli e della formazioni sociali. Il principio di uguaglianza, in G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, V edizione, Bologna, vol. I, 1997, p. 274. Per quanto attiene alla copertura costituzionale del ―diritto al mezzo‖ di diffusione del pensiero, si veda, più diffusamente, il secondo capitolo di questo lavoro, spec. par. 1.1. 434 Per una ricostruzione dell‘istituto della riserva di legge si vedano R. BALDUZZI – F. SORRENTINO, Riserva di legge (voce), in Enc. dir., 1989; S. FOIS, La riserva di legge. Lineamenti storici e principi attuali, Milano, 1963; F. MODUGNO, Riserva di legge e autonomia, in Dir. soc., 1978; L. CARLASSARE, Legge (riserva di), in Enc.Giur., 1990; R. GUASTINI, Legge (riserva di), in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1994; nonché, sul valore della riserva di legge in una Costituzione rigida, M. VILLONE, Il tempo della Costituzione, Napoli, 2009, p. 61-76. 435 P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2010, p. 33. 191 limiti, il divieto di ogni forma di autorizzazione o censura preventiva e la previsione, in caso di abusi, di meccanismi sanzionatori di natura repressiva, come il sequestro‖436, fu soppiantata dalle modifiche intervenute con l‘avvento del regime fascista. In ragione dell‘importanza del mezzo in questione e del forte condizionamento che lo stesso poteva operare sull‘opinione pubblica, la possibilità di esercitare la libertà subì un fortissimo arresto con il passaggio da una disciplina di tipo successivo e repressivo a una di tipo preventivo e censorio437. La visione autoritativa, che aveva, di fatto, cancellato la libertà di stampa, venne poi ribaltata ad opera dell‘Assemblea costituente. L‘Organo costituente, infatti, non solo scelse una Costituzione rigida, dando finalmente peso e sostegno alle diverse garanzie scritte a baluardo delle libertà, ma garantì un‘estensione della portata della libertà di manifestazione del pensiero, rinunciando alla sola attenzione al mezzo di divulgazione dello stesso, a fronte invece di un diritto a contenuto decisamente più ampio. Certo, la scelta dei Costituenti fu indubbiamente orientata a cristallizzare il divieto di autorizzazioni e censure alla stampa, che aveva caratterizzato lo svuotamento della libertà scritta nello Statuto albertino, ma, principalmente, fu finalizzata a disegnare un diritto di libertà che fosse il nucleo delle garanzie costituzionali e che conoscesse limiti non più definibili dal contingente arbitrio del legislatore di turno. M. MICHETTI, Disciplina dei “mezzi” e libera manifestazione del pensiero, in M. AINIS (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 310. 437 Per una ricostruzione della legislazione sulla stampa dall‘epoca liberale all‘età costituzionale, si vedano M. MICHETTI, Disciplina dei “mezzi” e libera manifestazione del pensiero, cit., p. 307 ss.; P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, cit.; R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, Padova, 2007, p. 371 ss.; P. BARILE, La libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975, p. 3 ss. 436 192 Secondo taluni438, peraltro, i costituenti furono particolarmente attenti a rompere il legame col passato, che aveva dato adito allo scempio fascista, ma non riposero la dovuta attenzione sui diversi mezzi di comunicazione di massa già allora esistenti, come la radio o la televisione, preoccupati proprio di scrivere una chiara disciplina di massima della stampa, fin troppo manipolata dal regime precedente. Non è un caso che nella seduta pomeridiana del 26 settembre 1946, in Assemblea costituente, nella composizione della Prima sottocommissione, il Presidente Tupini aprì la seduta dando lettura dell‘articolo concernente ―la libertà di stampa‖, preparato dagli onorevoli Basso e La Pira. Una delle prime formulazioni dell‘articolo in questione così recitava: al primo comma, ―Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo di diffusione è garantito a tutti. È vietato assoggettarne l‘esercizio ad autorizzazioni o censure‖ e, all‘ultimo comma, ―Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della In questo senso R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 2 ss., che, richiamando lo scritto di L. PALADIN, Problemi e vicende della libertà di informazione nell‟ordinamento giuridico italiano, in L. PALADIN (a cura di), La libertà d‟informazione, Torino, 1979, p. 6, definisce ―prevalentemente retrospettivo‖ l‘atteggiamento assunto dai Costituenti nella redazione dell‘articolo in questione. L‘Autore, anche sostenendo una forte rilevanza sostanziale alla libertà disegnata dall‘art. 21 Cost., ritiene, infatti, che i costituenti abbiano tralasciato diversi aspetti concettuali legati alla libertà di manifestazione del pensiero, che hanno invece trovato cittadinanza in altre Carte costituzionali, come quella tedesca, e in Carte internazionali (Dichiarazione universale dei diritti dell‘uomo e Convenzione Europea dei diritti fondamentali dell‘uomo). Profili, peraltro, abilmente recuperati e ricostruiti dalla Corte Costituzionale nel corso degli anni. Nello stesso senso, A. BARBERA, Art. 2 Cost., in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, che, a p. 60, sostiene che i Costituenti si siano limitati, nel redigere l‘art. 21 Cost., a effettuare un aggiornamento garantistico dello Statuto albertino. Va detto che la tesi è stata autorevolmente criticata da quanti hanno sostenuto che proprio ―le maglie larghe‖ del primo comma dell‘art. 21 Cost. hanno consentito alla Corte Costituzionale di porre in essere una giurisprudenza ―progressiva‖. In questo senso A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 32; P. BARILE, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p. 19; M. MANETTI, La libertà di manifestazione del pensiero, in R. NANIA – P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, vol. II, cit., p. 560 ss. 438 193 pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della gioventù)‖439. È evidente la particolare attenzione riservata al tema della stampa, nonostante sia essa solo uno dei mezzi attraverso i quali la libertà può esercitarsi. Fu l‘on. Lombardi, in quella sede, a ritenere ―repugnante al criterio legislativo‖440 che in uno Statuto si facesse riferimento a tutta la casistica dei mezzi di espressione del pensiero. A ciò avrebbe dovuto provvedere la legge a fronte, invece, di una norma costituzionale che avrebbe tutelato e garantito a tutti la libertà di esprimersi ―con la stampa o qualsiasi altro mezzo‖. La formula finale dell‘art. 21 Cost., come detto, va in entrambe le direzioni: dichiara la libertà fondamentale al primo comma e si concentra, nei commi successivi, sul regime della stampa e sul limite esplicito del buon costume. In verità, il rapido e incessante sviluppo tecnologico441, che ha portato con sé l‘avvento di nuovi e diversi mezzi di comunicazione di massa, il 439 Il resoconto sommario della seduta è reperibile al sito: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed014/sed014nc .pdf. 440 Assemblea Costituente, Prima sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di giovedì 26 settembre 1946, p. 131 e 132, in http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed014/sed014nc .pdf. 441 Si pensi, innanzitutto, al tema della convergenza tecnologica, che ha permesso il dialogo tra le diverse piattaforme trasmissive, la possibilità, cioè, di trasmettere i medesimi segnali e servizi su piattaforme differenti o, viceversa, l‘inter-scambio di diversi servizi su medesime piattaforme. Per una disamina delle questioni attinenti alla convergenza tecnologica e giuridica, si vedano: G. DE MINICO, Decreto di recepimento del pacchetto Direttive CE in materia di comunicazioni elettroniche: conformità o difformità dal diritto comunitario?, in Pol. dir., 3, 2003; ID., Le Direttive CE sulle comunicazioni elettroniche dal 2002 alla revisione del 2006. Un punto fermo?, in P. COSTANZO – G. DE MINICO – R. ZACCARIA (a cura di), I “tre codici” della società dell‟informazione, Torino, 2006, p. 170 ss.; ID., From the 2002 EC Directives on telecommunications to their 2006 revision. Are they at a standstill? in European Business Law Review, 3, 2008; F. BASSAN, Diritto delle comunicazioni elettroniche. Telecomunicazioni e televisione dopo la terza riforma comunitaria del 2009, Giuffrè, 2010; M. OROFINO, Profili costituzionali delle comunicazioni elettroniche nell‟ordinamento multilivello, Giuffrè, 2008; G. MORBIDELLI – F. DONATI, La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche, Giappichelli, 2009; L. SALTARI, Accesso e 194 riconoscimento del pluralismo dell‘informazione442 come valore intimamente legato al principio democratico, l‘intenso dibattito intervenuto sulla radiotelevisione443 – e più di recente sulla web-tv444 – la visione di Internet come unico veicolo delle informazioni che creano consapevolezza politica445 hanno spinto molti a pensare alla necessità di una rivisitazione446 interconnessione. La regolazione delle reti di comunicazione elettronica, in Giornale di diritto amministrativo, Vol. 18, 2008. 442 Sul tema si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 420 del 1994, n. 826 del 1988, n. 112 del 1993, n. 148 del 1981, nelle quali la Corte con costanza riconosce ―il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l‘accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse‖ e ribadisce, come ―ineludibile imperativo costituzionale‖, la necessità di ―garantire il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all‘informazione‖ e che ―la posizione di preminenza di un soggetto o gruppo privato non potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero con il vedere progressivamente ridotto l‘ambito di esercizio delle loro libertà‖. In dottrina, si vedano P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto (Disc. Pubbl.),Torino, 1993, VIII, p. 319 ss.; M. MANETTI, La libertà di manifestazione del pensiero, in R. NANIA – P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, cit., p. 580 ss.; O. GRANDINETTI, Radiotelevisione, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Parte Speciale, Milano, 2003; A. D‘ALOIA, Libertà di manifestazione del pensiero e mezzi di comunicazione, in A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G. SILVESTRI (a cura di), Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, Milano, 2005, p. 70 ss.; L. PALADIN, Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, in Quad. cost., 1987, p. 27 ss. 443 Per una disamina dell‘evoluzione del sistema radiotelevisivo, si vedano A. P ACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 542 ss.; R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 231 ss.; P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 105 ss. 444 Sul tema si vedano G.M. ROBERTI – V. ZENO ZENCOVICH, Le linee guida del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 (Decreto Romani), in Dir. Informatica, 2010; O. POLLICINO, Qualche riflessione sui nuovi regolamenti AGCom, in http://blog.quintarelli.it/blog/2011/ 01; G. SCORZA, AGCom: sia fatta la volontà di Mediaset, 1 gennaio 2011, in http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/01/regolamenti-agcom-sia-fatta-la-volonta-dimediaset/84452/; ID., Decreto Romani: ecco perché i regolamenti attuativi vanno cambiati, 19 luglio 2010, in http://www.guidoscorza.it/?p=1953; O. GRANDINETTI, Il Testo Unico dei Servizi media audiovisivi e radiofonici, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2011, 2, 121; C. DI MARTINO, Il d.lgs. Romani e i “media audiovisivi”, la nuova televisione tra innovazione e dubbi, in http://www.comparazionedirittocivile.it/; G. FARES, La tutela degli utenti, in Dir. Informatica, 2010, 02, 199; V. ZENO ZENCOVICH (a cura di), La nuova televisione europea: commento al Decreto Romani, Bologna, 2010. 445 Su questo concetto, P. COSTANZO, Quale partecipazione politica attraverso le nuove tecnologie comunicative in Italia, in Dir. inf. informatica, 2011; R. DEROSA, Fare politica in Internet, Milano, 2000; F. PIZZETTI, Partiti politici e nuove tecnologie, in Partiti politici e società civile a sessant‟anni dall‟entrata in vigore della Costituzione. 195 dell‘art. 21 Cost., affinché fosse più in linea con la realtà tecnologica che ci circonda. La prima seria proposta di modifica dell‘art. 21 Cost. fu presentata nella relazione finale della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, istituita il 14 aprile 1983 e presieduta dall‘on. Aldo Bozzi. Si svolse un ampio dibattito in Commissione sulla possibile modifica dell‘art. 21 Cost., ―in generale sull‘opportunità di un più vasto e incisivo riconoscimento del diritto all‘informazione, sia inteso in senso attivo, cioè come diritto a diffondere informazioni con tutti i mezzi consentiti dalla tecnica, sia inteso in senso passivo, cioè come diritto a ricevere informazioni complete e obiettive, anche ai fini della formazione della volontà dei cittadini per l‘esercizio dei diritti politici ed elettorali‖447. Inoltre, la Commissione si orientò ―verso un sistema informativo aperto, pluralistico, trasparente per quanto riguarda il regime proprietario e finanziario, con la previsione di norme anti-trust e con il riconoscimento del carattere di preminente interesse generale al servizio pubblico radiotelevisivo, cui si accompagna la ‗costituzionalizzazione‘ del diritto dei privati a istituire e gestire emittenti radiotelevisive secondo modalità predeterminate dalla legge‖448. La Commissione Bozzi si spinse anche oltre, estendendo il divieto di censura a tutte le manifestazioni del pensiero e integrando il limite del buon costume con una rigorosa prevenzione e repressione delle manifestazioni che offendono la personalità dei minori e, infine, preservando una Atti del XXII Convegno annuale dell‟Associazione italiana dei Costituzionalisti. Annuario 2008, Napoli, 2009. 446 Per la ricostruzione delle ipotesi di modifica dell‘art. 21 Cost. o della scrittura di un articolo 21 bis in Costituzione, si veda G. AZZARITI, Internet e Costituzione, in www.costituzionalismo.it, n. 2 del 2011. Per una critica alle ipotesi di modifica, si veda G. DE MINICO, Internet. Regola o anarchia, Jovene, 2012. Si rimanda, comunque, alle considerazioni svolte nel secondo capitolo di questo lavoro, spec. par. 1.2. 447 Atti Senato e Camera, doc. XVI, n. 3, IX legislatura, p. 42 ss. 448 Ivi. 196 particolare disciplina delle manifestazioni lesive attraverso il mezzo telematico449. La proposta della Commissione si articolava nella totale modifica dell‘art. 21 Cost. e nell‘introduzione degli art. 21 bis e ter che, con le specificazioni accennate, riuscivano a disegnare una dettagliata disciplina delle modalità di esercizio della libertà, quasi che il grado di specificità della norma costituzionale potesse corrispondere inequivocabilmente al grado di effettività della garanzia. In verità, com‘è stato notato450, la Commissione redasse per iscritto nella norma costituzionale quanto dottrina e giurisprudenza sono state, comunque, in grado di trarre dal significato ampio del diritto di libertà in questione. Dunque, pur se meritevole di apprezzamento, la proposta si traduce, in linea di massima, nell‘enucleazione di tutto ciò cui si era approdato, attraverso un processo d‘interpretazione letterale e teleologica, nonché di sistema, che, infatti, aveva da un lato permesso di giungere alla definizione dei concetti di pluralismo e diritto di accesso al mezzo, e dall‘altro di escludere, pur col dissenso di parte della dottrina, la presenza di limiti logici alla libertà di manifestazione del pensiero. Infatti, aldilà della copertura costituzionale che l‘art. 21 Cost. riserva alla diffusione delle informazioni di ogni genere, si è da principio affermato che nel concetto di ―manifestazione del proprio o altrui pensiero‖ non potessero rientrare ―azioni o comportamenti‖451. Questa visione, però, così netta, è stata foriera di un equivoco che ha condotto ad approdi di non poco momento. Già le prime decisioni della Corte Costituzionale452, seguite poi 449 Ivi. A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., p. 35. 451 R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7. 452 Si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 120 del 1957 e n. 100 del 1966, in cui il Giudice delle leggi utilizzò i limiti logici come ―fondamento giuridico‖ per sostenere la legittimità costituzionale di molte ipotesi di reato presenti nella disciplina 450 197 da autorevole dottrina453, si mossero nell‘ottica della possibilità di individuare dei ―limiti logici‖ alla libertà di manifestazione del pensiero, escludendo dalla portata della norma costituzionale tutte le manifestazioni che, valicando i limiti del puro pensiero, si concretizzassero in un‘azione. In realtà, appare ―molto difficile operare una distinzione tra pensiero ‗puro‘ e pensiero che si trasforma in azione‖454. Ogni manifestazione del pensiero può essere diretta non solo all‘intelletto dei destinatari ma anche allo stato emotivo degli stessi, che può, a sua volta, spingere nel senso di adottare un determinato comportamento. Si pensi alla propaganda e alla pubblicità455. Nel primo caso, si spinge il destinatario non solo all‘adesione a certe idee quanto alla realizzazione delle stesse, anche attraverso l‘esercizio del diritto di voto o l‘attivismo partitico e, nel secondo caso, all‘acquisto dei diversi prodotti pubblicizzati. Sotto questo punto di vista, dunque, anche la propaganda e, per certi versi, l‘apologia è, dal punto di vista ontologico, manifestazione del pensiero, per cui, una loro limitazione, non potrà trarsi solo ed penalistica, tralasciando ―la ricerca della legittimità costituzionale di tali reati in valori, interessi costituzionalmente tutelati e, dunque, idonei a prevalere sulla libertà di manifestazione del pensiero‖. Si veda, per le parole riportate, R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7, nota 13. 453 Concorde sull‘esistenza di tali limiti è, infatti, S. FOIS, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, Milano, 1957, p. 100 ss. 454 Così R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7. 455 Va detto che nel caso della pubblicità, la dottrina non è unanime sull‘inclusione della stessa nella garanzia disegnata dall‘art. 21 Cost. A fronte di chi sostiene che la pubblicità sia del tutto configurabile come libera manifestazione del pensiero (P. B ARILE – P. CARETTI, La pubblicità e il sistema dell‟informazione, Torino, 1984; R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 8), c‘è, infatti, chi, facendo leva sulla strumentalità della stessa rispetto alla libertà di iniziativa economica, ritiene che la pubblicità non possa che rientrare nell‘esercizio della libertà di cui all‘art. 41 Cost. e, dunque, sia soggetta ai limiti da questo previsti (Per tutti si vedano, G. G HIDINI, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano, 1968 e G. De MINICO, Relazione alla Sesta giornata seminariale sul disagio minorile a Napoli, sul tema ―Il minore e le nuove forme di comunicazione. Il minore e le regole comportamentali‖, tenutasi giovedì 26 aprile 2012, Aula Coviello, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli studi di Napoli Federico II, Napoli – il file audio-video della Relazione è disponibile su http://dl.dropbox.com/u/49776784/Convegno%20minori%2026%20aprile%202012/Conv egno%20minori%2026%20apr%20Relazione%20De%20Minico%202012%2000_08_3000_40_58.mp3). 198 esclusivamente da presunti limiti logici alla libertà, ma da valori costituzionali che con essa stridono e che ne possono determinare una compressione, finalizzata alla tutela di un valore ritenuto prevalente456. Dunque, la libertà di manifestazione del pensiero, dal punto di vista contenutistico, deve significare la libertà di esprimersi con la parola o qualsiasi altro mezzo. Solo in tal modo si potrà effettivamente riconoscere a tale libertà la veste che la Corte Costituzionale ha disegnato su di essa, definendola ―pietra angolare dell‘ordinamento democratico‖457, ―perché ben può dirsi che un ordinamento non può funzionare democraticamente, in mancanza di una libera circolazione delle idee – politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume. Il diritto fondamentale s‘incentra sulla libertà di tentare di persuadere gli altri‖458. D‘altro canto, al fianco della libertà negativa, che presenta il profilo individualistico del diritto inviolabile della persona, necessario per il pieno sviluppo della personalità, la dottrina459 riconosce una libertà positiva460, finalizzata a garantire lo sviluppo sociale: una garanzia, dunque, ―di partecipazione‖. In tal modo la libertà è destinata ad arricchire la comunità R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 9 ss. Così si esprime la Corte nella storica sentenza n. 84 del 1969, ma si vedano anche le sentenze n.i 9 e 25 del 1965, n.i 11 e 98 del 1968, n. 168 del 1971, n. 105 del 1972, n. 94 del 1977, n. 1 del 1981 e n. 126 del 1985. 458 P. BARILE, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, cit., p. 227. Ma sul tema già L. PALADIN, Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, cit., p. 6; M. LUCIANI, La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Politica del diritto, 1989, n. 4, p. 606 ss. e, più recentemente, P. COSTANZO, Internet (voce), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, 2000, p. 347-371, nonché ID., Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto (Disc. Pubbl.), cit.; Si veda anche A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, Padova, 1992, p. 390, in questi termini: ―Sotto un profilo ontologico, costituisce manifestazione del pensiero tanto la semplice affermazione dell‘esistenza di un fatto, quanto la diffusione di una notizia‖, tanto – come sostiene C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1958, p. 49 – ―l‘astratta e fredda trasposizione razionale di un pensiero teorico, quanto l‘espressione vivificata dall‘interiore adesione al pensiero esposto, cioè la propaganda, l‘apologia, la pubblica esaltazione e persino la manifestazione istigante alla realizzazione del pensiero espresso‖. 459 Ibidem, p. 229. 460 Quest‘aspetto non va confuso con il diritto sociale a essere informati che lo stesso Barile propone nella medesima sede. 456 457 199 del libero e cosciente apporto del singolo, definita anche461 libertà funzionale, in quanto tendente al buon funzionamento del regime democratico, che sulla partecipazione appunto si fonda‖462. Il concetto di libertà funzionale, però, va sottolineato, non va letto nel senso di intrinseco limite alla libertà. ―Il legislatore ordinario non ha‖, in altre parole, ―l‘autonomo potere di restringere il diritto di libera manifestazione adducendo l‘esistenza di limiti ‗immanenti‘ ad esso, ancorché finalizzati alla tutela del regime democratico‖463. Autorevole dottrina464 ha, infatti, sostenuto: ―Non si nega che, sotto il profilo ideale, un regime nel quale si riconosce al cittadino la capacità di creare diritto e nel quale si vuole che chi governa consideri il suddito come potenziale governante e che non vi siano duci e seguaci, e che sia riconosciuta ad ogni cittadino capace di curare il proprio interesse la potestà 461 Corsivo nel testo. Ivi. Su questa premessa, Barile sostiene con forza l‘assenza di limiti logici alla libertà di manifestazione del pensiero. Si esprime, con estrema chiarezza, in questi termini: ―Questa impostazione – pur nella sua inevitabile debolezza verso i ‗persuasori occulti‘ – respinge coerentemente i cosiddetti ‗limiti logici‘ del concetto; si ha manifestazione del pensiero garantita dall‘art. 21 non solo quando l‘attività è di ‗mero pensiero‘, ma anche quando essa intenda tradursi in ‗incitamento all‘azione‘, ad uno stato o in ‗eccitamento ad uno stato emozionale‘, salvo (…) che l‘azione tenda a spingere fattivamente a commettere reati, la cui ratio sia basata su un principio costituzionale che costituisce limite a questa libertà. Tutte le idee hanno, infatti, più o meno in potenza, ‗una matrice emotiva‘, e quando vengono diffuse tendono a convincere i destinatari non solo a pensarla in un modo, ma anche a comportarsi coerentemente‖. 463 A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, cit, p. 388. 464 C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 11-12. Nel medesimo senso, V. CRISAFULLI, Problematica della libertà dell‟informazione, cit., p. 295, il quale sostiene che: ―l‘interesse pubblico a che vi sia diffusione del pensiero e delle notizie, delle opere dell‘impegno artistico e scientifico, e perciò anche a che vi siano giornali e libri, pellicole cinematografiche e radioaudizioni circolari, e via dicendo, non è maggiore dell‘interesse, costituzionalmente garantito negli ordinamenti a componente liberale, alla libertà intrinseca del contenuto di tali manifestazioni, con i soli limiti (e con il minor possibile di limiti) eccezionalmente stabiliti dalle leggi, in generale ed a tutela degli interessi indefettibili della convivenza sociale‖. Concordi nel ritenere la libertà di manifestazione del pensiero una libertà non funzionalizzata, C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., p. 63 ss. e P. PERLINGIERI – R. DI RAIMO, Art. 21, in P. PERLINGIERI, Commentario alla Costituzione italiana, Napoli, 1997, p. 118. In senso contrario, si veda per tutti G. CUOMO, Libertà di stampa ed impresa giornalistica nell‟ordinamento costituzionale italiano, Napoli, 1956, p. 162 ss. 462 200 di collaborare alla determinazione del comune destino, e che afferma la sovrana dignità di ogni cittadino…non si nega che tale ordinamento pretenda che in via di principio sia riconosciuta innanzitutto la possibilità di manifestare il proprio pensiero. Si vuole solo affermare che non la democraticità dello Stato ha per conseguenza il riconoscimento di quella libertà, sicché possa determinarne la funzione ed i limiti, ma che le ragioni ideali del riconoscimento di quella libertà (e cioè del valore della persona umana) porta tra le tante conseguenze anche l‘affermazione dello Stato democratico‖. ―Una diversa interpretazione‖, continua Esposito, ―sminuirebbe il significato della proclamazione dell‘art. 21, si porrebbe in contrasto con le ragioni storiche della rivendicazione del diritto individuale di manifestazione del pensiero, immiserirebbe il senso della dichiarazione costituzionale (come che essa garantisca la sola manifestazione del pensiero politico o politicamente rilevante), senza alcun risultato pratico. Perché, in sostanza, sotto il profilo pratico, anche ammesso che nella nostra Costituzione esista un nesso inscindibile tra la proclamazione della democraticità dello Stato e quella della libertà di manifestazione del pensiero, il nesso non può essere che questo: che quella libertà nella sua pienezza, come specificamente proclamata e riconosciuta, e con i soli limiti che ad essa siano specificamente imposti da particolari disposizioni costituzionali, è ritenuta incontrovertibilmente utile allo svolgimento di una vita democratica, e che perciò la generica dichiarazione che lo Stato è democratico, niente aggiunge e niente toglie alla solenne e specifica proclamazione di libertà‖. Suggestiva anche la posizione intermedia adottata da chi465 non ha rinunciato a definire la libertà di manifestazione del pensiero ―funzionale‖, 465 P. BARILE, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 12 ss. Nel senso della non necessaria alternatività tra le due tesi (individuale e funzionale) della libertà di manifestazione del pensiero, si veda C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., p. 3. 201 attribuendo, però, al termine un significato decisamente diverso da quello prospettato in precedenza. L‘Autore in questione, infatti, sostiene che chi dall‘indole funzionale voglia far derivare una delimitazione sostanziale dell‘espressione del pensiero a tutela delle ideologie dominanti, non potrebbe che scivolare nel torto. L‘aggettivo funzionale andrebbe, invece, inteso in termini metodologici, che ―prescindono da ogni preclusione di contenuti‖ e che guardano alla diffusione di ogni ideologia come ―momento irrinunciabile del metodo democratico‖. La libertà di manifestazione del pensiero risulterebbe, cioè, una libertà privilegiata rispetto alle altre, a prescindere dal contenuto che si esprime, in quanto è di per sé essenziale per la definizione e l‘attuazione della forma democratica di governo. Da queste impostazioni, però, ne deriva una sostanziale equiparazione in termini di tutela tra la libertà di manifestare il proprio pensiero e quella di manifestare la notizia. La libertà di informazione sarebbe, cioè, immediatamente riconducibile sotto il manto del primo comma dell‘art. 21 Cost. Quest‘interpretazione, che sarà poi accolta dalla giurisprudenza costituzionale, non è stata sempre da tutti condivisa in dottrina. È stato ritenuto466, infatti, che ―non si può negare che la libertà di informazione non si traduca solo ed esclusivamente nella libertà di comunicare ‗notizie‘, senza, con ciò, privare il fenomeno della sua caratteristica sociale‖. Secondo questa tesi, la mancata distinzione tra ―opinioni‖ e ―notizie‖ finirebbe per far ignorare l‘esistenza della peculiare problematica dell‘informazione, specie in relazione ai limiti che essa deve subire467. L‘Autore in questione sostiene che la ―cronaca‖ vada distinta dal ―pensiero‖, infatti, ―la pretesa a narrare può essere ugualmente garantita 466 467 C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., p. 8. Ibidem, p. 9. 202 invocando l‘art. 2 Cost., qualora si sostenga che, dall‘intangibilità del ‗principio‘ di libertà che ne deriva, ogni limite che a questa si volesse imporre deve pur sempre corrispondere a un interesse costituzionale‖468. In sostanza, il tema sul quale la più risalente dottrina si è soffermata è la vexata quaestio dell‘esistenza o meno di una libertà di informazione, pur non essendo essa esplicitamente richiamata in Costituzione, dell‘eventuale copertura della stessa ex art. 21 Cost. e, ancora, del suo contenuto, eventualmente diverso da quello della libertà di manifestazione del pensiero. Lo stesso Crisafulli469 pose l‘analogo problema al centro di un intenso dibattito dottrinario: il passaggio dalla vecchia formulazione alla nuova era solo una questione di parole o aveva implicazioni sostanziali? Volendo considerare, come prima esposto, che la Costituzione presentò un enorme passo in avanti in termini qualitativi e quantitativi di garanzia del diritto in questione, si deve, conseguentemente, affermare che la libertà d‘informazione sia cosa diversa e aggiuntiva rispetto a quella di manifestazione del pensiero? Indubbiamente, ―l‘arretratezza‖ della Carta Costituzionale, anche rispetto alla quasi contemporanea Dichiarazione universale dei diritti dell‘uomo470, in cui il diritto all‘informazione veniva già annoverato nel catalogo dei diritti fondamentali, era particolarmente evidente. L‘art. 19471 della suddetta Dichiarazione dimostrava, infatti, ―la possibilità logicogiuridica di concepire la libertà d‘informazione in via autonoma rispetto alla più classica libertà di pensiero, pur nella consapevolezza dell‘estrema 468 Ibidem, p. 23. V. CRISAFULLI, Problematica della libertà d‟informazione, cit., p. 285-286. 470 Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre del 1948. 471 L‘art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo così recita: ―Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione: ciò che implica il diritto di non essere molestato per le proprie opinioni, nonché il diritto di ricercare, di ricevere e di diffondere, senza riguardi di frontiera, le informazioni e le idee attraverso qualsiasi mezzo espressivo‖. 469 203 mobilità del confine tra le due libertà e, anzi, con l‘evidente intenzione di offrire in dote alla prima il prezioso patrimonio delle tradizionali garanzie della seconda‖472. In effetti, l‘assenza di ogni esplicito riferimento nel dettato costituzionale alla materia dell‘informazione e alle situazioni soggettive che a essa fanno capo, ha costretto la dottrina costituzionalistica italiana a creare ipotesi ricostruttive del profilo attivo della libertà d'informazione, ―tutte giocate all‘interno dei medesimi limiti e delle medesime garanzie previste dalla Costituzione per la libertà di manifestazione del pensiero‖473. In verità, se originariamente474 la tematica della libertà di informazione è stata fatta coincidere con quella della cronaca, la questione ha poi assunto una sua totale autonomia, data la rilevanza che l‘informazione assume per la stessa esistenza di uno Stato democratico475. Il precipitato logico del dibattito dottrinale, che ha avuto a oggetto tale questione, è stato la reductio ad unum476 della libertà di informazione e di manifestazione del pensiero. È attraverso la concezione individualista, divenuta prevalente, che si giunge alla generale riconduzione delle ―notizie‖ alle ―opinioni‖477, entrambe espressione del medesimo valore della libera manifestazione del pensiero, che di per sé prescinde dal contenuto. Dal punto di vista logico-giuridico, si afferma, infatti, l‘impossibilità di distinguere la libertà di informazione dalla libera espressione del proprio pensiero, se non nel fatto che la prima si esercita attraverso i c.d. mass media478. 472 P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit. Ivi. 474 Si veda il riferimento alle parole di C. CHIOLA, sopra riportate. 475 Sul tema, tra gli altri, si veda P. TESAURO, Democrazia e Informazione, in Rassegna di diritto pubblico, 1968, volume III, p. 230 ss. 476 In questi termini, P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit. 477 Si vedano S. FOIS, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, cit.; P. BARILE – S. GRASSI, Informazione (libertà di), in NNDI, App. vol. IV, 1983, ma anche A.M. SANDULLI, La libertà d'informazione, in Problemi giuridici dell'informazione, Atti del XXVIII Convegno nazionale, in Quad. I, n. 28, Milano, 1979. 478 P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit. 473 204 Ciò vale, però, per quanto attiene il profilo attivo della libertà di informare. Per quello passivo, invece, che si traduce nella libertà di informarsi, rectius nel diritto a essere informati, la questione è stata prospettata da taluni in modo diverso. A fronte, infatti, di chi 479 ritiene che non vi sia un‘autonoma situazione soggettiva qualificabile come diritto all‘informazione, ma che essa piuttosto rappresenti la conseguenza del presupposto ineliminabile dell‘esercizio della libertà di informare, parte della dottrina480, invece, ha qualificato il risvolto passivo dell‘art. 21 Cost., non solo come autonoma situazione giuridica, ma anche come diritto il cui contenuto non risulta ricavabile dalla sola interpretazione letterale e sistematica dell‘art. in questione. Infatti, la democraticità di un Paese non può prescindere dalla libera circolazione delle idee e, soprattutto, dalla possibilità per ciascun cittadino di partecipare in modo pieno e consapevole alla società e alle politiche che ne sono espressione. Dunque, diventa fondamentale – per sostenere che ci si trova in uno Stato democratico – non solo la libertà di ciascuno di manifestare il proprio pensiero, o di diffondere notizie ―rilevanti e non‖ per la collettività (diritto di cronaca), quanto la tutela dell‘interesse generale all‘informazione, che si sostanzia nel diritto di ciascun soggetto a ricevere le informazioni, a prescindere dalla volontà o dal comportamento del soggetto manifestante (che sia questo, dunque, disposto a manifestare per far conoscere o a tacere). ―Le fonti di informazione, nello stadio economicamente evoluto e tecnologicamente avanzato delle società contemporanee, sono ben lungi Così, A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 16-17, in questi termini: ―La libertà di ricevere informazioni non individua, né può individuare, un‘autonoma situazione giuridica. Essa piuttosto configura una libertà il presupposto, perché possa essere attivata, è dato dall‘esistenza di ‗fonti generalmente accessibili‘, tra le quali c‘è il concreto ed effettivo esercizio della libertà di manifestare e di informare da parte di altri soggetti‖. 480 A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed evoluzione, in M. AINIS (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 32 ss. 479 205 dall‘essere limitate alla personale manifestazione, ma coinvolgono più spesso, e nei casi più significativi, una serie di attrezzature e mezzi tecnici, per mezzo dei quali la discriminazione si fa massiva, al fine di sorreggere centri di potere economico o politico che si risolvono in veri e propri ostacoli di fatto che limitano la libertà e l‘uguaglianza dei cittadini, e la cui eliminazione costituisce una prefissata direttiva di impegno per la Repubblica (art. 3, II comma, della Costituzione)‖. Le parole dell‘Autore risultano particolarmente attuali, specie nell‘ottica di una libertà, in senso attivo e passivo, che oggi si esercita soprattutto attraverso la Rete, che diventa il nuovo strumento, il nuovo veicolo delle informazioni che permettono al cittadino di informarsi e di informare, di manifestare e di rendersi partecipe in prima persona delle vicende della società odierna, che, per di più, vive on line. Con ciò, dunque, si vuole sostenere, non solo che esiste un diritto all‘informazione autonomo e indipendente dalla libertà di informare, e che, come dimostrato, esiste un diritto sociale all‘informazione481 – qualificabile anche come diritto sociale di accesso a Internet, unico strumento di dialogo tra privati e tra privati e pubblici poteri – ma anche che quell‘interesse all‘informazione, che la Corte Costituzionale ha tratto dall‘interpretazione dell‘art. 21 Cost. e che la dottrina ha abilmente riconosciuto nel combinato disposto degli artt. 21, 2 e 3 Cost.482, è il medesimo valore che i Costituenti vollero garantire nella Carta Costituzionale e che, oggi, trova la sua più 481 Si veda il capitolo secondo di questo lavoro sul tema. Si veda, in particolare, A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed evoluzione, cit., p. 36, in questi termini: ―Il fondamento costituzionale del diritto all‘informazione non si rintraccia solo nell‘art. 21 Cost., che tutela il diritto di espressione (e quindi solo parzialmente soddisfa l‘esigenza di conoscere), ma si desume dall‘intero sistema costituzionale. Si desume non solo da tutte quelle libertà che garantiscono una scelta (e per scegliere occorre prima conoscere), ma anche delle disposizioni che garantiscono il pieno sviluppo della persona umana (artt. 2 e 3, II comma, Cost.), l‘eguaglianza (art. 3 Cost.), la sovranità popolare (art. 1 Cost.) e la partecipazione all‘organizzazione del Paese (art. 3, II comma, Cost.). Questi principi presuppongono che le scelte operate dai governanti debbano essere conosciute dai governati ‗onde consentire il massimo controllo del potere da parte dei cittadini (…) e realizzare l‘ideale della democrazia come potere visibile‘‖. 482 206 ampia e compiuta realizzazione nella disponibilità e nell‘uso sapiente della Rete. D‘altra parte, com‘è stato acutamente evidenziato483, se è vero che il tasso di democraticità di un Paese deve essere misurato tenendo conto della numerosità delle informazioni rilevanti che al suo interno circolano, non può dubitarsi ―della correlazione tra condizioni della democrazia e tecnologie che, appunto, rendono possibile una circolazione più elevata di informazioni, insieme a modalità del tutto nuove del loro trattamento‖. Internet, del resto, si è certamente rivelato uno strumento straordinario per la diffusione dei servizi dell‘informazione, del dibattito sociale, dell‘iniziativa politica e per la crescita dell‘opinione pubblica484. La Rete ha mostrato tutte le sue enormi potenzialità come veicolo delle informazioni e come strumento dalle inedite capacità di creare nuove forme di comunicazione interpersonali485. Data la generalizzata possibilità di utilizzare Internet, ormai mezzo potenzialmente accessibile a tutti486, esso ha rappresentato, dal momento della sua diffusione, la possibilità di implementare l‘effettivo esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e la partecipazione sociale. Il problema di fondo, però, che attraversa l‘annosa questione ―Internet‖ è – come visto in principio di trattazione – la volontà governativa di regolare le diverse manifestazioni del pensiero che trovano cittadinanza nel mondo virtuale, non sorretta da una reale capacità del legislatore nel porre la dovuta attenzione sulla caratteristica della globalità del fenomeno. 483 S. RODOTÀ, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 9 ss. 484 Sul tema, ampiamente, M.F. MORELL, La partecipazione nelle comunità di creazione online. La partecipazione come eco-sistema? I casi di openest.net e wikipedia, in Pol. dir., XLI, n. 3, 2010. 485 P. COSTANZO, Quale partecipazione politica attraverso le nuove tecnologie comunicative in Italia, in Dir. inf. informatica, 2011, p. 20. 486 Sullo specifico tema del diritto di accesso, in termini di natura giuridica e di effettività della banda larga, si veda il secondo capitolo di questo lavoro. 207 In sostanza, dunque, si può concludere che il difficile percorso affrontato dalla libertà in questione dal passaggio dallo Statuto Albertino ad oggi trova il suo normale sbocco nell‘implementata libertà di espressione, che solo lo strumento della Rete può potenzialmente garantire. L‘avverbio è, in questo caso, d‘obbligo. Infatti, aldilà dei problemi – già trattati in precedenza – attinenti alle politiche regolatorie della Rete e alle politiche economiche rispetto alla banda larga, la questione della regolazione della Rete cade inevitabilmente sul problema del contenuto. Se a quest‘ultimo il legislatore non deve e non può metter mano, se non con politiche particolarmente attente, ciò vale, ancor di più per Internet che, data la sua struttura e le sue modalità di trasmissione dei dati di comunicazione e informazione, è più esposto alla possibile censura. Infatti, la possibilità di confondere pensiero e notizie o informazione professionale e libera circolazione delle idee è particolarmente facile on line. Ciò può, con estrema facilità, portare alla costruzione di norme inidonee alla regolazione e censorie, con deleteri effetti sul singolo cittadino, sulla società dell‘informazione – che della circolazione delle idee si nutre – e, infine, sulla democraticità dello Stato487. Sul concetto dell‘e-democracy, A. MAGGIPINTO, Internet e Pubbliche Amministrazioni: quale democrazia elettronica?, in Dir. inf. informatica, 2008, 01, p. 45 ss. L‘Autore sostiene: ―Con l‘espressione ‗democrazia elettronica‘ si individuano nuove forme e modalità di partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica (…) Internet rappresenta un grande mezzo di condivisione e di incontro di idee; la funzione sociale della Rete delle reti è innegabile. La partecipazione dei cittadini alla vita politica potrà dunque essere veicolata in primo luogo attraverso meccanismi basati sui principi di libertà ed uguaglianza, che coinvolgano le comunità e i gruppi di azione (…) Internet rappresenta una grande risorsa per l‘accesso alla conoscenza. La possibilità e il diritto di accedere agli atti istituzionali, alle informazioni sulle attività di governo, e anche al patrimonio normativo e giuridico sui poteri e i compiti delle Istituzioni, sono i presupposti fondanti del meccanismo di controllo dei cittadini e la responsabilità dei governanti‖. Sul tema, anche P. COSTANZO, La democrazia elettronica (note minime sulla edemocracy), in Dir. inf. informatica, 2003, 03, p. 465 ss., nonché sul concetto di libertà informatica, T.E. FROSINI, L‟orizzonte giuridico dell‟Internet, in Dir. inf. informatica, 2002, n. 2, p. 275, in questi termini: ―Con l‘Internet, il diritto di libertà in senso attivo, non libertà da ma libertà di, che è quella di valersi degli strumenti informatici per fornire e ottenere informazioni di ogni genere. È il diritto di partecipazione alla società tecnologica: è una società dai componenti mobili e dalle relazioni dinamiche, in cui ogni 487 208 Pertanto, se è vero che il contenuto della libertà di cui all‘art. 21 Cost. non risulta diverso in ragione del mezzo di diffusione, d‘altra parte non può non tenersi conto delle specifiche peculiarità del mezzo. Internet, infatti, è, da un lato lo strumento più idoneo a garantire il più ampio esercizio della libertà, dall‘altro l‘espressione del pericolo che essa subisca inedite limitazioni. Il problema del contenuto, dunque, diventa anch‘esso questione di regolazione, che, per ciascuna delle tematiche di seguito trattate, troverà una diversa e ragionevole soluzione. individuo partecipante è sovrano nelle sue decisioni‖. Più recentemente, ID., Tecnologie e libertà costituzionali, in Dir. inf. informatica, 2003, 03, p. 487 ss., così di esprime con riferimento alle libertà esercitabili in Rete: ―Non è più soltanto l‘esercizio della libera manifestazione del pensiero dell‘individuo, ma piuttosto la facoltà di questi di costituire un rapporto, di trasmettere e richiedere informazioni, di poter disporre senza limitazioni del nuovo potere di conoscenza conferito dalla telematica: di poter esercitare, insomma, il proprio diritto di libertà informatica. Appare chiaro, allora, come in questa nuova concezione ‗tecnologizzata‘ della libertà di comunicazione, fanno fatica ad affermarsi i contenuti delle tradizionali libertà costituzionali, in particolare quella di comunicare e quella manifestazione del pensiero. Pertanto, è la libertà informatica a rappresentare la nuova libertà costituzionale della società tecnologica, come dimostrano alcune esperienze di Costituzioni recenti e come lo si può senz‘altro ricavare attraverso un‘interpretazione evolutiva delle Costituzioni meno recenti‖. D‘altra parte, l‘Autore, oltre a riconoscere l‘implementata libertà di manifestazione del pensiero in Rete, sostiene l‘esistenza di un‘autonoma libertà costituzionale. Continua, infatti, ―L‘unione fra le tecnologie informatiche e le libertà costituzionali ha generato il nuovo diritto di libertà informatica. La libertà informatica è da ritenersi, pertanto, una libertà costituzionale, che può essere dedotta costituzionalmente, ovvero ricavata e fatta così emergere nel tessuto dei principi costituzionali per il tramite dell‘operato delle Corti costituzionali, oppure può essere costituzionalizzata, e quindi fissata e determinata dagli articoli della Costituzione, così come è avvenuto in numerose Carte costituzionali di recente emanazione, in Europa e nel continente latinoamericano‖. Si vedano, ad adiuvandum, A. VALASTRO, Libertà di comunicazione e nuove tecnologiche. Inquadramento costituzionale e prospettive di tutela delle nuove forme di comunicazione interpersonale, Milano, 2001 e A. DEPRETIS, Internet e la libertà di espressione – una relazione pericolosa?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti; ID., La rappresentanza nell‟era della tecnopolitica, in N. ZANON – F. BIONDI (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, Atti del Convegno, Milano, 16-17 marzo 2000, 2001, p. 217; L. CUOCOLO, Democrazia rappresentativa e sviluppo tecnologico, in Rassegna parlamentare, 2001, p. 979 ss.; F. AMORETTI – E. GARGIULO, Dall‟appartenenza materiale all‟appartenenza virtuale? La cittadinanza elettronica fra processi di costituzionalizzazione della rete e dinamiche di esclusione, in Pol. dir., XLI, n. 3, 2010, p. 353-389. 209 1.1. Free speech, controllo e censura: la lettura americana La possibilità di intervenire, con norme di legge, sulla limitazione del contenuto veicolato on line non dipende solo ed esclusivamente dalla copertura, ormai pacifica, della comunicazione in Rete sotto l‘ambito della libertà di manifestazione del pensiero488, quanto piuttosto dall‘estensione e dai limiti che un ordinamento appresta a tale libertà. È in quest‘ottica che interessante appare una comparazione tra l‘italiana libertà di manifestare il proprio pensiero e l‘americano free speech, al fine di comprenderne le più radicali – se sussistono – differenze e gli eventuali risvolti sulla disciplina della stessa libertà esercitata in Internet. È stato affermato in dottrina489 che il primo emendamento della Costituzione americana ―è ispirato a una concezione che vede la libertà di manifestazione del pensiero come elemento che preesiste alla sua costituzionalizzazione e che, pertanto, non è suscettibile di subire alcuna forma di limitazione a priori (nemmeno ad opera del legislatore), ma solo quelle limitazioni che il giudice vorrà determinare, nell‘ambito di una valutazione bilanciata di interessi con cui l‘esercizio concreto della libertà può entrare in conflitto‖. La dottrina490 ha, infatti, sostenuto che ―la Costituzione degli Stati Uniti, al primo emendamento, proclama, apparentemente senza limiti, la libertà di parola, imponendo quindi agli interpreti – almeno a quelli di 488 Si tenga presente che sono disparati i casi in cui la comunicazione in Rete è invece riferibile all‘ambito di applicazione dell‘art. 15 Cost. Si pensi, ad esempio, ai casi di corrispondenza via mail o di chat non aperte al pubblico. In entrambi i casi, l‘utente del servizio sa che la comunicazione è di carattere riservato, poiché conosce l‘identità del destinatario o, quanto meno, la sua identità digitale. 489 P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, cit., 32. 490 A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 47. 210 loro491 che non identificano nella libertà di parola un valore ‗assoluto‘ – di ricercare limiti a una altrimenti illimitata libertà‖. La lettera del Primo Emendamento così recita: ―Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances‖. È evidente la generalità della previsione costituzionale, che si traduce nell‘amplissimo spazio di applicazione che dottrina e giurisprudenza americana492 riconoscono al free speech. Il libero discorso, a volerlo tradurre letteralmente, è l‘oggetto della libertà negativa per eccellenza, quella che, cioè, implica l‘assenza, l‘arresto dell‘intervento legislativo e di qualunque politica regolatoria, salvo che non sia, in via eccezionale, giustificata dalla necessità di salvaguardare un valore costituzionale fondamentale. Nonostante ciò, però, la dottrina americana non è tutta orientata a riconoscere al free speech il tenore di libertà negativa in senso stretto. Anzi, taluni493 hanno riconosciuto la possibilità di rinvenire schemi e moduli diversi di inquadramento della libertà di manifestazione del pensiero, valutando, in taluni casi, necessario l‘intervento del legislatore, al fine di una effettiva possibilità, eguale, di esercizio del medesimo diritto. 491 Sul tema, si vedano A. MEIKLEJOHN, The First Amendment is An absolute, in The Supreme Court Review, 1961, p. 249 ss.; H.L. BLACK, Concurring opinion, in Cox v. Louisiana, 379, U.S. 559, 578, 1965; nonchè, sulle sue teorie, AA. VV., Reflections on Justice Black and Freedom of Speech, in Valparaiso University Law Review, Volume 6, n. 3, 1972, p. 316-331, anche reperibile in http://scholar.valpo.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1783&context=vulr. Contro la teoria assolutista, si veda R.H. BORK, Neutral Principles and Some First Amendment Problems, in Indian Law Journal, vol. 47, 1971, p. 21 ss. Per l‘improponibilità della tesi assolutista nell‘ordinamento italiano – nonché in quello francese e tedesco – si veda A. BALDASSARRE, Libertà di stampa e diritto all‟informazione nelle democrazie contemporanee, in Pol. dir., 1986, p. 587. 492 Per una ricostruzione della giurisprudenza americana sulla freedom of speech, si veda M.C. DORF, Incidental Burdens on Fundamental Rights, in Harvard Law Review, Vol. 109, n. 6, 1996, p. 1175-1251. 493 M. AMMORI, First Amendment architecture, in Wisconsin Law Review, 2012. 211 Se, infatti, da un lato ritroviamo la tradizionale dottrina americana494, secondo la quale l‘esercizio del free speech non dipende dall‘attenzione ai singoli spazi in cui esso può essere espresso, dall‘altro la dottrina più recente495 ha, invece, evidenziato come lo spazio496 entro il quale la libertà è esercitata possa incidere sull‘opportunità della legislazione e, ancor più profondamente, sulla natura giuridica della libertà di cui si tratta. L‘Autore in questione utilizza, come esempio, il caso della netneutrality. Premesso, infatti, che diverse sono le ipotesi ricostruttive riconducibili al tema della ‗neutralità della Rete‘497, Ammori sostiene che 494 I. BERLIN, Two Concepts of Liberty, Clarendon Press, Oxford, 1958; B. CONSTANT, The liberty of the Ancients Compared with That of the Moderns, in Political Writings, 1988; G.C. MACCALLUM, Negative and Positive Freedom, in The Philosophical Review, Vol. 76, n. 3, 1967. 495 M. AMMORI, First Amendment architecture, cit. 496 Sul punto, chiare le parole di T.P. CROCKER, Displacing Dissent: the role of „place‟ in First Amendment Jurisprudence, in 75 Fordham Law Review 2587, 2007, p. 2587-2639, spec. p. 2638, in questi termini: ―We need to rethink and rearticulate the importance of public places for our free speech tradition in the way broadly indicated by Hannah Arendt‘s political philosophy. Personhood and human autonomy can only exist and develop n fullest form within social structures that provide public places and spaces for human interaction and discourse. Recognizing this fact has repercussions for land use development, local police practices, public transportation, methods of issue advocacy, political advocacy and elections, as well as judicial doctrine under the First Amendment‖. 497 Diversi sono gli Autori americani che leggono nel principio della net-neutrality l‘espressione del First Amendment. Nello specifico, C. S. YOO, Network Neutrality and the Economics of Congestion, in The Georgetown Law Journal, 2005-2006, v. 94, p. 1847 ss., in particolare p. 1851, in questi termini: ―Since network neutrality proponents defend their proposals almost exclusively in terms of the economic benefits of innovation, this Article discusses the issues solely in economic terms. I therefore set aside for another day any discussion of noneconomic issues, such as network neutrality‘s implications for democratic deliberation or the First Amendment‖. Nonchè, si veda M. KIM – C.J. CHUNG – J.H. KIM, Who shapes network neutrality policy debate? An examination of information subsidizers in the mainstream media and at Congressional and FCC hearings, in Telecommunications Policy, 2011, Vol. 35, p. 314 ss., in particolare p. 323: ―Not only will future legislation involving net neutrality govern the infrastructural design of the communication medium, but it may also radically transform the scope and type of First Amendment freedoms the Internet affords‖. Va tenuto presente, però, che, alla luce degli interventi sul tema e dei casi giurisprudenziali (U.S. Court of Appeals for the District of Columbia Circuit, Comcast v. Federal Comms. Comm‟n, 2010 U.S. App. LEXIS 7039, Washington DC, 6 aprile 201009-17), la ricostruzione del principio costituzionale che sottende la net-neutrality ha anche riguardato il V Emendamento della Costituzione americana. Nello specifico, si veda in Dissenting Statement of Commissioner, R.M. MCDOWEL, Preserving the Open Internet, GN Docket No. 09-191, Broadband Industry Practices, WC Docket No. 07-52, p. 6: ―I also have concerns regarding the constitutional implications of the Order, 212 l‘intervento della FCC (Federal Communication Commission) del 2010498 che, in via generale e astratta, stabilisce il principio della net neutrality, si rivela, di per sé, necessario al fine di garantire l‘effettività dell‘esercizio del free speech, diversamente sottomesso alle logiche economiche degli access provider, i quali potrebbero decidere come e quando ridurre banda – e conseguentemente servizi – a determinati utenti. Il regolamento della FCC ―prohibits phone and cable companies from blocking, or discriminating among, websites and online software‖. ―As a result‖, continua l‘Autore, ―Americans can more effectively access the ‗cyberspaces‘ for speech without interference (or editing) by phone and cable companies asserting their own speech rights‖499. Eppure, questo effetto vantaggioso, che Ammori legge nella proclamazione della net neutrality, non è da tutti condiviso. Secondo parte della dottrina, infatti, come per qualunque altra disciplina dell‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, l‘intervento di politica pubblica risulterebbe deleterio. Ciò perché, trattandosi di una libertà negativa, la sua tutela si potrebbe ottenere solo con l‘astensione da parte del regolatore politico, in quanto qualunque intervento sarebbe presumibilmente censorio. In altre parole, il modello della libertà negativa nell‘ordinamento americano così può essere descritto: esso si basa su casi paradigmatici, rispetto ai quali la dottrina costruisce principi generali. Sulla base di essi, especially its trampling on the First and Fifth Amendments. But in the observance of time, those thoughts are contained in my extended written remarks‖. Più in generale, sul tema della net-neutrality, si vedano A.C. FIRTH – N.H. PIERSON (edited by), The open Internet, Net Neutrality and the FCC, New York, 2011; C.T. MARSDEN, Net-neutrality: towards a co-regulatory solution, London, 2010; D.C. NUNZIATO, Virtual freedom: net neutrality and free speech in the Interne age, Standford, 2009; C.S. YOO, Beyond network neutrality, in Harvard Journal of Law and Technology, Vol. 19, n. 1, 2005, p. 1-77, anche reperibile anche alla pagina http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=742404. 498 FCC, Preserving the Open Internet, D.C. 20554, reperibile alla pagina http://hraunfoss.fcc.gov/edocs_public/attachmatch/FCC-10-201A1_Rcd.pdf. 499 M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., p. 6. 213 poi, si influenza il legislatore nell‘intervenire nella disciplina della libertà, sempre che resti nei limiti dei principi desumibili dai casi suddetti e non si spinga oltre. Infatti, laddove il regolatore politico preveda una disciplina più restrittiva della libertà rispetto a quella desumibile dai principi trattati, e dunque probabilmente costituzionalmente illegittima, potrà incorrere in una diretta violazione del Primo Emendamento, salvo che non possa ascriversi ai casi ―exceptional‖500, giustificati e resi legittimi da altrettanti principi che, perlopiù, sono desunti in prima battuta dalla giurisprudenza. Il ruolo della Corte Suprema, infatti, non può che essere quello di ―strike down government action targeted at the speaker because of her content is the primary concern‖501. Da un siffatto modello di libertà negativa, derivano una serie di corollari: la sfiducia nei confronti dell‘intervento governativo, il valore della neutralità della Rete, l‘anti-redistribuzione degli spazi in cui esercitare il free speech e, infine, la rigorosa distinzione tra pubblico e privato, spesso concepita come collegata ai diritti dominicali, come quello di proprietà502. 500 Ibidem, p. 11-12. Ivi. 502 Ibidem, p. 13. Sulla teoria che avvicina la libertà di parola al diritto di proprietà, intese come libertà negative, e per un primo superamento, in dottrina, della netta distinzione tra libertà positive e negative, si vedano C.R. SUNSTEIN, Free Speech Now, in University of Chicago Law Review, 1992, nonché, S. HOLMES – C.R. SUNSTEIN, The cost of rights: why liberty depends on taxes, cit. Per una posizione intermedia nella dottrina italiana, si veda G. DE MINICO, Leggere serve. A proposito di due volumi di Holmes, Sunstein e Ostrom, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/temi_attualita /diritti_liberta/0032_deminico.pdf. L‘Autrice propone, infatti, una lettura inedita del rapporto tra libertà positive e negative, non azzerandone le differenze ma, d‘altra parte, non riconoscendo lo spazio tradizionalmente attribuito, in termini di distanza, ai diritti di libertà, in conseguenza della loro diversa natura giuridica: ―ritengo che la struttura dei due diritti non sia perfettamente sovrapponibile: l‘attività dello Stato è richiesta rispetto alle libertà negative solo se violate; mentre rispetto alle positive, lo Stato deve essere sin dall'inizio ipercinetico affinché si compiano, cioè deve operare già dalla fase fisiologica e non solo in quella patologica, come fa per le negative‖. Per una critica, nella dottrina americana, si veda J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004, p. 32-33: ―the liberty of speech and the liberties involved in property ownership are two different kinds of freedom. Although property rights often assist free expression – think of the right to use the software and the computer 501 214 Questi corollari suggeriscono che il Primo Emendamento dovrebbe essere indifferente alla disponibilità degli spazi utilizzati per il free speech. Ciò implica che tutti i casi paradigmatici, dai quali si traggono i principi da rispettare in materia di libertà di parola, suggeriscono che quest‘ultima sia una libertà negativa503 in senso stretto. Dunque, un intervento regolatorio statale sarebbe da guardare con sospetto poiché, sempre che non rientri nei casi eccezionali, non riuscirebbe a garantire la libertà ma non potrebbe far altro che imporle dei limiti504. that one owns – they can also undermine it, as suggested by the examples of content discrimination in telecommunications networks and the use of digital rights management to control the end user‘s experience‖. 503 Per una visione in tal senso, L.R. BEVIER, The First Amendment on the Tracks: should Justice Breyer Be at the Switch?, in 89 Minnesota Law Review, 2005, 1280; ID., Rehabilitating Public Forum Doctrine: In Defense of Categories, in The Supreme Court Review, 1992, p. 79-122; per un‘ampia ricostruzione delle diverse teorie sulla freedom of speech, si veda K. WERHAN, Freedom of speech. A reference Guide to the United States Constitution, Westport, 2004. M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., p. 14, nel descrivere la dottrina conforme a questa teoria: ―Scholars suggest two conceptions of negative liberty. Negative liberty may simply limit the judicial branch, forbidding the judiciary from imposing affirmative obligations based on the Constitution alone. (…) Also, the second conception of negative liberty would forbid the political branches from imposing affirmative obligations on a private actor through sub-constitutional law, including legislation or rules. For example, not only would judges not require access to shopping malls or Internet access networks, but also they would forbid legislatures from passing laws to supply that access. Such laws would violate the negative liberty of individuals to engage in speech without government interference, however well-meaning‖. 504 Ivi, in questi termini: ―Negative liberty is the freedom from government action. Affirmative or positive liberties are freedoms to particular outcomes, and sometimes require government action to effectuate. In the paradigmatic cases, if government just leaves everyone alone, diverse speakers can speak. In these cases, affirmative government action appears both unnecessary and unhelpful (though perhaps present)‖. E, ivi, p. 14: ―Access to a space may rest on an affirmative liberty conferred by the public forum doctrine, which requires certain government spaces open for all, but scholars characterize the protection in these cases as reflecting protection of negative liberty‖. Dunque, nonostante la dottrina ―public forum‖, parzialmente accolta dalla giurisprudenza americana (si vedano i casi Davis v. Massachusetts, 167 U.S. 43, 48 (1897), Perry Education Association v. Perry Local Educators‟ Association, 460 U.S. 37 (1983), United States v. Kokinda, 497 U.S. 720, 730 (1990), International Society for Krishna Consciousness v. Lee, 505 U.S. 672, 680 (1992), Marlin v. District of Columbia Board of Elections and Ethics, 236 F. 3d 716, 2001) già prevedesse la necessità di un intervento legislativo sulle modalità di esercizio della libertà di espressione, nei casi in cui essa contrastasse con diversi valori e, dunque, laddove fosse necessario intervenire dettando regole di tutela in caso di esercizio in uno spazio pubblico o imponendo limiti legittimi in 215 Ammori rinnega questa tesi, non solo avvicinandosi all‘opinione menzionata dell‘impossibilità di distinguere così nettamente libertà positive e negative, ma anche e soprattutto sostenendo che l‘intervento del legislatore505, o regolatore che sia, (si pensi al caso del Regolamento FCC in tema di net-neutrality) sia, in talune occasioni, indispensabile, perché volto (come nel caso della neutralità della Rete) a garantire eguale esercizio della libertà. Freedom of speech come libertà positiva dunque? Non necessariamente. In altre parole, si ritiene che non sia imprescindibile incasellare i diritti di libertà in definizioni strette e asfittiche, poiché è da esse che nasce il pericolo di limiti all‘esercizio. Infatti, le eccezioni506, che caso di esercizio in ―private places‖, la dottrina tradizionale continua a restare ferma sulla posizione della libertà negativa in termini assoluti. 505 Sulle modalità dell‘intervento regolatorio, in tema di libertà di manifestazione del pensiero, si veda E. KAGAN, Private speech, Public purpose: The Role of Governmental Motive in First Amendment Doctrine, in The University of Chicago Law Review, vol. 63, n. 2, 1996, p. 413-517. Diversamente, sul limitato ruolo del soggetto pubblico, J.O. MCGINNIS, The Once and Future Property-Based Vision of the First Amendment, in The University of Chicago Law Review, vol. 63, n. 1, 1996, p. 49-132, spec. p. 132: ―the government would have only a very circumscribed role with respect to the emerging networks of communication. This role would be limited largely to enforcing regulations that are applied to business enterprises generally. Given the great opportunities for competition among networks, spontaneous order of the kind represented by emerging computer nets will create multiple opportunities for information-rich exchanges. Centralized authorities generally lack the information to improve on the beneficial competition among ideas that is intensified by a property-based First Amendment regime. Indeed, these centralized authorities have powerful incentives to distort that competition. Thus, in a world of global competition, societies that permit the government to regulate the flow of information are greatly disadvantaged compared with societies that continue to permit unfettered information transmission‖. Sulla rilevanza del lavoro interpretativo, operato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America, rispetto alla portata del free speech, si veda G.R. STONE, Content-Neutral Restrictions, in The University of Chicago Law Review, vol. 54, n. 1, 1987, p. 46-118. 506 Il riferimento della dottrina è all‘accesso alla televisione via etere, via cavo, nonché alla rete telefonica. Infatti, M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., a p. 17, così si esprime: ―Cable television is at least a partial exception. Regulations ensuring access to phone lines are an exception, rarely discusses except to point out the minimal constitutional scrutiny of laws burdening phone companies, despite the phone‘s importance as a speech medium. Access to the Internet, provided by both phone and cable companies, may be an exception similar to phone exception or similar to different cable exception. The postal service‘s enormous effect on newspapers, protecting some papers and harming others, is also an exception, supposedly permitted because it involved government property, though many private networks also involve government property. 216 indicano i casi in cui il legislatore è intervenuto – ad esempio nella disciplina dei mezzi di comunicazione di massa – non sono solo casi inusuali, giustificati da principi che, di volta in volta, li legittimano, ma presentano, essi stessi nuovi e concorrenti modelli di libertà. ―These exceptions lead to competing models. While not identical, scholarly models are consistent in contrasting an operative negative-liberty model with an exceptional affirmative model or equality model‖507. In sostanza, dunque, parrebbe necessaria la regolazione da parte del soggetto pubblico, in termini di disciplina dell‘esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, specie quando si tratta di regolare l‘accesso ai mezzi di comunicazione di massa. In tal caso, infatti, la possibilità di esercitare il diritto è direttamente legata al perimetro della stessa libertà disegnata in Costituzione che, diversamente, resterebbe norma vuota di significato. Il legislatore, infatti, detta regole che integrano il precetto costituzionale508, garantendo un esercizio eguale della libertà, scevra da discriminazioni di sorta: ―Legislating takes plase in the shadow of constitutional law. Legislative decisions often reflect known constitutional constraints articulated by the judiciary (…) Legislatures play an important role in entrenching, by supplyning remedies unavaiable to courts, and in creating constitutional norms as ‗norm‘ entrepreneurs. As a result, permissible legislative actions-including those expanding the availability of speech spaces-may themselves reflect constitutional norms‖. L‘interpositio legislatoris, in altri termini, diventa fondamentale quando si tratta di garantire ai citizens o net-citizens spazi reali e virtuali nei quali è possibile esercitare la libertà; in tal modo tali norme divengono segno di garanzia effettiva. In short, ‗exceptions‘ to doctrine somehow govern our most important physical and virtual speech spaces‖. 507 Ivi. 508 Ibidem, p. 26. 217 Come può evincersi, dunque, l‘interpretazione della libertà di manifestare il proprio pensiero ha spinto, da un lato la dottrina italiana a concepire, accanto alla libertà negativa, quella positiva del diritto all‘informazione509, e dall‘altro quella d‘oltreoceano a riflettere sul risvolto positivo della medesima libertà. Le due interpretazioni sono così più vicine, perché entrambe volte a riconoscere un certo grado di effettività alla norma costituzionale, non lasciandola mera proclamazione di principio. Quest‘affinità, così evidenziata, lega in realtà a doppio filo i giuristi italiani510 e americani511, perché, di fronte alle nuove tecnologie, entrambi giungono alla constatazione che, al mutare delle forme di manifestazione del pensiero, mutino anche le condizioni sociali per l‘espressione dello stesso e, dunque, le forme di partecipazione sociale, che ne sono diretta conseguenza, pur non incidendo sulla natura della libertà512. È proprio da questa constatazione che nasce la necessità dell‘intervento regolatorio513. Per tutti, si veda A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed evoluzione, in M. AINIS (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 32 ss. Peraltro, tale approdo è anche proprio della dottrina americana più attenta al tema. Così, J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004, p. 5, in questi termini: ―The idea of a democratic culture captures the inherent duality of freedom of speech: Although freedom of speech is deeply individual, it is at the same time deeply collective because it is deeply cultural‖. 510 Si pensi, per tutti, al concetto di ―libertà informatica‖, di cui parla T.E. FROSINI, L‟orizzonte giuridico dell‟Internet, cit. 511 Il riferimento è a J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004. 512 Lucide le riflessioni di BALKIN, op. ult. cit.: ―Digital technologies change the social conditions of speech, they bring to light features of freedom of speech that have always existed in the background but now become foregrounded‖. 513 D‘altra parte la fede nell‘intervento regolatorio del Governo è già propria della dottrina progressista sul First Amendment, la quale ritiene che asserire che esiste the fredoom of speech non ha tanto lo scopo di promuovere e favorire l‘autonomia individuale, quanto piuttosto quello di incrementare le deliberazioni democratiche sulle pubbliche questioni. Il fuoco di questa teoria risiede nell‘attitudine a credere che lo scopo primario del free speech sia il raggiungimento di uno Stato democratico attraverso l‘opera sapiente del Governo. Si veda, a riguardo, diffusamente A. MEIKLEJOHN, Political freedom: the constitutional powers of the people, Oxford University Press, 1965, nonché D.M. RABBAN, Free Speech in Progressive Social Thought, in 74 Texas Law Review, 1996; J.M. BALKIN, Populism and Progressivism as Constitutional Categories, in 104 Yale Law Journal, 1995 e C.R. SUNSTEIN, Democracy and the problem of free speech, 509 218 Internet, in altre parole, è mezzo di comunicazione talmente peculiare e fondamentale per l‘esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, che riesce a mutare il tradizionale approccio alla materia del free speech, pretendendo un intervento legislativo indispensabile nel nuovo framework dei net-citizens. ―Therefore, free speech values – interactivity, mass participation, and the ability to modify and transform culture – must be protected through technological design and through administrative and legislative regulation of technology, as well as through the more traditional method of judicial creation and recognition of constitutional rights‖514. L‘attenzione del regolatore politico è richiesta, inesorabile, dalle nuove tecnologie: ―the digital revolution places freedom of speech in a new light, just as the development of broadcast technologies of radio and television did before it. The digital revolution brings features of the system of free expression to the forefront of our concern, reminding us of things become central and thus more relevant to the policy issues we currently face‖515. Ciò detto, però, è necessaria una precisazione. New York, 1993, p. 93 ss. La teoria progressista, così definita da J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., si sviluppa a partire dal ventesimo secolo, come conseguenza dell‘avvento dei mass media, che (sia tv che giornali) non garantivano di per sé l‘effettivo pluralismo delle idee che la libertà di manifestazione avrebbe preteso. L‘Autore, a p. 30-31, descrive la questione in questi termini, ―I think it is no accident that the progressivist/republican approach to free speech arose in the twentieth century, for this was also the century of mass media. People who endorse democratic theories of free speech understand that although mass media can greatly benefit democracy, there is also a serious potential conflict between mass media and democratic self-governance. (…)democracy-based theorists of free speech in the twentieth century have argued that government must regulate the mass media in a number of different ways: (1) by restricting and preventing media concentration; (2) by imposing public-interest obligations that require the broadcast media to include programming that covers public issues and covers them fairly; and (3) by requiring the broadcast media to grant access to a more diverse and wideranging group of speakers in order to expand the agenda of public discussion‖. D‘altra parte, secondo l‘Autore l‘ingresso di Internet nello scenario dei mass media non basta già a evitare che il legislatore intervenga a regolare l‘accesso ai mezzi di comunicazione, perché la sola possibilità di utilizzare la Rete per ricevere o trasmettere informazioni non basta ex se a garantire che un accesso generalizzato alle informazioni sia garantito. 514 Ibidem, p. 2. 515 Ibidem, p. 3. 219 Il Governo deve intervenire, come la su citata dottrina suggerisce, solo al fine di garantire l‘esistenza di uno Stato democratico? È davvero così limitato il ruolo della libertà di manifestazione del pensiero? In realtà, ci sembra che possa essere superata la visione della dottrina progressista americana, che spinge sul ruolo del regolatore solo se finalizzato a garantire uno stato di effettiva democrazia, come diretto risultato del ―market place of ideas‖. Infatti, si può sostenere che il free speech – come del resto evidenziato anche dalla dottrina italiana in tema di libertà di manifestazione del pensiero – si rende indispensabile per il conseguimento di una cultura democratica516, che è qualcosa di più ampio, di più generale e onnicomprensivo dello Stato democratico in sé. Tale teoria è, in sostanza, la traduzione americana dell‘assenza di limiti funzionali al free speech, che, come si vede, diventa un punto di riferimento anche oltrefrontiera. Dunque, affrontato il tema più generale della portata del free speech, per quanto attiene al suo esercizio on line, va detto anzitutto che la rivoluzione digitale ha posto nuovi interrogativi ai giuristi, nuove sfide al L‘espressione ―democratic culture‖ è di J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., p. 3435, ―Democracy is far more than a set of procedures for resolving disputes. It is the features of social life and a form of social organization. (…) A ‗democratic culture‘ means much more than democracy as a form of self-governance. It means democracy as a form of social life in which unjust barriers of rank and privilege are dissolved, and in which ordinary people gain a greater say over the institutions and practices that shape them and their futures. What makes a culture democratic, then, is not democratic governance but democrative participation‖ – corsivi nel testo. Sul tema si vedano W.W. FISHER, Property and Contract on the Internet, 73 Chi.-Kent Law Review, 1998, in questi termini: ―In an attractive society, all persons would be able to participate in the process of meaning-making. Instead of being merely passive consumers of cultural artifacts produced by others, they would be producers, helping to shape the world of ideas and symbols in which they live‖; L. LESSIG, The future of ideas, New York, 2001, sulla connessione di principio tra ‗semiotic democracy‘ e ‗democratice culture‘; N. ELKINKOREN, Cyberlaw and Social Change: A Democratic Approach to Copyright Law in Cyberspace, in 14 Cardozo Arts & Ent. L.J. 215, 1996. 516 220 legislatore e la necessità di individuare nuovi limiti517 all‘esercizio della libertà. Infatti, l‘avvento delle nuove tecnologie, offrendo opportunità prima inesistenti e creando un vivace sistema di libertà di espressione, d‘altra parte, presenta anche nuovi pericoli per la stessa. ―The emerging conflicts over capital and property are very real. If they are resolved in the wrong way, they will greatly erode the system of free expression and undermine much of the promise of the digital age for the realization of a truly participatory culture‖518. Non a caso, la dottrina americana sostiene che, se è vero che il modello della protezione giudiziale dei diritti individuali conserva la sua cruciale importanza nell‘era digitale, esso, però, si rivela insufficiente per una protezione del free speech adeguata ai nuovi mezzi. Un sistema giuridico basato sulla libertà di espressione è qualcosa di più della somma dei diritti individuali di libertà di parola, garantiti caso per caso ai singoli. Esso deve fare i conti con le infrastrutture tecnologiche e proporre un tipo di regolazione che orienti la tecnica nel senso della garanzia. Un sistema siffatto, dunque, non può che dipendere dalle tecnologie della comunicazione e dall‘uso che di esse vien fatto. In altre parole, ―in the digital age, the technological and regulatory infrastructure that undergirds the system of free expression has become increasingly important. Elements of the system of free expression that were backgrounded in the twentieth century will become foregrounded in the twenty-first. They will be foregrounded, I argue, because the guarantee of a pure formal liberty to speak will increasingly be less valuable if technologies of communication and information storage are biased against 517 J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., p. 6. L‘Autore sostiene espressamente che ―the technologies can produce new methods of control that can limit democratic cultural participation‖. 518 Ivi. 221 widespread individual participation and toward the protection of property rights of media corporations. If we place too much emphasis on judicial doctrine at the expense of infrastructure, we will be left with formal guarantees of speech embedded in technologies of control that frustrate their practical exercise‖519. Un sistema di libera espressione, dunque, è il risultato della sinergia tra più elementi: in primo luogo, le politiche governative che promuovano e garantiscano la partecipazione di ogni cittadino alle tecnologie dell‘informazione; in secondo luogo, un‘architettura tecnologica che faciliti il controllo decentralizzato e la partecipazione di tutti, piuttosto che impedirli; infine, l‘applicazione dei metodi tradizionali di carattere giurisdizionale e gli stretti scrutini di costituzionalità che intervengano su politiche di carattere censorio, nonché ―l‘enforcement of rights of free speech against government abridgment‖520. In sostanza, nell‘era digitale, proteggere la libertà di espressione significa promuovere la realizzazione di un nucleo di valori nelle leggi e nei regolamenti amministrativi, così come nella progettazione della tecnologia. Gli stessi valori di cui parlava Lessig521: l‘interattività, l‘ampia partecipazione, la parità di accesso alle forme di informazione e comunicazione tecnologica, la promozione del controllo democratico nella progettazione tecnologica. Dunque, se il free speech assume nell‘era di Internet un significato più pregnante, racchiudendo in sé la possibilità di un cambiamento nel senso dell‘implementazione del diritto, questo deve essere colto, perché diversamente la norma costituzionale non avrebbe ragion d‘essere e non 519 Ibidem, p. 51. Ivi. 521 L. LESSIG, Code. Version 2, cit. 520 222 sarebbe, come invece ha sempre fatto la giurisprudenza, interpretata in senso evolutivo522. In verità, la dottrina americana523, che per prima si è occupata del Primo Emendamento, ha sempre sostenuto che esso fosse un problema di carattere domestico, generalmente impermeabile agli eventi, alle leggi e alle persone fuori dai confini degli Stati Uniti. Quest‘assunto è stato fisiologicamente smentito dal progresso tecnologico. Oggi un‘informazione può raggiungere diverse parti del mondo in tempo reale con un solo click, che sia trasmessa da un qualunque utente o da un giornalista. Le comunicazioni e le condivisioni di carattere personale e pubblico sono cresciute in modo esponenziale, perché non c‘è bisogno di viaggiare per comunicare al di qua o al di là dell‘oceano. Non bisogna dimenticare, specie di fronte ai cambiamenti radicali che hanno investito il campo dell‘informazione, che il diritto deve dare risposta ai fatti e che i principi devono servire a guidare i fenomeni, i quali, di volta in volta, s‘impongono nella realtà. Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, il Primo Emendamento trova una serie di limiti in altri diritti: la privacy, il diritto di proprietà intellettuale, i quali si scontrano con esso su terreni nuovi e diversi, che pretendono una rivisitazione degli stessi, pur lasciando, come la dottrina ha sottolineato524, che il nucleo centrale delle libertà disegnate dai Costituenti, resti immutato. Di certo, però, la globalizzazione e la digitalizzazione delle 522 Sul tema, si veda J.M. BALKIN, The future of expression in a Digital Age, in Pepperdine Law Review, Vol. 36, 2009, p. 427-444; nonché già ID., Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., p. 55, sul concetto di ‗rights dynamism‘. 523 Si veda per tutti, R.D. KAMENSHINE, Embargoes on Exports of Ideas and Information: First Amendment Issues, in 26 WM. & Mary Law Review, 863, 865, 1985, in questi termini: ―Most discussions of first amendment rights assume that the communication is addressed to a domestic audience or at least assume that the domestic or foreign nature of the audience is inconsequential‖ e, più recentemente, nel descrivere la questione, T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond – our borders, in 85 Notre Dame Law Review, 2010, p. 1544. 524 M. BALKIN, The future of expression in a Digital Age, in Pepperdine Law Review, Vol. 36, 2009, p. 430 ss. 223 informazioni alterano la premessa che il Primo Emendamento sia questione domestica legata al territorio525. Sulla base di questa considerazione, la dottrina, infatti, ha ipotizzato l‘esistenza di tre interpretazioni del First Amendment: ―the intraterrotorial, the territorial and the extraterritorial‖526. La questione più interessante è quella che attiene alla visione transfrontaliera della libertà di parola che, inevitabilmente, s‘intreccia con il tema della governance527 della Rete. La dottrina americana suggerisce che un ―healthy, robust, global marketplace of ideas‖ richieda un ripensamento dei modelli di governance territoriale, che trovano un‘immediata ricaduta in una diversa visione del free speech528, non nel senso di mutarne il significato e l‘essenza della libertà, quanto invece di inquadrarne la nuova portata e i nuovi limiti. ―First Amendment is more cosmopolitan today than perhaps any other time in the nation's history. Speech, press, and associational liberties are far less territorially constrained. Legal and regulatory liberalization, combined with modernizing forces such as globalization and digitization, have pulled back the ‗nylon curtain‘ that once served as a hard content and ideological barrier at the nation's borders‖529. Ciò non comporta una ―perdita di sovranità‖ in senso stretto, ma di certo appiattisce la rilevanza dei confini territoriali. È la stessa deterritorializzazione a sollevare problemi circa la nuova dimensione del Primo Emendamento. Nasce, infatti, una domanda di fondo, nella dottrina americana: il primo emendamento è una libertà garantita solo a cittadini e Così T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond – our borders, in 85 Notre Dame Law Review, 2010, p. 1545. 526 Ivi. 527 Per quanto attiene ai diversi aspetti della governance della Rete, si rimanda al primo capitolo di questo lavoro. 528 D.G. POST, In Search of Jefferson‟s Moose: Notes on the State of Cyberspace, Oxford University Press, 2009, nonché T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond – our borders, cit., p. 1581. 529 T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond – our borders, cit., p. 1627. 525 224 stranieri legalmente residenti negli Stati Uniti? O, piuttosto, è un diritto universale dell‘uomo? Risposte certe a queste domande non esistono, almeno per due ordini di motivi: in primo luogo, perché, come sopra sostenuto530, le ragioni della sovranità nazionale prendono spesso il sopravvento e, in secondo luogo, perché la proclamazione dell‘art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti umani non disegna, comunque, con estremo rigore l‘esatta e unica portata della libertà531. D‘altra parte, prima dell‘emergere di un vero mezzo di comunicazione globale – Internet – ogni Nazione poteva scegliere il limite massimo di protezione da accordare alla libertà di espressione, senza che ciò avesse un impatto negativo sulle altre nazioni che operano scelte differenti. Internet, infatti, ha, da un lato introdotto nuove e inedite questioni sulla protezione nazionale della libertà di pensiero e, dall‘altro tecniche diverse di censura. Si pensi, ad esempio, alle questioni del filtraggio on line, spesso posto a tutela del diritto di proprietà intellettuale o dell‘integrità psicofisica dei minori. L‘innovazione tecnologica non si dirige necessariamente solo nella direzione della garanzia massima della libertà532. Questa è solo una delle 530 Si veda, a riguardo, il discorso sulla sovranità affrontato nel primo capitolo, spec. par. 2.2. 531 Sul punto, chiare le parole di K. WIMMER, Toward a World Rule of Law: Freedom of Expression, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, vol. 603, Law, Society and Democracy: Comparative Perspectives, 2006, p. 203: ―Freedom of expression is guaranteed by international treaties, but countries differ significantly in their view of the meaning of ‗free expression‘ and how it should be protected. (…) This right, however, is tempered by permissible restrictions to protect national security, individual privacy and reputation, the impartiality of courts, and the like. But there is widespread disagreement on the extent to which each country permissibly may build on the minimal levels of free expression ensured by international norms. Laws dealing with protection of reputation vary dramatically from country to country, as do laws and regulations addressing the electronic media, political speech, and commercial speech‖. 532 Si veda, infatti, W.H. DUTTON – A. DOPATKA – M. HILLS – G. LAW – V. NASH, Freedom of Connection – Freedom of Expression: The Changing and Regulatory Ecology Shaping The Internet, Report prepared for UNESCO‘s Division for Freedom of Expression, Democracy and Peace, Oxford Internet Institute, University of Oxford, 2010, p. 21, reperibile alla pagina 225 possibilità della Rete, è una delle promesse che potremmo attenderci dai Governi a livello nazionale e sovranazionale, ma, chiaramente, questa possibilità dovrà e potrà essere realizzata solo ―by policy and practice‖533. Gli ostacoli534 all‘esercizio della libertà possono essere così identificati: 1. Le barriere all‘accesso, intendendosi per esse anche la discutibile politica economica statale che si ripercuote sulla mancanza di infrastrutture. 2. Le restrizioni ai diritti degli utenti, come l‘illegittima disconnessione dalla Rete. 3. L‘imposizione di limiti al contenuto, operata o dai Governi (si pensi al caso Cina) o dagli operatori di settore. Tralasciando i primi due punti, strumentali all‘esercizio della libertà, e già affrontati in precedenza, particolare attenzione desta la terza categoria, che si presenta come una possibile apertura a fenomeni di censura. Esistono particolari software, infatti, che riescono a limitare il contenuto delle informazioni accessibili agli utenti, che possono essere installati a valle da un qualunque utente sul suo pc, o a monte da un server di rete Internet service provider. Un filtro può schermare diversi contenuti: parole, indirizzi mail, siti web. I software in questione assumono le denominazioni di ―content-control‖ o ―web-filtering‖535. Le finalità per cui essi sono utilizzati possono essere le più diverse: se se ne serve il Governo, possono rappresentare manifestazione di una politica censoria o di tutela dei minori – laddove i siti oscurati siano a http://portal.unesco.org/pv_obj_cache/pv_obj_id_4598876254B701E203952691673346E 0E16C0E00/filename/UNESCO-19AUG10.pdf, in questi termini: ―The new technologies offer considerable potential for diversifying messages and further democratizing communication. However, realizing or rejecting this potential depends, of course, on the economic, social and political choices that must be made‖. 533 Così, Ibidem, p. 6. 534 Si riportano gli studi di W.H. DUTTON – A. DOPATKA – M. HILLS – G. LAW – V. NASH, Freedom of Connection – Freedom of Expression: The Changing and Regulatory Ecology Shaping The Internet, cit., p. 9. 535 Ibidem, p. 11. 226 carattere pedo-pornografico; se se ne avvalgono gli operatori di rete privati, possono essere la conseguenza di scelte di politica economica o, più semplicemente, politiche dirette a combattere lo spam, servizio essenziale per i clienti dei service provider. È evidente dunque che, contestualmente al progresso tecnologico che ha garantito uno sviluppo senza precedenti delle forme di comunicazione, si siano anche sviluppate modalità di controllo del flusso delle informazioni sulla Rete delle reti. Infatti, l‘accesso a Internet non si traduce automaticamente nell‘utilizzo della Rete per la produzione o condivisione di nuovo contenuto. Si pensi alla nuova tecnologia del deep impact inspection. Essa si sostanzia nell‘uso di strumenti informatici in grado di ispezionare pacchetti inviati tramite la rete internet, in modo da permettere a terzi (non il mittente o il destinatario) di individuare particolari aspetti della comunicazione. L‘ispezione è effettuata da un ―middle man‖, non il punto finale della comunicazione, giungendo al contenuto effettivo del messaggio. Per esempio, gli ISP possono utilizzare questa tecnologia per intercettare legalmente i clienti che si servono della Rete per scopi illeciti o per scopi che violano i loro accordi con l‘utente. Fin qui, la tecnologia ci sembra ben utilizzata, solo a favore delle libertà. Il punto è che alcuni Governi (in Nord-America, Asia, Africa) utilizzano la medesima tecnologia per diversi scopi, come la sorveglianza o la censura. Infatti, la deep packet inspection può servire ―one for all‖ per controllare o regolare il traffico e i diversi elementi di comunicazione, come l‘intercettazione, la registrazione del traffico Internet, l‘applicazione del diritto d‘autore, la priorità della larghezza di banda limitata e il monitoraggio del comportamento degli utenti. Meglio detto, ―DPI thus can serve interests of many stakeholders: government agencies and content providers, who are interested in the monitoring and filtering of information flows (political control); network 227 operating staff, who have to deal with malware and bandwidth-hungry applications (technological efficiency); vertically integrated ISPs that want to create additional revenues or protect them, through preventing the Internet from cannibalizing their telephone or video-on-demand revenues (economic interests)‖536. Questo nuovo standard537, frutto dell‘evoluzione tecnologica, nonostante le perplessità espresse dalla Germania538, ma anche direttamente da Bruxelles539, è stato approvato nel novembre 2012 dall‘ITU540. Ha fatto sorgere dubbi la sua approvazione, peraltro proposta dalla Cina, specie perché da diversi Paesi è stato utilizzato a fini censori (come 536 Ibidem, p. 29. Si veda, sul tema la pagina http://dpi.priv.gc.ca/index.php/essays/dpi-as-an. Sulle conseguenze della deep packet inspection, si veda anche C. FUCHS, Implications of Deep Packet Inspection (DPI) Internet Surveillance for Society, in The Privacy and security. Research Paper Series, 2012, Department of Informatics and Media, Sweden, reperibile alla pagina http://www.projectpact.eu/documents1/%231_Privacy_and_Security_Research_Paper_Series.pdf, nonché la pagina http://www.centerfordigitaldemocracy.org/ftc-makes-advances-protecting-privacyamericans-big-data-era-call-congress-rein-data-brokers, in cui si riporta il parere dell‘FTC sui problemi di privacy provocati dall‘utilizzo della suddetta tecnologia. Per un commento incentrato sulle problematiche della violazione della libertà di espressione e del diritto alla riservatezza, si indica lo studio del Center for Democracy and Technology, reperibile in https://www.cdt.org/blogs/cdt/2811adoption-traffic-sniffing-standard-fanswcit-flames. Infine, per un commento più strettamente tecnico, si veda F. YU – Z. CHEN – Y. DIAO – T.V. LAKSHMAN – R.H. KATZ, Fast and Memory Efficient Regular Expression. Matching for Deep Packet Inspection, 2006, consultabile alla pagina http://www.diku.dk/hjemmesider/ansatte/henglein/papers/yu2008.pdf. 537 Si veda, sul tema, anche la pagina http://blog.quintarelli.it/blog/circa-la-deeppacket-insp.html. 538 Chiaro l‘articolo di R. BURGESS, U.N. communications body adopts eavesdropping standards, 5 dicembre 2012, in http://www.techspot.com/news/51011-uncommunications-body-adopts-eavesdropping-standards.html. 539 Sul punto, J. BAKER, European Parliament: Stop the ITU taking over the Internet, 22 novembre 2012, in http://www.pcworld.com/article/2016079/european-parliamentstop-the-itu-taking-over-the-internet.html. 540 La Risoluzione Y. 2111-11 è reperibile al sito ufficiale dell‘ITU, alla pagina http://www.itu.int/rec/T-REC-Y.2111-201111-I. Per una rassegna stampa sul tema, si veda http://www.lastampa.it/2012/12/07/tecnologia/l-itu-approva-gli-standard-per-la-deeppacket-inspection-u89eQpJxBivtru6w1f3FEK/pagina.html. Si segnala che la pubblicazione della Risoluzione è intervenuta solo a seguito della circolazione on line (http://boingboing.net/2012/12/05/leaked-itus-secret-internet.html) delle specifiche proposte di standard di interoperabilità tecnica per i sistemi di ispezione approfondita dei pacchetti, adottate dall‘ITU con documenti tenuti segretati, che una giornalista è riuscita ad ottenere dal responsabile delle comunicazioni esterne nell‘ITU. 228 nel caso di Gheddafi, che in Libia riusciva a monitorare, attraverso questa particolare tecnologia, le comunicazione private in chat o i siti a diffusione pubblica di attivisti per le libertà civili, con lo scopo di reprimere i dissidenti). È chiaro, dunque, che aldilà della teoria dottrinale541 o giurisprudenziale che si voglia abbracciare, la questione della portata del free speech rispetto alle nuove tecnologie rimane ancora aperta. Peraltro, non solo rispetto all‘ambito della sua applicazione, quanto a quello che riguarda i suoi limiti e, più nello specifico, i mezzi di diffusione. Si affronterà, infatti, qui di seguito, prima la questione del limite del buon costume, cercando un parallelo con l‘hard speech americano – il quale con riferimento alla Rete assume una peculiare portata – per poi soffermarci sul rapporto tra l‘esercizio della libertà di manifestazione on line e le norme in materia di stampa, valutando la possibilità, e conseguentemente, la ragionevolezza di un‘equiparazione normativa. 1.2. I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero on line: il buon costume nel rapporto con la tutela dei minori. Come evidenziato dalla dottrina542 e sopra anticipato, Internet è un mezzo di telecomunicazione, di comunicazione individuale e di massa, nonché di diffusione del pensiero. È, dunque, una realtà decisamente Per un‘approfondita ricostruzione delle teorie sul free speech, in particolare su quelle (the Market Place of Ideas Theory – The Self-Fulfillment Theory – The Democratic Self-Governance Theory) che maggiormente influenzano la giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America, si veda L.C. M AHAFFEY, “There is something unique…about the Government funding of the arts for First Amendment Purposes”: an institutional approach to granting Government Entities free speech rights, in 60 Duke Law Journal, 2011, p. 1239-1283. Sulla prima teoria, in particolare, J. BLOCHER, Institutions in Marketplace of Ideas, in 57 Duke Law Journal, n. 4, 2008, p. 821-889. 542 Si veda per tutti G. CORRIAS LUCENTE, Internet e la libertà di manifestazione del pensiero, in Dir. inf. informatica, 2000, p. 598. 541 229 complessa e variegata. Ciò nonostante, dinanzi a questo framework multiforme, può affermarsi con certezza che i valori coinvolti nelle relazioni che si manifestano in Rete siano quelli costituzionali. Si condivide, infatti, l‘idea di chi543 sostiene la necessità di reinterpretare i valori costituzionali alla luce delle nuove forme di esercizio delle libertà544, ritenendo, invece, meno lungimirante la posizione di chi545 guarda alle stesse come un limite alla riconducibilità dei comportamenti on line sotto l‘ambito di applicazione delle norme costituzionali. La nostra attenzione si concentrerà, in questa sede, sull‘articolo 21 Cost. Inevitabilmente preliminare è un accenno al dibattito sulla riconducibilità di talune libertà svolte on line all‘ambito di applicazione della libertà in parola546. Ogni informazione fatta veicolare in Rete e rivolta a un numero indeterminato di utenti è esercizio di un‘attività inquadrabile nella libera manifestazione del pensiero. Infatti, l‘art. 21 Cost. recita ―Tutti hanno In questo senso, M. VILLONE, La Costituzione e “il diritto alla tecnologia”, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete, Jovene, 2010, p. 257 ss.; si veda anche M. VIGGIANO, Internet. Informazione, regole e valori costituzionali, Jovene, 2010, p. 79-80. Chiare le parole di P. COSTANZO, Aspetti evolutivi del regime giuridico di Internet, in http://www.interlex.it/inforum/conv97/costanz2.htm: ―Internet risulta certamente qualcosa di assai più complesso rispetto ai mezzi finora conosciuti sia di diffusione del pensiero, sia di comunicazione interpersonale, sembrando in grado di fruire contemporaneamente degli statuti giuridici di entrambe le situazioni soggettive corrispondenti, nonché di attingere al regime proprio di altre libertà a godimento individuale o collettivo (…) conseguentemente rivelandosi pienamente giustificato che l‘ordinamento non tratti con indifferenza fenomeni che risulterebbero altrimenti presi in considerazione poiché involgenti in primo luogo la sfera delle libertà costituzionalmente garantite, ma anche la correttezza dell'attività e dell'informazione commerciale e finanziaria, id est la tutela del consumo e del risparmio e la sicurezza delle transazioni, ivi compresi i pagamenti veicolati attraverso la rete‖. 544 Sul punto, si veda T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., in part. p. 2, anche reperibile in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Fr osini.pdf. 545 M. BETZU, Testo e contesto: interpretazione e sovra-interpretazione dei diritti costituzionali nel cyberspazio, in Associazioni italiana dei Costituzionalisti, n. 4 del 2012, anche in http://www.astrid-online.it/Libert--di/Studi--ric/Betzu.pdf. 546 In questo senso, per tutti, si veda A. VALASTRO, Art. 21, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, 2006. 543 230 diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione‖ e, dunque: immettere informazioni in Rete, creare una pagina web, dialogare in una chat aperta sono tutte manifestazioni esercitate attraverso ―ogni altro mezzo di diffusione‖547 – nel nostro caso, Internet –, non immaginabile ai tempi dell‘Assemblea Costituente, né come mezzo di trasmissione in sé, né come veicolo delle più svariate forme di diffusione che, di certo, non si limitano oggi alla parola, ma si estendono allo scritto548, alle immagini, al suono. Far rientrare Internet e le diverse forme di espressione del pensiero in Rete sotto la copertura dell‘art. 21 Cost. implica, come diretta conseguenza, la necessità di affrontare la problematica relativa all‘applicabilità dei limiti previsti per la manifestazione del pensiero alla diffusione delle informazioni on line. Com‘è noto, l‘art. 21 Cost. prevede, quale limite esplicito all‘esercizio della libertà, il buon costume549. Su questo concetto si veda P. COSTANZO, Aspetti evolutivi dell‟universo giuridico di Internet, cit., che lega il tema della riconducibilità della Rete nel primo comma dell‘art. 21 Cost. alla questione relativa a una sua possibile regolazione. L‘Autore, infatti, sostiene: ―simili caratteristiche, men che far divergere, concorrono tutte a rendere la configurazione della Rete coincidente con quella "di altro mezzo di diffusione" richiamato dall'art. 21, I comma, della Costituzione (anche se come già accennato e come si vedrà tra breve, non la esaurisce), conseguendone per essa la medesima indiscriminata libertà di utilizzo predicabile per la libertà cui risulta asservita, senza che peraltro possano essere qui frapposti quei condizionamenti di ordine materiale, ai quali la ben nota giurisprudenza della Corte costituzionale è pervenuta dare avallo, pur sancendo l'inammissibilità di qualsiasi limitazione di ordine legale (sent. n. 105/1972). Ciò che, sia detto per incidens, conduce altresì ad escludere la legittimità di qualsiasi sovrastruttura autoritativa che si volesse immaginare al "governo" della rete, o le cui competenze non rimanessero limitate ai soli profili tecnici e funzionalmente comunque alla miglior circolazione dei messaggi in rete e alla garanzia della necessaria coerenza del sottosistema interno con il sistema internazionale‖. 548 Proprio da qui, infatti, nasce la problematica relativa all‘estensibilità della normativa prevista per la stampa alla pubblicazione on line. Il tema, però, sarà trattato nel prosieguo della trattazione. 549 L‘art. 21 Cost. così recita al sesto comma: ―Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni‖. 547 231 La trattazione sulla limitazione alle pubblicazioni on line di scritti e filmati che violano il buon costume non può prescindere da una preliminare individuazione del concetto stesso, già di per sé di difficile individuazione. La dottrina550 ha scritto, infatti: ―Se è sicura la sussistenza del limite in questione, estremamente problematica è risultata l‘individuazione di un significato definito e univoco della nozione di buon costume‖. In altre parole, il fatto che esso sia l‘unico limite esplicito non semplifica l‘operazione dell‘interprete, che deve confrontarsi con un concetto indeterminato e difficilmente determinabile551. Va detto che, dai lavori dell‘Assemblea costituente, si evince che fosse particolarmente sentita la necessità di porre un argine alla libertà di manifestazione del pensiero, riconoscendo il limite suddetto. Al concetto di buon costume era legato quello di ―morale comune‖ e la preoccupazione principale risiedeva nell‘eventualità di una rapida diffusione della pornografia552. Si può affermare, dunque, che in Assemblea costituente il concetto di buon costume fosse sentito come la rappresentazione di un sistema di valori da tutelare: la morale pubblica, la pubblica decenza, la tutela della gioventù, ma anche beni-interessi a carattere individuale, come la libertà e la dignità umana553. R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 13. Così, G. GARDINI, Le regole dell‟informazione. Principi giuridici, strumenti, casi, Milano, 2005, p. 42; su questo concetto anche R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, Cedam, 2010, p. 106; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, Zanichelli, 2011, p. 106, in questi termini: ―A dispetto del suo riconoscimento costituzionale esplicito, quello di buon costume è e rimane un bene giuridico dal contenuto eccessivamente indeterminato: un bene così poco afferrabile da suscitare, invero, dubbi sulla sua idoneità a essere assunto a plausibile e legittimo oggetto di tutela penale‖. Su questo concetto, più ampiamente, G. FIANDACA, Problematica dell‟osceno e tutela del buon costume, Padova, 1984, p. 75 ss. 552 Si riportano, infatti, le parole dell‘on. Moro, tratte dai resoconti dalla seduta antimeridiana dell‘Assemblea costituente, di lunedì 14 aprile 1947, p. 2820: ―Si tratta di evitare che il veleno corrosivo che si trova nella stampa pornografica e nelle altre manifestazioni contrarie al buon costume possa dilagare. Se noi lasceremo circolare questo veleno anche per poco, non avremo la possibilità di difendere effettivamente la moralità del nostro popolo e la nostra gioventù‖. 553 Ibidem, p. 2820-2821: ―Se sotto il profilo politico, per altri aspetti del problema, si deve ammettere un grande rigore a tutela della libertà individuale, possiamo invece 550 551 232 In verità, va sottolineato che l‘interpretazione del concetto di buon costume come bene posto a tutela della libertà individuale non sia rimasta solo negli scritti dell‘Assemblea costituente; essa, infatti, si è diffusa soprattutto nella dottrina penalistica554, specie a seguito dell‘evoluzione interpretativa che ha investito il suddetto limite alla libertà di manifestare il proprio pensiero. Per ragioni di completezza, vanno evidenziate le diverse posizioni affermatesi in dottrina. Va certamente segnalato l‘orientamento555 che ha ritenuto di ampliare la previsione di cui al sesto comma dell‘art. 21 Cost. nel senso di ricomprendere la ―generica moralità sociale‖ prevista dal codice civile556. A riguardo, la Corte di Cassazione557 ha sostenuto che la nozione di negozio giuridico contrario al buon costume (art. 1343 c.c.)558 non fosse comprensiva solo dei casi di violazione di regole della decenza e di pudore sessuale, ma che attenesse anche ai negozi ―che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale in un determinato momento e ambiente‖. largheggiare un poco, quando si tratta di tutelare la libertà e la dignità della persona, le quali potrebbero essere turbate gravissimamente da abusi licenziosi della libertà di stampa e di espressione del pensiero. La realtà delle cose è, in questo momento questa, che la pornografia non è occasionale, non è incidentale ma è intenzionalmente diretta a infirmare la coscienza morale del popolo italiano. Io credo che l‘Assemblea tutta si troverà concorde in questa difesa, la quale, essendo difesa della nostra gioventù, che è veramente la nostra speranza, essendo difesa della moralità del nostro popolo, è anche la più piena e la più sana affermazione che noi possiamo fare del nostro amor di Patria‖. 554 Sul punto, si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 107. Gli Autori ritengono, a commento degli art.i 527 e 528 c.p., che, nell‘attuale momento storico, sia possibile operare una riconversione della protezione del pudore sessuale nella tutela della stessa libertà personale, nella peculiare specificazione di ―diritto a essere protetti dalle molestie provocate, dal dover assistere, contro la propria volontà, ad atti o rappresentazioni di contenuto sessuale‖. 555 A. TRABUCCHI, Buon costume (voce), in Enc. giur., V volume, Milano, 1959, p. 700 ss. 556 A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., 212. 557 Si vedano, a riguardo, le sentenze della Corte di Cassazione n. 5371 del 1987 e n. 234 del 1960, nonché SS.UU. n. 4414 del 1981. 558 L‘art. 1343 c.c. dispone: ―La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all‘ordine pubblico o al buon costume‖. 233 A fronte di questa visione, decisamente ampia del concetto di buon costume, e dunque volta a determinare la moralità pubblica come forte limite alla libertà di manifestazione del pensiero, si è invece affermata la tesi che ritiene di dover optare per un‘interpretazione dal taglio restrittivo, affinché sia maggiore lo spazio riconosciuto al contenuto del diritto di libertà559. Tale visione accoglie, al fine di delineare il significato del concetto di buon costume, la nozione penalistica dell‘osceno, cui il legislatore fa riferimento nella fattispecie incriminatrice dell‘art. 529 c.p. La ―generica moralità sociale‖ cede il passo, dunque, al ―comune sentimento del pudore‖, al fine di non creare impliciti divieti alle manifestazioni contrarie alle concezioni etiche della maggioranza. Chiara la sentenza n. 5308 del 1984, in cui la Corte di Cassazione, sez. III, così si esprime: ―la nozione di comune sentimento del pudore, di cui all‘art. 529 c.p., va risolta nel senso della verifica e dell‘aggiornamento di esso nella sua mutevolezza con il divenire dei costumi e con l‘evoluzione del pensiero medio dei consociati nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato‖560. 559 In questo senso, si veda C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 41 ss.. L‘Autore sostiene che un limite siffatto non consentirebbe una vera garanzia alla libertà di pensiero. 560 Va richiamata, per ragioni di completezza, anche la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 1456 del 1971, nella quale la Corte ritiene manifestamente infondata, e dunque non rinviabile con ordinanza alla Corte Costituzionale, la questione di illegittimità costituzionale dell‘art. 529 c.p., in relazione all‘art. 3 Cost. La questione era prospettata nel senso che la norma penale, lasciando al giudice la libertà di valutare e qualificare gli atti osceni sulla base del comune sentimento, avrebbe rimesso l‘applicazione della fattispecie alla personale interpretazione dell‘autorità giurisdizionale, di volta in volta chiamata a decidere della sussistenza del reato, comportando una inevitabile disparità di trattamento tra i cittadini. La Corte, nella sentenza citata, sostiene: ―tale disparità di trattamento non sussiste perché la legge, definendo la nozione di oscenità, ne obiettivizza il contenuto nell‘offesa al comune sentimento del pudore (inteso secondo il concetto tradizionale in rapporto al sentimento medio del pudore sessuale del popolo italiano nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato) e il giudice è vincolato a tale concezione del pudore, senza possibilità d‘ispirare il proprio apprezzamento ad un concetto dell‘ordine puritano e, comunque, al di fuori del comune sentimento dell‘epoca in cui vive‖. 234 Parte della dottrina561 ha, invece, tentato di costruire un concetto ―costituzionale‖ di buon costume, che fosse indipendente e autonomo dal significato di ―osceno‖ - disegnato fino ad allora dagli studiosi del tema e dalla giurisprudenza - e da quello di ―buon costume‖ contrattuale, che i civilisti riconoscevano nell‘art. 1343 c.c. Tale concetto sarebbe stato espressione dei valori etici propri della Costituzione. Ciò avrebbe evitato il riferimento ai singoli rami dell‘ordinamento e l‘eventualità di rimettere completamente nelle mani del legislatore ordinario i meccanismi di tutela dell‘interesse garantito e la determinazione dell‘interesse stesso, da ricostruire all‘interno del sistema costituzionale562. Com‘è stato ben evidenziato563, ―tutti questi percorsi ermeneutici s‘interrogano sulla possibilità di postulare, alla luce della Costituzione repubblicana, ‗una morale pubblica‘, negata da alcuni, in considerazione del pluralismo che essa garantisce e tutela, identificata da altri nei valori morali condivisi dai Costituenti e indispensabili a fondare il patto costituzionale su basi più solide del relativismo etico o del mero principio di tolleranza‖. In questa sede, si ritiene di dover aderire alla tesi di chi564 sostiene che altro è il compito di promozione dei valori condivisi, che la Costituzione attribuisce alle pubbliche istituzioni, altro, invece, è fare di esso un limite alla libertà di manifestazione del pensiero, che, in tal modo, finirebbe per essere funzionalizzata alla realizzazione dei valori suddetti. In altre parole, proprio sulle questioni più vicine alla libera espressione del pensiero e all‘esercizio della libertà personale si creerebbe una funzionalizzazione della libertà, che ne costituirebbe inevitabilmente un limite decisivo. 561 Per tutti, si veda G. DE ROBERTO, Buon costume (voce), in Enc. giur., Vol. VIII, p. 198 ss. 562 Così, R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, Cedam, 2006, p. 14, nota 29. 563 A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 216. 564 Ivi. 235 Non a caso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 293 del 2000, ha valorizzato il collegamento esistente tra il limite del buon costume e il valore della dignità umana, sancito dall‘art. 2 Cost. La questione sottoposta all‘attenzione della Corte era relativa all‘illegittimità dell‘art. 15565 della legge n. 47 del 1948 (legge sulla stampa) nella parte in cui richiama l‘art. 528 c.p., il quale fa espresso riferimento alla nozione di ―comune sentimento della morale‖, per contrasto con gli art.i 25 (sotto il profilo della tassatività e determinatezza della fattispecie), 3 (per disparità di trattamento nei confronti dei soli autori delle immagini raccapriccianti e non di tutti i diffusori delle stesse) e 21 Cost., VI comma (laddove il concetto di ‗comune sentimento della morale‘ fosse più ampio di quello vietato per contrarietà al ‗buon costume‘). Il Giudice delle leggi ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sostenendo che ―solo quando la soglia dell‘attenzione della comunità civile è colpita negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall‘intera collettività, scatta la reazione dell‘ordinamento. E a spiegare e a dar ragione dell‘uso prudente dello strumento punitivo è proprio la necessità di un‘attenta valutazione dei fatti da parte dei differenti organi giudiziari, che non possono ignorare il valore cardine della libertà di manifestazione del pensiero. Non per questo la libertà di pensiero è tale da inficiare la norma sotto il profilo della legittimità costituzionale, poiché essa è qui concepita come presidio del bene fondamentale della dignità umana. Così intesa la figura delittuosa, si possono superare anche le residue censure. La descrizione dell‘elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a L‘art. 15 della legge n. 47 del 1948 così dispone: ―Le disposizioni dell'art. 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti‖. 565 236 concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza. Quello della dignità della persona umana è, infatti, valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull‘interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale‖566. La giurisprudenza della Corte Costituzionale567 ha contribuito, dunque, assieme a quella di legittimità, a disegnare il perimetro del concetto di buon costume, sostenendo peraltro che esso non rispondesse a ―un‘esigenza di mera convivenza tra le libertà di più individui‖568, quanto piuttosto alla necessità di delineare un bene collettivo. D‘altronde, seguendo la scia tracciata dalla Corte di Cassazione569 in materia, si ritiene che la ―pubblicità‖ del comportamento sia elemento costitutivo del delitto di ‗pubblicazioni e spettacoli osceni‘, di cui all‘art. 528 c.p. Infatti, si può 566 Il testo della sentenza è reperibile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/index.html. 567 Per un‘ampia ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia di buon costume, si veda A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 220 ss. 568 Corte Costituzionale, sentenza n. 368 del 1992. La questione di fatto che dà origine a quella diritto è l‘applicabilità dell‘art. 528 c.p. anche ai rivenditori di videocassette pornografiche e la supposta disparità di trattamento rispetto a edicolanti e rivenditori di stampa periodica, cui il legislatore garantisce la non punibilità, fissata dalla legge n. 355 del 1975. Per i commenti alla sentenza, si vedano F. RAMACCI, Libertà “reale” e “svalutazione” del buon costume, in Giur. cost., 1992, n. 5, p. 3563 ss.; R. ORRÙ, La “pubblicità” della condotta come requisito essenziale della nozione di buon costume ex art. 21 Cost. e come “vincolo” all‟attività interpretativa dei giudici, in Giur. cost., 1992, n. 5, p. 3566 ss. 569 L‘orientamento è ribadito nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 34417 del 2005, ma già nella sentenza n. 135 del 1998. La giurisprudenza (Corte di Cassazione sez. III, sentenza n. 7059 del 1994), infatti, ha affermato che ―il commercio di materiale pornografico, purché realizzato con particolari modalità di riservatezza e di cautela nei confronti degli acquirenti adulti, non integra il reato di cui all‘art. 528 c.p., ove il giudice di merito accerti che in relazione alle dette modalità il comune senso del pudore non risulti offeso‖, nonché (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 5 del 1995) che ―non integra il reato di detenzione di materiale osceno, anche se finalizzata al commercio, se la condotta, per le concrete modalità di riservatezza con le quali può svolgersi, non sia idonea a realizzare alcuna offesa, reale o potenziale, al pubblico pudore‖. Per tutti, si veda in dottrina, A. VALASTRO, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie, cit., p. 166. 237 affermare che la contrarietà al sentimento del pudore non dipende dall‘oscenità in sé, ma dalla ―comunicazione verso un numero indeterminato di persone‖. Rispetto alla rete, le questioni affrontate divengono particolarmente complesse, in quanto, oltre alla facilità con cui si può creare un blog, una propria pagina web, immettere informazioni on line commentando post presenti in siti altrui, scrivere su un social network dopo aver creato un account, va sottolineato che non esiste una distinzione tra le diverse pagine web e tra gli innumerevoli siti in ragione del loro contenuto. Essi sono tutti ugualmente accessibili, salvo che non ne sia bloccato l‘accesso dalla polizia, perché riconosciuti nocivi dell‘integrità psicofisica dei minori570. Dunque, il concetto di ‗contesto ambientale‘, necessario per valutare la possibilità concreta dell‘offesa al pudore sessuale, è difficilmente rinvenibile on line. In verità, la scelta, peraltro obbligata, di far ricadere sotto l‘ambito di applicazione dell‘art. 21, I comma, Cost., la maggior parte delle attività svolte in Internet, vede, come già detto in apertura, il precipitato logico dell‘estensione dei limiti previsti per la stessa libertà, ancorché esercitata in Rete571. Tra questi, il buon costume. A tenore dell‘art. 21 Cost., IV comma, è demandato al legislatore il compito di stabilire provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni. Ciò dovrebbe, chiaramente, valere per la Rete come per qualsiasi altro mezzo di diffusione del pensiero. Peraltro, come ben sottolineato572, il Costituente ha ritenuto che i provvedimenti del legislatore dovessero essere ―adeguati‖, poiché l‘adeguatezza ―non può non involgere un giudizio di razionalità e 570 Sul rapporto tra le black list e la tutela dei minori, si veda A. ROSSI, I minori e i pericoli in rete: la prevenzione delle black list, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi media e minori, Aracne, 2012, p. 173-206. 571 Così, P. COSTANZO, Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet, consultabile anche alla pagina http://www.interlex.it/regole/costanz3.htm. 572 Ivi. 238 bilanciamento delle misure prese in relazione, da un lato, alla pericolosità del mezzo, e, dall‘altro, all'interesse ordinamentale alla promozione del mezzo stesso‖. Da ciò si evince che, data la particolarità del mezzo, l‘applicazione delle regole previste per gli altri mezzi di comunicazione non sarebbe necessariamente ‗costituzionalmente adeguata‘573. In quest‘ambito, l‘aspetto più rilevante, diventa inevitabilmente quello della tutela dei minori574, che potrebbero accedere a contenuti osceni con la Si pensi alle norme predisposte a tutela dei minori all‘art. 34 dal T.U. sui servizi media audiovisivi, d.lgs. 177 del 2005, come da ultimo novellato dal d. lgs. 44 del 2010. Sulla necessità di prevedere una regolazione diversa in ragione della peculiarità del mezzo, si veda il primo Capitolo di questo lavoro, par. 1.1. Inoltre, su questo punto, lucide le riflessioni di P. COSTANZO, Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet, cit., che si esprime in questi termini: ―In questo quadro, il problema dei limiti alla diffusione del pensiero in relazione alla peculiarità del mezzo mi parrebbe, dunque, esigere una più ponderata riflessione, dovendosi ritenere che tali limiti, così come desumibili direttamente od indirettamente dal dettato costituzionale (a tutela anche qui di diritti e valori di pari rango a quello della libertà in questione) non possano che essere gli stessi per un'identica libertà a prescindere dal mezzo utilizzato, e che, per converso, qualsiasi specifica disciplina apprestata in relazione alla particolare conformazione del mezzo non possa non tenere conto di questa stessa conformazione. E, se sul primo versante, occorre prendere posizione anche contro quelle manifestazioni, che in Rete, come fuori dalla Rete, non possono ritenersi in alcun modo garantite dalla tutela costituzionale, esulando dalla stessa nozione di pensiero, per quanto ampiamente configurato, sul secondo versante, specifiche preoccupazioni sembrerebbero, tutto sommato, più giustificate per altri aspetti, potendo rivelarsi miope concentrare eccessivamente (ed ossessivamente) l'attenzione sui comportamenti illegali veicolati dalla Rete in un‘ottica, per così dire, tradizionale, senza effettuare piuttosto una riflessione aggiornata su quegli aspetti del mezzo comunicativo, che, in riferimento a determinati valori ed interessi, valgono a conferire ad Internet attitudini offensive inedite‖. 574 D‘altra parte, non solo negli atti dell‘Assemblea costituente si evince che la tutela dei più giovani risiede già in quella del buon costume, il quale costituisce di per sé un giusto limite all‘art. 21 Cost., ma anche in dottrina c‘è chi legge in questo limite un‘implicita tutela dell‘integrità psicofisica dei minori, espressa in Costituzione, più direttamente, agli art.i 30 e 31 Cost. Sul punto, si veda A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 226-227. Gli Autori, in ragione del fatto che il divieto dell‘osceno è penalmente rilevante solo quando la condotta incide potenzialmente o realmente sulla percezione della collettività, acquistando così il carattere di pubblicità, sostengono che, quando l‘osceno non raggiunga ‗chiunque‘ ma, per le condizioni di modo e di luogo, sia riservato a pochi adulti consenzienti, il reato non possa consumarsi. Da ciò si dedurrebbe che la norma penale in questione (art. 528 c.p.) tutelerebbe anche l‘integrità psicofisica dei minori, che potrebbe essere turbata ancor più del pudore sessuale di un adulto. Del resto, anche con riferimento alla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2000, gli Autori ritengono che il riferimento alla tutela della dignità della persona lasci intendere una particolare attenzione ai soggetti più sensibili in ragione della loro tenera età. Infatti, quando le modalità di diffusione di oggetti osceni non rendano possibile, dal punto di vista della percezione, la possibilità che 573 239 facilità con cui visualizzano la pagina web che dà in streaming filmati di cartoni animati. È con riferimento a questa delicata ipotesi che va valutato il contenuto del concetto di ―osceno‖, interessante soprattutto alla luce di una valutazione in chiave comparatistica. Il binomio oscenità-realtà digitale ha, infatti, spinto il legislatore a intervenire in quest‘ambito con la determinazione di una serie di reati che nascono in ragione dell‘evoluzione tecnologica. Ciò ha comportato il presentarsi di un momento di frizione tra Internet e il materiale illecito che circola nel web. Innanzitutto, deve farsi una distinzione di massima tra il materiale pornografico e quello pedopornografico. Se per quello pornografico esistono i reati di detenzione e commercio – con le specificazioni dettate dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità –, non è invece previsto un divieto assoluto di diffondere immagini oscene in tv. Rispetto ai mezzi di diffusione del pensiero, infatti, la disciplina è dettata dalle leggi di settore che, specie con riferimento al caso della radiotelevisione, lasciano un ampio margine di libertà alle imprese radiotelevisive, collocando in secondo piano la tutela del minore. Ciò, peraltro, è ancor più vero quando la stessa disciplina viene applicata sulla Rete; in tal caso, infatti, resta definitivamente lettera morta575. Dunque, mentre la diffusione del materiale pornografico, per certi versi, cede il passo al diritto dell‘utenza adulta di accedere a tale contenuto audiovisivo – con il relativo rispetto degli orari di trasmissione e la tutela vi acceda un pubblico adulto o minore, si sarebbe costretti a utilizzare lo standard posto a tutela di quest‘ultimo. Sulla tutela costituzionale del minore, si vedano per tutti: G. DE MINICO, Il favor constitutionis e il minore: realtà o fantasia?, in G. DE MINICO, Nuovi media e Minori, cit., p. 15-50; L. CASSETTI, Art. 31, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, cit.; L. MUSSELLI, Internet e la tutela dei minori, in Dir. inf. informatica, 2011, p. 727-741. 575 Sul punto, sia consentito il rinvio a C. SABATELLI, Media Audiovisivi e Minori: quale convergenza e quale tutela?, cit. 240 differenziata in ragione del servizio on demand – il materiale pedopornografico è bandito nel complesso576, costituendo reato anche la semplice detenzione, in quanto, in tal caso, il danno al minore è chiaramente in re ipsa. Il tentativo di disciplinare la rete a tutela dei minori proviene dalla constatazione che su internet è possibile, e talvolta più semplice, commettere illeciti. La tendenza a limitare l‘accesso alla rete ai minori comporta il fatto che, con disinvoltura, si associ Internet alla piaga della pedofilia577. L‘immediata conseguenza di questo trend è stata – a ragion veduta – la particolare attenzione per i reati di pornografia minorile e pedopornografia virtuale e la conseguenziale disapplicazione dell‘art. 528 c.p. per punire le offese al buon costume commesse on line. Le novità legislative, che saranno trattate, sono frutto della scelta di evidenziare le nuove modalità di aggressione – figlie dell‘evoluzione tecnologica – ai beni interessi già tutelati dal legislatore. Peraltro, va anticipato, è più facile che le condotte illecite commesse on line rientrino direttamente sotto l‘ambito di applicazione delle norme aggiornate in ragione delle novità tecnologiche e di quelle introdotte ad hoc per i reati 576 Sul punto si vedano P. PERRI, Profili informatico-giuridici della diffusione, mediante strumenti telematici, di materiale pedopornografico, in Cass. pen., 2008, 09, p. 3466 ss.; F. RESTA, Pedopornografia on-line. Verso un sistema di strategia integrata?, in Dir. Internet, 2007, 3, p. 221 ss.; F. ERAMO, Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet. Ombre e luci, in Famiglia e diritto, 2007, 1, p. 5 ss.; P. CORDERO, Considerazioni in tema di detenzione di materiale pedopornografico, in Dir. pen. Processo, 2003, 9, p. 1166 ss.; più in generale, sui reati informatici, si veda G. CORASANITI, Prove digitali e interventi giudiziari sulla Rete nel percorso della giurisprudenza di legittimità, in Dir. inf. informatica, 2011, 3, p. 399 ss. 577 In questo senso, si veda P. GALDIERI, Internet e illecito penale, in Giur. merito, 1998. L‘Autore rileva, infatti, che aldilà dell‘associazione immediata che Internet evoca in termini di illecito penale, effettivamente, va sottolineato che ―se è vero che attraverso Internet è possibile, almeno in teoria, commettere tutti i reati perpetrabili nei contesti sociali tradizionali, è altrettanto vero che nella rete vi è un gruppo di illeciti che si realizzano con maggior frequenza rispetto ad altri, proprio in virtù delle opportunità offerte dal mezzo telematico‖. 241 ―informatici‖. Le vecchie norme, in astratto applicabili anche alla rete, infatti, difficilmente riescono a trovare applicazione578. L‘Europa ha tentato di dare una prima risposta alle problematiche sorte, introducendo una serie di atti di soft e hard law579, finalizzati a porre l‘attenzione sulla tutela del minore, sull‘esigenza di armonizzare le norme sanzionatorie in tema di pedopornografia, di maggiore repressione delle condotte illecite e adeguatezza della disciplina da adottare per i reati commessi on line. Alla decisione quadro GAI dell‘UE580, emanata con la finalità di arginare il fenomeno della pedofilia, il legislatore italiano581 ha dato risposta modificando gli art.i 600 bis (prostituzione minorile), 600 ter (pornografia minorile), 600 quater (detenzione di materiale pornografico) c.p. e ha inserito il reato di pornografia virtuale, di cui all‘art. 600 quater 1 Si pensi, appunto, al caso dell‘art. 528 c.p. Quest‘ultimo punisce la condotta di chi acquista, detiene, esporta e mette in circolazione – sempre che ciò avvenga allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente – di scritti, disegni e immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie. Il fatto che, com‘è stato già evidenziato, la pubblicità sia elemento costitutivo della fattispecie implica che il reato si compia anche nelle ipotesi in cui si gestisca un sito dove appaiono immagini oscene. Chiaramente, l‘elemento della pubblicità andrebbe, in tal caso, ripensato in ragione delle caratteristiche della Rete e sembrerebbe rientrare appieno nella portata della norma penale incriminatrice. Ciò nonostante, non si rinvengono casi di giurisprudenza di legittimità che vedano l‘applicazione dell‘art. 528 c.p. per le condotte commesse on line. Vanno, però, segnalate talune pronunce di merito sulla diffusione in rete di materiale pornografico, tra le quali Tribunale di Milano, 24 ottobre 2000, in Foro ambr., 2001, p. 164 e Tribunale di Pescara, 3 novembre 2006, in Riv. pen., 2007, p. 551. 579 Per una disamina delle politiche regolatorie europee sul tema, si veda M. VIGGIANO, Unione europea e protezione dei minori in Internet, in G. DE MINICO, Nuovi media e minori, cit., p. 239-268. 580 Più precisamente, Decisione quadro, 2004/68/GAI, del Consiglio dell‘Unione europea relativa alla lotta allo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia. Tale decisione nasce dall‘avvertita necessità di un‘armonizzazione del sistema penale in tema di tutela dei minori, alla luce della consapevolezza che l‘evoluzione tecnologica e l‘utilizzo della Rete Internet, nonché diverse sue caratteristiche – specie la possibilità di garantire l‘anonimato – hanno alimentato il carattere transnazionale dei reati di sfruttamento sessuale dei minori. 581 Si fa riferimento alla legge 3 agosto 2006 n. 38. Per una disamina dell‘iter legislativo di veda F. DI LUCIANO, Lineamenti critici del reato di pornografia virtuale, in Cass. pen., 2006, 7-8, p. 2627 ss. 578 242 c.p582. Il suddetto reato è quello che desta più perplessità in termini di legittimità costituzionale, specie se valutato in rapporto agli approdi normativi e giurisprudenziali americani. La trattazione delle problematiche attinenti a tali reati in questa fase del lavoro dipende essenzialmente da una constatazione: ancorché ci si trovi nell‘ambito di reati previsti nel Titolo XII (delitti contro la persona) – il che implica che i beni giuridici protetti siano la libertà e la personalità individuale583 – per quanto attiene alle fattispecie delittuose indicate, è necessario fare riferimento al concetto di ―pornografia‖, dunque all‘osceno che, come visto, resta termine essenziale anche per costruire il significato di buon costume. Peraltro, tali reati nascono dalla necessità, sempre più avvertita, di regolare le attività illecite svolte in Rete. Va fatta una premessa definitoria: la fattispecie di pedopornografia virtuale incrimina la condotta di chi realizza, distribuisce, diffonde, pubblicizza, offre o cede ad altri, detiene materiale pornografico, realizzato utilizzando minori di anni diciotto, ―anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali, utilizzando immagini di minori…o parti di esse‖584. ―Per immagini virtuali s‘intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali‖585. 582 Sulla configurabilità della fattispecie suddetta come reato autonomo, si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 160. 583 Si ricorda, infatti, che le fattispecie di reato citate sono state inserite, già dalla legge n. 269 del 1998, immediatamente dopo la norma che incrimina la riduzione o il mantenimento in schiavitù, intendendo implicitamente che si trattasse di una sua specificazione. Per un commento alla normativa previgente e una critica sulla collocazione sistematica di queste norme incriminatrici, si vedano V. ZENO-ZENCOVICH, Il corpo del reato: pornografia minorile, libertà di pensiero e cultura giuridica, in Pol. dir., XXIX, n. 4, 1998, p. 637-652 e F. RESTA, I delitti contro la libertà individuale, alla luce delle recenti riforme, in Giur. merito, 2006, 04, p. 1046 ss. 584 Art. 600 quater 1, primo comma, c.p. 585 Art. 600 quater 1, secondo comma, c.p. 243 La maggiore critica della dottrina italiana – e, come vedremo, anche della giurisprudenza americana della Suprema Corte – mossa al reato suddetto, è la ―difficoltà di individuare un‘offesa a un bene giuridico afferrabile e meritevole di protezione penale, soprattutto con riferimento alle ipotesi nelle quali si prescinda dall‘utilizzo di un minore in carne e ossa, o anche solo di una parte del suo corpo‖586. Ci si chiede, infatti, ―dove sta, in queste ipotesi, il pregiudizio allo sviluppo armonico della personalità di un minore?‖. Autorevole dottrina587 ha sostenuto che il legislatore ha scelto di punire siffatte condotte, da un lato per esigenze di semplificazione probatoria, dall‘altro per i loro effetti criminogeni. Infatti, il fine ultimo del decisore politico è evitare che il fruitore e creatore delle immagini virtuali a carattere pedopornografico sia spinto a utilizzare immagini reali, la cui realizzazione implica l‘utilizzo di minori reali. Com‘è stato notato588, infatti, la scelta politico-legislativa nasce dalla condivisibile preoccupazione di tutelare i minori ―contro il rischio dell‘adescamento sessuale‖. Ciò, però, ha comportato un‘anticipazione eccessiva della soglia di punibilità e ha spostato ―l‘asse della fattispecie criminosa più sull‘autore che sulla vittima‖. Non è più rilevante, come nelle altre fattispecie, che ci sia un minore, vittima reale del reato, ma che si combatta e si condanni l‘indole perversa del soggetto pedofilo589. A fronte di tali considerazioni, si può dunque sostenere che la pedopornografia virtuale è volta a incriminare un soggetto, affetto da una patologia psichica per un fatto che non lede il minore, solo astrattamente oggetto della tutela della fattispecie incriminatrice. 586 D. PETRINI, La tutela del buon costume, in Dir. inf. informatica, 2011, 03, p. 445 ss. 587 F. MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Cedam, 1992, p. 222. G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 159-160. 589 A. CADOPPI, L‟assenza delle cause di non punibilità mette a rischio le buone intenzioni, in Guida al diritto, vol. 9, 2006, p. 37-44, che così si esprime: ―Si è creata un‘ibrida commistione tra diritto e morale, in netta antitesi con svariati principi costituzionali e le più importanti acquisizioni del diritto penale liberale‖. 588 244 Così, gli unici casi in cui si potrebbe sfuggire all‘incriminazione sarebbero quelli in cui l‘elaborazione tecnica eseguita non raggiungesse un grado di perfezione tale da far ―apparire‖ l‘immagine come ―reale‖. La scelta legislativa, fatta in ragione di un‘ovvia e condivisibile lotta alla pedofilia, rischia, però, di essere controproducente. È stato, infatti, osservato590 che la violazione dei principi di offensività e materialità591 non necessariamente sarà bilanciato da una diminuzione dell‘intenzione criminosa del soggetto agente. Anzi, per certi versi, l‘utilizzo di immagini virtuali potrebbe appagare la perversione del pedofilo ed evitare che questi ricorra a immagini reali. Per giustificare, dunque, una tale fattispecie criminosa sarebbe necessario individuare – anche contro la collocazione sistematica del reato – l‘oggetto della tutela, non tanto nella protezione della personalità del minore, non solo nell‘integrità psicofisica e sessuale dello stesso, quanto in ragioni intimamente legate al concetto di buon costume592, intendendo per esso quel sistema di valori collettivi e individuali che trovano espressione nei principi costituzionali. La fattispecie penale, così ricostruita in termini 590 D. PETRINI, La tutela del buon costume, cit. Sulla violazione del principio di materialità da parte della norma incriminatrice e sul conseguenziale pericolo di derive soggettivistiche del diritto penale, si veda B. ROMANO, Pedofilia (voce), in Digesto pen., agg., II, Torino, 2004, p. 603 ss.; A. CADOPPI, L‟assenza delle cause di non punibilità mette a rischio le buone intenzioni, in Guida al diritto, 2006, 9, p. 44 ss.; A. NATALINI, Stretta contro la pedopornografia in rete. Così Roma si allinea ai dettami della UE, in Diritto e Giustizia, 2006, 9, p. 115 ss.; C. SOTIS, La mossa del cavallo. La gestione dell‟incoerenza nel sistema penale europeo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, 02, p. 464 ss. Sul problema della illegittimità della fattispecie incriminatrice, si veda anche A. MANNA - F. RESTA, I delitti in tema di pedopornografia alla luce della l. 38/2006. Una tutela virtuale?, in Diritto dell‟Internet, 2006, p. 221 ss. 592 Contra F. DI LUCIANO, Lineamenti critici del reato di pornografia virtuale, cit.; in questo senso, invece, A. COSTANZO, I reati contro la libertà sessuale, Utet, 2008, p. 151. Sulle diverse possibili ricostruzioni della fattispecie incriminatrice, con particolare riferimento alla sua portata, all‘ambito di applicazione, all‘oggetto materiale del reato e al bene giuridico tutelato, si vedano A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA (diretto da), Trattato di diritto penale, I delitti contro l‟onore e la libertà individuale, Utet, 2010, p. 515-546; M. BIANCHI – S. DEL SIGNORE (a cura di), I delitti di pedopornografia fra tutela della moralità pubblica e dello sviluppo psicofisico dei minori, Cedam, 2009. 591 245 plurioffensivi, più si sposerebbe con lo scopo special-preventivo dettato dall‘Unione europea: stroncare il traffico di materiale pedopornografico, di per sé rischio di pregiudizio per l‘armonico sviluppo della personalità del minore che ha accesso ai contenuti illeciti. Anche perché, delle due l‘una: o si interpreta la fattispecie restrittivamente, riferendola ai soli casi di pedopornografia virtuale parziale e di utilizzo delle immagini riconoscibili del minore – in tal caso il bene tutelato può rappresentare la personalità e la libertà sessuale del minore stesso – o, invece, la fattispecie va interpretata ampiamente e, dunque, andrebbe punita anche la pedopornografia virtuale totale e le parti reali del minore, utilizzate nelle immagini virtuali, sarebbero da considerare ugualmente oggetto del reato. Chiaramente, in quest‘ultima ipotesi, che, peraltro – almeno per quanto attiene alle ―parti di immagini reali‖ – sembra più aderente all‘interpretazione letterale della norma, sarebbe più difficilmente configurabile il bene giuridico tutelato. Si tratterebbe, infatti, di un reato senza vittima, che difficilmente potrebbe essere posto a tutela della personalità del minore, potendo essere esso un‘entità astratta. È anche da queste riflessioni che nasce l‘idea di intendere la pornografia virtuale come un reato a tutela del buon costume. Va detto, però, che in sede di lavori preparatori593 era già stata prospettata l‘eventualità di una collocazione sistematica diversa, in ragione del bene giuridico da tutelare, ma il legislatore ha scelto di iscrivere la fattispecie incriminatrice nei delitti contro la personalità, con ciò volvendo escludere la possibilità di inquadrare la norma nei reati a tutela del buon costume e della moralità pubblica, concetto che, del resto, non brilla per determinabilità e certezza. 593 Si veda Senato della Repubblica, seduta del 16 novembre 2005, reperibile al sito http://www.senato.it/leg/14/BGT/Schede/Ddliter/23072.htm; per una completa ricostruzione dei lavori preparatori si veda la pagina http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=4599-B. 246 Diverse restano comunque le risposte che, secondo la dottrina, potrebbero darsi alle problematiche nate dalla norma in questione. Taluni594 ritengono necessario un intervento legislativo, volto a individuare con maggiore chiarezza il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice, senza perciò eludere le responsabilità politico-criminali proprie del decisore politico che, in ragione di ciò, dovrà far prevalere il principio di ragionevolezza anche sull‘esigenza di prevenzione generale. Altri595, invece, hanno posto il problema davanti a un bivio. Due, dunque, le possibili soluzioni: o un nuovo intervento del legislatore, finalizzato a garantire un più stretto rispetto dei principi di determinatezza della fattispecie e di offensività, e a individuare con maggiore chiarezza l‘oggetto materiale del reato e le condotte punibili, o, viceversa, ampliare la portata della fattispecie incriminatrice. Anche qui, o introducendo il reato di pedopornografia virtuale ―integrale‖, o interpretando la norma in questione come fattispecie a maglie larghe – in ossequio a un atteggiamento di lotta alla pedofilia, frutto di un diritto penale dell‘emergenza, teso alla tutela indiscriminata dell‘integrità psicofisica dei minori – quand‘anche ciò comportasse una forte compressione di diritti fondamentali, come il diritto alla privacy o la libertà di manifestazione del pensiero. Interessante appare la comparazione con le scelte operate dalla restante parte d‘Europa596 sul tema e, ancor di più, in termini di evidente contrasto, con la posizione americana a riguardo. L‘Inghilterra597 e la Germania598 hanno assunto una posizione molto simile a quella del legislatore italiano. Hanno, cioè, previsto il reato di 594 In tal senso D. PETRINI, La tutela del buon costume, cit. M. BIANCHI – S. DEL SIGNORE (a cura di), I delitti di pedopornografia fra tutela della moralità pubblica e dello sviluppo psicofisico dei minori, cit. 596 Sul punto, F. ARANCIO, I reati di pedopornografia virtuale e apparente: prospettive de jure condendo in Italia e cenni di diritto comparato, in E. ZAPPALÀ (a cura di), Dove va la giustizia penale minorile?, Giuffrè, 2005, p. 315 ss. 597 A riguardo, il Protection of Children Act, in http://www.ictparliament.org/node/1688, e Criminal Justice Act, in http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2003/44/contents. Per un‘attenta disamina della 595 247 pedopornografia virtuale, con ciò intendendo anche la detenzione e la diffusione di materiale di carattere virtuale. Peculiare è, invece, la scelta del legislatore francese599. Questo, se da un lato ha introdotto il reato nella categoria dei delitti contro il pudore, evitando quindi il rischio, corso dal decisore politico italiano, di incriminare condotte a tutela della personalità di un minore immaginario, dall‘altro, però, ha previsto una fattispecie legale tipica dalla portata particolarmente ampia. Innanzitutto, s‘incrimina la condotta di chi consulta siti pedopornografici, alla stessa stregua di chi detiene materiale illecito. Tale scelta coglie la peculiarità del nuovo mezzo di comunicazione, qual è la Rete, e costruisce la condotta in termini strettamente realistici. Peraltro, com‘è stato giustamente evidenziato600, laddove solo a partire dalla ―detenzione‖ di materiale pedopornografico si configurasse reato, come nel caso italiano, il soggetto agente sarebbe più spinto a cercare siti e contatti in Rete, evitando di scaricare sul dispositivo il materiale illecito. Inoltre, per la legge francese, sono materiale illecito tutte le ―immagini o rappresentazioni di un minore che abbiano carattere pornografico‖, con ciò includendo le immagini virtuali e quelle ipotetiche, cioè che figurano incontestabilmente le caratteristiche di un bambino. Ciò anche laddove si tratti di un cartone animato601. Va detto, però, che un reato siffatto si pone in forte contrasto con il principio di proporzionalità nel bilanciamento di valori. Si teme, infatti, legislazione inglese in materia di tutela dei minori on line, si veda F. ABBONDANTE, La tutela dei minori nell‟ordinamento anglosassone, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi media e minori, cit., p. 267-288. 598 Si veda l‘art. 184b StGb, reperibile alla pagina http://dejure.org/gesetze/StGB/184b.html. 599 Si veda la loi n. 98-468 du juin 1998, relative à la prévention et répression sexuelles ainsi qu‟à la protection de mineur, che ha introdotto nel codice penale l‘art. 227-23 e successive modifiche. 600 R. RAFFAELLI, La pedopornografia virtuale. Analisi della disciplina introdotta dalla l. 38 del 2006 alla luce dell‟esperienza comparatistica, in Cass. pen., 2009, 02, p. 781 ss. 601 Sul punto, Court de Cassation, 12 settembre 2007, n. 06-86763, reperibile in www.legifrance.gouv.fr. 248 un‘eccessiva compressione della libertà di manifestazione del pensiero in nome di un, seppur fondamentale, valore da tutelare, qual è il buon costume. Una tale fattispecie, infatti, come del resto quella italiana, si traduce in un reato, più che di pericolo presunto – della cui legittimità già si discute – di pericolo ipotetico, non essendo nemmeno dimostrabile il nesso causale tra la condotta e il danno. Non a caso, oltrefrontiera tale reato non è sopravvissuto alla censura di illegittimità costituzionale. In particolare il caso americano era il seguente: il CPPA602 proibiva ―any visual depiction, including any photograph, film, video, picture, or computer or computer-generated impage or picture that is, or appears to be, of a minor engaging in sexually explicit conduct and any sexually explicit image that is advertised, promoted, presented, described, or distributed in such a manner that conveys the impression it depicts a minor engaging in sexually explicit conduct‖. In primo luogo, la domanda che la Corte si pone di fronte a tale questione è: può sostenersi che sia legittimo il CPPA nella parte in cui proibisce un significativo universo di ―speech‖ che non risulta né osceno – così come definito nella sentenza Miller603 – né pedopornografico – alla luce della definzione di pedopornografia accolta nella sentenza Ferber604? In particolate, nella sentenza Miller v. California, la Corte Suprema aveva stabilito che l‘unico limite al First Amendament, configurabile con certezza, consisteva nell‘oscenità (che offende il comune senso del pudore – ciò che viene definito community standard – almeno laddove non sia 602 Child Pornography Prevention Act, 1996, section 2256 (8), reperibile in http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c104:H.R.4331.IH:. 603 La sentenza richiamata dalla Corte è quella risolutiva della nota controversia Miller v. California, 413, U.S. 15 (1973). Per una definizione di obscenity, si veda anche la precedenza sentenza Roth v. United States, 354, U.S. 476, (1957), reperibile in http://www.law.cornell.edu/supct/html/historics/USSC_CR_0354_0476_ZS.html. 604 Si fa riferimento a New York v. Ferber, 458, U.S. 747 (1982). 249 espressione di un valore artistico, letterario): ―the Government must prove that the work, taken as a whole, appeals to the prurient interest, is patently offensive in light of community standards, and lacks serious literary, artistic, political, or scientific value‖605. Nella sentenza New York v. Ferber, invece, la Corte Suprema aveva sostenuto che la ratio del reato di pedopornografia – per essa intendendosi detenzione e distribuzione di materiale pedo-pornografico – stava proprio nella tutela dell‘integrità psicofisica del minore e che l‘incriminazione della condotta di creazione o distribuzione di materiale pedopornografico di per sé implicava un abuso sul minore e, dunque, un danno al sereno sviluppo della sua personalità, proprio in quanto si presupponeva che le immagini o i video fossero realizzati con ―actual child‖. Il Congresso, introducendo nel CPPA la fattispecie di reato di ―pedopornografia virtuale‖, ha voluto ampliare l‘ambito delle condotte punibili, le quali, si presuppone, causerebbero al minore un vulnus indiretto: ―materials threaten children in others, less direct, ways‖. Gli argomenti portati dal Congresso a sostegno della legittimità del reato in questione sono essenzialmente due: 1. Il pericolo della lesione dell‘integrità psico-fisica del minore, ancorché indiretta. 2. La convinzione che la pedopornografia virtuale potrebbe incoraggiare, da un lato i minori a partecipare a certe attività a carattere sessuale, dall‘atro i pedofili a sfogare i propri istinti sessuali sui minori attraverso immagini pedo-pornografiche reali e, dunque, incrementare la 605 Ashcroft, Attorney General et alii v. Free Speech Coalition et alii, 535, U.S. 234 (2002), reperibile in http://w2.eff.org/legal/cases/ACLU_v_Reno_II/20020513_supreme_decision.pdf. Per un commento alla sentenza, si veda S.A. MOTA, The U.S. Supreme Court Addresses the Child Pornography Prevention Act and Child Online Protection Act in Ashcroft v. Free Speech Coalition and Ascroft v. American Civil Liberties Union, in Federal Communications Law Journal, vol. 55, n. 1, p. 85-98, ma anche in http://www.law.indiana.edu/fclj/pubs/v55/no1/mota.pdf. 250 creazione e la distribuzione di immagini pedo-pornografiche create attraverso l‘abuso sessuale e l‘adescamento di minori reali. Il danno, in tal caso, come sottolinea la Corte Suprema, deriverebbe dal contenuto dell‘immagine, non più dalla modalità utilizzata per la sua produzione. In verità, il Congresso sottopone alla Corte anche una questione di carattere probatorio. Data la continua e incessante evoluzione tecnologica e la riproduzione fedelissima di immagini ―virtuali‖ di minori rispetto a quelle ―reali‖, con l‘introduzione della norma incriminatrice del CPPA si potrebbe evitare che un soggetto, che abbia abusato di minori e sfruttato gli stessi ai fini della creazione o distribuzione di materiale pedo-pornografico, possa sfuggire alla pena prevista per il reato di detenzione o distribuzione di tale contenuto illecito semplicemente sostenendo che si tratti di immagini realizzate con mezzo elettronico e, dunque, non integranti fattispecie di reato. Di fronte a tale strenua difesa della norma incriminatrice, da parte del Congresso, la Corte Suprema segue un ragionamento che appare, quanto meno logicamente, ineccepibile. Innanzitutto, fa menzione della norma che s‘intenderebbe violata dalla fattispecie di reato, il First Amendment della Costituzione americana, il quale dispone: ―Congress shall make no law…abridging the freedom of speech‖. Ciò non toglie che il Congresso possa, come in verità aveva già fatto, emanare una valida normativa a tutela dei minori con l‘esplicito fine di ―proteggere i minori dall‘abuso sessuale degli adulti‖ ma, ricorda la Corte, ―the prospect of crime, however, by itself does not justify laws suppressing protected speech…The fact that society may find speech offensive is not a sufficient reason for suppressing it‖606. 606 Concetto già espresso dalla Corte Suprema, nel noto e citato caso Reno, Attorney general of the United States, et alii v. American Civil Liberties Union, U.S. 511 (1997), 251 Come principio generale, infatti, sostiene la Corte, ―the first Amendment bars the government from dictating what we see or read or speak or hear. The freedom of speech has its limits; it does not embrace certain categories of speech, including defamation, incitement, obscenity, and pornography produced with real children‖. In altre parole, è certo che un limite al free speech può e deve essere rappresentato dalla pedopornografia, ma laddove essa sia reale, laddove cioè, sia offensiva della personalità e della dignità del minore tutelato. Il CPPA, a ben vedere, secondo la Corte non è in linea con quanto stabilito nella sentenza Miller e con il limite della pedopornografia disegnato nelle precedenti sentenze e qui ribadito: infatti, non è nemmeno richiesto, affinché si consumi il reato, che il materiale richiami istinti libidinosi; ogni immagine che rappresenti condotta sessualmente esplicita è proscritta, a prescindere dal suo eventuale valore artistico-letterario. Alla luce di ciò, la Corte ha ritenuto che il CPPA proibisce lo speech in via eccessiva, poiché gli estremi di una fattispecie di reato in questione non sono idonei a offendere vittime minori, in ragione della produzione di immagini solo fittizie. La pedopornografia virtuale non è di per sé ―intrinsecamente legata‖ all‘abuso sessuale sui minori, elemento ineludibile del materiale pedopornografico (come affermato nel caso Ferber). E, anche se il Governo ha sostenuto che le immagini potrebbero condurre a reali abusi su minori, va sottolineato che il collegamento causale è solo contingente e indiretto. Il danno, infatti, non segue necessariamente all‘immagine, al discorso, al video diffuso o creato, ma dipende da una non quantificata probabilità che a essi susseguano ulteriori atti criminali a danno dei più piccoli. argued March 19, 1997 – Decided June, 26, 1997, http://www.supremecourt.gov/opinions/boundvolumes/521bv.pdf. reperibile in 252 La Corte, dunque, giunge a dichiarare incostituzionale la norma di cui al CPPA, per diretta violazione del Primo Emendamento607. Già in precedente giurisprudenza, del resto, la Corte aveva sostenuto che lo Stato non può limitare la popolazione adulta all‘ascolto o alla ricezione di ciò che non è nocivo per i bambini e non può vietare l‘accesso a contenuti legittimi per l‘adulto semplicemente perché essi sono anche potenzialmente accessibili da un minore: ―the mere tendency of speech to encourage unlawful acts is not a sufficient reason for banning it‖. ―The Government‖, sostiene la Corte, ―may suppress speech…only if such advocacy is directed to inciting or producing imminent lawless action and is likely to incite or produce such action…Without a significantly stronger, more direct connection, the Government may not prohibit speech on the ground that it may encourage pedophiles to engage in illegal conduct‖608. A seguito della sentenza, Il Congresso è intervenuto a modificare la fattispecie di reato di pedopornografia virtuale609. La condotta di detenzione o diffusione di materiale pedopornografico virtuale è passibile di incriminazione solo laddove il materiale sia formato almeno in parte da immagini di minore reale riconoscibile, o quando, ancorché totalmente virtuale, l‘immagine sia indistinguibile da quella di un minore reale e lo rappresenti nelle sue fattezze. 607 Ashcroft, Attorney General et alii v. Free Speech Coalition et alii, 535, U.S. 234 (2002), Opinion of Court: ―the speech within the rights of adults to hear may not be silenced in an attempt to shield children from it‖. 608 Interessante anche la posizione del giudice O‘ Connor, che assume una posizione intermedia tra l‘opinione decisiva della Corte e la Dissenting Opinion. Le diverse posizioni sono tutte reperibili in http://w2.eff.org/legal/cases/ACLU_v_Reno_II/20020513_supreme_decision.pdf. 609 Il riferimento è al Prosecutorial Remedies and other tools to end the exploitation of Children Today Act of 2003, che riforma the section 2256 del U.S. Code. Il testo è reperibile in http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/PLAW-108publ21/pdf/PLAW-108publ21.pdf. Per una disamina cronologica degli interventi legislativi a tutela dei minori, di veda la pagina http://www.ojp.usdoj.gov/smart/legislation.htm. 253 Dopo aver ripercorso a grandi linee la posizione di diversi Stati sul tema, e riconoscendo una chiara, quanto ovvia, posizione più forte espressa dall‘America, in cui la freedom of speech difficilmente riesce a sortire limiti riconosciuti legittimi, va evidenziata una generale difficoltà dei legislatori nazionali nell‘intervenire in una materia tanto delicata, specie alla luce del progresso tecnologico, che spinge nel senso della prevenzione e della severità di disciplina. In verità, la fattispecie di pedopornografia virtuale, reato di pericolo ipotetico, non è che una risposta all‘ansia della regolazione che la tecnologia contribuisce a incrementare e si mostra come la più compiuta realizzazione della legislazione dell‘emergenza, figlia del timore del diffondersi di costumi inappropriati e lascivi e del nascere di nuovi pericoli che attentano a valori condivisi. Anche astenendosi dal dare un giudizio di valore sull‘unica posizione più ferma in materia, quella americana, specie perché figlia di una cultura giuridica in cui tutto è potenzialmente speech610, va, però, segnalata una tendenza pericolosa. Pertanto, si ritiene che la necessità di regolare i fenomeni on line, che diventano espressione dell‘estensione della personalità del singolo nella società, non dovrebbe cedere il passo a un‘iper-regolazione611 dei fenomeni della Rete, poiché essa non può che 610 Si pensi che, anche rispetto al caso di una legge della California che vietava diffusione di videogiochi contenuto violento e osceno, la Corte Suprema ha difeso il free speech, bollando tale legge come costituzionalmente illegittima. Si veda, a riguardo, Brown, Governor of California et alii v. Entertainment Merchants Association et alii, 564 U.S. (2011), reperibile in http://www.supremecourt.gov/opinions/10pdf/08-1448.pdf. 611 Si segnala, infatti, la fattispecie di reato del Grooming (adescamento del minore), oggi prevista all‘art. 609 undecies c.p., che punisce la condotta di chi compia qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l‘utilizzo della rete Internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, entrato in vigore a seguito della promulgazione della legge n. 172 del 2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote. Anche qui, come si vede, la soglia di punibilità è decisamente anticipata al momento del pericolo, in tal caso però, reale, ancorché presunto. 254 tradire la stessa ratio dell‘intervento legislativo e, soprattutto, creare strappi e deroghe eccessivamente ampi al tessuto costituzionale612. 2. La disciplina della stampa on line: tra “scritto” e “pubblicato” La stampa on line è ormai un fenomeno estremamente diffuso. Esistono, infatti, testate giornalistiche registrate che operano sia su cartaceo sia on line e altre che operano solo in Rete. Accanto a tale realtà trova spazio l‘enorme diffusione di blog d‘informazione – si tratta del fenomeno del c.d. giornalismo partecipativo613 – e di intere pagine di social network dedicate alla diffusione più ampia possibile di notizie di ogni genere. La smisurata espansione di questo fenomeno ha comportato una serie di equivoci iniziali – per vero, ora smentiti da consolidata giurisprudenza – forieri di veloci quanto inadeguate e irragionevoli equiparazioni. Infatti, il punto focale del dibattito sul tema ha riguardato la possibilità di estendere l‘applicazione della normativa sulla stampa a qualsiasi pubblicazione on line, sia pure non oggetto di pubblicazione giornalistica. 612 Si tenga presente, infatti, che dottrina e giurisprudenza dominante sono orientate a ritenere che non si possano sic et simpliciter punire i c.d. atti preparatori alla commissione del fatto di reato (concetto deducibile a contrario dalla previsione della punizione del tentativo di delitto solo laddove gli atti compiuti siano univoci e idonei alla realizzazione del fatto tipico). Per tutti, si veda F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Cedam, 2007, p. 435. 613 Sul punto, si veda A. PAPA, La disciplina della libertà di stampa alla prova delle nuove tecnologie, in Dir. inf. informatica, 2011, 03, p. 447 ss., che mette in luce il problema dell‘identificabilità del tipo di attività svolta on line. In nota 3, l‘Autrice così si esprime: ―I blog partecipativi si pongono in posizione autonoma rispetto ai mass media tradizionali, sebbene esista ormai una sorta di osmosi tra i due ambiti…La linea di demarcazione tra stampa on line e blog di informazione si presenta talvolta di difficile determinazione. In alcuni Paesi non è vi è bisogno di tracciarla, dal momento che non è prevista alcuna disciplina né per l‘una né per l‘altra; in altri Stati, invece, come in Italia, la mancanza di criteri per individuare quali forme non convenzionali di informazione in Rete presentino i caratteri dell‘informazione professionale rischia di creare una disparità di trattamento tra fattispecie apparentemente diverse la di fatto accomunate dalla medesima finalità‖. 255 In verità, come evidenziato, il problema ―consiste anche nel valutare se principi costituzionali o moduli legislativi finora sperimentati siano idonei ancora adesso a disciplinare con efficacia il fenomeno della stampa‖614. Prima di affrontare, però, il dibattito sul tema, corre d‘obbligo una premessa sul regime della stampa cartacea e sul diritto di cronaca, utile ai fini della scelta della posizione da assumere in merito al dibattito dell‘estensione della portata delle norme in questione alle nuove realtà. Va detto, innanzitutto, che i confini delle attività riconducibili al settore in oggetto sono vastissimi e la loro eterogeneità, insieme alla rapida trasformazione sociale, tecnologica e politica, ha comportato una modifica nell‘attività di stampa, intesa anche come attività di riproduzione meccanica di uno scritto o di una rappresentazione grafica in più copie, con conseguente diffusione al pubblico delle stesse615. Sono quattro i significati che possono attribuirsi al termine stampa: manifestazione del pensiero espresso attraverso la forma stampata, mezzo di diffusione del pensiero, attività svolta dalla categoria professionale dei giornalisti616, attività dell‘impresa editoriale617. La dottrina comunemente distingue tra due diversi aspetti: la libertà di stampa, che corrisponde ai primi due profili sopra evidenziati, e la libertà della stampa, attinente invece agli altri due profili, più vicini all‘esercizio dell‘attività a carattere professionale e alle peculiarità dell‘impresa editrice. 614 U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1990, p. 579. 615 Ibidem, p. 577. Va detto che parte della dottrina ha inquadrato l‘attività giornalistica come un dato di fatto, poiché essa consisterebbe nell‘attività di pensiero. In altre parole, l‘attività giornalistica non sarebbe qualcosa di diverso da una forma qualificata di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero. In questo senso, si veda A. PUGIOTTO, L‟ordine irrazionale. L‟ordine dei giornalisti nella giurisprudenza costituzionale, in A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G. SILVESTRI (a cura di), Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, 2005, p. 179-205. 617 Così G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), in Enciclopedia giuridica, XXX, Roma, 1993, p. 2. 616 256 Tale distinzione non può e non deve far perdere di vista il valore garantito espressamente dall‘art. 21 Cost. – dedicato in buona parte a dettare il quadro normativo di riferimento del mezzo di comunicazione di massa in questione – che consiste nella maggiore ampiezza possibile della libertà di stampa. Taluni aspetti di essa, quali appunto l‘assetto dell‘impresa editoriale e la restrizione dei contenuti veicolabili potrebbero, infatti, incidere in modo determinante sul contenuto della libertà. La necessità, sentita dal Costituente, di garantire il massimo accesso al mezzo e il più ampio contenuto di libertà ai soggetti che esercitano il diritto, nonché la volontà di configurare la libertà di stampa come libertà ―autonoma e dotata di un fondamento costituzionale più largo di quello apprestato dall‘art. 21‖618, ha comportato l‘affermarsi di una teoria funzionale della libertà di stampa. Il diritto di attingere notizie dalle diverse fonti e, conseguentemente, di informare diffondendole al pubblico, trarrebbe giustificazione proprio dalla necessità di nutrire e formare le coscienze, essendo funzionale alla realizzazione del diritto a essere informati. In altre parole, intendere la stampa come una libertà specifica619, in quanto individuata sulla base di un particolare mezzo di diffusione del pensiero ed esercitata non da ―tutti‖ ma dai soggetti professionalmente competenti e idonei all‘esercizio di tale attività, ha comportato la creazione della teoria ―funzionale‖, in contrapposizione a quella ―individualistica‖, di 618 Ivi. Sul punto, P. COSTANZO, Stampa (libertà di), in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1999, in questi termini: ―è agevole constatare come, nella modellistica costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di stampa abbia quasi sempre ottenuto una posizione di primo piano tanto da poter essere considerata autonomamente e da reagire persino sulla libertà ‗madre‘, inoltre oscurando o relegando in second‘ordine altri diversi aspetti strumentali...Del resto, sembra essersi verificato assai presto l‘abbandono di una visione strettamente individuale del fenomeno, ritenuta, non senza ragione, di scarsa o marginale consistenza, prendendosi invece atto che la libertà di stampa esige normalmente per il suo esercizio attuativo complesso e scomponibile in varie fasi, nelle quali soggetti ulteriori rispetto al vero e proprio ‗manifestante‘ interpretano ruoli non meno essenziali per l‘effettiva libertà in parola‖. 619 257 cui si è già discusso in ordine alla più generale libertà di manifestazione del pensiero620. Per quanto attiene a quella funzionale, dal dovere dello Stato di garantire che la stampa sia idonea a soddisfare l‘interesse generale discende la configurazione di tale mezzo di diffusione come ―servizio pubblico‖. L‘attività giornalistica sarebbe, in altri termini, una pubblica funzione, da tutelare in quanto tale e, dunque, come interesse superindividuale, il quale contribuirebbe ad allargare i confini del diritto di cronaca621. In verità, alla qualificazione della stampa come servizio pubblico non corrisponde necessariamente una concezione funzionalistica della libertà in parola. Infatti, mentre secondo parte della dottrina622 qualificare in tal senso la libertà di stampa, legandola inscindibilmente all‘esigenza della comunità di essere destinataria di notizie sufficientemente complete, avrebbe comportato la legittimazione di una legislazione illiberale, traducibile in un vasto limite alla libertà di manifestazione del pensiero, secondo altri, invece, ―il concetto di servizio pubblico623 non corrisponde alla necessità di un modulo organizzativo nel quale sia necessario o anche solo legittimato un potere pubblico di gestione od anche di controllo ininfluente nel merito dell‘attività posta in essere…Anzi, vi sono dei principi costituzionali che 620 Si veda a riguardo il primo paragrafo di questo Capitolo. G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), cit. 622 In tal senso, C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 29 ss.; C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., 63 ss.; G. CUOMO, Libertà di stampa ed impresa giornalistica, Napoli, 1956, p. 288 ss.; L. PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d‟informazione: le problematiche attuali, in Quaderni costituzionali, 1987, p. 52 ss.; M. LUCIANI, La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Politica del diritto, 1989, p. 619 ss.; M. MAZZIOTTI DI CELSO, Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, in Scritti in onore di V. Crisafulli, II, Padova, 1985, p. 531 ss. 623 Sulla difficoltà di inquadrare la stampa come un servizio pubblico, in ragione della difficoltà di definirne gli aspetti essenziali e le situazioni spettanti ai soggetti interessati, si veda A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, I volume, II edizione, Padova, 1992, p. 426 ss. 621 258 alcune volte impongono servizi pubblici caratterizzati dalla loro gestione tramite soggetti autonomi, che esercitano una o più libertà‖624. D‘altra parte, la concezione individualistica ritiene che sia da negare l‘autonomia della libertà di stampa, considerata strumentale alla realizzazione della più generale libertà di manifestazione del pensiero. In quest‘ottica, non ci si troverebbe di fronte a due distinte libertà, ma alla stessa libertà, intesa prima nel suo aspetto sostanziale e poi in quello strumentale. Se così fosse, però, dovrebbe ritenersi che esse hanno identico contenuto e sottostanno agli stessi limiti625. Va detto, però, che, anche volendo riconoscere la stampa solo come strumento di realizzazione della libertà di parola, sembra necessario evidenziare una differenza di fondo: la normativa che, in attuazione della Costituzione, disciplina il settore della stampa, è chiaramente conformata alle peculiari caratteristiche dello strumento di cui si tratta. Operare, infatti, un‘equiparazione in termini assoluti creerebbe una serie di problemi di carattere interpretativo di non facile soluzione. Anche se la libertà è la medesima, in altre parole, la disciplina del mezzo di diffusione del contenuto non può che essere diversa a seconda dello strumento: altro è parlare in una piazza, altro è scrivere un articolo di giornale. Ciò detto, si apre, proprio sul punto, lo scenario delle nuove tecniche editoriali e dell‘espansione che, in conseguenza dell‘evoluzione tecnologica, ha interessato le forme di manifestazione del pensiero, nonché, più specificamente, il settore dell‘informazione. In primo luogo va fatta una precisazione. Il primo comma dell‘art. 21 Cost. recita ―tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la 624 Queste le parole di U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 628. Nello stesso senso, si vedano anche C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1969, p. 972 ss.; A. PIZZORUSSO, Lezioni di diritto costituzionale, Roma, 1984, p. 102 ss.; A.M. SANDULLI, La libertà di informazione, in Problemi giuridici dell‟informazione, p. 15 ss. 625 G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), cit., p. 2. Sul punto, anche F. MANTOVANI, Mezzi di diffusione e tutela dei diritti umani, in Archivio giuridico, 1968, p. 356 ss. 259 parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione‖. Il Costituente sembra far riferimento allo scritto come a una generale forma di manifestazione del pensiero, traducibile in una veste grafica, ancorché non necessariamente cartacea, indipendente, dunque, dalla più specifica disciplina prevista per la stampa626. Sulla base di questa considerazione e nell‘ottica di un‘interpretazione evolutiva, ma non peregrina, della lettera della Costituzione, non sembra contestabile che i messaggi diffusi nel web – intendendo per essi i commenti e i post in un blog, la creazione stessa di un sito web, i messaggi lasciati in un forum di discussione – rientrino nella forma di ―scritto‖, di cui al primo comma dell‘art. 21 Cost. La prima problematica posta, in ragione di questa evidente constatazione, è stata quella della possibile riconduzione627 delle realtà appena elencate al regime della stampa, solo perché espressioni del pensiero in forma scritta. Dunque, il fatto che tutto ciò che si scrive e si immette in Internet, viene, per così dire ―pubblicato‖ nel web, ha determinato il sorgere di un primo equivoco, che nasce dall‘equiparazione dello ―scritto‖, inteso in senso ampio, al ―pubblicato‖, pensato in ragione dell‘immedesimazione tra la Rete e un organo di stampa. Quale la disciplina e quale la ratio del regime giuridico della stampa? La legge sulla stampa, n. 47 del 1948, elaborata dalla stessa Assemblea Costituente, all‘art. 1 prevede: ―Sono considerate stampe e stampati, ai fini Sulla necessità di distinguere il riferimento allo ―scritto‖ dalla pubblicazione a mezzo stampa, si veda già U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 626, in questi termini: ―Più in generale, c‘è da notare il fatto che nell‘art. 21 Cost. ci si riferisce esplicitamente alla stampa, pur dopo aver garantito la libertà di manifestazione del pensiero tramite ogni mezzo di diffusione, ma ciò rischierebbe di non aver nessun significato concreto se non comportasse anche alcune conseguenze sul regime giuridico delle varie fasi produttive e distributive in cui consiste la stampa ed in assenza delle quali si ha semplicemente una individuale forma di manifestazione in forma scritta‖. 627 Si veda a riguardo C. DI LELLO, Internet e Costituzione: garanzia del mezzo e suoi limiti, in Dir. inf. informatica, 2007, p. 903 ss.; E. NANIA, L‟estensione ad Internet del regime giuridico della stampa, in Nomos, vol. 3, 2002, p. 155 ss.; nonché già R. CATALANO, Il regime giuridico della stampa elettronica e dei “siti” Internet, in Dir. e giur., 1997, p. 194 ss. 626 260 di questa legge tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisio-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione‖. La legge, inoltre, prescrive, all‘art. 2, per la stampa generica, l‘obbligo di indicare luogo e anno di pubblicazione, nome e domicilio dello stampatore e dell‘editore (se esiste) e, per quella periodica, l‘obbligo di riportare anche il nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile, assoggettando poi all‘art. 5 la pubblicazione dei periodici alla registrazione presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione si attui la pubblicazione. La registrazione, prevista come condizione di legittimità628 per l‘esercizio della libertà di stampa, per i periodici, non ha alcun fine di controllo sul contenuto, ma è stata pensata in funzione preventiva di individuazione dei soggetti responsabili di eventuali delitti commessi a mezzo stampa. Infatti, l‘art. 16 prevede che chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta all‘art. 5, è punito per il reato di stampa clandestina. Del pari, per chi pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell‘editore né quello dello stampatore o nel quale essi siano indicati in modo non conforme al vero629. È evidente, dunque, che la registrazione e gli obblighi di trasparenza non sono pensati in un‘ottica limitativa della libertà ma, di contro, per l‘indicazione dei responsabili in funzione di tutela dei singoli, eventualmente lesi dall‘illegittimo esercizio del diritto di cronaca. Sul fatto che l‘introduzione della registrazione, come condizione per l‘esercizio legittimo del diritto, sia limitativa della libertà di stampa, e sulla capacità di rafforzare la natura libertaria della legge n. 47 del 1948, proprio in quanto unica condizione, si veda U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 589. 629 Va detto che, per l‘inosservanza delle disposizioni dettate all‘art. 2 della legge sulla stampa, è stata prevista la depenalizzazione, ai sensi dell‘art. 32 della legge n. 289 del 1981. 628 261 Alla luce della suddetta normativa, sembra davvero ragionevole una totale equiparazione tra gli articoli pubblicati a mezzo stampa e qualsivoglia pubblicazione nel web? Può di certo affermarsi che, quando s‘immette un‘informazione nel web in forma scritta, si rende disponibile al pubblico quell‘informazione, intendendosi per ―destinatario‖ chiunque acceda a quella pagina volontariamente o chiunque ci si imbatta attraverso i motori di ricerca. Parte della dottrina630 ha sostenuto che l‘equiparazione, non di facile soluzione se si fa riferimento alla definizione di stampa ancora vigente nel nostro ordinamento, si renderebbe necessaria proprio sulla base della ratio delle norme dettate in materia di stampa. In altre parole, dato che le norme della legge n. 47 del 1948 sono dettate per controllare un‘attività che può essere ―fonte di danni‖, a maggior ragione le limitazioni dovrebbero valere per le pubblicazioni on line, oggi foriere di danni all‘onore e alla reputazione talvolta più gravi di quelli commessi a mezzo stampa, poiché le informazioni immesse in Rete restano in Internet e possono causare danni anche col trascorrere del tempo631. 630 In questo senso, L. BOCCIANO, Nuovi spunti sulla stampa telematica alla luce della l. 7 marzo 2001, n. 62, in Giur. it., 2002, p. 1309 ss. 631 A questo problema, ha tentato di dare una valida risposta la Corte di Cassazione, che, con sentenza n. 5525 del 2012, ha conferito legittimazione al diritto all‘oblio in rete. Quali i termini della questione? Il fatto. Un soggetto richiede al Garante per la protezione dei dati personali un provvedimento di rimozione dei propri dati giudiziari, aventi ad oggetto un suo arresto avvenuto molti anni prima (vicenda poi conclusasi favorevolmente per il ricorrente), in ragione del fatto che la notizia dell‘arresto, presente nell‘archivio storico del sito www.corriere.it, fosse facilmente raggiungibile attraverso l‘indicizzazione operata dai motori di ricerca. Il Garante rigetta la richiesta. A questo punto, il soggetto si rivolge al Tribunale di Milano con domanda ―di spostamento‖ dell‘articolo in questione ―in un‘area del sito web non indicizzabile dai motori di ricerca‖ o di ―integrazione dell‘articolo con le notizie inerenti agli sviluppi successivi della vicenda narrata, anche con modalità tecniche non modificative della struttura originaria dello scritto‖. Il Tribunale respinge l‘opposizione del ricorrente al rigetto del Garante e la richiesta di spostamento dell‘articolo, argomentando che esso ―non può essere tecnicamente inteso come una nuova pubblicazione‖, che ―la ricerca effettuata attraverso i comuni motori – non direttamente legata all‘articolo del Corriere della Sera – dà, in realtà, contezza degli esiti processualmente favorevoli‖ e, infine, che non può chiedersi la rimozione di un articolo allora pubblicato in modo assolutamente lecito (esistevano verità, attualità e continenza). Avverso la sentenza del Tribunale viene, dunque, proposto ricorso per Cassazione, con unico complesso motivo, per violazione degli art.i 2, 7, 11, 99, 102, 150, 262 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, degli art.i 3, 5, 7 del Codice di deontologia e buona condotta per il trattamento dei dati personali per scopi storici, in riferimento all‘art. 360, I comma, n. 3, c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia. La Corte di Cassazione, dopo aver stabilito i principi di diritto che disegnano l‘ampiezza del diritto alla riservatezza, così dispone: ―Il d.lgs. n. 196 del 2003 ha sancito il passaggio da una concezione statica a una concezione dinamica della tutela della riservatezza, tesa al controllo dell‘utilizzo e del destino dei dati. L‘interessato è divenuto compartecipe nell‘utilizzazione dei propri dati personali…La liceità del trattamento trova fondamento anche nella finalità del medesimo, quest‘ultima costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali, che fonda l‘attribuzione all‘interessato del potere di relativo controllo, con facoltà di orientarne la selezione, la conservazione e l‘utilizzazione‖. In altre parole, il titolare dei dati personali ha diritto a che essi vengano adoperati per ragioni pertinenti allo scopo, non solo in applicazione del d.lgs. n. 196 del 2003, ma anche rispetto a un più generale principio di correttezza (quale corollario di un generale principio di solidarietà sociale), che trova applicazione anche in materia di responsabilità extracontrattuale. ―Se l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all‘oblio (v. Cass., 9/4/1998, n. 3679), e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati… ), il diritto all‘oblio salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell'identità personale, l‘esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall'accadimento del fatto che costituisce l'oggetto) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell'esplicazione e nel godimento della propria personalità… Il soggetto cui l'informazione oggetto di trattamento si riferisce ha in particolare diritto alla verità della propria immagine nel momento storico attuale… Emerge allora la necessità, a salvaguardia dell'attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l‘aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l‘evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo… Con riferimento alla rete internet non si pone allora un problema di pubblicazione o di ripubblicazione dell‘informazione, quanto bensì di permanenza della medesima nella memoria della rete internet e, a monte, nell‘archivio del titolare del sito sorgente. Se il passaggio dei dati all‘archivio storico è senz‘altro ammissibile, ai fini della liceità e correttezza del relativo trattamento e della relativa diffusione a mezzo della rete internet è indefettibilmente necessario che l‟informazione e il dato trattato risultino debitamente integrati e aggiornati… Se pertanto come nella specie l‘interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca (di molto) anteriore trova giustificazione nell‘attività (nel caso, politica) svolta dal soggetto titolare dei dati, e tale vicenda ha registrato una successiva evoluzione, dall‘informazione in ordine a quest'ultima non può invero prescindersi, giacché altrimenti la notizia, originariamente compieta e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera… Appare al riguardo invero necessaria una misura che consenta l'effettiva fruizione della notizia aggiornata, non potendo (diversamente da quanto affermato dal Garante nella memoria) considerarsi in proposito sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all‘interno del ―mare di internet‖ ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a 263 Va detto, però, che il criterio teleologico, il quale – vedremo in seguito – comunque non risulta di per sé risolutivo, non può essere totalmente soppiantato da quello letterale, che pretende innanzitutto di valutare se un‘interpretazione estensiva o analogica della normativa in questione possa essere applicata al fenomeno telematico. Alla luce della definizione normativa, è possibile definire la stampa sulla base di un criterio ontologico e uno teleologico. Infatti, è stampa ciò che si ottiene attraverso l‘utilizzo di macchine tipografiche o altri mezzi meccanici o fisio-chimici e che è diffuso a un pubblico indeterminato. ―Ora, è evidente che nella telematica non vi è una riproduzione tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisio-chimici, in qualsiasi modo destinata alla pubblicazione. I termini utilizzati sono tecnici e dunque precisi, e non possono estendersi a mezzi che si basano su tecniche profondamente diverse e non costituiscono nemmeno una evoluzione di quelle della stampa‖632. La dottrina633, peraltro, ha sottolineato che nemmeno la dizione ―in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione‖ potrebbe giustificare margine) la sussistenza nel caso di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia, consentendone il rapido ed agevole accesso ai fini del relativo adeguato approfondimento‖. Dunque, proprio per le caratteristiche della Rete, è necessario che la notizia venga completata attraverso un link o un banner, che faccia riferimento ai fatti avvenuti in seguito. Si vedano, però, in senso contrario, Corte di Cassazione, sentenza n. 11597 del 2011 e Tribunale di Bari, Sez. I, 27 settembre 2008. A commento della sentenza, si vedano C. CITARELLA, Aggiornamento degli archivi on line, tra diritto all‟oblio e rettifica “atipica”, in Resp. civ. e prev., 2012, 4, p. 1155 ss.; G. FINOCCHIARO, Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell‟informazione, in Dir. inf. informatica, 2012, 03, p. 383 ss.; F. DI CIOMMO – R. PARDOLESI, Dal diritto all‟oblio in Internet alla tutela dell‟identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Resp., 2012, 7, p. 701. Sul tema, si veda anche A. RUBINO, Minori e privacy: una tutela rafforzata?, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi media e minori, cit., p. 99-100. 632 Chiare le parole di V. ZENO ZENCOVICH, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, in Dir. inf. informatica, 1998, 01, p. 15 ss. 633 Ivi. D‘altra parte, come sostiene l‘Autore, anche per gli altri mezzi di diffusione del pensiero, precedenti alla stampa e intervenuti dopo di essa – anche laddove si trattasse di un‘attività di diffusione destinata a un numero indeterminato di soggetti maggiore di quelli raggiungibili da un comune stampato –, non si è mai dubitato che a essi non fosse applicabile il regime giuridico della stampa, ma che, piuttosto, fosse necessario, a tal fine, 264 l‘interpretazione estensiva della norma definitoria della stampa, poiché essa è intimamente legata al concetto di riproduzione tipografica, elemento assente nella telematica. È pur vero che rilevante è stato l‘approfondimento dottrinario634 sulla possibile estensione delle guarentigie previste per la stampa a tutti gli altri mezzi di diffusione del pensiero635, proprio nell‘ottica della massima un intervento legislativo nel settore di riferimento (si pensi all‘applicazione della normativa sulla stampa, con riferimento anche ai telegiornali, disposta esplicitamente dall‘art. 10 della legge 223 del 1990). 634 Sul punto, ampiamente C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 20-25, in questi termini: ―In via di principio, non esistendo esplicita disposizione contraria, il divieto di misure preventive sui mezzi di diffusione del pensiero, se pure fosse l‘unica esplicitamente sancita nel nostro testo costituzionale, dovrebbe interpretarsi come escludente pure il potere della legge a giudicare il contenuto dei pensieri espressi…Il testo costituzionale contempla un solo limite al contenuto del diritto sostantivo, e cioè vieta le manifestazioni contrarie ai buoni costumi, ed in quest‘ultimo caso autorizza esplicitamente le leggi alle misure preventive oltre che repressive, e disciplina in maniera particolare un solo mezzo di manifestazione di pensiero e cioè la stampa, e rispetto ad esso, pur escludendo autorizzazioni e censure, non solo ammette la misura preventiva dell‘indicazione dei responsabili, ma consente in caso di delitto il sequestro degli stampati e cioè un provvedimento che, successivo alla manifestazione del pensiero, impedisce la diffusione o la ulteriore diffusione parimenti garantita…Nelle statuizioni sui mezzi di diffusione del pensiero l‘attività legislativa incontra un solo limite assoluto e per il resto solo prescrizioni indicative…La prescrizione indicativa è che la disciplina dei mezzi di diffusione del pensiero sia quanto più è possibile conforme o adeguata al raggiungimento del fine, ed in particolare che nella disciplina dell‘uso dei mezzi siano evitate le misure preventive, le censure e le condanne, che, per impedire le poche manifestazioni condannate, intralcerebbero o difficulterebbero le molte manifestazioni garantite dalla Costituzione, e sottoporrebbero in modo generale a restrizioni e ad accertamenti preventivi di conformità al diritto fatti che in via di principio sono dichiarati dalla Costituzione conformi al diritto‖. 635 Non così, ad esempio, Corte di Cassazione, n. 10535 del 2008. Nel caso di specie la Corte ha espressamente riconosciuto che la norma costituzionale, di cui all‘art. 21, va interpretata in senso evolutivo, per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute e ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma, da questo assunto, ―non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21 Cost., comma 3, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi‖. A fronte, però, di questa considerazione, la Cassazione afferma che, non dovendo considerare queste nuove forme di espressione del pensiero assimilabili alla stampa, ad esse non andranno estese le garanzie che la Costituzione riserva a tale particolare mezzo di diffusione. In questi termini, con riferimento al forum di discussione: ―Si tratta di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di 265 espansione del contenuto del diritto di libertà. Aderire a questa tesi non comporta, però, necessariamente, trasferire sugli altri mezzi di diffusione di massa anche i vincoli previsti espressamente per la stampa636. Con specifico riferimento alla telematica, anche dovendosi riconoscere che le comunicazioni in oggetto, possono includere l‘attività di stampa quando se ne voglia ottenere una riproduzione cartacea, non può non rilevarsi che la stessa è assolutamente eventuale, dipendendo la riproduzione dalla scelta del soggetto che accede all‘informazione on line, memorizzata su un server. Peraltro, non può parlarsi nemmeno di riproduzione in senso stretto, infatti, si potrebbe decidere di stampare anche solo una parte del messaggio pubblicato on line e, in ogni caso, la riproduzione sarebbe effettuata solo per uso proprio e non ai fini di diffusione al pubblico. Dunque, la ―riproduzione‖ non farebbe riferimento al soggetto che diffonde l‘informazione, come nel caso della stampa, ma al ricevente, sub condicione della sua personale scelta637. Ciò nonostante, la giurisprudenza di merito, che si è imbattuta nelle questioni sottoposte alla nostra attenzione, ha, in diversi casi, tentato registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l‟art. 21 Cost., comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero‖. A commento della sentenza, si vedano L. BACCHINI, Il sequestro di un forum on-line: l'applicazione della legge sulla stampa tutelerebbe la libertà di manifestazione del pensiero in Internet?, in Dir. inf. informatica, 2009, 3, p. 512 ss.; C. GIUNTA, I forum davanti alla Cassazione: incertezze giurisprudenziali sulla nozione costituzionale di stampa, in Giur. cost., 2009, 3, p. 2115 ss. e R. CATALANO, Ai forum di discussione in Internet non è applicabile la disciplina sulla stampa: una sentenza della Corte di Cassazione, in Dir. e giur., 2009, p. 75 ss. Nel senso della doverosa interpretazione evolutiva dell‘art. 21 Cost., e la conseguente estensione delle garanzie previste per la stampa agli altri di diffusione del pensiero, compreso Internet, si veda M. VIGGIANO, Internet. Informazione, regole e valori costituzionali, Jovene, 2010, p. 151-157. Nello stesso senso, più in generale, P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 28. 636 In tal senso, chiaramente, V. ZENO ZENCOVICH, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche, cit. 637 Ivi. 266 un‘interpretazione evolutiva della definizione di stampa, intendendo per essa anche la pubblicazione on line, esattamente al pari di quella su carta638. Dalle valutazioni sopra riportate, tale interpretazione non può che apparire erronea. Infatti, il fenomeno della pubblicazione on line è strutturalmente diverso da quello della stampa: pur verificandosi una diffusione al pubblico delle informazioni, non esiste nella telematica un‘effettiva riproduzione tipografica, così come intesa dalla legge sulla stampa e, anche laddove venisse riprodotta copia cartacea sarebbe, come visto, non opera dell‘autore dello scritto, quanto del suo ricevente, dunque non più sorretta dalla finalità di diffusione. In sostanza, la pubblicazione on line di un qualsiasi scritto è più paragonabile a un messaggio lasciato in bacheca, o, paradossalmente, più vicino al concetto del discorso affrontato in una piazza, piuttosto che assimilabile alla stampa. Dunque, un‘applicazione estensiva delle norme sulla stampa non è pensabile, perché consisterebbe nel tradire lettera e finalità della norma di legge in questione. Resta, come unica ipotesi che accomunerebbe le due realtà, l‘applicazione analogica, volendo far leva sulla finalità di diffusione al pubblico, che, come visto, è conseguenza anche dell‘immissione di notizie in Rete. Vanno considerate, però, le peculiari conseguenze di una tale interpretazione. Infatti, se per analogia fosse applicabile all‘intero fenomeno Internet la disciplina sulla stampa, vorrebbe dire che ciascun 638 Così Tribunale di Roma, sentenza del 6/11/1997, reperibile in Dir. inf. informatica, 1998, p. 75 ss., nonché Tribunale di Napoli, sentenza dell‘8/8/1997, in Dir. e giur., 1997. Entrambe le sentenze riconoscono l‘applicabilità della disciplina della stampa anche al fenomeno Internet. In particolare, la prima statuisce l‘applicabilità diretta della legge sulla stampa al periodico telematico, in quanto sarebbero riscontrabili in esso entrambi i requisiti previsti dall‘art. 1 della l. n. 47 del 1948, mentre la seconda riconosce alla Rete delle reti la qualifica di organo di stampa. 267 soggetto, anche per aprire un semplice blog o creare una pagina web, sarebbe soggetto all‘obbligo di registrazione ex art. 2 della l. n. 47 del 1948. A quest‘affermazione seguono due inevitabili considerazioni. La prima: che senso avrebbe una tale equiparazione se, comunque, l‘inadempimento dei rispettivi obblighi non potrebbe comportare la consumazione del reato di stampa clandestina ex art. 16 della stessa legge, in ossequio al divieto di analogia in malam partem? La seconda: se la legge sulla stampa impone una serie di obblighi solo per i periodici (art. 5 l. 47 del 1948) e prevede per gli stessi l‘applicazione della sanzione penale in caso di disobbedienza, sulla base di quali criteri va stabilito se una pubblicazione on line è assimilabile al periodico cartaceo? Di fronte a quest‘ultimo quesito la giurisprudenza non è stata unanime. Particolarmente interessante risultano le motivazioni della sentenza del Tribunale di Salerno, del 18/01/2001. Per la prima volta, infatti, il giudice di merito ha riconosciuto l‘impossibilità logica e tecnica, prima che giuridica, di una tale equiparazione. Se ogni pagina web rappresenta di per sé una pubblicazione, e la periodicità consiste nel costante aggiornamento della stessa, ogni sito web, e dunque, ogni pagina internet, sarebbe da considerare un periodico on line. Peraltro, non solo risulterebbe irragionevole una tale equiordinazione, in ragione della strutturale differenza tra i due fenomeni – senza considerare l‘inadeguatezza del linguaggio per il fenomeno telematico –, quanto, soprattutto, non sarebbe utile a realizzare il fine della norma, che resta quello di garantire la conoscenza dei soggetti che esercitano il diritto di cronaca, al fine di poter conoscere i responsabili di eventuali reati. D‘altra parte, però, si registrano pronunce giurisprudenziali di segno opposto639, orientate alla doverosità della registrazione di ciascun periodico telematico, a prescindere dal fatto che fosse o meno la riproduzione di un periodico cartaceo. 639 Si veda, per tutte, Tribunale di Roma, sentenza del 6/11/1997. 268 In questo quadro, l‘intervento legislativo640, atteso in ragione della necessità di fare chiarezza sulla portata e sull‘ambito di applicazione delle norme che disciplinano i mezzi di comunicazione di massa, giunge nel 2001, con l‘introduzione del concetto di ―prodotto editoriale‖, che, pur presentandosi dell‘evoluzione come una soluzione tecnologica che ai problemi aveva sorti investito alla il luce sistema dell‘informazione, desta, invece, più dubbi di quanti non ne avrebbe dovuto sopire. 2.1. La legge n. 62 del 2001 e l‟equivoco del prodotto editoriale La legge n. 62 del 2001, che in epigrafe riporta ―Nuove norme sull‘editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto del 1981, n. 416‖, all‘art. 1 introduce la figura del ―prodotto editoriale‖: ―Per prodotto editoriale, ai fini della presente legge, s‘intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni suo mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con l‘esclusione dei prodotti discografici o cinematografici…Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all‘articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall‘art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948‖. Parte della giurisprudenza641 ha letto nella norma in questione la definitiva e chiara equiparazione della stampa a Internet. In altre parole, 640 Il riferimento è alla legge n. 62 del 2001. Si veda, ad esempio, Tribunale di Milano, sentenza del 15/4/2002, anche consultabile in Dir. inf. informatica, 2002, p. 568, nonché Tribunale di Milano, sentenza 641 269 dato che, com‘è ovvio, nell‘ampia definizione normativa di prodotto editoriale, potrebbe rientrare qualsivoglia pubblicazione on line642, ogni pubblicazione in Rete sarebbe paragonabile alla pubblicazione a mezzo stampa e, dunque, tutte le norme, di carattere penale o amministrativo, previste in tema di stampa, sarebbero applicabili ai fenomeni on line. Non concorde la dottrina643 più attenta sul tema, che, a commento della legge, sostiene l‘inconfigurabilità di ―un generale obbligo – per chiunque diffonda informazioni al pubblico attraverso la rete internet – di registrare una testata munendosi di un direttore responsabile, iscritto all‘albo dei giornalisti‖. L‘Autore fa notare, infatti, che la legge in questione attiene ai meccanismi di erogazione di provvidenze e agevolazioni pubbliche; non viene, dunque, scritta con l‘intento di imporre una novità determinante nel mondo della telematica. Del resto, Internet non può qualificarsi come un organo di stampa 644, né può essere stata questa la finalità del legislatore nello scrivere la legge in questione. Ciò comporta, dunque, che solo chi intende usufruire delle provvidenze e agevolazioni previste assume l‘obbligo della registrazione e della trasparenza sull‘assetto editoriale. Le norme in questione sono da intendersi come oneri, non obblighi e, alla luce di ciò, la definizione a maglie larghe di ―prodotto editoriale‖ è finalizzata a consentire la fruizione delle provvidenze previste per l‘editoria, ancorché elettronica. del 28/5/2002, in Dir. inf. informatica, 2003, p. 556 ss. In dottrina, sul punto, si veda G. CASSANO – A. CONTALDO, Internet e tutela della libertà di espressione, Giuffrè, Milano, 2009, p. 185 ss. 642 Si tenga presente, infatti, che la norma non fa distinzioni. In teoria, un giornale on line dovrebbe sottostare alla medesima disciplina del sito web amatoriale, a prescindere dal contenuto in esso veicolato, senza considerare poi che tale normativa implicherebbe non solo il rispetto delle norme da parte dei privati internauti che immettono informazioni on line, ma anche dei siti istituzionali, che utilizzano i servizi di rete. In altre parole, una definizione che, alla lettera, risulta decisamente onnicomprensiva. 643 Così V. ZENO ZENCOVICH, I “prodotti editoriali” elettronici nella legge 7 marzo 2001 n. 62 e il preteso obbligo di registrazione, in Dir. inf. informatica, 2001, p. 153-154. 644 Sul punto anche P. COSTANZO, Ancora a proposito dei rapporti tra diffusione in Internet e pubblicazione a mezzo stampa, in Dir. inf. informatica, 2000, 4-5, p. 657 ss. 270 Peraltro, se così non fosse, si presenterebbero una serie di difficoltà decisamente insuperabili: non solo tornerebbe il problema prima affrontato di individuare cosa s‘intenda per periodicità on line, ma questione ancor più complessa andrebbe risolta: come va, cioè, indentificata una ―testata‖ telematica. Posto che, come prima anticipato, qualunque aggiornamento di una pagina web comporterebbe una nuova pubblicazione, e, dunque, ogni sito diventerebbe un periodico – con la conseguenza che ogni comune cittadino dovrebbe provvedere alla registrazione, comunicare il nome di un direttore responsabile, professionista iscritto all‘albo dei giornalisti645 –, ciascun soggetto dovrebbe provvedere anche a identificare la testata della propria pagina web, anche laddove si tratti di un semplice blog. Ma, in cosa si identifica la testata on line? È forse il titolo del blog? O il nome a dominio? E se si cambiasse il titolo del blog a ripetizione continua, si sarebbe di fronte a nuovi periodici, ciascuno dei quali andrebbe registrato? Il problema non è di poco conto perché, aldilà delle specifiche questioni di carattere amministrativo, estendere così ampiamente l‘ambito di applicazione di una disciplina che, per sua natura, è di carattere settoriale, significa, di fatto, limitare l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, imbrigliandola in lacci normativi chiaramente irragionevoli. D‘altra parte, che il fine della normativa fosse solo quello di attribuire un obbligo di registrazione solo a chi volesse usufruire delle agevolazioni fiscali per l‘editoria è stato anche confermato dalla normativa successiva in tema di commercio elettronico. Infatti, l‘art. 7, III comma, del d.lgs. 70 del 2003, prevede espressamente: ―La registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i 645 Sulle questioni attinenti ai casi in cui il direttore responsabile non deve necessariamente essere un soggetto iscritto all‘albo dei giornalisti, si veda V. ZENO ZENCOVICH, I “prodotti editoriali” elettronici nella legge 7 marzo 2001 n. 62 e il preteso obbligo di registrazione, cit., p. 153 ss. 271 prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62‖. Dunque, a prescindere dal fatto che si tratti di una pubblicazione periodica o meno, le norme della legge n. 62 del 2001 varranno per chi decide di ottenere i contributi previsti. Da ciò deriva che non si potrà condannare per stampa clandestina un soggetto per aver creato una pagina web senza averla registrata o per non aver indicato l‘editore o lo stampatore responsabile. Questa conclusione non è sempre parsa la migliore. Si pensi al caso del Tribunale di Modica che, con sentenza dell‘8 maggio 2008646, aveva 646 Appare rilevante segnalare la decisione in commento, per la peculiarità del ragionamento giuridico sotteso alla decisione dell‘interprete. La questione di fatto era la seguente. All‘imputato era stato contestato il reato di cui agli art.i 5 e 16 della legge n. 47 del 1948, per aver intrapreso la pubblicazione di un giornale di informazione civile e averlo diffuso in Rete, senza previa registrazione alla cancelleria del Tribunale competente, Tribunale di Modica. Il giudice, innanzitutto, chiarisce che la registrazione consiste in un mero controllo di legittimità della regolarità formale dei documenti prodotti e della rispondenza del loro contenuto alle disposizioni di legge. Ciò posto, non si può, dunque, considerare come un limite effettivo alla libertà di stampa, non essendoci alcuna valutazione di carattere discrezionale circa l‘opportunità della registrazione in ragione del contenuto che s‘intende pubblicare e trovando la sua ratio nella possibilità di reprimere gli abusi degli eventuali responsabili di reati commessi a mezzo stampa. Il ragionamento che supporta la decisione del Tribunale è il seguente. Se prima della legge n. 62 del 2001 l‘interpretazione del concetto di ―stampa‖ non poteva che essere restrittiva, dovendo attenersi alla stretta definizione datane nell‘art. 1 della l. n. 47 del 1948, con l‘introduzione del concetto di ―prodotto editoriale‖, le cose cambiano radicalmente. A fronte di un orientamento che ritiene applicabile la disciplina prevista dalla legge in questione (obbligo di registrazione e conseguente applicazione della normativa sulla stampa) solo ai soggetti che abbiano scelto di ottenere i contributi previsti dalla medesima legge, il giudicante sceglie di aderire al diverso orientamento, anche da altri sostenuto in giurisprudenza (Tribunale di Milano, II sez. civ., 10-16 maggio 2006, n. 6217 e Tribunale Latina, sentenza del 7/06/2001), a mente del quale la definizione di prodotto editoriale ha valore generale e onnicomprensivo e determina, di per sé, l‘assoluta equiparabilità di un sito internet alla pubblicazione a mezzo stampa. La scelta del giudicante si basa sulla preliminare considerazione che in epigrafe la legge n. 62 del 2001 fa riferimento al settore dell‘editoria in genere. Ciò implicherebbe la voluntas legis di dettare regole generali e non solo regole sul sistema delle provvidenze. A ciò consegue che ―le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della l. n. 47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal commercio e dall‘elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di essere note‖. Inoltre, dall‘applicazione degli art.i 2 e 5 della legge del 1948, 272 condannato un giornalista e saggista per non aver registrato il suo blog di informazione alla cancelleria del tribunale. La sentenza, confermata in appello, è stata poi annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte, infatti, con sentenza del 15 settembre del 2012647, n. 23230, ha statuito con chiarezza che, pur trattandosi di un giornale telematico di si desume, secondo l‘interprete, l‘applicazione diretta dell‘art. 16 della medesima legge (stampa clandestina), non quella in via analogica, poiché il legislatore, imponendo l‘obbligo di registrazione, avrebbe determinato la conseguenziale operabilità della fattispecie di reato di stampa clandestina. Peraltro, si aggiunge, quest‘interpretazione troverebbe conferma nel d.lgs. n. 70 del 2003, che, facendo riferimento solo all‘attività di prestazione di servizi di informazione, non troverebbe applicazione per i singoli che svolgono l‘attività di informazione non in forma commerciale e, dunque, non in qualità di prestatori di servizi. Inoltre, l‘art. 7 del d.lgs. in questione, che esonera dalla registrazione le testate telematiche che non intendono accedere alle provvidenze previste dalla legge del 2001, non potendo essere considerato un‘interpretazione autentica della suddetta legge poiché essa ha a oggetto un settore diverso da quello più specifico dell‘editoria, non farebbe che confermare quanto detto in precedenza. Peraltro, la registrazione di cui al suddetto art. 7, a giudizio dell‘interprete, sarebbe quella da effettuarsi non presso il Tribunale ma presso il Registro degli operatori di comunicazione (ROC), istituito con l. 249 del 1997. Se così non fosse, ci creerebbe, a detta del giudice, un‘irragionevole disparità di trattamento tra i giornalisti della carta stampata e quelli telematici. Pertanto, in conclusione, andrebbe riferito all‘imputato il reato di stampa clandestina per disobbedienza agli obblighi di registrazione. Del resto, secondo il giudice, il blog è uno spazio virtuale accessibile al pubblico senza limitazione alcuna, e, nel caso di specie, non sarebbe utilizzato solo come mezzo di comunicazione in cui tutti possono esprimere le proprie opinioni (in tal caso non sarebbe obbligatoria la registrazione, non trattandosi di un giornale telematico in senso stretto), ma come strumento per fare informazione e attraverso il quale possono essere pubblicati articoli solo previa valutazione del creatore del blog. Ciò basterebbe a qualificare questo spazio virtuale come il corrispettivo on line di un giornale in carta stampata. 647 La sentenza è reperibile anche alla pagina web http://www.eius.it/giurisprudenza/2012/002.asp. Il ricorrente, non solo lamentava l‘erronea applicazione della normativa sulla stampa, poi riconosciuta in sentenza, ma anche l‘incertezza interpretativa in ordine alla normativa richiamata (l. 47 del 1948, l. 62 del 2001, d.lgs. 70 del 2003), che rendeva in ogni caso applicabile al caso concreto l‘art. 47 c.p., III comma, per errore scusabile su legge extrapenale, con conseguente esclusione della punibilità. La Corte di Cassazione, dopo aver ribadito la ratio della l. 62 del 2001 e la non generale applicabilità dell‘obbligo di registrazione a tutti i giornali on line, così dispone: ―L‘estensione dell‘obbligo di registrazione per il giornale on line - previsto dalla citata L. n. 62 del 2001, ripetesi, ai soli fini delle provvidenze economiche - anche in riferimento alla norma di cui alla L. n. 47 del 1948, art. 5, con conseguente applicabilità (in caso di omessa registrazione) della sanzione penale di cui all'art. 16 citata legge sulla stampa, costituisce interpretazione analogica in malam partem non consentita ai sensi dell'art. 25 Cost., comma 2 e art. 14 disp. gen.‖. Va segnalata anche la sentenza n. 10535 del 2008 (Corte di Cassazione, sez. III). Qui la Corte ha escluso l‘applicazione della legge sulla stampa al fenomeno dei forum di discussione, giustificando tale decisione col fatto che non si trattasse di prodotto editoriale. 273 informazione civile, esso non rispetta i due criteri, ontologico e teleologico, previsti dall‘art. 1 della legge sulla stampa, dunque, non esiste obbligo di registrazione alla cancelleria del tribunale e, conseguentemente, non può sussistere reato di stampa clandestina, rispetto al quale la disobbedienza a tale obbligo è condotta incriminata. Con riferimento al blog, dunque, sembra essersi raggiunta una soluzione ragionevole: la non equiparazione dipende dalla differenza strutturale che passa tra la creazione di una propria pagina web e la pubblicazione di uno stampato. Ma, va detto, l‘ultimo approdo giurisprudenziale non basta a garantire l‘applicazione eguale della legge, poiché l‘eterogeneità dei fenomeni telematici lascia ancora molto spazio all‘interpretazione dei giudici, che, ancora troppo spesso, si presenta ondivaga, pur facendo riferimento a situazioni analoghe. 2.2. Responsabilità per le pubblicazioni on line: tra principio di legalità e separazione dei poteri Il tema della responsabilità per le pubblicazioni on line è, come in parte già visto sopra, decisamente complesso, in ragione delle variegate ipotesi prospettabili nella realtà. Queste, infatti, hanno reso particolarmente difficile l‘opera della giurisprudenza. Tema caldo degli ultimi anni, che sembra aver trovato soluzione condivisa quantomeno nella giurisprudenza di legittimità, è la responsabilità del direttore del periodico on line. La questione è strettamente collegata all‘eventualità dell‘estensione della normativa sulla stampa alle pubblicazioni in Rete. Posto che, come visto, a detta della giurisprudenza conforme sul punto e della dottrina dominante, non è ipotizzabile una totale equiparazione tra qualsivoglia pubblicazione on line e quella stampata, va 274 affrontata la questione con specifico riferimento al periodico on line e al suo direttore responsabile. L‘art. 57 c.p., rubricato ―Reati commessi col mezzo della stampa periodica‖, prevede espressamente: ―Salva la responsabilità dell‘autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo dalla pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo‖. Sulla base di quanto sopra affermato, il reato che incrimina la condotta del direttore responsabile non può e non deve essere addebitato al direttore di un periodico on line, per una prima e semplice motivazione: se Internet non equivale a stampa, in ragione del divieto di analogia in malam partem in materia penale648, non è possibile estendere il suo ambito di applicazione oltre gli stretti confini dettati dalla norma. D‘altra parte, anche gli ultimi approdi giurisprudenziali vanno in questa direzione. La recente sentenza, Corte di Cassazione n. 35511 del Il divieto di analogia è rinvenibile esplicitamente nell‘art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati), nonché negli art.i 1 e 199 c.p. Inoltre, esso deve ritenersi implicitamente costituzionalizzato, in quanto chiara espressione del principio generale del nullum crimen sine lege. La dottrina ha discusso sul carattere relativo del divieto di analogia, ritenendolo perfettamente rispondente al principio dettato dall‘art. 25 Cost., II comma, il quale ―sancisce il primato non già dell‘esigenza di certezza, ma della garanzia della libertà del cittadino‖. In questo senso, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, VI edizione, Zanichelli, 2009, p. 110. Sul punto e, in particolare, sulla necessità di inquadrare i limiti del divieto di analogia ―più che in esigenze puramente razionali di certezza, sul più solido piano politico-garantista, conformemente alla tradizione democratico-liberale‖, si veda F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, V edizione, Cedam, 2007, p. 73 ss. Sul tema dell‘analogia, si veda G. VASSALLI, Analogia nel diritto penale, in Nov. dig. it., Torino, I, 1957, p. 607 ss.; ID., Analogia (voce), in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, p. 158 ss. 648 275 2010649, in cui si esclude categoricamente la possibilità di un‘applicazione analogica della norma in questione al fenomeno Internet, è la prima in cui il giudice di legittimità affronta direttamente il problema qui prospettato. Infatti, precedentemente, la Cassazione650 aveva solo escluso che l‘art. 57 c.p. potesse essere riferito ai direttori delle trasmissioni radiofoniche o televisive – la cui responsabilità per omesso controllo è stata introdotta dalla c.d. legge Mammì, l. 6 agosto 1990, n. 223 –, affermando che ―l‘art. 57 c.p. …è dettato esclusivamente per i reati commessi col mezzo della stampa periodica‖. D‘altronde, anche parte della giurisprudenza di merito aveva già ritenuto non applicabile in via analogica l‘art. 57 c.p. anche con riferimento alla Rete. Nel caso di specie, infatti, la Corte d‘Appello di Roma, con sentenza dell‘11 gennaio 2001651, aveva espressamente ritenuto ―impossibile estendere la qualifica di direttore responsabile del quotidiano ‗La Repubblica‘ anche al notiziario telematico ‗La Repubblica.it‘ perché non costituente stampato‖. 649 Per un commento alla sentenza, si vedano I. SALVADORI, La normativa penale sulla stampa non è applicabile, de jure condito, ai giornali telematici, in Cass. pen., 2011, 9, p. 2982 ss., nonché S. PERON, Internet, regime applicabile per i casi di diffamazione e responsabilità del direttore, in Resp. civ. e prev., 2011, 1, p. 85 ss. In senso conforme alla sentenza, più recentemente, Cassazione penale, sez. V, n. 44126 del 2011. 650 Corte di Cassazione, sentenza del 23 aprile 2008, n. 34717. 651 Corte di Appello di Roma, 11 gennaio 2001, in Dir. inf. informatica, 2001, p. 31 ss. Più recentemente, si veda Corte di Appello di Torino, 23 aprile 2010, 23 aprile 2010, in Corriere del merito, n. 11/2010, p. 1073, che ha escluso l‘applicazione dell‘art. 57 c.p. con specifico riferimento al gestore di un blog, riformando la sentenza del Tribunale di Aosta, 2 maggio 2006, n. 553, in Giur. Merito, 2007, p. 1065, che aveva statuito in senso contrario. Per un commento alla sentenza di veda V. PEZZELLA, Blog uguale giornale? C‟è chi dice di sì se chi gestisce il sito è come il direttore, in Dir. e giust., 2006, 31, 71, nonché la nota critica di I. SALVADORI, I presupposti della responsabilità penale del blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito, in Giur. merito, 2007, 4, 1069. Nello stesso senso del Tribunale di Aosta anche la successiva sentenza del Tribunale di Firenze, 13 febbraio 2009 n. 982, che dichiara responsabile per omesso controllo il direttore del periodico on line. Per una nota critica si veda C. MELZI D‘ERIL – G. VIGEVANI, La responsabilità del direttore del periodico telematico, tra facili equiparazioni e specificità di Internet, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 9155 ss. Sul tema, anche S. SICA – V. ZENO ZENCOVICH, Legislazione, giurisprudenza e dottrina nel diritto dell‟Internet, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 377 ss. e C. ROSSELLO, Riflessioni de iure condendo in materia di responsabilità del provider, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 617. 276 La sentenza della Corte di Cassazione qui richiamata652, peraltro, provvede a sottolineare ―ad abundantiam‖ che il d. lgs. n. 70 del 2003 esclude la responsabilità di mere conduit – caching – hosting providers per i reati commessi in Rete da terzi. L‘art. 17 del suddetto decreto, che recepisce la Direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, infatti, stabilisce l‘assenza di un generale obbligo di sorveglianza653 sulle informazioni che il provider trasmette o memorizza, nonché di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Ciò non toglie, chiarisce la norma al secondo comma, l‘obbligo di informare senza indugio l‘autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora venga a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell‘informazione e fornire, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l‘identificazione del destinatario dei suoi servizi, con il quale ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite. Infine, il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall‘autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non agisca prontamente per impedire l‘accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l‘accesso, non provveda a informarne l‘autorità competente. 652 Si tratta della su richiamata sentenza n. 35511 del 2010. Sul punto, M. GAMBINI, Gli hosting providers tra doveri di diligenza professionale e assenza di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni memorizzate, in www.costituzionalismo.it, 27-12-2011; G. CORRIAS LUCENTE, Ma i networks providers, i service providers e gli access providers rispondono degli illeciti penali commessi da un altro soggetto mediante l‟uso degli spazi che loro gestiscono?, in Giur. mer., 2004, II, p. 2523 ss.; F. RESTA, La responsabilità penale del provider: tra laissez faire ed obblighi di controllo, in Giur. mer., 2004, II, p. 1715 ss.; V. SPAGNOLETTI, La responsabilità del provider per i contenuti illeciti di Internet, in Giur. mer., 2004, II, p. 1922 ss.; A. MANNA, I soggetti in posizione di garanzia, in Dir. inf. informatica, 2010, 06, p. 779 ss.; A. BELLAN, Per una reasonable liability: critiche alla responsabilità oggettiva dei provider e tutela dei diritti in Internet, in Dir. Industriale, 2012, 3, p. 243 ss. 653 277 Dunque, data la responsabilità dei provider solo nel caso di avvenuta conoscenza del contenuto criminoso654, di certo, non è prospettabile l‘ipotesi dell‘applicabilità dell‘art. 57 c.p., ma, al più, laddove si verificassero le condizioni previste dalla legge, di un concorso nel reato doloso. Peraltro, va detto che la normativa sul commercio elettronico è figlia di una constatazione ex facto: l‘inesigibilità di un generale e totale controllo del contenuto655, di volta in volta caricato in Rete dagli utenti dei servizi offerti. Tale argomento vale anche per il direttore di un giornale on line, laddove quest‘ultimo contenesse, ad esempio, un forum di discussione aperto a tutti i potenziali utenti. Ciò non toglie, però, che esistano situazioni tali che, alla luce di strette considerazioni di fatto, sembrerebbero suscettibili di assimilazione o, quantomeno, appaiono presentare aspetti analoghi e fini comuni. Beninteso, con ciò non si vuole mettere in discussione gli importanti approdi giurisprudenziali in materia di non-equiparazione tra Internet e stampa, che, anzi, hanno fatto chiarezza nel complesso universo della Rete e hanno evitato la violazione dei più basilari principi di diritto, tra questi, il principio di tassatività e determinatezza in materia penale e di certezza del diritto. Però, giungere a tali considerazioni non risolve il problema delle numerosissime questioni che attengono alla Rete, anche rispetto alle diverse forme di pubblicazione on line. Infatti, pur escludendo l‘applicazione della 654 Si faccia riferimento agli art.i 14, 15 e 16 del d. lgs. n. 70 del 2003. Per un‘attenta analisi delle suddette norme, nonché in generale sul tema della responsabilità civile del provider, si veda M. DE CATA, La responsabilità dell‟internet service provider, Giuffrè, Milano, 2010, spec. p. 28-75 e 190-213. 655 Non a caso, le pronunce giurisprudenziali incriminano, per diversi reati, il provider, solo laddove si rinvenga la circostanza per la quale questi abbia l‘effettivo controllo del materiale caricato on line e, dunque, sia in grado di impedire la commissione dei reati. Si veda, infatti, Tribunale di Lucca, sentenza del 20 agosto 2007, nella quale l‘organo giudicante ha ritenuto di non condannare il provider che ―si limita a mettere a disposizione degli utenti lo spazio virtuale dell‘area di discussione e che non ha nessun potere di controllo e di vigilanza sugli interventi man mano inseriti da terzi‖. 278 legge sulla stampa e le corrispettive sanzioni penali alle pubblicazioni di messaggi o articoli di giornale on line, non si esclude, ad esempio, l‘applicazione del reato di diffamazione656, con l‘aggravante dell‘utilizzo dei mezzi di pubblicità657. In altre parole, Internet non è stampa, e su questo non si può che concordare per le ragioni sopra esposte, ma possiamo ragionevolmente ritenere che non rappresenti un ―mezzo di pubblicità‖? Proprio in questo senso si è orientata la giurisprudenza degli ultimi anni, infatti, è stato affermato che la diffamazione posta in essere mediante Internet è punibile in forza dell'art. 595, III comma, c.p., poiché esso, riferendosi ―all‘offesa recata [...] con qualsiasi altro mezzo di pubblicità‖658, consente di far rientrare nel suo alveo anche il mezzo telematico. Con riguardo alla diffamazione a mezzo Internet, infatti, la sussistenza della ‗comunicazione a più persone‘ si presume nel momento stesso in cui il messaggio offensivo viene inserito su un sito Internet in quanto, per sua natura, esso è destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di persone in breve tempo. Da ciò ne deriva che ―il principio tale per cui la diffusione di una notizia immessa nei c.d. mezzi di comunicazione di massa si presume fino a prova contraria, non viene meno in relazione alle comunicazioni via web‖659. 656 Sul tema della diffamazione on line, si vedano P. SAMMARCO, Diffamazione online e nuovi criteri per la determinazione dell‟importo risarcitorio, in Dir. inf. informatica, 2010, 2, p. 263. 657 L‘art. 595 del c.p. recita, infatti: ―Chiunque, fuori dei casi indicati nell‘articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate‖. 658 Così Cassazione penale, Sez. V, 27.12.2000. 659 In questo senso, Corte di Cassazione penale, Sez. V, 4.4.2008 e Corte di Cassazione penale, Sez. V, 21.6.2006, in cui viene superata l‘impostazione di Tribunale 279 Tale posizione è stata assunta anche dalla dottrina, la quale, non solo ha sostenuto l‘applicabilità dell‘aggravante del III comma dell‘art. 595 c.p. alle ipotesi di diffamazione a mezzo internet, ma ha ritenuto l‘agente ―meritevole di un più severo trattamento penale, proprio perché il messaggio lesivo dell‘altrui reputazione, essendo diretto a una pluralità di soggetti, si colloca in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore e offeso. Proprio la natura capillare di Internet e la diffusione globale di qualunque informazione vi venga immessa amplificano le conseguenze di un eventuale comportamento lesivo di altrui diritti‖660. Ciò che qualifica, dunque, Internet come mezzo di pubblicità, è la facile e immediata raggiungibilità del messaggio a un numero non quantificabile di persone. Va sottolineata661, però, la necessità di distinguere la particolarità del mezzo di pubblicità dalla generica condotta di diffamazione. In altre parole, riconoscendo la peculiarità della Rete nella diffusione a più soggetti del messaggio lesivo della reputazione, si rischia di confondere la condotta aggravata con la condotta semplice di diffamazione, che di per sé è già caratterizzata dall‘elemento oggettivo della comunicazione con più persone. La differenza va fatta operando una valutazione ex ante del mezzo di divulgazione utilizzato662. Infatti, la condotta è aggravata proprio in ragione della scelta di un mezzo, come Internet, che ex se comporta un‘enorme capacità di diffusione e, dunque, di espansione degli effetti della condotta lesiva. In Rete, del resto, il carattere di Teramo (sentenza del 6.2.2002), secondo cui in caso di diffamazione via Internet non si può presumere la conoscenza dei messaggi da parte di terzi in quanto nessun sito può essere raggiunto in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione a un motore di ricerca. 660 A. COVIELLO, Art. 57, in M. RONCO – B. ROMANO (a cura di), Codice penale commentato, Utet, 2012. 661 Ivi. 662 Ivi. 280 di pubblicità dell‘offesa resta ―immanente‖ e ―obiettivata‖663, rimanendo i messaggi memorizzati. In verità, la scelta di dottrina e giurisprudenza è la diretta conseguenza della necessità di interpretare le situazioni della realtà, nuove in ragione dell‘evoluzione tecnologica, e riportarle nell‘alveo delle scelte del decisore politico. È chiaro, infatti, che la diffamazione non perde la sua portata lesiva solo perché il messaggio è veicolato in Rete, anzi, in tal caso quest‘ultima sembra essere implementata in ragione del mezzo. Dunque, un‘interpretazione estensiva del concetto di ―mezzi di pubblicità‖ non appare così peregrina, ancorché Internet non possa essere definito esclusivamente come tale. Pertanto, proprio in ragione dell‘impossibilità di operare una forzatura sulle norme penali in tema di stampa, la soluzione di applicare l‘aggravante di cui all‘art. 595, III comma, al fenomeno Internet sembra la più ragionevole. Infatti, se da un lato non s‘incorre nella violazione del divieto di analogia, dall‘altro non si lasciano impunite condotte che sostanzialmente offendono il bene giuridico protetto664. Chiaramente, però, l‘interpretazione giurisprudenziale, ancora una volta, non può bastare a risolvere le questioni della Rete, che, di volta in volta, pongono nuovi e diversi interrogativi di non facile soluzione. Sui caratteri dell‘offesa, in caso di diffamazione aggravata, già P. NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Padova, 1972, p. 12 ss. 664 Si pensi che diverse sono state le pronunce giurisprudenziali in tema di diffamazione a mezzo Facebook, il noto social network. Il primo caso di condanna è stato affrontato dal Tribunale di Monza nella sentenza n.770 del 2 marzo 2010 e, a seguire, si registra la recentissima sentenza del Tribunale di Livorno, n. 38912 del 2013. In verità, si mostra particolarmente complesso il fenomeno in questione, specie per i suoi profili di privacy e quelli di effettiva pubblicità che caratterizzano i messaggi, eventualmente offensivi della reputazione altrui. Alla luce di ciò, parrebbe opportuna, a parere di chi scrive, una distinzione tra facebook e un qualsiasi sito internet. Il social network, infatti, ha proprie e particolari norme in tema di pubblicità e segretezza delle notizie, che non possono non essere considerate in sede di valutazione delle condotte penalmente rilevanti e che rendono il fenomeno del social diverso da quello di un comune sito internet, di per sé completamente aperto, raggiungibile da chiunque lo conosca o vi acceda attraverso gli esiti dell‘interrogazione di un qualsivoglia motore di ricerca. 663 281 A parere di chi scrive, aldilà delle singole ipotesi, l‘errore che in questo settore viene spesso ripetuto è di carattere metodologico. In altre parole, non può lasciarsi fare al giudice ciò che a lui non compete. Fin quando, infatti, la sua competenza è messa a disposizione di un‘attività interpretativa, elemento proprio dell‘attività giurisdizionale, nulla quaestio, ma quando quest‘ultima si spinge oltre, fino a sostituire il compito che la Costituzione riserva al decisore politico, ci si trova di fronte a una disfunzione del sistema, capace di mettere in crisi l‘intero equilibrio costituzionale di distribuzione dei poteri. Si pensi al caso della stampa on line665. Vero è che si può trovar soddisfacente l‘ultimo approdo giurisprudenziale del giudice di legittimità, che segna un momento decisivo nella complessa vicenda delle pubblicazioni in Internet, ma basta davvero? Ci si chiede: non sarebbe auspicabile un chiaro intervento da parte del legislatore? In verità, un intervento da parte del decisore politico, che possa mettere a frutto le ricostruzioni giurisprudenziali in materia, potrebbe riportare la situazione a una nuova normalità. Certo, Internet non è stampa e un‘applicazione delle norme penali in via analogica sarebbe giustamente criticabile, ma, un giornale on line, che riproduce la copia cartacea, che non si avvale di forum aperti al pubblico al suo interno e che si compone di articoli che vengono pubblicati solo previa valutazione di un direttore, in cosa si differenzia dallo stampato, se non nella mancata riproduzione tipografica? Le norme sulla stampa non sono idonee a disciplinare ciò che accade sui nuovi mezzi di informazione, ma ciò non toglie che, de jure condendo, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore, che riesca a operare un corretto ed equilibrato bilanciamento, Per un‘ipotesi ricostruttiva sul tema della stampa on line, si veda P. COSTANZO, La stampa telematica nell‟ordinamento italiano, in www.costituzionalismo.it, 09/09/2011. 665 282 che sia cioè, espressione dell‘elementare quanto fondamentale principio di uguaglianza666. Un giornalista che esercita attività professionale su carta stampata può esercitare la medesima attività su Internet, a differenza di un qualunque cittadino che carica sul suo blog materiale informativo nell‘esercizio della libertà di informazione e di informarsi. Tali situazioni sono diverse e, in quanto tali, vanno trattate in modo diverso. Ma quelle che presentano un‘analogia di fondo, ancorché non ancora disciplinata correttamente, non andrebbero lasciate a sé stesse per il solo fatto che mancano di disciplina uniforme. L‘opera giurisprudenziale, in questi casi, può aiutare ma non risolve i problemi all‘origine, che interrogano gli interpreti costantemente, mettendo alla prova la sensibilità giuridica dei giudici che si trovano ad affrontarle. Del resto, l‘intervento della norma generale e astratta appare necessario per garantire l‘applicazione del principio di legalità, per assicurare, cioè, al singolo cittadino la conoscenza di ciò che è reato e ciò che non lo è, dei casi in cui il suo comportamento è scriminato e quelli in cui non lo è. L‘incertezza del diritto non può che creare confusione667, ―disordine giuridico‖, dalla celebre espressione di Betti. D‘altra parte, come autorevolmente affermato668, il principio di legalità assume estrema importanza ―non solo perché incide su problemi che nelle nostre esperienze giuridiche assumono un ruolo centrale, quali 666 Si veda a riguardo il lavoro di P. COSTANZO, La stampa telematica (tuttora) tra ambiguità legislative e dissensi giurisprudenziali, in M. D‘AMICO – B. RANDAZZO (a cura di), Alle frontiere del diritto costituzionale. Scritti in onore di Valerio Onida, Giuffrè, 2011, in part. p. 538-539. L‘Autore auspica che, di fronte alle figure di un soggetto che mette a disposizione uno spazio web e quella di un editore di giornale, si evitino assimilazioni foriere di ―esagerazioni e abusi‖ e, dunque, che non si giunga a risultati illiberali. 667 Sul punto, si veda F.G. PIZZETTI, Internet e la natura “caotica” del diritto giurisprudenziale, in Politica del diritto, XXXII, n. 3, 2001, p. 467-498. 668 S. FOIS, Legalità (principio di), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1975, vol. XXIII, p. 659. 283 quelli dell‘ordine delle fonti normative…e della garanzia dei diritti individuali, ma anche perché appare in intima connessione con quel concetto, o meglio principio, del cosiddetto ‗Stato di diritto‘, che, almeno nella cultura occidentale, viene considerato fondamentalmente conquista dell‘esperienza giuridica moderna e contemporanea‖. 3. La posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in rete e sulla giurisdizione Con specifico riguardo alle questioni attinenti i sistemi di filtraggio in Rete669, che interessano la posizione dei soggetti intermediari, si è espressa recentemente la Corte di Giustizia in termini chiarificatori ed esplicativi dell‘annosa questione dell‘utilizzo di sistemi tecnici destinati al filtraggio di materiale, presumibilmente illecito. Il problema, infatti, dell‘assenza di norma chiare sulla questione, come del resto è avvenuto per la stampa on line, per la diffamazione a mezzo Internet e per l‘applicabilità della normativa del sequestro ai siti web, ha comportato una serie di risposte giurisprudenziali, volte alla prevenzione e repressione dei crimini in Rete, non sempre compatibili con la tutela dei diritti di libertà. Ne è una riprova la sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012, Causa C-360/10670, in cui il giudice comunitario risponde a una Per una panoramica dei sistemi di filtraggio in Rete, si veda C. M ARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, cit. 670 Il testo della sentenza è reperibile alla pagina http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dbc6369341ff c1405fac5df2a5c04603e4.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuKch50?text=&docid=119512&pa geIndex=0&doclang=en&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=903134. Per un commento si vedano S. LISO, Vietato “filtrare” sul web opere musicali e audiovisive protette, in Dir. e giust., 2012, p. 142 e il lavoro di O. POLLICINO, Tutela del diritto d‟autore e protezione della libertà di espressione in chiave comparata. Quale equilibrio su Internet?, cit., p. 97-122. 669 284 domanda di rinvio pregiudiziale in ordine ai poteri dei giudici nazionali in tema di filtraggio. Il caso. Gli utenti di un provider belga, Scarlet, utilizzano i servizi da questo offerti anche al fine di scaricare illegalmente materiale coperto da diritto d‘autore e appartenente al ‗catalogo Sabam‘, il corrispettivo belga della nostra SIAE. Di fronte a queste violazioni, Sabam chiede al giudice belga di imporre a Scarlet la predisposizione di un sistema di filtraggio che impedisca ai suoi utenti di scaricare illegalmente le opere protette dal diritto d‘autore. Il giudice di prima istanza accoglie le richieste del ricorrente, imponendo a Scarlet di filtrare tutti i contenuti scambiati dai suoi utenti attraverso i sistemi di peer-to-peer, a prescindere da un preventivo riscontro sull‘illegalità del materiale veicolato. Dunque, Scarlet avrebbe dovuto analizzare tutti i pacchetti in transito tra gli utenti al fine di bloccare, in un secondo momento, il passaggio del materiale coperto da diritto d‘autore: una tecnica che può definirsi preventiva del reato, non certo repressiva, date le modalità di intervento sul sistema di comunicazione tra gli utenti. A fronte di tale interpretazione, la Corte d‘Appello di Bruxelles rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo alla stessa di chiarire se ai giudici degli Stati membri sia consentito di imporre agli ISP la predisposizione di misure tecniche finalizzate al preventivo filtraggio delle comunicazioni degli utenti, in entrata e in uscita – con particolare riferimento all‘uso di sistemi peer to peer –, e al successivo blocco delle comunicazioni ritenute illecite671. Nello specifico, la questione pregiudiziale era così posta: ―By its question, the referring court asks, in essence, whether Directives 2000/31, 2001/29, 2004/48, 95/46 and 2002/58, read together and construed in the light of the requirements stemming from the protection of the applicable fundamental rights, are to be interpreted as precluding a national court from issuing an injunction against a hosting service provider which requires it to install a system for filtering: – information which is stored on its servers by its service users; – which applies indiscriminately to all of those users; – as a preventative measure; 671 285 La Corte di Giustizia muove da un presupposto essenziale: la necessità di operare un equilibrato bilanciamento tra valori. Dunque, si orienta verso una decisione particolarmente rilevante rispetto alla valutazione della responsabilità degli Internet service provider, ma, a ben vedere, non totalmente soddisfacente in termini di ragionevole bilanciamento tra diritti. Infatti, nell‘escludere la legittimità dell‘imposizione di un obbligo di filtraggio preventivo sugli ISP, lascia comunque sullo stesso piano672 il diritto d‘autore e la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto alla privacy e la libertà di iniziativa economica, evitando di proporre una scala dei diritti o una graduazione degli obiettivi. Il giudice comunitario sostiene in sentenza che imporre un obbligo di sorveglianza generalizzata all‘ISP sarebbe, innanzitutto, illegittimo ai sensi dell‘art. 15 della direttiva 2000/31/CE. Inoltre, sostiene la Corte, il diritto d‘autore non è intangibile e la tua tutela non deve essere garantita in modo assoluto. Peraltro, un‘ingiunzione, come quella posta dal giudice belga, causerebbe la violazione di tre diritti di libertà: - della libertà d‘impresa del prestatore di servizi di hosting, perché gli imporrebbe la predisposizione di un sistema ―complesso, costoso e completamente a sue spese‖ di filtraggio dei contenuti; - del diritto alla privacy, perché il sistema implica ―l‘identificazione, l‘analisi sistematica e l‘elaborazione delle informazioni relative ai profili creati sulla rete sociale degli utenti, informazioni, queste, che costituiscono dati personali protetti, in quanto consentono, in linea di principio, i identificare i suddetti utenti‖; – exclusively at its expense; and – for an unlimited period, which is capable of identifying electronic files containing musical, cinematographic or audio-visual work in respect of which the applicant for the injunction claims to hold intellectual property rights, with a view to preventing those works from being made available to the public in breach of copyright (the contested filtering system)‖. 672 Per una critica all‘equiordinazione tra libertà di manifestazione del pensiero e diritto d‘autore, si veda G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, in www.costituzionalismo.it, cit. Sul tema del diritto d‘autore in Rete, si veda G. P ASCUZZI, Il diritto nell‟era digitale, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 199-250. 286 - della libertà d‘informazione, poiché ―tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto lecito e illecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi contenuto lecito‖. L‘intervento della Corte di Giustizia va, aldilà delle insufficienze colte, salutato con favore, in quanto rappresenta lo sforzo e la realizzazione di una serie di regole comuni per la Rete, nonostante la difficoltà di affrontare le tematiche dei diritti rispetto a un mezzo che, materialmente, non ha confini. Il diritto in tal modo si spinge oltre il ‗materiale‘ e cerca, con i propri mezzi, di non offuscare la luce delle garanzie. Si pensi, ad esempio, alla posizione del giudice comunitario in tema di giurisdizione673. Di fronte ai reati commessi in Rete – in cui si avvicendano le questioni giuridiche del Paese dov‘è stabilito il soggetto che ha compiuto la condotta incriminata, quello dove la lesione è stata subita e gli altri Paesi dove la lesione ha procurato dei danni (come nel caso di diffamazione on line) –, il giudice comunitario ha scelto la strada della ragionevolezza. Infatti, sarà competente a giudicare del reato di diffamazione on line, per l‘intero danno subito dal soggetto leso, il giudice del luogo della sua residenza o, al più, il giudice del luogo di stabilimento del reo (fermo restando la possibilità di chiedere al giudice di ciascuno Stato membro i danni cagionati dal reo nel Paese in questione). Tale scelta avvicina la giurisdizione al soggetto leso, pur rispetto a questioni che avvengono nel mondo c.d. virtuale. Di fronte a queste posizioni, va comunque detto che la Rete delle Reti è, per certi versi, ancora terra inesplorata per i giuristi e alcune delle 673 Il riferimento è alla sentenza della Corte di Giustizia, del 25 ottobre 2011, cause riunite C-509/09 e C-161/10. Il testo della sentenza è reperibile in http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=111742&pageIndex=0 &doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=934452. 287 questioni che attengono a Internet restano nell‘angolo, senza ottenere la giusta risonanza a livello politico e sul piano tecnico-giuridico. Ciò comporta una continua sfida sia per l‘interprete, che dovrà tentare di giudicare le situazioni per come si presentano nella realtà, con tutte le peculiarità che Internet presenta, sia per il decisore politico, che dovrà tentare di scrivere norme che siano espressione tanto del principio di certezza del diritto, quanto di quelli di ragionevolezza e proporzionalità. 288 CONCLUSIONI. Le sfide della Rete I punti nevralgici affrontati in questo lavoro sono: la governance della Rete, il diritto di accesso al contenuto on line – dunque il diritto ―alla tecnologia‖ – e la libertà di manifestazione del pensiero in Internet. Ripercorrerli sinteticamente è indispensabile a rendere chiaro il quadro delle tematiche trattate. Due sono state le linee direttrici seguite sul tema della governabilità: 1: è giuridicamente valida la proposta di un intervento normativo in materia o Internet è un ordinamento giuridico nuovo e diverso, autonomo e indipendente? 2: in ragione di una risposta di segno positivo alla prima domanda, ci si è interrogati sulla natura del soggetto, pubblico o privato, che abbia la possibilità e la facoltà di intervenire con efficacia sulla Rete. Sul primo punto, la dottrina americana, ricca di contributi sul tema, si è divisa. A fronte di chi ha sostenuto la totale auto-regolazione della Rete, c‘è chi ha affermato che quello prospettato fosse un falso problema, data la supposta opportunità di traslare direttamente sulla Rete la disciplina prevista per le questioni sorte off line. Infine, parte della dottrina ha lucidamente individuato l‘ipotesi di una regolazione a più strati, che da un lato non dismettesse la posizione del soggetto pubblico – necessaria per un orientamento della tecnica nel senso della garanzia dell‘uguaglianza e dell‘esercizio dei diritti – e dall‘altro si avvalesse delle forze, anche di regolazione, dei privati, che potessero coadiuvare il ruolo del soggetto pubblico in vista del perseguimento del medesimo obiettivo. Alla luce delle riflessioni sul punto, la risposta alla prima domanda non può che orientarsi nel senso della necessità dell‘etero-normazione, anche per Internet. 289 Insomma, una regolazione serve. Diversamente, Internet sarà solo un altro spazio che ciascuno occuperà senza freni e limiti, a scapito di chi, per incompetenza o impossibilità, non riuscirà a opporsi, ritrovandosi così compressa e compromessa la sfera dei propri diritti di libertà. D‘altra parte, l‘attenzione posta sui grandi temi del diritto costituzionale, ―sovranità‖ e ―ordinamento giuridico‖, ha mostrato come sia impossibile qualificare, nonostante quanto affermato con convinzione dalla dottrina americana sul punto, l‘autonomia di Internet come ordinamento giuridico a sé stante o come insieme di ordinamenti giuridici derivati o tollerati dall‘ordinamento statale che con essi s‘interseca. Non solo, ritenere che il popolo della Rete sia il sovrano della stessa non è la traduzione in termini innovativi della democrazia partecipativa, proprio perché, in ragione delle peculiarità della Rete – a-centralità e aterritorialità – non esiste un ―popolo sovrano‖ cui fare riferimento. Esso non è riconoscibile o determinabile, perché lo spazio di Internet è uno spazio globale e l‘internauta che accede alla Rete dall‘America latina ha il medesimo peso dell‘internauta che accede dall‘Italia o da qualunque altra parte del globo. Questa, a ben vedere, non è democrazia partecipativa. Non è nemmeno democrazia, perché non presenta le garanzie minime della stessa: non ci sono forme per la predisposizione delle regole, non esiste disciplina per la partecipazione ai dibattiti. Esistono solo diverse comunità on line, che predispongono autonomamente regole, le quali, però, non possono che valere solo per quelle comunità, non assumendo rilevanza per il resto del mondo on line, in quanto totalmente prive dei caratteri della generalità e dell‘astrattezza. D‘altra parte, anche la proposta scrittura di un Bill Of Right per Internet, proveniente dal basso, dalle Dinamic Coalitions – comunità di privati attivisti della Rete – non risponde alle logiche della sovranità popolare e della partecipazione effettiva. 290 Infatti, la sovranità popolare acquista il suo significato quando l‘esercizio della stessa, nelle forme stabilite che ne garantiscono eguale partecipazione, ha come conseguenza la traduzione delle scelte in norme generali di carattere cogente. Tale fervido impegno, invece, più che condurre nella direzione desiderata, torna indietro al mittente, con la sola, importante, conseguenza di porre l‘attenzione su questioni sempre più rilevanti per la vita di ciascuno di noi. Dunque, una normazione dal basso, che si veste di legittimazione democratica ma ne tradisce lo spirito e la ratio, non può bastare per la Rete. Si può ora dare risposta alla seconda domanda. Se una regolazione è necessaria, per evitare la deriva tecnocratica di Internet, non può escludersi l‘intervento del soggetto pubblico. Beninteso, ciò non vuol dire ignorare il rilevante apporto che la normazione dei privati può dare alla governance della Rete, ma sempre che sia una normazione che accompagna, coadiuva, sorregge e attua le scelte indicate dal pubblico potere. È qui che Internet ci pone un altro importante quesito: quale regolatore? Dopo aver valutato analiticamente le peculiarità della realtà virtuale non si può che convenire sull‘insufficienza del potere pubblico statale, perché chiuso nelle strette norme sull‘efficacia territoriale, anguste e poco rispondenti a una governance a carattere globale. Dunque, cosa? L‘Europa? L‘ONU? Quale soggetto sovra-nazionale può e deve intervenire? Va detto che la politica europea si mostra talvolta come esempio per il legislatore italiano, perché spinge, almeno con atti di soft law, verso una regolazione della Rete nel senso dell‘investimento per la banda larga e ultra-larga, che possa garantire l‘accesso a Internet al cittadino europeo e, 291 quindi, assicurare a tutti lo strumento indispensabile per esercitare la libertà di manifestazione del pensiero. Però, quando si tratta di dar voce a quella sovranità di cui sopra, quella che si esprime, per quanto riguarda la Comunità europea, attraverso logiche già più vicine a quelle democratiche in ragione delle modifiche intervenute con il Trattato di Lisbona, l‘Europa mostra i suoi limiti. Non a caso, la banda larga non rientra ancora nel paniere del ―servizio universale‖, non rappresentando, ai sensi della Direttiva 2009/136/CE, quel minimo di ―pubblico‖ che deve essere garantito ai cittadini. Ma il punto è: si può pretendere di più? E se sì, cosa? In verità, la qualificazione dell‘accesso alla Rete come nuovo diritto sociale trova solide radici nella Costituzione italiana, anche in ragione del largo spazio che la dottrina e la giurisprudenza sui diritti sociali hanno disegnato, ma rispetto all‘Europa la pretesa non si esprime in egual misura. Non esistono, infatti, nella Carta di Nizza clausole generali di garanzia, non appigli sicuri, certi, dai quali far derivare oggi un obbligo dell‘Europa a intervenire in tal senso. Ciò non toglie, però, che un tale intervento sarebbe auspicabile, perché si tradurrebbe nel conferimento all‘Europa di un ruolo di comunità sovra-nazionale all‘altezza dei nuovi obiettivi posti, proprio in conseguenza del recepimento effettivo della Carta di Nizza. Quanto, invece, alla comunità internazionale, una prima conclusione appare certa. Un livello più alto di governo risulta necessario, eppure una scelta orientata in questo senso non può prescindere dalla valutazione della natura del soggetto sovranazionale che dovrebbe intervenire a dettare le regole. Nelle Nazioni Unite, ad esempio, non c‘è un‘adeguata separazione dei poteri, né una reale forma di rappresentanza che funga da giustificazione all‘esercizio di poteri a carattere Costituente, laddove si ritenga che serva un Bill of Right per la Rete. 292 Peraltro, salire a un livello di governo sovra-nazionale, astrattamente auspicabile, comporta il pericolo di ottenere una normazione troppo leggera e poco efficace. Intervenire sulla Rete significa spingersi nella determinazione delle libertà esercitabili on line e nelle garanzie dei singoli internauti, com‘è apparso dalle tematiche affrontate nel corso della trattazione. Dunque, si ripropone quel problema di sovranità che abbiamo posto in principio. Infatti, lasciare nelle mani dei privati operatori di rete la gestione dei diritti determinerebbe una totale assenza di forme di garanzia e il tradimento della tradizione comune dei principi radicati nelle Costituzioni nazionali europee e d‘oltreoceano. D‘altra parte, la totale attribuzione dei medesimi poteri a singoli gruppi di comunità di privati che dialogano con le Istituzioni, o, ancora, a organi internazionali che, per primi, sono la rappresentazione dell‘assenza di una reale forma di democrazia e sovranità, non fa che indebolire il contenuto dei singoli diritti e, inevitabilmente, rimette nelle mani dello Stato nazionale la possibilità e il dovere di intervenire. Non c‘è dubbio che, così facendo, si perde terreno in termini di effettività e che, pertanto, l‘auspicio sarebbe quello di un intervento coeso e condiviso da più parti. D‘altra parte, però, lo studio dei temi affrontati ha presentato tutti i limiti della globalizzazione, tutta l‘insufficienza del sistema giuridico che affanna a seguirla. Dunque, quale soluzione? Un abbandono della politica democratica e la sottomissione alla tecnocrazia? Ritengo che questa non sia la soluzione più apprezzabile. L‘intervento del legislatore è sempre fondamentale. Il principio di legalità, anche largamente inteso, guida meglio di tutti la regolazione eteronoma perché è di per sé già fonte di garanzia. La scelta di una regolazione non stretta nei confini nazionali, infatti, non deve rappresentare un modo per lasciare ad 293 altri ciò che è proprio di ogni Stato e, dunque, tradursi in una tutela più blanda dei diritti. Anche la scelta, che rifugge la regolazione, di lasciare alla giurisprudenza la soluzione delle questioni della Rete che appaiono piccole, non solo denota l‘incapacità di star dietro alla tecnica, né tantomeno di orientarla nel verso giusto e uguale per tutti, ma mette a rischio l‘architrave di ogni tradizione costituzionale, il principio di uguaglianza, diversamente declinato in ragione delle diverse esperienze costituzionalistiche. Come visto in tema di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, il fatto che essa sia una libertà negativa non implica de plano l‘assenza dell‘intervento del regolatore, perché, talvolta, specie rispetto alla disciplina dei mezzi di comunicazione di massa, quale è Internet, se ne richiede l‘intervento proprio in ragione della garanzia che tutti possano ugualmente esercitarla e che non sussistano limitazioni alla stessa irragionevoli e sbilanciate. Insomma, nell‘auspicio che un intervento sovra-nazionale di hard law ci sia, e che sia orientato, però, al rispetto dei criteri minimi che la rappresentanza democratica richiede, non va oscurato il ruolo che ciascuno Stato ancora riveste. La regolazione deve esserci, non come preludio di un‘inflazione della garanzia delle libertà, quanto nell‘ottica dell‘implementazione dei diritti riconosciuti dalla tutela multilivello, come, del resto, la giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale insegna. Dunque, non può essere disconosciuto un diritto di accesso alla Rete Internet, da leggere già come traduzione nuova delle vecchie norme costituzionali, non solo come nuovo diritto sociale, che sia strumento di partecipazione alla vita di relazione e di fruizione dei servizi elargiti dalla P.A., ma anche come nocciolo duro del diritto alla libera manifestazione del pensiero, che oggi pretende una lettura evolutiva, proprio alla luce delle intervenute novità di carattere tecnologico. 294 Il diritto di accesso, riconosciuto come prestazione positiva che lo Stato deve ai suoi cittadini, è solo la premessa. È necessario, infatti, che sia garantito l‘accesso ai contenuti, come requisito imprescindibile per l‘esercizio della libertà di cui al 21 Cost., senza il quale il diritto all‘informazione non verrebbe compresso, ma annullato del tutto. E ancora, sarebbe auspicabile una regolazione attenta alle situazioni del reale, cauta nel dettare norme che sappiano vestire le situazioni della realtà virtuale, che possano evitare, in sintesi, che la straordinaria possibilità che la tecnica ci offre possa essere nuovo strumento di diseguaglianze, non solo per l‘impossibilità di fruire delle medesime potenzialità di Internet, ma per la disparità di trattamento che si verrebbe a creare a fronte di una disciplina uguale per situazioni dissimili e viceversa. Si pensi, ad esempio, alle questioni attinenti alla stampa on line, alla responsabilità del direttore del giornale on line, alle problematiche attinenti al buon costume. Lo studio di ciascuna di queste tematiche ha mostrato una normazione, quando presente, non adeguata. Insomma, norme che garantiscano la certezza del diritto, che, cioè, non siano frutto dell‘ansia della regolazione – spesso foriera di scelte azzardate ed eccessivamente restrittive delle libertà – né di una voluntas legis distratta e poco accorta. È questa la vera sfida della Rete. 295 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Le sentenze della Corte Costituzionale e l‟art. 81 Cost. u.c. della Costituzione. Atti del seminario svoltosi a Roma, 8-9 novembre 1991, Milano, Giuffrè, 1993. AA. VV., Reflections on Justice Black and Freedom of Speech, in Valparaiso University Law Review, Volume 6, n. 3, 1972, anche in http://scholar.valpo.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1783&context=vulr. AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Atti del seminario di Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1992, Milano, 1994. AA. VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007, con presentazione di E. CASTORINA. AA. 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