Università degli Studi di Napoli Federico II
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO PUBBLICO E COSTITUZIONALE
XXV° CICLO
Tesi di Dottorato:
Internet: governance e diritti
Coordinatore del dottorato:
Ch.mo Prof. Agatino Cariola
Tutor:
Ch.ma Prof.ssa Giovanna De Minico
Dottoranda:
dott.ssa Carmela Sabatelli
Anno accademico 2012/2013
A mio nonno
1
L‟intelletto annulla il fato.
Finché un uomo pensa, egli è libero.
(Ralph Waldo Emerson)
2
INDICE
INTRODUZIONE. La questione “Internet” ............................................ 5
CAPITOLO PRIMO
INTERNET TRA GOVERNANCE E REGOLE TECNICHE
1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto .......................................... 9
1.1. Internet: la specificità del mezzo e le tecniche di regolazione ... 17
2. Internet: una governance possibile? ................................................. 28
2.1. Il Cyberspazio: il dibattito americano sulla regolazione della
Rete ........................................................................................................ 29
2.2. ―Sovranità‖ e ―Ordinamento giuridico‖: vecchi concetti e nuove
realtà ...................................................................................................... 52
2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi privati in Rete ...... 78
2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana all‘approccio
europeo .................................................................................................. 95
3. Proposta di un modello regolatorio: dall‘autosufficienza della selfregulation alla necessità di una regolazione sovranazionale .................... 98
4. Il mito dell‘effettività regolatoria della Rete e il ruolo del soggetto
pubblico .................................................................................................. 103
CAPITOLO SECONDO
IL DIRITTO DI ACCESSO A INTERNET
1. La libertà di ―manifestazione‖ e di ―diffusione‖ del pensiero nell‘era
della convergenza tecnologica ................................................................ 107
1.1. Il percorso giurisprudenziale della Corte Costituzionale e le
posizioni della dottrina sul mezzo di diffusione del pensiero ............. 109
1.2. L‘informazione come bene comune ......................................... 117
3
2. Il diritto di accesso come ―nocciolo duro‖ dell‘articolo 21 Cost. .. 127
2.1. L‘accesso a Internet alla prova del bilanciamento dei valori.
Questioni rilevanti in tema di diritto d‘autore ..................................... 134
2.2. Il diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata ............ 153
3. L‘accesso a Internet come ―nuovo diritto sociale‖ ........................ 157
3.1. L‘incidenza dell‘intervento del decisore politico sul diritto di
accesso. Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale realtà? ..... 178
CAPITOLO TERZO
LA LIBERTÁ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ON LINE
1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori dell‘Assemblea
Costituente all‘era della Rete .................................................................. 188
1.1. Free speech, controllo e censura: la lettura americana ............ 210
1.2. I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero on line: il buon
costume nel rapporto con la tutela dei minori. .................................... 229
2. La disciplina della stampa on line: tra ―scritto‖ e ―pubblicato‖ ..... 255
2.1. La legge n. 62 del 2001 e l‘equivoco del prodotto editoriale .. 269
2.2. Responsabilità per le pubblicazioni on line: tra principio di
legalità e separazione dei poteri........................................................... 274
3. La posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in
rete e sulla giurisdizione ......................................................................... 284
CONCLUSIONI. Le sfide della Rete .................................................... 289
BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 296
4
INTRODUZIONE. La questione “Internet”
Per introdurre le considerazioni svolte in questo scritto, partirò dalle
domande che mi sono posta quando ho cominciato a studiare il tema di
Internet.
Cos‘è la Rete? Perché il giurista deve porsi di fronte a questa realtà
come a un rebus da risolvere?
Lo studio, inizialmente solo tecnico del tema, ha fatto luce
sull‘evidenza delle problematiche squisitamente giuridiche rispetto alle
quali chi studia Internet s‘imbatte ad ogni passo.
La Rete delle reti non è una realtà unica e omogenea: essa è un
insieme di cavi, è il nuovo mezzo di diffusione dell‘informazione, è il
contenitore del sapere nuovo e condiviso, è il modo inedito di comunicare,
riunirsi, informare, dialogare con i pubblici poteri.
Internet ha completamente rivoluzionato la vita di ciascuno di noi e la
sua così penetrante influenza sulla vita del singolo, chiama, in primis, il
diritto a dare concretezza e risposte alle nuove umane esigenze. D‘altronde,
se le nuove forme di relazione sono create dalla scienza, che
inesorabilmente avanza, s‘impone, ci circonda e ci condiziona nella
quotidianità, immediatamente deve giungere il diritto, a tutelare i bisogni, le
situazioni, i diritti della nuova era. Del resto, quella giuridica è la scienza
che meglio risponde all‘evolversi della società perché vive e serve in
ragione di essa, ne è, cioè, la più viva ed evidente espressione.
In punto di diritto, dunque, le prime domande sono le seguenti: si può
esigere che l‘evoluzione tecnologica sia orientata al raggiungimento di
obiettivi di interesse pubblico e comune? O, invece, la libertà di gestire le
nuove forme della comunicazione planetaria deve restare nelle mani di chi
vuole usufruirne senza vincoli, obiettivi e limiti?
5
Le domande sono volte a indagare il contenuto del ―nocciolo duro‖
delle libertà, partendo da una considerazione: il limite al diritto è la più
grande garanzia dello stesso, sempre che esso assuma carattere eguale per
ciascun soggetto. Dunque, è nell‘architrave dell‘uguaglianza che è possibile
riconoscere il filo rosso che potrebbe condurre questa ricerca a esiti di
benefici per tutti, per l‘internauta, per l‘operatore di telecomunicazione, per
i pubblici poteri, per la cassa dello Stato, per lo sviluppo del Paese, in una
parola, per noi.
Rispetto alle problematiche evidenziate, ho suggerito una risposta alla
luce dell‘intenso dibattito affiorato e reso fervido dalla dottrina americana,
che da anni si è spesa per risolvere il primo grande rebus che la Rete pone:
la sua governance.
I quesiti in tema di regolazione non possono che attenere, in primo
luogo, alla legittimazione a dettare le regole di Internet e, in secondo luogo,
alla non facile possibilità di coniugare le diverse categorie di ―sovranità‖ e
―ordinamento giuridico‖ con l‘impetuosità di una vicenda che si veste
innanzitutto della grandezza sconfinata del pianeta.
Le tematiche tracciate conducono, per logica conseguenza, a indagare
il peculiare connubio tra Rete e democrazia rappresentativa, tra il diritto
autoctono e la sovranità statale, tra la auto-legittimazione e il pubblico
potere d‘imperio.
Le soluzioni per sciogliere questo nodo gordiano si presentano diverse
e alternative: lasciare il mondo della Rete in mano ai privati; lasciarlo
completamente delle mani dei singoli legislatori nazionali; provare a
leggere nella realtà quello che ci suggerisce, un approccio internazionale e
multi-stakeholder.
Va detto, che ciascuno dei modelli proposti presenta diverse
incertezze e ambiguità ma, a parer mio, il giusto equilibrio va trovato
nell‘approccio pratico al problema, nello studio del reale e delle soluzioni
6
che meglio si attagliano alla questione in oggetto, nel massimo rispetto
delle garanzie minime del costituzionalismo.
Il problema della governance è solo il primo degli interrogativi che la
Rete propone.
In sintesi, apre lo scenario, ma poi si viene al dunque.
Infatti, se è vero che Internet è la rivoluzione cui abbiamo fatto cenno,
ci si deve chiedere, innanzitutto, se poter usufruire delle potenzialità di
questo mezzo è già un diritto che appartiene al singolo.
Qui, i livelli di pretesa si presentano diversi, proprio nell‘ottica delle
caratteristiche non più asfittiche dei tradizionali mezzi di comunicazione. Ci
si chiede se, in Costituzione, sia già rinvenibile un obbligo dello Stato di
garantire l‘accesso ai suoi cittadini; se l‘accesso, strumentale all‘esercizio
delle più tradizionali libertà, sia di per sé configurabile come un nuovo
diritto sociale; e ancora, se a questa domanda impegnata del singolo
corrisponda un dovere ―europeo‖ e se l‘Europa del Trattato di Lisbona sia
già una risposta valida e sufficiente.
Del resto, i problemi sorti riguardo alla gestione delle risorse per
investire nella banda larga, a livello nazionale e sovra-nazionale, pur
indagati in questo lavoro, non sono altro che la conseguenza di un sistema
di diritto che muta, e che, talvolta, non basta a se stesso per garantire i diritti
dell‘individuo, riconosciuti come inviolabili, come proprio patrimonio
indisponibile e irretrattabile.
Di qui, l‘immancabile e conseguenziale riferimento alla libertà di
manifestazione del pensiero, la prima a essere messa in pericolo
dall‘inefficienza della governance della Rete, pericoli di vario tipo: censure,
violazione del diritto, bilanciamento irragionevole, effettiva soppressione
della libertà.
Infatti, dalla questione della disconnessione dall‘accesso alla Rete,
momento che già di per sé implica un freno all‘esercizio della libertà, si
passa all‘esame delle diverse e delicate situazioni che abitano la realtà c.d.
7
virtuale, che, in spregio alla sua definizione, di reale ha molto, a cominciare
dai soggetti che in essa si esprimono.
A fronte di tali implicazioni giuridiche, ci si domanda se il decisore
politico abbia mostrato lungimiranza e proporzionalità nelle scelte, se abbia
operato equi-ordinazioni ragionevoli o se, invece, con politica miope, abbia
lasciato per certi versi la Rete alla sua evoluzione, consegnando nelle mani
della giurisprudenza la risoluzione di questioni pratiche, mettendo così a
rischio, inevitabilmente, i principi cardine delle garanzie: la certezza del
diritto, il principio di legalità, il trattamento eguale di situazioni non
dissimili.
Vaglierò, nel testo, le scelte operate dal legislatore, tentando di trovare
una soluzione ai diversi quesiti che i temi della stampa, della diffamazione e
del concetto di buon costume presentano a contatto con Internet.
Il fine di questa ricerca è, dunque, partire dai fatti, dalla realtà. E
guardare oltre, al diritto.
8
CAPITOLO PRIMO
INTERNET TRA GOVERNANCE E REGOLE TECNICHE
SOMMARIO: 1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto. – 1.1. Internet: la
specificità del mezzo e le tecniche di regolazione. – 2. Internet: una
governance possibile? – 2.1. Il cyberspazio: il dibattito americano sulla
regolazione della rete. – 2.2. ―Sovranità‖ e ―Ordinamento giuridico‖: vecchi
concetti e nuove realtà. – 2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi
privati di rete. – 2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana
all‘approccio europeo. – 3. Proposta di un modello regolatorio:
dall‘autosufficienza della self-regulation alla necessità di una regolazione
sovranazionale. – 4. Il mito dell‘effettività regolatoria della rete.
1. La Rete delle Reti: dalla tecnica al diritto
L‘approccio alle diverse problematiche e implicazioni giuridiche che
derivano dalla Rete non è univoco e la scelta del metodo da adottare per lo
studio delle questioni di Internet e dei diritti on line diventa fondamentale
per la comprensione della materia in oggetto.
La prima domanda che il giurista si pone nell‘affrontare il tema della
Rete è: che cos‘è Internet?
Le conoscenze di carattere tecnico risultano, infatti, indispensabili al
fine di comprendere il complesso fenomeno, nonché preliminari rispetto
alle considerazioni giuridiche.
Necessario appare, dunque, fare chiarezza su cosa sia la rete internet e
su come si contraddistingua la sua struttura, la cui intima comprensione è
imprescindibile per l‘interprete che voglia proporre delle soluzioni ai
problemi giuridici che la Rete presenta.
Internet è tante cose: è contemporaneamente un insieme di cavi che
collegano i pc, è il più grande strumento di comunicazione di massa, è
9
l‘insieme di tutti i servizi veicolati on line, è, inoltre, la capacità di
comunicare da un lato all‘altro del pianeta potendo ritenere del tutto
azzerate le categorie di spazio e di tempo, avvalendosi, innanzitutto, della
caratteristica della immediatezza.
Internet, o più semplicemente ―the Net‖, è stata definita1 come una
sorta di ―meta-rete costituita da molte reti telematiche connesse tra loro‖.
Non ha importanza quale sia la tecnologia che le unisce: cavi, fibre ottiche,
ponti radio, satelliti o altro, né è rilevante di che tipo siano i computer
connessi. Punto di forza di Internet e motivo del suo velocissimo espandersi
sono, infatti, la sua capacità di parlare un linguaggio universale, adatto alla
quasi totalità degli elaboratori esistenti (il c.d. Protocollo TCP/IP).
La dottrina americana, che da subito si è occupata delle conseguenze
di carattere sociologico e giuridico che derivano dalla Rete Internet, ha dato
alla stessa diverse definizioni, ciascuna pensata in ragione della rilevanza da
attribuire alle sue peculiarità, talvolta a quelle che l‘hanno resa il più diffuso
mezzo di comunicazione di massa2, talaltra alla particolarità della struttura
tecnica di una rete di comunicazione dalle caratteristiche inedite3.
M. CALVO – F. CIOTTI – G. RONCAGLIA – M.A. ZELA, Internet ‟98. Manuale per
l‟uso della Rete, Laterza, 1998, p. 23 ss.
2
J. MATHIASON, nel testo Internet Governance. The new frontier of global
institutions, Routledge, 2009, così scrive a p. 11: ―What can we say that the Internet is?
As can be seen, the simple question has a complicated answer. We can say simply that it
is communication channel or medium and as such a piece of the communication process.
It is a network of networks, starting with the network of which a sender is a part,
continuing to larger networks that link smaller ones, and finishing with the network of
which the receiver is part. The networks connect because of agreed protocols. Most of
these are technical pieces of engineering software that are agreed by technicians. As
institutions, the Internet is made up of individuals who get services from institutions
(companies, universities, government offices) who get services from other institutions
who may invest in infrastructure or technological development‖.
Si veda anche G.J. SMITH, Internet Law and Regulation, London, 2007, che scrive:
―Stripped of all mystery and mystique, the Internet is an electronic delivery mechanism
for messages and information. In that sense, it is not fundamentally different from other
electronic communications networks such as radio, television and telecommunications.
These other networks are regulated and so should the Internet. Of course, broadcasting
and communications are the subject of very different regulatory regimes and similarly the
Internet will need its own distinctive system of regulation‖.
3
T. RUTKOWSKI, The Internet is Its Own Revolution, Internet Society News, 1993,
così definisce la Rete: ―The Internet is a global data communication capability realized by
1
10
La struttura della Rete, che qui verrà tracciata, è diretta conseguenza
della ragione per cui Internet è nata, è frutto cioè della mente degli
ingegneri che risposero alle richieste ben precise del Governo americano.
Com‘è noto, Internet, infatti, è frutto indiretto della Guerra Fredda. Il
Ministero di Difesa americano avviò, in quegli anni, un progetto di ricerca
col fine di preservare le telecomunicazioni in caso di una guerra nucleare.
In quest‘ottica nacque Arpa, Agenzia governativa che coordinava e
finanziava la ricerca nel campo delle TLC. Il suo fine ultimo era creare
un‘infinità di reti, che avrebbero sopravvissuto agli eventuali attacchi
nucleari su una rete di telecomunicazioni. Era necessario realizzare, cioè,
una serie di strade alternative per la circolazione dei dati, ―in modo che
l‘eventuale distruzione dei molti nodi funzionanti non interrompesse il
flusso delle informazioni all‘interno della Rete4‖.
La genialità della scoperta stava in ciò: ottenere una totale
decentralizzazione che non compromettesse l‘integrità dell‘intera rete e, con
essa, le informazioni che sulla stessa circolavano5. In caso di attacchi, il
sistema avrebbe cercato percorsi alternativi, laddove la comunicazione tra i
due nodi fosse stata interrotta.
Infatti, la diffusione dei dati avviene, in Rete, tramite la tecnologia
della commutazione di pacchetto6. Peraltro, i dati inviati da un indirizzo
fonte a un indirizzo destinatario attraversano diversi nodi, detti routers,
the interconnection of public and private telecommunication networks using Internet
Protocol (IP), Trasmission Control Protocol (TCP), and the others protocols required to
implement IP inter-networking on a global scale, such as DNS and packet routing
protocols‖.
4
M. CALVO – F. CIOTTI – G. RONCAGLIA – M.A. ZELA, Internet ‟98. Manuale per
l‟uso della Rete, cit., p. 26.
5
N. DI NARDO – A.M. ZOCCHI, Internet. Storia, tecnica, sociologia, Torino, 1999.
6
Appare necessaria questa precisazione in quanto la tecnologia utilizzata per la
trasmissione dei dati in Internet connota la Rete stessa della caratteristica dell‘a-centralità.
Non a caso, infatti, le comunicazioni su rete telefonica sono rette dalla tecnica della
commutazione di circuito, che, invece, può causare l‘interruzione della comunicazione in
caso di blocco di taluni nodi.
11
presenti in diverse Nazioni, senza che i governi possano in alcun modo
impedirlo.
Il fenomeno della Rete, dunque, è scevro da qualsiasi connotazione
geografica. Ai fini della comunicazione, il luogo fisico in cui si trovano i
computer che dialogano è totalmente indifferente. Infatti, anche se i dati
inviati dal soggetto fonte vengono instradati su percorsi diversi, essi si
riuniranno una volta giunti a destinazione, in modo che l‘informazione
giunga completa e corretta.
La descrizione della struttura reticolare di Internet serve a sgombrare
in campo da un comune equivoco: Internet non è solo uno strumento di
comunicazione. Esso è tanto la complessa Rete di cui abbiamo parlato –
che, come si vedrà in seguito, fa sorgere una serie di interrogativi in ordine
ai concetti di governabilità, di governance, di sovranità statale o
sovrastatale e di ordinamento giuridico, non facilmente coniugabili on line –
quanto il Word Wild Web, che ha comportato un aumento esponenziale dei
soggetti connessi e ha fatto scoprire al mondo le potenzialità della Rete
delle reti7.
Il www è uno dei modi di manifestazione della Rete, la quale fornisce
una piattaforma per una serie di altre applicazioni, come le mail e
un‘enorme varietà di programmi di condivisione di file, come il peer to
peer, e si risolve nel modo per accedere a qualsivoglia informazione
attraverso l‘utilizzo dei diversi browsare8. I servizi che la Rete offre sono i
più disparati: si pensi ai forum di discussione, ai newsgroup, alle chat e ai
blog.
7
Sulla necessità di guardare al fenomeno Internet nella sua interezza, si veda L.A.
BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, Oxford, 2009,
p. 48.
8
S‘intende per browsare un programma che consente di usufruire dei servizi di
connettività in Rete e di navigare sul World Wide Web, appoggiandosi sui protocolli di
rete forniti dal sistema operativo, permettendo di visualizzare i contenuti delle pagine dei
siti web e di interagire con essi.
12
La Rete, dunque, può essere ricostruita9 come una struttura a tre strati.
Il primo, caratterizzato dall‘infrastruttura fisica, in cui si fanno rientrare le
caratteristiche degli hardware10 che permettono alla rete di funzionare, le
reti fisse di telecomunicazioni, reti mobili, reti cablate, tecnologia satellitare
e router; il secondo, da quella logica, che comprende il protocollo di Rete11,
TCP e IP, http, UMTS e molti altri; il terzo, infine, che attiene al contenuto
veicolato in Rete e che comprende tutti i materiali memorizzati e trasmessi
e ai quali si può accedere utilizzando gli strumenti di software12
dell‘infrastruttura logica.
Appurato cosa sia Internet da un punto di vista tecnico-strutturale, le
domande che bisogna porsi e le cui risposte appaiono preliminari allo studio
di qualsiasi problematica attinente alla Rete, sono: qual è la natura
―giuridica‖ di Internet? Cos‘è la Rete in punto di diritto?
Alla luce delle considerazioni finora svolte, si può affermare che
Internet non sia uno status, non abbia personalità giuridica, non sia titolare
di diritti o di doveri.
Non esiste, data la sua struttura decentrata, un unico amministratore
della Rete, né un gestore unico delle diverse infrastrutture che rendono
possibile la comunicazione on line. Se, dunque, non esiste soggetto che
9
Si veda a riguardo A.D. MURRAY, The Regulation of Cyberspace. Control in the
Online Environment, Roultedge, 2007, p. 75. L‘Autore approva e ripropone la descrizione
della Rete avanzata da Y. BENKLER, in The Wealth of Networks. How social production
transforms Markets and Freedom, Yale University Press, 2006.
10
Con il termine hardware si indica la parte fisica di un computer, ossia tutte quelle
parti elettroniche, meccaniche, magnetiche e ottiche che ne consentono il funzionamento.
11
Per una visione peculiare del protocollo TCP/IP, si veda L.A. BYGRAVE – J. BING,
Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 69, che così lo definisce: ―it
is the code of the Internet that determines the architecture of the Internet. In a significant
sense, then, TCP/IP is the most important institution of Internet governance‖.
12
―Con l‘espressione software si intende (dall‘inglese soft, leggero, e ware,
componente) tutto ciò che costituisce la componente logica (i francesi usano, infatti, più
efficacemente l‘espressione logiciel) e quindi l‘insieme delle strutture necessarie per
consentire l‘elaborazione dei dati, istruzioni che possono assumere la forma di
programmazione diretta, ovvero possono essere contenute in programmi appositamente
predisposti, in grado, se eseguiti dall‘hardware, di raggiungere determinati risultati o di
organizzare sistematicamente determinate operazioni‖, in G. CORASANITI, Diritti nella
Rete. Valori umani, regole, interazione tecnologica globale, Milano, 2006, p. 50.
13
possa qualificarsi come Internet, se nessuno può concludere un contratto
con la Rete, ma tuttalpiù in Rete, si potrebbe dire che giuridicamente
Internet, come realtà a sé, non esiste13.
La Rete è, come sopra sottolineato, un insieme di beni materiali –
cavi, antenne, apparecchiature di commutazione – e di beni immateriali – i
software che ne permettono il funzionamento. Il punto è, però, che non
esiste uno solo di tali beni materiali o immateriali che appartenga a Internet.
―Ogni
pezzo
dell‘infrastruttura
globale
di
telecomunicazioni
appartiene a un soggetto diverso, pubblico o privato, nazionale o
multinazionale. Ogni rete fa capo a uno o più soggetti proprietari delle
infrastrutture fisiche e titolari dei diritti di utilizzo del software. Ma
Internet, di per sé, non è proprietaria di alcuna infrastruttura‖14.
In sostanza, si può dire che la Rete più estesa al mondo, dal cui
funzionamento oggi dipende la maggior parte dei traffici commerciali e
della comunicazione globale, non esiste come realtà unitaria, ancorché
perfettamente funzionante.
Già la dottrina americana15 aveva sottolineato quest‘aspetto, è stato
scritto infatti: ―Internet non è una cosa, non è un‘entità, non è
un‘organizzazione. Nessuno ne è proprietario, nessuno la gestisce. È,
semplicemente, tutti i computer connessi‖.
―Internet è, per un verso, tutto, poiché è Rete delle reti e, per altro
verso, null‘altro che il protocollo, lo standard che consente alle reti sparse
in tutto il mondo di comunicare tra di loro, ossia di essere interconnesse.
Internet è il traguardo dell‘astrattezza dei bits; essa, in quanto tale, non
esiste‖16.
La questione è stata affrontata da M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio
Internet”?, 19-06-1997, in http://www.interlex.it/regole/mcmeta1.htm.
14
M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, cit.
15
S.E. MILLER, Civilizing Cyberspace: Policy, Power and the Information.
Superhighway, New York, 1996, p. 47.
16
F.G. PIZZETTI, Internet e la natura “caotica” del diritto giurisprudenziale, in
Politica del diritto, XXXII, n. 3, 2001, p. 468.
13
14
In realtà, per spiegare in cosa consista questa particolare rete di
telecomunicazioni, è necessario indagare il quomodo del suo utilizzo.
Un soggetto che voglia collegarsi alla Rete deve fare almeno due cose:
stipulare un contratto con un Internet Access Provider e installare nel suo
computer (o qualunque altro strumento che possa connettersi alla Rete) un
software con determinate caratteristiche, definite da un insieme di norme
tecniche designate come protocolli TCP/IP. Fondamentale è l‘attribuzione a
quella connessione di Rete di un indirizzo IP17, che può essere fisso o
assegnato di volta in volta per ogni collegamento. Tutto questo dà la misura
di cosa sia ―giuridicamente‖ Internet. Perché esso si qualifichi nella realtà
di fatto e di diritto, è necessario un soggetto, un contratto di connessione (o
l‘aggancio a una connessione wireless con dispositivo apposito) e un
software TCP/IP, che rappresenta il linguaggio comune che permette al
soggetto di comunicare con altri dispositivi connessi alla Rete.
Internet è, dunque, un insieme di regole, una struttura caratterizzata da
una logica interna fondata su regole tecniche. Alla domanda cos‘è Internet,
si può rispondere ―una struttura logica‖18.
Da un punto di vista più strettamente giuridico, se Internet non è un
soggetto, e se, dunque, i vari rapporti telematici si realizzano ―nella Rete‖,
essa può essere definita un ―luogo‖, in cui si instaurano relazioni
commerciali, personali o in cui vengono commessi atti illeciti. Da questo
17
Gli indirizzi IP (Internet Protocol addresses) sono una delle risorse necessarie per il
successo e la crescita di un Internet globale. Ogni computer che si connette a Internet
possiede un unico numero seriale che identifica il suo luogo virtuale, alla stregua
dell‘indirizzo postale che identifica il luogo fisico di un‘abitazione. L‘indirizzo IP è
assegnato in via permanente a un dispositivo o temporaneamente per l‘accesso a una
sessione Internet. L‘informazione che viaggia in Rete è suddivisa in tante piccole unità,
dette pacchetti, che, di volta in volta, vengono instradati verso l‘indirizzo destinazione.
Ogni pacchetto contiene gli indirizzi IP del dispositivo fonte (chi richiede l‘informazione)
e del dispositivo destinazione (che deve essere raggiunto) e i routers utilizzano gli
indirizzi per avviare la comunicazione. Sul problema degli indirizzi IP come risorsa
limitata e della gestione degli stessi a livello globale, si veda ampiamente L. D ENARDIS,
Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, The Mit Press, London,
2009.
18
M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, cit.
15
dato di partenza, parte della dottrina ha parlato di ―spazio virtuale‖ o
―cyberspazio‖. L‘immagine di uno spazio ―virtuale‖ è suggestiva e di certo
più aderente alla realtà tecnica descritta, ma, per certi versi, fuorviante.
Immediatamente, infatti, emergono le prime difficoltà sia nel definire le
relazioni tra spazio reale e virtuale, sia nello stabilire come predisporre un
diritto della Rete senza poterlo ancorare a uno spazio territoriale fisico,
individuando linee di confine non più fisiche, ma inevitabilmente logiche.
Come si vede, il primo problema giuridico che la Rete presenta è
quello della possibilità e dell‘opportunità di una regolazione. È un problema
innanzitutto di diritto pubblico. Non è un caso, infatti, che la voce
―Internet‖19 sia stata inserita nel Digesto delle Discipline Pubblicistiche, e
che in essa vengano trattate le problematiche attinenti al concetto di
sovranità e ai diritti di libertà esercitabili on line.
Parte della dottrina italiana20, infatti, ha inquadrato Internet come una
rete dalla struttura ―acentrica‖ e ―acefala‖ e, in verità, ha sottolineato un
aspetto fondamentale, non da tutti condiviso: ―la Rete è un luogo
profondamente concreto e capace di accogliere nel suo seno, nel bene e nel
male, le più umane esigenze‖.
Essa, dunque, è una realtà più che mai reale e che, proprio per la sua
capacità di incidere sulla vita e sui diritti di ogni soggetto, ci mostra
l‘inesorabile
insufficienza
delle
tradizionali
categorie
concettuali,
richiedendo al giurista uno sforzo ricostruttivo.
La rivoluzione prospettica che la Rete ha comportato dipende, in
definitiva,
da
tre
caratteristiche:
l‘a-centralità,
l‘a-territorialità
e
l‘interattività, la quale consiste nella possibilità, per l‘utente, di dialogare
con la Rete. Il cybernauta, infatti, può essere mero destinatario di contenuti,
19
P. COSTANZO, Internet (voce), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, 2000, p.
347-371.
20
P. COSTANZO, Internet (voce), cit., p. 349.
16
creatore degli stessi, o entrambe le cose, diventando al tempo stesso
spettatore e protagonista21.
1.1. Internet: la specificità del mezzo e le tecniche di regolazione
La dottrina italiana22 ha osservato che è stata forte, per certo tempo, la
tentazione dei giuristi di ridurre l‘informatica a un problema solo tecnico,
dimenticandone tutte le implicazioni e ritenendo che, ―anche facendo
appello ai caratteri specifici delle regole e delle regolamentazioni di tipo
giuridico, queste sarebbero state oggetto di un linguaggio difficilmente
riconducibile alla logica conseguenziale all‘algoritmo di programmazione‖.
Questo atteggiamento di sfiducia verso la capacità del legislatore di
dar corpo a norme tagliate sulla realtà tecnologica oggetto di regolazione è,
in verità, conseguenza di una difficoltà effettiva in cui è incorso il
legislatore23 e, prima ancora, in cui si è imbattuta la giurisprudenza,
trovatasi di fronte a norme stantie da applicare a nuove realtà.
C‘è, comunque, in dottrina24 chi ha capovolto il preconcetto comune
circa l‘uso dell‘informatica da parte dei giuristi e affermato che il
linguaggio del legislatore ―deve‖ mutare al fine di adeguarsi alle nuove
tecnologie.
Infatti, riesce impossibile, e spesso inutile, imporre alla Rete regole e
politiche pensate per i mezzi di comunicazione tradizionali come la stampa,
la radio o la televisione.
S. RODOTÀ, Relazione introduttiva al Convegno “Internet e privacy – quali regole?
dell‘8 maggio 1998, in www.interlex.it/675/rodotint.htm, ma anche G. CORASANITI,
Diritti nella Rete, cit., p. 69, il quale ben spiega la logica dell‘ipertesto.
22
G. CORASANITI, Diritti nella Rete, cit., p. 55.
23
Su questo concetto, si veda P. COSTANZO, Internet (voce), in Digesto delle
discipline pubblicistiche, cit., p. 370, il quale già evidenziava ―Il legislatore italiano si
muove con difficoltà nell‘individuazione di regole specifiche‖.
24
R. BORRUSO (et alii), L‟informatica del diritto, Milano, 2007, p. 375 ss.
21
17
Non a caso è stato sostenuto: ―Sono le regole più apparentemente
semplici quelle che producono l‘effetto più pericoloso per la libertà
interattiva, soprattutto quando esse muovono da una falsa analogia, dal
presupposto che internet sia un mezzo come gli altri, che richiede la stessa
disciplina degli altri media‖25.
Anche la dottrina americana, del resto, ha ritenuto che le diversità
strutturali del nuovo mezzo di comunicazione, Internet, giustificassero di
per sé una diversa disciplina. È stato infatti notato che ―the Internet is now a
fundamentally different operation than the days before the arrival of the
web and the mass usage of the medium. Now some literally billions of users
are accessing some tens of billions of web sites and, in these circumstances,
there is content and there are activities that require some form of regulation.
It is argued that there is no regulate the Internet because use of it is quite
different from other communications networks. Whereas radio and
television s pumped into millions of homes simultaneously (push
technology), the Internet is an interactive medium and requires a particular
user actively to seek a particular site or application (pull technology).
In fact, this difference in operation of the Internet is an argument for
some regulation not an argument against any regulation‖26.
Le peculiarità della Rete sono, dunque, il punto di partenza per
inquadrare la regolazione di Internet, innanzitutto, come nuovo mezzo di
comunicazione di massa e, in secondo luogo, come nuovo spazio virtuale27.
Le sue caratteristiche intrinseche dovrebbero, cioè, spingere il
legislatore e i giudici a rifuggire facili equiparazioni, foriere di confuse
interpretazioni che, in genere, dipendono da una scarsa conoscenza tecnica
25
G. CORASANITI, op. ult. cit., p. 75.
G.J. SMITH, Internet law and regulation, cit.
27
A questo aspetto si dedicherà la seconda parte di questo capitolo.
26
18
dei nuovi media, o peggio, dalla volontà di imbrigliare la Rete in norme che
ragionevolmente non dovrebbero esserle imposte28.
Già la Corte Costituzionale, del resto, con la sentenza n. 155 del 2002,
aveva espresso questo concetto, nel valutare la ragionevolezza di applicare
la medesima disciplina a mezzi di comunicazioni differenti. In quel caso, si
esaminava il tema dell‘accesso dei partiti politici ai mezzi di comunicazione
di massa, rispettivamente alla stampa e alla radiotelevisione. La Corte ha, in
primo luogo, ritenuto che fosse giustificato l‘intervento del legislatore
diretto a regolare, durante la campagna elettorale, la concomitante e più
intensa partecipazione di partiti e cittadini alla campagna politica e che i
mezzi di informazione fossero tenuti alla parità di trattamento nei confronti
dei soggetti politici richiedenti l‘accesso29, in ossequio al principio della par
condicio.
Il Giudice delle Leggi, dunque, presenta come punti di partenza il
principio da applicare e la ratio della normativa e, come obiettivo, la
necessità di valutare se un‘equiparazione di situazioni, e dunque di
disciplina, sia in grado di garantire effettivamente la corretta applicazione
del principio alla realtà circostante. La questione, per quello che qui
interessa, era incentrata sulla legittimità costituzionale dell‘art. 7 della legge
n. 28 del 2000, sotto il profilo della disparità di trattamento in danno del
Ciò è accaduto, per esempio, nel caso dell‘audiovisivo. Infatti, il Governo italiano,
con il d. lgs. n. 44 del 2010, nel recepire la Direttiva comunitaria 2007/65/CE, ha optato
per una tecnica normativa insolita e confusa, estendendo la portata e i limiti delle
definizioni di ―servizio media audiovisivo‖ e di ―fornitore di servizio audiovisivo‖,
inquadrate diversamente dal legislatore comunitario. Ritenendo totalmente equivalenti il
servizio audiovisivo veicolato sulla tv tradizionale e una serie di servizi offerti on line, ha
optato per un‘equiparazione, che, dettata da una pretesa aderenza al principio della
neutralità tecnologica, è stata foriera solo di un‘iper-regolazione della Rete, nociva
innanzitutto per i cittadini, destinatari delle norme che dovrebbero tutelarli. Per un
approfondimento sul tema, si rinvia, se si ritiene, a C. SABATELLI, Media Audiovisivi e
Minori: quale convergenza e quale tutela?, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi Media e
Minori, Roma, 2012, p. 131-172.
29
Corte Costituzionale, sentenza n. 155 del 2002, Considerato in diritto, punto 2.
28
19
settore radiotelevisivo, poiché per la stampa non erano previste altrettanto
incisive limitazioni in ordine alla propaganda elettorale30.
Secondo la Corte, la prospettata violazione dell‘art. 3 Cost. non
sussiste, ―in quanto emittenza radiotelevisiva e stampa periodica hanno
regimi giuridici nettamente diversi in relazione alle loro differenti
caratteristiche: nel settore della stampa non c‘è alcuna barriera all‘accesso,
mentre nel settore televisivo la non illimitatezza delle frequenze, insieme
alla considerazione della particolare forza penetrativa di tale specifico
strumento di comunicazione impone il ricorso al regime concessorio‖. ―In
ogni caso‖, continua la Corte, ―la disomogeneità dei mezzi di
comunicazione è tale da escludere qualsiasi disparità di trattamento,
poiché è noto e costante, nella giurisprudenza di questa Corte, il
riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività del messaggio
radiotelevisivo, così da giustificare l‘adozione, soltanto nei confronti
dell‘emittenza televisiva, di una rigorosa disciplina capace di impedire
qualsiasi improprio condizionamento nella formazione della volontà degli
elettori‖.
Dunque, non sussiste un tertium comparationis, non può instaurarsi un
giudizio ternario, perché non sussistono le situazioni analoghe.
In altre parole, pur dovendo applicare a stampa e radiotelevisione lo
stesso principio della parità di accesso allo strumento di informazione, non
Più nello specifico, l‘art. 7 della legge 28 del 2000 così recita: ―Dalla data di
convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle
elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a qualsiasi
titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate
edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in
condizioni di parità fra loro. La comunicazione deve essere effettuata secondo le modalità
e con i contenuti stabiliti dall'Autorità. Sono ammesse soltanto le seguenti forme di
messaggio politico elettorale: a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi;
b) pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di
candidati e dei candidati; c) pubblicazioni di confronto tra più candidati‖.
30
20
si realizza un‘effettiva equiparazione perché la diversità del mezzo è tale da
giustificare una diversità della disciplina.
Nel caso di specie, la Corte non si è interrogata direttamente
sull‘applicabilità di una disciplina prevista per i tradizionali mezzi a
Internet, nel qual caso, in verità, a parere di chi scrive, il discorso prima
logico e poi giuridico della Corte dovrebbe valere a maggior ragione per la
Rete che, in funzione delle sue caratteristiche, ha da subito sollevato
questioni particolarmente spinose in ordine alla possibilità di disciplinarla.
Nel caso di specie, per applicare a Internet il medesimo principio della
par condicio, che di per sé è frutto del combinato disposto degli art.i 48, 49,
1, 3 e 21 Cost.31, si potrebbe immaginare un‘applicazione della disciplina
prevista per i vecchi mezzi in via analogica?
I principi che ispirano la legge 28 del 2000, dettata per la stampa e la
radiotelevisione, con l‘adeguata differenziazione per i due diversi mezzi,
sono così riassumibili: la parità di accesso ai mezzi, medesimo trattamento
nelle trasmissioni di comunicazione politica, nonché rispetto ai messaggi
autogestiti e, infine, il silenzio pre-elettorale, che garantisca all‘elettore di
ragionare sul voto da accordare all‘una o all‘altra forza politica,
accompagnato dal divieto di diffusione dei sondaggi, che è pensato in
ragione del medesimo obiettivo.
Posto che questi principi valgono chiaramente per ogni mezzo di
informazione, ci si chiede, quale la disciplina da applicare sulla Rete?
In primo luogo, in termini di fatto, va valutata Internet come una realtà
diversa, infatti, ci si imbatte immediatamente nella valutazione di casi
Si vedano sul tema O. GRANDINETTI, ―Par condicio‖, pluralismo e sistema
televisivo, tra conferme e novità giurisprudenziali, in un quadro comunitario e
tecnologico in evoluzione, in Giur. cost., 2002, 3, p. 1315; A. ODDI, La “ragionevole”
impar condicio, in Giur. cost., 1998, 2, p. 556; S. BAGNI, La propaganda elettorale
tramite Internet: quale disciplina?, in Dir. inf. informatica, 2004, 4-5, p. 629; E.
BETTINELLI, Propaganda elettorale (voce) in Digesto delle Discipline pubblicistiche,
1997; A. STAZI, “Marketplace of ideas” e “accesso pluralistico” tra petizioni di
principio e ius positum, in Dir.inf. informatica, 2009, 4-5, p. 635; G. DE MINICO, Silenzio
elettorale e Costituzione, in Diritto e Società, 2, 2010, p. 221-238; ID., I poteri normativi
del Garante per la radiodiffusione e l'editoria, in Pol. dir., 3, 1995.
31
21
particolari, quali la pubblicità elettorale sulle pagine web dei siti dei partiti
in competizione elettorale, o forum di discussione a cui partecipano gli
antagonisti dell‘agone politico.
In secondo luogo, in termini di diritto, ci si chiede se sia plausibile
un‘analogia legis per le diverse realtà presentate dalla Rete o, quanto meno,
un‘analogia iuris, e dunque di principio, in ragione del fatto che gli
interessi in gioco in tema di competizione elettorale sono, come sopra
ricordato, gli stessi (voto libero e diritto ad essere informati da un lato, e
libertà di manifestazione del pensiero e di partecipazione alla politica
nazionale dall‘altro).
Su questo tema, intervenne un parere consultivo32 dell‘AGCom, del 7
maggio del 1999, nel quale si prevedeva che le disposizioni previste dalla
legge in materia elettorale (allora era in vigore la legge del 1993), limitative
dell‘art. 21 Cost., in ragione dell‘equa ripartizione del tempo e del corretto
svolgimento del processo democratico, ―non sono suscettibili di
applicazione analogica con riguardo a forme di comunicazione che si
avvalgono di mezzi diversi, in particolare di Internet, che costituisce mezzo
autonomo e con proprie caratteristiche del tutto peculiari, distinto dalla
stampa e dalla televisione‖.
Alla luce di quanto detto, potrebbe concludersi che un‘analogia legis
sarebbe irragionevole, posta la natura della Rete, intimamente diversa dal
mezzo radiotelevisivo, di cui si disciplinano ―le modalità di espressione‖33.
Per quanto attiene all‘ipotesi dell‘analogia iuris, non si può negare
che i principi che ispirarono il Costituente restano ancora immutati, ma la
difficoltà rimane nel coniugarli rispetto alla questione ―Internet‖.
Basandoci, come del resto fa la Corte Costituzionale nella citata
sentenza, su presupposti di fatto e di diritto, si può sostenere che tutti i
32
Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, Roma, 7 maggio 1999, Prot. n.
1677/A99.
33
R. BORRELLO, Stampa e par condicio: riflessioni critiche sulla recente disciplina, in
Giur. cost., 2008, 03, p. 2767.
22
partiti possono potenzialmente creare un sito in cui ―pubblicare‖ programmi
che mirano a orientare l‘elettorato. Ciò comporta che di per sé siano già
garantiti la parità di chance, l‘esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero di cui al 21 Cost., l‘esercizio del diritto di voto libero e
consapevole di cui all‘art. 48 Cost. e la parità di trattamento per i vari
partiti, diretta conseguenza dell‘art. 3 Cost., così come risulta già tutelato il
diritto a un‘informazione completa dell‘elettore – declinazione passiva
dell‘art. 21 Cost. –, perché il pluralismo esterno, in questo caso legato alla
possibilità di accesso34, basta qui a garantire l‘effettività del diritto (ciò che
non avviene, invece, per la radiotelevisione).
Non sembra, dunque, essere necessaria una più stringente disciplina,
caratterizzata da spazi e tempi predeterminati, specie se si considera che i
concetti di spazio e tempo, in internet, sono di fatto relativi.
L‘unico principio cui le caratteristiche della Rete non danno risposta
immediata è quello del silenzio pre-elettorale, immediatamente precedente
alla consultazione e pensato in ragione di evitare all‘elettore un
bombardamento incontrollato di suggestioni. Si potrebbe, dunque,
suggerire, de jure condendo, l‘estensibilità della norma sul divieto di
pubblicazione dei sondaggi o l‘avvio di messaggi autogestiti in apertura alle
pagine web, lasciando solo all‘elettore la scelta di riascoltare messaggi
propagandistici, già precedentemente pubblicati nel web.
Per il resto, introdurre una disciplina più restrittiva potrebbe risultare
deleterio per l‘esercizio dei diritti di libertà e condurre a un progressivo
deperimento delle fonti di informazione e a un avanzamento in rete del
ruolo del mercato e delle logiche economiche a tutto scapito dei diritti di
libertà.
C‘è da considerare che la potenziale parità di accesso a Internet, garantita dalle
caratteristiche stesse della Rete, non sempre corrisponde all‘effettiva possibilità di
accedervi, specie nei casi in cui si evidenzia la presenza del digital divide. Su questo
tema, sulla qualificazione giuridica del diritto di accesso e sulla stretta connessione tra la
banda larga e l‘esercizio dei diritti di libertà, si rimanda al secondo capitolo di questo
lavoro.
34
23
Il ragionamento che porta a concepire, in tema di par condicio come –
del resto – per altri temi, la necessità di una diversità di approccio
nell‘individuazione della disciplina per il nuovo mezzo di informazione, era
già presente nella giurisprudenza americana dagli anni ‗90.
Infatti, più nello specifico, sul tema della regolazione di Internet come
nuovo mezzo di comunicazione di massa35, si è espressa la Corte Suprema
degli Stati Uniti d‘America, nella nota sentenza Reno v. Aclu (American
Civil Liberties Union)36.
L‘approccio della Corte Suprema degli Stati Uniti ha avuto il pregio di
osservare il fatto nella sua interezza e di valutare tutti i diversi tipi di
comunicazione – one to one, one to many e many to many – che la Rete
consente, al fine di vagliare la legittimità costituzionale del Communication
Decency Act, atto del Congresso che introduceva due disposizioni di legge
allo scopo di proteggere i minori da comunicazioni ―indecenti‖ e
―palesemente offensive‖ veicolate in Rete.
La prima norma oggetto di giudizio incriminava penalmente la
condotta di ―chiunque, in comunicazioni interstatali, consapevolmente
produce, crea o sollecita e avvia la trasmissione di commenti, richieste,
suggerimenti, proposte, immagini o altre comunicazioni oscene o indecenti,
sapendo che il destinatario della comunicazione è un minore di anni
diciotto, abbia o meno egli stesso effettuato la richiesta o iniziato la
comunicazione‖ e di ―chi, consapevolmente, permette l‘utilizzo di
Sul tema si veda D.R. JOHNSON – D. POST, Law and borders. The rise of law in
Cyberspace, in Standaford Law Review, 48, 1996, p. 1378, in cui gli Autori partono dal
presupposto della diversità che la comunicazione in Rete presenta rispetto a quella che
avviene con l‘uso della posta o del telefono. Le analogie – sottolineano – tra i vari mezzi
non sono soddisfacenti. Ciò implica una regolazione differente, che abbia a oggetto il più
ampio ambito della Rete globale e che possa sfociare, come si dirà anche in seguito, in
una regolazione non solo statale.
36
Reno, Attorney general of the United States, et alii v. American Civil Liberties
Union, U.S. 511 (1997), argued March 19, 1997 – Decided June, 26, 1997, reperibile in
http://www.supremecourt.gov/opinions/boundvolumes/521bv.pdf. Per un commento alla
sentenza, si veda V. ZENO ZENCOVICH, Manifestazione del pensiero, libertà di
comunicazione e la sentenza sul caso Internet, in Dir. inf. informatica., 1996, p. 641.
35
24
attrezzature per le telecomunicazioni poste sotto il suo controllo per le
attività vietate dal par. 1 con l‘intento che esse vengano impiegate per tali
attività‖37; la seconda, invece, puniva ―chiunque, consapevolmente,
nell‘ambito di comunicazioni interstatali o con l‘estero (…) utilizza un
servizio informatico interattivo per trasmettere a una specifica persona o a
più persone di età inferiore agli anni diciotto – ovvero utilizza un servizio
informatico interattivo in modo da rendere accessibile, anche a una persona
di età inferiore ai diciotto – commenti, richieste, suggerimenti, proposte,
immagini o altre comunicazioni che, nel loro contesto, raffigurino o
descrivano, in termini palesemente offensivi in base a criteri di giudizio
della comunità contemporanea (community standard), attività o organi
sessuali, indipendentemente dal fatto che l‘utente del servizio ne abbia
richiesto la visualizzazione‖38.
La Corte utilizza il seguente schema di ragionamento: osservazione
della realtà di fatto – bene giuridico protetto – valutazione dell‘effettività
della norma in oggetto rispetto all‘obiettivo – ragionevolezza del
bilanciamento operato dal legislatore e conseguente decisione di
(il)legittimità costituzionale.
In primo luogo, dunque, indaga39 la natura della Rete, come mai
ancora fatto dalla giurisprudenza italiana.
La Corte, infatti, riconosce che chiunque abbia accesso alla Rete può
utilizzare una grande varietà di sistemi di comunicazione e di recupero delle
informazioni e che, essendo essi in continua evoluzione, risulta difficile
classificarli in modo preciso. I più rilevanti ai fini del giudizio, sostiene la
37
Communication Decency Act, 47 U.S.C., 223 (a), 1994 ed., Supp. II.
Communication Decency Act, 47 U.S.C., 223 (d), 1994 ed., Supp. II.
39
Reno, Attorney general of the United States, et alii v. American Civil Liberties
Union, U.S. 511 (1997), cit., Opinion of Court, I, ―The findind describe the character and
the dimensions of the Internet, the availability of sexuality explicit material in that
medium, and the problems confronting age verification for recipients of Internet
communications. Because those findings provide the underpinnings for the legal issues,
we begin with a summary of the undisputed facts. (…) Internet is a unique and wholly
new medium of worldwide human communication‖.
38
25
Corte, sono la posta elettronica (e-mail), i servizi di mailing list automatici
(mail exploder), newsgroup, chat rooms e il www. Considerati nel loro
complesso, questi sistemi di comunicazione formano un unico medium, che
gli utenti chiamano cyberspazio, privo di una specifica localizzazione
geografica, ma a disposizione di chiunque, dovunque nel mondo si abbia
accesso a Internet.
Il materiale sessualmente esplicito su Internet comprende testi,
immagini, conversazioni e varia dal contenuto di forme soft a quelle più
propriamente hard-core. Ai file è possibile accedere deliberatamente o
anche involontariamente se una ricerca viene condotta in modo impreciso.
Peraltro, nota la Corte, data la scarsa diffusione di sistemi di filtraggio
sicuri, che garantiscano la limitazione all‘accesso ai contenuti dannosi per i
minori, e data l‘inesistenza di metodi certi per la verifica dell‘età di chi
accede a certi siti o certe informazioni e immagini audio-video, non
possono ritenersi legittime le norme predisposte dal Communication
Decency Act.
La decisione di diritto, dunque, è diretta conseguenza dell‘analisi del
fatto40.
La Corte, del resto, già in precedenti sentenze, aveva osservato che
―each medium of expression…may present its own problems‖.
Nella sentenza in oggetto, infatti, si ribadisce ―Thus, some of our
cases have recognized special justifications for regulation of the broadcast
media that are not applicable to other speakers‖. L‘assenza di fattori, come
la scarsità delle frequenze o la pervasività del messaggio, che spingono la
Corte a desumere la legittimità di talune restrizioni all‘esercizio del free
speech sul mezzo radiotelevisivo, sono causa essenziale della diversità di
disciplina da applicare alla Rete. ―Those factors‖, ritiene la Corte, ―are not
present in cyberspace. Neither before nor after the enactment of the CDA
40
Si veda in tal senso anche Southeastern Promotions, Ltd. v. Conrad, 420 U.S. 546,
557 (1975).
26
have the vast democratic forums of the Internet been subject to the type of
government supervision and regulation that has attended the broadcast
industry. Moreover, Internet is not as ‗invasive‘ as radio or television.
Communications over the Internet do not ‗invade‘ an individual‘s home or
appear on one‘s computer screen anbidden (…) Our cases provide no basis
for qualifying the level of First Amendment scrutiny that should be applied
to this medium‖.
La Corte si chiede se il Congresso abbia formulato la disciplina
legislativa in modo tale da raggiungere la finalità perseguita, senza imporre
restrizioni ingiustificatamente estese alla libertà di espressione. E, poiché
nel caso sottoposto alla Corte Suprema, la tecnologia disponibile non
consentiva – come non consente tuttora – a chi immette materiali su
Internet di escluderne con certezza l‘accesso ai minori, senza al tempo
stesso negarlo agli adulti, l‘ampiezza della portata precettiva del CDA
restava un fatto che, inevitabilmente, avrebbe comportato una censura di
incostituzionalità. Si afferma in sentenza, infatti, che ―the strenght of the
Government‘s interest in protecting minors is not equally strong throughout
the coverage of this broad statute‖.
Spesso, peraltro, la disciplina della Rete si traduce in una regola sul
contenuto veicolato41, più che su modalità e tempi di esercizio della libertà,
contingentabili in ossequio a esigenze di tutela superiori e preminenti, come
può esserlo la tutela dei minori dai contenuti nocivi della loro salute psicofisica. In altre parole, la possibilità di ―zonizzare‖ Internet, ancorché valida
in astratto, è decisamente non ancorata alla realtà di fatto, in cui il tentativo
di creare un divieto di accesso per i minori, proprio per l‘inesistenza di
misure efficaci che consentano una ―zonizzazione‖ come quella che avviene
nel mondo reale (si pensi al divieto di vendita dei film a contenuto nocivo a
minori di anni diciotto nelle videoteche), si tradurrebbe in una evidente
In questo senso, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance. Infrastructure and
Institutions, 2011, p. 48.
41
27
censura, motivo che ha spinto la Corte a dichiarare illegittime le norme del
CDA.
Come si vede, dunque, che il principio da applicare sia quello della
par-condicio, o la tutela dei minori o ancora la libertà di stampa42, è sempre
necessario attingere dalla realtà di fatto gli elementi necessari per produrre
una ragionevole disciplina, specie se si tratta della rete Internet, che, in
ragione delle sue caratteristiche, si presenta decisamente diversa dagli altri
mezzi di informazione, non solo per l‘enorme quantità delle informazioni
che circolano su di essa, ma per la particolarità dei servizi e le modalità di
fruizione degli stessi.
2. Internet: una governance possibile?
Il punto fermo cui si è giunti, e cioè il binomio ―diverso mezzodiversa disciplina‖, apre l‘orizzonte a una domanda non meno complessa
della precedente: posto che Internet, come nuovo mezzo di comunicazione,
in ragione delle sue caratteristiche, merita una disciplina diversa da quella
pensata per i vecchi mezzi, chi e con quale legittimazione dovrà dettare
queste regole?
Il problema della governance della Rete è particolarmente complesso,
specie perché trova origine in un fatto peculiare: Internet, oltre a essere un
nuovo mezzo di comunicazione, è una struttura eterogenea, che va pensata e
disciplinata in quanto tale. Possibile? Ragionevole?
Il tema verrà affrontato a partire dal contributo della dottrina
americana in materia di governance. Si ripercorrerà l‘evoluzione sulla
42
Per quanto attiene al tema della stampa on line, si vedano i paragrafi 2, 2.1. e 2.2.
del terzo capitolo di questo lavoro. Basti ora rammentare che sul tema la giurisprudenza
ha tentato, più o meno correttamente, di dare risposta alle questioni di fatto che
presentavano una realtà decisamente diversa da quella regolata e pensata dal legislatore
intervenuto a dettare la normativa sulla stampa. Negli ultimi anni, comunque, la
giurisprudenza si è assestata sull‘opinione, quasi unanime, della non estendibilità sic et
simpliciter, della normativa sulla stampa anche alla pubblicazione di post e blog on line.
28
governabilità della Rete che ha attraversato diverse fasi: dall‘impossibilità
di una regolazione alla necessità di una governance dettata da diversi attori,
pubblici e privati.
Il dibattito americano, particolarmente ampio e multiforme sul tema,
mostrerà l‘insufficienza di un modello regolatorio basato sull‘intervento di
un unico attore e aprirà, dunque, alla problematica di fondo che permea
tutte le questioni attinenti alla Rete Internet: la crisi del concetto di
―sovranità‖ e l‘interpretazione evolutiva del concetto di ―ordinamento
giuridico‖.
Particolare attenzione sarà poi posta sui soggetti privati che agiscono
in Rete al fine di dedurre quante e quali ricadute ha il loro intervento sui
diritti di libertà dei singoli soggetti.
Infine, sarà analizzato l‘approccio europeo, di cui si evidenzieranno
gli aspetti di ragionevolezza delle scelte politiche e la (scarsa) effettività
delle stesse.
2.1. Il Cyberspazio: il dibattito americano sulla regolazione della Rete
Nel ripercorrere l‘evoluzione del dibattito americano in materia di
governance di Internet, è d‘obbligo il riferimento al primo Autore che,
mettendo in luce una serie di problemi di carattere giuridico, poi via via
affiorati e risolti solo in parte, rivendicò la natura libertaria della Rete,
unico spazio ―virtuale‖ che potesse e dovesse restare scevro da qualsiasi
tipo di regolazione, specie se statale. Si tratta di Perry Barlow, membro e
fondatore dell‘Electronic Frontier Foundation43, pioniere dell‘idea per la
Si tratta di un‘organizzazione internazionale no profit di avvocati, volta alla tutela
dei diritti digitali, definita: ―an organization that – throught political partecipation,
litigation, education, seminars and campaigns of various sourts – was devoted to
developing the legal conception of cyberspace as a separate place and to defending it
from the intrusion of territorial government‖, in J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls
the Internet? Illusions of a Borderless World, Oxford, 2006, p. 18.
43
29
quale il cyberspace potesse sfidare l‘autorità degli Stati e delle nazioni e
spingere il mondo verso un nuovo sistema. Di certo, ancorché superate,
come vedremo, lo storico significato di queste idee non può essere ignorato
per il forte impatto che hanno avuto sulla dottrina giuridica e sulla
giurisprudenza della Suprema Corte degli Stati Uniti d‘America. L‘idea di
fondo era legata alla carismatica visione di Internet come un ―nuovo
spazio‖ e alla necessità di costruire una governance libera da ogni identità
nazionale e fisica: uno spazio che corrispondesse a una società in cui
venisse comunque rispettata la dignità degli individui e che ―accettasse nel
suo seno le persone tenendo in minima considerazione il loro aspetto o il
loro luogo di provenienza‖44.
Nel 1990 Barlow scrisse e distribuì la Declaration of the Indipendence
of Cyberspace45, in cui proclamò l‘assoluta indipendenza dell‘universo di
Internet e con cui rivendicò l‘assenza di legittimazione di qualsiasi tipo di
sovranità che non fosse quella degli utenti stessi. Le leggi e i governi del
mondo reale non avrebbero trovato cittadinanza nello spazio virtuale. È
stato sostenuto, infatti, ―Barlow argued that the cyberspace legal order
would reflect ethical deliberation instead of the coercive power that
characterized real-space governance‖46.
J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World,
cit., p. 16. Gli Autori scrivono: ―A liberal view of the good society says that individuals
should be able to shape their lives as they wish, provided that such choices respect the
dignity of others. Just as you choose you mate, your job, and your favorite brand of sodapop, you should be free to minimize the relevance of how you look and where you live.
This is very hard to do in real space, within the traditional system of territorial
governance‖.
45
La dichiarazione, reperibile in https://projects.eff.org/~barlow/DeclarationFinal.html, proclamava: ―I come from Cyberspace, the new home of mind. On behalf of
the future, I ask you of the past to leave us alone. You are not welcome among us. You
have no sovereignty where we gather. (…) We will identify and address them by our
means. We are forming our own Social Contract. (…) Our identities have no bodies, so,
unlike you, we cannot obtain order by physical coercion. We believe that from ethics,
enlightened self-interest, and the commonweal, our governance will emerge‖.
46
J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless World,
cit., p. 20.
44
30
Barlow
diede
avvio
a
una
scuola
di
pensiero
definita
―cyberlibertarianism‖, così sintetizzabile: il cyberspazio è un territorio che
può e deve essere espressione di una democrazia deliberativa47.
L‘idea dell‘assenza di regolazione, come anche quella di una
regolazione non eteronoma, che non intervenga dall‘alto, dal potere
politico, a qualunque livello di governo, si diffuse rapidamente, anche in
ragione della sempre maggiore attenzione prestata alle ragioni tecniche che
giustificavano e supportavano una tale teoria. In questo senso, infatti, si
esprime anche uno dei maggiori esponenti americani sul tema della Rete,
Lawrence Lessig. La linea di pensiero di questo Autore rappresenta il fulcro
dell‘evoluzione dottrinaria sul tema della governance: egli, infatti, sostiene
di aver originariamente aderito alla tesi della non regolabilità48.
Solo in un momento successivo l‘Autore, seguito poi dalla più recente
dottrina americana, addiverrà alla definizione di un modello peculiare di
regulation. Originariamente, egli ritenne che l‘unico fattore di regolazione
esistente ed efficace sulla Rete fosse quello che viene definito ―the code‖, il
codice di architettura, l‘insieme, cioè, delle regole tecniche che disegnano le
47
Sul tema, si veda A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society,
Oxford, 2009, p. 56. L‘Autore, a commento del cyberlibertarianism, sostiene ―They
believed that as traditional lawmakers may only enforce their laws within the confines of
their legal jurisdiction, subject of course to a few specialized examples of extraterritorial
effect, when a citizen of a real world jurisdiction, such as England and Wales, enters
Cyberspace they cross a virtual border to a new sovereign state where the laws of the old
state they left are no longer legitimate or valid. (…) This led to the belief, as expressed by
Barlow, that traditional lawmakers could not enforce their laws against citizens of
Cyberspace‖. Sul tema della democrazia deliberativa, si vedano G. MANIACI, Quale
razionalità per la democrazia deliberativa?, in Diritto e questioni pubbliche, n. 9, 2009,
p. 268-300; A. FLORIDIA, La democrazia deliberativa, dalla teoria alle procedure. Il caso
della legge regionale toscana della partecipazione, in Le Istituzioni del Federalismo, n.
5, 2007, p. 603-624; R. LEWANSKI, La democrazia deliberativa. Nuovi orizzonti per la
politica, in Aggiornamenti sociali, n. 12, 2007, p. 743 ss.; R. BIFULCO, Democrazia
deliberativa e democrazia partecipativa, in www.astrid.eu; M. BONINU, La democrazia
deliberativa. Costituzione e volontà generale, Roma, 2012, p. 111 ss. e 121 ss.; L.
BOBBIO, Non proprio politica. Non proprio tecnica. La terza via della democrazia
deliberativa, Relazione al Convegno nazionale SISP, Roma, 14 settembre 2012; M.
STARITA, Democrazia deliberativa e Convenzione Europea dei diritti umani, in Diritti
umani e diritto internazionale, 2010, p. 245-260; M. DELLA MORTE, Rappresentanza vs.
partecipazione? L‟equilibrio costituzionale e la sua crisi, Milano, 2012, p. 107 ss.
48
L. LESSIG, Code. Version 2, New York, 2006, p. 32.
31
caratteristiche di Internet. Particolare merito va riconosciuto all‘Autore in
commento, che già nella sua originaria tesi del ‗Code che guida l‘evolversi
della Rete‘ e, con essa, la sua governance, aveva sottolineato un aspetto
particolarmente
rilevante:
da
qualunque
―soggetto‖
provenga
la
regolazione, sia esso anche lo stesso Codice tecnico, saranno da questo
disegnati i valori, ritenuti fondamentali, che prenderanno corpo nella Rete.
È stato, infatti, sostenuto: ―we can build, or architect, or code cyberspace to
protect values that we believe are fundamental. Or we can build, or
architect, or code cyberspace to allow those values to disappear‖49.
Se si volesse aderire alla tesi della regolazione del Cyberspace, anche
laddove il soggetto ―regolatore‖ fosse endogeno – la tecnica del code o gli
stessi privati che gestiscono la Rete dal punto di vista tecnico-politico50 –, la
regolazione stessa dovrebbe comunque seguire un orientamento univoco,
segnato dai valori la cui realizzazione guiderà la determinazione delle
singole norme. Le prime domande da porsi sarebbero dunque: quali valori
possono essere protetti nel cyberspace? Il cyberspazio prometterà libero
accesso e tutela della privacy? Preserverà uno spazio per la libertà di
manifestazione del pensiero? Se e come potrebbe intervenire il governo nel
framework regolatorio?
―The regulability‖, sostiene l‘Autore, è la capacità del governo di
regolare i comportamenti e, nel contesto di Internet, è la capacità di regolare
i comportamenti assunti dai cittadini on line. Per il regolatore è, però,
necessario conoscere ―quali soggetti‖ siano assoggettati alle sue norme e
―quale spazio‖ sia regolato dalle stesse, infatti, proprio quando la
determinazione di questi fattori diventa difficile, ne deriva una maggiore
difficoltà di introdurre una seria regolazione. I primi e più importanti
precetti, sostiene Lessig, sono, dunque, imposti dall‘architettura dello
49
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 6.
Si pensi all‘ICANN o all‘IETF. Su questo argomento, si veda il paragrafo 2.3. di
questo Capitolo.
50
32
spazio digitale: ―the architecture of the space – at least as it was – rendered
life in this space less regulable‖51.
La prima teoria sul cyberspazio, intimamente legata alla sua natura
libertaria, avrebbe escluso in radice qualsiasi possibilità e suscettibilità di
regolazione: ―if there was a meme that ruled talk about cyberspace, it was
that cyberspace was a place that could not be regulated. That it cannot be
governed, its nature resists regulation. Not that cyberspace cannot be
broken, or that government cannot shut it down. But if cyberspace exists, so
first-generation thinking goes, government‘s power over behavior there is
quite limited, in its essence, cyberspace is a place of no control‖52.
La non suscettibilità di regolazione dipenderebbe, dunque, dalla natura
della Rete. È la sua ―architecture‖ che detta legge in questo senso: la
difficoltà di rendere effettiva una legislazione sulla Rete comporta
l‘impossibilità di regolarla, l‘inutilità di un intervento eteronomo, l‘assenza
di pubblico potere nello spazio virtuale.
Del resto, la dottrina che si è occupata in principio del tema era
orientata nel senso della a-regulation o, quando si riconosceva un ruolo
pregnante ai privati che agiscono in Rete, come gli ISP o le associazioni di
settore, in quello della self-regulation.
Taluni Autori americani, infatti, hanno ritenuto che il fenomeno
Internet avesse creato un nuovo ordinamento53, di per sé basato sul
consenso degli utenti stessi e dotato di una propria giurisdizione.
―Cyberspace‖, è stato sostenuto, ―is a distinct place for purposes of
legal analysis by recognizing a legally significant border between
Cyberspace and the real world‖54. In sostanza, il cyberspazio non sarebbe
51
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 23.
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 31.
53
Per le considerazioni in merito all‘evoluzione che ha interessato la figura
dell‘ordinamento giuridico e alla dottrina che si è occupata del tema, si rimanda al par.
2.2. di questo capitolo.
54
D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in
Standford Law Review, vol. 48, 1996, p. 1378.
52
33
uno spazio senza regole, ma uno spazio, distinto, diverso, in cui perdono la
legittimazione le autorità pubbliche dei luoghi ―reali‖55, sostituibili dagli
utenti della Rete, che dettano per se stessi regole in grado di garantire una
pacifica convivenza. Entrare nel cyberspazio, del resto, è un atto di volontà
ben preciso e la sola entrata in Internet determina accettarne le sue regole.
―No one accidentally strays across the border into cyberspace. To be sure,
Cyberspace is not a homogenous place. Crossing into Cyberspace is a
meaningful act that would make application of a distinct ‗law of
Cyberspace‘ fair to those who pass over the electronic boundary‖56. Parte
della dottrina americana è, dunque, orientata nel senso di ritenere necessaria
per il cyberspazio una governance che provenga dal basso, in cui a dettare
regole siano gli stessi utenti della Rete che, proprio dall‘utilizzo della
stessa, traggono la loro legittimazione. La legge, infatti, intesa come
―thoughtful group conversation about core values‖ persisterà, ma non potrà
– e d‘altro canto, non potrebbe e non dovrebbe – essere quella applicabile ai
territori fisici e geograficamente definiti57.
Si tratterebbe, dunque, di un diritto spontaneo58, autopoieutico59, che
nasce per regolare rapporti non altrimenti regolabili dalla legislazione
Ivi, ―Governments cannot stop electronic communication from coming across their
borders, even if they want to do so. Nor can they credibly claim a right to regulate the Net
based on supposed local harms caused by activities that originate outside their borders
and that travel electronically to many different nations. One nation‘s legal institutions
should not monopolize rule-making for entire Net‖.
56
D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in
Standford Law Review, cit., p. 1379.
57
Ibidem, p. 1402.
58
Sul tema, lucide le riflessioni di G. DE MINICO, Regole. Comando e Consenso,
Torino, Giappichelli, 2005, p. 195 ss. e 227 ss., sulla riconducibilità dei sistemi di selfregulation nel quadro costituzionale e nei sistemi giuridici che radicano la legittimazione
politica nella sovranità popolare.
59
Su questo concetto, con specifico riferimento al cyberspace, ampiamente, A.
MURRAY, The Regulation of cyberspace. Control in on line environment, New York,
Roultedge, 2007, p. 249-251. L‘ipotesi di regolazione proposta trova la sua fonte nel
pensiero di Luhmann e si sostanzia nella visione di un ordinamento che si autocrea, in
senso autopoieutico: ―According to Luhman there is no central organisational body and
no hierarchical structure; merely unique system, and subsystems‖. In tal senso,
l‘autoregolazione sarebbe l‘unica soluzione prospettabile per lo spazio di Internet.
55
34
vigente. Proprio da questa suggestiva immagine, nasce il paragone che parte
della dottrina americana disegna tra la self-regulation nel cyberspace e la
lex mercatoria, nata nel medioevo per regolare i rapporti commerciali60. In
tal modo, il cyberspazio diventa ―an important forum for the development
of new connections between individuals and mechanisms of selfgovernance‖61.
Questa teoria, se ha il pregio di analizzare taluni fondamentali aspetti
della Rete e di evidenziare tutta la difficoltà che il comune legislatore
incontra nella regolazione di uno spazio diverso da quello pensato per
l‘efficacia delle regole giuridiche, resta fallace e miope per vari aspetti.
Primo fra tutti: all‘approccio particolarmente attento alla struttura della
Rete, e dunque al fatto da regolare, non segue, però, un rilievo immediato,
colto invece da altra dottrina62, l‘evidente ricaduta nel mondo materiale di
tutte le attività che si svolgono on line.
È, infatti, questo un elemento di debolezza, messo in evidenza dalla
dottrina più attenta: quando si visita il cyberspace non si viaggia in nessun
posto. Anche nello spazio virtuale un comportamento antisociale è vietato e
il soggetto che lo compie, ancorché agisca on line, resta soggetto alla diretta
regolazione dello Stato in cui risiede63.
Sul tema del diritto autopoieutico, si veda per tutti G. T EUBNER, Il diritto come
sistema autopoietico, Giuffrè, Milano, 1996.
60
La tesi è di D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in
Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1389: ―Perhaps the most apt analogy to the
rise of a separate law oh Cyberspace is the origin of the Law Merchant – a distinct set of
rules that developed with the new, rapid boundary-crossing trade of the Middle age.
Merchant could not resolve their disputes by taking them to the local noble, whose
establish meaningful rules for a sphere of activity that he barely understood and that was
executed in locations beyond his control. The result of this jurisdictional confusion was
the development of a new legal system – Lex Mercatoria‖.
61
Ibidem, p. 1397.
62
J.E. COHEN, Cyberspace as/and places, in Columbia Law Review, 2007. Si vedano
anche, in questo senso, T.S. WU, Cyberspace sovereignty? – Internet and the
International System, in Harvard Journal Of Law and Technology, 1997 e L. LESSIG, The
Law of the Horse: what cyberlaw might teach, in Harvard Law Review, 2000.
63
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 56.
35
A fronte di queste osservazioni, i sostenitori del cyberlibertarianism
affermano che il cyberspazio racchiuda in sé una nuova giurisdizione, altra
e diversa da quella propria degli Stati in cui agiscono gli internauti, in cui
nessuna regola esistente risulta applicabile. Il territorio in questione,
insomma, non ha esistenza fisica, è uno spazio virtuale che si espande a
seconda della connessione intervenuta tra gli host64. L‘assenza di fisicità,
però, non negherebbe di per sé la presenza di territori e confini, pur non
tradizionalmente intesi. I confini del cyberspazio resterebbero, cioè,
assolutamente fermi e significativi a tal punto che, entrati in questo virtual
space e superati i confini del mondo reale, si sarebbe legittimati a muoversi
liberamente nel cyberspazio. La regolazione dello spazio reale, dunque, non
potrebbe avere effetto per due motivi: è priva di legittimazione e sovranità
rispetto al nuovo territorio e, anche laddove si volesse ritenere la stessa
applicabile, essa risulterebbe inutile perché inefficiente, data la diversità
strutturale della Rete. I cittadini del cyberspazio dovrebbero, cioè, scegliere
un regime regolatorio differente da quello che regola le loro attività nello
spazio reale. L‘unica efficace ―law of cyberspace‖65 potrebbe essere
determinata dal ―free market in regulation‖ in cui gli utenti della Rete
possano scegliere le regole più congeniali. Una regolazione per il
cyberspazio
dovrebbe
nascere,
quindi,
da
un‘azione
collettiva
decentralizzata ―decentralised, emergent law‖. La natura decentralizzata e
non corporale del cyberspazio mostrerebbe che la sola possibilità di un
sistema regolatorio si traduce in un sistema sviluppato organicamente col
consenso della maggioranza dei cittadini del cyberspace66.
D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, in
Standford Law Review, cit., p. 1367.
65
D.R. JOHNSON – D. POST, The new civil Virtue of the Internet: a complex systems
model for the Governance of Cyberspace, in C. FIRESTONE (edited by), The Emerging
Internet (Annual Review of the Institute for Information Studies), 1998, anche reperibile
in http://www.temple.edu/lawschool/dpost/Newcivicvirtue.html.
66
Ivi.
64
36
In verità, questa visione della Rete come luogo in cui le leggi, nascenti
dal basso, possano essere espressioni di valori condivisi dalla comunità,
separati e altri da quelli propri dei legislatori nazionali, desta una serie di
perplessità. Rispetto a questa tesi, sono stati posti, infatti, diversi
interrogativi: innanzitutto, la difficoltà di capire di chi si componga la
comunità di utenti che caratterizza la Rete, di chi, tra essi, sarebbe
legittimato a rappresentare il volere della comunità e, ancora, quali valori
potrebbero essere considerati ―condivisi‖ in una comunità così variegata67.
Secondo altri68, un ―democratic discourse‖ non sarebbe nemmeno
pensabile in Rete, perché la natura di Internet porta a isolare gli individui
attraverso filtri e schermi e, conseguentemente, non fornisce la possibilità di
creare una ―comunità effettiva‖. Mentre un sistema ben funzionante di
democrazia deliberativa richiede un certo grado di informazioni che i
cittadini possono assumere durante le attività deliberative, l‘abilità di
filtrare informazioni, offerta dalle nuove tecnologie, interferisce col flusso
delle stesse in due modi: quanto al primo, l‘utente potrebbe decidere di non
ricevere talune informazioni, utilizzando filtri che gli assicurino di ricevere
solo quelle che siano di suo specifico interesse; quanto al secondo, ciò
comporta una disomogeneità di informazioni all‘interno della macrocomunità di utenti, che di per sé rende impossibile concepire una reale
democrazia deliberativa per Internet. Se questo discorso viene accettato, se
ne dedurrà che la mancanza di omogeneità di valori, che permea una società
frammentata – come è quella della Rete – determina l‘impossibilità di un
discorso effettivamente democratico, a sua volta indispensabile per la
creazione di una ―cyberspace law‖. Il risultato di questo ragionamento è che
Internet non potrebbe essere regolato solo dal suo interno.
Di certo, la regolazione della Rete implica tante e tali problematiche,
da far ritenere insoddisfacenti quasi tutte le teorie che si sono contese il
67
68
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 59.
C.R. SUNSTEIN, Republic.com 2.0, Princeton, 2007.
37
campo del tema della governance di Internet. La stessa teoria di Sunstein,
che ha indubbiamente il pregio di aver rilevato l‘insufficienza di una
supposta legittimazione della self-regulation, non risolve comunque la
questione dell‘effettività di una regolazione eteronoma, né illumina sul chi
dovrebbe intervenire69.
Comunque, già l‘aver messo in luce taluni aspetti della Rete Internet,
particolarmente rilevanti ai fini della regulation, è un decisivo passo avanti,
specie se si sottolinea la capacità di chi ha scardinato l‘idea di un
cyberspazio virtuale e separato da quello reale, ottenendo un approccio
decisamente più pratico alla questione della governance e più aderente alla
realtà.
Com‘è stato evidenziato, infatti, il cyberspazio è di per sé uno spazio
del mondo reale, e ciò non solo perché da esso può essere regolato, ma,
soprattutto, perché gli utenti del cyberspazio sono situati nel mondo reale.
―Cyberspace is not, and never could be, the kingdom of mind; minds are
attached to bodies, and bodies exist in the space of the world. And
Cyberspace as such as does not preexist its users‖70. Se c‘è qualcosa di
―unique‖ rispetto al cyberspazio come ―place‖, è la particolare interazione
tra potere normativo e progettazione tecnica, che qualifica questo spazio e
che va continuamente esaminata. È solo traducendo queste considerazioni
in leggi e in politiche mirate che potrà avviarsi un progetto di regolazione
del cyberspazio, ancorato a un approccio di carattere pragmatico71.
L‘immagine della ―invasione‖72 della self-regulation per Internet è,
infatti, decisamente fuorviante. Lo sviluppo della Rete comporta diverse
questioni di policy pubblica, che vanno risolte perlomeno attraverso una co69
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 60.
J.E. COHEN, Cyberspace as/and places, in Columbia Law Review, 2007. Si vedano
anche, in questo senso, T. WU, Cyberspace sovereignty? – Internet and the International
System, cit., p. 218.
71
Ivi, p. 256.
72
C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace,
Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, London, 2008.
70
38
regulation, che implichi l‘ingresso nella scena regolatoria di soggetti
pubblici e privati. Parte della dottrina americana ha, non a caso, sostenuto
che: ―Our emerging structure of media regulation develop through
competition in response to a demand for regulation which is a constant
negotiation between private and public institutions‖73. L‘Autore in
questione sostiene che, mentre la self-regulation implica un alto grado di
indipendenza dalla etero-normazione statale, la co-regulation coinvolge lo
Stato nel processo di formazione delle regole. Tale modello di regolazione
sarebbe in realtà più rispondente alle esigenze e alle istanze che dal
cyberspazio prendono forma e corpo. Infatti, i metodi di self-regulation
applicati alla Rete si risolverebbero in poco più che dichiarazioni di buona
volontà74.
La regolazione dal basso, infatti, può essere definita un ―laboratory of
law and regulation‖75 che, pur avendo presente le ampie questioni in gioco
– la natura dell‘affidamento ingenerato nell‘utente o il tema della libertà di
manifestazione del pensiero on line – si manifesta in tutta la sua
inadeguatezza, in conseguenza di una mancanza di efficacia delle regole,
dovuta alla genesi endogena, che non consente di per sé una coercizione
rispetto al comportamento che le trasgredisce. Tale inadeguatezza si svela
nell‘assenza di garanzie dei diritti degli utenti e in una forma di
legittimazione poco chiara, tratta dalla semplice appartenenza alla comunità
digitale, senza però il necessario consenso di tutta la comunità di
riferimento, concetto di per sé già difficilmente individuabile, in ragione
delle caratteristiche della Rete.
73
Ibidem, p. 4.
Si pensi ai codici di condotta o ai contratti stipulati tra gli ISP e gli utenti, in cui le
limitazioni dei diritti, nonché le violazioni degli stessi, non sortiscono conseguenze di
sorta. Sul modus operandi degli organismi privati in Rete si rimanda al paragrafo 2.3.
75
C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace,
Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, cit., p. 4.
74
39
La realtà è che per chi usa Internet, sia come utente che come
operatore di settore, la sua regolazione è aspetto di fondamentale
importanza.
Per questo, c‘è chi ha ritenuto auspicabile la combinazione di elementi
di self-regulation, quali i codici di condotta scritti ed eseguiti dagli ISP dei
diversi Paesi, e la legge, la cui ―sottile relazione‖76 potrebbe dare risposta
alle problematiche che la Rete presenta: da un lato, l‘intervento dei privati
nel dettare regole per se stessi, in un modo che implichi e garantisca una
sensibilizzazione rispetto a certe
tematiche, come la libertà di
manifestazione del pensiero, il diritto alla privacy, il diritto d‘autore e,
dall‘altro, la certezza dell‘intervento pubblico che agisca, innanzitutto, per
assicurare l‘uniformità della disciplina giuridica e la tutela dei diritti vecchi
e nuovi esercitabili in Rete.
Peraltro la tesi della co-regulation, nasce anche da un fatto: Internet ha
subito una regolazione dall‘alto77, innanzitutto perché la sua stessa
architettura ha subito delle modifiche nel tempo. È stato, infatti, sostenuto:
―The environment of the Internet is itself a determinant of its physical and
virtual boundaries‖78 e, dunque, se la sua architettura cambia, muterà anche
l‘approccio alla sua regolazione.
Il cyberspazio non sarebbe, quindi, immune da un intervento
regolatorio da parte di chi detta regole e leggi nel mondo reale: questa, la
La felice espressione è di C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng
Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet Convergence, cit., p.
5, in cui si sostiene: ―The combination of self-regulatory codes and law, and the subtle
relationship between them, can define the difference between a situation in which a
company has legal liability for content, and one in which the liability for content remains
with others in the value chain. They may be cases in which the adoption of a selfregulatory code of conduct could lead to an increase in the due diligence burden, and
others in which it is sensible business practice to adopt a code of conduct in order to
reduce risk‖.
77
Particolarmente ampio sul tema delle modalità di regolazione intervenute di fatto
sulla Rete: J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless
World, cit., p. 68 ss. e 90 ss.
78
Ibidem, p. 5, ma anche in L. LESSIG, Reading the Constitution in Cyberspace, in
Emoy Law Journal, 1996, 869, nonchè in J. REIDENBERG, Technology and Internet
Jurisdiction, in University of Pennsylvania Law Review, vol. 153, 2005.
76
40
sintesi di una diversa scuola di pensiero, che ha preso il nome di
―cyberpaternalism‖79. La vera rilevanza della teoria in questione è, come
detto, la particolare attenzione alla geografia della Rete. Essa, inesistente
fisicamente solo se si utilizzano gli schemi tradizionali e le tipiche categorie
di confini e frontiere, è disegnata dall‘uomo, dalla tecnica, dagli standard
che permettono e potenziano tutte le possibili comunicazioni (one to one –
one to many – many to many).
Tali regole, secondo alcuni, possono addirittura sostituire i confini
geografici perché impongono un preciso assetto allo spazio della Rete. Gli
esponenti di questa teoria suggeriscono un nuovo modo di guardare al
controllo e alla regolazione dello spazio on line, concettualizzando ciò che
viene definita ―lex informatica‖80.
Questa attingerebbe al principio della lex mercatoria e farebbe
riferimento alle norme imposte agli utenti dalle capacità tecnologiche e
dalle scelte progettuali di sistema. Dunque, ―whereas political governance
processes usually establish the substantive laws of nation states, in Lex
informatica the primary sources of default rule making are the techonology
developers and the social processes throught which customary uses of the
technology evolve. To this end, rather than being inherently unregulable due
to its design or architecture, the internet is in fact closely regulated by its
architecture‖81.
Alla luce della dipendenza della lex informatica dalle scelte
progettuali, il controllo pubblico, associato ai regimi di regolamentazione,
potrebbe essere mantenuto spostando l‘attenzione delle azioni di governo
79
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit. p. 60.
J. REIDENBERG, Governing Networks and Rule-Making in Cyberspace, in Emory
Law Journal, 1996, p. 911, ma anche ID., Lex Informatica: the formation policy rules
through technology, in Texas Law Review, 1998, p. 553.
81
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 61.
80
41
dalla regolazione diretta del cyberspazio alla regolazione e alla modifica
della sua architettura.82
In sostanza, il cyberpaternalism suggerisce che i legislatori, che
cercano affannosamente di regolare e controllare le attività svolte dai propri
cittadini on line, dovrebbero, invece, cercare di regolare solo indirettamente
queste attività, producendo piuttosto modifiche all‘architettura di Rete,
oppure sostenendo le attività di autoregolamentazione da parte dei
progettisti della stessa83. Dunque, si tratterebbe di una forma di coregulation, in cui le leggi dettate dallo Stato s‘integrano con una politica di
self-regulation, indispensabile in ragione del determinante apporto che i
progettisti di Rete danno all‘utilizzabilità di essa, incidendo indirettamente
sulla possibilità di utilizzare Internet da parte di ogni cittadino.
L‘Autore che meglio sintetizza questo concetto di co-regulation è
Lawrence Lessig. Mentre nelle sue prime riflessioni84, come accennato
sopra, egli aveva affermato che mai il governo avrebbe potuto regolare la
82
La teoria in esame non è così peregrina. Infatti, gli interventi del Governo
americano si stanno muovendo anche in questa direzione. Sul tema della Privacy, uno
degli ultimi disegni di legge presentati al Congresso ha proprio a oggetto la regolazione
della privacy in Rete attraverso interventi di sistema: imporre, per esempio, agli ISP di
non utilizzare tecniche di tracciamento dei dati personali, con l‘aiuto di appositi software
che garantirebbero un maggior anonimato nella navigazione in Rete - peraltro già in
commercio per il software di Mozilla Firefox, che ha previsto l‘addon (componente
aggiuntivo) del track me not. Si veda, a riguardo, l‘atto Consumer Data privacy in a
Networked World: a framework for protecting privacy and promoting innovation in the
global
digital
economy,
del
febbraio
2012,
reperibile
in
http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/privacy-final.pdf, con cui si propone una
modifica del software, imposta per legge, e una possibilità di intervento a tutela della
privacy che sia espressione di un intervento regolatorio a più voci, legge (Consumer
Privacy Bill of Rights), regolamenti FTC (che garantiscono la presenza di una fonte
eteronoma uguale per tutti gli operatori e obbligatoria) e codici di condotta degli ISP, il
tutto orientato a un monitoraggio della tecnologia in continua evoluzione (p. 35 ss. del
documento). Si tenga presente che nel mese successivo, marzo 2012, anche la FTC si è
mossa in questa direzione, pubblicando un rapporto ―Protecting Consumer Privacy in an
era of rapid change. Recomandations for business and policymakers‖, che, se da un lato
spinge il Congresso a intervenire con legge, dall‘altro propone alle imprese e agli
organismi di autoregolamentazione di accelerare l‘adozione di principi a tutela della
privacy.
83
Si propone, infatti, che ―lawmakers could support self-regulatory activities of
network designers‖, in A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society,
p. 61.
84
Si veda L. LESSIG, Code and other law of Cyberspace, New York, 1999.
42
Rete e che questa ―assenza‖ del potere pubblico sulle attività svolte on line
avrebbe solo giovato alle libertà esercitabili in Internet, al termine della sua
riflessione sul cyberspazio giunge a una conclusione opposta: la
legislazione statale entra inevitabilmente nella regolazione dello spazio on
line e, soprattutto, essa diventa necessaria, specie quando si tratta di tutelare
libertà e vietare comportamenti lesivi dei diritti dei cittadini. Una
legislazione, opportunamente introdotta, dunque, non va avversata ma va
trovata una forma di governance che superi la naturale sfiducia85 verso il
legislatore, che difficilmente riesce a regolare ―adeguatamente‖ la Rete86.
L‘errore della teoria libertaria stava essenzialmente in ciò: valutare lo
spazio internet com‘è nato e non come oggi effettivamente è. Infatti,
l‘originaria architettura della Rete rendeva la regolazione particolarmente
difficile, ma essa può mutare, ed è mutata nel tempo. Con l‘evolversi della
tecnologia, anche le tecniche di controllo e di censura sono aumentate e ora,
come sostiene l‘Autore, il cyberspazio può divenire il territorio più regolato
tra quelli esistenti87.
Nello stesso senso anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance:
Infrastructure and Institutions, cit., p. 54-55. Gli Autori ritengono, infatti, che i politici,
come del resto anche gli economisti e i politologi, ignorino l‘architettura della Rete e
siano spesso incapaci di prendere decisioni orientate a implementare lo sviluppo della
stessa.
86
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 27.
87
Ibidem, p. 32, ―I begin with here is the claim that cyberspace can‘t be regulated. As
this, the view is wrong. Whether cyberspace can be regulated depends upon its
architecture. The original architecture of the Internet made regulation extremely difficult.
But the original architecture can change. And there is all evidence in the world that is
changing. Indeed, under the architecture that I believe will emerge, cyberspace will be the
most regulable space humans have ever known. The ‗nature‘ of the Net might once have
been its unregulability; the ‗nature‘ is about to flip‖. In questo senso, il primo regolatore
di internet è la Rete stessa, concetto sintetizzato nella celebre espressione dell‘Autore,
Code is law.
Sulla definizione di governance che cambia in ragione dell‘evolversi della tecnologia,
si veda anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and
Institutions, cit., p. 50. Gli Autori così definiscono la regolazione della Rete: ―it is the
regulation of Internet infrastructure, its current operation, and the process by which it
develops and changes over time‖, ma anche a p. 61, dove si sottolinea che il codice di
carattere tecnico ha effetti regolatori sui comportamenti umani. Come l‘architettura degli
edifici e delle strade, si dice, orienta i cittadini a riunirsi in determinati luoghi, così
85
43
Nella convinzione, dunque, che il rifiuto della regolamentazione del
mondo virtuale, improntata alla proclamazione della sovranità e
dell‘indipendenza del cyberspazio, fallirà, l‘Autore sostiene che una forma
efficace e corretta di governance sia il risultato della combinazione di più
elementi e attori: la legge, il mercato, la tecnica e le regole sociali.
Ciascuna delle quattro modalità individuate da Lessig sortisce un
effetto diverso sui cittadini: la legge costringe attraverso il timore della
sanzione legale; le regole sociali spingono a non assumere determinati
comportamenti per timore della reazione sociale del criticismo; il mercato
induce a determinati comportamenti attraverso l‘imposizione di prezzi;
l‘architettura costringe, dal punto di vista fisico, impedendo l‘accesso a
talune zone dello spazio in rete88.
La legge, dunque, interviene in senso preventivo, utilizzando la
sanzione come deterrente, ma è da sola insufficiente a garantire la
correttezza dei comportamenti on line. L‘Autore ci propone come esempio
la condotta di chi, scaricando musica, viola il diritto d‘autore dei titolari
dell‘opera creata. Essa non riesce a essere arginata solo con le sanzioni
civili, in termini di risarcimento del danno, né penali, per quanto attiene alle
fattispecie di reato. I comportamenti irrispettosi dei precetti, infatti,
continuano a verificarsi a prescindere dall‘esistenza della norma di divieto.
Il fallimento dell‘effettività della legge sui comportamenti on line,
d‘altra parte, era già stato evidenziando dai fautori del cyberlibertarianism.
In genere, gli utenti utilizzano la Rete Internet proprio al fine di evadere il
controllo legale. Ciò, però, non significa, continua l‘Autore, che il mercato
della musica non debba essere soggetto ad alcun tipo di controllo. È proprio
quando da sola la legge fallisce che si necessita dell‘intervento delle altre
modalità di regolazione, che forniscono un‘alternativa al caso concreto: la
l‘architettura della Rete incoraggia i comportamenti umani al compimento di certe attività
e ne scoraggia altre.
88
Questa la sintesi del pensiero di L. LESSIG, proposta da A. MURRAY, Information
Technology Law. The law and society, p. 62 ss.
44
possibilità di un‘integrazione normativa, che abbia come effetto una
regolazione efficace89.
Le regole del mercato, in tal caso, sorreggono le norme a tutela del
diritto d‘autore: è il mercato, infatti, a offrire la possibilità o di acquistare
legalmente un album mp3 on line o di ricevere nuovi servizi che forniscono
l‘accesso a un sito con raccolte di musica, pagando un prezzo iniziale
decisamente accessibile a tutti. Tale risposta del mercato è stata
fondamentale e ha comportato una diminuzione effettiva del numero degli
illeciti in Rete. In sostanza, dove la legge è stata insufficiente, è intervenuto
il mercato a sopperire le sue mancanze e ha mostrato di ottenere un più
efficiente risultato90. Ancora su questo esempio. Per rendere più incisivo il
controllo sull‘illegalità on line, con riferimento alla musica scaricata
illegalmente, sarebbe necessario intervenire sull‘architettura della Rete e
prevedere dei filtri che impediscano il download illegale91.
89
Sulla necessità di un intervento parallelo di più attori nella scena regolatoria della
Rete, si veda anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and
Institutions, cit., p. 55. Gli Autori sostengono che dalla constatazione per la quale
l‘architettura della Rete sia elemento indispensabile per la governance di Internet non
deriva, come conseguenza immediata, che l‘architecture sia il fattore esclusivo di
regolazione. Internet, infatti, non è solo una congerie di progetti di ricerca, ma il più
importante mezzo di comunicazione di idee e di informazioni. In questo senso, anche L.
LESSIG, Code. Version 2.0, cit., p. 112: ―Which architecture we encourage is a choice
about which policy we encourage. This is true even in the context in which the Internet is
not a ‗place‘ – even where, that is, it is ‗just‘ a medium‖.
90
Sull‘insufficienza di una regolazione lasciata solo alla lex mercatoria, si veda, però,
L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p.
75. Gli Autori sostengono che, così come la sola regolazione nazionale nulla può rispetto
alla Rete, anche le regole dettate dal mercato, se non si muovono in un framework
disegnato dalle norme di legge, finiscono per comportare un vulnus eccessivo
all‘interesse e al bene pubblico, muovendosi invece verso una tutela dei soli interessi
economici privati.
91
Per una disamina attenta della giurisprudenza americana sul tema del download
illegale, si veda J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a
Borderless World, cit. p. 106 ss. e 114 ss., con commento alle sentenze Metro-GoldwynMayer Stuodios Inc. et alii v. Grokster, Ltd et alii, 545, U.S., 2005 e A.M. Records et alii
v. Napster, Inc., U.S. Court of Appeals for the Ninth Circuit, 2001.
45
L‘abilità dell‘uomo di ―manipolare la Rete‖92 è, infatti, la migliore
evoluzione della regolazione del cyberspazio, perché le scelte di carattere
tecnico possono e devono, secondo Lessig, essere orientate a seconda del
fine che si vuole raggiungere, dei valori che si vogliono proteggere.
L‘Autore, infatti, giunge alla descrizione della regolazione più
adeguata per il cyberspace a seguito di una valutazione degli obiettivi dei
regolatori. Il fine ultimo della regolazione della Rete deve essere,
inevitabilmente, quello della tutela delle libertà dei cittadini che vivono on
line.
In astratto, una minaccia alla libertà può derivare dall‘intervento del
governo, che ne impone regole eccessivamente restrittive, dal mercato, che
incide sulla libertà di accesso all‘esercizio di determinate attività da parte
degli operatori, dalle norme sociali, che impongono comportamenti scorretti
e discriminatori93. Nel cyberspazio, una minaccia alla libertà può anche
derivare dalla tecnica. ―The cyberspace‖, è stato sostenuto, ―creates a new
threat to liberty, not new in the sense that no theorist had conceived before,
but new in the sense of newly urgent. We are coming to understand a newly
powerful regulator in cyberspace. The regulator could be a significant threat
to a wide range of liberties, and we don‘t yet understand how best to control
it. The regulator is what I call ‗code‘ – the instructions embedded in the
environment of social life in cyberspace. It is its architectures‖94.
Se nella metà del diciannovesimo secolo la minaccia alla libertà era
rappresentata dalle norme sociali, e all‘inizio del ventesimo secolo lo era
dal potere dello Stato, e ancora durante o oltre la metà del ventunesimo
secolo dal mercato, ora è necessario capire come agisce il nuovo regolatore
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 64, ―Like
Reidemberg, Lessig saws our ability to manipulate the network architecture as the most
obvious development in Cyber-regulation‖. Infatti, L. LESSIG, Code. Version 2, cit., così
si esprime a p. 114: ―In cyberspace in particular, but across the Internet in general, code
embeds values. It enables, or not, certain control‖.
93
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 120 ss.
94
Ibidem, p. 121.
92
46
– the code – e quali tipi di preoccupazioni esso può destare in termini di
libertà95.
La preoccupazione principale, dunque, in chi96 si occupa della
regolazione della Rete, deve essere, secondo Lessig, quella di garantire la
correttezza delle condotte on line, tenendo però presente che qualunque
forma di regolazione deve essere improntata innanzitutto alla garanzia delle
libertà. È chiaro che l‘Autore americano faccia riferimento principalmente
alla freedom of speech, non solo alla luce dell‘estesa portata dello stesso,
riconosciutagli dalla dottrina97 e dalla Corte Suprema degli Stati Uniti
d‘America, ma perché essa rappresenta la libertà che, prima fra tutte, viene
esercitata on line, in forme inedite in termini di portata ed estensione.
Proprio al fine di tutelare questa libertà e di evitare che l‘evoluzione
tecnologica diventi un ostacolo alla realizzazione della stessa, l‘Autore
sostiene che la predominanza della regolazione a carattere tecnico non
escluda la presenza dei diversi regolatori.
In ragione di ciò, devono e possono intrecciarsi le diverse modalità di
regolazione, che così possono essere riassunte: ―law, social norms, the
market and the architecture‖98. Asserito, infatti, che la violazione delle
regole dettate da ciascuno di questi regolatori implica un costo differente e
che il grado di coercizione è di certo diverso, tanto da far pensare che essi
per certi versi operino indipendentemente, deve comunque dedursi che
95
Ivi.
Sull‘idea che l‘Internet governance debba focalizzarsi sulla relazione tra
l‘infrastruttura tecnica e l‘impatto che essa ha sulle questioni di policy, si veda anche L.A.
BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 52, in
questi termini: ―focus on nexus between internet architecture and social policy‖.
97
Al tema del fredoom of speech e alla portata che la dottrina americana riconosce al
primo emendamento della Costituzione Americana, è dedicato il paragrafo 1.1. del
Capitolo terzo di questo lavoro.
98
L. LESSIG, Code. Version 2, cit., p. 122. Alla stessa conclusione giungono, dopo
un‘attenta e puntuale analisi delle teorie sulla Regolazione, L.A. BYGRAVE e J. BING, in
Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 86 ss.
96
47
l‘azione dell‘uno riesce a supportare quella dell‘altro, in un quadro di
regolazione ―completo‖99.
L‘interazione tra le diverse modalità di regolazione può essere la più
varia, ma fondamentale resta la forte impronta che a questa può dare
l‘intervento del legislatore. ―Law can have a significant role in this
mechanism‖100.
Pur essendo da sola insufficiente, infatti, la legge può orientare le
scelte di mercato, può indirizzare la tecnica verso l‘implementazione dei
diritti101 e del rispetto delle regole, può agire sulle norme sociali suggerendo
norme comportamentali.
La dottrina americana in commento termina qui il suo ragionamento,
riuscendo solo a evidenziare quanto possa essere rilevante l‘apporto della
norma di legge nell‘orientare la tecnica al raggiungimento di obiettivi, in
primo luogo politici102. Un ulteriore passo in questo senso è, invece,
avanzato dalla dottrina italiana103, che così si esprime: ―La pluralità di
Ibidem, p. 124: ―Law regulates behaviour in cyberspace. Copyright law, defamation
law and obscenity laws all continue to threaten ex post sanction for the violation of legal
rights. How well law regulates or how efficiently is a different question. Anyway,
legislatures enact, prosecutors threaten, courts convict‖ (…) ―Norms also regulate
behavior in cyberspace‖ (…) ―Markets regulate behavior in cyberspace. Pricing structures
constrain access, and if they do not, busy signals do‖ (…) ―Finally, an analog for
architecture regulate behavior in cyberspace – code. The software and hardware that
make cyberspace what it is constitute a set of constraints on how you can behave. The
substance of these constraints may vary, but they are experienced as conditions on your
access to cyberspace‖.
100
Ibidem, p. 125.
101
Si esprimono in questi termini anche M. VILLONE, La Costituzione e il “diritto alla
tecnologia”, in G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e
servizi a rete, Jovene, 2010 e E. CHELI, Conclusioni al Convegno I nuovi diritti, la
Tecnica, l‟Uguaglianza, tenutosi a Napoli, il 13 giugno 2011.
102
Ibidem, p. 237, nella felice espressione ―The technology interacts with law to create
policy‖.
103
G. DE MINICO, Diritti. Regole. Internet, in www.costituzionalismo.it., 8 novembre
2011, p. 18 ss., con specifico riferimento alla governance della Rete e, molto ampiamente
sul tema della self-regulation, G. DE MINICO, Regole. Comando e consenso, cit., in
particolare p. 195 ss. Qui l‘Autrice ripercorre le tesi sulla ricostruzione giuridica
dell‘autoregolazione, prima in termini di cessione del potere regolativo, poi di delega e,
infine, di modello autopoieutico, sottolineando come, anche in quest‘ultimo, lo Stato non
perda il suo ruolo di architetto di sistema ma sia, invece, accompagnato dalla regolazione
dei privati ―orientandone l‘esercizio e controllandone i risultati, se occorre‖, p. 210.
99
48
strumenti regolativi pone la questione dell‘esistenza di un ordine tra i
medesimi‖.
La necessità di una commistione di fonti regolative, conseguenza
dell‘inadeguatezza di ognuna di esse a disciplinare in via esclusiva il
fenomeno Internet, non può significare abbandono normativo dello spazio
on line. Com‘è stato sottolineato104, infatti, è necessario che sia il
legislatore, legittimato in quanto soggetto pubblico105, a parlare per primo, a
dettare le direttive alle quali i privati dovranno adeguarsi, al fine di
garantire la realizzazione di un comune progetto politico ed evitare che gli
interessi economici, che spingono i privati ad agire, possano prevalere
inesorabilmente sull‘esercizio dei diritti di libertà in un regime di
uguaglianza, aldilà delle difficoltà106 che questa regolazione può implicare.
Del resto, la primarietà dell‘intervento del soggetto pubblico nella
regolazione107 della Rete risponde anche a un‘ulteriore esigenza, quella di
104
G. DE MINICO, Diritti. Regole. Internet, cit., p. 20 ss.
Si veda, sul tema della legittimazione, N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e
legittimazione sociale, Milano, 1995. L‘Autore, allontanandosi dalle teorie
giusnaturalistiche, ritiene che la legittimazione tragga il suo fondamento dai contesti
sociale e giuridico che istituzionalizzano il riconoscimento di decisioni vincolanti.
106
L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions,
cit., p. 58. Gli Autori evidenziano che i governi nazionali dovranno, comunque, far fronte
alla scivolosità della Rete, capace di sfuggire per certi versi alla regolazione normativa,
nonché ai costi che deriverebbero dal monitoraggio completo del contenuto che veicola in
Rete in un Paese, tenuto conto anche del fatto che i dati che viaggiano in Internet non
possono essere intercettati con la stessa facilità con cui sono reperiti i dati del traffico
telefonico.
107
D‘altra parte, il fatto che gli Stati nazionali abbiano cercato di regolare, più o meno
correttamente, la Rete è un fatto innegabile. Si pensi ai numerosi disegni di legge in ogni
parte d‘Europa, e non solo, che hanno a oggetto attività che si svolgono interamente on
line. Il modello della regolazione nazionale, pensato da alcuni Autori americani come
panacea dei mali che dalla Rete possono derivare, si poggia sull‘idea che proprio il forte
impatto che Internet ha avuto nella vita di relazione e nelle relazioni commerciali di ogni
cittadino è sintomo della necessità di una regolazione, che provenga innanzitutto dai
governi. Internet deve essere regolato per le stesse ragioni per cui anche le altre attività
umane sono soggette a regolazione. Si pensi alla pubblicazione sulle pagine web, ai
problemi che essa comporta in tema di diffamazione on line, o anche alla condivisione
peer to peer del materiale coperto da copyright, che ha comportato una serie di condanne
giudiziali. Gli studiosi che aderiscono alla teoria di una governance della Rete tutta
nazionale partono, dunque, dalla constatazione di un fatto, la normazione può avere e ha
effetti nella sfera digitale, così come li ha off line. Per una disamina della teoria del
―National governance and law‖, si veda L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance:
105
49
riconoscere una legittimazione nei soggetti che agiscono in Rete e ne
dettano le norme regolatrici. In tal senso, si presenta la teoria del network
communitarism, la quale, ancorché legata alla primitiva idea dell‘Internet
governance, intimamente connessa all‘intervento regolatorio autonomo,
recupera l‘idea della necessità di una legittimazione attiva ad intervenire nel
processo regolatorio, difficile a trovarsi nella stretta regolazione nazionale,
di per sé insufficiente e poco adeguata.
L‘idea di A. Murray, che lo porta un po‘ a distanza dalla celebre
lezione di Lessig sulle modalità di regolazione della Rete108, è basata sulla
necessità di un continuo dialogo con la società che naviga in essa. L‘Autore
Infrastructure and Institutions, cit., p. 69 ss. Qui gli Autori, nel descrivere i passaggi
chiave della teoria in esame, sottolineano un aspetto essenziale: la regolazione eteronoma
di fonte parlamentare-governativa ha di solito una forte ricaduta in tema di libertà e,
spesso, si colora di connotati censori. Un intervento dei governi nazionali che avesse a
oggetto l‘architettura di Rete si tradurrebbe in un futile tentativo di regolazione, messo in
crisi dalla stessa struttura di Internet (rete stupida – nodi intelligenti). Per cui, una policy
regolatoria nazionale, non avendo la possibilità di modificare l‘architettura di Internet tale
da imporre un cambiamento a livello mondiale, finirebbe, come spesso accade, per
incidere sul contenuto delle informazioni veicolate on line e non sulla struttura della Rete,
facendo nascere una serie di perplessità quanto alla democraticità di un Paese. In Cina, ad
esempio, il governo ha istituito una policy regolatoria che mira a creare l‘equivalente
funzionale di un cambiamento a livello strutturale. Non potendo agire sulla struttura della
Rete, ha agito su gli ISP, imponendo agli stessi di censurare ai cittadini cinesi l‘accesso ai
siti scomodi al governo, che, in questo modo, ha ottenuto un monopolio sulle connessioni
interne ed esterne al Paese in termini di controllo. In tal modo, i siti considerati a
contenuto sovversivo del regime socialista e che, in quanto tali, provocano un disturbo
dell‘ordine sociale, sono irraggiungibili dai cittadini cinesi. La tecnica dello
spacchettamento dei dati, diversamente instradati, che ha fatto di Internet la sua più
grande fortuna e che ha permesso l‘evolversi della più grande possibilità mai concepita di
comunicazione globale, è stata usata a fini censori ed egoistici di uno Stato, tutt‘altro che
democratico. Il great firewall, di origine cinese, non è però infallibile. Il costoso
meccanismo, costoso in termini economici quanto in termini di pluralismo e
democraticità, non è del tutto efficace; esistono, infatti, meccanismi di carattere tecnico
per aggirarlo. Per una visione d‘insieme sulle modalità di intervento da parte dei governi
nazionali, si veda anche J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a
Borderless World, cit., p. 68 ss. e 90 ss.
108
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit., p. 68: ―in the
modalities of regulation proposed by Lessig, we find that of the four, three of them, Laws,
Norms and Markets are in fact a proxy for community-based control. Laws are passed by
lawmakers elected by the community, markets are merely a reflection of value, demand,
supply, and scarcity as reflected by the community in monetary terms and norms are
merely the codification of community values. These ‗socially mediated modalities‘
reflected an active role for the ‗dot‘ in the regulatory process, far from being a ‗pathetic
dot‘ which was the subject of external regulatory forces the dot was in fact an ‗active dot‘
taking part in the regulatory process‖.
50
scrive: ―the socially mediated modalities of law, norms and markets draw
their legitimacy from the community meaning the regulatory process is the
nature a dialogue not an externally imposed set of constraints‖109. La
regolazione dello spazio digitale dovrebbe, a rigore teorico, secondo
Murray, essere diversa da quella dello spazio reale. Il cyberspazio
pretenderebbe una regolazione più leggera e, per certi versi, dovrebbe
essere scevra da regolazione alcuna. La governance nel mondo on line non
potrebbe essere sempre frutto dell‘eteronomia, anzi, l‘evolversi della
regolazione dovrebbe riflettere i cambiamenti della società. In altre parole,
nel network communitarism ―the power to determine the regulatory
environment does not rest with the regulator alone‖110. In sostanza, ciò che
Murray rimprovera al cyberpaternalism, sulla base anche dei supposti111
insegnamenti della dottrina tedesca sul diritto autopoieutico, è l‘assenza di
un ruolo più pregnate che andrebbe invece attribuito alla società digitale.
―Regulation‖, continua l‘Autore, ―is a process of discourse and dialogue
between the individual and society‖.
L‘insufficienza di questa teoria, che, in sostanza, risulta solo
un‘evoluzione del ciberlibertarianism (anche definita teoria dello
spontaneous
ordering),
rivela,
però,
un
aspetto
essenziale
della
problematica attinente al cyberspazio e lascia aperte una serie di domande:
perché la sovranità statale non ha una legittimazione sufficiente? Usando le
parole dell‘Autore: ―who are people with the opportunity to amend the
109
Ibidem, p. 68.
Ibidem, p. 70.
111
È stata, infatti, evidenziata da G. DE MINICO, in Diritti. Regole. Internet, cit.,
l‘interpretazione non propriamente letterale che A. MURRAY, in Information Technology
Law. The law and society, cit., dà dell‘Autore tedesco G. TEUBNER, il quale, nel testo Il
diritto come sistema autopieutico, cit., p. 140 ss., pur riconoscendo la validità di un
sistema misto di creazione normativa, non si spinge fino all‘esclusione totale e senza
riserve della presenza del soggetto pubblico nel momento della formazione della regola
giuridica.
110
51
software code of the digital environment and on which basis do they
exercise their power?‖112.
Questo quesito apre, di per sé, un‘altra questione, per la verità poco
indagata. La legittimazione all‘intervento regolatorio è legata, infatti, alla
dimostrazione dell‘insufficienza degli Stati nazionali, non più sovrani nello
spazio della Rete. Dunque, chi può e deve dettare la ―law‖ di cui parla
Lessig? Quale soggetto pubblico? Si può ammettere una cessione di
sovranità totale da parte dello Stato? Cos‘è la sovranità e in quale
ordinamento giuridico può essere esercitata? Cosa di questi vecchi concetti
resta e deve restare immutato, pur dinanzi all‘impetuoso cambiamento che
ha investito la comunicazione globale?
2.2. “Sovranità” e “Ordinamento giuridico”: vecchi concetti e nuove
realtà
I
concetti
di
―ordinamento
giuridico‖
e
―sovranità‖
vanno
indubbiamente riletti in ragione delle numerose novità che hanno investito
lo spazio globale e la comunicazione a livello planetario113. Si cercherà qui
di percorrere l‘evoluzione delle tematiche in questione, attraverso le diverse
ricostruzioni che la dottrina ha offerto, al fine di comprendere se e come
queste categorie debbano essere ripensate rispetto al cyberspazio e se, in
ultima analisi, esistano ragionevoli interpretazioni delle stesse, che lascino
intatta la riconducibilità della nuova realtà tecnologica alle risalenti
categorie disegnate dalla dottrina costituzionalistica. Anche questo aspetto,
come vedremo, è un tassello indispensabile per ottenere una completa
112
A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, p. 70.
Questi sono solo alcuni dei motivi che spingono al ripensamento di certe categorie.
Si pensi, infatti, alla perdita della sovranità da parte degli Stati nazionali in conseguenza
della profonda crisi che ha investito la politica, oggi totalmente dipendente dalle
dinamiche dei mercati finanziari, o ancora dalle decisioni di un‘Europa, tanto rilevante
quanto deficiente in termini di rappresentazione democratica.
113
52
visione della governance della Rete, rispetto alla quale si presenterà, al
termine del Capitolo, una proposta regolatoria.
È innanzitutto dalle riflessioni della dottrina costituzionalistica
americana che prende corpo la questione del cyberspace non solo come
spazio a sé ma, conseguentemente, come ordinamento giuridico
autonomo114. L‘analisi che qui si condurrà ha, in primo luogo, lo scopo di
dimostrare che rispetto alla Rete non può parlarsi di un ordinamento
giuridico indipendente né, d‘altra parte, di diversi e frammentati
ordinamenti minori, eventualmente formati dalle diverse comunità on line,
che dettano regole di ingresso e di convivenza civile per gli utenti. Ciò
condurrà alla necessità di rinnegare – come, peraltro, già fatto dalla più
recente dottrina americana - l‘attribuzione di una sovranità ―propria‖ al
Cyberspace e permetterà di recuperare il concetto di sovranità, con
particolare riferimento a quella ―dello Stato‖ e ―del popolo‖, nell‘ottica, da
un lato della constatazione di una crisi di sistema che ha investito la
sovranità statale, dall‘altro di un recupero del significativo intervento
pubblico nella formazione della regola giuridica, ancorché non solo a
carattere nazionale.
Illustre dottrina ha contribuito alla definizione di ―ordinamento
giuridico‖ e alla preliminare differenza che esiste tra ―ordine‖ e
―ordinamento‖, differenza che potrà tornare utile quando, inquadrato il
concetto di ordinamento giuridico, si cercherà di capire se l‘ordine creato
Si veda, in questo senso, D.R. JOHNSON – D. POST, Law and Borders. The Rise of
Law in Cyberspace, in Standford Law Review, cit., p. 1370: ―Cyberspace radically
undermines the relationship between legally significant (online) phenomena and physical
location. The rise of the global computer network is destroying the link between
geographical location and: (1) the power of local governments to assert control over
online behavior; (2) the effects of on line behavior on individuals and things; (3) the
legitimacy of a local sovereign‘s efforts to regulate global phenomena; and (4) the ability
of physical location to give notice of which sets of rules apply. The Netthus radically
subverts the system of rule-making based on borders between physical spaces, at least
with respect to the claim that Cyberspace should naturally be governed by territorially
defined rules‖; e, ancora più esplicitamente, p. 1402: ―the relationship between the
‗citizen‘ and the ‗State‘ changes radically‖.
114
53
dalle diverse comunità on line, con la definizione di una serie di norme,
possa acquisire la qualifica di ordinamento giuridico minore, tollerato o
derivato.
―L‘ordine, nel senso che oggi si direbbe istituzionale, viene
contrapposto alle leggi singole; esso è un principio regolativo ed è un valore
di carattere politico o civile, che esercita una funzione di freno sulle
passioni e gli interessi in conflitto‖115. Esiste, indubbiamente, una stretta
affinità semantica tra ―ordine‖ e ―ordinamento‖, ma i due concetti,
originariamente legati, non vanno confusi.
L‘ordinamento viene disegnato come un insieme di norme che
regolano le situazioni giuridiche degli appartenenti a una categoria
sociale116.
È stato sostenuto, ed è oggetto di comune esperienza, che nell‘ambito
di un ordinamento giuridico coesistano una serie di norme, che possono
costituire ordinamenti minori o micro-ordinamenti, talvolta anch‘essi forniti
di un certo grado di complessità117. Un sistema giuridico, come un
complesso di elementi interagenti, determina che ciascuno di questi microordinamenti assuma un carattere funzionale118.
115
V. FROSINI, (voce) Ordinamento giuridico (filosofia del diritto), in Enciclopedia
del diritto, vol. XXX, Milano, 1980, p. 639.
116
Ivi. Tre diversi modelli concettuali vengono adottati per la descrizione del
fenomeno in questione: in senso teoretico, l‘ordinamento è il diritto, ossia il campo
dell‘esperienza giuridica nelle relazioni umane, è organizzazione giuridica e struttura
normativa; in senso tecnico, l‘ordinamento giuridico non è l‘intero diritto, ma solo un
modello di esperienza giuridica che non basta di per sé a esaurirla; in senso pratico,
l‘ordinamento è più che diritto, esso è un principio interpretativo della realtà sociale nella
sua globalità, delimitata dal diritto in un campo peculiare, ma per ciascuno dei diversi
campi - sociologico, morale, economico - è possibile rilevare un ordinamento.
117
Ivi, p. 642-643.
118
L.M. BENTIVOGLIO, Ordinamento giuridico o sistema di diritto?, in Riv. trim. dir.
pubbl., XXVI, 1976, p. 893, il quale si esprime sulle norme giuridiche qualificandole
come elementi del tutto, come ‗elementi di coesione‘ del sistema giuridico, e V. F ROSINI,
(voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 647. L‘Autore ha sostenuto che l‘ordinamento
giuridico non è solo il complesso di regole che definiscono il comportamento sociale e
che, a loro volta, sono sottomesse alle ―regole d‘insieme‖, che ne disciplinano la
formazione e il riconoscimento, quanto piuttosto un insieme di regole ed eccezioni. Da
qui deve escludersi il proposito di attribuire a un ordinamento, ―un carattere rigoroso di
54
Secondo
Frosini,
dunque,
lo
stesso
concetto
di
―unità‖
dell‘ordinamento sarebbe di per sé fittizio e risponderebbe più a
un‘esigenza pratica, quella di risolvere conflitti di attribuzione, competenza
e giurisdizione119.
In verità, se ci attenessimo solo alle parole dell‘Autore – chiarissime
sul concetto di ordinamento ma anche perfettamente radicate nel momento
storico in cui sono state scritte – saremmo portati a ritenere che una
pluralità di ordinamenti giuridici comporta la sola presenza di diversi
sistemi giuridici, i quali, l‘un l‘altro, stanno in un rapporto di reciproca
tolleranza o autonomia. Secondo questa definizione, potremmo dire che le
diverse regole dettate nello spazio on line (si pensi ai forum di discussione o
alle community on line, i cui amministratori stilano norme di accesso alle
discussioni, come la creazione di account e quelle di sopravvivenza nella
stessa comunità, imponendo, ad esempio, norme comportamentali di
obbligo o di divieto, tenendo per sé la possibilità di sanzionare i soggetti
irrispettosi delle stesse, anche con l‘espulsione dallo spazio on line – blocco
dell‘account) possono rappresentare dei micro-ordinamenti tollerati o
autonomi da quelli statali nei quali, di volta in volta, operano.
In realtà, bisognerebbe recuperare la visione di ―ordinamento‖, cara
alla dottrina più risalente, che trae origine dalle parole di Santi Romano120, e
cioè, l‘istituzionalizzazione del concetto di ordinamento e di diritto, che si
sposa perfettamente con ciò che oggi il diritto è.
L‘Autore in parola sostiene che il diritto, prima di ―concernere un
semplice rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura,
regolarità, di un ordine sistematico che viene contraddetto dalla sua flessibilità, ambiguità
e adattabilità al terreno accidentato del reale, su cui l‘ordinamento si colloca e si muove‖.
119
Ibidem, p. 648. ―L‘unità sistematica‖, si dice, ―non è un‘istanza del diritto
positivamente inteso, non nasce, cioè, dall‘insieme delle proposizioni giuridiche, ma è
un‘istanza che sorpassa la positività e che ritrova altrove la sua legittimità‖ .
120
S. ROMANO, L‟ordinamento giuridico, Firenze, 1977, così commentato da V.
FROSINI, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 640: ―Santi Romano riscopre il significato
specifico dell‘ordinamento giuridico, compiendo un‘operazione mentale simile a quella
dell‘intagliatore di pietre preziose, che ripulisce dal magma, sfaccetta e mette in piena
luce un cristallo‖ .
55
posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come
unità‖. ―Se così è‖, continua l‘Autore, ―il concetto che ci sembra quasi
necessario e sufficiente per rendere in termini esatti quello di diritto, come
ordinamento giuridico considerato complessivamente e unitariamente, è il
concetto di Istituzione. Ogni ordinamento giuridico è Istituzione e,
viceversa, ogni Istituzione è un ordinamento giuridico: l‘equazione tra i due
concetti è necessaria e assoluta‖121.
Volendo assumere questa definizione di ordinamento, che, dunque, è
insieme di precetti giuridici e istituzionali, ci si chiede se il cyberspace
possa essere considerato un autonomo ordinamento giuridico. Alla luce di
quanto esposto, sembra, in verità, che il cyberspazio non potrebbe mai
ottenere la qualifica di ordinamento, poiché, in primo luogo, di esso non ha
i requisiti essenziali. Infatti, non ha una comunità identificabile, non ha
Istituzioni che ne guidano il governo, non ha un territorio122 sul quale
imporre il rispetto delle regole. Conseguentemente, ci si chiede: potrebbe
essere, invece, l‘insieme di tanti ordinamenti giuridici minori? In realtà,
questa ipotesi sembra inverosimile, perché, anche laddove volessimo
qualificare la netiquette123 come norma giuridica – la qual cosa già sembra
un‘operazione azzardata –, comunque, i soggetti che impongono le norme
comportamentali on line non sono qualificabili come istituzioni organizzate,
con la legittimazione di dettare regole valevoli erga omnes.
Il diritto, dunque, è sì norma diretta a ordinare la società (ubi societas
ubi jus) ma è anche norma connessa a un‘organizzazione, a un‘istituzione,
condizione necessaria e sufficiente, volendo accogliere la tesi di Santi
S. ROMANO, L‟ordinamento giuridico, cit.
Sul concetto di territorio come elemento dell‘ordinamento giuridico, si veda per
tutti A. GIOIA, (voce) Territorio in diritto internazionale, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, 1999.
123
Il termine deriva dal vocabolo inglese net (rete) e quello francese étichette (buona
educazione). Si tratta di norme dettate dagli stessi utenti o da amministratori di siti e
forum al fine di realizzare una pacifica convivenza on line. Sulla qualificazione della
netiquette come codice di autoregolamentazione si veda A. PAPA, Espressione e
diffusione del pensiero in Internet, Torino, Giappichelli, 2009, p. 338 ss.
121
122
56
Romano, per attribuire alle norme carattere giuridico. Il diritto c‘è a
condizione che vi sia ordinamento e ordinamento c‘è a condizione che vi
sia istituzione124.
Chiaramente, l‘istituzione non è solo lo Stato, il fenomeno giuridico
esiste anche al di fuori dello Stato, nella misura in cui, però, esistano
Istituzioni diverse dallo stesso.
Certo, la dottrina italiana si è a lungo dilungata sul tema
dell‘ordinamento e la teoria istituzionalistica è solo una delle interpretazioni
date al tessuto connettivo che lega le norme a carattere giuridico.
Proveremo a capire se, anche alla luce di diverse definizioni, sarà possibile
riconoscere
delle
peculiarità
al
cyberspace
tali
da
permetterne
l‘inquadramento nella categoria suddetta.
Alcuni hanno sostenuto che siano quattro i modelli di ordinamento125,
descritti a partire dalla definizione di esso come un insieme di norme126.
Secondo il primo (modello lineare, a una dimensione), l‘ordinamento
sarebbe figurabile come una sequenza lineare di norme, legate tra di loro da
una relazione di successione. Graficamente, sostiene l‘Autore, potrebbe
La teoria dell‘Istituzionalismo, com‘è stato sostenuto, prevede tre condizioni
perché ci sia ordinamento: società, ordine e organizzazione. Dell‘ordinamento la società è
causa materialis, l‘ordine causa finalis e l‘organizzazione causa formalis.
L‘istituzionalismo risponde alla domanda ―an ius‖, enuncia cioè le condizioni necessarie
e sufficienti affinché ci sia ordinamento. Su questo concetto, si veda A. CONTE, (voce)
Ordinamento giuridico, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1976, p. 46.
125
La teoria è di A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 48-52.
126
Il normativismo, il cui maggiore esponente è H. KELSEN (La dottrina pura del
diritto, Torino, 1956, spec. p. 92 ss.) risponde alle diverse domande ―quid ius‖ e ―quid
iuris‖. La risposta alla prima è la qualificazione dell‘ordinamento come insieme di norme,
gerarchicamente ordinate in una struttura graduale, culminante in una norma
fondamentale, dalla quale ogni altra norma ripete validità. La risposta alla seconda sta
nell‘offrire un criterio per decidere se una norma è valida in un certo ordinamento. Per A.
CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 47, il concetto di istituzionalismo e
normativismo d‘ordinamento giuridico sono ―compatibili‖ e ―complementari‖. ―Una
ulteriore conferma di questa tesi è data dall‘analisi del processo di istituzionalizzazione.
Tre sono le condizioni dell‘istituzionalizzazione, dell‘ordirsi, ordinarsi, organarsi d‘un
insieme di agenti in istituzione, in ordinamento: proporre i fini, disporre i mezzi, imporre
le funzioni. Ma funzioni, mezzi, fini si impongono, dispongono, propongono con norme.
Per l‘istituzionalismo stesso, insomma, solo e primariamente attraverso norme un insieme
di atti si ordina, solo e primariamente attraverso norme un insieme di agenti si organa‖.
124
57
rappresentarsi con una linea retta unita da punti di norme sul medesimo
piano. Questo modello unidimensionale suscita subito una critica: le norme
di un ordinamento non sono in relazione semplice e lineare: non in
relazione semplice, perché, oltre che in successione, sono anche in relazione
di interazione e integrazione, ogni norma, infatti, interagisce con le altre e
ne risulta integrata nel significato e nella portata; non in relazione lineare,
perché non tutte le norme sono in relazione di successione127. Si pensi, ad
esempio, alle norme di rango diverso, attinenti a materie differenti: esse non
sono né in rapporto di successione, né d‘integrazione. O ancora, laddove
volessimo qualificare giuridiche le norme dettate dagli utenti nello spazio
virtuale, si pensi a quelle che attengono ai diversi forum o a quelle dettate
nei termini contrattuali dagli ISP, che forniscono servizi agli utenti:
anch‘esse, come si vede, possono essere totalmente autonome le une dalle
altre, infatti, l‘unico legame tra di esse sarebbe l‘appartenenza a un unico e
autonomo ordinamento giuridico, teoria che qui, per le ragioni già esposte,
e che verranno affrontate, non si sposa.
Il secondo modello (bidimensionale) prevede che le norme si
coordinino in una relazione complessa e piana. La teoria in questione parte
dal presupposto per il quale le relazioni che intercorrono tra le varie norme
non possono essere tutte rappresentate graficamente come punti adiacenti.
Esse vivono in una rete di relazioni più complessa, relazioni di successioni
e intermediazione. Non sono, dunque, riproducibili graficamente con una
linea retta di norme128. La critica a questa teoria sta nel fatto che, se da un
lato essa colma una carenza della prima, resta comunque insufficiente essa
stessa. In altre parole, nel secondo modello, ancorché si metta in luce una
genetica complessità del sistema normativo, non si riesce a spiegare
l‘essenza dello stesso e la ragione delle diverse relazioni che intercorrono
tra le norme, mancando del tutto il riferimento alla norma fondamentale.
127
128
A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 48.
Ibidem, p. 48.
58
Il terzo modello, invece, disegna l‘ordinamento giuridico come un
insieme spaziale di norme. Lo spazio è individuato dalle norme e da un
punto, che si pone al vertice dell‘ordinamento e che consiste nella norma
fondamentale129.
Anche laddove volessimo aderire alla teoria in questione, quale
sarebbe la norma fondamentale nel cyberspazio? Quale la norma da cui
ripetere la validità? In verità, immaginare in via teorica un ordinamento aterritoriale, parallelo a quello spaziale, che si auto-qualifica come norma
valida e validante, sembra allontanarci troppo dalla realtà di fatto, ancor
prima che dalle teorie costituzionalistiche sul tema, e un diritto non
ancorato al fatto, specie con riferimento alla Rete Internet, peculiare sotto
diversi aspetti, perderebbe la sua ragion d‘essere.
È chiaro che nel cyberspazio una norma superiore non esiste. Esistono
solo le diverse norme che, di volta in volta, vengono create dagli utenti o
dagli Isp, quindi, immaginare che una qualsiasi delle norme create dai
privati
possa
assurgere
a
norma
fondamentale,
implicherebbe
un‘attribuzione arbitraria di validità che non trova in nessun modo
giustificazione.
La norma fondamentale, peraltro, è, secondo l‘Autore130, condizione
necessaria ma non sufficiente della validità delle norme e, dunque, si deve
giocoforza ritenere che in ogni ordinamento vi sia un grado di
indeterminazione tra il grado supremo della norma fondamentale e il grado
delle altre norme.
Sorvolando sulla differenza che il pioniere del normativismo131
disegna tra l‘indeterminazione e l‘indeterminatezza delle norme, la terza
129
Il terzo modello presentato da Conte è quello propriamente Kelseniano.
A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 49.
131
L‘indeterminatezza consisterebbe nel fatto che la norma inferiore non è
completamente determinata dalla norma superiore. In questi casi il giudice si troverà a
godere di una certa discrezionalità, che, talvolta, gli è intenzionalmente lasciata dal
legislatore stesso. L‘indeterminazione si sostanzia nel fatto che la norma inferiore non è
130
59
tesi giunge, dunque, alla conclusione che ―ogni ordinamento, per semplice
che sia, ha una norma fondamentale: nessun ordinamento è acefalo‖132.
Dato che la struttura di Internet si presenta ―acefala‖ e ―acentrica‖133,
come già sottolineato, sarebbe dunque la sua stessa struttura a comportare
l‘impossibilità che la Rete si qualifichi come ordinamento a sé.
In verità, la questione per Internet è stata posta e, aldilà della diversa
tematica dell‘accesso alla Rete, su cui ci si soffermerà in seguito, una
proposta nel senso di prevedere una Carta fondamentale per i diritti on line
è stata presentata dalla dottrina e dai privati attivisti delle libertà digitali.
La dottrina134, da qualche tempo, accarezza l‘ipotesi di introdurre un
Internet Bill of Rights, al fine di rivendicare le libertà esercitabili on line
non solo verso gli Stati – rappresentando questa l‘evoluzione compiuta
della Declaration di Perry Barlow – quanto soprattutto nei confronti dei
―nuovi signori dell‘informazione, che, attraverso gigantesche raccolte di
dati, governano le nostre vite‖135.
L‘iniziativa costituzionale che la dottrina in questione propone si
allontana dagli schemi tradizionali, perché troppo diversa è la realtà che la
richiede. La stesura del Bill of Rights136, infatti, non dovrebbe essere frutto
della procedura adottata – ad esempio – per la Carta dei diritti fondamentali
dell‘Unione Europea, di per sé costruita sulla ―convenzione rappresentativa
del Parlamento e della Commissione Europea, dei parlamenti e dei governi
nazionali‖137, quanto piuttosto generata dall‘incontro di più voci, di una
pluralità di attori a diversi livelli, secondo la logica del multistakeholderism. La stessa dottrina riconosce come degna di valore la
integralmente determinata dalla norma superiore. Su questo tema, si rimanda a H.
KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit.
132
A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 51.
133
P. COSTANZO, (voce) Internet, in Digesto delle discipline pubblicistiche, cit.
134
S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, in Politica del diritto, XLI, n. 3, 2010.
135
Ivi, p. 342.
136
La Carta dei Diritti Umani e dei Principi in Internet, di cui si è discusso a Vilnius,
all‘Internet
Governance
Forum,
nel
2010,
è
reperibile
all‘indirizzo
http://internetrightsandprinciples.org/.
137
S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 343.
60
proposta intervenuta in seno all‘ONU, all‘interno dell‟Internet Society
Organization, da parte delle Dinamic Coalitions, gruppi di lavoro spontanei
che si occupano delle libertà della Rete e che hanno avuto occasione di
intensificare studi e proposte in conseguenza dell‘Internet Governance
Forum138, organizzato dalle Nazioni Unite. Il loro impegno è finalizzato a
creare e rendere effettivo un patrimonio comune di diritti, a garantire che le
libertà on line vengano esercitate all‘interno di un sistema di garanzie ben
definito. Questa proposta, che indubbiamente ha il pregio di porre al centro
del dibattito socio-politico la questione della Rete e dei diritti in Internet,
sconta però, a parere di chi scrive, un difetto originario: proviene dal basso
e non ha forza cogente.
Va considerato, di certo – come la dottrina139 ha sottolineato – che,
data la natura della Rete, è difficile che questi principi vengano imposti
dall‘alto e che, indubbiamente, un impegno del genere è espressione della
partecipazione di una molteplicità di privati che sfruttano la tecnologia per
mettere a punto progetti che siano espressione dell‘elaborazione comune e,
soprattutto, che questo determina forme inedite di creazione della regola
giuridica, creazione che diventa inevitabilmente ―orizzontale‖. In realtà,
però, questa visione eterea e ottimistica di una nuova produzione giuridica,
anche se indubbiamente suggestiva, è da guardare con sospetto. A fronte di
una partecipazione globale e di una più diffusa sensibilizzazione
costituzionale, si radicano, infatti, fenomeni di frammentazione, frutto della
spinta degli interessi economici settoriali che, di volta in volta,
intervengono nella costruzione orizzontale.
La proposta in questione, poi attuata con la redazione della Carta dei
Diritti in Internet, appare piuttosto come un buon inizio, come un buono
stimolo verso il riconoscimento dei diritti digitali, che sono nient‘altro che
vecchi diritti esercitabili in forme inedite e implementate, e che necessitano,
138
139
Per un approfondimento sul tema, si rimanda al paragrafo 2.3. di questo capitolo.
S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 344 ss.
61
però, dell‘intervento di un soggetto pubblico, nazionale o sovranazionale
(questo dipenderà dal significato che vorrà darsi alla crisi140 della sovranità
nazionale di fronte all‘impetuosa era della globalizzazione).
Una proposta simile, dunque, è insufficiente a garantire un‘effettiva
tutela dei diritti on line per la più semplice delle ragioni: non è una fonte del
diritto, né nazionale né sovranazionale, non impone, non garantisce, non
riconosce, insomma, da sola non regola141. Il fatto che sia stata emanata,
non a caso, non ha determinato nessun cambiamento effettivo nella
governance della Rete: i governi continuano a rivendicare il diritto di
mettere le mani su Internet, i tecnici a stabilire norme che, di fatto, ne
garantiscono il funzionamento e le istituzioni sovranazionali ad auspicare
più alte forme di garanzia e di efficaci applicazioni.
In sostanza, dunque, l‘idea di una norma fondamentale per il
cyberspazio non riesce a trovare risposta in una Costituzione per la Rete
dettata da privati o, come la dottrina auspica, in un ―costituzionalismo
Sul concetto di crisi della sovranità si veda P. BELLOLI, L‟antinomia tra sovranità e
diritto, in F.A. CAPPELLETTI (a cura di), Diritti umani e sovranità. Per una ridefinizione
del politico, Torino, 2000, p. 149-161 e B.M. BILOTTA, Crisi di sovranità e
rappresentatività normativa, in F.A. CAPPELLETTI (a cura di), Diritti umani e sovranità.
Per una ridefinizione del politico, cit., p. 213-226; M. GOLDONI, Critica e sovranità. I
nuovi
approcci
del
diritto
internazionale,
in
http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2003_n3/studi/D_Q-_studi_Goldoni.pdf;
M. LUCIANI, L‟anti-sovrano e la crisi delle costituzioni, in Scritti in onore di Giuseppe
Guarino, II, Padova, 1998, p. 731-808; F. BILANCIA, La crisi dell‟ordinamento giuridico
dello Stato rappresentativo, Padova, 2000.
141
Doveroso il rinvio a F. MODUGNO, (voce) Ordinamento giuridico (dottrine
generali), in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, p. 693 ss. Qui l‘Autore
sostiene che ―l‘autonomia privata rappresenta, in teoria generale, una potestà normativa
autonoma di disciplina dei rapporti tra privati che si aggiunge o si sostituisce alla
normativa statale della materia‖. Essa, anzi, darebbe luogo a uno o più ordinamenti
minori, indipendenti dall‘ordinamento statale, ―in quanto costituiti da regole di condotta
non prodotte dai pubblici poteri‖. Non si tratterebbe qui di potestà negoziale delegata
dalle norme dell‘ordinamento statale, in quanto la formazione è tutta spontanea e
―naturale‖. ―Si deve considerare‖, però, come l‘Autore sostiene, ―che le norme di
condotta poste nell‘ambito dell‘autonomia privata non assurgono al rango di norme
costitutive del c.d. diritto oggettivo, ossia non entrano a far parte dell‘ordinamento
normativo propriamente detto, secondo la norma positiva sulla produzione normativa‖. Si
veda sul tema anche V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1984, p. 42
ss. e 63 ss.
140
62
globale‖142, e, se così è, lo spazio digitale non può rappresentare di per sé
un ordinamento giuridico, perché privo di istituzionalizzazione e di una
seria forma di regolazione, che abbia come fonte una norma sovraordinata e
fondamentale.
Tornando ai modelli disegnati dalla dottrina143 per inquadrare
l‘ordinamento giuridico, la critica al terzo modello sta in ciò: oltre alle
coordinate spaziali, un ordinamento presenta anche coordinate temporali.
La norma fondamentale è, in realtà, anche un prius rispetto alle altre.
L‘ordinamento giuridico, quindi, può essere definito diacronico, e ripete la
sua validità dalla norma fondamentale144, che è precedente e validante
rispetto alle altre.
Anche
aderendo a
questa
visione
dell‘ordinamento, sarebbe
impossibile rintracciare una norma fondamentale nel cyberspazio, che sia
soprattutto temporalmente precedente rispetto alle altre. Dunque, da quanto
argomentato, il cyberspazio non è e non potrebbe essere un ordinamento
giuridico a sé.
S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet?, cit., p. 351, ―E proprio riflettendo su
Internet possono essere individuate le vie di un costituzionalismo globale possibile, non
affidato alla vertical domestication, con norme sovra-statuali incorporate nei diritti
statuali, né semplicemente trans-locale. Dunque, una costruzione del diritto per
espansione, orizzontale, un insieme di ordini giuridici correlati, quasi una costituzione
infinita‖.
143
A. CONTE, (voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 51 ss.
144
Per quanto attiene all‘aporia della norma fondamentale, si rimanda a A. CONTE,
(voce) Ordinamento giuridico, cit., p. 53, secondo il quale la norma fondamentale è per
definizione invalida, essendo di per sé suprema e non potendo ripetere la validità da
nessuna norma. Per qualificare un ordinamento come valido, dunque, sarebbe necessario
attribuire validità alla norma fondamentale per ipotesi o alla stregua del principio di
effettività, ossia la norma fondamentale è valida solo se l‘ordinamento in toto è nel suo
complesso efficace ed effettivo.
Sul tema della norma fondamentale come elemento unificatore dell‘ordinamento
giuridico, si veda N. BOBBIO, Teoria dell‟ordinamento, Torino, 1960, p. 40 ss.
Sul problema della validità dell‘ordinamento, si veda anche F. MODUGNO, (voce)
Ordinamento giuridico, cit. L‘Autore propone anche una diversa teoria dell‘ordinamento
giuridico, che si discosta dall‘istituzionalismo e dal normativismo. L‘ordinamento non
sarebbe solo l‘insieme delle istituzioni o l‘insieme delle norme, ma dovrebbe constare di
tre piani: rispettivamente, l‘insieme di uomini che costituiscono il gruppo sociale,
l‘insieme dei fatti sociali che rappresentano il gruppo sociale in divenire e l‘insieme delle
qualificazioni e valutazioni di quegli uomini come soggetti dell‘ordinamento e di quei
fatti come attività, azioni, strutture, oggetti che ne costituiscono imprescindibili elementi.
142
63
Visione diversa del concetto di ordinamento giuridico è quella di
Fazzallari145, il quale sottolinea la stretta connessione che esiste tra società e
ordinamento giuridico. ―Essi vengono a trovarsi in corrispondenza
biunivoca, nel senso che a una certa società corrisponde un certo
ordinamento, e che società e ordinamento s‘implicano a vicenda e
s‘individuano l‘una mediante l‘altro: ordinamento costituendo la struttura
portante di una società, e la determinata società costituendo l‘ambito in cui
l‘ordinamento vive e si svolge‖146.
Di certo, la società della Rete non può essere legata al solo
ordinamento giuridico statale, proprio in quanto a carattere globale, a meno
di non voler immaginare un Internet settato e ridotto agli stretti confini
territoriali, visione miope quanto errata già in principio.
L‘Autore, peraltro, supera147 le due concezioni già trattate, attinenti
alla teoria ―istituzionale‖ e ―normativa‖ e suggerisce un modello che si basa
anch‘esso sulle norme, ma è articolato conformemente alla realtà, cioè
all‘effettiva connessione tra le stesse148.
145
E. FAZZALLARI, (voce) Ordinamento giuridico (Teoria generale), in Enciclopedia
giuridica, Treccani, XXXI, Roma, 1990.
146
Ibidem, p. 1 ss. È chiaro che, come l‘Autore sostiene, in un ordinamento articolato
e complesso, ma proprio di uno Stato, è relativamente semplice stabilire quali siano le sue
norme. La loro produzione, infatti, è riservata a determinati soggetti e, quindi, la
giuridicità delle norme statuali può riconoscersi per il fatto che esse sono imposte da fonti
abilitate alla produzione. È proprio la provenienza da fonte legale, dunque, che attribuisce
la validità alla norma. In quest‘ottica la produzione normativa che nasce dal basso non
potrebbe assurgere a norma giuridica, perché non esiste fonte legale che la legittimi a
produrre norme.
147
Ibidem, p. 5 ss. Della prima teoria critica lo stesso ricorso alla nozione di
Istituzione nel significato di organizzazione di sistemi e apparati. In realtà, da un punto di
vista giuridico, si dice, la stessa organizzazione, dove c‘è, non è un prius rispetto al diritto
ma è anch‘essa un prodotto del diritto, cioè di norme giuridiche che, non per loro natura
ma per contenuto, si dicono di organizzazione. Nello stesso errore, secondo Fazzallari,
sarebbero incorsi i fautori della teoria normativa, secondo la quale l‘ordinamento è
composto di norme che traggono validità proprio in quanto collegate tra di loro in un
assetto a gradi, al cui vertice c‘è la Grundnorm.
148
Ivi. ―Come la norma giuridica, così l‘ordinamento è contraddistinto dall‘esclusività.
(…) L‘ordinamento è dunque superiorem non recognoscens, cioè mutua da se stesso la
propria legittimità‖ .
Questa caratteristica può indicarsi come autonomia, originarietà, autosufficienza e, per
gli Stati, sovranità. Quando l‘autonomia manca è improprio qualificare i sistemi come
64
Un ordinamento giuridico, si dice, è da intendere nella sua accezione
più propria e completa, come complesso di norme, di atti giuridici, di
posizioni soggettive e di connessioni tra questi, in astratto e in concreto.
L‘esperienza giuridica, chiaramente, non si esaurisce in quella di un
unico Stato, essa conosce una pluralità di ordinamenti giuridici. Diventa
necessario, dunque, indagare il rapporto che può esistere tra i vari
ordinamenti.
Se, infatti, essi si trovano in rapporto di reciproca collaborazione, la
produzione della regola giuridica si arricchisce di nuove norme e nuove
forme di legittimazione. Non sarà, dunque, solo lo Stato a poter porre la
regola, ma cederà, per certi versi e con i limiti che ogni Costituzione
prevede, parte della propria sovranità, in una logica che non risponde solo a
processi volontaristici, quanto a effettive esigenze di convivenza civile o di
applicazione generalizzata di valori condivisi.
Questa questione è particolarmente attinente al tema del cyberspazio.
Se, come abbiamo visto, non si vuole inquadrarlo come unico ordinamento
giuridico, né come una serie di ordinamenti giuridici derivati, va affrontato,
per uscire dall‘impasse e capire chi e come deve dettare regole, il tema della
sovranità statale, e conseguentemente, della crisi che ha investito la stessa, a
partire
da
un‘eccessiva,
quanto
inevitabile,
espansione
dell‘internazionalismo.
Sembra opportuno, infatti, prendere il via dal rapporto tra gli Stati
disegnato in Costituzione, al fine di capire se a questo si può ancor far
riferimento per dar sfogo alle istanze globali di uno spazio digitale oggi
sconfinato.
La Costituzione italiana annovera diversi precetti internazionalistici.
Essi sono frutto della consapevolezza che lo Stato è interamente calato nella
realtà internazionale, che ne condiziona inevitabilmente la vita interna.
ordinamenti, si può trattare tuttalpiù di settori dell‘ordinamento superiore, quindi di
ordinamenti derivati.
65
Tra le direttrici essenziali149 dettate in Assemblea Costituente, che
risultarono da un‘ampia convergenza tra le principali forze politiche
italiane, appaiono rilevanti l‘esigenza di proiettare anche sul piano
internazionale i valori di libertà e democrazia, il solidarismo internazionale,
nonché la necessità di assicurare che certi momenti salienti della politica
estera venissero controllati dal Parlamento.
Per
i
democristiani,
le
relazioni
internazionali
trovavano
giustificazioni di ordine ideologico, etico e politico. Esse erano da
ricondurre all‘universalismo cattolico di Moro150, dal quale derivava
―illusoria‖ e ―delittuosa‖151 l‘assoluta sovranità invocata nel corso della
storia. Quanto ai comunisti e socialisti, essi guardavano aldilà dei confini
perché consapevoli dell‘interdipendenza economica degli Stati. Lo stesso
Calamandrei152 ritenne necessario gettare le basi giuridiche per una più
vasta costruzione internazionale che potesse essere utile in futuro. Egli
ritenne strettamente indispensabile estendere la dottrina democratica oltre le
frontiere. Sempre in seno alla Costituente, La Pira153 accolse il pieno
riconoscimento della società oltre-frontiera: ―la sovranità dello Stato va
considerata nell‘ambito della comunità internazionale‖.
Quasi tutti i partiti in Costituente, dunque, sentirono la necessità di
promuovere un nuovo assetto della comunità internazionale fondato sul
superamento della sovranità assoluta dello Stato nazionale, su un‘intensa
collaborazione tra Stati e, quindi, su più penetranti limitazioni allo loro
sfera di libertà.
149
Sul tema chiare le parole di A. CASSESE, Lo Stato e la comunità internazionale. Gli
ideali internazionalistici del costituente, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla
Costituzione, Principi fondamentali, Art. 1-12, Bologna, 1975, p. 461 ss.
150
A. MORO, Lo Stato, Padova,1943, p. 223 ss.
151
G. GRANERIS, La Costituzione e i fini dello Stato, in Costituzione e Costituente,
Atti della XIX settimana sociale dei cattolici d‘Italia, Firenze, 1945, p. 53 ss.
152
P. CALAMANDREI, Costituente italiana e federalismo europeo, in Scritti e discorsi
politici, I, 2, p. 414 ss.
153
G. LA PIRA, in Assemblea Costituente, seduta pomeridiana dell‘11 marzo 1947,
reperibile
al
sito
http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed058/sed058nc.pdf.
66
Dai lavori preparatori154 all‘art. 11 Cost., si evince che quando si parlò
di organizzazioni internazionali, s‘intese riferirsi sia a organizzazioni
mondiali, come l‘ONU, sia a organizzazioni europee. L‘espressione
―limitazioni della sovranità‖, peraltro, non venne usata in senso generico,
non ci si riferiva, cioè, solo all‘obbligo di trasferire ad altri enti potestà
legislative e giudiziarie, ma alla possibilità di instaurare ampi e penetranti
vincoli internazionali155.
Queste ragioni politico-giuridiche, se da un lato, segnano il principio
della rilevanza della limitazione della sovranità statale, dall‘altro sono
insufficienti a spiegare la crisi che ha investito il concetto di sovranità nel
corso negli ultimi decenni. Altro, infatti, è prevedere la possibilità di
limitare la propria sovranità al fine di riconoscere valori condivisi a livello
mondiale156, altro è riconoscere una perdita in termini di efficacia della
sovranità statale, di fronte a una realtà come quella della globalizzazione,
ma soprattutto, della comunicazione globale, che mostra con estrema
chiarezza l‘insufficienza di un intervento meramente statale nella disciplina
dei più diversi settori dell‘ordinamento.
L‘indagine è ampiamente descritta da A. CASSESE, Art. 11, in G. BRANCA (a cura
di) Commentario alla Costituzione, Bologna, 1975, p. 569 ss.
155
Ivi.
156
Per quanto attiene alla legittimità delle limitazioni della sovranità, si veda A.
CASSESE, Art. 12, cit., p. 581 ss. L‘Autore ripropone la questione della parità tra gli Stati,
a condizione della quale, l‘Italia potrebbe cedere parte della propria sovranità. Ci si è
chiesti se fosse una condizione di reciprocità: sarebbe legittima la limitazione della
sovranità solo laddove una limitazione avesse riguardato gli altri Stati in egual misura.
L‘Autore ricorda che, quando è stato scritto l‘art. 11 Cost., il Costituente faceva
riferimento proprio all‘ONU, che solo in parte si fonda sul principio di uguaglianza.
L‘assoluta uguaglianza, dunque, in termini di cessione della sovranità, non è di certo
essenziale. Ciò che si esige è, secondo l‘Autore, che l‘Italia non si trovi in una situazione
di disparità, salvo che non sia necessario per promuovere la pace e la giustizia tra le
nazioni. Del resto, anche la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 98 del 1965 (con nota
di M. MAZZIOTTI, in Giur. cost., 1965, p. 1322 ss.) e n. 183 del 1973 (con nota di P.
BARILE, in Giur. cost., 1973, p. 2402 ss.), aveva statuito che la formula costituzionale
legittima le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all‘esercizio della funzione
legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per l‘istituzione di
una comunità degli Stati europei, ossia di una nuova organizzazione interstatuale, di tipo
sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e capacità di
rappresentanza internazionale.
154
67
Queste nuove realtà si sono realizzate in contrapposizione al ―mondo
ordinato del diritto di ieri‖157 e hanno generato la necessità di far
riferimento al concetto di global governance, sempre più distante da quello
di global government. Le regolazioni, come avviene per il cyberspace, sono
molte, ma non c‘è un‘autorità unica che possa imporne l‘obbedienza
dall‘alto, sanzionandone l‘inottemperanza158.
Ci si è chiesti in dottrina159 – e con ciò ci ricongiungiamo al tema della
regolazione senza legittimazione, affrontata con riguardo all‘ordinamento
giuridico – se può ancora parlarsi di ―diritto‖. Infatti, non essendoci
un‘unica volontà che s‘impone, pur interessando le questioni attinenti
all‘esercizio delle libertà tutti i Paesi attraversati dalla comunicazione
globale e dalla Rete delle reti, lo spazio globale, più che formato da norme e
regole indirizzate ai consociati soggetti all‘obbedienza, sembra governato
da una serie di interessi dei privati. Sembra più vicino, cioè, a un modello di
mercato, più che a quello di uno Stato.
A fronte di ciò, deve, dunque, dirsi che la comunicazione globale fa
recedere totalmente il ruolo degli Stati nella produzione delle regole
giuridiche e che, quindi, siano – e debbano essere – solo i privati a dettare
regole, per se stessi e per gli altri, in una sorta di sistema bidimensionale in
cui ―regolato‖ e ―regolatore‖ si equivalgono?
È vero che, come evidenziato160, questo procedimento non sempre
porta conseguenze di segno negativo, tuttavia, va osservato che i
S. CASSESE, C‟è un ordine nello spazio giuridico globale, in Pol. dir., XLI, n. 1,
2010, p. 138.
158
Ibidem, p. 139.
159
Ivi.
160
S. CASSESE, C‟è un ordine nello spazio giuridico globale, cit., p. 142 ss., in cui
l‘Autore sostiene che lo spazio globale sostituisce il meccanismo dell‘obbedienza alle
norme con ―dispositivi miranti a ottenere l‘osservanza delle norme su base volontaria
incentivata‖, fondati su premi e costi, che rendono conveniente osservare le regole
globali. Nello spazio globale, inoltre, vi è il fattore della molteplicità, che, ben lontana
dall‘essere pluralismo, contiene però regimi regolatori diversi. Infine, caratteristica
essenziale dello spazio globale è ―l‘apertura verso il basso‖. ―I Governi nazionali, di
fronte a una tale situazione, si trovano stretti tra società civile e procedure globali, che
assicurano vantaggi ai cittadini, e sono così costretti ad accettare limitazioni continue
157
68
meccanismi che operano nello spazio globale sono ―largamente incompleti,
asimmetrici e inefficaci‖161.
In sostanza, la prima grande problematica sollevata dalla dottrina è il
percorso cui conduce una regolazione confusa e complessa, in cui non è più
attribuito a ciascuno il proprio ruolo, regolazione, che approda
all‘inevitabile conseguenza della prevalenza di interessi economici su quelli
non economici, quali i diritti umani. Questo effetto, così come l‘assenza di
un serio regime di enforcement delle regole, rende di fatto debole e precario
il sistema delle norme ora esposto.
Ancorché, infatti, sia necessario ritenere, alla luce della valutazione
della realtà circostante, che debba essere abbandonata una concezione
esclusivamente volontaristica del diritto, per la quale esso sarebbe frutto
solo della regolazione statale, non si ritiene, come alcuni Autori162, che le
istituzioni globali abbiano in sé già una forma di legittimazione, e che
l‘assenza di un ordine generale e l‘esistenza di spazi non regolati possano
ottimisticamente operare in funzione evolutiva e condurre alla creazione di
un governo del mondo. A parere di chi scrive, questo modo di intendere gli
effetti della globalizzazione e della perdita di sovranità statale non porta
molto lontano. Lasciare totalmente a sé, ad esempio, la produzione
giuridica, che ha come oggetto le questioni della Rete, non può che
comportare una frammentazione giuridica, la quale non risponde né a
esigenze di effettività, escluse dalla Rete in linea di principio, né a esigenze
di tutela, perché, laddove diventa necessario intervenire, con regole precise,
a garantire interessi individuali e sovra-individuali, in realtà si finisce solo
per scrivere norme senza effetto.
della loro sovranità‖. In tal modo ne risulta un‘enorme diffusione di regole e principi. I
Governi nazionali, gli organismi sovranazionali e globali, nonché tutti gli ―attori‖ dello
spazio globale, cercano di ridurre asimmetrie e differenze per dialogare e competere
sullo stesso piano e ottenere così un più diffuso benessere sociale.
161
Ivi.
162
Ivi.
69
Da soli i privati non dettano norme che garantiscano i diritti di tutti e
da soli gli Stati non riescono a dettare norme che siano efficaci sulla Rete.
La soluzione, però, non sembra possa essere cercata in un finto spazio
globale, che è tutto e nulla in termini di legittimazione e garanzie. Aderire a
tale tesi, infatti, porterebbe a svuotare ogni norma di garanzia scritta nelle
Costituzioni europee e d‘oltre oceano.
La globalizzazione ha di certo posto un problema essenziale: possono
gli obiettivi dell‘uguaglianza sociale e del common good diventare un
traguardo generale, che fa prescindere dalle questioni politiche della
rappresentanza e della democrazia?163 In verità, appare preliminare
rispondere
a
un‘altra
domanda:
siamo
veramente
certi
che
la
globalizzazione e il disordine giuridico creato dalla stessa riescano a
raggiungere l‘obiettivo prefissato?
L‘asciugarsi delle distanze fisiche e spaziali, la convergenza dei mezzi
di comunicazione e la diffusione del www come finestra sul mondo
dell‘informazione hanno avuto una serie di conseguenze sulla politica e, più
in generale, sulla vita costituzionale164.
L‘impossibilità
di
far
riferimento
al
limite
e
al
territorio
tradizionalmente inteso ha posto, come visto, il problema del dominio
statale di tale realtà, in assenza di una trasformazione di sistema. Come
individuato dalla dottrina165, infatti, non solo lo Stato, come entità
autonoma, trova difficoltà a imporre regole dettate dalla propria sovranità,
ma anche il diritto internazionale in genere non ne va esente. Non a caso, si
parla, come abbiamo visto, di global governance, di politica globale, di per
sé diversa da quella strettamente internazionale, frutto della collaborazione
degli Stati in settori precisi e ben indentificati.
163
In questi termini, A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, Roma,
2002, p. 12 ss.
164
Ivi.
165
Ivi.
70
Con riferimento alla rete Internet, e cioè all‘insieme di attività
economiche e di azioni comunicative, una politica espressa da istituzioni, e
che sia di governo complessivo delle relazioni globali, manca del tutto166.
Non esiste autorità definibile come pubblica, che sia legittimamente
investita del potere di disciplinare tutte le attività della Rete e che possa
essere imputata a una comunità globale. Dunque, ci si chiede, la soluzione è
la ―non politica‖? La totale rinuncia a una forma di eteronormazione? In
altre parole, si deve immaginare un sistema di comunicazioni sociali che si
autoregola e che sia consapevolmente sottratto alle regole stabilite dalle
istituzioni politiche, col rischio che ciò comporti la prevalenza di interessi
economici privati nazionali e internazionali?
In verità, si deve concordare con chi167 ritiene che neanche il governo
dell‘Onu e delle istituzioni internazionali in suo seno, siano la riproduzione
di una politica in senso stretto. Certo, deve riconoscersi che la
globalizzazione168 ha comportato una de-istituzionalizzazione della politica,
cioè un impoverimento della stessa a favore di quella non istituzionalizzata.
Ciò ha avuto come effetto un ingresso delle grandi corporations169 nella
scrittura delle norme e nella gestione di una grande quantità di risorse e,
dunque, l‘acquisto nelle loro mani di un potere politico prima
166
Il tema è ampiamente affrontato, sotto diversi aspetti, da A. BALDASSARRE,
Globalizzazione contro democrazia, cit.
167
Ibidem. Ma si vedano anche C. BONVECCHIO, Lo Stato e il sovranazionale, in M.
BASCIU (a cura di), Crisi e metamorfosi della sovranità, Atti del XIX Congresso
nazionale della società italiana di filosofia giuridica e politica, Milano, 1996, il quale
parla espressamente di ―fictio giuridica e politica‖ con riferimento all‘ONU, essendo essa
del tutto priva di una sovranità effettiva, p. 6 ss. e A. CARATI, La crisi della sovranità
statale nelle nuove forme di ingerenza, in Quaderni di relazioni internazionali, n. 6,
2007, p. 33 ss.
168
Sul tema della globalizzazione, si veda ampiamente M.R. FERRARESE, Diritto
sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bari, 2006, p. 30 ss. e 107 ss.
169
Si pensi a Google, che scrive la normativa privacy degli utenti in spregio ai moniti
dell‘Unione Europea (su questo tema di veda M. VECCHIO, Privacy. L‟Europa da Google
vuole di più, in http://punto-informatico.it/3626898_2/PI/News/privacy-europa-googlevuole-piu.aspx), o ancora alle grandi major americane, che spingono il governo
americano verso politiche di tutela del diritto d‘autore, in criticabile bilanciamento con
l‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero on line. In questo senso J.
GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet?, cit., p. 68 ss.
71
inimmaginabile. In questo deficit istituzionale, che si traduce in una perdita
di legittimazione e di responsabilità politica, ci si chiede quale ruolo resti
alla sovranità statale170, e ancora, su cosa si baserà l‘ordine globale, se
quello internazionale, comunque, si basava sulla sovranità statale171.
Quando si parla di diritto, come giustamente affermato172, bisogna
sempre distinguere due momenti, il riconoscimento e le garanzie. Il primo
concerne l‘enunciazione dei diritti, il secondo riguarda i mezzi attraverso i
quali quelle enunciazioni possano essere tradotte nelle realtà. Il sistema
delle garanzie, in verità, può essere assicurato solo dai singoli Stati
nazionali con riserve di legge, di giurisdizione e attraverso il principio di
legalità. Dunque, proprio nella scissione tra il livello del riconoscimento e
quello delle garanzie, la globalizzazione incontra un limite significativo e
un‘insuperabile contraddizione, infatti è come ammettere che i diritti umani
sono universali ma la loro garanzia non può che restare agli Stati
nazionali173.
Con riferimento alla Rete, non può pensarsi di abbandonare la
sovranità statale e di far intervenire nella regolazione solo ed
esclusivamente
regole
di
mercato.
Quest‘ultimo,
infatti,
tende
170
La base giuridica del diritto internazionale è sempre stata la sovranità statale. Essa
è commisurata al territorio e al popolo e ha sempre avuto un carattere relazionale perché
da un lato rende possibile la convivenza delle distinte sovranità, dall‘altro è condizione
necessaria al fine di legittimare lo Stato come soggetto dell‘ordinamento internazionale.
Si vedano sul tema: G. CHIARELLI, (voce) Sovranità, in Nov. dig. it., XVII, Torino, 1976,
p. 1043-1053; M.S. GIANNINI, (voce) Sovranità, in Enciclopedia del diritto, XLII,
Milano, 1990, p. 225-231; D. QUAGLIONI, La sovranità, Roma, 2004.
171
Le domande sono poste da A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia,
cit., p. 48.
172
Ibidem, p. 55 ss.
173
Ibidem, p. 118 ss. L‘Autore sottolinea, infatti, che la politica e la pubblica
amministrazione non potranno mai globalizzarsi a causa di vincoli oggettivi legati
all‘organizzazione del consenso politico e a causa degli insormontabili problemi giuridici,
specie in ordine alla competenza o alla spettanza del potere di regolazione e controllo. La
razionalità comunicativa della politica si fondava su valori legati alla legittimazione
popolare e sul perseguimento del bene comune. Oggi la politica muta il riferimento ai
valori che l‘hanno caratterizzata in passato. Alla politica intesa come libertà di scelta
subentra un‘antipolitica che si esprime nelle forme della tecnocrazia. In altre parole,
diventa ricerca dei mezzi più efficienti per raggiungere i fini e gli obiettivi fissati dalla
competizione globale.
72
incessantemente a produrre disparità e disuguaglianze174 fra le persone, sia
sotto il profilo dell‘accesso, sia sotto quello delle opportunità e dei risultati
conseguibili. Ciò significa che il mercato, come sistema di regolazione
politica, per un verso crea cittadinanza diseguale e, per altro verso, produce
una diseguale ripartizione delle risorse e dei poteri, tanto da dar vita a
posizioni fortemente differenziate, a un‘accentuata polarizzazione tra
ricchezza e povertà, tra potere e mancanza di potere.
La dottrina175 ha sostenuto che, data l‘impossibilità di individuare
un‘autorità globale (per alcuni nemmeno auspicabile) che possa dettare
legge su Internet, l‘unica via percorribile per regolare la Rete in modo
uniforme sarebbe quella di un accordo tra gli Stati, dunque, un trattato
internazionale. Per rendere efficace tale scelta, però, si dovrebbe garantire
l‘adesione di tutti gli Stati e, siccome sarebbe difficile addivenire a una
totale partecipazione, la soluzione sarebbe da trovare nell‘esclusione
dell‘utilizzo di Internet per i Paesi non aderenti al trattato. In verità, questa
soluzione appare irragionevole. Infatti, in forza di quale autorità si potrebbe
privare uno Stato dell‘utilizzo della Rete? Inoltre, una tale soluzione, se da
un lato renderebbe definitivamente efficace in tutti i Paesi che utilizzano
Internet una serie di principi indispensabili per la tutela dei diritti di libertà,
dall‘altro sembra decisamente impraticabile, senza contare che essa
risolverebbe il problema della sovranità ultra-nazionale, azzerando per
alcuni quella nazionale, che di essa è presupposto indefettibile.
Anche altra dottrina176, infatti, sfata il mito177 della global
governance178, sostenendo, innanzitutto, la difficoltà nell‘affidarsi a fonti e
174
Su questo concetto si veda B. KINGSBURY, Globalizzazione, Sovranità e
Disuguaglianza, in Alberico Gentili nel quarto centenario del De Jure Belli, Atti del
Convegno ottava giornata gentiliana, Milano, 2000.
175
A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 263.
176
C. FOCARELLI, Costituzionalismo internazionale e costituzionalizzazione della
Global Governance: alla ricerca del diritto globale, in Pol. dir., 2011, fasc. 2, p. 207237.
73
regolatori esterni allo Stato, poiché in essi si svela una realtà internazionale
―fragile‖.
Dunque, alla domanda sul se la regolazione globale riesca a
raggiungere l‘obiettivo del common good, la risposta non può che essere
negativa.
Infatti, anche se la prospettiva della regolazione cambia (da statecentred a people-centred), la dottrina179 ha comunque ritenuto difficoltoso
anche solo pensare a una Costituzione internazionale.
Innanzitutto, ci si è chiesti se la Carta delle Nazioni Unite possa
considerarsi una Costituzione della comunità internazionale, al di sopra di
ogni Trattato. A suffragio di tale teoria, sono state poste due ragioni: in
primo luogo, la costituzionalità della Carta sarebbe conseguenza del fatto
che essa s‘imporrebbe a Stati terzi anche senza il loro consenso e, in
secondo luogo, che sia suscettibile d‘interpretazione evolutiva, alla stregua
delle Costituzioni statali.
A contrario, però, si concorda con chi180 ha sostenuto che le ragioni
addotte per la costituzionalità della Carta siano fragili e poco persuasive. È
stato messo in luce, infatti, che, nelle Nazioni Unite, manca qualsiasi tipo di
separazione dei poteri, un‘adeguata distribuzione di pesi e contrappesi tra i
suoi organi e, si aggiunge, una reale forma di rappresentanza, che possa
suffragare l‘esercizio di poteri costituenti.
Per una visione scettica del diritto globale, si veda A. COLOMBO, L‟interminabile
tramonto del sistema degli Stati, in Quaderni di diritto internazionale, n. 6, 2007, p. 17 e
p. 24.
178
Il concetto della global governance, va ricordato, prende le mosse da lontano,
dall‘idea di una costituzione internazionale, una norma fondamentale che si indentifichi
nel principio di diritto: ―pacta sunt servanda‖ e ―consuetudo est servanda‖. Sul tema si
veda H. KELSEN, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale,
Milano, 1989; si veda anche G. AZZARITI, Il futuro dei diritti fondamentali nell‟era della
globalizzazione, in Pol. dir., 2003, fasc. 3, p. 341, in cui l‘Autore sottolinea la necessità
della politica e dei soggetti politici, anche se nella forma di istituzioni adeguate alla
globalizzazione, che rispondano alle esigenze nate dai diritti globali.
179
C. FOCARELLI, Costituzionalismo internazionale e costituzionalizzazione della
Global Governance: alla ricerca del diritto globale, cit., p. 226 ss.
180
Ivi.
177
74
Alla luce di ciò, la difficoltà anche solo di pensare a una Costituzione
internazionale (si pensi a quella redatta per il cyberspace) sta, inoltre, nel
fatto che le Costituzioni statali variano da Stato a Stato ed è difficile estrarre
un nucleo comune. Inoltre, nel diritto internazionale, mancando un‘autorità
mondiale e uno Stato capace di imporsi sugli altri, non resta plausibile la
costruzione di una Costituzione siffatta.
In verità, il fatto che l‘obiettivo, nel caso della Rete, sia conseguire il
riconoscimento delle libertà esercitabili in Internet, nonché una disciplina
che sia effettivamente armonizzata, fa nascere l‘inevitabile riferimento a
un‘autorità ―politica‖, legittimata, capace di porre regole tali da garantire a
tutti gli attori della scena regolatoria, anche privati, dei limiti invalicabili.
Del resto, questa sentita necessità di recuperare il significato della
sovranità nazionale, almeno in forma di sovraordinata determinazione delle
regole su quelle dei privati, che si gestiscono da sé senza limiti e garanzie,
non allontana la regolazione dai destinatari delle norme, anzi, ne
presuppone l‘intervento, o in forma integrativa delle regole dettate dal
soggetto pubblico, o in forma indiretta, attraverso la creazione delle norme
dai soggetti legittimati a dettare regole erga omnes, secondo il meccanismo
della democrazia rappresentativa181.
D‘altra parte, non si può non tenere in considerazione che la
Costituzione italiana all‘art. 1 prevede che la sovranità appartenga al
popolo. Questo principio fondativo e indissolubile dà forza e sostanza ai
diritti declinati in Costituzione, esso è, cioè, un limite tanto alla revisione
costituzionale, quanto alle eventuali interferenze sovra-statali, un controlimite dunque, che pone un argine a quella forma di cessione della
sovranità, prevista agli artt. 10 e 11 Cost., e alla perdita di sovranità,
181
Sulla necessità di recuperare un intervento statale, si veda A. COLOMBO,
L‟interminabile tramonto del sistema degli Stati, cit., p. 25. Sul legame indissolubile tra
sovranità e rappresentanza, si veda C. FOCARELLI, La sovranità nell‟epoca della politica
globale, in Quaderni di Relazioni internazionali, n. 6, 2007, p. 50 ss.
75
conseguenza del diffondersi dello spazio digitale, in cui oggi i rapporti
umani si realizzano.
―La potestà sovrana‖182, è stato scritto, ―una volta affermatasi, se trova
nella Costituzione la sua fonte giuridica, e diviene così entità costituita,
tende tuttavia a ricercare in fonti extragiuridiche, espressione di una
ideologia politica, un titolo di giustificazione trascendente l‘ordine
positivo‖183. Col collegamento con la Costituzione, però, la sovranità
acquista un carattere giuridico e non più ―meramente fattuale, discendendo
da essa a carico di coloro che la esercitano un vincolo di corrispondenza ai
fini propri del tipo di ordine garantito dalla Costituzione medesima‖.
In verità, non è sempre facile tenere ben distinto il concetto di
sovranità popolare da quello della formazione della regola giuridica
proveniente dal basso. È stato, infatti, sottolineato184, il difficile rapporto
che sussiste tra la sovranità del ―popolo‖ – e dunque la partecipazione
democratica alle scelte di carattere squisitamente politico – e la capacità dei
privati di imporre delle regole, specie in una realtà, come quella di cui ci si
occupa, in cui è la tecnica a orientare una serie di scelte.
La crisi della sovranità degli Stati, così fortemente influenzata dalla
comunicazione globale, è, in primo luogo, una crisi della politica e della
182
Si veda sul tema V. CRISAFULLI, La sovranità popolare nella Costituzione italiana,
1954, ora in ID., Stato, popolo, governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985,
p. 33 ss. e G. JELLINEK, Dottrina generale dello Stato, Milano, 1921, p. 43; L.
CARLASSARE (a cura di), La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli,
Paladin, Padova, 2004; R. MORETTI, (voce) Sovranità popolare, in Enciclopedia
giuridica, XXX, Roma, 1993; G. AMATO, La sovranità popolare nell‟ordinamento, in
Riv. trim. dir. pubbl.,1962; L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno, Milano,
1995; S. RODOTÀ, La sovranità nel tempo della tecnopolitica. Democrazia elettronica e
democrazia rappresentativa, in Pol. dir., n. 4, 1993, p. 569-600.
Sul tema della sovranità come espressione della politica, si veda L. BENTON, Empires
of exception: History, Law and the Problem of Imperial Sovereignty, in Quaderni di
Relazioni Internazionali, n. 6, 2007, p. 54.
183
Le parole sono di C. MORTATI, Art. 1, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla
Costituzione, Bologna, 1975, p. 22; si veda anche M. OLIVETTI, Art. 1, in R. BIFULCO –
A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006.
184
N. IRTI, Tramonto della sovranità e diffusione del potere, in Diritto e società, 2009,
3-4, p. 468 ss.; si veda anche A. GENTILI, La sovranità nei sistemi giuridici aperti, in Pol.
dir., 2011, fasc. 2, p. 181-205.
76
legittimazione democratica, affiancata da un‘impetuosa evoluzione
tecnologica, che, spesso, tramite i privati che gestiscono e utilizzano la
Rete, prende il sopravvento.
Prendere atto di questi cambiamenti e della necessità di superare la
concezione stantia del diritto, legata solo all‘eteronormazione, non può,
però, significare azzerare né il ruolo del soggetto pubblico, né il ruolo,
ancora più essenziale e, potremmo dire, pregiudiziale, della politica
democratica185, che, sola, può legittimare la regolazione erga omnes, quanto
meno nei principi ai quali i regolatori devono attenersi.
Ai cittadini va ridata la sovranità che gli appartiene, ai privati, invece,
la possibilità di regolare in via integrativa l‘eteronormazione del potere
pubblico, a prescindere dal livello di governo al quale si faccia riferimento,
che, nel caso del cyberspazio, difficilmente sarà a carattere nazionale.
Ciò comporta che l‘affidarsi a istituzioni globali non rappresentative,
se da un lato risolve il problema dell‘insufficienza del singolo Stato di
fronte all‘a-territorialità del fenomeno Internet, dall‘altro, priva della
possibilità di scelta chi dovrebbe dettarla in prima istanza e svilisce del tutto
il concetto di sovranità.
Alla luce di quanto detto, le tematiche attinenti alla sovranità risultano
indispensabili ai fini di una proposta regolatoria della Rete delle reti. La
misura di quanto ciascuno Stato debba fare o possa fare in un territorio
senza confini territoriali è il primo passo per identificare gli autori delle
regole che disciplinano la Rete.
Interessante è anche il tipo di approccio che l‘Unione Europea ha
avuto rispetto ai temi della governance di Internet, ma, prima di guardare
alla regolazione intervenuta dall‘alto, è necessario un focus sulle norme che
effettivamente vengono scritte dai privati, tecnici e non, che, come
185
Si veda sul tema M. DOGLIANI, Deve la politica democratica avere una sua risorsa
di potere separata? in S. CASSESE – G. GUARINO (a cura di), Dallo Stato monoclasse
alla globalizzazione, Milano, 2000, p. 61-72.
77
vedremo, hanno ricadute immediate, sulla vita dei singoli cittadini della
Rete.
2.3. Le regole interne di Internet e gli organismi privati in Rete
Appare preliminare capire chi e come, aldilà delle valutazioni di
carattere concettuale sulla sovranità dei soggetti che dovrebbero intervenire
nella regolazione di Internet, prende le decisioni che quotidianamente, pur
senza accorgercene, condizionano la nostra navigazione on line.
I soggetti privati che agiscono in Rete sono i più diversi. In questa
sede, ci si soffermerà su quelli che con maggiore forza s‘impongono nel
governo della Rete. Essi sono l‘ICANN186, l‘IGF, l‘IETF e il WSIS187. Un
comune denominatore lega tutte queste associazioni, con e senza scopo di
lucro: l‘essere soggetti non pubblici che si interessano di pubbliche
questioni attinenti alla Rete delle reti.
Quando si affronta questo tema, non si può non cominciare
dall‘ICANN, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, al
fine, innanzitutto, di indagarne la natura giuridica, oggi a carattere privato.
Cercheremo di spiegarne la nascita e l‘evoluzione, sottolineando il ruolo
che essa svolge nella governance della Rete e le problematiche di carattere
giuridico che ne conseguono.
La comunità di ingegneri che si occupò, dopo la Guerra fredda, di
costruire la Rete Internet, si adoperò anche per creare un‘istituzione che
potesse guidarne lo sviluppo e la diffusione. Solo nel 1988 vi fu il primo
riferimento alla Internet Assigned Names Authority (IANA), il vero
Per una ricostruzione dell‘organizzazione, si veda A. MURRAY, The Regulation of
cyberspace, cit., p. 100-110.
187
Per una comparazione tra le forme di legittimazione dei citati organismi, si rimanda
a I. TAKE, Regulating the Internet infrastructure: A comparative appraisal of the
legitimacy of ICANN, ITU, and the WSIS, in Regulation & Governance, Volume
6, Issue 4, p. 499-523, dicembre 2012.
186
78
predecessore dell‘ICANN. Guidata da John Postel188, il pioniere della Rete
delle Reti, e priva di personalità giuridica, IANA creò il sistema dei nomi a
dominio, stipulando un contratto con le Università e con l‘amministrazione
americana (DARPA189). Nel 1998 fu istituita una ―Newco‖, cui fu affidata
la distruzione degli indirizzi Ip e dei nomi a dominio, l‘ICANN, una ―no-for
profit corporation‖, con sede in California – dunque, assoggetta alle leggi
californiane – che, a seguito della stipula di un Memorandum of
Understanding con il Department of Commerce statunitense, assunse da
subito un ruolo determinante nella gestione della Rete.
L‘organizzazione, dunque, si occupa di distribuire gli indirizzi Ip e
tradurli in nomi a dominio ed è a carattere piramidale190: l‘ICANN
distribuisce una somma di indirizzi Ip ai gestori regionali (Registrars) nelle
varie parti del mondo e questi a loro volta li distribuiscono agli ISP, i quali
li concedono sotto pagamento del canone di abbonamento ai soggetti
richiedenti.
Per comprendere perché quest‘organizzazione191 svolga un‘attività
determinante per l‘accesso alla Rete192, è necessario un approfondimento
sul tema degli indirizzi IP (Internet Protocol Addreddes). Essi sono una
delle risorse necessarie per il successo e la crescita di un Internet globale,
ecco perché è stato il primo compito assegnato all‘organismo privato di
settore.
188
Per una precisa descrizione della storia di Postel, della nascita della Rete e
dell‘ICANN si veda J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a
Borderless World, cit., p. 46 ss.
189
Acronimo di Defence Advance Research Project Agency, Dipartimento della Difesa
del governo degli Stati Uniti d‘America, da sempre impegnato nel finanziamento del
progetto di ricerca che portò alla nascita di Internet.
190
Per una visione grafica della distribuzione di competenze all‘interno
dell‘organizzazione in parola, si veda la pagina http://www.icann.org/en/groups.
191
Sull‘organizzazione interna all‘ICANN, sui metodi di elezione, sulla struttura e la
direzione, nonché sul tema dei nomi a dominio, si veda, J. MATHIASON, Internet
Governance. The new frontier of global institutions, New York, 2009, p. 70-96.
192
Sull‘incidenza di quest‘organismo su diritti e libertà nella Rete, si veda T.E.
FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Associazione Italiana dei
Costituzionalisti, n. 1 del 2011, 15-12-2010, p. 3.
79
A ciascun soggetto, quando si connette a Internet, viene accordato un
indirizzo Ip193, un numero seriale che indentifica un luogo virtuale, che può
essere permanentemente attribuito a un dispositivo o temporaneamente
concesso al soggetto per l‘accesso alla sessione Internet tra quelli
disponibili all‘ISP, con cui il singolo ha stipulato un contratto.
Gli indirizzi Ip sono una risorsa limitata, o almeno lo erano nella
versione che fino a poco fa è stata utilizzata (Ipv4)194, e, pur essendo risorsa
invisibile e astratta, essa si rivela, come abbiamo visto, indispensabile alla
comunicazione nel web.
Il 6 giugno 2012 (Ipv6 day)195 c‘è stato il passaggio al nuovo
protocollo, messo a punto dall‘ICANN, che garantisce la possibilità di
moltiplicare per infinite volte (o quasi) il numero degli indirizzi Ip
disponibili per l‘accesso alla Rete internet.
L‘Ipv6, dunque, frutto del lavoro dei componenti dell‘ICANN, ha
permesso alla Rete di sopravvivere, evitando il collasso annunciato dalla
scarsità degli indirizzi Ipv4 e garantendo, in effetti, la possibilità di accesso
a Internet da parte di un numero pressoché illimitato di persone. Queste
scelte tecniche, com‘è evidente, incidono in maniera inesorabile sulla
governance della Rete, infatti, anche laddove i singoli Governi avessero
voluto investire sulla Rete, nell‘ottica di un‘implementazione dei diritti e di
competitività internazionale, non avrebbero potuto ottenere un risultato
effettivo, se la Rete si fosse di colpo ―bloccata‖ in ragione della limitatezza
193
Si veda anche nota 17 sul tema.
La versione ―4‖ dell‘Internet protocol prevede uno schema formato da 4 blocchi,
ciascuno di otto numeri tra 0 e 1, che permette la gestione contemporanea di 4,3 miliardi
di indirizzi univoci. Questa cifra, raggiunta nel 2011, ha generato l‘urgenza della
migrazione all‘Ipv6.
195
Lo schema Ipv6 provvede alla gestione di un numero al momento quasi illimitato di
indirizzi: 3,4 per 10 alla 38esima indirizzi. Un indirizzo tipico Ipv6 è formato da 128 bit,
rappresentato da 8 gruppi di 4 cifre, che utilizzano tutti i numeri da 0 a 9 e le lettere da a
ad f. Il nuovo protocollo è stato reso disponibile dall‘ICANN nel luglio del 2004, ma i
primi indirizzi col nuovo sistema sono apparsi solo nel 2008. Entrato in funzione l‘Ipv6,
il vecchio Ipv4 sarà tenuto in vita solo fino al 2025, come sistema di backup per evitare
eventuali errori di comunicazione. Per una descrizione tecnica della questione, si veda
DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p. 1-20.
194
80
delle risorse. Dunque, la sperimentazione tecnica e le decisioni prese da tali
organizzazioni, ancorché poi decentrate, perché coinvolgono l‘azione
coordinata dei singoli ISP, diventano di fatto il presupposto di qualunque
politica regolatoria, nazionale o sovranazionale.
La gestione del nuovo protocollo196, dunque, oltre a essere totalmente
tecnica, è anche inevitabilmente politica. Le decisioni sull‘introduzione di
nuove tecniche, infatti, incidono sul controllo del globale flusso di
informazioni, sull‘accesso alla conoscenza, sui diritti di libertà on line, su
politiche per l‘innovazione, sulla competitività economica e sulla sicurezza
nazionale. Peraltro, va sottolineato che il protocollo Ip rappresenta una delle
regole tecniche (technical standard) che svolge un ruolo fondamentale. Le
due più significative caratteristiche sono la sua universalità (l‘Ip è
condizione
necessaria
per
stare
in
Rete)
e
il
riconoscimento
(indipendentemente da se l‘indirizzo Ip è assegnato in via permanente a un
pc o in via temporanea per un sessione Internet, può potenzialmente fornire
informazioni rispetto a quale dispositivo conduce una specifica attività in
uno specifico momento nel tempo)197.
Prima di interrogarci sulla questione di fondo, e cioè sul come ovviare
alla totale mancanza di legittimazione di un organismo come l‘ICANN e sul
se esistono proposte nel merito, va aggiunto un altro tassello alla
196
Per le una rassegna stampa della vicenda si vedano i seguenti indirizzi
http://www.ispaziomac.com/22876/oggi-internet-si-allarga-ufficialmente-con-ilpassaggio-a-ipv6; http://punto-informatico.it/3533699/PI/News/ipv6-day-2012-cominciaswitch-off.aspx
e
http://www.key4biz.it/News/2012/06/06/Tecnologie/Internet_Society_ipv6_ipv4_Microsof
t_Facebook_Google_Yahoo_garr_cnr_210929.html.
La
pagina
ufficiale
dell‘organizzazione interna all‘ICANN che si è occupata della questione è reperibile in
http://www.internetsociety.org/ipv6/archive-2011-world-ipv6-day.
Va sottolineato che lo sviluppo dell‘Ipv6 è uno degli elementi chiave della Digital
Agenda europea. La stessa Neelie Kroes, vice commissario della Commissione Europea
responsabile dell‘Agenda digitale, ha sostenuto che esso è presupposto per l‘innovazione
della Rete e dell‘Europa. Si veda, a riguardo, la pagina http://ec.europa.eu/digitalagenda/en/newsroom/all/speeches.
197
DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p. 15
ss.
81
spiegazione. Alla questione degli indirizzi Ip è intimamente legata quella
dei nomi a dominio.
La riconoscibilità dei nodi della Rete, infatti, è garantita dagli indirizzi
Ip, ma non è sufficiente a permettere una veloce comunicazione.
Raggiungere un indirizzo è molto più semplice se si conosce il nome a
dominio198, che traduce in parole i numeri dell‘indirizzo Ip, rendendone più
facile la memorizzazione e, quindi, il raggiungimento. L‘ICANN, a
riguardo, ha diverse competenze, innanzitutto coordina questo settore. ―Le
sue funzioni sono definite meramente tecniche ma, in realtà, si tratta di
funzioni di determinazione degli indirizzi (policymaking)‖199.
Quest‘organizzazione, di fatto, può autorizzare una società a operare
con un determinato nome a dominio, con effetti immediati sui diritti degli
operatori200.
L‘acronimo del sistema dei nomi a dominio (Domain Name System) è DNS. I nomi
a dominio sono strutturati in maniera gerarchica: ―.org‖ o ―.com‖ etc. sono nomi a
dominio di primo livello (top-level domain name, TLD), il nome che precede, ad esempio
―google‖, è il nome a dominio di secondo livello (second level domain name, SLD).
Prima di quest‘ultimo, c‘è il www, che indica la navigazione nel web, a meno che non
siano utilizzati altri livelli gerarchici, che implicano la presenza di uno o più nomi prima
del www. Ogni parola compresa tra i punti indica una particolare zona, gestita da un
soggetto. Il modello è quello del ―distributed administration‖, che permette la delega dei
differenti livelli del nome a dominio. Su questo concetto si veda, in particolare, M.L.
MUELLER, Ruling the Root. Internet Governance and the taming of cyberspace, The Mit
Press, 2002, p. 41-42. Ancora, va detto che i top-level domain possono essere generici
(.org - .net - .com) o nazionali (.it - .uk -.de), in tale ultimo caso c‘è una diretta
corrispondenza tra un sito e un‘area geografica.
199
L‘osservazione è di B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, in Riv. trim.
dir. pubbl., 2007, 03, p. 681 ss.
200
Si veda, infatti, W. KLEINWÄCHTER, Beyond ICANN vs. ITU? How WSIS tries to
enter
the
new
territory
of
Internet
Governance,
in
http://www.unicttaskforce.org/perl/documents.pl?id=1294, p. 2, in questi termini: ―The
introduction of new Top Level Domains, while basically a technical question (…) is like
the creation of new territory in Cyberspace and has unavoidable economic and political
implications‖.
Si pensi anche alla questione del top domain name ―.xxx.‖ Già anni fa era stata
presentata richiesta per l‘introduzione del suddetto nome a dominio, in modo che esso
corrispondesse ai siti vietati ai minori, a contenuto pornografico, sia per ragioni
commerciali che di più facile identificazione. Originariamente respinta dall‘ICANN, per
ragioni di natura etica (motivazioni reperibili dall‘Internet Governance Project, Review of
Documents Released under the Freedom of Information Act in the XXX Case - 19 maggio
2006 - paper IGP06-003, disponibile su http://internetgovernance.org/pdf/xxx-foia.pdf.),
la proposta è stata poi accettata nel 2011 e il passaggio di molti siti al nuovo nome a
198
82
Inoltre, va detto che l‘ICANN ha un meccanismo proprio di
risoluzione amministrativa delle controversie, denominato UDRP201. Si
tratta di un procedimento amministrativo, messo a disposizione degli utenti
di rete che hanno acquistato un nome a dominio. Esso può essere intrapreso
da un privato laddove ritenga che il suo diritto all‘uso del nome a dominio
sia stato illegittimamente leso. La finalità del denunciante è ottenere la
cancellazione del nome a dominio usurpato illegittimamente o il
trasferimento dello stesso in capo a sé. Se l‘arbitro, cui si fa riferimento,
decide per la ragione del denunziante (nei casi di mala fede nella richiesta
del nome a dominio o di tentativo di frode o ancora di concorrenza sleale da
parte del convenuto) si attendono dieci giorni prima di attuare la decisione.
Se nei giorni successivi non viene notificato alcun avviso, la decisione
viene resa esecutiva. Se, invece, nei dieci giorni suddetti, si ha notizia di un
procedimento giurisdizionale (a esso parallelo e cumulativo, salvo
chiaramente la prevalenza del provvedimento giurisdizionale nel caso di
contrasto), non viene data attuazione alla decisione ma si attende un
documento ufficiale che attesti l‘estinzione del processo o l‘avvenuta
dominio
è
già
avvenuto.
La
notizia
è
reperibile
in
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/09/07/news/siti_porno_un_dominio_tutto_loro
_l_indirizzo_diventa_xxx-21350137/
e
in
http://www.key4biz.it/News/2012/01/12/Net_economy/icann_internet_tld_domini_rod_be
ckstrom_207785.html, in cui si evidenziano le ricadute che la scelta dell‘ICANN ha avuto
sulle aziende che dovranno trovare il modo di difendere il proprio marchio per evitare che
esso venga registrato come nome a dominio di secondo livello, affiancato a quello di
primo livello del .xxx. Non a caso, già la Federal Trade Commission americana, in una
lettera del 16 dicembre 2011, aveva sottolineato che i nuovi domini avrebbero ―aumentato
incredibilmente la possibilità di frodi‖ e aveva chiesto all‘ICANN di avviare un progetto
pilota e di ridurre il numero di suffissi passibili di approvazione.
201
Si
veda,
infatti,
l‘art.
4
del
Policy
document,
in
http://www.icann.org/en/help/dndr/udrp/policy#4. E, per la dottrina americana a riguardo,
si vedano L.R. HELFER, Whither the Udrp: Autonomous, Americanized, or
Cosmopolitan?, in Cardozo Journal of International and Comparative Law, 2004, p. 493
ss.; M. FROOMKIN, Icann‟s “Uniform Dispute Resolution Policy” - Causes and (Partial)
Cures, in Brooklyn Law Review, 2002, p. 605 ss.; L.M. SHARROCK, The Future of
Domain Name Dispute Resolution: Crafting Practical International Legal Solutions from
within the Udrp Framework, in Duke Law Journal, 2001, p. 817 ss.; J.G. WHITE, Icann‟s
Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy in Action, in Berkeley Technology Law
Journal, 2001, p. 229 ss.
83
transazione della controversia, o ancora una sentenza che, eventualmente, o
ordini ai Provider dell‘ICANN di cancellare il nome a dominio, o stabilisca
il ―non diritto‖ del convenuto di continuare a utilizzare il nome in
questione.
In sostanza, si tratta di una gestione del nome a dominio202 del tutto
arbitrale, senza nessun tipo di garanzia giurisdizionale, o quanto meno in
concorrenza
con
essa.
La
procedura
è,
infatti,
obbligatoria,
e
l‘obbligatorietà discende dall‘inserimento delle clausole nei contratti tra
operatori e utenti finali. Il sistema, di fatto, incide sulle situazioni giuridiche
dei singoli perché può privarli dell‘uso di un particolare nome a dominio.
Certo, è sempre possibile ricorrere ai tribunali nazionali, che applicheranno
chiaramente il diritto interno, anche se c‘è stato un caso, invero unico,
peraltro ribaltato in appello203, in cui un giudice americano dichiarò la
propria incompetenza in ragione del fatto che la lite fosse stata già arbitrata
dall‘ICANN.
Possiamo, dunque, trarre le prime conclusioni rispetto all‘attività che
quest‘organizzazione svolge. Essa è, da un lato, una corporation204,
202
Sul tema, si vedano i contributi di M. PIERANI, Marchi e nomi a dominio: un
“doppio binario” per la risoluzione delle controversie, in Riv. dir. ind., 2001, 6, p. 495
ss.; C.M. CASCIONE, I domain names come oggetto di espropriazione e di garanzia, in
Dir. inf. infomatica, 2008, 01, p. 25 ss.; E. FOGLIANI, Recenti sviluppi dell‟Internet
Governance italiana: la nuova “Commissione per le regole” del registro del ccTDL.it, in
Dir. inf. informatica, 2004, 06, p. 791 ss.; A. MAIETTA, Il Regolamento CE n. 874/04 per
i domini “.eu”: una prospettiva convincente, in Dir. inf. informatica, 2004, 4-5, p. 679
ss.; L. MARINI, Il sistema dei nomi a dominio per l‟identificazione dei domini Internet, in
Dir. un. eur., 2000, 03, p. 631 ss.; ID., Reti di comunicazione elettronica e servizi
collegati nel diritto comunitario: il caso dei nomi a dominio internet, in Dir. comm.
internaz., 2001, 01, p. 3 ss.; L. MENDOLA, La Uniform Domain Name Dispute Resolution
Policy, in Dir. comm. internaz., 2003, 01, p. 57 ss.
203
Si tratta del caso Barcelona.Com, Inc. v. Excelentisimo Ayuntamiento de
Barcelona, U.S. Court of Appeal of the First District, consultabile in
http://www.ca1.uscourts.gov/pdf.opinions/01-1197-01A.pdf. Per un commento alla
sentenza, si veda Z. EFRONI, A Guidebook to Cypersquatting Litigation: The Practical
Approach in a Post-Barcelona.com World, in Journal of Law, Technology and Policy,
Vol. 2, p. 457 ss.
204
In questo senso, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and
Institutions, cit., p. 60. Qui gli Autori definiscono l‘ICANN come una corporazione no
profit, basata sull‘autoselezione del consiglio di amministrazione. In termini economici, si
dice, l‘ICANN è un‘impresa e il suo statuto è basato sui valori della stabilità operativa,
84
dall‘altro, un ente di standardizzazione e, soprattutto, un organo di
governo205.
Quattro sono le caratteristiche che qualificano l‘ICANN come
un‘istituzione globale206: la struttura è atipica e denota un sistema multiorganizzativo207 nell‘ordinamento sovranazionale (l‘ente, di natura privata,
svolge un‘attività che ha di certo risvolti globali, ed è a lui affidata
indubbiamente una funzione ―pubblica‖); il sistema delle regole è
periferico, spontaneo208 (esso si fonda sul diritto privato: uno statuto, un
Memorandum, e i contratti conclusi con i gestori dei nomi a dominio), ma
riesce a incidere sui diritti dei singoli209; infine, il regime dell‘ICANN
scavalca quello degli Stati nazionali. Le norme adottate, infatti, sono
imposte direttamente ai privati, senza passare per il consenso dei governi.
È vero, però, che negli anni l‘ICANN ha subito notevoli modifiche di
sistema, infatti, anche se formalmente resta un‘organizzazione privata – che
taluni, già in origine, guardavano con sospetto per il legame che la teneva
unita al governo americano210 –, all‘interno dei diversi organi consultivi di
cui essa è dotata, ha assunto una particolare rilevanza il GAC
(Governmental Advisory Committee)211, composto dai rappresentanti dei
governi nazionali, che fornisce consulenza all‘ICANN per questioni che
attengono in genere all‘ordine pubblico.
affidabilità, sicurezza e globale interoperabilità di Internet, imperativi tecnici che
riflettono in modo evidente le origini tecniche della comunità dell‘ICANN.
205
Così B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit., p. 12.
206
La ricostruzione si deve a B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit.,
13 ss.
207
Si veda sul tema, G. DELLA CANANEA, I pubblici poteri nello spazio giuridico
globale, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, p. 1-20.
208
Qui il riferimento va immediatamente a G. TEUBNER, Global Private Regimes:
Neo-Spontaneous Law and Dual Constitution of Autonomous Sectors?, in K.H. LADEUR
(edited by), Public Governance in the Age of Globalization, Ashgate, 2004, p. 71 ss.
209
Si pensi alle tasse sulla registrazione dei nomi a dominio che l‘ente può, per il
tramite dei registrars, far riversare sugli utenti finali.
210
Si veda L. DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet
Governance, cit. p. 166-171 e anche L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance:
Infrastructure and Institutions, cit., p. 60.
211
La pagina ufficiale dell‘organo consultivo, all‘interno dell‘ICANN, è reperibile al
sito https://gacweb.icann.org/display/gacweb/Governmental+Advisory+Committee.
85
Ciò denota non solo la formazione di una peculiare partnership
pubblico-privata ma anche, e con ciò ci ricolleghiamo al discorso
precedente sulla sovranità, un‘evidente spinta degli Stati nazionali verso il
governo della Rete e, soprattutto, verso il recupero della sovranità perduta,
in ragione dei cambiamenti tecnologici e di una produzione giuridica nata
da sé, come nel caso sottoposto alla nostra attenzione.
Com‘è stato giustamente affermato, ―l‘analisi di questo settore
conferma che, nell‘arena globale, gli Stati perdono alcune potestà ma non
scompaiono definitivamente: piuttosto rimodulano l‘esercizio dei loro
poteri‖212. Non dettano regole di principio, all‘interno delle quali i privati
possono agire, ma, al contrario, per riappropriarsi di una forma di sovranità,
intervengono nella struttura di un ente privato al fine di collaborare con
esso e giocare un ruolo non marginale nella produzione delle regole.
In verità, questa spinta degli Stati verso una più incisiva presenza
nella governance della Rete dipende anche dalla convinzione che la scelta
di lasciare la gestione di rilevanti questioni tecniche – come i nomi a
dominio e la distribuzione degli indirizzi Ip – nelle mani di
un‘organizzazione di tecnici, che avrebbero garantito di certo trasparenza e
sviluppo, celasse, in realtà, un legame endogeno che univa l‘ICANN al
Department of Commerce americano, specie in considerazione del fatto che
non esiste un atto giuridico di legittimazione delle funzioni attribuite
all‘ICANN. Proprio questa sensazione di perdita – ancora una volta – di
sovranità, avvertita dagli Stati, ha condotto a una serie di proposte, aventi
tutte come fulcro la riconduzione dei poteri dell‘ICANN sotto il controllo
dell‘ONU, in un‘ottica di collaborazione intergovernativa.
Alle
domande
iniziali,
dunque,
su
quale
sia
la
natura
dell‘organizzazione e se ci siano state proposte modificative, la risposta
deve essere univoca ed è positiva.
212
Così B. CAROTTI, L‟ICANN e la Governance di Internet, cit., p. 17.
86
Due sono i punti fermi acquisiti: L‘ICANN è una struttura privata, i
cui contatti reali, però, col governo degli Stati Uniti restano per certi versi
oscuri, e diversi sono i tentativi di ricondurla sotto un controllo
intergovernativo, che snaturi agli effetti la sua originaria natura giuridica.
In verità, si deve riconoscere che la perplessità che nasce di fronte a
una realtà a tutti gli effetti politica, gestita da soli privati e tecnici della
Rete, con forti ed evidenti ricadute sull‘accesso a Internet, sulla possibilità
per gli stessi governi di mettere in opera politiche di innovazione e crescita,
non è meno forte rispetto alla possibilità di mettere il governo della Rete
nelle mani dell‘ITU, organismo dell‘ONU. Infatti, come già sostenuto sul
tema della sovranità, una tale scelta non rappresenterebbe una risposta
effettiva all‘assenza di legittimazione e, dunque, di sovranità statale e
sovranazionale, ma solo la possibilità, peraltro non auspicabile, di
riprodurre nella governance della Rete gli stessi squilibri di potere che
esistono all‘interno delle Nazioni Unite.
La
proposta
iniziale
è
stata
quella
di
stilare
un
trattato
internazionale213 – come si vede, torna l‘ipotesi del trattato suggerita dalla
dottrina214 rispetto alle questioni della Rete – che attribuisse all‘ITU215 gran
parte dei poteri che oggi competono all‘ICANN, cercando però di ottenere
una garanzia di rappresentanza e di partecipazione dei Paesi in via di
sviluppo.
Nel 2004 si espresse anche Zhao, direttore dell‘ITU, sostenendo che la
gestione degli indirizzi Ip e dei nomi a dominio non potesse essere lasciata
nelle mani dell‘ICANN, perché formalmente soggetto privato, ma
La proposta era già stata presentata dall‘Assemblea generale delle Nazioni Unite,
con
risoluzione
n.
183
del
2001
(reperibile
in
http://www.itu.int/wsis/documents/background.asp?lang=en&c_type=res). S‘invitava, in
quella sede, l‘ITU a interessarsi alla questione e proporla in tutte le sedi in cui era
possibile riportare la voce delle Nazioni Unite, specie nei diversi forum organizzati per le
questioni di Internet.
214
A. BALDASSARRE, Globalizzazione contro democrazia, cit., p. 263.
215
È l‘acronimo di International Telecommunication Union. Essa è un‘agenzia
specializzata delle Nazioni Unite, che si occupa di definire gli standard nelle
telecomunicazioni.
213
87
comunque intimamente legato al governo degli Stati Uniti. Zhao riteneva
che fosse indispensabile legare la questione della governance di Internet a
un organismo a carattere globale, che fosse emanazione delle Nazioni
Unite, come l‘ITU, occupandosi quest‘ultimo delle questioni attinenti alle
TLC.
È proprio da questa presa di posizione che nacque il WGIG, il gruppo
di lavoro delle Nazioni Unite che si occupa dell‘Internet Governance. Lo
stesso gruppo di lavoro ha definito l‘Internet governance come ―the
development and application by governments, the private sectors and civil
society, in their respective roles, oh shared principles, norms, rules,
decision-making and programmes that shape the evolution and use of the
internet‖216,
sottolineando,
così,
la
necessità
di
un
approccio
multistakeholder.
Anche la dottrina americana, del resto, ha sollevato il problema della
legittimità dell‘ICANN, salutando, però, con favore, la possibilità che certe
funzioni fossero trasferite a organismi sovra-nazionali217. L‘ultima proposta
a riguardo risale al febbraio del 2012. Il 27 febbraio è, infatti, iniziato a
Ginevra un negoziato diplomatico che avrebbe potuto portare alla
rimodulazione del trattato dell‘ITU attribuendogli poteri senza precedenti in
materia di Internet.
216
L. DENARDIS, Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit., p.
169.
Ibidem, p. 207. L‘Autrice si esprime in questi termini: ―the question of who should
centrally administer the allocation of resources has remained a source of controversy
centered around issues of international fairness, institutional legitimacy, security and
stability. This question is at the heart of ongoing conflicts between US oversight of the
IANA function under ICANN and the possibility of turning that function over to the
United Nations or other organization perceived as more international and
multistakeholder‖. In senso contrario, invece, L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet
Governance: Infrastructure and Institutions, cit., p. 60. Gli Autori, nonostante i nodi
problematici attinenti alla partecipazione democratica e alla competizione, ritengono che
l‘ICANN debba essere inteso come un tentativo di istituzionalizzare e preservare
l‘autonomia dell‘approccio di carattere tecnico-ingegneristico rispetto all‘internet
governance e di fronteggiare la pressione sulla cessione del controllo ai governi nazionali
e ai meccanismi di mercato.
217
88
Questa soluzione avrebbe messo in crisi la gestione multistakeholders
appena descritta e avrebbe potuto essere foriera di riforme non
propriamente positive.
Il dialogo tra più parti del mondo per una gestione della Rete comune,
neutrale e libera sarebbe un risultato formidabile, ma c‘è chi ha dubitato218
che lo strumento del Trattato potesse portare a una soluzione siffatta. In
linea di principio, infatti, taluni Paesi potrebbero non aderire al Trattato e
creare così una rete balcanizzata219 che di per sé devasterebbe il commercio
218
Anche N. Kroes, oltre al governo degli Stati Uniti, si è dimostrata fortemente
contraria alla possibilità che Internet divenga merce di scambio tra Paesi che contano nel
contesto internazionale. Potrebbero, sostiene la Commissaria, risentirne i diritti di libertà
esercitabili in Rete. Si veda, infatti, http://www.zdnet.com/no-need-for-un-to-take-overinternet-says-eu-digital-chief-kroes 7000003145/.
219
L‘espressione è di R. NATALE, Riforma di Internet: Russia e Cina stanno
spingendo per una nuova regolamentazione che darebbe poteri all‟ITU. Quali i rischi? in
www.key4biz.it, 21 febbraio 2012. Una rete a strati è, difatti, il primo rischio di un
Trattato cui non aderiscano tutti gli Stati. Si pensi alla Cina, che sta adottando una politica
decisamente censoria, e le cui decisioni potrebbero incidere negativamente se si desse
all‘accordo intergovernativo il potere di regolazione della Rete. In questo senso, anche R.
MCDOWELL (Commissioner of the Federal Communications Commission), The U.N.
Threat to Internet Freedom. Top-down, international regulation is antithetical to the Net,
which has flourished under its current governance model, reperibile in
http://online.wsj.com/article/SB10001424052970204792404577229074023195322.html.
Si vedano inoltre http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2012-10-19/rischio-governoliquido-201553.shtml?uuid=AbJOavuG;
http://www.key4biz.it/News/2012/10/22/Policy/telco_ott_franco_bernabe_wcit12_giulio_t
erzi_corrado_passera_213392.html;
http://www.lastampa.it/2012/10/20/cultura/opinioni/editoriali/la-nostra-sfida-per-laliberta-su-internet-2G7Vzl3eOXpM55wbFfGnnK/pagina.html. Sul sito del ministero
dello sviluppo economico è anche stata pubblicata un consultazione pubblica sui temi
affrontati dal consesso internazionale dell‘ITU nel dicembre 2012, disponibile alla pagina
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/?option=com_content&view=article&idmenu=804
&idarea2=0&sectionid=1&andor=AND&andorcat=AND&idarea3=0&partebassaType
=4&MvediT=1&showMenu=1&showCat=1&idarea1=0&idareaCalendario1=0&idarea
4=0&showArchiveNewsBotton=1&id=2024409&viewType=0&directionidUser=24.
Va detto che la proposta di modifica del Trattato è anche intervenuta dall‘ETNO (The
European Telecommunications Network Operators Association), reperibile al sito
http://www.etno.be/. La modifica della Rete qui presentata avrebbe effetti immediati
sull‘utilizzo di Internet perché riguarda anche il pagamento obbligatorio di determinati
servizi, nonché l‘abbandono del principio della Net Neutrality. Per una rassegna stampa
sul
tema
si
veda
la
pagina
http://radiobruxelleslibera.wordpress.com/2012/09/19/internet-e-itu-linsostenibileambiguita-delle-proposte-etno/ e per una critica alla proposta in commento si veda anche
L. DOWNES, EU telcos defend UN Internet takeover plans, in http://news.cnet.com/830113578_3-57518427-38/eu-telcos-defend-un-internet-takeover-plans/.
89
internazionale e la crescita della Rete, o peggio, potrebbero essere imposte
limitazioni alle libertà on line, proprio da parte di Paesi che attuano
politiche a carattere censorio.
Al fine di trovare una soluzione congeniale al problema, l‘ICANN ha
creato attorno a sé una serie di organizzazioni, anche legate alle Nazioni
Unite, come il WSIS, prima menzionato. Esso, creato dall‘ONU, potrebbe
definirsi un organo pubblico internazionale che, peraltro, si è riunito a
Dubai nello scorso dicembre220, proprio per trattare le questioni attinenti al
trattato ITU.
La rivoluzione digitale, che ha cambiato radicalmente il modo di
pensare, comportarsi, comunicare e lavorare, ha fatto sentire la necessità di
creare un forum mondiale, che affrontasse le tematiche della Rete e, con
esse, quelle del divario digitale, primo grande problema dell‘evoluzione-
Per un commento si veda F. BARCA – C. SCAGLIONI, Il Dubai Round delle Telcos:
proposte per una nuova Internet Governance, in Economia della cultura, XXII, n. 3,
2012, p. 315-323.
In verità, quella che poteva apparire come un‘effettiva rivoluzione nella governance
della Rete, non ha portato molto lontano. Le discussioni tenutesi all‘ITU, in sede di
conferenza mondiale sui temi della modifica al Trattato ITU, sono contenute in
documenti tenuti segreti, per cui la posizione ufficiale dei diversi Stati in merito alle
modifiche proposte non è accessibile. Ciò non toglie però che, appena al termine della
chiusura del vertice, le informazioni più rilevanti sul tema in questione siano trapelate
sulla stampa estera e italiana. La revisione del Trattato che regola le telecomunicazioni
internazionali (ITRs), che include misure che conferiscono ai Paesi il diritto di accedere
ai servizi di telecomunicazioni e la facoltà di bloccare lo spam (reperibile alla pagina
http://www.itu.int/en/wcit-12/Documents/final-acts-wcit-12.pdf), non è stata ratificata da
tutti i Paesi. Determinante appare la decisione degli Stati Uniti di non ratificare e di
imporre alla propria delegazione di lasciare la Conferenza. In verità, l‘atteggiamento
americano altro non è che il risultato della volontà politica di non permettere la
trasmigrazione di poteri di direzione e di governance nelle mani di un‘organizzazione
dell‘ONU (l‘ultima posizione ufficiale del Senato americano sul tema è reperibile alla
pagina http://thomas.loc.gov/cgi-bin/bdquery/z?d112:sc50). In sostanza, dunque, la
Conferenza mondiale di Dubai ha condotto, in tema di governance della Rete, a un
compromesso: la possibilità, cioè, che un possibile trasferimento della maggior parte
degli elementi Internet potesse essere deciso solo con una risoluzione separata ‗stile
ONU‘, dunque, ancora una volta, non vincolante. D‘altra parte, un parere fortemente
negativo all‘ipotesi di modifica del Trattato ITU, che prevedesse un‘estensione dei poteri
dell‘organizzazione sulla gestione della Rete, è anche stata fortemente osteggiata dal
Center for Democracy & Technology (CDT) – https://www.cdt.org/ – la cui posizione
ufficiale è stata pubblicata alla pagina http://www.itu.int/en/wcit-12/Pages/public.aspx.
220
90
involuzione tecnologica. Dopo la risoluzione221 adottata dall‘Assemblea
generale delle Nazioni Unite, il primo vertice si tenne a Ginevra nel 2003, il
secondo a Tunisi nel novembre del 2005.
Questo forum di discussione globale è stato descritto dalla dottrina
americana222
in questi
termini: ―a
people-centred, inclusive
and
development-orientated Information Society where everyone can create,
access, utilize and share information and knoledge, enabling individuals,
communities and peoples to achieve their full potential in promoting their
sustainable development and improving their quality of life‖.
Anche nei vari incontri del WSIS sono emerse le diverse istanze dei
Paesi partecipanti. Taluni, per esempio, hanno, col tempo, denotato la loro
stessa incapacità di partecipare a molte delle scelte inerenti ai metodi di
regolazione della Rete, dell‘allocazione degli indirizzi Ip e dei nomi a
dominio223, spesso in ragione della scarsa penetrazione di Internet nel
Paese. Altri, invece, come gli Stati Uniti, hanno chiesto con parole chiare e
ferme che il settore dell‘ICT debba essere sostenuto nella sua crescita solo
dall‘intervento del settore privato, posizione che chiaramente rispecchia
quella assunta rispetto all‘ipotesi della trasmigrazione dei poteri
dall‘ICANN all‘ITU.
Le divergenze rispetto al ruolo che i privati avrebbero dovuto
assumere si sono via via manifestate con maggiore forza. Da un lato Cina,
Brasile e Stati Arabi spingevano verso una maggiore presenza del governo
e, dall‘altra, Europa, Giappone e Canada appoggiavano la visione
tendenzialmente privatistica presentata dagli Stati Uniti, per timore che i
governi entrassero eccessivamente nella governance della Rete e che questo
avrebbe aperto un varco alle politiche censorie e alla gestione del contenuto
on line.
221
La
risoluzione
56/183
è
reperibile
al
http://www.itu.int/wsis/docs/background/resolutions/56_183_unga_2002.pdf.
222
Si veda A. MURRAY, The Regulation on cyberspace, cit., p. 119.
223
Ibidem, p. 120.
sito
91
Comunque, per incrementare la relazione tra il settore pubblico e
quello privato, il WSIS ha voluto la creazione dell‘IGF (Internet
Governance Forum), che fornisce una seria possibilità di scambio di idee
tra gli stakeholders, oltre a essere una guida per la public policy in materia.
Diverse furono le proposte sui cambiamenti nelle relazioni tra i
soggetti che si contendono le decisioni sulla governance, molte delle quali
ispirate a un potenziamento dell‘IGF.
Per la precisione, il mandato del Forum224 contiene i seguenti punti
principali:

discutere di questioni di politica pubblica legate agli elementi
chiave della governance di Internet al fine di favorire la sostenibilità,
la robustezza, sicurezza, stabilità e lo sviluppo di Internet;

facilitare una discussione tra gli enti che si occupano di diverse
politiche internazionali trasversali per quanto riguarda Internet;

interfacciarsi con appropriate associazioni inter-governative e
altre istituzioni sulle questioni di loro competenza;

facilitare lo scambio di informazioni e migliori pratiche, e in
questo senso fare pieno uso delle competenze del mondo accademico,
le comunità scientifiche e tecniche;

rafforzare e valorizzare l'impegno delle parti interessate esistenti
e / o futuri meccanismi di governance di Internet, in particolare quelli
provenienti dai paesi in via di sviluppo;

individuare i problemi emergenti, portarli all'attenzione degli
organi competenti e l'opinione pubblica, e, se del caso, formulare
raccomandazioni;

promuovere e valutare, su base continuativa, l'incarnazione dei
principi del WSIS nei processi di governance di Internet;
224
È reperibile al sito http://www.intgovforum.org/cms/aboutigf e in A. MURRAY, The
Regulation on cyberspace, cit., p. 123.
92

discutere, tra l'altro, questioni relative alle risorse critiche di
Internet;

aiutare a trovare soluzioni ai problemi quotidiani derivanti
dall'uso e dall'abuso di Internet, di particolare interesse per gli utenti;

pubblicare i suoi lavori.
Come si vede, per quanto sempre interessanti le dichiarazioni di
principio adottate dal WSIS (si pensi agli incontri di Ginevra 225 e Tunisi226),
e nonostante l‘impegno sociale e la maggiore attenzione che le riflessioni
dell‘IGF promettono sui problemi di governance227 (si pensi anche alla
Carta dei diritti di Internet, frutto del lavoro delle Dinamic Coalitions, nate
in seno all‘IGF), queste organizzazioni scontano un difetto genetico, la non
vincolatività delle loro decisioni, che nasce dalla loro natura di soggetti
ibridi, pubblico-privati, non legittimati ad adottare norme in principio
valevoli a livello globale.
Diverso discorso vale, invece, per l‘IETF228 che, come l‘ICANN e in
collaborazione con la stessa, agisce con scelte tecniche che hanno ricadute a
carattere politico.
225
Il testo della Dichiarazioni di principi varata a Ginevra è reperibile al sito
http://www.itu.int/wsis/docs/geneva/official/dop.html.
226
Per le proposte sulle politiche regolatorie indicate a Tunisi si veda la pagina
http://www.itu.int/wsis/docs2/tunis/off/7.html.
227
I temi delle discussioni sono: il diritto di accesso, gli standard della Rete,
l‘esercizio della libertà in Rete, la stabilità e la sicurezza della stessa.
228
Si tenga presente che, accanto all‘IETF, Internet Engineering Task Force, ci sono
altre diverse associazioni che si occupano dei vari aspetti della Rete, tra le quali l‘ISOC
(Internet Society Organization). Questa è un‘organizzazione no profit, impegnata in un
ampio spettro di problemi di Internet, tra cui la politica, la governance, la tecnologia e lo
sviluppo. Stabilisce e promuove i principi che sono destinati a persuadere i governi a
prendere decisioni ritenute giuste per i cittadini e per il futuro di ogni nazione. Tutta
l‘attività dell‘ISOC è finalizzata a garantire un Internet sano, sostenibile e disponibile per
tutti.
Si può così sintetizzare l‘attività (reperibile al sito http://www.internetsociety.org/whowe-are/mission) dell‘ISOC:
•
Sostenere le politiche pubbliche che consentano il libero accesso
•
Facilitare lo sviluppo aperto e trasparente di standard e protocolli per
l‘amministrazione e l'infrastruttura tecnica di Internet
•
Organizzare eventi e predisporre opportunità che portino le persone a condividere
conoscenze e opinioni
93
L‘IETF è una grande Comunità internazionale aperta ai progettisti di
reti, agli operatori, ai fornitori e ai ricercatori interessati allo sviluppo
dell‘architettura di Internet e al suo funzionamento. Questa comunità è
riuscita già a risolvere i più seri problemi di comunicazione legati alla rete,
permettendo agli utenti internet di tutto il mondo di navigare senza
accorgersi dei piccoli cambiamenti tecnici che, nel frattempo, miglioravano
il servizio. Le decisioni prese dalla comunità sono di certo molto lontane
dal concetto di legge, obbligo e coercizione. I componenti dell‘IETF
prendono, infatti, decisioni di comune accordo, su vasto consenso, e, sulla
base di esse, redigono documenti che finiscono con l‘avere un serio e
determinante impatto sulla rete. La tecnica utilizzata è quella del ―bottom
up‖229. Gli ingegneri, secondo parte della dottrina americana230, sarebbero la
personificazione della democrazia deliberativa, teoria questa che non si può
accogliere, per le ragioni sopra evidenziate, prima fra tutte l‘impossibilità di
inquadrare una comunità virtuale e, soprattutto, di trovare in questi
meccanismi un‘adeguata forma di partecipazione democratica.
L‘idea di una governance informale, infatti, lascia perplessi per i
motivi sopra esposti, anche se qui ci si imbatte in una realtà tecnica, in cui
la competenza è componente necessaria per una policy di successo. Più che,
però, organismi privati senza controllo, si potrebbe immaginare la
possibilità di istituire un‘Authority che risponda, quanto meno a chi ne ha
eletto i componenti, delle decisioni adottate e delle politiche intraprese.
•
Fornire informazioni affidabili e di opportunità educative che comprendono
seminari di formazione nei paesi in via di sviluppo
•
Incoraggiare l'innovazione e le idee nuove, fornendo sovvenzioni e premi per le
iniziative pertinenti.
Partners dell‘ISOC sono IETF e W3C. Le loro decisioni sono rilevanti nella misura in
cui partecipano allo sviluppo tecnico della rete e agiscono al fianco di organizzazioni
come l‘ICANN. La loro attività è la base, il fondamento per la regolazione tecnica della
rete.
229
J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless
World, cit., p. 24.
230
Ivi.
94
2.4. I modelli di regolazione: dalla dottrina americana all‟approccio
europeo
A fronte del vastissimo panorama della dottrina americana sul tema
della governance, non si registra altrettanta attenzione al tema nell‘ambito
europeo, se non in campo più strettamente politico.
L‘approccio europeo è essenzialmente uno ed è volto a garantire un
multi-stakeholderism, unico rimedio possibile alla complessa struttura della
Rete e all‘eterogeneità dei temi e dei diritti coinvolti.
All‘IGF del 29 settembre 2011, Neelie Kroes, la Commissaria europea
per l‘Agenda digitale231, ha sostenuto232 che Internet è un enorme potenziale
per la promozione della democrazia, della partecipazione sociale e per il
rafforzamento dei diritti umani, è cioè ―una piattaforma stupefacente per
l‟innovazione e un potente veicolo per le libertà fondamentali‖. Data questa
premessa, sostiene la Kroes, un ―buon governo‖ dovrebbe promuovere
l‘apertura della Rete come passo preliminare per il rispetto dei diritti, per il
pluralismo e per la stessa sopravvivenza dello Stato di diritto. Da ciò deriva
la necessità di una governance comune, perché inutili risultano gli sforzi
fatti in modo isolato dai singoli Stati.
Data la notoria sconfinatezza del cyberspazio, diventa necessaria la
creazione di ―canali di fruttuosa cooperazione‖ tra tutti gli interlocutori
statali e tutti i partner istituzionali, di per sé vitale per il raggiungimento dei
suddetti obiettivi comuni. La Kroes propone, dunque, un approccio
necessariamente multiskeholder, all‘interno e all‘esterno dell‘Ue, in modo
che si agisca ―nella medesima direzione per rispondere alle diverse sfide
231
Sul tema ci si soffermerà più specificamente quando si affronterà la questione
dell‘accesso alla Rete, perché essa attiene al tasso di penetrazione della banda larga in
Europa ed è legato alle politiche di diffusione di Internet, più che a quelle inerenti la
governance. Si rimanda, pertanto, al Capitolo II.
232
L‘intero intervento della Commissaria Kroes è reperibile all‘indirizzo:
http://www.intgovforum.org/cms/2011/transcripts/IGF_Nairobi_Opening_Session_27_Se
p_2011.txt.
95
della Rete‖. Non solo, la Commissaria europea sostiene anche la necessità
di
coinvolgere
tutte
le
parti
interessate
e
incoraggiare
un‘autoregolamentazione chiara e responsabile, che potrà portare beneficio
per tutti233.
Se, però, da un lato, l‘approccio europeo è nel senso di incoraggiare la
formazione di codici di condotta e, quindi, di spingere verso una selfregulation che abbia come obiettivo politico quello di garantire una Rete
libera e neutrale, dall‘altro, la Commissaria europea, nella stessa sede,
ricorda che bisogna sempre evitare che interessi privati possano prevalere
su quelli pubblici e che ―possano addirittura porsi al di sopra delle leggi‖234.
Anche l‘Europa, dunque, vede la necessità di un intervento pubblico in
prima battuta, coadiuvato, sorretto, aiutato dall‘autoregolazione privata. Le
autorità pubbliche, si dice, devono avere un ruolo ―modesto‖ ma non
―passivo‖235. In quell‘occasione la Kroes si è mostrata scettica rispetto
all‘adozione di norme internazionali vincolanti, ma, ha anche sostenuto che
le leggi sono la conseguenza e la base della democrazia stessa, fatto, questo,
che non può essere messo totalmente da parte quando si tratta della Rete.
Medesimo approccio si registra dagli ultimi interventi del Consiglio
d‘Europa. La Dichiarazione236 del Comitato dei Ministri sui principi
La Commissaria Kroes si esprime in questi termini: ―Involving different
stakeholders in policy making and encouraging transparent and accountable selfregulation is a benefit for everyone‖.
234
Infatti è stato sostenuto: ―the fact remains that public authorities have a particular
role; indeed, a particular obligation to deal with public-policy matters off- and online, and
this must be reflected in the decision-making process. Otherwise, the outcome of multistakeholderism is that lobbyists hijack decision-making that private-vested interest from
the public interest and that some put themselves above the law. These are not things I
will accept now or in the future‖.
235
Le parole della Commissaria Kroes sono molto chiare: ―We must be clear what
multistakeholder means. Ultimately, different actors have different fields of expertise and
of responsibility, and that must be respected and due weight must be given accordingly.
And I can agree that sometimes the question of attribution of who is responsible for what
might not always be perfectly clear. And the public authorities must cooperate to avoid
legal uncertainty or outright conflict, especially in cross-border environment like the
Internet‖.
236
Il
testo
della
Dichiarazione
è
reperibile
al
sito
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=Decl(21.09.2011_2)&Language=lanEnglish&Ver=
233
96
dell‘Internet Governance, adottata il 21 settembre 2011, comprende 10
principi, tra i quali, per quel che qui ci interessa, il Multi-stakeholder
governance, la responsabilità degli Stati e la gestione decentrata. Secondo
il modello multi-stakeholderism, la realizzazione di accordi sulla
governance della Rete dovrebbe assicurare, in modo aperto, trasparente e
responsabile, la piena partecipazione dei governi, del settore privato, della
società civile, della comunità tecnica e degli utenti, tenendo conto delle loro
specifiche responsabilità. Lo sviluppo internazionale delle politiche
pubbliche legate a Internet dovrebbe, cioè, consentire la piena
partecipazione di tutti gli attori di tutti i Paesi.
Per quanto attiene alla responsabilità statale, basti qui sottolineare che
anche il Consiglio d‘Europa sostiene che i singoli Stati abbiano delle
responsabilità nei confronti dei cittadini sulle questioni di politica pubblica
legate alla Rete, ma che, comunque, la natura decentrata delle responsabilità
debba essere preservata. I privati dovrebbero, cioè, mantenere il loro ruolo
di primo piano nelle questioni tecniche e operative, garantendo al contempo
la trasparenza e la responsabilità verso la comunità globale per le azioni che
hanno un impatto sulla politica pubblica.
Quest‘ultima dichiarazione di principio può, a parere di chi scrive,
restare solo tale, perché fino a quando la comunità di tecnici che si occupa
della Rete resterà totalmente privata, è ovvio che risponderà solo
relativamente
delle
politiche
adottate,
non
essendoci
un‘effettiva
corrispondenza tra legittimazione e responsabilità per organi di tale natura
giuridica.
original&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&Bac
kColorLogged=FDC864. Si vedano, inoltre, le Raccomandazioni CM/Rec (2011)8-9, del
Comitato dei Ministri agli Stati membri, sulla protezione e promozione della universalità,
integrità e l'apertura di Internet, adottate dal Comitato dei Ministri il 21 settembre 2011,
in occasione della riunione 1121 dei Delegati dei Ministri, reperibili al sito
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=DEL1121&Language=lanEnglish&Site=COE&Ba
ckColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864.
97
Va, invece, detto che la politica del multi-stakeholderism ha,
indubbiamente, degli aspetti di vantaggio, specie nell‘ottica, come la Kroes
ha ben sottolineato, di un ordine nelle regole giuridiche, che non metta nelle
mani dei privati la definizione di principi basilari per lo sviluppo della Rete
e per il riconoscimento dei diritti. Anche perché, a onor del vero, che siano i
privati a scrivere regole di principio (si pensi alle Dinamic Coalitions) o il
Consiglio d‘Europa, fino a quando si tratterà solo di atti di soft-law, la
differenza sarà di fatto minima, quanto meno in termini di effettività.
3. Proposta di un modello regolatorio: dall‟autosufficienza della selfregulation alla necessità di una regolazione sovranazionale
Alla luce di quanto detto, sembra opportuno tirare le somme sul tema
della governance di settore e riuscire a individuare quello che, a parere di
chi scrive, sia il modello più verosimilmente congeniale alla regolazione
della Rete.
I modelli presentati in questo studio sono i più diversi: a partire dal
primo, lo ―sponteneus ordering‖237, ideato sull‘autosufficienza della selfregulation, si è poi passati alla normazione della rete sulla base delle sole
decisioni di carattere tecnico238, poi ancora al necessario intervento dei
governi nazionali239 – Istituzioni legittimate ad adottare norme per gli utenti
della Rete e per i traffici informatici – ancora, al modello della regolazione
di mercato240, in cui lo Stato dovrebbe intervenire in minima parte a dettare
Sul tema si vedano D.R. JOHNSON – D. POST, Law and borders. The rise of law in
Cyberspace, cit.; A. MURRAY, Information Technology Law. The law and society, cit.;
L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit.
238
L. LESSIG, Code and other law of Cyberspace, cit.; ma anche L. DENARDIS,
Protocol Politics. The Globalization of Internet Governance, cit.; posizione intermedia è
quella di J. ZITTRAIN, The Generative Internet, in Harvard Law Review, 2006, p. 19752040.
239
Sul tema, J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a
Borderless World, cit.
240
L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, cit.
237
98
le regole, e, infine, a quello più vicino all‘approccio europeo, del
―transnational institutions and international organization‖241, basato sulla
convinzione che l‘internet governance trascenda i confini nazionali e, in
ragione di ciò, solo da Istituzioni sovra-nazionali potrebbe essere
disciplinata.
Internet è, come visto, un fenomeno globale, pertanto, il controllo dei
singoli governi nazionali non sarebbe sufficiente. La regolazione globale
sembra essere, quindi, prima facie, la migliore soluzione al problema
poiché essa risponderebbe ai bisogni collettivi che riguardano la comunità
mondiale della rete.
Ma, a ben vedere, il concetto di ―regolazione globale‖ è affascinante
quanto fuorviante. Infatti, più si sale nella regolazione degli interessi e ci si
allontana dalla regolazione legislativa degli Stati, più forte diventa il
problema della rappresentanza e della legittimazione degli organismi che
operano nel settore, senza contare il fatto che le regole dettate da organismi
internazionali finiscono spesso per essere belle proclamazioni prive di
effettività e valore giuridico e, quindi, poco inclini a prestare effettive
garanzie in termini di diritti di libertà.
Parte della dottrina242 ha guardato con sfavore alle nuove forme di
normazione che ―supererebbero la logica politica degli Stati nazione, per
imporre il dominio di regimi privati globali regolati da un ‗diritto
sostantivo‘, prodotto dagli stessi portatori di interessi settoriali‖. Questa
considerazione sembra da condividere, specie nella conclusione che
immaginare – come pure si è fatto nella dottrina americana – una
regolazione completamente autoctona per Internet sarebbe una regressione
alla pre-modernità243 e una totale cessione di poteri e risorse nelle mani
241
Ivi.
G. AZZARITI, Internet e Costituzione, in www.costituzionalismo.it, n. 2 del 2011.
243
Ivi. Sul tema si veda anche S. RODOTÀ, Una Costituzione per Internet, cit.,
sull‘incapacità di elaborare categorie adeguate alle nuove realtà.
242
99
delle corporations private che, evidentemente, adotterebbero politiche
indirizzate alla realizzazione dei propri interessi economici.
È stato sostenuto, infatti, che la risposta a una regolazione della Rete
può essere solo un ―corpus complesso e articolato di regole di
comportamento che operino sul piano planetario‖ e che esso non potrebbe
essere oggetto né di un‘insufficiente regolazione nazionale, né, d‘altra
parte, di una Costituzione globale, a oggi di dubbia realizzazione. Fin qui, il
discorso è perfettamente condivisibile. Ci si allontana, però, da questo
modo di vedere, quando si giunge a dire244 che la soluzione di diritto
auspicabile sarebbe quella di una Carta dei diritti, che non assurga al rango
costituzionale, ma che, comunque, rappresenti una risposta di carattere
giuridico, ancorché non vincolante. Una Carta dei diritti siffatta, non
recepita in un Trattato internazionale vincolante, o adottata da Istituzioni
che non hanno alcun carattere di sovranità, come la comunità globale o la
stessa ONU, opererebbe solo sul piano della persuasione.
A questo punto, però, anche volendo aderire alla tesi per cui la
giuridicità non sempre è sinonimo d‘imperatività, in concreto, come sarà
possibile garantire l‘applicazione delle regole di soft-law? E, dunque, come
assicurare al cittadino che i suoi diritti, che le Carte nazionali e
internazionali gli riconoscono, non saranno violati on line?
È stato sostenuto245 che, in un‘era in cui internet sta cambiando il
ruolo del mercato e della conoscenza, parrebbe naturale che i cambiamenti
si riflettessero anche sulle regole della politica e che l‘era dell‘informazione
potrebbe sostituire vecchie idee come il voto, la legislazione e la
rappresentanza territoriale con flessibili regole di consenso, create da
comunità organizzate, non istituzionalizzate, attraverso l‘interesse e la
competenza, piuttosto che la rappresentanza.
244
G. AZZARITI, Internet e Costituzione, cit.
J. GOLDSMITH – T. WU, Who controls the Internet? Illusions of a Borderless
World, cit., p. 25.
245
100
Ciò comporterebbe, specie da parte dei costituzionalisti, uno sforzo
nel definire i limiti della democrazia come organizzazione politico-giuridica
della società246. In questo modo, infatti, la tecnologia, che potrebbe
consentire la realizzazione di una ―iperdemocrazia‖247, ne mostrerebbe in
concreto tutti i limiti e le insufficienze.
Invero, anche questo ragionamento non sembra condivisibile. Ci
sembra, infatti, di dover concordare con chi248 ritiene necessario conservare
il tradizionale modello di democrazia rappresentativa, evitando la
pericolosa immagine di una democrazia diretta planetaria, anzi, si ritiene
che sia necessario ridarle forza e rilevanza anche a livello internazionale, in
modo che un‘istituzione internazionale che decida della Rete abbia una
qualche forma di responsabilità politica per la policy regolatoria intrapresa.
Dunque, i punti fermi cui si è giunti sono essenzialmente i seguenti: la
sola self-regulation è estremamente pericolosa per le ritorsioni egoistiche
che essa può comportare; la sola regolazione nazionale è inefficace249,
perché troppo stretta in confini che ormai perdono di consistenza; infine,
una regolazione sovra-nazionale appare necessaria, quanto meno per dettare
una normativa di principio, poi integrata dalle regole tecniche e tecnicogiuridiche dei privati che agiscono in Rete – grosso modo, il modello multistakeholder individuato dall‘Europa. Se, però, esso deve essere globale, la
prospettiva cambia, e non può essere esclusivamente europea, ma deve
essere internazionale. Il fatto che sia tale, però, non deve far illudere che la
regolazione apprestata e tentata dalle istituzioni globali basti. Essa non è
sufficiente e non lo è per una ragione semplice: fino a quando le istituzioni
internazionali saranno espressione di logiche di potere di Paesi forti e non
A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”. Storia di una
metamorfosi: dalla sovranità dei popoli nazionali alla sovranità dell‟opinione pubblica
(e della finanza) internazionali, in Pol. dir., XXIX, n. 3, 1998, p. 457.
247
Sul concetto di ―iper-democrazia‖ si veda A. DI GIOVINE, Democrazia elettronica:
alcune riflessioni, in Dir. soc., n. 3, 1995, p. 399 ss.
248
A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”, cit., p. 458.
249
Il tema sarà approfondito nel prossimo paragrafo.
246
101
invece di effettive rappresentanze dei popoli, non si tradurranno mai in
norme di hard law e, dunque, rimarranno dichiarazioni di principio, che
nulla aggiungono ai diritti che nelle Costituzioni nazionali sono garantiti ai
cittadini.
Chiare le parole che la dottrina ha utilizzato per descrivere il
fenomeno in atto: ―il diritto costituzionale fa ancora fatica a star dietro alla
complessità, caoticità e ingovernabilità dei fenomeni sociali (…), forse
perché ormai sono su scala planetaria‖250. Per ovviare a questo problema è
stata proposta, ad esempio, una modifica dell‘ONU. La sua struttura di
vertice, si è detto251, dovrebbe essere riformata in senso democratico, per
esempio ripensando il diritto di veto dei cinque Paesi membri permanenti
del Consiglio di sicurezza, o, si aggiunge, potenziando i poteri
dell‘Assemblea
Generale,
di
certo
più
rappresentativa
a
livello
internazionale. Solo con questa primaria regola di base si potrà pensare a
un‘effettiva Carta Costituzionale minima universale, che fissi, quanto meno
in linea di principio, ―le principali regole del gioco fra gli Stati del
mondo‖252.
In questo modo, si avrebbe la possibilità di regolare la Rete con una
governance globale, che però non annichilisca il principio della sovranità
popolare e statale, che è di per sé il presupposto di una regolazione a livello
costituzionale che sia di hard law. Diversamente, infatti, la regolazione
della Rete continuerà a essere settoriale, diversificata e, in quanto tale,
totalmente inefficace. Allora sì, si dovrà riconoscere ai giuristi americani
che la loro intuizione originaria dello spazio senza regole, tanto avversata,
corrisponde al vero, se le regole dettate, in via approssimativa e confusa,
finiscono per lasciare spazio alle più ampie forme d‘inottemperanza.
A. SPADARO, Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizzazione”, cit., p. 456.
Ibidem, p. 458.
252
Ibidem, p. 459.
250
251
102
4. Il mito dell‟effettività regolatoria della Rete e il ruolo del soggetto
pubblico
Nell‘attesa di una regolazione armonica della Rete, almeno nella
definizione delle linee di principio, i problemi nell‘immediato vanno risolti
dalla giurisprudenza.
Parte della dottrina americana253, di cui si condivide il pensiero,
proprio a partire dalle problematiche attinenti all‘applicazione della
giurisdizione nazionale alle attività on line, ribadisce con forza la
superiorità e l‘indispensabilità di un generale principio di legalità (rule of
law)254.
In verità, la difficoltà dei giudici non è stata solo quella di interpretare
vecchie norme e valutarne l‘applicazione alle nuove realtà, ma anche quella
di capire i confini della propria competenza, e cioè, se si potesse definire
competente il giudice del luogo in cui risiede l‘autore del fatto di reato
commesso on line o se, invece, si dovesse ritenere competente il giudice del
luogo in cui si sono verificati i deleteri effetti dell‘azione criminosa255. Da
253
J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, in University of
Pennsylvania Law Review, Vol. 153, 2005, p. 1951 ss.
254
Nello stesso senso, J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory
of freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1,
2004, p. 53, in questi termini: ―Technological designs and standards can let private parties
become gatekeepers and bottlenecks controlling the flow of information and the scope of
permissible innovation; or, conversely, they can promote widespread participation and
innovation. Law has an important role to play here. Laws affect how technology is
designed, the degree of legal protection that a certain technology will enjoy, and whether
still other technologies that modify or route around existing technological forms of
distribution and control will be limited or forbidden (…)The free speech values I have
identified—participation, access, interactivity, democratic control, and the ability to route
around and glom on—won‘t necessarily be protected and enforced through judicial
creation of constitutional rights. Rather, they will be protected and enforced through the
design of technological systems—code—and through legislative and administrative
schemes of regulation, for example, through open access requirements or the
development of compulsory license schemes in copyright law‖.
255
Sulla questione è intervenuta, di recente, la Corte di Giustizia, con sentenza del 2010-2011, reperibile al sito http://www.leggioggi.it/allegati/qual-giurisdizione-su-internetil-testo-della-sentenza-della-corte-di-giustizia-del-25-ottobre-2011/, cause riunite C509/09 e C-161/10. Nella prima causa, un cittadino tedesco, imputato in un procedimento
103
ultimo, poi, si è presentata la questione del riconoscimento delle sentenze
straniere, che si è rilevata spesso problematica. Infatti, le norme di ordine
pubblico del luogo in cui l‘attività è cominciata potrebbero confliggere con
quelle del luogo in cui l‘attività ha sortito i suoi effetti. A tal proposito, le
convenzioni internazionali sul riconoscimento delle sentenze straniere
forniscono un‘eccezione all‘imposizione quando si manifesta un conflitto
con l‘ordine pubblico dello Stato che deve far eseguire la sentenza256.
Certo, il fatto che la tecnologia sfidi la giurisdizione è cosa nota 257, ma
essa potrebbe anche consentire agli Stati sovrani di far rispettare le norme
penale, si era rivolto a un giudice nazionale affinché intimasse a un sito di informazione
di non riportare più notizie che riguardassero la sua vicenda giudiziaria. In quel caso, il
sito era gestito da una società austriaca e, conseguentemente, questa contestò la
competenza del giudice tedesco, sostenendo di poter essere giudicata solo da un tribunale
austriaco. La seconda causa invece, riguardava un cittadino francese che, a tutela della
sua privacy e del suo diritto all‘immagine, lamentava la pubblicazione su un sito web di
un articolo di gossip che lo riguardava. Ancora una volta, veniva eccepita l‘incompetenza
del giudice, in questo caso francese, perché il sito del giornale on line era gestito da una
società britannica. La Corte di Giustizia riunisce le cause e stabilisce, in sentenza, che la
pubblicazione di contenuti su internet sia una fattispecie del tutto diversa dalla stampa, in
quanto quest‘ultima è, per definizione, circoscritta. In ragione di ciò, proprio perché
l‘impatto di un‘informazione messa in rete sui diritti della personalità di un soggetto può
essere valutata meglio dal giudice del luogo in cui la vittima risiede, la Corte designa tale
giudice come quello competente per la totalità dei danni causati sul territorio dell‘Unione
europea. Dunque, la vittima potrà sempre adire il giudice di ciascuno Stato membro sul
cui territorio un‘informazione messa in Rete sia accessibile, al fine di promuovere
un‘azione di risarcimento per la totalità del danno. Questa è la soluzione adottata dalla
Corte di Giustizia con riguardo ai casi in cui sia difficile individuare il locus commissi
delicti.
256
J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, cit., p. 1958.
257
Si pensi, ad esempio, al noto caso della vendita di oggetti nazisti sul sito americano
Yahoo!, diffuso anche in pagine web francesi. Alla decisione del giudice francese di far
eleminare quegli oggetti dal sito e di imporre un risarcimento, il giudice americano eccepì
la mancanza di giurisdizione di un giudice straniero a sentenziare sull‘ampiezza della
freedom of speech. La questione ha creato diversi problemi di interpretazione ed è
simbolo di come, talvolta, le Corti siano scarsamente ―ill-equipped to evaluate the
nuances of foreign public order decisions‖. La Corte distrettuale della California, infatti,
aveva tradotto la sentenza francese in modo non corrispondente al testo. Questa
fuorviante traduzione ha riguardato, peraltro, un passaggio chiave della sentenza, per il
resto accuratamente tradotta. La Corte francese aveva ordinato a Yahoo! di prendere tutte
le misure ―de nature‖ per rendere impossibile la consultazione del sito (nella parte in cui
c‘era la vendita di ―objets‖ nazisti). La traduzione inglese della parte della sentenza è
stata: ―to take all necessary measures to dissuade and render impossible any access via
yahoo.com to nazi artifact auction service..‖. La traduzione della Corte americana ignora
il termine ―de nature‖ e aggiunge ―necessary‖, non presente nella sentenza francese.
L‘effetto di questa distorta traduzione è stato convertire l‘obbligazione di filtrare da uno
104
dettate su certe attività, anche se svolte on line258. In tal modo, l‘ottica
sarebbe totalmente rovesciata. La tecnica sarebbe non più ostacolo, ma
strumento259.
D‘altra parte, come sopra chiarito, per le società democratiche,
l‘aderenza al principio di legalità comporta che l‘uso di ogni strumento di
enforcement, anche a carattere tecnologico, necessiti di autorizzazioni date
sulla base di criteri attentamente e preventivamente descritti260. In altre
parole, gli Stati hanno l‘obbligo di ―proteggere‖ i diritti dei propri cittadini,
anche da attività esercitate on line. Essi dovrebbero, anzi, trovare il modo
per prevenire e sanzionare le attività in internet che violano le norme di
diritto. Come la dottrina americana ha sottolineato, infatti, gli Stati non
possono permettere che l‘avvento della tecnologia digitale si traduca in una
perdita di potere politico sui diritti dei singoli261.
Come si vede, dunque, è inequivocabilmente necessario un intervento
strettamente ―politico‖ da parte di un soggetto ―pubblico‖, che sia lo Stato o
un organo sovranazionale, comunque rappresentativo della sovranità
propria di ciascuno Stato.
sforzo in buona fede ―from one of good faith efforts‖ a un‘obbligazione di risultato
―successful results‖. Non solo, ―nazi objects‖ è diventato ―nazi artifacts‖, la cui vendita
non è vietata in Francia. Queste distorsioni hanno avuto l‘effetto di incrementare il senso
di conflitto sui valori tra le diverse Nazioni.
Dato che gli Stati sono comprensibilmente interessati a giocare un ruolo nella
regolazione delle attività illecite on line, essi difficilmente possono restare passivi quando
qualche attività o comportamento confligge con le regole di ordine pubblico dettate nel
proprio territorio. La questione è affrontata in J.R. REIDENBERG, Technology and Internet
Jurisdiction, cit., p. 1959-1960.
258
J.R. REIDENBERG, Technology and Internet Jurisdiction, cit., p. 1960, in questi
termini: ―just as the internet attack uses technological infrastructure to challenge
jurisdiction, technological innovation also empowers sovereign states to assert their rues
on internet activity. In other words, the evolution of sophisticated information processing
and information technologies provides states with greater contacts that justify personal
jurisdiction and a stronger claim to prescriptive jurisdiction. At the same time, these
technologies offer states important means to enforce their decisions‖.
259
Sul tema si veda N. IRTI – E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma, 2001.
260
Ibidem, p. 1964. L‘Autore sostiene che ―the adherence to the rule of law means that
use of any technological enforcement instrument necessitates carefully prescribed
authorization criteria‖.
261
Ibidem, p. 1969, ―this means that states cannot allow technologic attacks to defeat
their citizens‘ politically chosen rights‖.
105
La prevalenza della legge è una forma di garanzia irrinunciabile. Il
principio di legalità deve, infatti, precedere le scelte tecnologiche nello
stabilire i confini che la società impone sui comportamenti illeciti on line.
Anzi, la supremazia della legge deve fornire gli incentivi per
l‘innovazione e lo sviluppo delle tecnologie, che possono sostenere e
supportare le scelte di public policy fatte dagli Stati. È necessario, cioè, che
essi, nella forma nazionale o sovranazionale, affermino la supremazia del
diritto sul determinismo tecnologico262.
Quest‘affermazione di principio, cui si è giunti, è la premessa per
affrontare i temi del diritto di accesso e della libertà di manifestazione del
pensiero on line. Posto, infatti, che il ruolo del soggetto pubblico non può
essere completamente permutato con una regolazione privata o sovranazionale ma inefficace, perché solo un intervento pubblico di hard law può
porsi a garanzia dei diritti dei singoli, saranno esaminati, nei prossimi
capitoli, da un lato, la natura giuridica del diritto di accesso alla Rete e le
politiche regolatorie intervenute sul tema, dall‘altro, la portata della libertà
di manifestazione del pensiero on line e le sue implicazioni in tema di
legalità e di uguaglianza.
Ibidem, p. 1974, in questi termini: ―In summary, the assertion of sovereign
jurisdiction to protect citizens is likely to advance the fundamental public policy that the
rule of law should be supreme to technological determinism. At the same time, the
multiplicity of states with jurisdiction over internet activities is likely to stimulate
creativity and new internet services such as more accurate and selective filtering
technologies, stronger security zones and more robust, customized compliance
capabilities‖. Si veda anche R.W. RIJGERSBERG, The State of Interdependence.
Globalization, Internet and Constitutional Governance, The Hague, T.M.C. Asser Press,
2010, p. 49-68 e 213-230.
262
106
CAPITOLO SECONDO
IL DIRITTO DI ACCESSO A INTERNET
SOMMARIO: 1. La libertà di ―manifestazione‖ e di ―diffusione‖ del pensiero
nell‘era della convergenza tecnologica. – 1.1. Il percorso giurisprudenziale della
Corte Costituzionale e le posizioni della dottrina sul mezzo di diffusione del
pensiero. – 1.2. L‘Informazione come bene comune. – 2. Il diritto di accesso come
―nocciolo duro‖ dell‘articolo 21 Cost. – 2.1. L‘accesso a Internet alla prova del
bilanciamento dei valori. Questioni rilevanti in tema di diritto d‘autore. – 2.2. Il
diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata. – 3. L‘accesso a Internet
come ―nuovo diritto sociale‖. – 3.1. L‘incidenza dell‘intervento del decisore
politico sul diritto di accesso. Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale
realtà?
1. La libertà di “manifestazione” e di “diffusione” del pensiero nell‟era
della convergenza tecnologica
L‘indissolubile legame che unisce la libertà di manifestare il proprio
pensiero e quella di diffonderlo attraverso ogni mezzo è ormai fatto
consolidato in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale263.
Proprio quest‘interpretazione ha ―affrancato‖ l‘art. 21 Cost. ―dalle sue
lacune formali e l‘ha agganciato alla trama costituzionale complessiva, nei
suoi principi fondanti, e in quegli istituti o regole richiamati dalla forte
connotazione economica degli strumenti di divulgazione del pensiero‖264.
Così come ricostruito, in ragione della ratio della tutela apprestata alla
libertà dal Costituente, l‘art. 21 Cost. è oggi idoneo ―a guidare i passaggi
innovativi che hanno caratterizzato il sistema delle comunicazioni di massa,
263
Per una più ampia ricostruzione sul punto, si rimanda al paragrafo successivo.
A. D‘ALOIA, Libertà di manifestazione del pensiero e mezzi di comunicazione, in
A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G. SILVESTRI (a cura di),
Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano,
2005, p. 67.
264
107
dall‘esplosione del mezzo radiotelevisivo ai nuovi modelli della
convergenza multimediale‖265.
L‘interattività del mezzo, infatti, permette la realizzabilità pratica
della libertà266 da parte di ogni cittadino, comporta un‘espansione della
possibilità di accedere alle fonti di informazione e la crescita esponenziale
delle modalità attraverso le quali esprimere il proprio pensiero e informarsi
su questioni di ogni genere.
Ciò premesso, in questa parte del lavoro s‘intende indagare il tema del
diritto di accesso al mezzo Internet, sotto due diversi ma collegati profili.
I.
Diritto di accesso al contenuto. Esso attiene al diritto di accesso
al mezzo come strumento di realizzazione della libertà di cui al 21
Cost. L‘analisi di quest‘aspetto comporterà la rapida ricostruzione
della giurisprudenza costituzionale sul tema e della dottrina, che si è
spesa nel riconoscere dignità al diritto di accesso al mezzo di
diffusione del pensiero come autonomo e preliminare rispetto alla
libertà di manifestazione dello stesso.
Alla luce di tale ricostruzione, infatti, si proporrà la necessità di
leggere il diritto di accesso a Internet come strumentale e necessario
all‘esercizio della libertà di pensiero. Verranno, dunque, affrontate tre
questioni: l‘informazione come bene comune, il diritto di accesso
come nocciolo duro dell‘art. 21 Cost. e, infine, il bilanciamento dello
stesso con altri diritti, da inquadrarsi nei canoni della proporzionalità e
della ragionevolezza.
II.
Diritto di accesso al mezzo. Questo secondo profilo giunge a
qualificare il diritto di accesso alla Rete come autonomo diritto
265
Ivi. Sul tema della convergenza multimediale, si vedano, tra gli altri, F. BASSAN,
Diritto delle comunicazioni elettroniche. Telecomunicazioni e televisione dopo la terza
riforma comunitaria del 2009, Giuffrè, 2010; M. OROFINO, Profili costituzionali delle
comunicazioni elettroniche nell‟ordinamento multilivello, Giuffrè, 2008; G. MORBIDELLI
– F. DONATI, La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche. Atti del Convegno
(Firenze, 13 giugno 2008), 2008.
266
In questo senso V. FROSINI, Telematica (e informatica) giuridica (voce), in Enc.
dir., XLIV, 1992, p. 81.
108
sociale, perché strumentale alla completa realizzazione dei diversi
diritti garantiti in Costituzione. Da qui andranno indagate le
peculiarità dei diritti sociali, confrontando la dottrina che li ritiene
pretese effettive nei confronti del soggetto pubblico e quella che,
accompagnata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, li
subordina alla ragione primaria della spesa pubblica.
Solo dopo aver indagato entrambi gli aspetti, il diritto di accesso sarà
trattato in entrambe le sue sfaccettature e ci si potrà soffermare, nel
successivo capitolo, sulla una delle libertà esercitate sulla Rete, la
manifestazione del proprio pensiero.
1.1. Il percorso giurisprudenziale della Corte Costituzionale e le posizioni
della dottrina sul mezzo di diffusione del pensiero
Come anticipato, quest‘analisi verterà sull‘endiadi ―manifestazionediffusione‖ e sul significato che la giurisprudenza costituzionale e la
dottrina già risalente le hanno riconosciuto. Essa, come sarà dimostrato, è la
necessaria premessa all‘individuazione del diritto di accesso alla Rete
Internet.
L‘art. 21 Cost. recita, al primo comma, ―Tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione‖.
La questione da affrontare è se il testo costituzionale garantisca il
diritto di manifestare la parola, tanto quanto il diritto di diffonderla al
maggior numero di persone, e, dunque, il diritto di accedere al mezzo di
diffusione del pensiero che permetta la più ampia divulgazione.
L‘annosa querelle sull‘esistenza di un diritto di accesso al mezzo è di
fondamentale importanza per la questione Internet, perché il riconoscimento
in Costituzione di un diritto autonomo, distinto, ma inscindibilmente legato
109
alla libertà di cui al 21 Cost., è premessa logica e indispensabile per la
valutazione della normativa sull‘accesso e, conseguentemente, per la
valutazione della proporzionalità267 della sanzione della disconnessione
dalla Rete, in ragione della violazione di altri diritti.
La Corte Costituzionale non si è mai espressa riguardo alla Rete, se
non una sentenza che ha a oggetto l‘alfabetizzazione informatica268, ma,
rispetto ad altri mezzi di diffusione, nello specifico la radiotelevisione –
complice una legislazione sorda ai diversi richiami della stessa Corte – ha
dettato principi di diritto valevoli, a parere di scrive, per qualsiasi mezzo di
diffusione del pensiero.
Già nella prima sentenza sul tema, la n. 59 del 1960, il Giudice delle
leggi statuisce che i soli due limiti apponibili al diritto di accesso al mezzo
radiotelevisivo sono rappresentati da:
I. gli altri valori costituzionali, eventualmente confliggenti;
II. gli eventuali limiti tecnici, che, nella specie, consistevano nella
limitatezza delle frequenze.
La Corte, infatti, così si esprime: ―Per le ragioni inerenti alla
limitatezza di questo particolare mezzo, è escluso che chi lo desideri, e ne
abbia la capacità finanziaria, sia senz‘altro in grado di esercitare servizi di
radiotelevisione: in regime di libertà di iniziativa, questi non potrebbero
essere che privilegio di pochi‖269 e, ancora, ―Allo Stato…incombe l‘obbligo
di assicurare, in condizioni di imparzialità e obiettività, la possibilità
Va indubbiamente segnalata una rilevante sentenza inglese, High Court of Justice –
Court of Appeal, The Queen v. Smith and Others, consultabile in www.bailii.org. La
Corte si esprime in questi termini, concludendo per la sproporzione della scelta di privare
della connessione Internet un soggetto con tendenze criminose: ―A blanket prohibition on
computer use or internet access is impermissible. It is disproportionate because it restricts
the defendant in the use of what is nowadays an essential part of everyday living for a
large proportion of the public, as well as a requirement of much employment‖.
268
Corte Costituzionale, sentenza n. 397 del 2004, reperibile in
http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0307s-04.html.
269
Corte Costituzionale, sentenza n. 59 del 1960, considerato in diritto, punto 7. Il
testo della sentenza è consultabile in http://www.giurcost.org/decisioni/1960/0059s60.html.
267
110
potenziale di goderne – naturalmente nei limiti che si impongono per questa
come per ogni altra libertà, e nei modi richiesti dalle esigenze tecniche e di
funzionalità – a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del
pensiero nei vari modi del suo manifestarsi‖270.
Da ciò si evince con chiarezza che, se non sussistono le limitazioni di
carattere tecnico – in termini di disponibilità del mezzo –, come accade nel
caso di Internet, il diritto di accesso al mezzo non solo appare come
strumentale all‘esercizio del diritto ma diventa il diritto stesso, perché in
assenza di esso il ―diritto alla manifestazione del pensiero attraverso ogni
mezzo di diffusione‖ non può essere compiutamente esercitato. Se ciò è
vero, dunque, come la Corte sottolinea, lo Stato avrà il dovere, l‘obbligo di
garantire a tutti la possibilità di accedere al mezzo per la diffusione del
pensiero.
Ripercorriamo ancora il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte,
al fine di valutarne la ragionevolezza nell‘applicazione anche a un diverso
strumento di divulgazione del contenuto, Internet.
Nella sentenza nel 1972 n. 105271, la Corte Costituzionale ha sostenuto
che il significato del primo comma dell‘art. 21 Cost. sta nel riconoscere che
―la legge deve garantire a tutti la giuridica possibilità di accedere ai diversi
strumenti, con i limiti resi necessari dalle peculiarità tecniche dei mezzi‖.
Appare chiaro innanzitutto che, menomando il diritto di accesso al
mezzo, si comprime un 21 attivo, la possibilità stessa di esercitare la libertà.
Tale compressione non resta, peraltro, priva di risultato sul piano passivo
del diritto all‘informazione. La più logica conseguenza diventa, infatti, la
mancata
possibilità
di
accedere
all‘informazione,
di
ottenere
un‘informazione effettivamente plurale, nonché l‘apposizione di un
ostacolo forte alla libera circolazione delle idee.
270
271
Ivi.
La
sentenza
è
consultabile
http://www.giurcost.org/decisioni/1972/0105s-72.html.
alla
pagina
111
Non a caso, sulla questione del monopolio radiotelevisivo, la Corte
così si esprimeva: ―non è violato l'art. 21 della Costituzione, perché data la
limitatezza di fatto della possibilità di utilizzazione del mezzo televisivo, lo
Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obbiettività
e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà
frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto
costituzionale volto ad assicurare a tutti la possibilità di diffondere il
pensiero con qualsiasi mezzo. Il monopolio è la scelta più appropriata per
garantire il massimo di esercizio della libertà perché attraverso di esso si
tenta di superare la scarsa disponibilità del mezzo…La verità è che proprio
il pubblico monopolio – e non già la gestione privata di pochi privilegiati –
può e deve assicurare, sia pure nei limiti imposti dai particolari mezzi
tecnici, che questi siano utilizzati in modo da consentire il massimo di
accesso, se non ai singoli cittadini, almeno a tutte quelle più rilevanti
formazioni nelle quali il pluralismo sociale si esprime e si manifesta‖272.
Certo, la situazione allora esistente – la garanzia di una televisione
pubblica e sottoposta a regime di monopolio – è oggi preistoria, ma il
ragionamento della Corte in punto di diritto è ancora decisamente attuale e
utile per la valutazione di un diritto di accesso al mezzo Internet, come
diritto irrinunciabile, caratterizzato da un contenuto minimo insopprimibile.
Ragionando a partire dalle statuizioni della Corte, si può infatti trarre
una considerazione. Se è vero che esiste un generale diritto di accesso al
massimo delle risorse disponibili e, se la scelta di non garantire un
autonomo diritto di accesso al mezzo – la possibilità concreta, cioè, di
utilizzare la rete Internet per l‘esercizio delle libertà on line – è solo figlia
della limitatezza tecnica, che di per sé impedisce di assicurare un diritto di
accesso pieno ed indiscusso a tutti, va da sé che, in assenza di questo
ostacolo, la conseguenza giuridica muta.
272
Corte Costituzionale, sentenza n. 225 del 1974, Considerato in diritto, punto 2,
lettera d, reperibile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1974/0225s-74.html.
112
Nell‘equazione vanno, cioè, modificate le grandezze.
In altre parole, se il diritto di accesso è indispensabile per la
realizzazione della libertà di pensiero, in mancanza di limiti tecnici
insuperabili, diventa di per sé il diritto da garantire, nel nostro caso,
l‘accesso alla Rete.
D‘altra parte, così la stessa Corte: ―alla conclamata libertà di
diffusione del pensiero dovrebbe accompagnarsi la libertà di fare uso dei
mezzi indispensabili ad essa‖273.
Dunque, se non sussistono invalicabili ostacoli, gli unici limiti
apponibili al diritto di accesso al mezzo di trasmissione sono gli eventuali
altri diritti in conflitto con lo stesso. Da qui, ci si chiede: quando si può
limitare l‘accesso alla Rete? Di fronte a quale violazione di diritto risulta
proporzionata questa scelta? Il diritto di accesso non rappresenta forse già il
contenuto minimo del diritto alla libera manifestazione del pensiero? E, se
così fosse, come potrebbe ritenersi giustificata una sua forte compressione?
Per rispondere a queste domande, risulta preliminare qualche altra e
più articolata considerazione sul nesso tra manifestazione del pensiero e
diffusione dello stesso.
Già la dottrina più risalente274 riteneva che manifestazione-diffusione
rappresentasse un‘endiadi inscindibile e sottolineava il carattere strumentale
e necessario del mezzo di diffusione rispetto alla libertà di manifestazione
del pensiero, conseguentemente qualificando entrambe come oggetto della
copertura costituzionale di cui all‘art. 21 Cost.
Del resto, la dottrina275 ha fatto delle parole della Corte un simulacro
incontestabile, negando ogni distinzione tra manifestazione e divulgazione
273
274
Ivi.
P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., XXIV, 1974, p. 424
ss.
275
Ibidem.
113
del pensiero e ribadendo ciò che più di tutto connota il loro legame
reciproco: il ―nesso di indispensabile strumentalità‖276.
Non solo, la dottrina si spinge anche oltre, riconoscendo al corretto
esercizio del diritto di cui al 21 Cost. un imprescindibile precedente logicogiuridico, che trova nell‘art. 3 Cost. il suo referente costituzionale:
―L‘effettività dell‘utilizzazione dei diversi mezzi di diffusione del pensiero
rappresenta un‘esigenza espressamente sottolineata dall‘art. 3 comma
secondo della Costituzione, per questa come per altre libertà, che pone a
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che, limitando di fatto la libertà e l‘uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione
all‘organizzazione politica, sociale del paese…Tale effettività, nel caso
della libertà di manifestazione del pensiero, non può prodursi altro che
mediante la garanzia del libero accesso, da parte di tutti, ai mezzi di
diffusione del pensiero, libero accesso che in taluni casi avrà luogo
mediante l‘approvazione privatistica del singolo mezzo e nella maggioranza
di essi viene (o dovrebbe essere) assicurato mediante la predisposizione di
un <diritto all‘accesso>‖277.
Del resto, in questo senso si espresse già Crisafulli, sostenendo che
―anche nel silenzio costituzionale, la garanzia della libertà di espressione
deve comprendere anche quella del libero uso dei mezzi, nel senso che deve
esserne assicurata la libera utilizzazione in condizioni di uguaglianza‖278.
Pertanto, è chiaro che il diritto di accesso, inteso in senso di strumento
per l‘esercizio del diritto fine279, non è un diverso diritto a sé stante, ma il
276
Corte Costituzionale, sentenza n. 48 del 1964. Il testo è consultabile in
http://www.giurcost.org/decisioni/1964/0048s-64.html.
277
P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 426.
278
V. CRISAFULLI, Problematica della “libertà dell‟informazione”, in Il Politico,
1964, p. 297. Nello stesso senso, anche C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del
pensiero nell‟ordinamento italiano, Giuffrè, Milano, 1958, p. 26.
279
Diversa è la questione relativa alla banda larga come prestazione oggetto di un
nuovo diritto sociale. Quest‘aspetto verrà trattato più approfonditamente nei prossimi
paragrafi.
114
diritto stesso. Non è, cioè, un diritto nuovo e diverso, dunque, per esso non
si pongono i problemi di discrezionalità del legislatore nel renderlo effettivo
e azionabile280.
Lo stesso Mortati281 già sosteneva che i limiti posti all‘accesso al
mezzo di diffusione sono i medesimi che si riscontrano in tema di libertà di
280
Diversamente S. FOIS, La libertà di informazione, Maggioli, 1991, p. 440-450.
L‘Autore, infatti, annovera tra i nuovi diritti quello di accedere all‘uso dei mezzi di
informazione da parte dei soggetti privati. Da questo punto di partenza, il primo problema
che si annovera è quello dell‘effettività di tali diritti. Con riferimento al mezzo televisivo,
ad esempio, l‘Autore ritiene che il diritto di accesso al mezzo radiotelevisivo abbia per
oggetto un‘esigenza che può essere soddisfatta, esclusivamente o almeno
prevalentemente, mediante prestazioni effettuate dai pubblici poteri o imposte a
concessionari di pubblici servizi o, ancora, stabilite a carico dei privati: prestazioni che
implicano molto spesso che venga stabilita una data organizzazione della funzione, del
servizio, dell‘attività, e comunque che venga stabilita una disciplina per così dire ―in
positivo‖ della funzione, del servizio, dell‘attività. Fois mette in dubbio la stessa
possibilità di qualificare tale diritto come un diritto di libertà e sostiene che, laddove si
volesse agire in tal senso, si dovrebbe comunque parlare di diritti di libertà in un senso
completamente diverso da quello che riguarda i tradizionali diritti. ―Per questi ultimi la
libertà, cioè la garanzia di una sfera intangibile di attività o situazione libera, rappresenta
il loro oggetto specifico, il loro contenuto diretto e immediato. Per i nuovi diritti invece la
libertà sembra essere solo un effetto indiretto, una conseguenza più o meno mediata della
loro garanzia e del loro godimento. In altri termini, i nuovi diritti non hanno
specificatamente per oggetto singoli aspetti di libertà: possono solo rappresentare
condizioni per ampliare e migliorare il complessivo ambito di libertà che in definitiva
risulta assicurato alla situazione dei singoli e dei gruppi…Si può dire che tali diritti
possono essere riconosciuti e garantiti in modo identico a quello valido per i diritti di
libertà? Nel caso di questi ultimi, essi, in quanto costituzionalmente riconosciuti, esistono
già immediatamente e sono esercitabili prima e indipendentemente dall‘intervento
legislativo volto a disciplinarli, limitarli e a disciplinarne il contenuto. La situazione è
rovesciata per i nuovi diritti: per essi il riconoscimento costituzionale risulterebbe
insufficiente: il loro riconoscimento effettivo e la garanzia giuridica del loro godimento in
realtà dipenderebbero dal se, dal quando e dal come di un intervento dei pubblici poteri, e
primo fra tutti il legislatore. Se e fino a quando il legislatore non stabilisca limiti e confini
ad altri diritti od attività, non preveda prestazioni a carico di soggetti pubblici o
addirittura di soggetti privati, non imponga obblighi nei confronti di altri soggetti, i nuovi
diritti non risulterebbero effettivamente riconosciuti, la loro garanzia non sarebbe
esercitabile, la loro eventuale lesione non azionabile. Nel caso dei nuovi diritti l‘esercizio
della discrezionalità del legislatore non funge da limite al diritto ma da condizione
essenziale per la loro garanzia e godimento. Dunque, mentre i vecchi diritti possono al
più ammettere l‘esercizio della discrezionalità legislativa, i nuovi diritti all‘opposto
sembrano esigere tale esercizio quale momento determinante per l‘individuazione del
contenuto del diritto, e comunque per la possibilità di un suo giuridico godimento‖.
Si è voluto, in questa sede, riportare il pensiero di un Autore che legge già
nell‘accesso un diritto nuovo e nel diritto nuovo una situazione di pretesa nei confronti
del soggetto pubblico. Il tema, però, sarà meglio trattato appresso, perché attiene più nello
specifico al diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale.
281
C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, p. 1070-1071.
115
manifestazione del pensiero: ―I limiti all‘uso dei mezzi attraverso i quali la
libertà si estrinseca, in quanto siano ritenuti necessari alla tutela di altri
interessi costituzionalmente rilevanti, non devono essere tali da annullare la
libertà stessa, o comprimerla al punto da snaturarla. Sicché dovrebbe
ritenersi che limite assoluto alla disciplina dei mezzi non è solo quello di
riservare un dato mezzo, in via esclusiva ed in generale, solo a
manifestazioni di un particolare contenuto, ma anche di precludere l‘uso di
un mezzo che si presenta come l‘unico utilizzabile in pratica per le
manifestazioni di un certo tipo‖.
Dunque, spostando il discorso sulla Rete, essendo Internet l‘unico
mezzo che garantisce l‘accesso a un ―certo tipo di informazione‖, la
possibilità effettiva di manifestare liberamente il proprio pensiero senza
dover attendere concessioni e autorizzazioni, ma semplicemente lasciando
un post in un blog aperto o creando una propria pagina web, costruendo così
uno spazio di discussione e informazione libero da preventivi controlli, non
può non ritenersi ricoperto dalla medesima garanzia.
Ciò detto, appurata la stretta e connaturata endiadi costituzionale, può
farsi spazio ai temi che ne conseguono: riconoscimento del diritto di
accesso come ―nocciolo duro‖ dell‘art. 21 Cost. e bilanciamento degli altri
diritti con quello all‘accesso alla rete Internet.
Prima, però, di addentrarsi nelle questioni appena esposte, appare
preliminare un focus sul rapporto tra l‘accesso alla Rete e la visione
dell‘informazione come bene comune. Anch‘esso, infatti, rappresenta un
tassello indispensabile per completare il quadro delle motivazioni poste alla
base della scelta di leggere nella Carta fondamentale quello che già c‘è e,
d‘altra parte, scongiurare l‘ipotesi di una modifica che, se da un lato
potrebbe assumere carattere chiarificatore, dall‘altro sconterebbe i limiti
dell‘interpretazione che ciascuna norma inevitabilmente presenta.
116
1.2. L‟informazione come bene comune
Come la dottrina ha evidenziato282, oggi l‘insieme delle tecnologie
estende la platea dei comunicatori fino a comprendere ogni persona,
rendendo sempre più difficile – talvolta impossibile – la distinzione tra
produttori e consumatori, e l‘informazione, che sfida le frontiere senza
freni, rappresenta la risorsa ―più globale che esiste‖. Queste innovazioni
hanno comportato un forte mutamento qualitativo del contenuto e delle
forme della comunicazione. Non solo. Una delle serie novità dell‘intensa
commistione tra tecnologie e informazione è rappresentata proprio dalla
potenziale capacità di accedere a quest‘ultima.
Prima della rivoluzione tecnologica, infatti, per accedervi era
inevitabile imbattersi nelle logiche proprietarie che gestiscono i canali
d‘informazione. Oggi, invece, ―l‘accesso diretto, generalizzato e senza
confini a questo sconfinato patrimonio informativo‖ comporta la possibilità
di configurare la ―conoscenza come bene comune‖283.
In altre parole, l‘accesso alla Rete pretende che il bene comune
dell‘informazione sia disponibile a tutti, sia fruibile da tutti e sia suscettibile
di uso rivale284, alla luce del fatto che attraverso di esso più persone
riescono a raggiungere la stessa informazione nel medesimo istante.
282
S. RODOTÀ, Informazione e nuove tecnologie, in S. MERLINI (a cura di),
L‟informazione: il percorso di una libertà, Passigli, 2012, p. 91.
283
S. RODOTÀ, Informazione e nuove tecnologie, cit., p. 94-95.
284
Ibidem, p. 95.
Sul punto si veda anche C. MARSDEN – D. TAMBINI – D. LEORNARDI, Codifying
Cyberspace, Communications self-regulation in the age of Internet convergence, cit., p. 9
ss. Gli Autori sostengono che il bene pubblico è ―not-rival‖, il che significa che dalla
messa a disposizione di esso beneficia più di una persona. Esso non sarebbe esclusivo,
dunque, una volta prodotto, risulterebbe quasi impossibile impedire che gli altri accedano
simultaneamente ai benefici della sua produzione. Pertanto, il design end-to-end già di
per sé comporta che il contenuto della rete sia un ―public good‖, suscettibile di controllo
esercitato solo da parte dell‘utente finale. A p. 11, gli Autori intervengono sul tema della
governance di un bene pubblico, optando per la necessità di una regolazione eteronoma,
in questi termini: ―the excludability of information from users by strong filtering and
cryptography, secure payment system and like may be essential in order to advance a
safer, more trusted Internet, but changes the nature of the medium from a public to an
117
A ciò consegue che le logiche del web andrebbero pensate in ragione
della considerazione che l‘informazione è e deve restare bene comune285.
Più chiaramente, vanno ripensati le regole del copyright, il ruolo delle
pubbliche amministrazioni, le forme di insegnamento. Tutto va letto e
rivisto alla luce dell‘informazione globalizzata, che non può che essere
foriera di rilevanti novità e condurre al mutamento di tempi e modi di
realizzazione della società democratica, pur non rappresentando, ad avviso
di chi scrive, unica e sola risorsa della democrazia, quanto piuttosto uno
strumento, un‘opportunità per la realizzazione di obiettivi univoci, volti alla
realizzazione del common good.
D‘altra parte, com‘è stato notato, ―il processo di creazione della
conoscenza pubblica che si determina attraverso la produzione e la
circolazione delle informazioni, anche e soprattutto di quelle in mano
pubblica, ha un‘innegabile valenza di potenziamento dei presupposti fattuali
individuali e collettivi ad essa connessi‖286.
Ed è proprio la visione dell‘informazione in questa prospettiva che ne
fa derivare la qualificazione di bene comune, per ciò che essa può
rappresentare per la società globale, per il singolo cittadino e, non ultimo,
per le peculiari e potenzialmente illimitate modalità d‘accesso.
increasingly private sphere. The regulation of this new global space is essential to address
this contradiction to maintain global goods of free information, privacy,
interconnectedness and development‖.
285
Su questa questione, ampiamente, C. HESSE – E. OSTROM, Understanding
Knowledge As a Commons, The Mit Press, Massachusetts Institute of Technology, 2007.
Gli Autori sostengono con forza che il sapere sia risorsa condivisa e ritengono che Open
content, creative commons e open source rappresentino il modo migliore per garantire
l‘accesso alla conoscenza e la sua più ampia diffusione globale.
Sul punto, anche G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, Jovene, 2012, p. 181183, in questi termini: ―Con la rete, la conoscenza, bene comune per eccellenza, non è più
contenibile nelle anguste categorie del bene privato o pubblico, che entrambe riservano
l‘oggetto a un titolare solitario. La conoscenza, invece, è completata da un dovere di
destinazione: giovare a un‘intera comunità che ne possa disporre liberamente per trarvi
un‘utilità indistintamente distribuita‖.
286
P. MARSOCCI, Lo spazio di Internet nel costituzionalismo, in
www.costituzionalismo.it, 13-12-2011 e, più ampiamente, ID., Poteri e pubblicità. Per
una teoria della comunicazione istituzionale, Cedam, Padova, 2002.
118
Quanto detto fino a ora, però, ha il solo pregio di sottolineare il rilievo
delle conseguenze della rivoluzione tecnologica e mettere in luce la
possibilità dell‘inquadramento del bene ―informazione‖ al servizio della
società tutta, ma manca ancora un passaggio che giustifichi la scelta di
affrontare tale questione a questo punto della trattazione.
In altre parole, le ragioni per le quali l‘informazione debba essere
considerata un bene comune sono di facile intuizione, ma dove ci conduce
quest‘osservazione? Esiste un‘immediata conseguenza di un tale assunto?
In verità, a parere di chi scrive, la risposta alla domanda sta in ciò: se
l‘informazione è bene a disposizione di tutti, e se per giungere
all‘informazione è indispensabile garantire una generale libertà di
accedervi, sembra potersi dire che la qualità di bene comune non debba
essere accreditata solo al ―bene fine‖, quanto piuttosto direttamente al ―bene
mezzo‖.
Diversamente, l‘accessibilità all‘utilità finale risulterà meramente
fittizia. In sostanza, sarebbe come sostenere che l‘ambiente è bene comune,
e poi decidere di privatizzare la gestione di ogni luogo che in astratto
andrebbe ritenuto ad accesso libero e indiscriminato.
Infatti, così come la Corte Costituzionale ha sempre sostenuto che
l‘etere fosse un bene pubblico e, in quanto tale, la sua disciplina dovesse
garantire il massimo di accesso a chi intendesse esercitare la libertà di
manifestazione del pensiero per il tramite del mezzo radiotelevisivo,
qualche mese fa la Commissione Europea si è espressa nello stesso senso
con riguardo allo spettro radio, utilizzabile come strumento di riduzione del
c.d. digital divide.
La Commissione, già a partire dal 2007287, aveva sostenuto una
politica regolatoria volta all‘uso comune dello spettro radio liberato dal
287
Si veda a riguardo la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni,
dall‘intestazione ―Trarre il massimo beneficio dal dividendo digitale in Europa: un
approccio comune all‟uso dello spettro liberato dal passaggio al digitale‖, Bruxelles,
119
passaggio dall‘analogico al digitale (dividendo digitale). Infatti, così si è
espressa nel suggerire un intervento in tal senso: ―Il dividendo digitale offre
un‘occasione unica di soddisfare la domanda in rapida crescita di servizi di
comunicazione senza filo. Esso libera una porzione di spettro sufficiente per
consentire allo stesso tempo lo sviluppo e l‘espansione significativi dei
servizi offerti dalle emittenti e l‘utilizzo di questa preziosa risorsa per altri
usi economici e sociali importanti, ad esempio le applicazioni in banda
larga miranti a ridurre la ‗frattura digitale‘. Il dividendo digitale crea,
pertanto, potenzialmente, una situazione vincente per tutti‖288.
La Commissione ricorda, inoltre, che lo spettro radio è risorsa
pubblica, per sua natura scarsa, e che, proprio alla luce di tali
caratteristiche, deve essere volta alla realizzazione dell‘interesse pubblico,
attraverso una gestione efficace ed efficiente, che riesca a implementare i
servizi di diffusione a banda larga senza fili. In tal modo, una stessa risorsa
pubblica, grazie ai sistemi tecnici di condivisione dello spettro, potrebbe
portare vantaggi sia al settore dei broadcaster, sia a quello degli operatori di
rete mobile, con un unico grande obiettivo: sfruttamento intelligente e
innovativo della risorsa pubblica e, dunque, migliori servizi per gli utenti.
Pertanto, già dalla Comunicazione del 2007, risulta chiaro l‘obiettivo
della Commissione: spendere una risorsa pubblica per un fine pubblico, il
quale non si traduce solo ed esclusivamente nella configurazione di un
miglior assetto del mercato comune, affinché sia effettivamente uno spazio
competitivo per gli operatori, ma nel riconoscere valore politico e sociale a
tale esigenza, direzionandola nel senso della implementazione dei servizi e
dei vantaggi per i singoli utenti della Società dell‘Informazione.
L‘intuizione della Commissione è poi sfociata nel Vertice Europeo sul
tema dello spettro radio, tenutosi nei giorni 22-23 marzo 2010.
In
quell‘occasione, la commissaria per l‘Agenda Digitale, Neelie Kroes si è
13.11.2007, COM(2007) 700. Il testo è reperibile alla pagina http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2007:0700:FIN:it:PDF.
288
Ibidem, p. 3.
120
così espressa: ―we all agree, firstly, that efficient spectrum management is a
key element in tackling key social and economic challenges and,
furthermore, that Europe has an important role to play in achieving that.
The challenges we face are huge and we cannot shy away from them – we
have to adopt a clear and strong policy line to take full advantage of current
and future technological developments, in order to make the best use of
spectrum for the benefit of European citizens and business‖289.
La posizione della Commissaria è piuttosto chiara: l‘azione europea
non può e non deve sostituire l‘intervento dei singoli Stati290, ma non può,
d‘altra parte, restare inerte di fronte a politiche omissive dei legislatori
nazionali.
Un intervento, cioè, appare indispensabile, perché strumentale
all‘esercizio dei diritti dei cittadini, e l‘Unione Europea si dice pronta a dare
il supporto che serve alle politiche pubbliche nazionali, se necessario con
l‘elaborazione di norme di armonizzazione, o, meno incisivamente,
contribuendo con apporti tecnici e strumenti di coordinazione.
Questa la posizione ufficiale dell‘Europa: ―We should assume nothing
beyond the need to maximise the social, economic and environmental value
that spectrum can be used to generate. My first principle is that spectrum is
a public good, not an entitlement or private play-thing. My second principle
is that flexibility aids efficiency‖291.
La Commissione europea è tuttora impegnata nella questione. Infatti,
nel settembre 2012, è intervenuta una nuova Comunicazione292 sul tema,
Il testo dell‘intervento è reperibile all‘indirizzo http://europa.eu/rapid/pressrelease_SPEECH-10-115_en.htm.
290
Sulla posizione assunta dal legislatore italiano, si vedano le delibere 181/09/CONS
e 300/10/CONS (28 giugno 2010), Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per il
servizio di radiodiffusione televisiva terrestre in tecnica digitale: criteri generali,
reperibili in www.agcom.it. Per una critica alla scelta italiana, a fronte, invece, della più
lungimirante posizione europea, si veda, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia,
Jovene, 2012, p. 167-169.
291
Ivi.
292
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al
Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, ―Promuovere l‟uso
289
121
dall‘intestazione: ―Promuovere l‘uso condiviso delle risorse dello spettro
radio nel mercato interno‖.
Il punto di partenza dell‘UE è la constatazione che la banda larga
senza fili è per i cittadini uno strumento di accesso a Internet disponibile in
qualsiasi luogo, data la profonda innovazione che ha interessato il mercato
degli smartphone, dei tablet e di tutti i dispositivi mobili capaci di
collegarsi alla Rete. Da qui, proprio in ragione dell‘esigenza di soddisfare le
necessità di spettro per la connettività senza fili, limitata de facto dalla
scarsità della risorsa e dai costi inevitabilmente elevati per una
riassegnazione dello spettro per usi nuovi e diversi, si cerca una strada
alternativa e più efficace: la condivisione delle medesime bande di
frequenza da parte di diversi utilizzatori, dunque, un diritto di accesso alla
medesima risorsa.
È chiaro, però, che per conseguire un tale ambizioso obiettivo, si
necessita di un quadro normativo che lo consenta. Ma, ―per cogliere
pienamente i benefici di una condivisione dello spettro non è sufficiente
rimuovere gli ostacoli normativi che frenano la diffusione di tecnologie
innovative di accesso alle frequenze radio ma anche intervenire attivamente
per agevolare tale la condivisione. In linea con il programma strategico in
materia di spettro radio (RSPP), la Commissione mira a ottenere il più
ampio consenso politico possibile per gli interventi proposti al fine di
sostenere le innovazioni senza fili nell‘UE e di garantire che lo spettro
attualmente assegnato sia pienamente valorizzato‖293.
La Commissione, dunque, come risulta da tutti gli atti intervenuti dal
2007 a oggi, parte da un presupposto basilare: il legislatore nazionale, come
quello europeo, ha il dovere di intervenire per sfruttare al massimo una
risorsa di natura pubblica.
condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno‖, Bruxelles, 3.9.2012
COM(2012)
478,
reperibile
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0478:FIN:IT:PDF.
293
Ibidem, p. 3.
122
In altre parole, un bene comune pretende di per sé, laddove la tecnica
lo consenta, l‘accessibilità diretta e condivisa nel massimo delle sue
potenzialità.
Pertanto, il filo rosso che lega la politica regolatoria dell‘Unione e la
lunga e corposa giurisprudenza costituzionale in materia di radiotelevisione
sta nella garanzia dell‘accesso allo strumento attraverso il quale si
esercitano diritti e facoltà dei singoli.
Non a caso, del resto, è la stessa categoria dei beni pubblici, specie in
conseguenza degli acuti interventi della dottrina e della giurisprudenza
italiana, a scontrarsi con l‘esigenza di superare la classificazione stantia che
il codice civile riserva loro. Difatti, non risulta peregrina l‘affermazione
della Commissione sulla natura di bene comune dello spettro, ipotizzata da
una piuttosto recente proposta di legge, di modifica degli art. 822 c.c. ss.
La
qualità
del
bene
comune,
riconosciuta
in
principio
all‘informazione, deve, secondo il nostro ragionamento, scivolare anche
sullo strumento che veicola la stessa. Del resto, il diritto di accesso allo
spettro non può che garantire un accesso allargato alle reti wireless e,
conseguentemente, all‘informazione on line.
Ma, cos‘è il bene comune? È un termine alternativo a quello di bene
pubblico294? Sono beni comuni sono quelli definiti pubblici dal codice
civile?
Sul tema è intervenuta di recente la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite, con sentenza n. 3665, del 14 febbraio 2011295.
La decisione in oggetto si rivela un passo decisamente considerevole
in tema di beni comuni, perché la Cassazione prescinde totalmente dal
294
Per una visione completa della questione dei beni pubblici, si veda il lavoro di S.
RODOTÀ – U. MATTEI – E. REVIGLIO (a cura di), I beni pubblici. Dal governo
democratico dell‟economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010.
295
Per un commento alla sentenza si veda L. CIAFARDINI, in Giust. civ., 2011, 12, p.
2844.
123
concetto di proprietà296, individuando come beni comuni quelli in cui si
evidenzia una funzionalità rispetto agli interessi, non del singolo, ma
dell‘intera collettività.
Un criterio funzionale, dunque, che sostituisce la statica ripartizione
tra beni demaniali, beni appartenenti al patrimonio indisponibile e
disponibile dello Stato, alla quale corrisponde l‘appartenenza al relativo
regime giuridico.
Nella ricostruzione sistematica della Corte, il bene comune deve
essere a disposizione della comunità e la sua accessibilità si deve al fatto
che l‘utilizzo dei beni appartenenti a tutti e a ciascuno è strumentale
all‘esercizio dei diritti fondamentali e, con essi, allo Stato sociale.
In verità, il criterio funzionale è quello che meglio riesce a dar
effettività alla diversità strutturale dei beni comuni. La logica proprietaria
non può bastare perché non risponde alla vocazione intrinseca dei suddetti
beni.
Da ciò si desume che non può ritenersi tassativa la classificazione di
cui agli artt. 822 c.c. ss., dunque, la definizione di bene pubblico dovrà
derivare direttamente dall‘interpretazione sistematica non solo del codice
civile e delle leggi speciali, quanto soprattutto del testo costituzionale. La
Corte, infatti, si esprime in questi termini: ―La Costituzione, com‘è noto,
non contiene un‘espressa definizione di beni pubblici, né una loro
classificazione, ma si limita a stabilire alcuni richiami che sono, comunque,
assai importanti per la definizione del sistema positivo. Tuttavia, dagli
articoli 2, 9, 42 Cost., e stante la loro diretta applicabilità, si ricava il
D‘altra parte, già V. CERULLI IRELLI, Beni pubblici (voce), in Digesto delle
discipline pubblicistiche, II, Roma, 1987, p. 25, evidenziava che, ―sul versante
costituzionale, la proprietà privata intanto è riconosciuta e tutelata in quanto, nelle varie
categorie di beni, essa, come modello, riesce ad assicurare dei beni stessi la funzione
sociale, nonché a renderli accessibili a tutti; e, sul versante della legislazione ordinaria,
vige piuttosto il principio del diritto potenziale di dominio dello Stato su tutto il territorio,
sancito dall‘art. 827 c.c.‖. In tal senso, più recentemente, P. M ADDALENA, I beni comuni
nel codice civile, nella tradizione romanistica e nella Costituzione della Repubblica
italiana, in Giur. cost., 2011, 03, p. 2613: ―La proprietà privata non è un diritto umano
inviolabile, che precede l‘ordinamento giuridico‖.
296
124
principio della tutela dell‘umana personalità e del suo corretto svolgimento
nell‘ambito dello Stato sociale…con specifico riferimento non solo ai beni
costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio o il
patrimonio oggetto della ‗proprietà‘ dello Stato ma anche riguardo a quei
beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del
legislatore, per la loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base
di una compiuta interpretazione dell‘intero sistema normativo, funzionali al
perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività‖.
Quest‘approdo giurisprudenziale diventa fondamentale per il tema qui
trattato, perché il devolvere alla categoria dei beni comuni quelli che, a
prescindere da scelte legislative, si mostrano tali, implica una decisiva presa
di posizione sulla conseguente governance degli stessi297.
In altre parole, se il bene comune appartiene alla comunità tutta, lo
Stato deve intervenire con una politica che ne garantisca un uso comune e
un godimento senza discriminazioni di sorta.
Non a caso, la Cassazione opta per un‘interpretazione del tessuto
costituzionale che trova origine nel valore personalistico e solidaristico
dell‘art. 2 Cost. Lo Stato ha l‘obbligo di garantire che la personalità
dell‘individuo possa svilupparsi anche attraverso la scelta ragionevole ed
equa della governance di un bene pubblico che può di per sé contribuire
all‘evoluzione socio-culturale del singolo, specie, si può aggiungere, se quel
bene è un architrave dello Stato democratico, come l‘informazione.
La questione è messa in luce la S. LIETO, “Beni comuni”, Diritti fondamentali e
Stato sociale. La Corte di Cassazione oltre la prospettiva codicistica, in Politica del
diritto, XLII, n. 2, 2011, spec. p. 334. Si vedano anche F. CORTESE, Dalle valli da pesca
ai beni comuni: la Cassazione rilegge lo statuto dei beni pubblici?, in Giornale di diritto
amministrativo, 2011, 11, p. 1170 e C.M. CASCIONE, Le Sezioni Unite oltre il codice
civile. Per un ripensamento della categoria dei beni pubblici, in Giur. it., 2011, p. 12.
Va detto, peraltro, che già la più risalente dottrina aveva qualificato come meramente
dichiarativo il valore degli atti amministrativi che intervengono nella classificazione di
detti beni, annunciando già il criterio sostanzialistico di valutazione del bene di carattere
pubblico. Si veda a riguardo V. CERULLI IRELLI, Beni pubblici (voce), cit., spec. p. 284.
297
125
A tal fine, sembra opportuno proporre il riconoscimento di una
categoria dei ―beni comuni‖298, che sia autonoma da quella dei beni pubblici
già prevista, e che abbia la finalità di scongiurare l‘ipotesi in cui determinati
beni, che per loro intima vocazione soddisfano bisogni fondamentali
dell‘individuo, possano essere assoggettati alla logica tradizionale della
proprietà privata. Ciò, sia con riferimento al bene immateriale
dell‘informazione, da non lasciare appannaggio di pochi, sia dello
strumento di accesso alla stessa, ad esempio lo spettro radio, che, utilizzato
sfruttando le tecnologie, può presentarsi come un utile mezzo di
realizzazione del bene comune.
Certo, l‘individuazione della suddetta categoria di ―beni comuni‖
indispensabili alla realizzazione di esigenze collettive non risulterebbe
agevole, anche solo per la molteplicità dei bisogni umani, però, un appiglio
sicuro può certamente essere rappresentato dalla Carta Costituzionale.
Quale migliore fonte per la selezione di una serie di bisogni primari?
Così ragionando, il discorso torna all‘osservazione fatta in apertura. In
altre parole, l‘art. 21 Cost., garantendo una libertà di pensiero, esercitabile
attraverso qualsiasi mezzo, produce due corollari: il primo, l‘informazione è
bene immateriale comune e, se così non fosse, non potrebbe sussistere il
diritto a essere informati, strenuamente difeso dalla dottrina e dalla
giurisprudenza costituzionale; il secondo, se l‘informazione va garantita,
non si può prescindere da politiche regolatorie che rendano effettiva la
disponibilità del mezzo per accedervi, in quanto anch‘esso bene comune.
D‘altra parte, se il fine della Repubblica deve essere quello di
garantire che tutti accedano alla soddisfazione dei bisogni primari, questi
298
A riguardo, si segnala la proposta di modifica degli articoli del c.c. in tema di beni
pubblici, presentata dalla Commissione Rodotà, il 14 giugno del 2007. Il testo della
Relazione
è
reperibile
alla
pagina
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?contentId=SPS47617. L‘articolato del
disegno di legge di delega al governo può essere consultato in
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_1_12_1&contentI
d=SPS47624.
126
devono riguardare sia beni materiali che quelli immateriali, come
l‘informazione.
Solo questa sembra essere la via per concretizzare l‘obiettivo della
giustizia sociale e non lasciare la lettera della Costituzione come una
promessa a futura memoria.
2. Il diritto di accesso come “nocciolo duro” dell‟articolo 21 Cost.
Il nesso di ―indispensabile strumentalità‖ che unisce l‘accesso alla
Rete – come a ogni altro mezzo – e l‘esercizio della libertà on line, produce,
a parere di chi scrive, un‘importante conseguenza: il diritto di accesso è il
nocciolo duro dell‘art. 21 Cost., cioè, è quel contenuto minimo del diritto,
che la Corte Costituzionale ha sempre ritenuto inevitabilmente esente da
compressione, perfino ad opera del legislatore in sede di bilanciamento di
valori.
In altri termini, se la libertà di manifestazione del pensiero on line è
esercitabile se e in quanto si acceda alla Rete, l‘accesso non è solo
strumento indispensabile ma diventa momento indefettibile dell‘esercizio
della libertà, senza il quale essa non verrebbe compressa, ma annullata in
radice, snaturata, cancellata.
Il concetto di ―limite‖ al diritto è già desumibile dalla prima sentenza
della Corte Costituzionale, faro per il legislatore futuro con riguardo alla
chiarezza espositiva e ai principi di diritto dettati. Nella sentenza n. 1 del
1956, infatti, la Corte già si esprimeva in questi termini: ―Una disciplina
delle modalità di esercizio di un diritto, in modo che l‘attività di un
individuo rivolta al perseguimento dei propri fini si concili con il
perseguimento dei fini degli altri, non sarebbe perciò da considerare di per
sé violazione o negazione del diritto. E se pure si pensasse che dalla
disciplina dell‘esercizio può anche derivare indirettamente un certo limite al
127
diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite è insito nel
concetto di diritto e che nell'ambito dell'ordinamento le varie sfere
giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano
coesistere nell'ordinata convivenza civile‖299.
Il limite a ciascuna libertà nel vivere civile è, dunque, inevitabile, ma
va rispettata, d‘altra parte, la necessità di non comprimere eccessivamente il
diritto, pena l‘illegittimità della misura esercitata.
La Corte ha avuto modo di esprimersi sul punto, proprio con
riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero: ―É indubbio, infatti,
che la Costituzione garantisce sia la manifestazione del pensiero sia la
divulgazione del pensiero dichiarato. É pur vero che tale libertà non esclude
possano essere disciplinate dal legislatore le modalità di esercizio del
diritto,
per
il
necessario
contemperamento
con
altri
interessi
costituzionalmente rilevanti, come già più volte riconosciuto da questa
Corte (sentenze n. 129 del 1970; n. 1 del 1956; n. 48 del 1964). Ma detta
disciplina non può essere mai tale da rendere più difficile, e per taluni casi
limite anche impossibile, l‘espressione del pensiero‖300.
Il contenuto essenziale diventa, dunque, più che uno dei criteri – su
cui ci si soffermerà in seguito – un ―limite di resistenza‖301 al
bilanciamento.
Infatti, violare il contenuto minimo del diritto equivale a rinunciare
alla ―minima applicabilità‖302 dello stesso, erodendone inevitabilmente
l‘essenza.
299
Corte Costituzionale, sentenza n. 1 del 1956, Considerato in diritto, punto 3,
reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/1956/0001s-56.html.
300
Corte Costituzionale, sentenza n. 131 del 1973, Considerato in diritto, punto 2. Il
testo è consultabile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0131s-73.html.
301
L‘espressione è di R. BIN, Diritti e fraintendimenti: il nodo della rappresentanza,
in Studi in onore di G. Berti, I, Napoli, 2005, p. 368 ss.
302
Ivi.
128
Peraltro, va sottolineato che il criterio del contenuto ―minimo‖ – o
contenuto ―essenziale‖ – ha concorso a determinare il significato del c.d.
―contro-limite‖ all‘applicazione del diritto comunitario.
In altre parole, se in origine il contro-limite consisteva nell‘obbligo
dell‘ordinamento europeo di osservare il contenuto fondamentale e
integrale delle garanzie costituzionali previste per i diritti costituzionali
nazionali303, successivamente, le Corti nazionali, sulla scia di un‘Europa più
attenta ai diritti fondamentali, ritenuti non più solo strumenti per la
realizzazione di un mercato unico, quanto piuttosto obiettivo della politica
europea, hanno ritenuto304 che il contro-limite da apporre al diritto europeo
non potesse che corrispondere al contenuto minimo del diritto305, a quel
nucleo costituzionale insopprimibile, quel livello di garanzia irrivedibile e
irretrattabile306.
303
La celebre e risalente sentenza Solange 1 (BVerfG, 2BvL 52/71 del 29 maggio
1974), emanata dalla Corte Costituzionale tedesca, aveva, infatti, stabilito che il limite
all‘applicabilità del diritto comunitario nell‘ordinamento tedesco fosse rappresentato
proprio dalle decisioni europee in materia di diritti. In altri termini la Corte Costituzionale
tedesca rivendicò la competenza a sindacare le norme europee che potevano trovarsi in
conflitto con le norme costituzionali tedesche in tema di garanzia dei diritti fondamentali.
Come la dottrina ha evidenziato, la rilevanza di una tale affermazione va comunque
ridimensionata, perché emanata in un tempo in cui ―l‘ordinamento europeo non solo
difettava ancora di un Parlamento legittimato sulla base di principi democratici ed eletto a
suffragio universale, ma soprattutto era privo di un catalogo codificato di diritti
fondamentali‖. Così, V. NUCERA, Il diritto tributario commentato, serie I, vol. CX,
Padova, Cedam, 2010, p. 174.
Si veda anche E. BULZI, Tendenze comuni in Europa (est e ovest) nella recente
giurisprudenza costituzionale in materia di controlimiti, in www.federalismi.it, n. 4 del
2011,
anche
reperibile
alla
pagina
http://www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=17599#.UUBovhxBSR8.
304
Per tutte si faccia riferimento alla sentenza del Tribunale Costituzionale tedesco,
Solange II (2BvR 197/83 del 22 ottobre 1986). Con questa pronuncia, il Tribunale stabilì
che non avrebbe riesaminato pronunce della Corte di Giustizia, fintanto che ―la Comunità
europea, e in particolare la giurisprudenza comunitaria garantirà una protezione generale
ed effettiva dei diritti fondamentali di fronte all‘esercizio dei poteri sovrani riconosciuti
alla Comunità medesima, in modo sostanzialmente analogo alla tutela
incondizionatamente richiesta dalla Costituzione, così da soddisfare il contenuto
essenziale dei diritti fondamentali‖.
305
Sul punto, O. CHESSA, La misura minima essenziale dei diritti sociali: problemi e
implicazioni di un difficile bilanciamento, in Giur. cost., 1998, 2, p. 1170 ss.
306
Sul tema, si veda, ampiamente, D. BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali
nell‟ordinamento costituzionale italiano ed europeo, E.S.I., Napoli, 2009. Sul punto,
anche M. LUCIANI, Integrazione europea, sovranità statale e sovranità popolare, 2009,
129
D‘altra parte, una valutazione non strettamente ancorata ai confini
nazionali307 è d‘obbligo se ci si riferisce, come già sostenuto sopra, a una
realtà che travalica confini e che attiene, pertanto, a quelle garanzie minime
che il costituzionalismo dovrebbe assicurare.
Dunque, il fatto che il nocciolo duro dei diritti rappresenti la soglia
oltre la quale non può spingersi nel bilanciamento anche il Legislatore
comunitario è conseguenza del fatto che le strenue garanzie poste a presidio
dei diritti fondamentali nella nostra Carta Costituzionale (riserva di legge e
riserva di giurisdizione) non valgono anche oltrefrontiera.
Pertanto, il porre come contro-limite all‘intervento europeo la parte
irrivedibile di ciascun diritto è una forma di tutela del proprio patrimonio
costituzionalistico308, che, però, lascia oggi la disciplina dei diritti anche a
in
http://www.treccani.it/enciclopedia/integrazione-europea-sovranita-statale-esovranita-popolare_(XXI-Secolo)/; P. BILANCIA, Possibili conflittualità e sinergie nella
tutela dei diritti fondamentali ai diversi livelli istituzionali, in P. BILANCIA – E. DE
MARCO (a cura di), La tutela multilivello dei diritti: punti di crisi, problemi aperti,
momenti di stabilizzazione, Milano, 2004, p. 113-126; R. MASTROIANNI, Conflitti tra
norme interne e norme comunitarie non dotate di efficacia diretta: il ruolo della Corte
Costituzionale, in Dir. Un. Eur., 2007, 03, p. 585 ss.; L. SALVATO, Il rapporto tra le
norme interne, diritto dell‟UE e disposizioni della CEDU: il punto della giurisprudenza,
in Corriere giuridico, 2011, n. 3, p. 333 ss. Ma anche, V. MANES – V. ZAGREBELSKY (a
cura di), La Convenzione europea dei diritti dell‟Uomo nell‟ordinamento penale italiano,
Giuffrè, 2011, spec. p. 15 ss.
Più in generale, sui vincoli al legislatore derivanti dall‘ordinamento comunitario, si
veda G. SERGES, I vincoli derivanti dall‟ordinamento comunitario ai sensi dell‟art.117,
comma 1, Cost., in AA. VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo,
Torino, 2007, con presentazione di E. CASTORINA, p. 412-423.
307
Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, Jovene, 2012, spec. p. 187193.
308
Su questa questione, F. SALMONI, La Corte costituzionale, la Corte di giustizia CE
e la tutela dei diritti fondamentali, in P. FALZEA – A. SPADARO – L. VENTURA (a cura
di), La Corte costituzionale e le Corti d‟Europa, Torino, 2003, p. 306: ―La creazione di
questa sorta di riserva di giurisdizione ha avuto sì come obiettivo quello di garantire
l‘inviolabilità da parte del diritto comunitario del cuore della costituzione italiana, di
quell‘insieme di principi e diritti che rappresentano il nucleo intangibile della Carta
costituzionale, ma anche, contestualmente, quello di esaltare il ruolo della Corte
costituzionale come soggetto legittimato a difendere ad oltranza la Costituzione e i diritti
dei singoli, in quanto organo di chiusura del sistema‖.
Il problema della possibile frizione tra i due ordinamenti era stato, del resto, già messo
in luce da M. LUCIANI, La Costituzione italiana e gli ostacoli all‟integrazione europea, in
Politica del diritto, 1992, p. 574, che così si esprime in tema di indispensabile tutela da
parte della Corte Costituzionale: ―occorre considerare che, nonostante tutti gli Stati
130
istituzioni diverse, in ragione della riconosciuta parziale cessione della
sovranità nazionale.
Nell‘ottica europea, infatti, il contenuto essenziale è inteso in senso
relativo e casistico. Esso, cioè, diventa determinabile caso per caso,
―operato sempre dal giudice fra le esigenze del limite e le ragioni della
libertà‖309, ponderazione che deve osservare i limiti di un bilanciamento
non arbitrario ma fissato in criteri certi.
Va detto, peraltro, che il limite del contenuto minimo del diritto, se
può essere apposto al diritto comunitario, non funziona allo stesso modo per
altre norme che pur trattano di diritti (si pensi alla Cedu).
Ciò comporta che, anche allorché esse possano rappresentare
parametro di costituzionalità in forza del novellato art. 117 Cost., ciò non le
equipara alle norme comunitarie, rispetto alle quali può valere il meno
esteso limite dei principi supremi e del contenuto essenziale dei diritti
fondamentali.
Infatti, come sostenuto dalla Corte Costituzionale nelle celebri
sentenze del 2007310, è necessario che le stesse norme che integrano il
membri delle Comunità facciano parte delle stessa koinè democratico-pluralistica,
l‘individuazione dei principi costituzionali comuni è assai problematica e, comunque, non
esclude che vi siano casi in cui le tradizioni costituzionali comuni non hanno avuto modo
di formarsi. Casi, cioè, in cui il diritto comunitario finisce per andare in cortocircuito‖.
Sulla necessità di conservare il contenuto minimo dei diritti garantiti nella Carta
nazionale, si veda anche C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle
leggi con essa configgenti, in Giurisprudenza Costituzionale, 2007, p. 3518 ss.
309
D. BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali nell‟ordinamento costituzionale
italiano
ed
europeo,
Abstract,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/autorecension
i/0027_butturini.pdf.
310
Si fa riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale, n.i 348 e 349 del 2007. I
relativi testi sono reperibili alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/index.html. Per i
commenti alle sentenze si vedano C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo
contrasto con la Corte europea dei diritti dell‟uomo ed interpreta l‟art. 117 della
Costituzione:
le
sentenze
n.
348
e
349
del
2007,
in
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una
nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale
d‟inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz
a/2007/0001_ruggeri_nota_348_349_2007.pdf; R. DICKMANN, Corte costituzionale e
diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l‟articolo 117, primo
131
parametro costituzionale, tra le quali si fa rientrare la Cedu (Convenzione
europea dei diritti dell‘uomo), pur rimanendo a livello sub-costituzionale,
siano conformi a Costituzione (posizione ribadita anche all‘entrata in vigore
del Trattato di Lisbona311). ―La particolare natura delle stesse norme,
diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo
scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei
principi e diritti fondamentali312, o dei principi supremi313, ma debba
estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le ‗norme interposte‘ e quelle
costituzionali‖314. Infatti, la norma Cedu sarà considerata dalla Corte
legittima solo laddove essa garantisca una tutela dei diritti fondamentali
―almeno equivalente‖315 al livello garantito dalla Costituzione italiana316.
comma,
della
Costituzione,
in
http://www.federalismi.it/federalismi/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=8789&dpath=docum
ent&dfile=30112007051737.pdf&content=Corte+costituzionale+e+diritto+internaziona
le+nel+sindacato+delle+leggi+per+contrasto+con+l%E2%80%99articolo+117,+prim
o+comma,+della+Costituzione+-+stato+-+dottrina+-+; A. MOSCARINI, Indennità di
espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti e uno indietro della
Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo, in
http://www.federalismi.it/federalismi/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=8785&dpath=docum
ent&dfile=20112007075626.pdf&content=Indennit%C3%A0+di+espropriazione+e+val
ore+di+mercato+del+bene:+un+passo+avanti+e+uno+indietro+della+Consulta+nell
a+costruzione+del+patrimonio+costituzionale+europeo+-+stato+-+dottrina+-+; T.F.
GIUPPONI, Corte costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”: che
tutto cambi perché tutto rimanga uguale?, in www.forumcostituzionale.it; V. SCIARABBA,
Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed
internazionali, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/; S. CICCONETTI,
Creazione
indiretta
del
diritto
e
norme
interposte,
in
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/; F. DONATI, La CEDU nel sistema italiano
delle fonti del diritto alla luce delle sentenze della Corte costituzionale del 24 ottobre
2007, in http://www.osservatoriosullefonti.it/.
311
Si fa riferimento alle sentenze n. 1 del 2011, n. 196 del 2010 e n. 311 del 2009.
312
Sul punto è ampia la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Si segnalano le
sentenze più rilevanti: sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 168 del 1991, n. 73
del 2001, n. 454 del 2006.
313
Copiosa la giurisprudenza costituzionale sui ―principi supremi‖: sentenze n. 30 e n.
31 del 1971, n.i 12 e 195 del 1972, n.i 175 e 183 del 1973, n. 1 del 1977, n. 16 del 1978,
n.i 16 e 18 del 1982, n. 203 del 1989.
314
Corte Costituzionale, sentenza n. 348 del 2007, Considerato in diritto, punto 4.7.
315
Corte Costituzionale, sentenza n. 349 del 2007, Considerato in diritto, punto 6.2.
316
Si tenga presente che nel 2009, con sentenza n. 317, la Corte Costituzionale
sosteneva: ―Con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi
internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già
predisposte dall‘ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento
132
D‘altra parte, anche nell‘ottica di una massima espansione delle
garanzie, che deve derivare dallo sviluppo delle potenzialità insite nelle
norme costituzionali e dal confronto tra la tutela convenzionale e tutela
costituzionale dei diritti, va detto che il margine di apprezzamento
nazionale deve sempre e comunque essere orientato all‘equilibrio tra i diritti
ugualmente tutelati dalla Carta Costituzionale e dalla Cedu.
In verità, ciò che dovrebbe accomunare i diversi sistemi costituzionali
è la condivisione di un comune contenuto essenziale dei diritti medesimi,
quale patrimonio proprio e irretrattabile dell‘individuo, universalmente
riconosciuto317.
Si pensi, infatti, che in ambito comunitario, il contenuto essenziale è
confluito nella previsione dell‘art. 52 della Carta dei diritti fondamentali
dell‘Unione europea, nelle vesti di barriera invalicabile alle limitazioni
volte a vincolare l‘esercizio dei predetti diritti318, insieme ai criteri di un
equilibrato bilanciamento di valori.
efficace di ampliamento della tutela stessa…Del resto, l‘art. 53 della stessa Convenzione
stabilisce che l‘interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela
inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali‖. La posizione è stata poi
pedissequamente ribadita nella sentenza n. 264 del 2012. A commento della sentenza, si
veda A. RUGGERI, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti
con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un
sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale (“a
prima
lettura”
di
Corte
cost.
n.
264
del
2012),
in
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html.
317
A riguardo si veda Q. CAMERLENGO, La vocazione cosmopolitica dei sistemi
costituzionali,
alla
luce
del
comune
nucleo
essenziale,
in
http://www.news.unina.it/tmpPDF/Camerlengo.pdf, p. 30; I. MASSA PINTO, Il contenuto
minimo essenziale dei diritti costituzionali e la concezione espansiva della Costituzione,
in AA. VV., I diritti fondamentali in Europa (XV Colloquio biennale dell‘Associazione
italiana di diritto comparato, Messina-Taormina, 31 maggio - 2 giugno 2001), Milano,
2002, spec. p. 607 ss.; D. MESSINEO, La garanzia del contenuto essenziale dei diritti
fondamentali. Dalla tutela della dignità umana ai livelli essenziali delle prestazioni,
Giappichelli, 2012.
318
Sul punto, il commento di T. GROPPI, in R. BIFULCO – M. CARTABIA – A.
CELOTTO (a cura di), L‟Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali
dell‟Unione europea, Bologna, 2001, p. 355. Si veda anche L. MARI, La Carta di Nizza:
contenuti e principi ispiratori, in M. NAPOLI (a cura di), La carta di Nizza. I diritti
fondamentali dell‟Europa, Milano, 2004, p. 16 ss. e M. BELLETTI, “Livelli essenziali
delle prestazioni” e “contenuto essenziale dei diritti” nella giurisprudenza della Corte
costituzionale. Alla ricerca del parametro plausibile, in L. CALIFANO (a cura di), Corte
133
Questo ragionamento, dunque, conduce alla considerazione che il
diritto di accesso alla Rete, inteso come accesso allo strumento per
l‘esercizio della libertà di manifestare il proprio pensiero, non potrebbe
essere compresso in sede di bilanciamento, perché ciò tradirebbe l‘essenza
stessa della tutela e della garanzia.
Quanto affermato non corrisponde, però, alla strada intrapresa dal
legislatore francese e dal regolatore italiano, i quali, specie in materia di
diritto d‘autore, hanno considerato comprimibile il diritto di accesso alla
rete Internet, non intendendolo, evidentemente, come contenuto essenziale
del diritto alla libera manifestazione del pensiero, tesi che, invece, qui si
sostiene.
2.1. L‟accesso a Internet alla prova del bilanciamento dei valori. Questioni
rilevanti in tema di diritto d‟autore
In questa fase del lavoro, si sta sostenendo che l‘accesso alla rete
Internet è quel contenuto minimo essenziale della libertà di cui al 21 Cost.
che, imprescindibilmente, deve essere garantito all‘individuo.
Tirando le fila del discorso fin qui fatto, la tesi che si sostiene è la
logica conseguenza delle premesse su cui si è ragionato.
In altre parole, il nostro ragionamento è partito dall‘aderire alla tesi
dottrinaria e giurisprudenziale del diritto di accesso allo strumento di
manifestazione del pensiero come diritto direttamente derivante dall‘art. 21
Cost. Da quest‘impostazione si è ragionato sul perché di una tale tesi e si è
giunti a sostenere che, se così non fosse, si finirebbe per perdere l‘ubi
costituzionale e diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2004, p. 619 ss.; R. BIFULCO,
“Livelli essenziali”, diritti fondamentali e statuti regionali, in T. GROPPI – M. OLIVETTI
(a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V,
Torino, 2003, p. 137 ss.; E. PASARESI, La “determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni e la materia “tutela della salute”. La proiezione indivisibile di un concetto
unitario
di
cittadinanza
nell‟era
del
decentramento
istituzionale,
in
http://www.robertobin.it/REG10/pesaresi.pdf.
134
consistam del diritto stesso, la sua intima consistenza, nonché la ratio della
sua previsione.
A questo punto, dunque, appare necessario confrontarci con il reale,
con le norme, cioè, che sul tema della Rete sono state emanate dalle
Autorità italiane ed europee, al fine di comprendere se la tesi fin qui
sostenuta abbia o meno trovato un riscontro normativo.
Va detto, però, che prima di approfondire le risultanze normative della
ricerca, è d‘obbligo un preliminare passaggio, che funga da risposta a
domande pregiudiziali: quale il bilanciamento tra valori? Su quali criteri va
costruito l‘equilibrio che tiene insieme il contenuto essenziale del diritto
compresso e la ragionevole espansione del contro-valore? I suddetti criteri
possono valere anche per le libertà esercitate on line?
Per rispondere a queste domande, non può che venirci in soccorso la
copiosa giurisprudenza costituzionale che negli anni ha disegnato il
perimetro delle libertà, di volta in volta intervenendo a censurare o meno
l‘arte deliberativa del legislatore di turno, restando sempre attenta
all‘obiettivo primario, la tutela dei diritti di libertà319.
Non c‘è dubbio, quindi, che una tale ricostruzione può essere utile e
può guidare il nostro ragionamento verso l‘obiettivo: capire se e come un
bilanciamento tra diritti possa valere per le libertà on line e quali siano i
limiti invalicabili della libertà di manifestazione del pensiero esercitata in
Rete.
A ben vedere, però, questa pur fondamentale ricostruzione non può
appagare da sola il ragionamento e soddisfare le esigenze della Rete.
Internet è struttura complessa che fa viaggiare qualsiasi informazione
oltrefrontiera e non si può - come già visto in tema di governance -
La giustizia costituzionale è stata, infatti, definita ―giurisdizione delle libertà‖.
L‘espressione è di A. MORRONE, Corte costituzionale e principio generale di
ragionevolezza, in AA. VV., La ragionevolezza nel diritto, Milano, Giuffré, pp. 239-286,
Atti del Convegno, La ragionevolezza nel diritto, Roma, Università “La Sapienza”, 2-3-4
ottobre 2006.
319
135
prescindere da questo dato di fatto, che deve invece guidare il legislatore
nella scrittura di norme che non risultino galleggianti, a-temporali e aspaziali, dunque inutili.
Già si anticipa, dunque, un doveroso passaggio, non solo attraverso il
costituzionalismo italiano, ben rappresentato dalle sentenze della Corte
Costituzionale in merito, ma anche per quello europeo e internazionale in
tema di diritti, perché, appunto, lo spazio di Internet non è l‘angusta
frontiera italiana, ma la sconfinata realtà mondiale.
I due criteri cardine, indicati dalla giurisprudenza costituzionale come
guida per il legislatore nel bilanciamento tra valori confliggenti si traducono
nella ragionevolezza320 della previsione e nella sua proporzionalità321, intesa
come congruità del mezzo a fine e compressione non eccedente.
320
Sul tema le sentenze della Corte Costituzionale sono innumerevoli. Si segnalano le
seguenti pronunce: sentenza n. 145 del 2002, n. 151 del 2009, n. 171 del 1996, n. 298 del
2008, n. 432 del 2005, di cui si riporta quanto segue: ―al legislatore (statale o regionale
che sia) è consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da
riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una ―causa‖ normativa non
palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria…La disposizione in discussione si pone in
contrasto con il principio sancito dall‘art. 3 della Carta fondamentale, perché il relativo
scrutinio va circoscritto all‘interno della specifica previsione, in virtù della quale la
circolazione gratuita viene assicurata non a tutti gli invalidi residenti in Lombardia che
abbiano un grado di invalidità pari al 100%, ma soltanto a quelli, fra essi, che godano
della cittadinanza italiana. Il requisito della cittadinanza non può assumersi – come
deduce la Regione – quale «criterio preliminare di accesso» al beneficio‖, nonché le più
recenti pronunce: n. 2 del 2013, n. 28 del 2013, n. 20 del 2013, n. 8 del 2013, n. 23 del
2013, n. 29 del 2013, n. 4 del 2013, n. 36 del 2013, n. 3 del 2013, n. 32 del 2013, n. 35
del 2013, n. 7 del 2013. Per un commento a quest‘ultima, si veda V. MANES, La Corte
Costituzionale ribadisce l‟irragionevolezza dell‟art. 569 c.p. ed aggiorna la “dottrina”
del
“parametro
interposto”
(art.
117,
comma
primo,
Cost.),
in
http://www.penalecontemporaneo.it/tipologia/0-/-/-/2048la_corte_costituzionale_ribadisce_l___irragionevolezza_dell___art__569_c_p__ed_aggi
orna_la____dottrina____del____parametro_interposto_____art__117__comma_primo_
_cost_/ e in www.giurcost.it.
321
A riguardo, si segnalano le seguenti sentenze: n. 223 del 2012, con commenti di
S.M. CICCONETTI, Dipendenti pubblici e principio di eguaglianza: i possibili effetti a
catena derivanti dalla sentenza n. 223 del 2012 della Corte costituzionale, in
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html e O. BONARDI, La corta vita dei contributi
di
solidarietà,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz
a/2012/0027_nota_223_2012_bonardi.pdf; n. 106 del 2009, con commento di A. ANZON
DEMMIG, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente del Consiglio, autorità
giudiziaria e Corte Costituzionale, in http://www.astrid-online.it/Giustizia-/Studi--
136
Il termine ragionevolezza ―evoca attualmente: per un verso i processi
dell‘argomentazione razionale ed i risultati della stessa; per l‘altro
l‘esperienza pratica, il buon senso comune che governa i comportamenti
umani, sì che ragionevole diventa sinonimo di ponderatezza, equilibrio, ma
anche giustizia‖322.
Nel diritto costituzionale, il termine può assumere diversi significati:
può essere inteso come esigenza di parità di trattamento tra situazioni
analoghe, la cui disciplina poggia sulla medesima ratio legis, o come
predicato – non di una discriminazione a opera del legislatore – ma del
contenuto proprio di una disposizione. In quest‘ultimo caso, come
evidenziato dalla dottrina323, la Corte dovrà sanzionare la mancanza di
fondamento razionale alla normativa o la ―sua difformità rispetto alle
strutture del reale‖. In ultimo, si deve far cenno alla ragionevolezza
intrinseca ed estrinseca324, la prima riguardante la contraddittorietà della
norma con l‘atto che di essa si compone (norma in sé irragionevole), la
seconda facente riferimento alla illogicità della norma rispetto a norme
estranee all‘atto ma proprie di altri atti dell‘ordinamento325.
ric/Anzon_AIC_luglio2009.pdf e G. PILI, Il segreto di Stato nel caso Abu Omar ed
equilibri(smi)
di
sistema,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenz
a/2009/0036_nota_106_2009_pili.pdf; infine, sentenze n. 288 del 2010 e n. 172 del 2012.
322
Così G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale,
Giuffrè, 2000, p. 3.
323
Ibidem, p. 4.
324
Sul punto, celebre l‘espressione del Giudice delle leggi che, in tema di
ragionevolezza, ha statuito: ―il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese
civile‖ sta ―nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le
norme degradano al livello di gregge senza pastore‖. Il riferimento è alla sentenza n. 204
del 1982.
325
Sul concetto di ragionevolezza come razionalizzazione della legislazione esistente,
si veda G. VOLPE, Razionalità, ragionevolezza e giustizia nel giudizio sull‟eguaglianza
delle leggi, in AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, Atti del seminario di Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1992,
Milano, 1994, p. 198 ss. Più in generale, sul tema della ragionevolezza al vaglio della
Corte Costituzionale e, in particolare, sulla ragionevolezza come categoria autonoma,
ricostruita in sede di teoria generale, A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza,
Giuffrè, 2001; A. D‘ANDREA, Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Milano,
Giuffrè, 2005. Per un‘ampia visione della ragionevolezza come risultante
dell‘interpretazione del principio di uguaglianza o dell‘eccesso di potere legislativo, si
137
Va sottolineata, peraltro, la visione di chi in dottrina326 legge nella
ragionevolezza uno strumento di realizzazione di giustizia sostanziale, un
mezzo, cioè, nelle mani della Corte Costituzionale che corrisponde in fatto
a un criterio equitativo, in grado di garantire la giustizia del caso concreto
attraverso il giudizio di legittimità costituzionale.
Questo rapido esame della ragionevolezza nel sistema costituzionale
non è fine a se stesso. Infatti, il focus su questi significati può essere utile
all‘obiettivo di trovare i limiti di una compressione della libertà di
manifestazione del pensiero on line.
Per quanto attiene alla proporzionalità, il sindacato è sempre articolato
in più gradi di giudizio327: una verifica dell‘idoneità della normativa, tesa
all‘accertamento della effettiva e indispensabile strumentalità del mezzo
veda M. LUCIANI, Lo spazio della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, in AA. VV.,
Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Giuffrè,
1994, p. 245-252; A. CELOTTO, Art. 3, Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M.
OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, p. 80; A.
RUGGERI, Principio di ragionevolezza e specificità dell‟interpretazione costituzionale, in
http://www.costituzionalismo.it/docs/ragionevolezza.pdf; O. CHESSA, Principi, valori e
interessi nel ragionevole bilanciamento dei diritti, in M. LA TORRE – A. SPADARO (a
cura di), La ragionevolezza nel diritto, Torino, 2002, p. 207 ss.; A. RUGGERI,
Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, in A. PISANESCHI – L. VIOLINI (a cura
di), Poteri, Garanzie e diritti a sessant‟anni dalla Costituzione, Giuffrè, 2007, p. 415460; A. ANZON, La motivazione dei giudizi di ragionevolezza e la dissenting opinion, in
AA. VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Riferimenti comparatistici (Atti del Seminario di Palazzo della Consulta del 12-14 ottobre
1992), Milano, 1994.
326
G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 156 ss.
327
La dottrina italiana ha individuato tre momenti dello scrutinio di proporzionalità. In
questo senso, G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio
costituzionale, cit., p. 271. L‘Autore ricava i gradi dello scrutinio dai significativi apporti
che la giurisprudenza della Corte Costituzionale tedesca ha dato al tema della
proporzionalità. Non a caso, viene spesso sottolineata la notevole influenza che essa ha
ottenuto in ambito comunitario.
Va, comunque, evidenziato che altra parte della dottrina, proprio alla luce dello studio
della giurisprudenza tedesca, suddivide differentemente i momenti dinamici di
valutazione della proporzione delle norme di legge. Sul punto, infatti, si veda D.
SCHEFOLD, Aspetti di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale tedesca, in AA.
VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., p.
128 ss. L‘Autore propone una suddivisione in quattro momenti: la valutazione dello
scopo perseguito dal legislatore (momento teleologico assente nella valutazione
presentata dalla dottrina italiana); la congruità del mezzo prescelto rispetto al fine; la
necessità dell‘intervento; infine, la valutazione della proporzionalità non solo in termini
qualitativi (congruità del mezzo), ma anche in termini quantitativi.
138
prescelto dal legislatore rispetto al fine da raggiungere; la valutazione sulla
necessità dell‘intervento, nell‘ottica della scelta del mezzo più mite per
raggiungere lo scopo prefissato (in altre parole, il mezzo prescelto deve
essere infungibile e indispensabile); infine, la ponderazione di valori e
interessi confliggenti.
L‘ultimo dei momenti suddetti assume un particolare rilievo, perché in
esso l‘interprete si trova a commisurare i benefici e i sacrifici imposti al
singolo con i vantaggi conseguiti dall‘altro. La questione, peraltro, diventa
particolarmente complessa quando, sul piano dei valori, si confrontano un
bene individuale e uno superindividuale o, quantomeno, quando i vantaggi
o i sacrifici del singolo si traducono, indirettamente, in vantaggi e sacrifici
per la collettività.
Si pensi al diritto di accesso alla Rete, oggetto della nostra indagine.
Se di fronte a un altro diritto del singolo, esso fosse totalmente eliminato,
anche in conseguenza dell‘applicazione di una norma sanzionatoria, il costo
del sacrificio non solo ricadrebbe sul singolo individuo, in ragione
dell‘esclusione dello stesso dalla partecipazione alla vita virtuale – la quale
appaga le umane esigenze di condivisione e di scambio di informazioni in
una società governata dall‘innovazione tecnologica – ma anche sulla
collettività, perché quell‘informazione, che abbiamo qualificato come bene
comune, verrebbe inevitabilmente ridotta, compressa.
Con ciò, beninteso, non si vuole intendere che deve sussistere
necessariamente un ordine gerarchico di valori che ponga su un gradino
superiore quelli a tutela dei beni della collettività328, perché ciò
La ―teoria dei gradini‖ è di origine tedesca. Si pensi alla celebre sentenza BVerfGE,
7, 377. Nel caso di specie (si trattava della non ottenuta licenza necessaria per aprire una
farmacia in applicazione di una legge della Baviera che condizionava il rilascio della
stessa alla valutazione dell‘interesse pubblico e non alterazione del mercato in pregiudizio
delle altre farmacie), il Tribunale stabilì che la limitazione della libertà del singolo va
sempre valutata rispetto al bene comune, nel senso che una maggiore restrizione della
libertà individuale trova giustificazione solo nella necessità di tutelare il pubblico
interesse preminente. In senso critico rispetto a questa impostazione, perché ritiene che la
giurisprudenza tedesca faccia così assumere una dimensione sociale alla libertà, C.
328
139
escluderebbe in radice ogni ponderazione concreta tra interessi, che, invece,
ad avviso di chi scrive, serve e, soprattutto, basta già per provare la
mancanza di proporzionalità che, ad esempio, ha caratterizzato la scelta del
legislatore francese con la prima legge Hadopi.
Come anticipato, è necessario un riferimento anche ai criteri
comunitari e internazionali utilizzati per ponderare le diverse libertà.
In tema di bilanciamento, va detto che l‘opera condotta dalle Corti
nazionali ha indubbiamente influenzato il diritto comunitario e, da subito, la
stessa Corte di Giustizia. Nelle sentenze, infatti, che avevano a oggetto il
bilanciamento tra valori, il Giudice comunitario utilizza come criteri
imprescindibili la ragionevolezza e la proporzionalità. Quest‘ultima,
peraltro, anche in ragione dell‘influenza della lunga esperienza tedesca sul
punto.
Infatti, anche se nella prima formulazione del Trattato istitutivo della
Comunità europea non era già presente il criterio della proporzionalità
come guida nel giudizio dell‘intervento normativo nazionale limitativo dei
diritti, la Corte di Giustizia già fece proprio il suddetto criterio, ergendolo a
principio generale dell‘ordinamento comunitario329.
Secondo la Corte, infatti, sono soggette al principio di proporzionalità
le norme e i provvedimenti adottati dagli organi comunitari330, le norme o i
provvedimenti adottati dagli Stati membri in adozione di obblighi
AMIRANTE, La Costituzione come “sistema di valori” e la trasformazione dei diritti
fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale federale, in Politica del
diritto, 1981, spec. p. 50 ss.
Su come la giurisprudenza tedesca abbia influenzato il diritto pubblico italiano, specie
il diritto amministrativo, si veda A. SANDULLI, Proporzionalità, in S. CASSESE (a cura
di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, Vol. V, p. 4643 ss. e, più di
recente, U. FANTIGROSSI, Sviluppi recenti del principio di proporzionalità nel diritto
amministrativo italiano, in Liuc Papers n. 220, Serie Impresa e Istituzioni, settembre
2008, anche reperibile in http://www.biblio.liuc.it/liucpap/pdf/220.pdf.
329
Corte di Giustizia, sentenza del 26 novembre 1985, causa 182/84.
330
Corte di Giustizia, sentenza del 13 novembre 1990, Causa 331/88; Regno Unito c.
Commissione, C-180/96.
140
comunitari331 e, infine, le norme di deroga previste a favore degli Stati
membri rispetto alle libertà previste nel Trattato332.
Peraltro, i principi di ragionevolezza e proporzionalità sono stati poi
stigmatizzati da una modifica del Trattato CE. Infatti, l‘art. 5 prevede che
―nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità
interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura
in cui gli obiettivi dell‘azione prevista non possono essere sufficientemente
realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o
degli effetti dell‘azione in questione, essere realizzati meglio a livello
comunitario‖. Il Protocollo allegato al TCE, relativo ai principi di
sussidiarietà e proporzionalità stabilisce, poi, che ciascuna Istituzione
comunitaria deve assicurare, nell‘esercizio delle sue competenze, il rispetto
del principio di proporzionalità, a mente del quale l‘azione comunitaria non
va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del
trattato (punto 1), nonché che (punto 2) ―l‘applicazione dei principi di
sussidiarietà e proporzionalità avviene nel rispetto delle disposizioni
generali e degli obiettivi del trattato, con particolare riguardo al completo
mantenimento dell‘acquis comunitario e dell‘equilibrio istituzionale; non
deve ledere i principi elaborati dalla Corte di giustizia relativamente al
rapporto fra diritto nazionale e diritto comunitario e dovrebbe tenere conto
dell‘articolo 6, paragrafo 4, del trattato sull‘Unione europea, secondo il
quale l‘Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e
per portare a compimento le sue politiche‖.
È evidente, da quanto si legge, che il principio di proporzionalità
introdotto nel Trattato non si risolve solo nel principio che accompagna e
331
Corte di Giustizia, sentenza del 10 marzo 2005, Tempelman e.a.c. Directeur van de
Rijksdienst voor de keuring van Vee en Vlees, C -96/2003 e C- 97/2003; conclusioni
dell‘Avv. Tizzano nel caso ABNA Ltd e al. c/ Secretary of State for Health e al., C
453/03, C-11/04 e C-12/04.
332
Corte di Giustizia, 30 aprile 1974 n. C-155/73, in Foro Italiano, 1974, IV, p. 249;
Corte di Giustizia, 20 marzo 1985 C- 41/83, ivi,1986, IV, p. 4; Corte di Giustizia, 19
marzo 1991, C- 202/88.
141
specifica quello di sussidiarietà, criterio guida nella gestione delle
competenze tra Stati e Comunità Europea333, e che, tra l‘altro, più
facilmente si allontana dal concetto di proporzionalità elaborato dalla
giurisprudenza tedesca334, ma diventa strumento di bilanciamento di valori,
indispensabile per discernere il necessario intervento dall‘eccesso di
normazione.
Infatti, anche per quanto attiene al bilanciamento dei diritti, nella
giurisprudenza più recente, la Corte ha optato per la scelta dei criteri di
ragionevolezza e proporzionalità nella valutazione dei costi e benefici335
imposti ai soggetti ricorrenti.
333
Su questo aspetto, si segnala la seguente giurisprudenza della Corte di Giustizia:
sentenza del 9 novembre 1995, C-426/93, Germania c/ Consiglio dell‟Unione europea, in
http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d0f130d52c07137901264d01ae5
bbf6503882030.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4Oa3aTe0?text=&docid=99394&pageIndex
=0&doclang=EN&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1626996; sentenza del 5
ottobre 1994, Germania c/ Consiglio dell‟Unione europea, C-280/93, spec. punto 7, in
http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d0f130d50d3ea74b16c744fe8f7b
f93de968e7d1.e34KaxiLc3eQc40LaxqMbN4Oa3uRe0?text=&docid=99082&pageIndex=
0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=7771; sentenza del 12
novembre 1996, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord c/ Consiglio
dell‟Unione europea, C-84/94, spec. punto 4 – le motivazioni della sentenza sono
reperibili
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61994J0084:IT:HTML.
Più
recentemente, a seguito dell‘approvazione del Trattato di Lisbona, si vedano le sentenze:
8 giugno 2010, C-58/08 (caso Vodafone) – la sentenza è reperibile all‘indirizzo
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dbc2de9018c
ae64d989ca0d3b9e5f35421.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuLa310?text=&docid=79665&p
ageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731195;
9
novembre 2010, Cause riunite C-92/09 e C-93/09, reperibile alla pagina
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=79001&pageIndex=0
&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=731403; 1 marzo 2011, C236/09,
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0236:IT:HTML. Per un
commento alle ultime sentenze citate, si veda K. LENAERTS, The European Court of
Justice and Process-oriented Review, in Research Paper in Law n. 1/2012, in
http://aei.pitt.edu/39282/1/researchpaper_1_2012_lenaerts_final.pdf.
334
Sul punto, lucide le riflessioni di G. SCACCIA, Gli “strumenti” della
ragionevolezza nel giudizio costituzionale, cit., p. 293.
335
Si veda la sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012, Causa C-360/10,
in cui il Giudice comunitario ha ritenuto sproporzionata la misura del filtraggio
preventivo sullo scambio di contenuti on line, imposta da un giudice belga a un service
provider. Per una più ampia riflessione sul contenuto della sentenza, si rimanda a
Capitolo terzo di questo lavoro, par. 3.
142
Appurato, dunque, che, a livello comunitario, i criteri per un adeguato
bilanciamento
ricalcano
quelli
fatti
propri
dalla
tradizione
costituzionalistica italiana, ci si chiede se lo stesso valga per la
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell‘uomo, unico giudice
competente a interpretare il Trattato dei diritti (Cedu) il quale, da oltre un
decennio,
partecipa
alla
connotazione
semantica
del
parametro
costituzionale.
Anche qui, le garanzie minime del costituzionalismo sembrano essere
rispettate, infatti, lo studio della giurisprudenza della Corte EDU evidenzia
un‘enorme quantità di casi in cui i criteri suddetti fungono da preziosa
guida nella valutazione della ponderazione di interessi contrapposti336.
A questo punto, dunque, c‘è da chiedersi se questo basti, cioè, se i
criteri della ragionevolezza e della proporzionalità siano sufficienti a
garantire un bilanciamento corretto ed effettivamente equilibrato.
Come messo in evidenza dalla dottrina337, le garanzie irretrattabili del
costituzionalismo non possono limitarsi a questi criteri, esse si sostanziano
anche di altri due parametri inevitabili: ―la natura del bene limitato‖, che
garantisce in contemperamento tra valori di pari grado – peraltro, già
presente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana338 –, e
336
A riguardo, chiara la posizione della Corte EDU. Tra le più recenti sentenze in cui
maggiormente viene in risalto l‘utilizzo dei parametri della ragionevolezza e
proporzionalità, si vedano: sentenza Vinter et alii c. Regno Unito, 17 gennaio 2012 (cause
n. 66069/09, 130/10 e 3896/10); sentenza Austin et alii c. Regno Unito, 15 marzo 2012
(cause n. 39629/09, 40713/09 e 41008/09); sentenze Von Hannover c. Germania e Axel
Springer AG c. Germania, 7 febbraio 2012 (cause n. 40660/08, 60641/08 e 39954/08);
sentenze Krone Verlag GmbH & Krone Multimedia GmbH & co KG c. Austria e Kurier
Zeitungsverlag e Druckerei GmbH c. Austria, 17 gennaio 2012 (cause n. 33497/07 e
3401/07).
337
G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 188.
338
Si ricorda, infatti, una risalente, quanto determinate, pronuncia della Corte
Costituzionale in merito: sentenza n. 25 del 1965, di cui si riporta un passaggio del
Considerato in diritto (punto 3): ―La tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite
insuperabile nell'esigenza che, attraverso l‘esercizio di essi non vengano sacrificati beni
ugualmente garantiti dalla Costituzione…Né con ciò un bene viene sacrificato ad un altro,
quando invece viene regolata, nella armonica tutela di diversi fondamentali interessi, la
coesistenza di essi in un ben ordinato sistema di convivenza sociale‖.
143
―l‘essenzialità‖, posta a presidio del contenuto minimo dei diritti
contrapposti.
Ciò premesso, può ora affrontarsi il tema del bilanciamento delle
libertà on line alla luce della normativa che ha riguardato la tutela del diritto
d‘autore e che, non solo ha comportato l‘arretrare del diritto di accesso alla
Rete in quanto diritto non preminente, ma ha ridotto a tal punto il valore
limitato da annullarlo definitivamente e senza riserve.
Partiamo dalla querelle nata sulla legge Hadopi 1339.
La prima versione della legge, fortemente voluta dal governo Sarkozy,
istituiva un‘Autorità amministrativa indipendente a tutela delle opere
protette dal diritto d‘autore. In prima stesura, all‘Haute Autoritè pour la
diffusion des oeuvres et la protection des droits sur internet era affidato il
compito di monitorare il traffico on line dei contenuti scambiati dagli utenti
della Rete attraverso la tecnologia peer to peer, al fine di ammonire l‘utente
con una mail, laddove fosse stato riscontrato un presunto traffico illegale di
materiale coperto da copyright (presunzione nata dalla semplice
Ex multis, sentenza n. 86 del 1974, in cui la Corte si esprime in questi termini: ―La
previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una
tutela incondizionata ed illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché,
anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall'esistenza di
beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione‖; ma
anche, sentenza n. 11 del 1968: ―il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione è coessenziale al regime di libertà
garantito dalla Costituzione, inconciliabile con qualsiasi disciplina che direttamente o
indirettamente apra la via a pericolosi attentati, e di fronte al quale non v‘è pubblico
interesse che possa giustificare limitazioni che non siano consentite dalla stessa Carta
costituzionale‖.
339
Loi n. 2009-1311 du 28 octobre 2009 relative à la protection pénale de la propriété
littéraire
et
artistique
sur
internet,
reperibile
in
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021208046&date
Texte=&categorieLien=id.
Per i commenti alla legge, si veda N. LUCCHI, Le regole della comunicazione e
dell‟informazione nell‟era di Internet, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 8, p.
858 ss.; per una indagine anche in senso comparatistico, S. ALVANINI, La disconnessione
da Internet come sanzione per il download illegale, in Dir. industriale, 2010, 2, p. 176
ss.; P. PASSAGLIA, L‟accesso a Internet è un diritto (il Conseil Constitutionne dichiara
l‟incostituzionalità di parte della c.d. “legge anti file-sharing”), in Foro it., IV, p. 472
ss.; O. POLLICINO – M. BELLEZZA, Tutela del Copyright e della privacy sul web: quid
iuris?, in O. POLLICINO – A.M. MATTARO (a cura di), Tutela della privacy e protezione
dei diritti di proprietà intellettuale in rete, Aracne, Roma, 2012, p. 15.
144
constatazione della quantità e della frequenza degli scambi di informazioni
tra utenti).
Se l‘utente, poi, avesse continuato a commettere le violazioni
presunte, la pena irrogata dall‘Autorità sarebbe stata la sospensione del
diritto di accesso alla Rete.
Ora, una tale previsione tradisce almeno tre dei criteri che rendono un
bilanciamento tra diritti quanto meno equilibrato: il primo, due grandezze
differenti sono poste sul medesimo piano; il secondo, si oltrepassa la soglia
del contenuto minimo del diritto, annullando l‘esercizio della libertà di
manifestazione del pensiero attraverso la disconnessione dalla Rete; il terzo,
un diritto fondamentale, come la libertà di pensiero, non viene tutelato e
limitato da un organo terzo e imparziale, che svolge la funzione
giurisdizionale, ma da un‘Autorità amministrativa, di cui si dubita da anni
nella dottrina italiana, la stessa indipendenza dal potere esecutivo340.
Certo, la garanzia della riserva di giurisdizione, che tutela in modo
pregnante talune libertà costituzionali nella nostra Carta Costituzionale, non
può ergersi a garanzia da pretendersi anche in altri sistemi costituzionali, o
nell‘ordinamento comunitario o internazionale. Ciò non toglie, però, che il
Conseil Constitutionnel abbia ritenuto di censurare talune norme della legge
presentata dal Parlamento, proprio in ragione della violazione delle diverse
garanzie rispetto alla libertà di pensiero, considerate eccedenti la
discrezionalità legislativa, sproporzionate e irragionevolmente limitative
della libertà in questione.
340
Per una bibliografia di massima sul tema, si vedano G. GRASSO, Le Autorità
amministrative indipendenti della Repubblica. Tra legittimità costituzionale e
legittimazione democratica, Giuffrè, Milano 2006; G. DE MINICO, Le Autorità
Indipendenti nella prospettiva della “democrazia Maggioritaria”, in ASTRID, Studi, note
e commenti sulla riforma della seconda parte della Costituzione, in http://www.astridonline.it/FORUM--Le-/Commenti-a/ASTRID---S/DE-MINICO-AI-e-2544.pdf; F. LUCIANI
(a cura di), Le autorità indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia, ESI, 2011; A.
VALASTRO, Le Autorità Indipendenti in cerca di interlocutore, ESI, 2008; M. MANETTI,
Le autorità indipendenti, Laterza, 2007; M. CUNIBERTI, Autorità indipendenti e libertà
costituzionali, Giuffrè, 2007.
145
Infatti, il Conseil, con decisione n. 2009-580 DC341, si è espresso nel
senso
dell‘illegittimità
della
decisione
di
affidare
a
un‘Autorità
l‘applicazione di sanzioni che incidono in maniera determinante su un
diritto fondamentale, in conseguenza della violazione del più generale
principio della separazione dei poteri, a prescindere dalle garanzie
espressamente previste in Costituzione: ―Considérant que les pouvoirs de
sanction institués par les dispositions critiquées habilitent la commission de
protection des droits, qui n'est pas une juridiction, à restreindre ou à
empêcher l'accès à internet de titulaires d'abonnement ainsi que des
personnes qu'ils en font bénéficier; que la compétence reconnue à cette
autorité administrative n'est pas limitée à une catégorie particulière de
personnes mais s'étend à la totalité de la population; que ses pouvoirs
341
Il testo della sentenza è reperibile alla pagina http://www.conseilconstitutionnel.fr/decision/2009/2009-580-dc/decision-n-2009-580-dc-du-10-juin2009.42666.html-.
Per i commenti alla sentenza, si vedano F. CHALTIEL, La loi Hadopi devant le Conseil
Constitutionnel, in Les Pet. Aff., n. 125, 2009, p. 7; A. GAUTRON, La “réponse graduée”
(à nouveau) épinglée par le Conseil constitutionnel. Ou la délicate adéquation des
moyens aux fins, in Rev. Lamy. Dr. Immatériel, n. 51, 2009, p. 63; M. VERPEAUX, La
liberté de communication avant tout. La censure de la loi Hadopi 1 par le Conseil
constitutionnel, in Sem. Jur. Éd Gen., n. 39, 2009, p. 45. Nella dottrina italiana, E.
BERTOLINI, La lotta al file sharing illegale e la “dottrina Sarkozy” nel quadro
comparato: quali prospettive per libertà di espressione e privacy nella rete globale?, in
Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 1, 2010, p. 74 ss.; T.E. FROSINI, Il diritto
costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 12-13.; B. CAROTTI, L‟accesso alla Rete e
tutela dei diritti fondamentali, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, 6, p. 643 ss.
Sul diritto di accesso alla Rete, non può mancare il riferimento alla sentenza della Sala
Constitucional della Corte Suprema del Costa Rica, n. 12790 del 30 luglio 2010, in
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=exp%3A%2009-013141-0007co%20res.%20n%C2%BA%202010012790%20sala%20constitucional%20de%20la%20
corte%20suprema%20de%20justicia&source=web&cd=1&ved=0CDIQFjAA&url=http
%3A%2F%2Fpaniamor.org%2F_literature_53334%2FAcceso_a_Internet_como_Derec
ho_Fundamental&ei=K0NEUfiYB8iKswazl4C4BQ&usg=AFQjCNHELgcvT8tXAwtpGcf
wxkpTvjGnzw&bvm=bv.43828540,d.Yms&cad=rjt, in cui la Corte qualifica il diritto di
accesso a Internet come diritto fondamentale.
Per una disamina dei suddetti approdi giurisprudenziali, pur in un‘ottica cauta nella
definizione dell‘accesso come diritto fondamentale e per la proposta di una più certa
qualificazione dello stesso come servizio pubblico, si veda P. PASSAGLIA, Diritto di
accesso a Internet e giustizia costituzionale. Una (preliminare) indagine comparata, in
M. PIETRANGELO (a cura di), Il diritto di accesso ad Internet, Atti della tavola rotonda
svolta nell‟ambito dell‟IGF Italia 2010, Roma, 30 novembre, 2010, ESI, 2011, spec. p.
59-88.
146
peuvent conduire à restreindre l'exercice, par toute personne, de son droit de
s'exprimer et de communiquer librement, notamment depuis son domicile;
que, dans ces conditions, eu égard à la nature de la liberté garantie par
l'article 11 de la Déclaration de 1789, le législateur ne pouvait, quelles que
soient les garanties encadrant le prononcé des sanctions, confier de tels
pouvoirs à une autorité administrative dans le but de protéger les droits des
titulaires du droit d'auteur et de droits voisins‖342.
Sembra, dunque, particolarmente rilevante la decisione in commento,
proprio perché, pur non essendo espressamente prevista nella Costituzione
francese una riserva di giurisdizione a tutela della libertà di pensiero, il
Conseil la considera, comunque, una necessaria forma di garanzia a tutela
dell‘interesse in gioco.
Peraltro, va sottolineato che a garanzia delle libertà fondamentali,
nella Carta di Nizza, così come nella Carta europea dei diritti dell‘uomo e
del cittadino, vien posta la più lieve forma di protezione del due process343,
del giusto processo che sia caratterizzato dal contradditorio tra le parti e
che, dunque, consenta al soggetto leso, non solo di ottenere le motivazioni
che spingono il giudice o l‘Autorità344 ad agire in senso repressivo, ma
342
Conseil Constitutionnel, decisione n. 2009-580 DC, punto 16.
Sul tema, si veda V. VIGORITI, Due process of law (voce), in Digesto delle
discipline pubblicistiche, 1991.
344
Sia nell‘art. 47 della Carta di Nizza, sia nell‘art. 6 della Cedu si fa riferimento a
un‘Autorità imparziale, espressamente ―independent and impartial tribunal established by
law‖.
D‘altra parte, l‘art. 11 della Carta di Nizza prevede: ―Ogni individuo ha diritto alla
libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle
autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo
sono rispettati‖. L‘interpretazione della norma non va nel senso di un‘implicita riserva di
giurisdizione a tutela della libertà, anche se il Parlamento Europeo si era espresso proprio
in tal senso, nel parere reso in prima lettura alla Direttiva 2009/140/CE. Nel documento
europeo, infatti, il Parlamento Europeo, si era così espresso per una modifica dell‘art. 1,
Direttiva Quadro 2009/140/CE, comma III bis: ―applicando il principio in base al quale
non possono essere imposte limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali degli utenti
finali, in mancanza di una decisione preliminare dell'autorità giudiziaria, in particolare in
conformità dell‘articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione europea sulla
libertà di espressione e di informazione, ad eccezione del caso in cui vi sia una minaccia
per la sicurezza pubblica e l'intervento dell'autorità giudiziaria sia successivo‖. Va detto,
343
147
anche a partecipare attivamente al procedimento e a seguire l‘iter logico che
conduce alla definizione della scelta definitiva.
In verità, il Conseil lamenta anche la violazione del due process, dal
punto di vista sia processuale345 che sostanziale346 e, conseguentemente,
censura la previsione legislativa anche perché dettata in ragione di una
sproporzione evidente.
Infatti, la Corte francese così si esprime: ―Considérant qu‘aux termes
de l'article 34 de la Constitution: "La loi fixe les règles concernant...les
droits civiques et les garanties fondamentales accordées aux citoyens pour
però, che la Direttiva 2009/140/CE, all‘art. 1 non ha colto l‘acuta osservazione del
Parlamento Europeo e l‘accesso alle reti di comunicazione elettronica resta subordinato a
garanzie più lievi rispetto all‘assoluta riserva di giurisdizione: ―Qualunque
provvedimento di questo tipo riguardante l‘accesso o l‘uso di servizi e applicazioni
attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, che ostacolasse
tali diritti o libertà fondamentali può essere imposto soltanto se appropriato,
proporzionato e necessario nel contesto di una società democratica e la sua attuazione
dev‘essere oggetto di adeguate garanzie procedurali conformemente alla convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali e ai principi
generali del diritto comunitario, inclusi un‘efficace tutela giurisdizionale e un giusto
processo. Tali provvedimenti possono di conseguenza essere adottati soltanto nel rispetto
del principio della presunzione d‘innocenza e del diritto alla privacy. Dev‘essere garantita
una procedura preliminare equa ed imparziale, compresi il diritto della persona o delle
persone interessate di essere ascoltate, fatta salva la necessità di presupposti e regimi
procedurali appropriati in casi di urgenza debitamente accertata conformemente alla
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‘uomo e delle libertà fondamentali.
Dev‘essere garantito il diritto ad un controllo giurisdizionale efficace e tempestivo‖.
Gli esempi di come l‘ordinamento comunitario abbia, per certi versi, equiparato la
funzione giurisdizionale a quella di qualunque Autorità amministrativa indipendente sono
rinvenibili anche nella stessa Direttiva sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE),
spec. agli artt. 12, III comma, 13, I comma lett e), II comma e 14, III comma.
345
V. VIGORITI, Due process of law, cit., in questi termini: ―Il contenuto precettivo
della norma varia secondo le particolarità delle situazioni controverse e le differenze
strutturali dei procedimenti. L‘assunto di base, comune a tutti, è che la clausola vale come
garanzia di un processo corretto (fair trial) e che è tale solo un processo «adversary»
(informato al principio accusatorio e a quello dispositivo) che assicuri alle parti la
possibilità del contraddittorio. Di qui la costituzionalizzazione e l‘inserimento nel due
process di tutta una serie di diritti processuali, riguardanti tutte le fasi del procedimento,
dall'inizio alla fine‖.
346
Ivi. L‘Autore, nel proporre la disamina della giurisprudenza americana sul tema, fa
riferimento al contenuto sostanziale del due process, come momento in cui la Suprema
Corte valuta la ragionevolezza delle scelte legislative, allontanandosi dalla mera
valutazione della legittimità della norma e entrando nei confini propri del merito
legislativo, specie con l‘ausilio del criterio della ragionevolezza, che di per sé oltrepassa
quei confini orientando la Corte nella scelta tra le soluzioni non solo legittime, ma,
inevitabilmente, più opportune.
148
l‘exercice des libertés publiques"; que, sur ce fondement, il est loisible au
législateur d‘édicter des règles de nature à concilier la poursuite de
l‘objectif de lutte contre les pratiques de contrefaçon sur internet avec
l‘exercice du droit de libre communication et de la liberté de parler, écrire
et imprimer; que, toutefois, la liberté d'expression et de communication est
d'autant plus précieuse que son exercice est une condition de la démocratie
et l'une des garanties du respect des autres droits et libertés; que les
atteintes portées à l‘exercice de cette liberté doivent être nécessaires,
adaptées et proportionnées à l‘objectif poursuivi‖347.
In sostanza, pur considerando la proprietà intellettuale come una
proiezione della proprietà materiale, la quale riveste il ruolo di diritto
fondamentale nella Costituzione francese, il bilanciamento operato dal
legislatore non può reggere, in quanto l‘informazione è bene prezioso,
perché momento pregiudiziale all‘esercizio delle altre libertà. Dunque, una
tale compressione della stessa, specie se riferita al mezzo di comunicazione
che meglio rappresenta oggi lo strumento attraverso il quale la libertà può
effettivamente essere esercitata non può che soccombere di fronte alla
declaratoria di incostituzionalità.
Le norme censurate sconfinano ogni criterio, nazionale, comunitario e
internazionale di un equilibrato bilanciamento di valori, che si assesta su
parametri di irragionevolezza e sproporzione.
Va detto che il legislatore francese è tornato sul testo di legge,
modificandolo in ragione delle censure del Conseil. La legge c.d. Hadopi
2348 prevede che il potere sanzionatorio sia delegato all‘autorità giudiziaria;
inoltre, sparisce il singolo avvertimento sulla base della presunzione, il
quale viene sostituito dalla struttura del procedimento a tre fasi: l‘utente
347
Conseil Constitutionnel, decisione n. 2009-580 DC, punto 15 (corsivo nostro).
Loi n° 2009-1311 du 28 octobre 2009 relative à la protection pénale de la
propriété littéraire et artistique sur internet, reperibile alla pagina del sito ufficiale
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000021208046&date
Texte=&categorieLien=id.
348
149
sospettato di download illegale riceve due avvertimenti (il primo tramite email, il secondo tramite raccomandata) e, al terzo richiamo, viene invitato a
comparire in udienza dinanzi a un giudice, il quale non deve, ma può
decidere di applicare la pena della disconnessione dalla rete Internet o di
comminare la meno invasiva pena pecuniaria.
Ora, non c‘è dubbio che la normativa risulti più compatibile con la
Costituzione francese, ma la domanda che ci si pone è: è sufficiente questo
intervento? In altre parole, c‘è un aspetto che ancora non risulta chiaro al
giurista che si occupa della materia dell‘informazione?
Ecco che si ritorna al discorso dell‘accesso alla Rete. A parere di chi
scrive, infatti, la nuova normativa, approvata in via definitiva nel 2010 dal
Parlamento francese, ancora non soddisfa le garanzie minime del
costituzionalismo, perché comunque lascia al giudice la possibilità di
scegliere l‘opzione della disconnessione dalla Rete, seppur temporanea.
Ma se, come sopra sostenuto, l‘accesso è requisito minimo, momento
indefettibile dell‘esercizio della libertà di pensiero, preliminare e necessario
per il completo soddisfacimento del diritto riconosciuto a livello nazionale,
comunitario e internazionale, può esso stesso essere annullato? Può essere
compresso del tutto? O siamo ancora di fronte a una sproporzione, a un
bilanciamento che ancora non coglie l‘essenza del significato proprio della
ragionevolezza?
Sembra potersi sostenere, infatti, che la disconnessione dalla Rete è, in
ogni caso, sanzione eccessiva rispetto alla tutela della proprietà intellettuale
per almeno due ordini di motivi: il primo sta nel piegare le logiche della
libertà fondamentale alla tutela di un diritto economico349, che, se violato,
dovrebbe comportare una pena pecuniaria (come, infatti, in parte è
In questo senso, si veda G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, in
www.costituzionalismo.it, 22 luglio 2011. Sul tema del rapporto tra diritto d‘autore e
libertà di espressione, si veda da ultimo O. POLLICINO, Tutela del diritto d‟autore e
protezione della libertà di espressione in chiave comparata. Quale equilibrio su
Internet?, in F. PIZZETTI (a cura di), I diritti “nella Rete” della Rete. Il caso del diritto
d‟autore, Giappichelli, 2011, p. 97-122.
349
150
previsto); il secondo, come sopra sottolineato, sta nel porre sullo stesso
piano grandezze diverse e scegliere di garantire una sola delle stesse, in
ragione di una sua presupposta e imposta preminenza, riducendo l‘altra a
una figura invisibile, a un diritto-fantasma.
In questo modo, il contenuto minimo non risulta più limite alla
regolazione del legislatore, non è più stabile certezza del cittadino.
La questione, in realtà, non si è proposta solo per la Francia. Il
Regolatore italiano, l‘AGCom, non è stato molto più attento al rispetto dei
valori costituzionali sensibili che, invece, dovrebbe tutelare e custodire.
Il primo intervento sul tema da parte dell‘Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni giunge nel 2010, con l‘allegato B alla delibera
668/10/CONS350. Nel documento, l‘Autorità propone l‘introduzione di un
procedimento, anch‘esso per gradi, che possa prevenire e sanzionare le
violazioni del diritto d‘autore intervenute nel web. Le fasi si articolavano in
questi termini:
I.
Segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al
fornitore del servizio di media audiovisivo.
II.
In caso di mancata rimozione del materiale, segnalazione
all‘Autorità.
III.
Verifica dell‘Autorità in contraddittorio con le parti.
IV.
Adozione da parte dell‘Autorità del provvedimento di ordine
alla rimozione.
V.
Monitoraggio successivo del rispetto dell‘ordine e applicazione
di sanzioni in caso di reiterata inottemperanza.
Il testo dell‘allegato alla delibera è reperibile alla pagina
http://www.agcom.it/Default.aspx?DocID=5415.
Sui poteri dell‘Autorità in materia di diritto d‘autore, in dottrina si veda M. OROFINO,
Una vicenda di rilevante interesse costituzionale che coinvolge l‟AGCOM in materia di
diritto d‟autore. Come andrà a finire?, in http://www.astrid-online.it/Libert--di/Studi-ric/Orofino--Una-vicenda-di-rilevante-interesse-costituzionaleche-coinvolge-l-AGCOMin-mat.pdf; A. PIROZZOLI, L‟iniziativa dell‟AGCom sul diritto d‟autore nelle reti di
comunicazione elettronica, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2 del 2011,
del 28-06-2011.
350
151
Nei casi, poi, in cui il solo fine del sito fosse la diffusione di contenuti
illeciti sotto il profilo del rispetto del diritto d‘autore, o i cui server fossero
localizzati al di fuori dei confini nazionali, l‘Autorità, previa segnalazione
delle parti interessate, avrebbe potuto avviare un procedimento in
contraddittorio, affinché tutti i contenuti illeciti fossero cancellati. A tal
fine, si ipotizzavano, in via alternativa, due possibili modelli:
- predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione
degli internet service provider;
- possibilità, in casi estremi e previo contraddittorio, dell‘inibizione
del nome del sito web, ovvero dell‘indirizzo IP.
In sostanza, una scarsa differenza con la legge francese censurata dal
Conseil. Scarsa, se non si considera che, mentre la Costituzione francese
non prevede espressamente la riserva di giurisdizione per l‘esercizio della
libertà di manifestazione del pensiero, la nostra Costituzione è più
strettamente garantista a riguardo; particolare, però, che sfugge all‘Autorità.
Peraltro, come acutamente evidenziato351, le sfugge anche in seconda
battuta, con l‘emanazione dell‘allegato A della delibera 398/11/CONS352
(Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d‘autore sulle reti di
comunicazione elettronica), intervenuto a seguito delle diverse obiezioni
poste dagli studiosi del tema e dal popolo della Rete. In quest‘ultimo
documento, infatti, l‘Autorità non esclude il suo intervento, anzi, lo ritiene
utilizzabile dal privato, a prescindere dalla possibilità, da parte del cittadino,
di adire il giudice per la lesione di un diritto fondamentale. Come se
Sul punto, G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, cit.
Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Delibera 398/11/CONS, All. A, in
http://www.agcom.it/Default.aspx?message=visualizzadocument&DocID=6694.
Sulle
modifiche intervenute sulla prima delibera dell‘AGCom, si veda anche la valutazione
positiva di C. CALABRÒ, Audizione al Senato della Repubblica, VII Commissione
(Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport), VIII
Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni), 21 marzo 2012, “Aggiornamento
problematiche emerse nel settore internet in materia di diritto d‟autore”. Il testo
dell‘Audizione è reperibile in http://www.agcom.it/default.aspx?DocID=8334.
Per un ulteriore parere in merito, si veda V. ONIDA, reperibile in
http://www.key4biz.it/files/000191/00019143.pdf.
351
352
152
un‘Autorità amministrativa indipendente potesse cancellare la riserva di
giurisdizione prevista nell‘art. 21 Cost. o, più in generale, l‘art. 24 Cost.,
che tutela la difesa o, ancora, l‘art. 25 Cost. che, al primo comma, assicura
al cittadino il giudizio dinanzi a un giudice naturale precostituito per legge.
Va detto, però, che nello schema di regolamento viene scongiurata
l‘ipotesi di un‘inibizione dell‘indirizzo IP, altra modalità di incidere sul
diritto di accesso alla rete e sulla libertà di informazione, anche se meno
incisiva di quella introdotta dalla legge Hadopi 1.
Alla luce delle osservazioni poste, emerge indubbiamente un
susseguirsi convulso di tentativi di mettere mano alla regolazione della
Rete, che, ancora una volta, sono la risultanza della grande difficoltà che i
regolatori nazionali e internazionali incontrano nella valutazione della
rivoluzione epocale che la Rete ha importato nelle piccole realtà nazionali.
In questo quadro normativo, però, non può non farsi riferimento alle
diverse garanzie poste a tutela del cittadino, che restano le forti e
consolidate certezze del costituzionalismo e che evolvono, in relazione al
progredire della società e delle forme di espressione della personalità.
Così, il diritto di accesso alla Rete assurge, nel ragionamento di chi
scrive, a diritto strumentale e necessario, direttamente derivante dall‘art. 21
Cost., a contenuto minimo di questa libertà, indefettibile, irrinunciabile,
così come – e forse ancora in maggior misura – la Corte Costituzionale
ebbe modo di qualificarlo con riferimento al mezzo radiotelevisivo.
2.2. Il diritto di accesso a Internet a Costituzione invariata
Da quanto affermato finora non si può non dissentire con chi paventa
la necessità di una modifica costituzionale per l‘ingresso del diritto di
accesso alla Rete nel catalogo dei diritti fondamentali fissati nella Carta.
153
Infatti, a questo punto della trattazione è quasi superfluo sostenere che
il diritto di accesso alla Rete sia già scritto in Costituzione, perché
espressione
della
fisiologica
evoluzione
del
diritto
alla
libera
manifestazione del pensiero353.
Però, la questione non è tutta qui.
Il diritto di accesso ai contenuti, cui finora si è dato spazio, lascia il
passo al diritto di accesso alla Rete, che assume un significato diverso, non
più inteso come strumento di accesso a una libertà, ma come mezzo per
l‘esercizio di diverse libertà fondamentali garantite in Costituzione.
Il fatto che l‘accesso a Internet veloce permetterebbe a tutti di
usufruire nella stessa misura delle medesime quantità e qualità di servizi di
ogni tipo, offerti dalla Rete, ha fatto sì che nascesse il comune sentimento di
scrivere in modo chiaro in Costituzione che il diritto a Internet veloce è
353
Si tenga presente che la ricostruzione del diritto di accesso alla Rete come nuovo
diritto sociale, che implica la messa a disposizione di infrastrutture tali da garantire a tutti
di godere dei servizi resi on line, sia da parte degli operatori di rete privati, sia da parte
delle Amministrazioni pubbliche, verrà trattato nel paragrafo successivo. Corre l‘obbligo,
però, di citare, già in questa sede, la dottrina che sostiene una lettura evolutiva dell‘art. 21
Cost., riconoscendo nella Rete lo strumento indispensabile alla realizzazione della libertà
in parola, ma non ritiene configurabile un diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto
sociale, a meno di un esplicito intervento nella Carta Costituzionale e, contestualmente, di
una normativa che imponga a soggetti pubblici e/o privati un‘obbligazione di prestazione.
In questo senso, P. COSTANZO, Miti e realtà dell‟accesso a Internet (una prospettiva
costituzionalistica), in P. CARETTI (a cura di), Studi in memoria di Paolo Barile, Passigli,
Firenze, 2012, anche reperibile in http://www.giurcost.org/studi/Costanzo15.pdf. Vien
fatto salva, però, dall‘Autore, ―l‘attrazione del diritto di accesso ad internet anche nella
dimensione costituzionale‖, come conseguenza dell‘esistenza degli obblighi di
prestazione già previsti dal Codice dell‘Amministrazione digitale, attrazione, però, che
resta ―ben al di là di quanto la sua configurazione nei termini di uno strumento
liberamente utilizzabile per un esercizio sostanziale di determinati diritti
costituzionalmente tutelati consente già…di concepire‖.
Sulla necessità di distinguere tra un diritto di accesso ai contenuti e un diritto di
accesso alla Rete, si veda M. PIETRANGELO, Introduzione. Il diritto di accesso ad Internet
a mezzo secolo della nascita di Internet. Stato dell‟arte e prospettive, in M.
PIETRANGELO (a cura di), Il diritto di accesso ad Internet, cit., p. 11-21; Ivi, A.
VALASTRO, Le garanzie di effettività del diritto di accesso ad Internet e la timidezza del
Legislatore italiano, spec. p. 52 e P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo
diritto sociale?, Relazione al Convegno annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖, “I
diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani,
8-9
giugno
2012,
reperibile
in
http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2012/05/trapanitanzarella.pdf, che attribuisce solo al primo aspetto
effettiva copertura costituzionale.
154
proprio di tutti, in ragione del fatto che l‘esclusione dalla vita digitale
diventa, oggi, inevitabilmente, una forma evidente di discriminazione.
Per quanto attiene all‘Italia, la questione trova origine nella proposta
di S. Rodotà354, confluita in un ddl costituzionale, avente a oggetto
l‘aggiunta di un articolo alla Costituzione italiana, il 21 bis, che così
avrebbe recitato: ―Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet,
in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che
rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale‖355.
Ma l‘Italia non è la sola. Anzi, a fronte della proposta italiana, non
confluita poi in una modifica costituzionale, esistono diverse realtà in cui
Internet è diventato un diritto costituzionale. In diversi Paesi, infatti,
l‘esplosione della tecnologia e il timore che questa occasione di crescita per
tutti potesse, invece, rappresentare una nuovo incolmabile divario, hanno
smosso la coscienza del legislatore e spinto all‘introduzione chiara e decisa
della norma che riconosce il nuovo diritto.
Si pensi alla Grecia, all‘Islanda, ai Paesi latinoamericani (Honduras,
Venezuela, Ecuador), o ancora, Estonia, Spagna, Finlandia356: questi Paesi
La proposta fu presentata all‘Internet Governance Forum, nel novembre 2010. Si
veda a riguardo il programma presentato in http://www.igf-italia.it/igfitalia10/programma. Il lavoro scientifico di riferimento è, invece, S. RODOTÀ, Una
Costituzione per Internet?, cit. Nel senso di una modifica costituzionale, anche G.
AZZARITI, Internet e Costituzione, cit.
355
Disegno di legge costituzionale, A.S. n. 2485, XVI Leg., ―Introduzione dell‘art. 21
bis della Costituzione, recante disposizioni volte al riconoscimento del diritto di accesso a
Internet‖, assegnato alla I Commissione Affari Costituzionali il giorno 1 febbraio 2011. Il
testo del ddl e la relazione di accompagnamento, sono reperibili in
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=005191
14&part=doc_dc&parse=no. Nello stesso senso, ma per la modifica dell‘art. 21 Cost., si
veda A.S. n. 2922, XVI Leg., recante ―Modiche all‘art. 21 della Costituzione in materia di
istituzione del diritto di accesso alle reti telematiche‖. La relativa documentazione è
anche reperibile in http://www.astrid-online.it/Regolazion1/TLC---NGN/Atti-parla/AS2922.pdf.
Per una rassegna stampa in merito, si veda J.C. DE MARTIN, Qui ci vuole una
Costituzione dei diritti digitali, in La Stampa, 13-09-2012.
356
Per una rassegna stampa, M.S. NATALE, Una Costituzione approvata in Rete in
Islanda nasce la democrazia digitale, in Corriere della Sera, 22-10-2012; Il Perù
dichiara Internet diritto di tutti, in http://mag.wired.it/svegliaitalia/2011/05/03/internetin-peru-e-un-diritto-di-tutti.html; In Islanda la prima Costituzione scritta dai cittadini, in
http://www.treccani.it/enciclopedia/percorsi/scienze_naturali_e_matematiche/costituzion
354
155
hanno tradotto in norma giuridica il diritto alla banda larga, al fine di
spalancare le porte delle garanzie alla Rete e ai diritti digitali e non lasciare
adito e spazio a dubbi di sorta.
Ma, questo ragionamento, di certo apprezzabile nella misura in cui
denota una particolare attenzione e sensibilità nel riconoscere nella Rete lo
strumento indispensabile per garantire diritti e progresso, può valere anche
per una Costituzione come la nostra?
Cosa manca alla nostra Carta? Quale cambiamento giustifica una
revisione così incisiva e determinante? Il nome ―Internet‖ in Costituzione e
il ―diritto di accesso‖ non sono già desumibili dall‘intero tessuto
costituzionale?
La presa di posizione in questo scritto è piuttosto chiara e già
velocemente presentata in tema di governance. Il titolo di questo paragrafo,
infatti, vuole solo essere una provocazione e, come tutte le provocazioni,
muove nuove domande: posto che, se si considera il diritto di accesso come
strumento di realizzazione del 21 Cost., non risulta affatto necessario
intervenire con una revisione della Carta, ciò vale anche se si fa riferimento
al diritto di accesso come diritto a Internet veloce? Come ―nuovo‖ diritto
sociale?
Nonostante l‘apparente semplicità nella risposta, la domanda non è di
poco conto e implica, perciò, una riflessione più approfondita sul tema.
Solo al termine della stessa, infatti, potrà affermarsi, con una
ragionevole certezza, che il diritto di accesso vive già, a Costituzione
invariata.
e_islanda.html/; G. MICELI, Internet si fa legge. Crescono i Paesi in cui Internet è un
diritto
costituzionale,
in
http://www.lettera43.it/tecnologia/web/internet-si-falegge_4367550486.htm; P. LICATA, Osce: “Internet diventi un diritto costituzionale”, in
Corriere delle Comunicazioni, 13 novembre 2012.
Si tenga presente che la Grecia, l‘Islanda e i Paesi latinoamericani (Honduras,
Venezuela, Ecuador) hanno modificato in tal senso la propria Carta Costituzionale.
Diversamente, un‘introduzione legislativa volta a garantire ai cittadini una determinata
quantità di banda è stata la scelta di Estonia, Spagna e Finlandia.
156
3. L‟accesso a Internet come “nuovo diritto sociale”
Per comprendere se e in che termini può giungersi alla qualificazione
del diritto di accesso alla Rete come nuovo diritto sociale, è necessario un
preliminare passaggio sul concetto di nuovo diritto e su quali siano i limiti
ai diritti sociali, anche alla luce della modifica costituzionale dell‘art. 81
Cost. e della sempre più penetrante influenza dell‘ordinamento comunitario,
specie a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona.
Sembra imprescindibile prendere le mosse dall‘annosa querelle sulla
clausola ―diritti fondamentali‖ presente all‘art. 2 Cost. Infatti, già la scelta
tra l‘interpretazione della norma in senso ricognitivo o in senso ampliativo è
momento pregiudiziale ad ammettere la possibilità di leggere, a carte ferme,
nuovi diritti nella Carta Costituzionale. In verità, altro aspetto che si mostra
indispensabile e preliminare alla trattazione in oggetto è l‘attenzione che il
Costituente pose sulle ―formazioni sociali‖, il cui inserimento nella Carta
mostra il frutto del compromesso raggiunto dalle sinistre a fronte della
proclamazione del
principio personalista, fortemente voluto dalla
componente cattolico-liberale che animava l‘Assemblea Costituente.
Il concetto di formazione sociale assume, infatti, un rilievo essenziale,
tanto quanto quello di garanzia dei diritti del singolo individuo.
D‘altra parte, l‘uomo non vive isolato, anzi, i suoi diritti fondamentali
sono spesso meglio e più compiutamente esercitati nelle diverse forme di
aggregazione che la società offre.
In altre parole, la condivisione, lo scambio, il confronto e l‘esercizio
reciproco delle diverse libertà non possono che implementare il più intimo
significato dei diritti di ognuno e l‘effetto benefico per l‘intera società,
aspetto questo, tenuto presente in sede di scrittura dell‘art. 2 Cost.
Si pensi alle parole dell‘on. La Pira, che sostenne la ragione di tale
intima connessione: ―il sistema integrale dei diritti della persona esige, per
essere davvero integrale, che vengano riconosciuti e protetti [...] anche i
157
diritti essenziali delle comunità naturali, attraverso le quali gradualmente si
svolge la personalità umana: i diritti del singolo vanno integrati con quelli
della famiglia, della comunità professionale, religiosa, locale e così via‖357.
D‘altra parte, anche l‘azione delle sinistre in questa fase della scelta fu
determinante per ottenere la scrittura di un articolo che non fosse solo
carico di tensioni ideologiche ma che pervenisse a ―conclusioni
politicamente e socialmente concrete‖358.
Lo stesso on. Basso, infatti, sostenne in Assemblea che la persona non
potesse essere concepita ―che in funzione di una società più o meno
organizzata‖359, nella quale si esplicano le relazioni di carattere materiale e
spirituale di cui l‘uomo vive.
Al singolo, in altre parole, va riconosciuta una ―necessaria
socialità‖360.
Il concetto di ―formazioni sociali‖ è stato oggetto di attento studio da
parte della dottrina361, impegnata nel valutare se andasse letto in
357
Seduta del 9 settembre 1946, in Assemblea Costituente, Prima sottocommissione,
p. 14 ss. Il resoconto stenografico della seduta è reperibile alla pagina
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na
v.
358
Si
veda,
l‘intervento
dell‘onorevole
Togliatti.
Sempre
in
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na
v, p. 17-18.
359
Seduta del 10 settembre 1946, Assemblea Costituente, Prima sottocommissione,
p. 24-25, Intervento dell‘On. Basso. Il testo è reperibile alla pagina
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed004/sed004.pdf.
360
Seduta del 9 settembre 1946, in Assemblea Costituente, Prima sottocommissione,
intervento dell‘on. Dossetti. Il resoconto stenografico della seduta è reperibile alla pagina
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf#na
v.
Doveroso il richiamo alle parole dell‘on. A. Moro, Seduta del 13 marzo 1947: ―uno
Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell'uomo, se non ha come fine
supremo la dignità, la libertà, l'autonomia della persona umana, se non è rispettoso di
quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali
essa
integra
la
propria
personalità‖,
in
http://www.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/Assemblea/sed060/sed060.pdf, Resoconto
stenografico della seduta, p. 2039 ss.
361
Per una disamina completa sul punto, si vedano A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA
(a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 101-121; E. ROSSI, Art. 2,
in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione,
Utet, 2006.
158
Costituzione un favor per le sole formazioni che avessero la capacità di
favorire effettivamente lo sviluppo della personalità umana, valorizzando
così l‘interpretazione teleologica dell‘art. 2 Cost. o, invece, se andassero
tutte tutelate proprio in ragione del dettato costituzionale, a prescindere
dalla possibilità per il legislatore di vietare talune forme di aggregazione.
Ma quel che qui interessa è la ratio sottesa a una scelta così
determinante, identificata dalla dottrina ―nelle finalità riconosciute alle
formazioni sociali di favorire la socialità della persona, il suo inserimento
nel contesto sociale mediante una rete di relazioni che ne consenta la
partecipazione alla vita collettiva e quindi la sua piena realizzazione: per
dirla con le parole di Rescigno, il riconoscimento delle formazioni sociali
tende ad offrire una risposta alle ragioni opposte di angoscia in cui si
muove la condizione umana, sospesa tra la paura dello Stato e il deserto
della solitudine‖362.
Tale riferimento non è solo enunciativo di un corposo dibattito sul
tema. Esso già apre alla problematica sull‘accesso a Internet che qui ci
accingiamo a trattare come nuovo diritto sociale.
L‘individuo che accede alla Rete e trova nelle diverse forme di
aggregazione on line uno spazio, ancorché virtuale, in cui agire ed
esercitare i diversi diritti fondamentali tradizionalmente riconosciuti, non
sta forse ―svolgendo la sua personalità‖, così come previsto e garantito
dall‘art. 2 Cost., ancorché nelle nuove forme suggerite e presentate
dall‘evoluzione tecnologica?
Se svolgere la propria personalità significa esercitare i propri diritti
all‘interno della società, perché luogo primo e fondamentale in cui le libertà
hanno ragione d‘essere tutelate, non va forse qualificata quella virtuale
come nuova forma di società e, in quanto tale, garantita?
Così, E. ROSSI, Art. 2, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di),
Commentario alla Costituzione, cit.
362
159
A parere di chi scrive, è già dalla lettera dell‘art. 2, che nasce il
riferimento implicito alla Rete, perché conseguenza di un‘interpretazione
evolutiva, che non si ferma sull‘uscio della porta del tempo, ma la
attraversa con una convinzione foriera della necessità di garantire al singolo
i diritti che, nella società che evolve, diventano indispensabili per il
compiuto svolgimento della propria personalità.
Del resto, il problema era già nato con riferimento alla possibilità di
riconoscere carattere di apertura o di chiusura alla clausola dell‘art. 2 Cost.
in tema di diritti fondamentali. Dunque, una breve disamina della questione,
diventa passaggio fondamentale per la trattazione.
Le tesi che si contendono il campo sono due, ridotte poi a una
posizione mediana dalla parte della dottrina363.
In sostanza, si tratta di considerare l‘articolo in oggetto come
fattispecie ―chiusa‖ o ―aperta‖, a seconda della considerazione che i diritti
fondamentali, a cui la norma fa riferimento, siano solo quelli di volta in
volta elencati in Costituzione – assumendo così la norma carattere
riassuntivo – o che essi rappresentino, invece, il tessuto costituzionale
fondamentale, che lascia aperto il riferimento ad altri diritti, nuovi, non
espressamente previsti in Costituzione, ma comunque necessari per lo
svolgersi della personalità dell‘uomo.
Chi propende per la prima tesi ragiona, in verità, sulla possibilità di
una pericolosa deriva della tesi opposta364, che potrebbe comportare, da un
Per una critica a entrambe le teorie sull‘art. 2 Cost., si veda F. MODUGNO, I “nuovi
diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, p. 2-4, che
definisce ―cieca‖ la teoria della fattispecie ―chiusa‖ e ―vuota di criteri e di contenuti
giuridicamente accettabili‖ l‘altra.
364
In questo senso e, specie sul timore che un‘interpretazione diversa aprisse a
inammissibili soggettivismi giurisprudenziali, si vedano P. GROSSI, Introduzione ad uno
studio dei diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1972, p. 126 e 160; A.
PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, 3ª ed., Padova, 2003, p.
21 ss.; P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e Diritti sociali, Torino, 2005, p. 137
ss. Va detto, comunque, che chi sostiene la tesi del catalogo chiuso dei diritti
fondamentali non esclude a priori un‘interpretazione estensiva delle singoli diritti
riconosciuti in Costituzione.
363
160
lato la copertura costituzionale di diritti non tutelati dalla Costituzione ma
riconosciuti da fonti di rango inferiore, dall‘altro il possibile conflitto con
altri diritti presenti in Costituzione e la conseguenziale nascita di nuovi
obblighi365, che farebbero da contraltare ai nuovi diritti ricavati dalla
fattispecie aperta.
Chi, in dottrina366, invece, ha ragionato in senso inverso ha trovato
suffragio
della
propria
tesi
nella
giurisprudenza
della
Corte
Costituzionale367, la quale in diversi casi ha avuto modo di inquadrare e
riconoscere diritti in apparenza ―nuovi‖, in quanto non espressi nel testo
scritto della nostra Carta.
D‘altra parte, i diritti fondamentali di cui all‘art. 2 Cost. sono da
considerare, più che ―diritti‖, ―valori‖368, poiché essi ―assumono una
Sul punto, si veda la critica di F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza
costituzionale, cit., p. 4.
366
Così A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla
Costituzione, cit., spec. p. 65 e 102; A. PIZZORUSSO, Manuale di istituzioni di diritto
pubblico, Napoli, 1997, p. 213; L. BIGLIAZZI GERI, Impressioni sull‟identità personale, in
Dir. inf. informatica, 1985, p. 572, secondo cui la clausola aperta dell‘art. 2 Cost. non
intacca la rigidità della Costituzione ―perché appartiene al suo stesso tessuto connettivo‖.
367
Qui la giurisprudenza è ampia. Si pensi alla sentenza n. 561 del 1987, nella quale la
Corte ha riconosciuto il diritto ―all‘identità sessuale‖, ritenendo che la sessualità sia uno
degli essenziali modi di espressione della persona umana e ―il diritto di disporne
liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le
posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato tra i diritti
inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire‖; si pensi ancora al
―diritto di abbandonare il proprio Paese‖, riconosciuto dalla Corte nella sentenza n. 278
del 1992; al ―diritto al nome‖, in quanto segno distintivo dell‘identità personale. Sul
punto le sentenze n. 297 del 1996, n. 13 del 1994 e n. 120 del 2001. La Corte ha, in tutti
questi casi, pur se non esplicitamente ammesso il carattere aperto della fattispecie dell‘art.
2 Cost., valutato se il parametro di costituzionalità che s‘intendeva violato avesse
introdotto una nuova forma, un nuovo aspetto del diritto fondamentale. Si pensi, infatti, al
diritto all‘ambiente, al diritto alla privacy, che sono la più chiara conseguenza del
riconoscimento dei diritti di libertà di una società in continua evoluzione.
368
Sul punto, A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla
Costituzione, cit., p. 69, in questi termini: ―Occorre ricordare come un radicale filone di
ricerca di spinge già verso la negazione dell‘esistenza nel nostro ordinamento di diritti di
libertà, ritenuti espressione di dogmatiche non più adeguate a una realtà in evoluzione,
prospettando le libertà più come ―valori‖ che come diritti e pervenendo alla conclusione
che di esse ‗non è possibile parlare in modo significativo senza considerare l‘assetto
complessivo dei poteri capaci di restringerle o tutelarle, il rapporto tra questi e le classi
sociali e la distribuzione che tutto ciò determina, in seno alla società, non solo della
libertà negativa, ma anche delle diverse forme in cui si articola la stessa libertà positiva‘‖.
365
161
valenza giuridica di tale essenzialità, da poter affermare che la stessa
organizzazione di pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro
svolgimento ed alla loro attuazione‖369.
Certo, propendere per la fattispecie aperta, presta il fianco a diverse
problematiche, per esempio quali sono i campi370 e i valori cui può
attingersi per colmare l‘ampio spazio lasciato a disposizione dall‘art. 2
Cost.
Non è questa la sede per affrontare l‘ampia disamina sul tema, ma, va
detto che chi ha sostenuto la tesi dell‘apertura, presto con il supporto della
Corte Costituzionale, ha guardato con lungimiranza all‘insufficienza del
catalogo costituzionale, non perché non basti di per sé, ma perché esso va
letto inevitabilmente alla luce dell‘evolversi dei diversi bisogni.
Le nuove umane esigenze, in altre parole, possono e devono
pretendere le vecchie garanzie.
Diversamente, si finirà per dar ragione a chi sostiene che la nostra
Carta Costituzionale è vecchia, perché vive nel momento datato in cui fu
scritta, mortificando così gli sforzi ricostruttivi e ideativi che in Assemblea
Costituente furono compiuti per consegnare ai cittadini posteri una Carta
destinata a durare, quanto meno nella sua parte prima, quella essenziale per
i diritti di libertà.
Le parole sono di G. AMATO, Libertà, (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto,
XXIV, 1974, p. 277.
369
Relazione predisposta in occasione dell‟incontro della delegazione della Corte
Costituzionale con la il Tribunale costituzionale della Repubblica di Polonia, Varsavia,
30-31 marzo 2006, I diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte Costituzionale,
in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU185_principi.pdf.
370
Secondo taluni, la categoria andrebbe aperta ai contenuti del diritto naturale. Si
veda, in questo senso C. MORTATI, La Corte Costituzionale e i presupposti della sua
vitalità, in Iustitia, 1949, p. 69 ss.; S. GALEOTTI, Garanzia costituzionale, in Enc. dir.,
XVIII, 1969, spec. 496-497; ID., La garanzia costituzionale. Presupposti e concetto,
Giuffrè, Milano, 1950, p. 108. In senso opposto, P. BARILE – E. CHELI – S. GRASSI,
Istituzioni di diritto pubblico, VIII edizione, Padova, 1998, p. 603. Parte della dottrina ha
invece optato per una soluzione intimamente connessa all‘evolversi dei diritti in
conseguenza dell‘evoluzione culturale e storica della società. In questo senso, P. RIDOLA,
Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. NANIA – P. RIDOLA (a
cura di), I diritti costituzionali, I, Torino, 2001, p. 54.
162
L‘ordinamento, in altre parole, non può non ―adeguarsi al nuovo
universalismo dei diritti, non più fondato su basi giusnaturalistiche, ma su
quelle di un costituzionalismo cooperativo, proiettato oltre i confini dello
Stato nazione‖371.
D‘altra parte, l‘opera del Giudice delle Leggi, che ha ricucito ciascuna
delle nuove forme di espressione ai diversi diritti elencati in Costituzione e
all‘art. 2 Cost., in ossequio a quel criterio interpretativo evolutivo evocato
da parte della dottrina372, non ha riguardato solo le libertà negative, ma
anche quelle positive e, dunque, i diritti sociali. È stato, in altre parole,
liberato dalla Corte, ―quel potenziale rimasto complesso entro gli schemi
angusti delle situazioni giuridiche soggettive‖373.
Dunque, come si vede, che possa trarsi dalla Costituzione un nuovo
diritto è cosa nota e pacifica, anche laddove esso sia un diritto sociale.
Si pensi al caso del diritto all‘abitazione, che, come la Corte ha
sostenuto ―indubbiamente…costituisce, per la sua fondamentale importanza
per l‘individuo, un bene primario che deve essere adeguatamente e
concretamente tutelato dalla legge‖374. E, anche se la stessa Corte ha più
volte evidenziato che esso, ―come ogni altro diritto sociale, è anche diritto
che tende ad essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività‖
e che, dunque, ―solo il legislatore, misurando le effettive disponibilità e gli
interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere
371
P. RIDOLA, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, cit., p. 54.
Il riferimento va a F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza
costituzionale, cit., p. 4-5.
373
A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione,
cit., p. 70.
374
La sentenza riportata è la n. 404 del 1988, ma non è l‘unica sul tema. Con la
sentenza n. 217 del 1988, la Corte ha, infatti, statuito che il diritto all‘abitazione rientra
tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico
voluto dalla Costituzione…In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale,
concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto
sociale, quale quello all‘abitazione, contribuire a che la vita di ogni altra persona rifletta
ogni giorno e sotto ogni aspetto l‘immagine universale della dignità umana, sono compiti
cui lo Stato non può abdicare in nessun caso‖.
372
163
a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie espressivi di tali
diritti fondamentali‖375, non viene meno l‘obbligo di garantirne l‘effettività.
In altre parole, se sul quantum e sul quomodo il legislatore esercita la
sua discrezionalità, sull‘an e sul quid egli non può consegnare ad altri il suo
ruolo ed esimersi dall‘intervenire376.
La stessa Corte ha affermato che il principio della c.d. ―riserva del
possibile‖377, da cui si fa dipendere l‘attuazione dei diritti sociali, non può
comunque mai significare una degradazione dalla tutela costituzionale a
quella di fonte legislativa, perché necessario si rende sempre un ragionevole
bilanciamento di interessi e beni di pari rango costituzionale – si aggiunge,
ancorché non espressamente enucleati in Costituzione ma da essa
375
Si vedano le sentenze n. 252 del 1989 e n. 121 del 1996.
Sul punto, chiare le considerazioni di F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella
Giurisprudenza costituzionale, cit., spec. p. 65-72.
In effetti, proprio con riferimento al diritto alla salute, la Corte si è espressa proprio in
questi termini: ―la tutela del diritto alla salute non può subire condizionamenti che lo
stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone‖ e che
―le esigenze di finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore,
un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute
protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana‖. (Sentenze n.
267 del 1998, n. 252 del 2001 e n. 309 del 1999).
377
Sulla problematica dei diritti sociali, di vedano per tutti, A. BALDASSARRE, Diritti
sociali, in Enc. giur., vol XI, Roma, 1989; F. POLITI, I diritti sociali, in R. NANIA – P.
RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, vol. III, cit., p. 1019 ss.; ID., I diritti sociali
quali diritti costituzionali fondamentali, in AA. VV., Alle frontiere del diritto
costituzionale, Scritti in onore di Valerio Onida, Giuffrè, 2011, p. 1475-1505; Ivi, C.
PINELLI, Dei diritti sociali e dell‟uguaglianza sostanziale. Vicende, Discorsi,
Apprendimenti, p. 1429-1443; M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Studi in onore di Manlio
Mazziotti di Celso, Padova, 1995, p. 97 ss.; M. MAZZIOTTI, Diritti sociali, in Enc. dir.,
Milano, 1964, XII, p. 805 ss. Più recentemente, G. RAZZANO, Lo “statuto” costituzionale
dei diritti sociali, Convegno annuale dell‟Associazione “Gruppo di Pisa”, “I diritti
sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9
giugno
2012,
in
http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2012/05/trapanirazzano.pdf; S. SCAGLIARINI, Diritti Sociali nuovi e
diritti
sociali
in
fieri
nella
giurisprudenza
costituzionale,
in
http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/08/ScagliariniDEF.pdf; L. TRUCCO,
Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, Relazione
al Convegno annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖ sul tema: ―I diritti sociali: dal
riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza‖, Trapani, 8-9 giugno 2012,
in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/09/TruccoDEF.pdf; A. D‘ALOIA,
I diritti sociali nell‟attuale momento costituzionale, Relazione di sintesi al Convegno
annuale dell‘Associazione ―Gruppo di Pisa‖ sul tema: ―I diritti sociali: dal
riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza‖, Trapani, 8-9 giugno 2012,
in http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/12/DALOIADef.pdf.
376
164
desumibili –, bilanciamento che è e resta oggetto di sindacato da parte della
Corte rispetto alle ―forme e all‘uso della discrezionalità legislativa‖378.
Come dunque ben messo in luce dalla dottrina, il fondamento di un
diritto sociale, anche di un diritto nuovo (quale quello all‘abitazione o, nel
nostro caso, il diritto di accesso alla banda larga), ―non è di tipo
semplicemente legale o legislativo, ma è propria dei diritti costituzionali e
dei valori costituzionali. In altri termini, il fondamento della pretesa non sta
nella legge che li rende eventualmente graduabili in concreto, ma nella
Costituzione‖379.
In sostanza, anche nel caso in esame, ci si trova di fronte a una pretesa
a prestazione positiva, a prescindere da quanto possa essere reso in ragione
della riserva del possibile.
Ciò perché, volendo qualificare il diritto di accesso alla banda larga
come diritto sociale380, in quanto strettamente strumentale all‘esercizio dei
tradizionali diritti di libertà, non solo in forme inedite, ma ormai per certi
378
La sentenza a cui si fa riferimento nel testo è la n. 455 del 1990, il cui testo è
reperibile alla pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0455s-90.html.
379
F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella Giurisprudenza costituzionale, cit., p. 69.
380
In questo senso, ampiamente, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p.
128-193; T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 8, in questi
termini: ―Il diritto di accesso a Internet è da considerarsi un diritto sociale, o meglio, una
pretesa soggettiva a prestazione pubbliche‖. Concorde anche A. V ALASTRO, Le garanzie
di effettività del diritto di accesso a Internet e la timidezza del legislatore italiano, cit., p.
45-57.
Diversamente, invece, sull‘inopportunità di qualificare il diritto di accesso come
nuovo diritto sociale, P. COSTANZO, Miti e realtà dell‟accesso a Internet (una prospettiva
costituzionalistica), cit.; L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet,
tra retoriche globali e dimensione sociale, in Politica del diritto, XLII, 2012, p. 263-287.
L‘Autore ritiene che non ci sia effetto utile nella qualificazione dell‘accesso come diritto
sociale, in quanto, non immediatamente giustiziabile e sulla problematica in oggetto così
si esprime: ―La regolazione positiva del legislatore appare insostituibile ed il diritto di
accesso a Internet sembra concettualmente sovrapporsi all‘utilizzo della telefonia. Un
innalzamento di tutela nell‘accesso ad Internet, pertanto, dovrebbe passare attraverso una
disciplina normativa dei requisiti tecnici e delle condizioni di tale accesso, secondo le
garanzie tipiche del servizio pubblico, senza necessità di scomodare i diritti umani‖.
Nello stesso senso, si vedano P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo
diritto sociale?, cit. L‘Autrice sostiene, a p. 19, che, tuttalpiù, potrebbe parlarsi di diritto
sociale in progress, non riconoscendo oggi la possibilità di una qualificazione piena in
termini di diritto all‘accesso; P. PASSAGLIA, Diritto di accesso a Internet e giustizia
costituzionale. Una (preliminare) indagine comparata, cit.
165
versi, quasi esclusive (si pensi ai programmi di e-government, ai servizi che
le Pubbliche amministrazioni rendono ormai solo via web), esso risulta una
pretesa nei confronti dello Stato e, a nostro avviso, non potrebbe essere
diversamente. Infatti, l‘art. 2 Cost., che abbiamo visto essere appiglio solido
e necessario per inquadrare il nuovo diritto all‘accesso, va letto in
combinato disposto con l‘art. 3, II comma della Costituzione381 e con l‘art.
117, II comma, lett. m) Cost.382.
Da ciò discende che non basta sostenere che il diritto di accesso sia un
nuovo diritto sociale e che, in quanto tale, il cittadino risulti creditore di
prestazioni positive che nell‘an non possono subire una violazione.
A parere di chi scrive, infatti, in questo caso, il legislatore risulta
anche obbligato nel quantum, almeno per la quantità di banda che riesca a
soddisfare in modo eguale i livelli essenziali delle prestazioni riferite al
diritto sociale in questione sull‘intero territorio nazionale. Solo in questo
modo gli articoli
citati, già norme
giuridiche,
ancorché
talune
programmatiche383, saranno effettivamente terreno di garanzia per i
Sull‘intimo collegamento tra l‘art. 2 e l‘art. 3, II comma, Cost., si veda E. ROSSI,
Art. 2, cit.; A. BARBERA, Art. 2, cit., p. 80.
382
In questo senso, anche G. DE MINICO, Internet. Regola o anarchia, cit., p. 131-133.
Sulla possibilità di leggere diritti sociali diversi da quelli espressamente tipizzati in
Costituzione anche come titolo legittimante di intervento statale, si veda A. D‘ALOIA,
Diritto e Stato autonomistico. Il modello dei livelli essenziali delle prestazioni, in E.
BETTINELLI – F. RIGANO (a cura di), La Riforma del Titolo V della Costituzione e la
giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 116 ss.
383
Sull‘effettività giuridica delle norme programmatiche, obbligatorio è il rinvio alla
prima sentenza della Corte Costituzionale, n. 1 del 1956, in questi termini: ―Ma non
occorre fermarsi su di esse né ricordare la giurisprudenza formatasi in proposito, perché
la nota distinzione fra norme precettive e norme programmatiche può essere bensì
determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva nei
giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità costituzionale di una legge
derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con norme che si dicono
programmatiche, tanto più che in questa categoria vogliono essere comprese norme
costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a tracciare programmi
generici di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verificarsi di situazioni che
la consentano, a norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza
che non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi sulla
interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante efficacia di alcune parti di
questa; vi sono pure norme le quali fissano principi fondamentali, che anche essi si
381
166
cittadini, poiché garantiranno che il soggetto pubblico intervenga a
rimuovere gli ostacoli di ordine economico-sociale ―che, limitando di fatto
la libertà e l‘eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona
umana
e
l‘effettiva partecipazione di tutti
i lavoratori
all‘organizzazione politica, economica e sociale del Paese‖.
In tal modo, l‘intervento statale sarà diretto a garantire il nuovo diritto
di accesso alla Rete, strumento indispensabile per la fruizione dei servizi
pubblici e privati e per l‘esercizio dei propri diritti384, e a garantire,
soprattutto, che i livelli essenziali delle suddette prestazioni, che rendono
utile e inevitabile l‘intervento strutturale, possano equamente distribuirsi sul
territorio.
Diversamente, sarà un nuovo diritto per pochi. Allora, non un nuovo
diritto, un nuovo privilegio.
Sul se e sul come il legislatore italiano abbia onorato l‘obbligo che gli
appartiene in virtù del più generale principio della separazione dei poteri, ci
si soffermerà nel paragrafo successivo. Qui preme ancora qualche
considerazione sul potere della Corte Costituzionale rispetto all‘eventuale
omissione o insufficiente attuazione dei diritti sociali da parte del
legislatore, specie alla luce delle intervenute modifiche al testo
riverberano
sull'intera
legislazione‖.
Il
testo
è
reperibile
in
http://www.giurcost.org/decisioni/1956/0001s-56.html.
Più in generale, sulla coercibilità dei diritti sociali, ancorché conservati in norme
programmatiche, si veda M. VILLONE, Il tempo della Costituzione, Aracne, 2012, Roma,
p. 57-64. L‘Autore ricorda che la scelta del carattere programmatico fu solo il risultato
del migliore compromesso tra le varie forze politiche, compromesso, però, che nulla
toglie alla coercibilità del diritto.
384
Sul collegamento tra diritto sociale e il catalogo del ―servizio universale‖, doveroso
il rimando a G. DE MINICO, Tecnica e diritti sociali nella regulation della banda larga, in
G. DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete,
Jovene, 2010, p. 3-50.
Chiarissime le parole di M. VILLONE, La Costituzione e il “diritto alla tecnologia”,
ivi, p. 260 e 262: ―La garanzia di diritti e libertà copre in principio anche gli strumenti
necessari per il pieno ed effettivo diritto da parte dei titolari. Colpire gli strumenti
significa in realtà violare la garanzia…Esiste, dunque, un diritto alla tecnologia come
parte integrante della garanzia costituzionale delle situazione soggettiva protetta?
Certamente sì, se la tecnologia è strumento necessario per il pieno ed efficace esercizio di
diritti e libertà‖.
167
costituzionale e del momento storico segnato dal termine spending review,
che risponde a esigenze anche europee.
Come autorevole dottrina ha evidenziato, ―nel modello costituzionale i
diritti sociali sono concepiti come il presupposto e l‘obiettivo dell‘azione
dei pubblici poteri. Come il presupposto, perché essi fanno parte di quel
patrimonio di situazioni giuridiche che caratterizzano la traduzione in
termini di diritto della complessità della persona umana e vanno tutelate se
di questa si vuole salvaguardare il pregio. Come l‘obiettivo, perché l‘agire
pubblico in loro favore e sostegno è immaginato non solo come vantaggioso
per i singoli beneficiari, ma come corrispondente a un utile sociale, quanto
meno al fine del mantenimento di una vita collettiva pacifica. La protezione
costituzionale, comunque, è rivolta immediatamente ai diritti, mentre
l‘interesse sociale viene raggiunto indirettamente, grazie al soddisfacimento
dei primi‖385.
Insomma, i diritti sociali sono la pre-condizione all‘esercizio dei
pubblici poteri, dunque, non possono cedere del tutto alle logiche
dell‘economia di mercato, pena la perdita dell‘essenza del sostrato
costituzionale386.
Ora, ci si chiede: ciò vale anche in una situazione connotata da
un‘emergenza economica? E, quanto e in che direzione ci influenza il
diritto comunitario?
Le due domande sono intimamente legate, specie se si considera che
la modifica costituzionale del pareggio di bilancio387 è frutto della necessità
385
Le parole sono di M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, in Politica
del diritto, XXXI, n. 3, 2000, p. 379.
386
Sull‘intima connessione tra Stato di diritto e Stato sociale, si veda il pensiero di C.
MORTATI, Art. 1, cit., p. 48.
387
Legge costituzionale n. 1 del 2012, Introduzione del principio del pareggio di
bilancio
nella
Carta
costituzionale.
Il
testo
è
reperibile
in
http://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto;jsessionid=D6965E92BD4809E88DC
0B7A9E558707F?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2012-0423&atto.codiceRedazionale=012G0064.
168
di rientrare nel Patto di stabilità e di porre una soglia non troppo ampia al
debito pubblico italiano.
Infatti, dato che i diritti sociali, ancor più (ma non solo)388 rispetto altri
diritti di libertà, richiedono azioni positive da parte del soggetto pubblico e
sono, cioè, il legittimo titolo creditorio del cittadino nei confronti dello
Stato, è chiaro che essi subiranno un forte freno in termini di effettività in
ragione di una politica così orientata.
Sono, ripetiamo, legittimo titolo creditorio perché il titolo legittimante
è il combinato disposto di norme costituzionali, che valgono a connotare
questa situazione giuridica come effettiva389, esistente e giustiziabile390 se
Sul punto, di veda S. HOLMES – C.R. SUNSTEIN, The cost of rights : why liberty
depends on taxes, New York, 1999.
389
Sulla qualificazione soggettiva come pretesa nei confronti dello Stato, si veda V.
FROSINI, Situazione giuridica (voce), in Novissimo Digesto Italiano, XVII, 1970, p. 468469, in questi termini: ―in sede di teoria generale del diritto, il termine situazione
giuridica (…) designava in origine la condizione di aspettativa in cui si trova colui che
non sia ancora divenuto titolare di un diritto soggettivo o di interesse legittimo, e quindi si
trovi ancora in una posizione preliminare a quella di un rapporto giuridico…Il
presupposto della situazione giuridica soggettiva, intesa a sostituire nella concezione di
Duguit, il diritto soggettivo, è dato dalla destinazione di un bene determinato a un fine
determinato, individuale o collettivo, tutelato dal diritto mediante un insieme di
sanzione‖. Ancora, a p. 470, Frosini richiama Paul Roubier, riportando le sue chiare
parole: ―le situazioni giuridiche soggettive sono situazioni prestabilite da un regola
giuridica, sia per un atto volontario che per una norma di legge, e dalle quali derivano
principalmente delle prerogative, che segnano una condizione vantaggiosa per i
destinatari, ed a cui essi possono per principio rinunciare‖. Si veda anche W. CESARINI
SFORZA, Il diritto soggettivo, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, I, 1947, p. 181211, Autore della prima formulazione della teoria del diritto come pretesa individuale.
Per un commento a Cesarini Sforza, si veda C. LOTTIERI, Alle origini della teoria del
diritto come pretesa individuale, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XLI,
n. 1, Il Mulino, giugno 2011, che così si esprime: ―il fine esplicito del testo del 1946
consiste nell‘evidenziare come il diritto soggettivo sia l‘oggettivarsi di un‘azione
rivendicativa avanzata dai singoli nel loro agire effettivo‖.
In questo senso, anche B. LEONI, Il diritto come pretesa, Macerata, 2004, p. 202: ―la
norma giuridica non è altro che la formulazione linguistica di una pretesa giuridica‖.
Ma anche, ampiamente, W.N. HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as Applied
in Judicial Reasoning, 1913, p. 63 ss., sul concetto che il diritto ―in senso stretto‖ è una
pretesa a un comportamento altrui, diritto e obbligo sono cioè in relazione necessaria, la
quale costituisce un assioma. In particolare, p. 73: ―nel caso in cui J abbia un diritto (in
senso stretto) nei confronti di K ―the right of J is but one phase of the total relation
between J and K, and the duty of K is an- other phase of the same relation – that is, the
whole ‗right – duty‘ relation may be viewed from different angles‖. Per una disamina
attenta della teoria Hohfeldiana, si veda B. CELANO, I diritti della jurisprudence
anglosassone contemporanea, In Analisi e Diritto, 2001, p. 1-58.
388
169
violata da una norma di legge che dimentica l‘obbligo e la sua
subordinazione alla fonte costituzionale391.
Queste importanti certezze sbiadiscono392 di fronte al novellato art. 81
della Cost., che, al primo e secondo comma, prevede: ―Lo Stato assicura
l‘equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle
fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso
all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo
economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza
assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali‖.
Un tale ulteriore limite, infatti, non può che comportare un ostacolo
alla realizzazione effettiva dei diritti sociali393, tra i quali quello che qui si
sostiene esistere, il diritto di accesso alla Rete.
390
Sulla giustiziabilità dei diritti sociali, si veda A. GIORGIS, La costituzionalizzazione
dei diritti all‟uguaglianza sostanziale, Napoli, Jovene, 1999, p. 2-12.
391
Sull‘impossibilità di configurare il diritto di accesso alla Rete come pretesa
giustiziabile, L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra
retoriche globali e dimensione sociale, cit., spec. p. 282.
392
Sul punto, M. VILLONE, Il tempo della Costituzione, cit., p. 270 ss.; G. FERRARA,
Regressione costituzionale, in Il Manifesto, 18 aprile 2012; A. PACE, Il pareggio di
bilancio nella Costituzione, in La Repubblica, 20-09-2011; A. PIROZZI, Il vincolo
costituzionale del pareggio di bilancio, in AIC, n. 4 del 2011; N. LUPO, Costituzione
europea, pareggio di bilancio ed equità tra le generazioni. Notazioni sparse, in
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/?p=16882;
ID.,
La
revisione
costituzionale della disciplina di bilancio e il sistema delle fonti, in http://www.astridonline.it/COSTITUZIO/; R. BIFULCO, Jefferson, Madison e il momento costituzionale
dell‟Unione. A proposito della riforma costituzionale sull‟equilibrio di bilancio, in
Rivista telematica giuridica dell‟Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 2/2012, p.
1 ss.; A. RUGGERI, Crisi economica e crisi della Costituzione, in
http://www.giurcost.org/studi/Ruggeri19.pdf; G. PITRUZZELLA, Chi governa la finanza
pubblica in Europa?, in Quad. cost., n. 1 del 2012; I. CIOLLI, Crisi economica e vincoli
di bilancio, V Giornate italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale. La Costituzione
alla prova della crisi finanziaria mondiale, Lecce, 14-15 settembre 2012, in
http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/10/CiolliDEF.pdf.
393
Per un‘attenta disamina delle gravose conseguenze della riforma dell‘art. 81 Cost.
sulla realizzazione dei diritti sociali, di veda G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia,
cit., p. 146-154, spec. p. 153, in questi termini: ―L‘81 rompe con l‘architettura
costituzionale nel sovvertire la scala delle grandezze, mettendo prima ciò che la
Costituzione ordina per secondo. L‘economia non è più uno strumento al servizio del
progetto politico, cui competerebbe di scegliere priorità e graduarne nel tempo e nei modi
l‘attuazione grazie alla prima, perché il fine, la politica, è stato liquidato e costretto così a
consegnare carta bianca all‘economia‖.
170
Il problema fondamentale nasce dal fatto che l‘Europa degli equilibri
economici, che impone politiche di carattere restrittivo, non presenta
momenti di bilanciamento, non assicura, in altre parole, quel sostrato di
diritti sociali394, che invece sono parte integrante delle Costituzioni
nazionali e che qualificano la stessa forma di Stato democraticorepubblicana395.
Anche il Trattato di Lisbona non ha comportato modifiche essenziali
in tale direzione396, tant‘è che non si è fatto un passo in avanti decisivo con
394
Si veda, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in
www.costituzionalismo.it, fascicolo 3, 2012, in questi termini: ―I diritti in generale e i
diritti sociali in particolare sono proprio uno strumento che consolida l‘idea di Nazione e
di appartenenza e proprio per questo sostenerli nei momenti di crisi economica significa
cercare una strada alternativa per provare a superare, in modo adeguato, la crisi stessa
senza creare contrasti sociali insanabili e rotture non più componibili‖.
395
Ivi. Ma già, L. CARLASSARE, Forma di Stato e diritti fondamentali, in Quad. cost.,
1995, p. 56 ss. L‘Autrice sostiene che debbano ritenersi indispensabili alla qualificazione
della forma di Stato non solo i diritti costituzionalmente riconosciuti anche quelli che si
ricavano direttamente come sviluppo del principio personalistico; G. FERRARA, La pari
dignità sociale (Appunti per una ricostruzione), in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli,
II, Milano, Giuffrè, 1974, p. 1089 ss. Si veda anche E. DICIOTTI, Stato di diritto e diritti
sociali, in http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2004_n4/mono_E_Diciotti.pdf.
396
In questo senso, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit.: ―In
prospettiva futura è probabile che l‘Unione Europea potrà offrire migliori e più ampie
garanzie. Al momento, però, la sua natura economica è ancora prevalente e tutti i diritti
sociali – e non solo essi – sono condizionati da questa caratteristica ineludibile‖.
Lucide le riflessioni si C. SALAZAR, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali
dell‟Unione europea da un tormentato passato…a un incerto presente?, in
http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2011/12/SALAZAR-diritti-sociali2011.pdf, spec. p. 19. L‘Autrice ritiene che dal Trattato di Lisbona non possa
ragionevolmente aspettarsi la realizzazione di politiche di solidarietà, poiché manca in
Europa il tassello essenziale, la legittimazione politica e la trasformazione effettiva in
questa direzione degli apparati dell‘Unione.
Nel senso di un futuro e doveroso impegno da parte dell‘Unione Europea sul tema dei
diritti sociali, anche attraverso la creazione di una base giuridica di ordine costituzionale,
si veda P. COSTANZO, Il sistema di protezione dei diritti sociali nell‟ambito dell‟Unione
Europea, in http://www.giurcost.org/studi/CostanzoBelem.htm, spec. p. 24-25:
―All‘imporsi di un‘economia sempre più aperta e la revival sempre più forte di una
regolazione in senso liberistico della società, sta corrispondendo la perdita crescente del
senso di solidarietà collettiva e dell‘uguaglianza sostanziale. Ciò impone senza dubbio
l‘adozione di ottiche inedite attraverso le quali traguardare i diritti sociali che di tali valori
costituiscono la più compiuta espressione. Ma lo sforzo in tal senso non può più essere
all‘evidenza sostenuto dai singoli Stati, entità divenute sempre più piccole e impotenti di
fronte alla mondializzazione dell‘economia. In questo quadro, infatti, la manutenzione ed
anche il recupero dei diritti sociali non può che essere tentato e sostenuto da un‘entità più
grande e maggiormente attrezzata quale è appunto l‘Unione Europea‖.
171
la parificazione della Carta di Nizza a livello di diritto comunitario
primario. È un buon inizio, ma non si può certo affermare che la Carta di
Nizza riconosca il primato dei diritti sociali. Certo, ne garantisce alcuni, ma
la vera spinta del diritto comunitario verso l‘Europa dei diritti è sempre
stata conseguenza degli approdi giurisprudenziali397.
Sull‘insufficienza del modello europeo, si veda anche D. TEGA, I diritti sociali nella
dimensione multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, Relazione al Convegno
annuale dell‟Associazione “Gruppo di Pisa”, “I diritti sociali: dal riconoscimento alla
garanzia. Il ruolo della giurisprudenza”, Trapani, 8-9 giugno 2012, reperibile in
http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/06/trapanitega.pdf.
397
Sul punto, si veda P. COSTANZO, Il sistema di protezione dei diritti sociali
nell‟ambito dell‟Unione Europea, cit. Sulla concezione strumentale della protezione dei
diritti sociali, si veda F. SALMONI, Diritti sociali, sovranità fiscale e libero mercato,
Torino, Giappichelli, 2005, spec. p. 94. Per la giurisprudenza comunitaria in tema di
diritti sociali, tutelati in quanto coincidenti con le libertà economiche, si vedano le
sentenze Albany International BV c. Stichting Bedrijfspensioenfonds Textielindustrie (21
Settembre
1999
–
Causa
C-67/96),
reperibile
in
http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dd2de4f8d307ce4d1ba7c
2b47e48d6f9c6.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxqTbN10?text=&docid=100908&pageIndex=
0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=48944; Laval un Partneri
Ltd c. Svenska Byggnadsarbetareförbundet et alii (18 dicembre 2007, C-341/05),
reperibile in http://www.giurcost.org/casi_scelti/CJCE/C-341-05.htm; Commissione c.
Granducato di Lussemburgo (19 giugno 2008 – Causa C-319/06), il cui dispositivo è
reperibile
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:209:0004:0005:IT:PDF;
Commissione v. Germania (15 luglio 2010 – Causa C-271/08); Causa C‑515/08,
Procedimento penale a carico di Vítor Manuel dos Santos Palhota e altriSantos Palhota,
ottobre
2010,
reperibile
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62008J0515:IT:HTML; Causa C34/09, Gerardo Ruiz Zambrano c. Office national de l‟emploi (ONEm), in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009J0034:IT:HTML.
Va, comunque, evidenziata la sentenza C-236/09, Association belge des
Consommateurs Test-Achats ASBL and Others v. Conseil des ministres, resa il primo
marzo 2011, in cui la Corte di Giustizia, in ragione del nuovo ruolo assunto rispetto alla
Carta dei Nizza, ora recepita a pieno dal Trattato sull‘Unione Europea, ha dichiarato
invalido un articolo di una direttiva europea per violazione dei diritti della Carta. Va, però
sottolineato che, anche in questo caso, pur essendo sicuramente apprezzabile la sentenza,
laddove sostiene la necessità di assicurare il principio di parità tra uomini e donne in
materia di occupazione, il diritto soggettivo dei lavoratori viene tutelato in ragione della
sua strumentalità rispetto alla tutela del mercato del lavoro. La pronuncia, cioè, denota
ancora una volta la debolezza di tutela accordata ai diritti sociali nell‘UE. Il testo della
sentenza
è
reperibile
in
versione
inglese
all‘indirizzo
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0236:EN:HTML.
Sul punto, con riferimento al diritto al lavoro, già G. AZZARITI, Verso un governo dei
giudici? Il ruolo dei giudici comunitari nella costruzione dell‟Europa politica, in Rivista
di diritto costituzionale, 2009, p. 3 ss.
172
Per l‘Unione Europea, le politiche sociali, generalmente intese, sono
obiettivi398, non diritti e questo gap di democraticità non è stato totalmente
colmato con la ratifica del Trattato di Lisbona, che, si ricorda, è comunque
la conseguenza del fallimento del progetto di una Costituzione Europea.
Dunque, l‘attuazione dei diritti sociali resta in mano al nostro
legislatore e, laddove questi non si assuma le responsabilità che gli
competono, alla nostra Corte Costituzionale, a cui resta il compito di
valutare l‘eccesso di discrezionalità legislativa399 che connota le norme di
legge.
Gran parte della dottrina400, in verità, si è spesa per sostenere la
necessità di un‘inversione di tendenza nella giurisprudenza della Corte
Costituzionale, che ha, comunque, avallato la tesi della ―riserva del
possibile‖ per l‘attuazione dei diritti sociali, strappando alla discrezionalità
del legislatore solo il contenuto minimo degli stessi, che resta un obbligo
per il soggetto pubblico.
398
Già così, M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, cit., p. 372. Più
recentemente, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit., in questi
termini: ―nella sostanza il mosaico di disposizioni sociali presenti nel trattato non ha per
ora contribuito a conferire una maggiore effettività a essi in ambito comunitario‖.
399
Sul ruolo della Corte Costituzionale rispetto alle scelte del legislatore, chiara la
ricostruzione di G. SERGES, Anacronismo legislativo, eguaglianza sostanziale e diritti
sociali, in Giur. It., 2000, 4, nota a sentenza n. 167 del 1999. L‘Autore si esprime in
questi termini: ―L‘incostituzionalità (e il conseguente obbligo dell‘addizione da parte
della Corte) nasce, dunque, quale conseguenza dei mutamenti prodottisi intorno alla
disposizione impugnata dall‘opera del legislatore ordinario che ha operato un decisivo
ribaltamento nel modo di trattare i problemi delle c.d. barriere architettoniche così da
rendere non più adeguate al contesto normativo (e di conseguenza anche a quello sociale
e politico), anacronistiche, talune disposizioni – quale appunto l‘art. 1052 c. c. – rispetto
al quadro dei principi di fondo che caratterizzano siffatte opzioni legislative. Senonché lo
stesso legislatore, che pure ha chiaramente orientato verso queste finalità di tutela dei
soggetti affetti da invalidità il complesso degli interventi normativi, avrebbe finito per
dettare una «disciplina insufficiente rispetto al fine perseguito» non includendo
l‘accessibilità agli immobili tra le esigenze che possono legittimare la costituzione
coattiva della servitù‖.
400
R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza
costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, p. 72 ss. L‘Autore sostiene che, anche se il
bilanciamento va operato dal legislatore, è la Corte che deve valutare quando esso risulti
incrinato, tenendo conto del diverso peso dei diritti nel testo costituzionale; A. G IORGIS,
La costituzionalizzazione dei diritti all‟uguaglianza sostanziale, cit., p. 179; C. PINELLI,
Sui “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, co.
2, lett. m, Cost.), in Diritto pubblico, n. 3, 2002, p. 895.
173
Anzi, c‘è chi401 ha sostenuto la possibilità di un ripensamento dei
limiti ai poteri della Corte Costituzionale e proposto una soluzione
all‘assenza di effettività delle libertà positive, in ragione di una più forte
garanzia dei diritti e di una scelta orientata alla graduazione dei diritti di
libertà che connotano la personalità dell‘uomo, diritti che non possono che
acquisire una posizione privilegiata rispetto a quelli a connotato economico
e alle ragioni finanziarie.
Ciò risponde indubbiamente all‘inadeguatezza e all‘insufficienza della
scelta di lasciare l‘effettività del diritto alla definizione sibillina del
―contenuto minimo‖, che comporta la necessità di valutare, caso per caso, la
legittimità della norma legislativa di turno.
Tornando all‘oggetto della nostra indagine, pur condividendo la teoria
della necessaria graduazione dei diritti in Costituzione, non a caso ritenuti
dallo stesso Giudice delle leggi ―inviolabili‖402, va detto che deve
pretendersi dall‘opera della Corte Costituzionale quanto meno una
ragionevole valutazione dell‘essenzialità delle prestazioni da garantire ai
Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 142-145. L‘Autrice
riporta un‘interessante sentenza in cui il Tribunale costituzionale tedesco
(Bundesverfassungsgericht, n. 5/2009 del 9 Febbraio 2010), guida le scelte del legislatore
―dettandogli un criterio oggettivo, ragionevole, affidabile cui attenersi nella valutazione
dei bisogni‖, come esempio di una modalità di intervento giurisdizionale sulla scelta
legislativa e commenta in questi termini: ―Si è ben consapevoli che un siffatto judicial
review sulla norma primaria equivalga a sostituire il potere giudiziario a quello
legislativo, surrogazione, come tale, illegittima perché la decisione normativa viene
orientata in direzione dei risultati scelti dai giudici; ma il rispetto dell‘intangibilità della
discrezionalità politica produrrebbe un male peggiore del rischio che si vuole evitare: la
negazione dei diritti sociali. Per stemperare questa confusione tra poteri, la Corte
potrebbe ricorrere a tecniche decisorie compromissorie, in grado di tenere insieme
discrezionalità politica e tutela dei diritti sociali: la prima, orientandola verso un obbligo
di risultato; la seconda, affidandola alla capacità conformativa dei criteri dettati dalla
Corte. In tal modo non si azzererebbe lo spatium deliberandi del legislatore, come
accade, invece, con le sentenze additive di prestazione; né si consegnerebbe alla sua
incontrollata libertà la realizzazione dei diritti sociali, stante il vincolo cogente del
giudicato costituzionale‖.
402
Ritengono che al termine ―inviolabilità‖ corrisponda un limite alla revisione
costituzionale, E. ROSSI, Art. 2, cit.; A. BARBERA, Art. 2, cit.; P. CARETTI, I diritti
fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2005, p. 143; P. BARILE,
Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 53; A.
BALDASSARRE, Diritti inviolabili (voce), in Enc. Giur., vol. XI, Treccani, Roma, 1989, p.
3.
401
174
cittadini, corrisponda o meno essa con il contenuto minimo del diritto in
questione.
Dunque, se il nuovo diritto sociale di accesso alla Rete pretende un
intervento di carattere pubblico, esso non potrà limitarsi a promettere banda
larga per tutti, ma dovrà, pena la scure dell‘incostituzionalità, garantire
un‘equa distribuzione della stessa, nella misura che basta a ciascuno per
usufruire di tutti i servizi elargiti dalle amministrazioni pubbliche e per
fruire delle opportunità di crescita, condivisione, partecipazione, che la Rete
offre.
La chiave, dunque, non è tagliare, ma investire. E non è una scelta
folle o saggia di politica pubblica, è un obbligo che lo Stato deve ai suoi
cittadini.
D‘altra parte, i diritti economici trovano sempre un limite in
Costituzione alla realizzazione della persona singola e di essa nelle
formazioni sociali, attraverso un implicito riferimento al principio di
solidarietà sociale, di cui all‘art. 2 Cost.: si pensi alla libertà di iniziativa
economica, che non può porsi in contrasto con l‘utilità sociale o alla
proprietà, la cui disciplina deve assicurare la funzione sociale.
Il Costituente ci ha già dettato la via e l‘ha fatto nell‘art. 2 e nell‘art. 3
Cost., cioè in quella parte della Carta che resiste anche al revisore
costituzionale, perché è il nocciolo duro dello Stato sociale, è, cioè, la
rappresentanza dell‘inviolabilità dei diritti irrinunciabili della persona.
Di fronte a quest‘indicazione, il legislatore, pur in condizioni di crisi
economica, non può o non potrebbe essere refrattario, mortificando i diritti
sociali in virtù di vincoli di bilancio403.
403
In questo senso, I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, cit. Ma
già, M. LUCIANI, L‟art. 81 Cost. e le decisioni della Corte Costituzionale, in AA. VV., Le
sentenze della Corte Costituzionale e l‟art. 81 Cost. u.c. della Costituzione. Atti del
seminario svoltosi a Roma, 8-9 novembre 1991, Milano, Giuffrè, 1993, p. 53-63; ID., Sui
diritti sociali, in Studi in onore di Manlio Mazziotti di Celso, cit., p. 126; D. BIFULCO,
L‟inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, Jovene, 2003, p. 365; B. PEZZINI, La decisione
175
Ciò detto, dunque, laddove accadesse, sarebbe auspicabile un
intervento della Corte Costituzionale nel senso sopra suggerito.
I sostenitori dell‘impossibilità di configurare il diritto di accesso alla
Rete404 come nuovo diritto sociale hanno posto a sostegno della propria tesi
il fatto che la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sul progetto
statale ―PC ai giovani‖405, non l‘abbia riconosciuto pur avendone
l‘opportunità e nonostante la soluzione prospettata dall‘Avvocatura di Stato
in questo senso. Inoltre, è stato sostenuto che né il Conseil
Constitutionnel406 ha effettivamente riconosciuto autonomia al diritto in
questione, se non come strumento indispensabile per esercitare altre libertà,
né, nell‘ultimo Report dell‘ONU407 sulla libertà di espressione, la scelta di
sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali, Giuffré,
Milano, 2001, p. 189.
404
L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet, tra retoriche
globali e dimensione sociale, cit.
405
Il riferimento è alla sentenza n. 307 del 2004. Qui la Corte Costituzionale non ha
seguito la prospettazione, pur presentata dall‘Avvocatura di Stato, del diritto di accesso
alla Rete come diritto sociale, ma ha sostenuto, più semplicemente, che la diffusione dei
personal computer corrisponde a finalità di interesse generale, ―quale è lo sviluppo della
cultura, nella specie attraverso l‘uso dello strumento informatico, il cui perseguimento fa
capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 della Costituzione) anche al di là
del riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di cui all‘art. 117 della
Costituzione‖. Si vedano, a commento, A. PACE, I progetti „PC ai giovani? E „PC alle
famiglie: esercizio di potestà legislativa esclusiva statale o violazione della potestà
legislativa regionale residuale?, in Giur. Cost., 2004, p. 321 ss.; F. LEOTTA, La
competenza legislativa nei sistemi autonomisti. Dalla crisi della sovranità statale
all‟affermarsi della sussidiarietà, Giuffrè, Milano, 2007, p. 264 ss.
Sul tema della diseguaglianza digitale e nulla necessità di una politica volta alla
diffusione della cultura digitale, si vedano E. DE MARCO, Introduzione all‟eguaglianza
digitale, in E. DE MARCO (a cura di), Accesso alla Rete e uguaglianza digitale, Giuffrè,
2008, p. 1-9; Ivi, A. PAPA, Il principio di uguaglianza (sostanziale) nell‟accesso alle
tecnologie digitali, p. 11-36; Ivi, D. GALLIANI, L‟accessibilità ai siti Internet delle
pubbliche amministrazioni e la c.d. “Legge Stanca”, p. 107-118.
406
Il riferimento è alla decisione n. 2009-580 DC.
407
ONU, General Assembly, Report of the Special Rapporteur on the promotion and
protection of the right to freedom of opinion and expression, Frank La Rue, 16 maggio
2011.
Il
testo
è
reperibile
in
http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session20/AHRC-20-17_en.pdf.
Sul punto, si veda L. CUOCOLO, La qualificazione giuridica dell‟accesso a Internet,
tra retoriche globali e dimensione sociale, cit., p. 265-267.
176
inquadrare Internet come lo strumento irrinunciabile per l‘esercizio della
libertà di pensiero basta a qualificarlo come diritto fondamentale autonomo.
Ora, posto che, come rilevato dalla dottrina408, la Corte Costituzionale
non si è espressa in merito al diritto di accesso come diritto in sé, e ciò non
esclude che possa farlo in futuro, e posto che il Conseil Constitutionnel si è
espresso sul diritto di accesso ai contenuti e non sul diritto di accesso alla
Rete come diritto sociale, sembra potersi dedurre che si sia in attesa di una
pronuncia giurisprudenziale di rilievo che lo qualifichi come tale.
A fronte di tali affermazioni, va detto che la pronuncia c‘è stata, non
italiana, ma c‘è stata. È la sentenza del Tribunale Federale Tedesco di
Karlsruhe, n. 14, del 24 gennaio 2013409.
Il Tribunale tedesco ha riconosciuto a un cittadino il diritto al
risarcimento del danno subito per l‘illegittima disconnessione dalla Rete
internet, non tanto e non solo quantificando il danno sulla base della
prestazione eseguita senza corrispettivo, ma potenziando il quantum
economico in ragione del mancato accesso alla Rete, che di per sé, produce
un danno alla vita di relazione dell‘individuo, al godimento, cioè, di ogni
servizio e beneficio fornito dalla navigazione on line. In sostanza, il giudice
tedesco ha riconosciuto dignità di diritto autonomo all‘accesso a Internet,
senza mediazioni di sorta e riferimenti ad altri diritti, ma proprio in ragione
della sua strumentalità-necessità per l‘esercizio degli altri410.
408
G. DE MINICO, op. ult. cit., p. 137-138.
Tribunale Federale Tedesco di Karlsruhe, n. 14, del 24 Gennaio 2013, III ZR 98/12,
reperibile
in
http://www.caspersmock.de/publikationen/bgh_schadensersatz_bei_ausfall_internet.htm.
410
Il punto è ben colto in queste parole: ―Die Nutzbarkeit des Internets ist ein
Wirtschaftsgut, dessen ständige Verfügbarkeit seit längerer Zeit auch im privaten Bereich
für die eigenwirtschaftliche Lebenshaltung typischerweise von zentraler Bedeutung ist‖.
Parzialmente critica sui criteri di quantificazione del danno, pur riconoscendo la
rilevanza della pronuncia in oggetto, G. DE MINICO, Uguaglianza e accesso a Internet, in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0394_d
e_minico.pdf. Sulla peculiarità del diritto sociale in oggetto, ID., Internet. Regola e
anarchia, cit., p. 128: il diritto di accesso alla banda larga condivide la funzione
equilibratrice propria dei diritti sociali, ―rispetto ai quali, però, presenta un profilo di
unicità: a differenza del diritto alla salute o al lavoro, in grado di procurare vantaggi da
409
177
A parere di chi scrive, alla luce delle considerazioni sin qui svolte,
suffragate per certi versi dalla sentenza tedesca, non si può non ritenere che
il diritto di accesso sia già bagaglio proprio di ciascun cittadino, in forza
dell‘art. 2 Cost. e dell‘art. 3 Cost., II comma: il primo lascia aperto o,
comunque, suscettibile di evoluzione, il catalogo dei diritti disegnato dal
Costituente, e, laddove si tratti di diritti a prestazioni positive, l‘obbligo
dello Stato troverà ancoraggio certo nel secondo, che, aldilà del vincolo di
bilancio, come i manuali insegnano, trova sempre il suo destinatario diretto
nel legislatore e il suo obiettivo nell‘eguale punto di partenza per ciascuno
di noi, tassello indispensabile per dare ratio e contenuto al concetto
costituzionale di dignità.
3.1. L‟incidenza dell‟intervento del decisore politico sul diritto di accesso.
Le azioni di politica italiana e comunitaria: quale realtà?
Appurato che la situazione di pretesa da parte del soggetto esiste,
cerchiamo ora di capire se e quanto il legislatore italiano abbia contribuito a
tradurre in fatti le belle parole della nostra Carta Costituzionale.
Vedremo, inoltre, quali sono le politiche comunitarie rispetto alla
Rete, al fine di valutare se, a prescindere dall‘incidenza o meno del Trattato
di Lisbona, l‘Europa sia orientata a una politica di crescita e condivisione.
La premessa è quella annunciata in principio: il diritto ad avere una
connessione veloce si traduce nella pretesa del singolo cittadino a navigare
da casa, dovunque sia ubicato e a prezzi accessibili, con una velocità di
banda che gli consenta di fruire dei servizi della P.A., ormai quasi del tutto
digitalizzati, di tessere relazioni sociali in cui si esplica la sua persona,
soli, il diritto alla connessione in sé non soddisfa alcun bisogno: la soddisfazione
dell‘interesse è qui rinviata all‘acquisizione del bene finale, di volta in volta procurato
dalla navigazione‖.
178
insomma di godere del livello essenziale di banda che rende utile,
indispensabile e fruttuoso l‘utilizzo della Rete.
Andiamo ai fatti.
La politica della banda larga in Italia non ha mai brillato per slanci
innovativi e trasparenza nella gestione dei fondi411. Ad ogni modo, sotto la
spinta degli interventi comunitari, soprattutto di soft law, si è giunti a stilare
il ―Piano nazionale Banda Larga‖.
In verità, il percorso non è stato univoco e deciso e non ha, ancora a
oggi, portato a significativi e apprezzabili risultati, quanto meno se
comparati con gli inziali più ambiziosi progetti.
Gli interventi, dunque, sono stati diversi e le promesse disattese.
Procediamo con ordine. Il primo intervento in tema di banda larga risale
alla legge finanziaria del 2008412, poi si susseguono: la legge n. 133 del
2008, che si è occupata di questioni di carattere strettamente
amministrativo413; legge n. 69 del 2009, con la quale si stanziavano 800
milioni di euro per un programma di interventi infrastrutturali nelle aree
sottoutilizzate,
a
detta
del
Governo414,
―necessari
per
facilitare
411
A riguardo, si vedano i contributi di G. DE MINICO, Regulation, Banda Larga e
Servizio
Universale.
Immobilismo
o
Innovazione?,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0133_d
e_minico.pdf; ID., Tecnica e diritti sociali nella regulation della banda larga, in G. DE
MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti, cit., p. 3-50; S. FROVA, La banda larga in
Italia. Storia probabile di un‟altra occasione perduta, in Mercato concorrenza regole,
XII, n. 3, 2010, p. 447-458; A. TONETTI, La nuova disciplina per lo sviluppo della banda
larga: vera semplificazione?, in Mercato concorrenza regole, XIII, n. 1, 2011; A.
RUBINO, Banda larga: servizio universale e aiuti di Stato, in G. DE MINICO (a cura di),
Dalla tecnologia ai diritti, cit., p. 51-99; Ivi, M. AVVISATI, Banda larga: politiche
regolatorie e digital divide, p. 101-160.
412
Si tratta della legge n. 300 del 2007, il cui art. 2 è stato poi abrogato dal d.l. n. 93
del 2008 (convertito in legge n. 126 del 2008), con il quale si è scelto di impiegare le
somme stanziate per le infrastrutture di rete per coprire buchi di bilancio.
413
All‘art. 1 prevedeva, infatti, che gli interventi di installazione di reti e impianti di
comunicazione elettronica in fibra ottica fossero realizzabili mediante denuncia di inizio
attività. Il testo è reperibile alla pagina http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm.
414
Preme ricordare che già quella scelta politica era lontana dall‘effettiva
realizzazione di un piano che colmasse il divario digitale. Si veda, infatti, il rapporto di F.
CAIO, Portare l‟Italia verso la leadership europea nella banda larga. Considerazioni
sulle
opzioni
di
politica
industriale,
in
http://digidownload.libero.it/ordingnatlc/documenti/italia-caio-broadband-report-
179
l‘adeguamento delle reti di comunicazione elettronica pubbliche e private
all‘evoluzione tecnologica e alla fornitura dei servizi avanzati di
informazione e di comunicazione del Paese‖, procedendo ―secondo finalità
di riequilibrio socio-economico tra le aree del territorio nazionale‖415 –
cifra, quella gli 800 milioni, poi congelata dal CIPE (Comitato
interministeriale per la programmazione economica) che, ai sensi della
medesima legge, avrebbe dovuto approvare il programma delle risorse
necessarie; la legge n. 40 del 2010, che ancora ripropone scelte di ordine
amministrativo, non determinanti in termini infrastrutturali416; la legge
finanziaria
2011,
che
prevede,
invece,
uno
slancio
nell‘ottica
dell‘investimento.
Si stabilisce, infatti, all‘art. 30, che ―ai fini del raggiungimento degli
obiettivi dell‘Agenda digitale europea, concernenti il diritto di accesso a
internet per tutti i cittadini "ad una velocità di connessione superiore a 30
Mb/s" (e almeno per il 50% " al di sopra di 100 Mb/s"), il Ministero dello
sviluppo economico, con il concorso delle imprese e gli enti titolari di reti e
impianti di comunicazione elettronica fissa o mobile, predispone un
progetto strategico nel quale, sulla base del principio sussidiarietà
orizzontale e di partenariato pubblico – privato, sono individuati gli
interventi
finalizzati
alla
realizzazione
dell‘infrastruttura
di
telecomunicazione a banda larga e ultralarga, anche mediante la
valorizzazione, l‘ammodernamento e il coordinamento delle infrastrutture
esistenti‖.
Già a questo, che sembra il primo passo verso una politica realmente
indirizzata a colmare il divario esistente, al fine di non lasciare al buio
2009.pdf, in cui fu stimata la cifra di circa 1 miliardo di euro per serio un piano
d‘investimento, volto a conseguire il risultato prefissato.
415
Art.
1
della
citata
legge.
Per
il
testo
si
veda
in
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/mise_extra/Legge%2018%20giugno
%202009%20%20n.%2069%20-art.1%20Banda%20Larga.pdf.
416
Si legga, a riguardo, l‘art. 5 bis della citata legge, reperibile in
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/adi/Art5bis_40_2010.pdf.
180
digitale parte della popolazione italiana, va fatta una prima critica: la banda
larga per tutti, la banda ultralarga per il 50 % dei cittadini.
Quale parte della cittadinanza non potrà aspirare alla restante banda?
Secondo quale criterio non discriminatorio sarà operata la scelta?
Forse, quello proprio delle imprese che dovranno investire
cofinanziando il progetto pubblico-privato. Dunque, un criterio di carattere
economico: la banda più veloce nelle zone dove le infrastrutture rendono
meno dispendioso l‘intervento.
Insomma, il gap che prima interessava il divario digitale non verrà
eliminato, ma solo spostato verso l‘alto.
Più che un giusto approdo, sembrerebbe l‘affermarsi di una nuova
disuguaglianza, perché la parte della cittadinanza abilitata a godere della
banda ultralarga avrà servizi migliori a prezzi competitivi e la restante parte
del Paese non sarà più al buio digitale, ma la luce che illuminerà la sua
navigazione non potrà che essere fioca.
Ad ogni modo, tali considerazioni lasciano il tempo che trovano,
perché, come si diceva, i progetti di investimento sono rimasti belle
promesse su carta.
Peraltro, sull‘art. 30 della legge in oggetto è stata sollevata questione
di legittimità costituzionale417, da parte della Regione Liguria, per presunto
contrasto con gli articoli 117, III comma, 118 e col principio di leale
collaborazione.
Quale migliore occasione di una giudizio di legittimità costituzionale,
per ridare alla Corte Costituzionale il ruolo di giudice della legittimità delle
scelte
legislative
che
oltrepassano
i
limiti
della
ragionevolezza
nell‘attuazione dei diritti sociali?
Purtroppo, nel caso sottoposto alla nostra attenzione, la questione era
relativa a un giudizio in via principale, rispetto al quale, a onor del vero, la
417
La sentenza alla quale si fa riferimento è la n. 163 del 2012, reperibile al sito
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=163.
181
Corte ha fatto quel che ha potuto per rimarcare la legittimità di un
intervento statale in termini di investimento per la banda larga, non
demandabile di per sé alle Regioni, pena l‘inevitabile differenza che, in
termini di godimento del diritto, si sarebbe venuta a creare tra cittadini che
vivono in Regioni differenti.
La querelle sulla competenza, dunque, sembra essere ben risolta. Ma,
a un‘attenta analisi della vicenda, si capirà che quella garanzia di uniformità
e uguaglianza, che soprattutto in tema di diritti sociali dovrebbe essere
garantita, viene comunque disattesa.
Partiamo dai termini della questione.
La regione Liguria sostiene che le materie interessate dalla
disposizione di legge siano l‘―ordinamento della comunicazione‖ e il
―governo del territorio‖, dunque, oggetto di competenza concorrente tra
Stato e Regioni ma che, dalla lettera della norma nessuno spazio
residuerebbe alle stesse per operare, poiché anche l‘attuazione dei principi è
demandata allo Stato.
Inoltre, è stato sostenuto: ―Anche ove si volesse riconoscere che il
potenziamento dell‘infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e
ultralarga possa costituire compito da attuare con strumenti di rilievo
nazionale, ad avviso della Regione non sussisterebbero, nella specie, i
presupposti per la chiamata in sussidiarietà‖. ―Qualora, poi, si ritenesse
legittima l‘attrazione in sussidiarietà, sarebbe comunque violato il principio
di leale collaborazione, non prevedendosi che la predisposizione del
progetto strategico avvenga d‘intesa con la Conferenza Stato-Regioni e che
la sua realizzazione concreta sul territorio avvenga sulla base del progetto
concordato con la Regione interessata‖.
La Corte è piuttosto chiara nel definire i perimetri delle competenze:
―Una simile disciplina, sebbene sia riconducibile, in via prevalente, alla
materia dell‘ordinamento delle comunicazioni, come riconosciuto da questa
Corte in relazione al settore degli impianti di comunicazione elettronica (in
182
particolare, sentenza n. 336 del 2005), risponde, tuttavia, alla necessità di
soddisfare l‘esigenza unitaria corrispondente all‘adozione – in armonia con
quanto prescritto dalle fonti comunitarie – di un programma (o progetto)
strategico che definisca, con una «visione a lungo termine ed equilibrata dei
costi e benefici» (così nella citata Comunicazione della Commissione UE
20 settembre del 2010 su ―La banda larga‖) gli obiettivi nazionali volti ad
assicurare la realizzazione delle infrastrutture inerenti agli impianti di
comunicazione elettronica a banda larga in maniera diffusa ed omogenea
sull‘intero territorio nazionale‖.
Secondo la Corte, la chiamata in sussidiarietà sussiste tutta, perché è
proprio l‘esercizio unitario della funzione amministrativa in questione a
pretendere l‘intervento statale, intervento, che si traduce anche in norme di
legge, al fine di disciplinare con una certa uniformità la funzione
amministrativa di cui si tratta. Insomma, una riedizione della celebre
sentenza n. 303 del 2003, dove la Corte riconobbe come plausibile la
chiamata in sussidiarietà anche a livello legislativo, se diretta conseguenza
dell‘esercizio unitario nazionale della medesima funzione. Mancherebbero,
però, come giustamente rilevato dalla Corte, quei criteri correttivi
all‘intervento statale, in assenza dei quali la stessa interpretazione
giurisprudenziale si porrebbe ai limiti della compatibilità costituzionale con
l‘impianto disegnato dall‘art. 117 Cost.
Infatti, a detta della Corte, se ―le misure previste soddisfano sia il
requisito della proporzionalità che quello della pertinenza rispetto allo
scopo perseguito‖, risulta, però, fondata la censura proposta per violazione
del principio di leale collaborazione. D‘altra parte, ricorda la Corte, ―solo la
presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalità, consente di giustificare la scelta statale dell‘esercizio
unitario di funzioni, allorquando emerga tale esigenza‖.
Infatti, ―nei casi di attrazione in sussidiarietà di funzioni relative a
materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, è
183
necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il
raggiungimento di un‘intesa, in modo da contemperare le ragioni
dell‘esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni
costituzionalmente attribuite alle Regioni‖418.
Dunque, posto che in materia di realizzazione di infrastrutture di
comunicazione elettronica è necessaria una visione unitaria, ―nello stesso
tempo, tuttavia, considerata la rilevanza del progetto strategico di
individuazione
degli
interventi
finalizzati
alla
realizzazione
delle
infrastrutture di telecomunicazione da banda larga ed ultralarga e la sua
diretta incidenza su territorio e quindi sulle relative competenze regionali,
anche in tal caso risulta costituzionalmente obbligata la previsione di
un‘intesa fra gli organi statali ed il sistema delle autonomie territoriali
(Conferenza unificata Stato-Regioni), da un lato, con riguardo alla
predisposizione del predetto progetto strategico, e, dall‘altro, con le singole
Regioni che siano, di volta in volta, interessate dagli specifici e concreti
interventi di realizzazione del progetto sul proprio territorio‖.
Sorvolando sul principio di sussidiarietà verticale419, come possibile
sostituto di quella clausola di ―interesse nazionale‖, distrattamente
418
Sul punto, si vedano le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004, n. 165 del 2011, n.
278 del 2010; n.i 383 e 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003.
419
Si vedano, a riguardo, e a commento della sentenza n. 303 del 2003 della Corte
Costituzionale, i contributi di A. RUGGERI, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà
legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente)
pronunzia, in www.forumcostituzionale.it; A. MORRONE, La Corte costituzionale riscrive
il Titolo V?, ivi; F. CINTIOLI, Le forme dell‟intesa e il controllo sulla leale collaborazione
dopo la sentenza 303 del 2003, ivi; S. BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel
nuovo ordine regionale, ivi; A. D‘ATENA, L‟allocazione delle funzioni amministrative in
una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, ivi; L. VIOLINI, I confini della
sussidiarietà: potestà legislativa “concorrente”, leale collaborazione e strict scrutiny,
ivi; più recentemente, T.E. FROSINI, Sussidiarietà (principio di) (diritto costituzionale), in
Enciclopedia del diritto, Annali II, Tomo II, ed. Giuffrè, Milano, 2008; C. MAINARDIS,
Chiamata in sussidiarietà e strumenti di raccordo nei rapporti Stato – Regioni, in
http://www.robertobin.it/REG11/mainardis_def.pdf;
C.
PADULA,
Principio
di
sussidiarietà verticale ed interesse nazionale: distinzione teorica, sovrapposizione
pratica, in http://www.federalismi.it/federalismi/document/11072006101409.pdf. Sul
tema della potestà concorrente e sulle modalità di intervento tra Stato e Regioni, si veda
G. SERGES, Riassetto normativo e delega legislativa per la determinazione dei principi
184
dimenticata dal revisore costituzionale in sede di riforma nel 2001,
soffermiamoci sull‘aspetto che a noi interessa.
Qual è la diretta conseguenza di tutto ciò?
Basta l‘interpretazione della Corte a garantire quell‘uguaglianza e
quell‘unità che il testo costituzionale promette?
Per rispondere a queste domande, un passo in avanti nel tempo è
d‘obbligo.
L‘ultimo, meglio ordito, piano per investire nella banda larga, è stato
siglato con il d.l. n. 179 del 2012, denominato ―Decreto Crescita 2.0‖,
convertito il l. n. 221 del 2012420. All‘art. 14 si prevede lo stanziamento,
―per il completamento del Piano nazionale banda larga‖, di 150 milioni di
euro da utilizzare nelle aree del territorio nazionale, tenendo conto delle
singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità
abitativa‖.
Ora, l‘attuazione di questa previsione a livello statale dipenderà
comunque dall‘intesa che verrà, di volta in volta, siglata con le rispettive
Regioni.
Dunque, quell‘immagine salvifica dell‘unità nazionale, in cui la Corte
ancora ci aveva fatto credere anche con la sentenza in commento, rimane in
ogni caso sbiadita dalla scarsa effettività della realizzazione della funzione,
che non potrà che dipendere da quanto e come ciascuna Regione si
prodigherà a tal fine.
L‘esempio è sotto i nostri occhi. È del 13 marzo 2013 la notizia del
Protocollo d‘Intesa421 tra il Piemonte e il Ministero per lo sviluppo
economico. Dai dati, risulta che questa sia la regione
leader
fondamentali nelle materie di potestà concorrente, in M.A. SANDULLI (a cura di),
Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, 2005, p. 161-168.
420
Il
testo
è
reperibile
alla
pagina
http://www.normattiva.it/urires/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2012;221.
421
Si veda R. NATALE, Agenda digitale: 256,5 mln di euro per l‟innovazione italiana.
Oltre
300
le
startup
registrate,
in
http://www.key4biz.it/News/2013/03/13/Policy/Corrado_passera_agenda_digitale_startu
p_innovazione_pmi_convergenza_mezzogiorno_216304.html.
185
nell‘innovazione. Non lo stesso, invece, per le Regioni che non investono
nella banda larga.
Ora, forse, il quadro appare più chiaro. La chiamata in sussidiarietà
serve ma non basta, perché, probabilmente, l‘art. 117 Cost., III comma, non
è il referente normativo giusto per garantire un reale progetto a sfondo
nazionale, che sia effettivamente in grado di condurre verso innovazione ed
equità. Diversamente sarebbe, ad esempio, far rientrare tali funzioni nei
livelli essenziali delle prestazioni dei diritti sociali. Allora sì, si potrebbe
pretendere un livello essenziale eguale su tutto il territorio, in ragione
dell‘intervento statale.
Peraltro, i risultati dell‘ambizioso progetto dovranno ancora
attendersi. Per il momento ci si deve attenere ai dati OECD422, che non
offrono un quadro ottimistico della politica italiana in tema di banda larga.
Va detto, comunque, che il Governo Monti, ha dato avvio con il
Decreto Crescita all‘Agenda digitale, sempre in risposta alle forti pressioni
in tal senso intervenute dall‘Unione Europea.
Curiosa, infatti, la posizione dell‘Europa sul tema. Da un lato, una
forte spinta a valutare la Rete come mezzo per sfidare la competitività
internazionale e garantire l‘esercizio di diritti fondamentali per tutti i
cittadini europei423, promettendo un magico equilibrio tra l‘Europa dei
422
In Italia la banda larga è diffusa solo per il 48,9% delle famiglie e il divario digitale
raggiunge il 13% della popolazione. Peraltro, il nostro tasso di penetrazione, il 22,4%,
che ha sortito un incremento dell‘1,3% dal dicembre 2010 al dicembre 2011, è inferiore
alla media europea, che è pari al 25,6%; in termini comparativi, pertanto, si piazza, nella
classifica dell‘OECD, solo 24º. I dati sono reperibili al Broadband Portal, alla pagina
http://www.oecd.org/sti/broadbandandtelecom/oecdbroadbandportal.htm#Penetration.
423
Si pensi alla posizione della commissaria N. Kroes, in Future Internet – the way
foreward; discorso reso al Convegno ―The European Framework Programmes: From
Economic Recovery to Sustainability‖, Valencia, 14 Aprile 2010, reperibile in
http://ec.europa.eu/informationsociety/policy; alla Comunicazione, Un‟agenda digitale
europea, COM(2010) 245 def., della Commissione Europea, consultabili in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52010DC0245R(01):IT:NOT
–
qui la Commissione si esprime nel senso della Rete come occasione di crescita per i
cittadini e gli Stati d‘Europa; alla posizione del Consiglio Europeo, Quadro finanziario
pluriennale,
8
Febbraio
2013,
in
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/135375.pdf.
186
diritti e quella dei mercati; dall‘altro, si perde l‘occasione di riscrivere in un
atto cogente – revisione del Pacchetto Direttive TLC del 2002, intervenuta
nel 2009424 – norme di peso giuridico maggiore.
In sede di scrittura della Direttiva 2009/136/CE, infatti, la scelta di
non inserire nel paniere del servizio universale la connessione alla banda
larga, pur promuovendo l‘azione politica dei governi in tal senso, è parsa
alla dottrina425 decisamente irragionevole.
Insomma, il quadro disegnato non è dei più rassicuranti.
Tirando le fila del discorso, non si può che ammettere un fallimento
del sistema Nazione e del sistema europeo in tema di diritto di accesso alla
Rete: il primo, troppo impegnato a tagliare la spesa pubblica senza
orientarsi nel senso dell‘investimento e dell‘innovazione; il secondo, che
troppo spesso non basta a se stesso, restando intrappolato tra ciò che ancora
non è e ciò che vorrebbe essere, in divenire.
424
Il riferimento è alle Direttive 2009/136/CE e 2009/140/CE, reperibili
rispettivamente
agli
indirizzi
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:337:0011:0036:it:PDF
e
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:337:0037:01:IT:HTML.
Da
ultimo, si veda Commissione Europea, Comunicato stampa, Elenco delle cose da fare in
campo digitale: le nuove priorità digitali per il 2013-2014, Bruxelles, 18 dicembre 2012.
In questi termini, la Commissaria Kroes: ―Il 2013 sarà l‘anno più intenso per l‘Agenda
digitale. Le mie priorità assolute sono aumentare gli investimenti nella banda larga e
massimizzare il contributo del settore digitale per la ripresa dell‘Europa‖. Il testo è
reperibile in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-12-1389_it.htm.
425
Sul punto, G. DE MINICO, Internet. Regola e anarchia, cit., p. 155-157; T.E.
FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit., p. 8; A. VALASTRO, Le
garanzie di effettività del diritto di accesso ad Internet e la timidezza del Legislatore
italiano, cit., p. 51; P. TANZARELLA, Accesso a Internet: verso un nuovo diritto sociale?,
cit., p. 22-23.
187
CAPITOLO TERZO
LA LIBERTÁ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ON LINE
SOMMARIO: 1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori
dell‘Assemblea Costituente all‘era della Rete. – 1.1. Free speech, controllo e
censura: la lettura americana. 1.2. – I limiti alla libertà di manifestazione del
pensiero on line: il buon costume nel rapporto con la tutela dei minori. – 2. La
disciplina della stampa on line: tra ―scritto‖ e ―pubblicato‖. – 2.1. La legge n. 62
del 2001 e l‘equivoco del ―prodotto editoriale‖. – 2.2. Responsabilità per le
pubblicazioni on line: tra principio di legalità e separazione dei poteri. – 3. La
posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in rete e sulla
giurisdizione.
1. La libertà di manifestazione del pensiero dai lavori dell‟Assemblea
Costituente all‟era della Rete
Il valore sotteso alla libertà di manifestazione del pensiero è la misura
di ciò che siamo stati, che siamo, che saremo.
Esprimere il proprio pensiero liberamente è il fulcro dello statuto delle
libertà disegnate nella nostra Carta, destinata a durare anche di fronte alle
profonde innovazioni che permeano la società.
A parere di chi scrive, i punti di partenza sono rappresentati dalle
seguenti domande: qual è il significato della libertà di manifestazione del
pensiero oggi, nell‘era della Rete? Il contenuto della libertà, su cui tanto si è
discusso in sede di Assemblea costituente, è ancora lo stesso?
In altre parole, il mezzo di comunicazione che veicola l‘informazione
– nel nostro caso Internet – può incidere sul significato della libertà? O,
invece, essa è la medesima di quella pensata dai Costituenti? E, ancora, pur
se tale libertà non è soggetta a modifiche nel contenuto, può e deve
188
pretendere diverse garanzie, in ragione dei possibili e nuovi limiti che l‘uso
della Rete può comportare?
Al fine di rispondere a tali domande e di disegnare un perimetro della
libertà in questione, che possa orientarci nel rapporto che la lega
indissolubilmente alle tecnologie che di essa sono il nuovo veicolo, appare
preliminare un focus sull‘immancabile punto di partenza: l‘interpretazione
del testo costituzionale.
L‘art. 21 della Costituzione recita al primo comma: ―Tutti hanno il
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione‖.
Ciò che la Costituzione intende assicurare è, cioè, la manifestazione
del pensiero in sé e per sé, la rilevanza del pensiero manifestato, che supera,
per il soggetto emittente, l‘importanza della persona del destinatario426.
Dunque, ―la ratio di questa proclamazione sta nel garantire la libera
circolazione delle idee‖427.
Comunemente, la libertà di manifestazione del pensiero viene
declinata nel senso attivo e passivo, corrispondendo al primo la libertà di
informare, e al secondo la libertà di informarsi o diritto a essere informati. È
stato, però, sottolineato che il risvolto passivo di tale libertà non
rappresenterebbe ―un‘autonoma situazione giuridica soggettiva di contenuto
pretensivo nei confronti di chi manifesti‖428, quanto invece una libertà
esercitabile solo in conseguenza dell‘esistenza di fonti generalmente
accessibili. In sostanza, dunque, l‘esercizio effettivo della libertà di
manifestazione del pensiero sarebbe, secondo parte della dottrina, il
A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero
in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 17. Gli
Autori descrivono così il contenuto della libertà, anche per distinguerla da quella garantita
all‘art. 15 Cost., per la quale, invece, appare rilevante la persona del destinatario,
caratterizzandosi la corrispondenza per la segretezza della comunicazione.
427
Ibidem, p. 15.
428
Ivi, p. 16. Contra C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero
nell‟ordinamento italiano, cit., p. 4, il quale sostiene che la relativa pretesa costituisce
oggetto di autonoma libertà, che non è legata da nesso logico e indefettibile alla libertà di
manifestazione.
426
189
presupposto di fatto, ineliminabile, per il realizzarsi della libertà in forma
passiva429.
Prima, però, di valutare in che termini la libertà di manifestazione del
pensiero si traduca nella libertà di informazione e quali conseguenze
abbiano sulla stessa i mezzi di diffusione di massa – oggi soppiantati in
gran parte dall‘avvento di Internet – si considera necessaria un‘indagine
sull‘intimo significato dell‘espressione costituzionale, quale momento
conclusivo di un‘evoluzione che questa libertà ha attraversato nel passaggio
dallo Statuto Albertino all‘età costituente.
La libertà di manifestazione del pensiero ―affonda le sue radici nelle
correnti filosofiche individualistiche ed è stata prospettata sempre come una
rivendicazione di autonomia del singolo da ogni potere estraneo ad esso‖430.
Essa rappresenta, dunque, un valore da tutelare per il pieno sviluppo della
personalità del singolo, un valore individuale da tutelare in sé431.
Sotto la vigenza dello Statuto albertino, a differenza di quanto previsto
in Costituzione, la libertà di manifestazione del pensiero era garantita solo
attraverso la tutela dei mezzi di diffusione e, nello specifico, attraverso la
In questo senso, si veda V. CRISAFULLI, Problematica della libertà d‟informazione,
in Il Politico, 1964, p. 291, che così si esprime: ―La libertà di informarsi attiene al
risultato sociale dell‘esercizio dell‘altrui libertà di manifestazione del pensiero e di
cronaca‖, nonché A. PACE, Stampa, giornalismo, radiotelevisione, Padova, 1983, p. 16.
Diversamente, C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, Padova, 1973, p. 8. Si veda
anche G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 1997,
vol. 1, p. 273 ss.
430
In questi termini, A. BARBERA – F. COCOZZA – G. CORSO, Le situazioni
soggettive. La libertà dei singoli e della formazioni sociali. Il principio di uguaglianza, in
G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, V edizione, vol. I, Bologna,
1997, p. 273.
431
In questo senso, C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero
nell‟ordinamento italiano, cit., che a p. 8 ss. scriveva: ―Questo si afferma che la nostra
Costituzione garantisce il diritto di manifestazione del pensiero in senso individualistico
si intende dunque dire che esso è garantito al singolo come tale indipendentemente dai
vantaggi o dagli svantaggi che possono derivarne allo Stato, indipendentemente dalle
qualifiche che il singolo possa avere in alcuna comunità e dalle funzioni connesse a tali
qualifiche; si vuole dire che esso è garantito perché l‘uomo possa unirsi all‘altro uomo nel
pensiero e col pensiero ed eventualmente insieme operare: i vivi ed i morti con i vivi e
non per le utilità sociali delle unioni di pensiero‖. Sul punto si veda anche A. PACE – M.
MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a
cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 25 ss.
429
190
libertà di stampa. L‘art. 28 dello Statuto Albertino, infatti, prevedeva: ―La
Stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi‖432.
La scelta costituzionale, invece, va chiaramente nella direzione di
garantire, da un lato, il suo aspetto sostanziale, dall‘altro, il suo aspetto
strumentale, la libertà, cioè, di ―adoperare ogni mezzo adatto a divulgare il
proprio o altrui pensiero‖433.
La svolta costituzionale dipende essenzialmente dalla scelta di una
Costituzione rigida e dalle conseguenti garanzie che la Carta disegna a
tutela delle libertà. Infatti, l‘intrinseca flessibilità della vecchia Carta e la
conseguente assenza di un organo di garanzia costituzionale riuscirono ad
asciugare in via definitiva il significato e la rilevanza della riserva di
legge434, consegnata dallo Statuto a tutela della libertà di stampa. La riserva,
infatti, si traduceva in una sorta di ―delega in bianco a favore delle
contingenti maggioranze parlamentari‖435 e, dunque, sottraeva l‘oggetto
della garanzia a una tutela effettiva. Non a caso, l‘impostazione tipica dello
Stato liberale, in cui le coordinate essenziali per l‘esercizio della libertà di
stampa erano ―lo strumento della riserva di legge per la definizione dei
432
Ivi. Sul punto gli Autori descrivono le possibili ragioni per le quali lo Statuto
albertino non riconoscesse direttamente la libertà di parola ma, più specificamente, la
libertà di stampa. Le ipotesi presentate si basano sul fatto che la libertà di espressione
potesse rientrare nella più ampia libertà personale e che la scelta operata dallo Statuto
fosse figlia del suo tempo, in cui vi era un‘ampia consapevolezza dell‘importanza politica
della stampa ―come fattore di movimento sociale, incommensurabilmente superiore alla
semplice parola‖, p. 30.
433
Così A. BARBERA – F. COCOZZA – G. CORSO, Le situazioni soggettive. La libertà
dei singoli e della formazioni sociali. Il principio di uguaglianza, in G. AMATO – A.
BARBERA, Manuale di diritto pubblico, V edizione, Bologna, vol. I, 1997, p. 274.
Per quanto attiene alla copertura costituzionale del ―diritto al mezzo‖ di diffusione del
pensiero, si veda, più diffusamente, il secondo capitolo di questo lavoro, spec. par. 1.1.
434
Per una ricostruzione dell‘istituto della riserva di legge si vedano R. BALDUZZI – F.
SORRENTINO, Riserva di legge (voce), in Enc. dir., 1989; S. FOIS, La riserva di legge.
Lineamenti storici e principi attuali, Milano, 1963; F. MODUGNO, Riserva di legge e
autonomia, in Dir. soc., 1978; L. CARLASSARE, Legge (riserva di), in Enc.Giur., 1990; R.
GUASTINI, Legge (riserva di), in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1994; nonché,
sul valore della riserva di legge in una Costituzione rigida, M. VILLONE, Il tempo della
Costituzione, Napoli, 2009, p. 61-76.
435
P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2010, p. 33.
191
limiti, il divieto di ogni forma di autorizzazione o censura preventiva e la
previsione, in caso di abusi, di meccanismi sanzionatori di natura
repressiva, come il sequestro‖436, fu soppiantata dalle modifiche intervenute
con l‘avvento del regime fascista.
In ragione dell‘importanza del mezzo in questione e del forte
condizionamento che lo stesso poteva operare sull‘opinione pubblica, la
possibilità di esercitare la libertà subì un fortissimo arresto con il passaggio
da una disciplina di tipo successivo e repressivo a una di tipo preventivo e
censorio437.
La visione autoritativa, che aveva, di fatto, cancellato la libertà di
stampa, venne poi ribaltata ad opera dell‘Assemblea costituente.
L‘Organo costituente, infatti, non solo scelse una Costituzione rigida,
dando finalmente peso e sostegno alle diverse garanzie scritte a baluardo
delle libertà, ma garantì un‘estensione della portata della libertà di
manifestazione del pensiero, rinunciando alla sola attenzione al mezzo di
divulgazione dello stesso, a fronte invece di un diritto a contenuto
decisamente più ampio. Certo, la scelta dei Costituenti fu indubbiamente
orientata a cristallizzare il divieto di autorizzazioni e censure alla stampa,
che aveva caratterizzato lo svuotamento della libertà scritta nello Statuto
albertino, ma, principalmente, fu finalizzata a disegnare un diritto di libertà
che fosse il nucleo delle garanzie costituzionali e che conoscesse limiti non
più definibili dal contingente arbitrio del legislatore di turno.
M. MICHETTI, Disciplina dei “mezzi” e libera manifestazione del pensiero, in M.
AINIS (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 310.
437
Per una ricostruzione della legislazione sulla stampa dall‘epoca liberale all‘età
costituzionale, si vedano M. MICHETTI, Disciplina dei “mezzi” e libera manifestazione
del pensiero, cit., p. 307 ss.; P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della
comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, cit.; R.
ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, Padova, 2007, p. 371 ss.; P.
BARILE, La libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975, p. 3 ss.
436
192
Secondo taluni438, peraltro, i costituenti furono particolarmente attenti
a rompere il legame col passato, che aveva dato adito allo scempio fascista,
ma non riposero la dovuta attenzione sui diversi mezzi di comunicazione di
massa già allora esistenti, come la radio o la televisione, preoccupati
proprio di scrivere una chiara disciplina di massima della stampa, fin troppo
manipolata dal regime precedente.
Non è un caso che nella seduta pomeridiana del 26 settembre 1946, in
Assemblea costituente, nella composizione della Prima sottocommissione,
il Presidente Tupini aprì la seduta dando lettura dell‘articolo concernente
―la libertà di stampa‖, preparato dagli onorevoli Basso e La Pira.
Una delle prime formulazioni dell‘articolo in questione così recitava:
al primo comma, ―Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le
proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo di diffusione è
garantito a tutti. È vietato assoggettarne l‘esercizio ad autorizzazioni o
censure‖ e, all‘ultimo comma, ―Solo la legge può limitare le manifestazioni
del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della
In questo senso R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione,
cit., p. 2 ss., che, richiamando lo scritto di L. PALADIN, Problemi e vicende della libertà
di informazione nell‟ordinamento giuridico italiano, in L. PALADIN (a cura di), La libertà
d‟informazione, Torino, 1979, p. 6, definisce ―prevalentemente retrospettivo‖
l‘atteggiamento assunto dai Costituenti nella redazione dell‘articolo in questione.
L‘Autore, anche sostenendo una forte rilevanza sostanziale alla libertà disegnata dall‘art.
21 Cost., ritiene, infatti, che i costituenti abbiano tralasciato diversi aspetti concettuali
legati alla libertà di manifestazione del pensiero, che hanno invece trovato cittadinanza in
altre Carte costituzionali, come quella tedesca, e in Carte internazionali (Dichiarazione
universale dei diritti dell‘uomo e Convenzione Europea dei diritti fondamentali
dell‘uomo). Profili, peraltro, abilmente recuperati e ricostruiti dalla Corte Costituzionale
nel corso degli anni.
Nello stesso senso, A. BARBERA, Art. 2 Cost., in G. BRANCA (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, che, a p. 60, sostiene che i Costituenti si
siano limitati, nel redigere l‘art. 21 Cost., a effettuare un aggiornamento garantistico dello
Statuto albertino.
Va detto che la tesi è stata autorevolmente criticata da quanti hanno sostenuto che
proprio ―le maglie larghe‖ del primo comma dell‘art. 21 Cost. hanno consentito alla Corte
Costituzionale di porre in essere una giurisprudenza ―progressiva‖. In questo senso A.
PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G.
BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 32; P. BARILE,
Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p. 19; M. MANETTI, La libertà
di manifestazione del pensiero, in R. NANIA – P. RIDOLA (a cura di), I diritti
costituzionali, vol. II, cit., p. 560 ss.
438
193
pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della
gioventù)‖439. È evidente la particolare attenzione riservata al tema della
stampa, nonostante sia essa solo uno dei mezzi attraverso i quali la libertà
può esercitarsi.
Fu l‘on. Lombardi, in quella sede, a ritenere ―repugnante al criterio
legislativo‖440 che in uno Statuto si facesse riferimento a tutta la casistica
dei mezzi di espressione del pensiero. A ciò avrebbe dovuto provvedere la
legge a fronte, invece, di una norma costituzionale che avrebbe tutelato e
garantito a tutti la libertà di esprimersi ―con la stampa o qualsiasi altro
mezzo‖.
La formula finale dell‘art. 21 Cost., come detto, va in entrambe le
direzioni: dichiara la libertà fondamentale al primo comma e si concentra,
nei commi successivi, sul regime della stampa e sul limite esplicito del
buon costume.
In verità, il rapido e incessante sviluppo tecnologico441, che ha portato
con sé l‘avvento di nuovi e diversi mezzi di comunicazione di massa, il
439
Il
resoconto
sommario
della
seduta
è
reperibile
al
sito:
http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed014/sed014nc
.pdf.
440
Assemblea Costituente, Prima sottocommissione, Resoconto sommario della seduta
di
giovedì
26
settembre
1946,
p.
131
e
132,
in
http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed014/sed014nc
.pdf.
441
Si pensi, innanzitutto, al tema della convergenza tecnologica, che ha permesso il
dialogo tra le diverse piattaforme trasmissive, la possibilità, cioè, di trasmettere i
medesimi segnali e servizi su piattaforme differenti o, viceversa, l‘inter-scambio di
diversi servizi su medesime piattaforme. Per una disamina delle questioni attinenti alla
convergenza tecnologica e giuridica, si vedano: G. DE MINICO, Decreto di recepimento
del pacchetto Direttive CE in materia di comunicazioni elettroniche: conformità o
difformità dal diritto comunitario?, in Pol. dir., 3, 2003; ID., Le Direttive CE sulle
comunicazioni elettroniche dal 2002 alla revisione del 2006. Un punto fermo?, in P.
COSTANZO – G. DE MINICO – R. ZACCARIA (a cura di), I “tre codici” della società
dell‟informazione, Torino, 2006, p. 170 ss.; ID., From the 2002 EC Directives on
telecommunications to their 2006 revision. Are they at a standstill? in European Business
Law Review, 3, 2008; F. BASSAN, Diritto delle comunicazioni elettroniche.
Telecomunicazioni e televisione dopo la terza riforma comunitaria del 2009, Giuffrè,
2010; M. OROFINO, Profili costituzionali delle comunicazioni elettroniche
nell‟ordinamento multilivello, Giuffrè, 2008; G. MORBIDELLI – F. DONATI, La nuova
disciplina delle comunicazioni elettroniche, Giappichelli, 2009; L. SALTARI, Accesso e
194
riconoscimento
del
pluralismo
dell‘informazione442
come
valore
intimamente legato al principio democratico, l‘intenso dibattito intervenuto
sulla radiotelevisione443 – e più di recente sulla web-tv444 – la visione di
Internet come unico veicolo delle informazioni che creano consapevolezza
politica445 hanno spinto molti a pensare alla necessità di una rivisitazione446
interconnessione. La regolazione delle reti di comunicazione elettronica, in Giornale di
diritto amministrativo, Vol. 18, 2008.
442
Sul tema si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 420 del 1994, n. 826
del 1988, n. 112 del 1993, n. 148 del 1981, nelle quali la Corte con costanza riconosce ―il
vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire
l‘accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse‖ e
ribadisce, come ―ineludibile imperativo costituzionale‖, la necessità di ―garantire il
massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci
concorrenti, il diritto del cittadino all‘informazione‖ e che ―la posizione di preminenza di
un soggetto o gruppo privato non potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione
del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità
economiche e tecniche del primo, finirebbero con il vedere progressivamente ridotto
l‘ambito di esercizio delle loro libertà‖. In dottrina, si vedano P. COSTANZO,
Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto (Disc. Pubbl.),Torino, 1993, VIII, p.
319 ss.; M. MANETTI, La libertà di manifestazione del pensiero, in R. NANIA – P.
RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, cit., p. 580 ss.; O. GRANDINETTI,
Radiotelevisione, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Parte
Speciale, Milano, 2003; A. D‘ALOIA, Libertà di manifestazione del pensiero e mezzi di
comunicazione, in A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G.
SILVESTRI (a cura di), Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza
costituzionale, Milano, 2005, p. 70 ss.; L. PALADIN, Libertà di pensiero e libertà di
informazione: le problematiche attuali, in Quad. cost., 1987, p. 27 ss.
443
Per una disamina dell‘evoluzione del sistema radiotelevisivo, si vedano A. P ACE –
M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero in G. BRANCA (a
cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2006, p. 542 ss.; R. ZACCARIA, Diritto
dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 231 ss.; P. CARETTI, Diritto
dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 105 ss.
444
Sul tema si vedano G.M. ROBERTI – V. ZENO ZENCOVICH, Le linee guida del d.lgs.
15 marzo 2010, n. 44 (Decreto Romani), in Dir. Informatica, 2010; O. POLLICINO,
Qualche riflessione sui nuovi regolamenti AGCom, in http://blog.quintarelli.it/blog/2011/
01; G. SCORZA, AGCom: sia fatta la volontà di Mediaset, 1 gennaio 2011, in
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/01/regolamenti-agcom-sia-fatta-la-volonta-dimediaset/84452/; ID., Decreto Romani: ecco perché i regolamenti attuativi vanno
cambiati, 19 luglio 2010, in http://www.guidoscorza.it/?p=1953; O. GRANDINETTI, Il
Testo Unico dei Servizi media audiovisivi e radiofonici, in Giornale di Diritto
Amministrativo, 2011, 2, 121; C. DI MARTINO, Il d.lgs. Romani e i “media audiovisivi”,
la nuova televisione tra innovazione e dubbi, in http://www.comparazionedirittocivile.it/;
G. FARES, La tutela degli utenti, in Dir. Informatica, 2010, 02, 199; V. ZENO ZENCOVICH
(a cura di), La nuova televisione europea: commento al Decreto Romani, Bologna, 2010.
445
Su questo concetto, P. COSTANZO, Quale partecipazione politica attraverso le
nuove tecnologie comunicative in Italia, in Dir. inf. informatica, 2011; R. DEROSA, Fare
politica in Internet, Milano, 2000; F. PIZZETTI, Partiti politici e nuove tecnologie, in
Partiti politici e società civile a sessant‟anni dall‟entrata in vigore della Costituzione.
195
dell‘art. 21 Cost., affinché fosse più in linea con la realtà tecnologica che ci
circonda.
La prima seria proposta di modifica dell‘art. 21 Cost. fu presentata
nella relazione finale della Commissione parlamentare per le riforme
istituzionali, istituita il 14 aprile 1983 e presieduta dall‘on. Aldo Bozzi.
Si svolse un ampio dibattito in Commissione sulla possibile modifica
dell‘art. 21 Cost., ―in generale sull‘opportunità di un più vasto e incisivo
riconoscimento del diritto all‘informazione, sia inteso in senso attivo, cioè
come diritto a diffondere informazioni con tutti i mezzi consentiti dalla
tecnica, sia inteso in senso passivo, cioè come diritto a ricevere
informazioni complete e obiettive, anche ai fini della formazione della
volontà dei cittadini per l‘esercizio dei diritti politici ed elettorali‖447.
Inoltre, la Commissione si orientò ―verso un sistema informativo aperto,
pluralistico, trasparente per quanto riguarda il regime proprietario e
finanziario, con la previsione di norme anti-trust e con il riconoscimento
del carattere di preminente interesse generale al servizio pubblico
radiotelevisivo, cui si accompagna la ‗costituzionalizzazione‘ del diritto dei
privati a istituire e gestire emittenti radiotelevisive secondo modalità
predeterminate dalla legge‖448.
La Commissione Bozzi si spinse anche oltre, estendendo il divieto di
censura a tutte le manifestazioni del pensiero e integrando il limite del buon
costume con una rigorosa prevenzione e repressione delle manifestazioni
che offendono la personalità dei minori e, infine, preservando una
Atti del XXII Convegno annuale dell‟Associazione italiana dei Costituzionalisti. Annuario
2008, Napoli, 2009.
446
Per la ricostruzione delle ipotesi di modifica dell‘art. 21 Cost. o della scrittura di un
articolo 21 bis in Costituzione, si veda G. AZZARITI, Internet e Costituzione, in
www.costituzionalismo.it, n. 2 del 2011. Per una critica alle ipotesi di modifica, si veda G.
DE MINICO, Internet. Regola o anarchia, Jovene, 2012. Si rimanda, comunque, alle
considerazioni svolte nel secondo capitolo di questo lavoro, spec. par. 1.2.
447
Atti Senato e Camera, doc. XVI, n. 3, IX legislatura, p. 42 ss.
448
Ivi.
196
particolare disciplina delle manifestazioni lesive attraverso il mezzo
telematico449.
La proposta della Commissione si articolava nella totale modifica
dell‘art. 21 Cost. e nell‘introduzione degli art. 21 bis e ter che, con le
specificazioni accennate, riuscivano a disegnare una dettagliata disciplina
delle modalità di esercizio della libertà, quasi che il grado di specificità
della norma costituzionale potesse corrispondere inequivocabilmente al
grado di effettività della garanzia.
In verità, com‘è stato notato450, la Commissione redasse per iscritto
nella norma costituzionale quanto dottrina e giurisprudenza sono state,
comunque, in grado di trarre dal significato ampio del diritto di libertà in
questione.
Dunque, pur se meritevole di apprezzamento, la proposta si traduce, in
linea di massima, nell‘enucleazione di tutto ciò cui si era approdato,
attraverso un processo d‘interpretazione letterale e teleologica, nonché di
sistema, che, infatti, aveva da un lato permesso di giungere alla definizione
dei concetti di pluralismo e diritto di accesso al mezzo, e dall‘altro di
escludere, pur col dissenso di parte della dottrina, la presenza di limiti logici
alla libertà di manifestazione del pensiero.
Infatti, aldilà della copertura costituzionale che l‘art. 21 Cost. riserva
alla diffusione delle informazioni di ogni genere, si è da principio affermato
che nel concetto di ―manifestazione del proprio o altrui pensiero‖ non
potessero rientrare ―azioni o comportamenti‖451. Questa visione, però, così
netta, è stata foriera di un equivoco che ha condotto ad approdi di non poco
momento. Già le prime decisioni della Corte Costituzionale452, seguite poi
449
Ivi.
A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero
in G. BRANCA (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., p. 35.
451
R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7.
452
Si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 120 del 1957 e n. 100 del 1966,
in cui il Giudice delle leggi utilizzò i limiti logici come ―fondamento giuridico‖ per
sostenere la legittimità costituzionale di molte ipotesi di reato presenti nella disciplina
450
197
da autorevole dottrina453, si mossero nell‘ottica della possibilità di
individuare dei ―limiti logici‖ alla libertà di manifestazione del pensiero,
escludendo dalla portata della norma costituzionale tutte le manifestazioni
che, valicando i limiti del puro pensiero, si concretizzassero in un‘azione.
In realtà, appare ―molto difficile operare una distinzione tra pensiero
‗puro‘ e pensiero che si trasforma in azione‖454. Ogni manifestazione del
pensiero può essere diretta non solo all‘intelletto dei destinatari ma anche
allo stato emotivo degli stessi, che può, a sua volta, spingere nel senso di
adottare un determinato comportamento.
Si pensi alla propaganda e alla pubblicità455. Nel primo caso, si spinge
il destinatario non solo all‘adesione a certe idee quanto alla realizzazione
delle stesse, anche attraverso l‘esercizio del diritto di voto o l‘attivismo
partitico e, nel secondo caso, all‘acquisto dei diversi prodotti pubblicizzati.
Sotto questo punto di vista, dunque, anche la propaganda e, per certi
versi, l‘apologia è, dal punto di vista ontologico, manifestazione del
pensiero, per cui, una loro limitazione, non potrà trarsi solo ed
penalistica, tralasciando ―la ricerca della legittimità costituzionale di tali reati in valori,
interessi costituzionalmente tutelati e, dunque, idonei a prevalere sulla libertà di
manifestazione del pensiero‖. Si veda, per le parole riportate, R. ZACCARIA, Diritto
dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7, nota 13.
453
Concorde sull‘esistenza di tali limiti è, infatti, S. FOIS, Principi costituzionali e
libera manifestazione del pensiero, Milano, 1957, p. 100 ss.
454
Così R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 7.
455
Va detto che nel caso della pubblicità, la dottrina non è unanime sull‘inclusione
della stessa nella garanzia disegnata dall‘art. 21 Cost. A fronte di chi sostiene che la
pubblicità sia del tutto configurabile come libera manifestazione del pensiero (P. B ARILE
– P. CARETTI, La pubblicità e il sistema dell‟informazione, Torino, 1984; R. ZACCARIA,
Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 8), c‘è, infatti, chi, facendo leva
sulla strumentalità della stessa rispetto alla libertà di iniziativa economica, ritiene che la
pubblicità non possa che rientrare nell‘esercizio della libertà di cui all‘art. 41 Cost. e,
dunque, sia soggetta ai limiti da questo previsti (Per tutti si vedano, G. G HIDINI,
Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano, 1968 e G. De MINICO,
Relazione alla Sesta giornata seminariale sul disagio minorile a Napoli, sul tema ―Il
minore e le nuove forme di comunicazione. Il minore e le regole comportamentali‖,
tenutasi giovedì 26 aprile 2012, Aula Coviello, Facoltà di Giurisprudenza, Università
degli studi di Napoli Federico II, Napoli – il file audio-video della Relazione è disponibile
su
http://dl.dropbox.com/u/49776784/Convegno%20minori%2026%20aprile%202012/Conv
egno%20minori%2026%20apr%20Relazione%20De%20Minico%202012%2000_08_3000_40_58.mp3).
198
esclusivamente da presunti limiti logici alla libertà, ma da valori
costituzionali che con essa stridono e che ne possono determinare una
compressione, finalizzata alla tutela di un valore ritenuto prevalente456.
Dunque, la libertà di manifestazione del pensiero, dal punto di vista
contenutistico, deve significare la libertà di esprimersi con la parola o
qualsiasi altro mezzo. Solo in tal modo si potrà effettivamente riconoscere a
tale libertà la veste che la Corte Costituzionale ha disegnato su di essa,
definendola ―pietra angolare dell‘ordinamento democratico‖457, ―perché ben
può dirsi che un ordinamento non può funzionare democraticamente, in
mancanza di una libera circolazione delle idee – politiche, sociali, religiose,
sulla morale e sul costume. Il diritto fondamentale s‘incentra sulla libertà di
tentare di persuadere gli altri‖458.
D‘altro canto, al fianco della libertà negativa, che presenta il profilo
individualistico del diritto inviolabile della persona, necessario per il pieno
sviluppo della personalità, la dottrina459 riconosce una libertà positiva460,
finalizzata a garantire lo sviluppo sociale: una garanzia, dunque, ―di
partecipazione‖. In tal modo la libertà è destinata ad arricchire la comunità
R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 9 ss.
Così si esprime la Corte nella storica sentenza n. 84 del 1969, ma si vedano anche
le sentenze n.i 9 e 25 del 1965, n.i 11 e 98 del 1968, n. 168 del 1971, n. 105 del 1972, n.
94 del 1977, n. 1 del 1981 e n. 126 del 1985.
458
P. BARILE, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, cit., p. 227. Ma sul tema già L.
PALADIN, Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, cit., p.
6; M. LUCIANI, La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in
Politica del diritto, 1989, n. 4, p. 606 ss. e, più recentemente, P. COSTANZO, Internet
(voce), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, 2000, p. 347-371, nonché ID.,
Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto (Disc. Pubbl.), cit.; Si veda anche A.
PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, Padova, 1992, p. 390, in
questi termini: ―Sotto un profilo ontologico, costituisce manifestazione del pensiero tanto
la semplice affermazione dell‘esistenza di un fatto, quanto la diffusione di una notizia‖,
tanto – come sostiene C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, Milano,
1958, p. 49 – ―l‘astratta e fredda trasposizione razionale di un pensiero teorico, quanto
l‘espressione vivificata dall‘interiore adesione al pensiero esposto, cioè la propaganda,
l‘apologia, la pubblica esaltazione e persino la manifestazione istigante alla realizzazione
del pensiero espresso‖.
459
Ibidem, p. 229.
460
Quest‘aspetto non va confuso con il diritto sociale a essere informati che lo stesso
Barile propone nella medesima sede.
456
457
199
del libero e cosciente apporto del singolo, definita anche461 libertà
funzionale, in quanto tendente al buon funzionamento del regime
democratico, che sulla partecipazione appunto si fonda‖462.
Il concetto di libertà funzionale, però, va sottolineato, non va letto nel
senso di intrinseco limite alla libertà. ―Il legislatore ordinario non ha‖, in
altre parole, ―l‘autonomo potere di restringere il diritto di libera
manifestazione adducendo l‘esistenza di limiti ‗immanenti‘ ad esso,
ancorché finalizzati alla tutela del regime democratico‖463.
Autorevole dottrina464 ha, infatti, sostenuto: ―Non si nega che, sotto il
profilo ideale, un regime nel quale si riconosce al cittadino la capacità di
creare diritto e nel quale si vuole che chi governa consideri il suddito come
potenziale governante e che non vi siano duci e seguaci, e che sia
riconosciuta ad ogni cittadino capace di curare il proprio interesse la potestà
461
Corsivo nel testo.
Ivi. Su questa premessa, Barile sostiene con forza l‘assenza di limiti logici alla
libertà di manifestazione del pensiero. Si esprime, con estrema chiarezza, in questi
termini: ―Questa impostazione – pur nella sua inevitabile debolezza verso i ‗persuasori
occulti‘ – respinge coerentemente i cosiddetti ‗limiti logici‘ del concetto; si ha
manifestazione del pensiero garantita dall‘art. 21 non solo quando l‘attività è di ‗mero
pensiero‘, ma anche quando essa intenda tradursi in ‗incitamento all‘azione‘, ad uno stato
o in ‗eccitamento ad uno stato emozionale‘, salvo (…) che l‘azione tenda a spingere
fattivamente a commettere reati, la cui ratio sia basata su un principio costituzionale che
costituisce limite a questa libertà. Tutte le idee hanno, infatti, più o meno in potenza, ‗una
matrice emotiva‘, e quando vengono diffuse tendono a convincere i destinatari non solo a
pensarla in un modo, ma anche a comportarsi coerentemente‖.
463
A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, cit, p. 388.
464
C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano,
cit., p. 11-12. Nel medesimo senso, V. CRISAFULLI, Problematica della libertà
dell‟informazione, cit., p. 295, il quale sostiene che: ―l‘interesse pubblico a che vi sia
diffusione del pensiero e delle notizie, delle opere dell‘impegno artistico e scientifico, e
perciò anche a che vi siano giornali e libri, pellicole cinematografiche e radioaudizioni
circolari, e via dicendo, non è maggiore dell‘interesse, costituzionalmente garantito negli
ordinamenti a componente liberale, alla libertà intrinseca del contenuto di tali
manifestazioni, con i soli limiti (e con il minor possibile di limiti) eccezionalmente
stabiliti dalle leggi, in generale ed a tutela degli interessi indefettibili della convivenza
sociale‖. Concordi nel ritenere la libertà di manifestazione del pensiero una libertà non
funzionalizzata, C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., p. 63 ss. e P.
PERLINGIERI – R. DI RAIMO, Art. 21, in P. PERLINGIERI, Commentario alla Costituzione
italiana, Napoli, 1997, p. 118.
In senso contrario, si veda per tutti G. CUOMO, Libertà di stampa ed impresa
giornalistica nell‟ordinamento costituzionale italiano, Napoli, 1956, p. 162 ss.
462
200
di collaborare alla determinazione del comune destino, e che afferma la
sovrana dignità di ogni cittadino…non si nega che tale ordinamento
pretenda che in via di principio sia riconosciuta innanzitutto la possibilità di
manifestare il proprio pensiero. Si vuole solo affermare che non la
democraticità dello Stato ha per conseguenza il riconoscimento di quella
libertà, sicché possa determinarne la funzione ed i limiti, ma che le ragioni
ideali del riconoscimento di quella libertà (e cioè del valore della persona
umana) porta tra le tante conseguenze anche l‘affermazione dello Stato
democratico‖.
―Una
diversa
interpretazione‖,
continua
Esposito,
―sminuirebbe il significato della proclamazione dell‘art. 21, si porrebbe in
contrasto con le ragioni storiche della rivendicazione del diritto individuale
di manifestazione del pensiero, immiserirebbe il senso della dichiarazione
costituzionale (come che essa garantisca la sola manifestazione del pensiero
politico o politicamente rilevante), senza alcun risultato pratico. Perché, in
sostanza, sotto il profilo pratico, anche ammesso che nella nostra
Costituzione esista un nesso inscindibile tra la proclamazione della
democraticità dello Stato e quella della libertà di manifestazione del
pensiero, il nesso non può essere che questo: che quella libertà nella sua
pienezza, come specificamente proclamata e riconosciuta, e con i soli limiti
che ad essa siano specificamente imposti da particolari disposizioni
costituzionali, è ritenuta incontrovertibilmente utile allo svolgimento di una
vita democratica, e che perciò la generica dichiarazione che lo Stato è
democratico, niente aggiunge e niente toglie alla solenne e specifica
proclamazione di libertà‖.
Suggestiva anche la posizione intermedia adottata da chi465 non ha
rinunciato a definire la libertà di manifestazione del pensiero ―funzionale‖,
465
P. BARILE, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 12 ss. Nel senso della
non necessaria alternatività tra le due tesi (individuale e funzionale) della libertà di
manifestazione del pensiero, si veda C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit.,
p. 3.
201
attribuendo, però, al termine un significato decisamente diverso da quello
prospettato in precedenza.
L‘Autore in questione, infatti, sostiene che chi dall‘indole funzionale
voglia far derivare una delimitazione sostanziale dell‘espressione del
pensiero a tutela delle ideologie dominanti, non potrebbe che scivolare nel
torto. L‘aggettivo funzionale andrebbe, invece, inteso in termini
metodologici, che ―prescindono da ogni preclusione di contenuti‖ e che
guardano alla diffusione di ogni ideologia come ―momento irrinunciabile
del metodo democratico‖. La libertà di manifestazione del pensiero
risulterebbe, cioè, una libertà privilegiata rispetto alle altre, a prescindere
dal contenuto che si esprime, in quanto è di per sé essenziale per la
definizione e l‘attuazione della forma democratica di governo.
Da queste impostazioni, però, ne deriva una sostanziale equiparazione
in termini di tutela tra la libertà di manifestare il proprio pensiero e quella di
manifestare la notizia. La libertà di informazione sarebbe, cioè,
immediatamente riconducibile sotto il manto del primo comma dell‘art. 21
Cost.
Quest‘interpretazione, che sarà poi accolta dalla giurisprudenza
costituzionale, non è stata sempre da tutti condivisa in dottrina.
È stato ritenuto466, infatti, che ―non si può negare che la libertà di
informazione non si traduca solo ed esclusivamente nella libertà di
comunicare ‗notizie‘, senza, con ciò, privare il fenomeno della sua
caratteristica sociale‖.
Secondo questa tesi, la mancata distinzione tra ―opinioni‖ e ―notizie‖
finirebbe per far ignorare l‘esistenza della peculiare problematica
dell‘informazione, specie in relazione ai limiti che essa deve subire467.
L‘Autore in questione sostiene che la ―cronaca‖ vada distinta dal
―pensiero‖, infatti, ―la pretesa a narrare può essere ugualmente garantita
466
467
C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione, cit., p. 8.
Ibidem, p. 9.
202
invocando l‘art. 2 Cost., qualora si sostenga che, dall‘intangibilità del
‗principio‘ di libertà che ne deriva, ogni limite che a questa si volesse
imporre deve pur sempre corrispondere a un interesse costituzionale‖468.
In sostanza, il tema sul quale la più risalente dottrina si è soffermata è
la vexata quaestio dell‘esistenza o meno di una libertà di informazione, pur
non essendo essa esplicitamente richiamata in Costituzione, dell‘eventuale
copertura della stessa ex art. 21 Cost. e, ancora, del suo contenuto,
eventualmente diverso da quello della libertà di manifestazione del
pensiero.
Lo stesso Crisafulli469 pose l‘analogo problema al centro di un intenso
dibattito dottrinario: il passaggio dalla vecchia formulazione alla nuova era
solo una questione di parole o aveva implicazioni sostanziali? Volendo
considerare, come prima esposto, che la Costituzione presentò un enorme
passo in avanti in termini qualitativi e quantitativi di garanzia del diritto in
questione,
si
deve,
conseguentemente,
affermare
che
la
libertà
d‘informazione sia cosa diversa e aggiuntiva rispetto a quella di
manifestazione del pensiero?
Indubbiamente, ―l‘arretratezza‖ della Carta Costituzionale, anche
rispetto alla quasi contemporanea Dichiarazione universale dei diritti
dell‘uomo470, in cui il diritto all‘informazione veniva già annoverato nel
catalogo dei diritti fondamentali, era particolarmente evidente. L‘art. 19471
della suddetta Dichiarazione dimostrava, infatti, ―la possibilità logicogiuridica di concepire la libertà d‘informazione in via autonoma rispetto
alla più classica libertà di pensiero, pur nella consapevolezza dell‘estrema
468
Ibidem, p. 23.
V. CRISAFULLI, Problematica della libertà d‟informazione, cit., p. 285-286.
470
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite il 10 Dicembre del 1948.
471
L‘art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo così recita: ―Ogni
individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione: ciò che implica il diritto di
non essere molestato per le proprie opinioni, nonché il diritto di ricercare, di ricevere e di
diffondere, senza riguardi di frontiera, le informazioni e le idee attraverso qualsiasi mezzo
espressivo‖.
469
203
mobilità del confine tra le due libertà e, anzi, con l‘evidente intenzione di
offrire in dote alla prima il prezioso patrimonio delle tradizionali garanzie
della seconda‖472.
In effetti, l‘assenza di ogni esplicito riferimento nel dettato
costituzionale alla materia dell‘informazione e alle situazioni soggettive che
a essa fanno capo, ha costretto la dottrina costituzionalistica italiana a
creare ipotesi ricostruttive del profilo attivo della libertà d'informazione,
―tutte giocate all‘interno dei medesimi limiti e delle medesime garanzie
previste dalla Costituzione per la libertà di manifestazione del pensiero‖473.
In verità, se originariamente474 la tematica della libertà di
informazione è stata fatta coincidere con quella della cronaca, la questione
ha poi assunto una sua totale autonomia, data la rilevanza che
l‘informazione assume per la stessa esistenza di uno Stato democratico475.
Il precipitato logico del dibattito dottrinale, che ha avuto a oggetto tale
questione, è stato la reductio ad unum476 della libertà di informazione e di
manifestazione del pensiero. È attraverso la concezione individualista,
divenuta prevalente, che si giunge alla generale riconduzione delle ―notizie‖
alle ―opinioni‖477, entrambe espressione del medesimo valore della libera
manifestazione del pensiero, che di per sé prescinde dal contenuto. Dal
punto di vista logico-giuridico, si afferma, infatti, l‘impossibilità di
distinguere la libertà di informazione dalla libera espressione del proprio
pensiero, se non nel fatto che la prima si esercita attraverso i c.d. mass
media478.
472
P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit.
Ivi.
474
Si veda il riferimento alle parole di C. CHIOLA, sopra riportate.
475
Sul tema, tra gli altri, si veda P. TESAURO, Democrazia e Informazione, in
Rassegna di diritto pubblico, 1968, volume III, p. 230 ss.
476
In questi termini, P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit.
477
Si vedano S. FOIS, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, cit.;
P. BARILE – S. GRASSI, Informazione (libertà di), in NNDI, App. vol. IV, 1983, ma anche
A.M. SANDULLI, La libertà d'informazione, in Problemi giuridici dell'informazione, Atti
del XXVIII Convegno nazionale, in Quad. I, n. 28, Milano, 1979.
478
P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, cit.
473
204
Ciò vale, però, per quanto attiene il profilo attivo della libertà di
informare.
Per quello passivo, invece, che si traduce nella libertà di informarsi,
rectius nel diritto a essere informati, la questione è stata prospettata da
taluni in modo diverso. A fronte, infatti, di chi 479 ritiene che non vi sia
un‘autonoma
situazione
soggettiva
qualificabile
come
diritto
all‘informazione, ma che essa piuttosto rappresenti la conseguenza del
presupposto ineliminabile dell‘esercizio della libertà di informare, parte
della dottrina480, invece, ha qualificato il risvolto passivo dell‘art. 21 Cost.,
non solo come autonoma situazione giuridica, ma anche come diritto il cui
contenuto non risulta ricavabile dalla sola interpretazione letterale e
sistematica dell‘art. in questione.
Infatti, la democraticità di un Paese non può prescindere dalla libera
circolazione delle idee e, soprattutto, dalla possibilità per ciascun cittadino
di partecipare in modo pieno e consapevole alla società e alle politiche che
ne sono espressione. Dunque, diventa fondamentale – per sostenere che ci si
trova in uno Stato democratico – non solo la libertà di ciascuno di
manifestare il proprio pensiero, o di diffondere notizie ―rilevanti e non‖ per
la collettività (diritto di cronaca), quanto la tutela dell‘interesse generale
all‘informazione, che si sostanzia nel diritto di ciascun soggetto a ricevere
le informazioni, a prescindere dalla volontà o dal comportamento del
soggetto manifestante (che sia questo, dunque, disposto a manifestare per
far conoscere o a tacere).
―Le fonti di informazione, nello stadio economicamente evoluto e
tecnologicamente avanzato delle società contemporanee, sono ben lungi
Così, A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio
pensiero, cit., p. 16-17, in questi termini: ―La libertà di ricevere informazioni non
individua, né può individuare, un‘autonoma situazione giuridica. Essa piuttosto configura
una libertà il presupposto, perché possa essere attivata, è dato dall‘esistenza di ‗fonti
generalmente accessibili‘, tra le quali c‘è il concreto ed effettivo esercizio della libertà di
manifestare e di informare da parte di altri soggetti‖.
480
A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed evoluzione, in M. AINIS (a cura
di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 32 ss.
479
205
dall‘essere limitate alla personale manifestazione, ma coinvolgono più
spesso, e nei casi più significativi, una serie di attrezzature e mezzi tecnici,
per mezzo dei quali la discriminazione si fa massiva, al fine di sorreggere
centri di potere economico o politico che si risolvono in veri e propri
ostacoli di fatto che limitano la libertà e l‘uguaglianza dei cittadini, e la cui
eliminazione costituisce una prefissata direttiva di impegno per la
Repubblica (art. 3, II comma, della Costituzione)‖.
Le parole dell‘Autore risultano particolarmente attuali, specie
nell‘ottica di una libertà, in senso attivo e passivo, che oggi si esercita
soprattutto attraverso la Rete, che diventa il nuovo strumento, il nuovo
veicolo delle informazioni che permettono al cittadino di informarsi e di
informare, di manifestare e di rendersi partecipe in prima persona delle
vicende della società odierna, che, per di più, vive on line.
Con ciò, dunque, si vuole sostenere, non solo che esiste un diritto
all‘informazione autonomo e indipendente dalla libertà di informare, e che,
come dimostrato, esiste un diritto sociale all‘informazione481 – qualificabile
anche come diritto sociale di accesso a Internet, unico strumento di dialogo
tra privati e tra privati e pubblici poteri – ma anche che quell‘interesse
all‘informazione, che la Corte Costituzionale ha tratto dall‘interpretazione
dell‘art. 21 Cost. e che la dottrina ha abilmente riconosciuto nel combinato
disposto degli artt. 21, 2 e 3 Cost.482, è il medesimo valore che i Costituenti
vollero garantire nella Carta Costituzionale e che, oggi, trova la sua più
481
Si veda il capitolo secondo di questo lavoro sul tema.
Si veda, in particolare, A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed
evoluzione, cit., p. 36, in questi termini: ―Il fondamento costituzionale del diritto
all‘informazione non si rintraccia solo nell‘art. 21 Cost., che tutela il diritto di espressione
(e quindi solo parzialmente soddisfa l‘esigenza di conoscere), ma si desume dall‘intero
sistema costituzionale. Si desume non solo da tutte quelle libertà che garantiscono una
scelta (e per scegliere occorre prima conoscere), ma anche delle disposizioni che
garantiscono il pieno sviluppo della persona umana (artt. 2 e 3, II comma, Cost.),
l‘eguaglianza (art. 3 Cost.), la sovranità popolare (art. 1 Cost.) e la partecipazione
all‘organizzazione del Paese (art. 3, II comma, Cost.). Questi principi presuppongono che
le scelte operate dai governanti debbano essere conosciute dai governati ‗onde consentire
il massimo controllo del potere da parte dei cittadini (…) e realizzare l‘ideale della
democrazia come potere visibile‘‖.
482
206
ampia e compiuta realizzazione nella disponibilità e nell‘uso sapiente della
Rete.
D‘altra parte, com‘è stato acutamente evidenziato483, se è vero che il
tasso di democraticità di un Paese deve essere misurato tenendo conto della
numerosità delle informazioni rilevanti che al suo interno circolano, non
può dubitarsi ―della correlazione tra condizioni della democrazia e
tecnologie che, appunto, rendono possibile una circolazione più elevata di
informazioni, insieme a modalità del tutto nuove del loro trattamento‖.
Internet, del resto, si è certamente rivelato uno strumento straordinario
per la diffusione dei servizi dell‘informazione, del dibattito sociale,
dell‘iniziativa politica e per la crescita dell‘opinione pubblica484. La Rete ha
mostrato tutte le sue enormi potenzialità come veicolo delle informazioni e
come strumento dalle inedite capacità di creare nuove forme di
comunicazione interpersonali485.
Data la generalizzata possibilità di utilizzare Internet, ormai mezzo
potenzialmente accessibile a tutti486, esso ha rappresentato, dal momento
della sua diffusione, la possibilità di implementare l‘effettivo esercizio della
libertà di manifestazione del pensiero e la partecipazione sociale.
Il problema di fondo, però, che attraversa l‘annosa questione
―Internet‖ è – come visto in principio di trattazione – la volontà governativa
di regolare le diverse manifestazioni del pensiero che trovano cittadinanza
nel mondo virtuale, non sorretta da una reale capacità del legislatore nel
porre la dovuta attenzione sulla caratteristica della globalità del fenomeno.
483
S. RODOTÀ, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della
comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 9 ss.
484
Sul tema, ampiamente, M.F. MORELL, La partecipazione nelle comunità di
creazione online. La partecipazione come eco-sistema? I casi di openest.net e wikipedia,
in Pol. dir., XLI, n. 3, 2010.
485
P. COSTANZO, Quale partecipazione politica attraverso le nuove tecnologie
comunicative in Italia, in Dir. inf. informatica, 2011, p. 20.
486
Sullo specifico tema del diritto di accesso, in termini di natura giuridica e di
effettività della banda larga, si veda il secondo capitolo di questo lavoro.
207
In sostanza, dunque, si può concludere che il difficile percorso
affrontato dalla libertà in questione dal passaggio dallo Statuto Albertino ad
oggi trova il suo normale sbocco nell‘implementata libertà di espressione,
che solo lo strumento della Rete può potenzialmente garantire. L‘avverbio
è, in questo caso, d‘obbligo. Infatti, aldilà dei problemi – già trattati in
precedenza – attinenti alle politiche regolatorie della Rete e alle politiche
economiche rispetto alla banda larga, la questione della regolazione della
Rete cade inevitabilmente sul problema del contenuto. Se a quest‘ultimo il
legislatore non deve e non può metter mano, se non con politiche
particolarmente attente, ciò vale, ancor di più per Internet che, data la sua
struttura e le sue modalità di trasmissione dei dati di comunicazione e
informazione, è più esposto alla possibile censura.
Infatti, la possibilità di confondere pensiero e notizie o informazione
professionale e libera circolazione delle idee è particolarmente facile on
line. Ciò può, con estrema facilità, portare alla costruzione di norme
inidonee alla regolazione e censorie, con deleteri effetti sul singolo
cittadino, sulla società dell‘informazione – che della circolazione delle idee
si nutre – e, infine, sulla democraticità dello Stato487.
Sul concetto dell‘e-democracy, A. MAGGIPINTO, Internet e Pubbliche
Amministrazioni: quale democrazia elettronica?, in Dir. inf. informatica, 2008, 01, p. 45
ss. L‘Autore sostiene: ―Con l‘espressione ‗democrazia elettronica‘ si individuano nuove
forme e modalità di partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica (…) Internet
rappresenta un grande mezzo di condivisione e di incontro di idee; la funzione sociale
della Rete delle reti è innegabile. La partecipazione dei cittadini alla vita politica potrà
dunque essere veicolata in primo luogo attraverso meccanismi basati sui principi di
libertà ed uguaglianza, che coinvolgano le comunità e i gruppi di azione (…) Internet
rappresenta una grande risorsa per l‘accesso alla conoscenza. La possibilità e il diritto di
accedere agli atti istituzionali, alle informazioni sulle attività di governo, e anche al
patrimonio normativo e giuridico sui poteri e i compiti delle Istituzioni, sono i
presupposti fondanti del meccanismo di controllo dei cittadini e la responsabilità dei
governanti‖.
Sul tema, anche P. COSTANZO, La democrazia elettronica (note minime sulla edemocracy), in Dir. inf. informatica, 2003, 03, p. 465 ss., nonché sul concetto di libertà
informatica, T.E. FROSINI, L‟orizzonte giuridico dell‟Internet, in Dir. inf. informatica,
2002, n. 2, p. 275, in questi termini: ―Con l‘Internet, il diritto di libertà in senso attivo,
non libertà da ma libertà di, che è quella di valersi degli strumenti informatici per fornire
e ottenere informazioni di ogni genere. È il diritto di partecipazione alla società
tecnologica: è una società dai componenti mobili e dalle relazioni dinamiche, in cui ogni
487
208
Pertanto, se è vero che il contenuto della libertà di cui all‘art. 21 Cost.
non risulta diverso in ragione del mezzo di diffusione, d‘altra parte non può
non tenersi conto delle specifiche peculiarità del mezzo.
Internet, infatti, è, da un lato lo strumento più idoneo a garantire il più
ampio esercizio della libertà, dall‘altro l‘espressione del pericolo che essa
subisca inedite limitazioni.
Il problema del contenuto, dunque, diventa anch‘esso questione di
regolazione, che, per ciascuna delle tematiche di seguito trattate, troverà
una diversa e ragionevole soluzione.
individuo partecipante è sovrano nelle sue decisioni‖. Più recentemente, ID., Tecnologie e
libertà costituzionali, in Dir. inf. informatica, 2003, 03, p. 487 ss., così di esprime con
riferimento alle libertà esercitabili in Rete: ―Non è più soltanto l‘esercizio della libera
manifestazione del pensiero dell‘individuo, ma piuttosto la facoltà di questi di costituire
un rapporto, di trasmettere e richiedere informazioni, di poter disporre senza limitazioni
del nuovo potere di conoscenza conferito dalla telematica: di poter esercitare, insomma, il
proprio diritto di libertà informatica. Appare chiaro, allora, come in questa nuova
concezione ‗tecnologizzata‘ della libertà di comunicazione, fanno fatica ad affermarsi i
contenuti delle tradizionali libertà costituzionali, in particolare quella di comunicare e
quella manifestazione del pensiero. Pertanto, è la libertà informatica a rappresentare la
nuova libertà costituzionale della società tecnologica, come dimostrano alcune esperienze
di Costituzioni recenti e come lo si può senz‘altro ricavare attraverso un‘interpretazione
evolutiva delle Costituzioni meno recenti‖. D‘altra parte, l‘Autore, oltre a riconoscere
l‘implementata libertà di manifestazione del pensiero in Rete, sostiene l‘esistenza di
un‘autonoma libertà costituzionale. Continua, infatti, ―L‘unione fra le tecnologie
informatiche e le libertà costituzionali ha generato il nuovo diritto di libertà informatica.
La libertà informatica è da ritenersi, pertanto, una libertà costituzionale, che può essere
dedotta costituzionalmente, ovvero ricavata e fatta così emergere nel tessuto dei principi
costituzionali per il tramite dell‘operato delle Corti costituzionali, oppure può essere
costituzionalizzata, e quindi fissata e determinata dagli articoli della Costituzione, così
come è avvenuto in numerose Carte costituzionali di recente emanazione, in Europa e nel
continente latinoamericano‖. Si vedano, ad adiuvandum, A. VALASTRO, Libertà di
comunicazione e nuove tecnologiche. Inquadramento costituzionale e prospettive di
tutela delle nuove forme di comunicazione interpersonale, Milano, 2001 e A. DEPRETIS,
Internet e la libertà di espressione – una relazione pericolosa?, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti; ID., La rappresentanza nell‟era della
tecnopolitica, in N. ZANON – F. BIONDI (a cura di), Percorsi e vicende attuali della
rappresentanza e della responsabilità politica, Atti del Convegno, Milano, 16-17 marzo
2000, 2001, p. 217; L. CUOCOLO, Democrazia rappresentativa e sviluppo tecnologico, in
Rassegna parlamentare, 2001, p. 979 ss.; F. AMORETTI – E. GARGIULO,
Dall‟appartenenza materiale all‟appartenenza virtuale? La cittadinanza elettronica fra
processi di costituzionalizzazione della rete e dinamiche di esclusione, in Pol. dir., XLI,
n. 3, 2010, p. 353-389.
209
1.1. Free speech, controllo e censura: la lettura americana
La possibilità di intervenire, con norme di legge, sulla limitazione del
contenuto veicolato on line non dipende solo ed esclusivamente dalla
copertura, ormai pacifica, della comunicazione in Rete sotto l‘ambito della
libertà di manifestazione del pensiero488, quanto piuttosto dall‘estensione e
dai limiti che un ordinamento appresta a tale libertà.
È in quest‘ottica che interessante appare una comparazione tra
l‘italiana libertà di manifestare il proprio pensiero e l‘americano free
speech, al fine di comprenderne le più radicali – se sussistono – differenze e
gli eventuali risvolti sulla disciplina della stessa libertà esercitata in
Internet.
È stato affermato in dottrina489 che il primo emendamento della
Costituzione americana ―è ispirato a una concezione che vede la libertà di
manifestazione del pensiero come elemento che preesiste alla sua
costituzionalizzazione e che, pertanto, non è suscettibile di subire alcuna
forma di limitazione a priori (nemmeno ad opera del legislatore), ma solo
quelle limitazioni che il giudice vorrà determinare, nell‘ambito di una
valutazione bilanciata di interessi con cui l‘esercizio concreto della libertà
può entrare in conflitto‖.
La dottrina490 ha, infatti, sostenuto che ―la Costituzione degli Stati
Uniti, al primo emendamento, proclama, apparentemente senza limiti, la
libertà di parola, imponendo quindi agli interpreti – almeno a quelli di
488
Si tenga presente che sono disparati i casi in cui la comunicazione in Rete è invece
riferibile all‘ambito di applicazione dell‘art. 15 Cost. Si pensi, ad esempio, ai casi di
corrispondenza via mail o di chat non aperte al pubblico. In entrambi i casi, l‘utente del
servizio sa che la comunicazione è di carattere riservato, poiché conosce l‘identità del
destinatario o, quanto meno, la sua identità digitale.
489
P. CARETTI, Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, cit., 32.
490
A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero,
cit., p. 47.
210
loro491 che non identificano nella libertà di parola un valore ‗assoluto‘ – di
ricercare limiti a una altrimenti illimitata libertà‖.
La lettera del Primo Emendamento così recita: ―Congress shall make
no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free
exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the
right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government
for a redress of grievances‖.
È evidente la generalità della previsione costituzionale, che si traduce
nell‘amplissimo spazio di applicazione che dottrina e giurisprudenza
americana492 riconoscono al free speech.
Il libero discorso, a volerlo tradurre letteralmente, è l‘oggetto della
libertà negativa per eccellenza, quella che, cioè, implica l‘assenza, l‘arresto
dell‘intervento legislativo e di qualunque politica regolatoria, salvo che non
sia, in via eccezionale, giustificata dalla necessità di salvaguardare un
valore costituzionale fondamentale.
Nonostante ciò, però, la dottrina americana non è tutta orientata a
riconoscere al free speech il tenore di libertà negativa in senso stretto. Anzi,
taluni493 hanno riconosciuto la possibilità di rinvenire schemi e moduli
diversi di inquadramento della libertà di manifestazione del pensiero,
valutando, in taluni casi, necessario l‘intervento del legislatore, al fine di
una effettiva possibilità, eguale, di esercizio del medesimo diritto.
491
Sul tema, si vedano A. MEIKLEJOHN, The First Amendment is An absolute, in The
Supreme Court Review, 1961, p. 249 ss.; H.L. BLACK, Concurring opinion, in Cox v.
Louisiana, 379, U.S. 559, 578, 1965; nonchè, sulle sue teorie, AA. VV., Reflections on
Justice Black and Freedom of Speech, in Valparaiso University Law Review, Volume 6,
n.
3,
1972,
p.
316-331,
anche
reperibile
in
http://scholar.valpo.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1783&context=vulr. Contro la
teoria assolutista, si veda R.H. BORK, Neutral Principles and Some First Amendment
Problems, in Indian Law Journal, vol. 47, 1971, p. 21 ss. Per l‘improponibilità della tesi
assolutista nell‘ordinamento italiano – nonché in quello francese e tedesco – si veda A.
BALDASSARRE, Libertà di stampa e diritto all‟informazione nelle democrazie
contemporanee, in Pol. dir., 1986, p. 587.
492
Per una ricostruzione della giurisprudenza americana sulla freedom of speech, si
veda M.C. DORF, Incidental Burdens on Fundamental Rights, in Harvard Law Review,
Vol. 109, n. 6, 1996, p. 1175-1251.
493
M. AMMORI, First Amendment architecture, in Wisconsin Law Review, 2012.
211
Se, infatti, da un lato ritroviamo la tradizionale dottrina americana494,
secondo la quale l‘esercizio del free speech non dipende dall‘attenzione ai
singoli spazi in cui esso può essere espresso, dall‘altro la dottrina più
recente495 ha, invece, evidenziato come lo spazio496 entro il quale la libertà è
esercitata possa incidere sull‘opportunità della legislazione e, ancor più
profondamente, sulla natura giuridica della libertà di cui si tratta.
L‘Autore in questione utilizza, come esempio, il caso della netneutrality. Premesso, infatti, che diverse sono le ipotesi ricostruttive
riconducibili al tema della ‗neutralità della Rete‘497, Ammori sostiene che
494
I. BERLIN, Two Concepts of Liberty, Clarendon Press, Oxford, 1958; B.
CONSTANT, The liberty of the Ancients Compared with That of the Moderns, in Political
Writings, 1988; G.C. MACCALLUM, Negative and Positive Freedom, in The
Philosophical Review, Vol. 76, n. 3, 1967.
495
M. AMMORI, First Amendment architecture, cit.
496
Sul punto, chiare le parole di T.P. CROCKER, Displacing Dissent: the role of
„place‟ in First Amendment Jurisprudence, in 75 Fordham Law Review 2587, 2007, p.
2587-2639, spec. p. 2638, in questi termini: ―We need to rethink and rearticulate the
importance of public places for our free speech tradition in the way broadly indicated by
Hannah Arendt‘s political philosophy. Personhood and human autonomy can only exist
and develop n fullest form within social structures that provide public places and spaces
for human interaction and discourse. Recognizing this fact has repercussions for land use
development, local police practices, public transportation, methods of issue advocacy,
political advocacy and elections, as well as judicial doctrine under the First Amendment‖.
497
Diversi sono gli Autori americani che leggono nel principio della net-neutrality
l‘espressione del First Amendment. Nello specifico, C. S. YOO, Network Neutrality and
the Economics of Congestion, in The Georgetown Law Journal, 2005-2006, v. 94, p.
1847 ss., in particolare p. 1851, in questi termini: ―Since network neutrality proponents
defend their proposals almost exclusively in terms of the economic benefits of
innovation, this Article discusses the issues solely in economic terms. I therefore set
aside for another day any discussion of noneconomic issues, such as network
neutrality‘s implications for democratic deliberation or the First Amendment‖. Nonchè,
si veda M. KIM – C.J. CHUNG – J.H. KIM, Who shapes network neutrality policy debate?
An examination of information subsidizers in the mainstream media and at Congressional
and FCC hearings, in Telecommunications Policy, 2011, Vol. 35, p. 314 ss., in
particolare p. 323: ―Not only will future legislation involving net neutrality govern the
infrastructural design of the communication medium, but it may also radically transform
the scope and type of First Amendment freedoms the Internet affords‖.
Va tenuto presente, però, che, alla luce degli interventi sul tema e dei casi
giurisprudenziali (U.S. Court of Appeals for the District of Columbia Circuit, Comcast v.
Federal Comms. Comm‟n, 2010 U.S. App. LEXIS 7039, Washington DC, 6 aprile 201009-17), la ricostruzione del principio costituzionale che sottende la net-neutrality ha
anche riguardato il V Emendamento della Costituzione americana. Nello specifico, si
veda in Dissenting Statement of Commissioner, R.M. MCDOWEL, Preserving the Open
Internet, GN Docket No. 09-191, Broadband Industry Practices, WC Docket No. 07-52,
p. 6: ―I also have concerns regarding the constitutional implications of the Order,
212
l‘intervento della FCC (Federal Communication Commission) del 2010498
che, in via generale e astratta, stabilisce il principio della net neutrality, si
rivela, di per sé, necessario al fine di garantire l‘effettività dell‘esercizio del
free speech, diversamente sottomesso alle logiche economiche degli access
provider, i quali potrebbero decidere come e quando ridurre banda – e
conseguentemente servizi – a determinati utenti. Il regolamento della FCC
―prohibits phone and cable companies from blocking, or discriminating
among, websites and online software‖. ―As a result‖, continua l‘Autore,
―Americans can more effectively access the ‗cyberspaces‘ for speech
without interference (or editing) by phone and cable companies asserting
their own speech rights‖499.
Eppure, questo effetto vantaggioso, che Ammori legge nella
proclamazione della net neutrality, non è da tutti condiviso.
Secondo parte della dottrina, infatti, come per qualunque altra
disciplina dell‘esercizio della libertà di manifestazione del pensiero,
l‘intervento di politica pubblica risulterebbe deleterio. Ciò perché,
trattandosi di una libertà negativa, la sua tutela si potrebbe ottenere solo con
l‘astensione da parte del regolatore politico, in quanto qualunque intervento
sarebbe presumibilmente censorio.
In altre parole, il modello della libertà negativa nell‘ordinamento
americano così può essere descritto: esso si basa su casi paradigmatici,
rispetto ai quali la dottrina costruisce principi generali. Sulla base di essi,
especially its trampling on the First and Fifth Amendments. But in the observance of
time, those thoughts are contained in my extended written remarks‖.
Più in generale, sul tema della net-neutrality, si vedano A.C. FIRTH – N.H. PIERSON
(edited by), The open Internet, Net Neutrality and the FCC, New York, 2011; C.T.
MARSDEN, Net-neutrality: towards a co-regulatory solution, London, 2010; D.C.
NUNZIATO, Virtual freedom: net neutrality and free speech in the Interne age, Standford,
2009; C.S. YOO, Beyond network neutrality, in Harvard Journal of Law and Technology,
Vol. 19, n. 1, 2005, p. 1-77, anche reperibile anche alla pagina
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=742404.
498
FCC, Preserving the Open Internet, D.C. 20554, reperibile alla pagina
http://hraunfoss.fcc.gov/edocs_public/attachmatch/FCC-10-201A1_Rcd.pdf.
499
M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., p. 6.
213
poi, si influenza il legislatore nell‘intervenire nella disciplina della libertà,
sempre che resti nei limiti dei principi desumibili dai casi suddetti e non si
spinga oltre. Infatti, laddove il regolatore politico preveda una disciplina più
restrittiva della libertà rispetto a quella desumibile dai principi trattati, e
dunque probabilmente costituzionalmente illegittima, potrà incorrere in una
diretta violazione del Primo Emendamento, salvo che non possa ascriversi
ai casi ―exceptional‖500, giustificati e resi legittimi da altrettanti principi
che, perlopiù, sono desunti in prima battuta dalla giurisprudenza.
Il ruolo della Corte Suprema, infatti, non può che essere quello di
―strike down government action targeted at the speaker because of her
content is the primary concern‖501.
Da un siffatto modello di libertà negativa, derivano una serie di
corollari: la sfiducia nei confronti dell‘intervento governativo, il valore
della neutralità della Rete, l‘anti-redistribuzione degli spazi in cui esercitare
il free speech e, infine, la rigorosa distinzione tra pubblico e privato, spesso
concepita come collegata ai diritti dominicali, come quello di proprietà502.
500
Ibidem, p. 11-12.
Ivi.
502
Ibidem, p. 13. Sulla teoria che avvicina la libertà di parola al diritto di proprietà,
intese come libertà negative, e per un primo superamento, in dottrina, della netta
distinzione tra libertà positive e negative, si vedano C.R. SUNSTEIN, Free Speech Now, in
University of Chicago Law Review, 1992, nonché, S. HOLMES – C.R. SUNSTEIN, The cost
of rights: why liberty depends on taxes, cit. Per una posizione intermedia nella dottrina
italiana, si veda G. DE MINICO, Leggere serve. A proposito di due volumi di Holmes,
Sunstein
e
Ostrom,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/temi_attualita
/diritti_liberta/0032_deminico.pdf. L‘Autrice propone, infatti, una lettura inedita del
rapporto tra libertà positive e negative, non azzerandone le differenze ma, d‘altra parte,
non riconoscendo lo spazio tradizionalmente attribuito, in termini di distanza, ai diritti di
libertà, in conseguenza della loro diversa natura giuridica: ―ritengo che la struttura dei
due diritti non sia perfettamente sovrapponibile: l‘attività dello Stato è richiesta rispetto
alle libertà negative solo se violate; mentre rispetto alle positive, lo Stato deve essere
sin dall'inizio ipercinetico affinché si compiano, cioè deve operare già dalla fase
fisiologica e non solo in quella patologica, come fa per le negative‖.
Per una critica, nella dottrina americana, si veda J.M. BALKIN, Digital speech and
democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, in New
York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004, p. 32-33: ―the liberty of speech and the liberties
involved in property ownership are two different kinds of freedom. Although property
rights often assist free expression – think of the right to use the software and the computer
501
214
Questi corollari suggeriscono che il Primo Emendamento dovrebbe essere
indifferente alla disponibilità degli spazi utilizzati per il free speech. Ciò
implica che tutti i casi paradigmatici, dai quali si traggono i principi da
rispettare in materia di libertà di parola, suggeriscono che quest‘ultima sia
una libertà negativa503 in senso stretto. Dunque, un intervento regolatorio
statale sarebbe da guardare con sospetto poiché, sempre che non rientri nei
casi eccezionali, non riuscirebbe a garantire la libertà ma non potrebbe far
altro che imporle dei limiti504.
that one owns – they can also undermine it, as suggested by the examples of content
discrimination in telecommunications networks and the use of digital rights management
to control the end user‘s experience‖.
503
Per una visione in tal senso, L.R. BEVIER, The First Amendment on the Tracks:
should Justice Breyer Be at the Switch?, in 89 Minnesota Law Review, 2005, 1280; ID.,
Rehabilitating Public Forum Doctrine: In Defense of Categories, in The Supreme Court
Review, 1992, p. 79-122; per un‘ampia ricostruzione delle diverse teorie sulla freedom of
speech, si veda K. WERHAN, Freedom of speech. A reference Guide to the United States
Constitution, Westport, 2004.
M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., p. 14, nel descrivere la dottrina
conforme a questa teoria: ―Scholars suggest two conceptions of negative liberty. Negative
liberty may simply limit the judicial branch, forbidding the judiciary from imposing
affirmative obligations based on the Constitution alone. (…) Also, the second conception
of negative liberty would forbid the political branches from imposing affirmative
obligations on a private actor through sub-constitutional law, including legislation or
rules. For example, not only would judges not require access to shopping malls or
Internet access networks, but also they would forbid legislatures from passing laws to
supply that access. Such laws would violate the negative liberty of individuals to engage
in speech without government interference, however well-meaning‖.
504
Ivi, in questi termini: ―Negative liberty is the freedom from government action.
Affirmative or positive liberties are freedoms to particular outcomes, and sometimes
require government action to effectuate. In the paradigmatic cases, if government just
leaves everyone alone, diverse speakers can speak. In these cases, affirmative government
action appears both unnecessary and unhelpful (though perhaps present)‖. E, ivi, p. 14:
―Access to a space may rest on an affirmative liberty conferred by the public forum
doctrine, which requires certain government spaces open for all, but scholars characterize
the protection in these cases as reflecting protection of negative liberty‖. Dunque,
nonostante la dottrina ―public forum‖, parzialmente accolta dalla giurisprudenza
americana (si vedano i casi Davis v. Massachusetts, 167 U.S. 43, 48 (1897), Perry
Education Association v. Perry Local Educators‟ Association, 460 U.S. 37 (1983), United
States v. Kokinda, 497 U.S. 720, 730 (1990), International Society for Krishna
Consciousness v. Lee, 505 U.S. 672, 680 (1992), Marlin v. District of Columbia Board of
Elections and Ethics, 236 F. 3d 716, 2001) già prevedesse la necessità di un intervento
legislativo sulle modalità di esercizio della libertà di espressione, nei casi in cui essa
contrastasse con diversi valori e, dunque, laddove fosse necessario intervenire dettando
regole di tutela in caso di esercizio in uno spazio pubblico o imponendo limiti legittimi in
215
Ammori rinnega questa tesi, non solo avvicinandosi all‘opinione
menzionata dell‘impossibilità di distinguere così nettamente libertà positive
e negative, ma anche e soprattutto sostenendo che l‘intervento del
legislatore505, o regolatore che sia, (si pensi al caso del Regolamento FCC
in tema di net-neutrality) sia, in talune occasioni, indispensabile, perché
volto (come nel caso della neutralità della Rete) a garantire eguale esercizio
della libertà.
Freedom
of
speech
come
libertà
positiva
dunque?
Non
necessariamente. In altre parole, si ritiene che non sia imprescindibile
incasellare i diritti di libertà in definizioni strette e asfittiche, poiché è da
esse che nasce il pericolo di limiti all‘esercizio. Infatti, le eccezioni506, che
caso di esercizio in ―private places‖, la dottrina tradizionale continua a restare ferma sulla
posizione della libertà negativa in termini assoluti.
505
Sulle modalità dell‘intervento regolatorio, in tema di libertà di manifestazione del
pensiero, si veda E. KAGAN, Private speech, Public purpose: The Role of Governmental
Motive in First Amendment Doctrine, in The University of Chicago Law Review, vol. 63,
n. 2, 1996, p. 413-517. Diversamente, sul limitato ruolo del soggetto pubblico, J.O.
MCGINNIS, The Once and Future Property-Based Vision of the First Amendment, in The
University of Chicago Law Review, vol. 63, n. 1, 1996, p. 49-132, spec. p. 132: ―the
government would have only a very circumscribed role with respect to the emerging
networks of communication. This role would be limited largely to enforcing regulations
that are applied to business enterprises generally. Given the great opportunities for
competition among networks, spontaneous order of the kind represented by emerging
computer nets will create multiple opportunities for information-rich exchanges.
Centralized authorities generally lack the information to improve on the beneficial
competition among ideas that is intensified by a property-based First Amendment regime.
Indeed, these centralized authorities have powerful incentives to distort that competition.
Thus, in a world of global competition, societies that permit the government to regulate
the flow of information are greatly disadvantaged compared with societies that continue
to permit unfettered information transmission‖.
Sulla rilevanza del lavoro interpretativo, operato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti
d‘America, rispetto alla portata del free speech, si veda G.R. STONE, Content-Neutral
Restrictions, in The University of Chicago Law Review, vol. 54, n. 1, 1987, p. 46-118.
506
Il riferimento della dottrina è all‘accesso alla televisione via etere, via cavo, nonché
alla rete telefonica. Infatti, M. AMMORI, First Amendment architecture, cit., a p. 17, così
si esprime: ―Cable television is at least a partial exception. Regulations ensuring access to
phone lines are an exception, rarely discusses except to point out the minimal
constitutional scrutiny of laws burdening phone companies, despite the phone‘s
importance as a speech medium. Access to the Internet, provided by both phone and cable
companies, may be an exception similar to phone exception or similar to different cable
exception. The postal service‘s enormous effect on newspapers, protecting some papers
and harming others, is also an exception, supposedly permitted because it involved
government property, though many private networks also involve government property.
216
indicano i casi in cui il legislatore è intervenuto – ad esempio nella
disciplina dei mezzi di comunicazione di massa – non sono solo casi
inusuali, giustificati da principi che, di volta in volta, li legittimano, ma
presentano, essi stessi nuovi e concorrenti modelli di libertà.
―These exceptions lead to competing models. While not identical,
scholarly models are consistent in contrasting an operative negative-liberty
model with an exceptional affirmative model or equality model‖507.
In sostanza, dunque, parrebbe necessaria la regolazione da parte del
soggetto pubblico, in termini di disciplina dell‘esercizio del diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero, specie quando si tratta di
regolare l‘accesso ai mezzi di comunicazione di massa. In tal caso, infatti,
la possibilità di esercitare il diritto è direttamente legata al perimetro della
stessa libertà disegnata in Costituzione che, diversamente, resterebbe norma
vuota di significato.
Il legislatore, infatti, detta regole che integrano il precetto
costituzionale508, garantendo un esercizio eguale della libertà, scevra da
discriminazioni di sorta: ―Legislating takes plase in the shadow of
constitutional law. Legislative decisions often reflect known constitutional
constraints articulated by the judiciary (…) Legislatures play an important
role in entrenching, by supplyning remedies unavaiable to courts, and in
creating constitutional norms as ‗norm‘ entrepreneurs. As a result,
permissible legislative actions-including those expanding the availability of
speech spaces-may themselves reflect constitutional norms‖.
L‘interpositio legislatoris, in altri termini, diventa fondamentale
quando si tratta di garantire ai citizens o net-citizens spazi reali e virtuali nei
quali è possibile esercitare la libertà; in tal modo tali norme divengono
segno di garanzia effettiva.
In short, ‗exceptions‘ to doctrine somehow govern our most important physical and
virtual speech spaces‖.
507
Ivi.
508
Ibidem, p. 26.
217
Come può evincersi, dunque, l‘interpretazione della libertà di
manifestare il proprio pensiero ha spinto, da un lato la dottrina italiana a
concepire, accanto alla libertà negativa, quella positiva del diritto
all‘informazione509, e dall‘altro quella d‘oltreoceano a riflettere sul risvolto
positivo della medesima libertà. Le due interpretazioni sono così più vicine,
perché entrambe volte a riconoscere un certo grado di effettività alla norma
costituzionale, non lasciandola mera proclamazione di principio.
Quest‘affinità, così evidenziata, lega in realtà a doppio filo i giuristi
italiani510 e americani511, perché, di fronte alle nuove tecnologie, entrambi
giungono alla constatazione che, al mutare delle forme di manifestazione
del pensiero, mutino anche le condizioni sociali per l‘espressione dello
stesso e, dunque, le forme di partecipazione sociale, che ne sono diretta
conseguenza, pur non incidendo sulla natura della libertà512. È proprio da
questa constatazione che nasce la necessità dell‘intervento regolatorio513.
Per tutti, si veda A. LOIODICE, Il diritto all‟informazione: segni ed evoluzione, in
M. AINIS (a cura di), Informazione, potere, libertà, Torino, 2005, p. 32 ss.
Peraltro, tale approdo è anche proprio della dottrina americana più attenta al tema.
Così, J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of
expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1, 2004, p. 5, in
questi termini: ―The idea of a democratic culture captures the inherent duality of freedom
of speech: Although freedom of speech is deeply individual, it is at the same time deeply
collective because it is deeply cultural‖.
510
Si pensi, per tutti, al concetto di ―libertà informatica‖, di cui parla T.E. FROSINI,
L‟orizzonte giuridico dell‟Internet, cit.
511
Il riferimento è a J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of
freedom of expression for information society, in New York Law Review, vol. 79, n. 1,
2004.
512
Lucide le riflessioni di BALKIN, op. ult. cit.: ―Digital technologies change the social
conditions of speech, they bring to light features of freedom of speech that have always
existed in the background but now become foregrounded‖.
513
D‘altra parte la fede nell‘intervento regolatorio del Governo è già propria della
dottrina progressista sul First Amendment, la quale ritiene che asserire che esiste the
fredoom of speech non ha tanto lo scopo di promuovere e favorire l‘autonomia
individuale, quanto piuttosto quello di incrementare le deliberazioni democratiche sulle
pubbliche questioni. Il fuoco di questa teoria risiede nell‘attitudine a credere che lo scopo
primario del free speech sia il raggiungimento di uno Stato democratico attraverso l‘opera
sapiente del Governo. Si veda, a riguardo, diffusamente A. MEIKLEJOHN, Political
freedom: the constitutional powers of the people, Oxford University Press, 1965, nonché
D.M. RABBAN, Free Speech in Progressive Social Thought, in 74 Texas Law Review,
1996; J.M. BALKIN, Populism and Progressivism as Constitutional Categories, in 104
Yale Law Journal, 1995 e C.R. SUNSTEIN, Democracy and the problem of free speech,
509
218
Internet, in altre parole, è mezzo di comunicazione talmente peculiare
e fondamentale per l‘esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, che
riesce a mutare il tradizionale approccio alla materia del free speech,
pretendendo un intervento legislativo indispensabile nel nuovo framework
dei net-citizens.
―Therefore, free speech values – interactivity, mass participation, and
the ability to modify and transform culture – must be protected through
technological design and through administrative and legislative regulation
of technology, as well as through the more traditional method of judicial
creation and recognition of constitutional rights‖514.
L‘attenzione del regolatore politico è richiesta, inesorabile, dalle
nuove tecnologie: ―the digital revolution places freedom of speech in a new
light, just as the development of broadcast technologies of radio and
television did before it. The digital revolution brings features of the system
of free expression to the forefront of our concern, reminding us of things
become central and thus more relevant to the policy issues we currently
face‖515. Ciò detto, però, è necessaria una precisazione.
New York, 1993, p. 93 ss. La teoria progressista, così definita da J.M. BALKIN, Digital
speech and democratic culture: a theory of freedom of expression for information society,
cit., si sviluppa a partire dal ventesimo secolo, come conseguenza dell‘avvento dei mass
media, che (sia tv che giornali) non garantivano di per sé l‘effettivo pluralismo delle idee
che la libertà di manifestazione avrebbe preteso. L‘Autore, a p. 30-31, descrive la
questione in questi termini, ―I think it is no accident that the progressivist/republican
approach to free speech arose in the twentieth century, for this was also the century of
mass media. People who endorse democratic theories of free speech understand that
although mass media can greatly benefit democracy, there is also a serious potential
conflict between mass media and democratic self-governance. (…)democracy-based
theorists of free speech in the twentieth century have argued that government must
regulate the mass media in a number of different ways: (1) by restricting and preventing
media concentration; (2) by imposing public-interest obligations that require the
broadcast media to include programming that covers public issues and covers them fairly;
and (3) by requiring the broadcast media to grant access to a more diverse and wideranging group of speakers in order to expand the agenda of public discussion‖. D‘altra
parte, secondo l‘Autore l‘ingresso di Internet nello scenario dei mass media non basta già
a evitare che il legislatore intervenga a regolare l‘accesso ai mezzi di comunicazione,
perché la sola possibilità di utilizzare la Rete per ricevere o trasmettere informazioni non
basta ex se a garantire che un accesso generalizzato alle informazioni sia garantito.
514
Ibidem, p. 2.
515
Ibidem, p. 3.
219
Il Governo deve intervenire, come la su citata dottrina suggerisce, solo
al fine di garantire l‘esistenza di uno Stato democratico? È davvero così
limitato il ruolo della libertà di manifestazione del pensiero?
In realtà, ci sembra che possa essere superata la visione della dottrina
progressista americana, che spinge sul ruolo del regolatore solo se
finalizzato a garantire uno stato di effettiva democrazia, come diretto
risultato del ―market place of ideas‖. Infatti, si può sostenere che il free
speech – come del resto evidenziato anche dalla dottrina italiana in tema di
libertà di manifestazione del pensiero – si rende indispensabile per il
conseguimento di una cultura democratica516, che è qualcosa di più ampio,
di più generale e onnicomprensivo dello Stato democratico in sé. Tale teoria
è, in sostanza, la traduzione americana dell‘assenza di limiti funzionali al
free speech, che, come si vede, diventa un punto di riferimento anche
oltrefrontiera.
Dunque, affrontato il tema più generale della portata del free speech,
per quanto attiene al suo esercizio on line, va detto anzitutto che la
rivoluzione digitale ha posto nuovi interrogativi ai giuristi, nuove sfide al
L‘espressione ―democratic culture‖ è di J.M. BALKIN, Digital speech and
democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., p. 3435, ―Democracy is far more than a set of procedures for resolving disputes. It is the
features of social life and a form of social organization. (…) A ‗democratic culture‘
means much more than democracy as a form of self-governance. It means democracy as a
form of social life in which unjust barriers of rank and privilege are dissolved, and in
which ordinary people gain a greater say over the institutions and practices that shape
them and their futures. What makes a culture democratic, then, is not democratic
governance but democrative participation‖ – corsivi nel testo. Sul tema si vedano W.W.
FISHER, Property and Contract on the Internet, 73 Chi.-Kent Law Review, 1998, in questi
termini: ―In an attractive society, all persons would be able to participate in the process of
meaning-making. Instead of being merely passive consumers of cultural artifacts
produced by others, they would be producers, helping to shape the world of ideas and
symbols in which they live‖; L. LESSIG, The future of ideas, New York, 2001, sulla
connessione di principio tra ‗semiotic democracy‘ e ‗democratice culture‘; N. ELKINKOREN, Cyberlaw and Social Change: A Democratic Approach to Copyright Law in
Cyberspace, in 14 Cardozo Arts & Ent. L.J. 215, 1996.
516
220
legislatore e la necessità di individuare nuovi limiti517 all‘esercizio della
libertà.
Infatti, l‘avvento delle nuove tecnologie, offrendo opportunità prima
inesistenti e creando un vivace sistema di libertà di espressione, d‘altra
parte, presenta anche nuovi pericoli per la stessa. ―The emerging conflicts
over capital and property are very real. If they are resolved in the wrong
way, they will greatly erode the system of free expression and undermine
much of the promise of the digital age for the realization of a truly
participatory culture‖518.
Non a caso, la dottrina americana sostiene che, se è vero che il
modello della protezione giudiziale dei diritti individuali conserva la sua
cruciale importanza nell‘era digitale, esso, però, si rivela insufficiente per
una protezione del free speech adeguata ai nuovi mezzi.
Un sistema giuridico basato sulla libertà di espressione è qualcosa di
più della somma dei diritti individuali di libertà di parola, garantiti caso per
caso ai singoli. Esso deve fare i conti con le infrastrutture tecnologiche e
proporre un tipo di regolazione che orienti la tecnica nel senso della
garanzia. Un sistema siffatto, dunque, non può che dipendere dalle
tecnologie della comunicazione e dall‘uso che di esse vien fatto.
In altre parole, ―in the digital age, the technological and regulatory
infrastructure that undergirds the system of free expression has become
increasingly important. Elements of the system of free expression that were
backgrounded in the twentieth century will become foregrounded in the
twenty-first. They will be foregrounded, I argue, because the guarantee of a
pure formal liberty to speak will increasingly be less valuable if
technologies of communication and information storage are biased against
517
J.M. BALKIN, Digital speech and democratic culture: a theory of freedom of
expression for information society, cit., p. 6. L‘Autore sostiene espressamente che ―the
technologies can produce new methods of control that can limit democratic cultural
participation‖.
518
Ivi.
221
widespread individual participation and toward the protection of property
rights of media corporations. If we place too much emphasis on judicial
doctrine at the expense of infrastructure, we will be left with formal
guarantees of speech embedded in technologies of control that frustrate
their practical exercise‖519.
Un sistema di libera espressione, dunque, è il risultato della sinergia
tra più elementi: in primo luogo, le politiche governative che promuovano e
garantiscano
la
partecipazione
di
ogni
cittadino
alle
tecnologie
dell‘informazione; in secondo luogo, un‘architettura tecnologica che faciliti
il controllo decentralizzato e la partecipazione di tutti, piuttosto che
impedirli; infine, l‘applicazione dei metodi tradizionali di carattere
giurisdizionale e gli stretti scrutini di costituzionalità che intervengano su
politiche di carattere censorio, nonché ―l‘enforcement of rights of free
speech against government abridgment‖520.
In sostanza, nell‘era digitale, proteggere la libertà di espressione
significa promuovere la realizzazione di un nucleo di valori nelle leggi e nei
regolamenti amministrativi, così come nella progettazione della tecnologia.
Gli stessi valori di cui parlava Lessig521: l‘interattività, l‘ampia
partecipazione, la parità di accesso alle forme di informazione e
comunicazione tecnologica, la promozione del controllo democratico nella
progettazione tecnologica.
Dunque, se il free speech assume nell‘era di Internet un significato più
pregnante, racchiudendo in sé la possibilità di un cambiamento nel senso
dell‘implementazione del diritto, questo deve essere colto, perché
diversamente la norma costituzionale non avrebbe ragion d‘essere e non
519
Ibidem, p. 51.
Ivi.
521
L. LESSIG, Code. Version 2, cit.
520
222
sarebbe, come invece ha sempre fatto la giurisprudenza, interpretata in
senso evolutivo522.
In verità, la dottrina americana523, che per prima si è occupata del
Primo Emendamento, ha sempre sostenuto che esso fosse un problema di
carattere domestico, generalmente impermeabile agli eventi, alle leggi e alle
persone fuori dai confini degli Stati Uniti.
Quest‘assunto è stato fisiologicamente smentito dal progresso
tecnologico. Oggi un‘informazione può raggiungere diverse parti del
mondo in tempo reale con un solo click, che sia trasmessa da un qualunque
utente o da un giornalista. Le comunicazioni e le condivisioni di carattere
personale e pubblico sono cresciute in modo esponenziale, perché non c‘è
bisogno di viaggiare per comunicare al di qua o al di là dell‘oceano.
Non bisogna dimenticare, specie di fronte ai cambiamenti radicali che
hanno investito il campo dell‘informazione, che il diritto deve dare risposta
ai fatti e che i principi devono servire a guidare i fenomeni, i quali, di volta
in volta, s‘impongono nella realtà.
Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, il Primo Emendamento
trova una serie di limiti in altri diritti: la privacy, il diritto di proprietà
intellettuale, i quali si scontrano con esso su terreni nuovi e diversi, che
pretendono una rivisitazione degli stessi, pur lasciando, come la dottrina ha
sottolineato524, che il nucleo centrale delle libertà disegnate dai Costituenti,
resti immutato. Di certo, però, la globalizzazione e la digitalizzazione delle
522
Sul tema, si veda J.M. BALKIN, The future of expression in a Digital Age, in
Pepperdine Law Review, Vol. 36, 2009, p. 427-444; nonché già ID., Digital speech and
democratic culture: a theory of freedom of expression for information society, cit., p. 55,
sul concetto di ‗rights dynamism‘.
523
Si veda per tutti, R.D. KAMENSHINE, Embargoes on Exports of Ideas and
Information: First Amendment Issues, in 26 WM. & Mary Law Review, 863, 865, 1985, in
questi termini: ―Most discussions of first amendment rights assume that the
communication is addressed to a domestic audience or at least assume that the domestic
or foreign nature of the audience is inconsequential‖ e, più recentemente, nel descrivere la
questione, T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond
– our borders, in 85 Notre Dame Law Review, 2010, p. 1544.
524
M. BALKIN, The future of expression in a Digital Age, in Pepperdine Law Review,
Vol. 36, 2009, p. 430 ss.
223
informazioni alterano la premessa che il Primo Emendamento sia questione
domestica legata al territorio525.
Sulla base di questa considerazione, la dottrina, infatti, ha ipotizzato
l‘esistenza di tre interpretazioni del First Amendment: ―the intraterrotorial,
the territorial and the extraterritorial‖526.
La questione più interessante è quella che attiene alla visione
transfrontaliera della libertà di parola che, inevitabilmente, s‘intreccia con il
tema della governance527 della Rete. La dottrina americana suggerisce che
un ―healthy, robust, global marketplace of ideas‖ richieda un ripensamento
dei modelli di governance territoriale, che trovano un‘immediata ricaduta in
una diversa visione del free speech528, non nel senso di mutarne il
significato e l‘essenza della libertà, quanto invece di inquadrarne la nuova
portata e i nuovi limiti. ―First Amendment is more cosmopolitan today than
perhaps any other time in the nation's history. Speech, press, and
associational liberties are far less territorially constrained. Legal and
regulatory liberalization, combined with modernizing forces such as
globalization and digitization, have pulled back the ‗nylon curtain‘ that
once served as a hard content and ideological barrier at the nation's
borders‖529.
Ciò non comporta una ―perdita di sovranità‖ in senso stretto, ma di
certo appiattisce la rilevanza dei confini territoriali. È la stessa deterritorializzazione a sollevare problemi circa la nuova dimensione del
Primo Emendamento. Nasce, infatti, una domanda di fondo, nella dottrina
americana: il primo emendamento è una libertà garantita solo a cittadini e
Così T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and
beyond – our borders, in 85 Notre Dame Law Review, 2010, p. 1545.
526
Ivi.
527
Per quanto attiene ai diversi aspetti della governance della Rete, si rimanda al
primo capitolo di questo lavoro.
528
D.G. POST, In Search of Jefferson‟s Moose: Notes on the State of Cyberspace,
Oxford University Press, 2009, nonché T. ZICK, Territoriality and the First Amendment:
Free Speech at – and beyond – our borders, cit., p. 1581.
529
T. ZICK, Territoriality and the First Amendment: Free Speech at – and beyond –
our borders, cit., p. 1627.
525
224
stranieri legalmente residenti negli Stati Uniti? O, piuttosto, è un diritto
universale dell‘uomo?
Risposte certe a queste domande non esistono, almeno per due ordini
di motivi: in primo luogo, perché, come sopra sostenuto530, le ragioni della
sovranità nazionale prendono spesso il sopravvento e, in secondo luogo,
perché la proclamazione dell‘art. 19 della Dichiarazione Universale dei
diritti umani non disegna, comunque, con estremo rigore l‘esatta e unica
portata della libertà531.
D‘altra parte, prima dell‘emergere di un vero mezzo di comunicazione
globale – Internet – ogni Nazione poteva scegliere il limite massimo di
protezione da accordare alla libertà di espressione, senza che ciò avesse un
impatto negativo sulle altre nazioni che operano scelte differenti.
Internet, infatti, ha, da un lato introdotto nuove e inedite questioni
sulla protezione nazionale della libertà di pensiero e, dall‘altro tecniche
diverse di censura. Si pensi, ad esempio, alle questioni del filtraggio on line,
spesso posto a tutela del diritto di proprietà intellettuale o dell‘integrità
psicofisica dei minori.
L‘innovazione tecnologica non si dirige necessariamente solo nella
direzione della garanzia massima della libertà532. Questa è solo una delle
530
Si veda, a riguardo, il discorso sulla sovranità affrontato nel primo capitolo, spec.
par. 2.2.
531
Sul punto, chiare le parole di K. WIMMER, Toward a World Rule of Law: Freedom
of Expression, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, vol.
603, Law, Society and Democracy: Comparative Perspectives, 2006, p. 203: ―Freedom of
expression is guaranteed by international treaties, but countries differ significantly in their
view of the meaning of ‗free expression‘ and how it should be protected. (…) This right,
however, is tempered by permissible restrictions to protect national security, individual
privacy and reputation, the impartiality of courts, and the like. But there is widespread
disagreement on the extent to which each country permissibly may build on the minimal
levels of free expression ensured by international norms. Laws dealing with protection of
reputation vary dramatically from country to country, as do laws and regulations
addressing the electronic media, political speech, and commercial speech‖.
532
Si veda, infatti, W.H. DUTTON – A. DOPATKA – M. HILLS – G. LAW – V. NASH,
Freedom of Connection – Freedom of Expression: The Changing and Regulatory Ecology
Shaping The Internet, Report prepared for UNESCO‘s Division for Freedom of
Expression, Democracy and Peace, Oxford Internet Institute, University of Oxford, 2010,
p.
21,
reperibile
alla
pagina
225
possibilità della Rete, è una delle promesse che potremmo attenderci dai
Governi a livello nazionale e sovranazionale, ma, chiaramente, questa
possibilità dovrà e potrà essere realizzata solo ―by policy and practice‖533.
Gli ostacoli534 all‘esercizio della libertà possono essere così
identificati:
1. Le barriere all‘accesso, intendendosi per esse anche la discutibile
politica economica statale che si ripercuote sulla mancanza di
infrastrutture.
2. Le
restrizioni
ai
diritti
degli
utenti,
come
l‘illegittima
disconnessione dalla Rete.
3. L‘imposizione di limiti al contenuto, operata o dai Governi (si
pensi al caso Cina) o dagli operatori di settore.
Tralasciando i primi due punti, strumentali all‘esercizio della libertà, e già
affrontati in precedenza, particolare attenzione desta la terza categoria, che
si presenta come una possibile apertura a fenomeni di censura.
Esistono particolari software, infatti, che riescono a limitare il
contenuto delle informazioni accessibili agli utenti, che possono essere
installati a valle da un qualunque utente sul suo pc, o a monte da un server
di rete Internet service provider. Un filtro può schermare diversi contenuti:
parole, indirizzi mail, siti web. I software in questione assumono le
denominazioni di ―content-control‖ o ―web-filtering‖535.
Le finalità per cui essi sono utilizzati possono essere le più diverse: se
se ne serve il Governo, possono rappresentare manifestazione di una
politica censoria o di tutela dei minori – laddove i siti oscurati siano a
http://portal.unesco.org/pv_obj_cache/pv_obj_id_4598876254B701E203952691673346E
0E16C0E00/filename/UNESCO-19AUG10.pdf, in questi termini: ―The new technologies
offer considerable potential for diversifying messages and further democratizing
communication. However, realizing or rejecting this potential depends, of course, on the
economic, social and political choices that must be made‖.
533
Così, Ibidem, p. 6.
534
Si riportano gli studi di W.H. DUTTON – A. DOPATKA – M. HILLS – G. LAW – V.
NASH, Freedom of Connection – Freedom of Expression: The Changing and Regulatory
Ecology Shaping The Internet, cit., p. 9.
535
Ibidem, p. 11.
226
carattere pedo-pornografico; se se ne avvalgono gli operatori di rete privati,
possono essere la conseguenza di scelte di politica economica o, più
semplicemente, politiche dirette a combattere lo spam, servizio essenziale
per i clienti dei service provider.
È evidente dunque che, contestualmente al progresso tecnologico che
ha garantito uno sviluppo senza precedenti delle forme di comunicazione, si
siano anche sviluppate modalità di controllo del flusso delle informazioni
sulla Rete delle reti. Infatti, l‘accesso a Internet non si traduce
automaticamente nell‘utilizzo della Rete per la produzione o condivisione
di nuovo contenuto.
Si pensi alla nuova tecnologia del deep impact inspection. Essa si
sostanzia nell‘uso di strumenti informatici in grado di ispezionare pacchetti
inviati tramite la rete internet, in modo da permettere a terzi (non il mittente
o il destinatario) di individuare particolari aspetti della comunicazione.
L‘ispezione è effettuata da un ―middle man‖, non il punto finale della
comunicazione, giungendo al contenuto effettivo del messaggio. Per
esempio, gli ISP possono utilizzare questa tecnologia per intercettare
legalmente i clienti che si servono della Rete per scopi illeciti o per scopi
che violano i loro accordi con l‘utente. Fin qui, la tecnologia ci sembra ben
utilizzata, solo a favore delle libertà.
Il punto è che alcuni Governi (in Nord-America, Asia, Africa)
utilizzano la medesima tecnologia per diversi scopi, come la sorveglianza o
la censura. Infatti, la deep packet inspection può servire ―one for all‖ per
controllare o regolare il traffico e i diversi elementi di comunicazione, come
l‘intercettazione, la registrazione del traffico Internet, l‘applicazione del
diritto d‘autore, la priorità della larghezza di banda limitata e il
monitoraggio del comportamento degli utenti.
Meglio detto, ―DPI thus can serve interests of many stakeholders:
government agencies and content providers, who are interested in the
monitoring and filtering of information flows (political control); network
227
operating staff, who have to deal with malware and bandwidth-hungry
applications (technological efficiency); vertically integrated ISPs that want
to create additional revenues or protect them, through preventing the
Internet from cannibalizing their telephone or video-on-demand revenues
(economic interests)‖536.
Questo
nuovo
standard537,
frutto
dell‘evoluzione
tecnologica,
nonostante le perplessità espresse dalla Germania538, ma anche direttamente
da Bruxelles539, è stato approvato nel novembre 2012 dall‘ITU540.
Ha fatto sorgere dubbi la sua approvazione, peraltro proposta dalla
Cina, specie perché da diversi Paesi è stato utilizzato a fini censori (come
536
Ibidem,
p.
29.
Si
veda,
sul
tema
la
pagina
http://dpi.priv.gc.ca/index.php/essays/dpi-as-an. Sulle conseguenze della deep packet
inspection, si veda anche C. FUCHS, Implications of Deep Packet Inspection (DPI)
Internet Surveillance for Society, in The Privacy and security. Research Paper Series,
2012, Department of Informatics and Media, Sweden, reperibile alla pagina
http://www.projectpact.eu/documents1/%231_Privacy_and_Security_Research_Paper_Series.pdf,
nonché
la
pagina
http://www.centerfordigitaldemocracy.org/ftc-makes-advances-protecting-privacyamericans-big-data-era-call-congress-rein-data-brokers, in cui si riporta il parere
dell‘FTC sui problemi di privacy provocati dall‘utilizzo della suddetta tecnologia. Per un
commento incentrato sulle problematiche della violazione della libertà di espressione e
del diritto alla riservatezza, si indica lo studio del Center for Democracy and Technology,
reperibile in https://www.cdt.org/blogs/cdt/2811adoption-traffic-sniffing-standard-fanswcit-flames. Infine, per un commento più strettamente tecnico, si veda F. YU – Z. CHEN –
Y. DIAO – T.V. LAKSHMAN – R.H. KATZ, Fast and Memory Efficient Regular
Expression. Matching for Deep Packet Inspection, 2006, consultabile alla pagina
http://www.diku.dk/hjemmesider/ansatte/henglein/papers/yu2008.pdf.
537
Si veda, sul tema, anche la pagina http://blog.quintarelli.it/blog/circa-la-deeppacket-insp.html.
538
Chiaro l‘articolo di R. BURGESS, U.N. communications body adopts eavesdropping
standards,
5
dicembre
2012,
in
http://www.techspot.com/news/51011-uncommunications-body-adopts-eavesdropping-standards.html.
539
Sul punto, J. BAKER, European Parliament: Stop the ITU taking over the Internet,
22 novembre 2012, in http://www.pcworld.com/article/2016079/european-parliamentstop-the-itu-taking-over-the-internet.html.
540
La Risoluzione Y. 2111-11 è reperibile al sito ufficiale dell‘ITU, alla pagina
http://www.itu.int/rec/T-REC-Y.2111-201111-I. Per una rassegna stampa sul tema, si veda
http://www.lastampa.it/2012/12/07/tecnologia/l-itu-approva-gli-standard-per-la-deeppacket-inspection-u89eQpJxBivtru6w1f3FEK/pagina.html.
Si
segnala
che
la
pubblicazione della Risoluzione è intervenuta solo a seguito della circolazione on line
(http://boingboing.net/2012/12/05/leaked-itus-secret-internet.html)
delle
specifiche
proposte di standard di interoperabilità tecnica per i sistemi di ispezione approfondita dei
pacchetti, adottate dall‘ITU con documenti tenuti segretati, che una giornalista è riuscita
ad ottenere dal responsabile delle comunicazioni esterne nell‘ITU.
228
nel caso di Gheddafi, che in Libia riusciva a monitorare, attraverso questa
particolare tecnologia, le comunicazione private in chat o i siti a diffusione
pubblica di attivisti per le libertà civili, con lo scopo di reprimere i
dissidenti).
È
chiaro,
dunque,
che
aldilà
della
teoria
dottrinale541
o
giurisprudenziale che si voglia abbracciare, la questione della portata del
free speech rispetto alle nuove tecnologie rimane ancora aperta. Peraltro,
non solo rispetto all‘ambito della sua applicazione, quanto a quello che
riguarda i suoi limiti e, più nello specifico, i mezzi di diffusione.
Si affronterà, infatti, qui di seguito, prima la questione del limite del
buon costume, cercando un parallelo con l‘hard speech americano – il quale
con riferimento alla Rete assume una peculiare portata – per poi soffermarci
sul rapporto tra l‘esercizio della libertà di manifestazione on line e le norme
in materia di stampa, valutando la possibilità, e conseguentemente, la
ragionevolezza di un‘equiparazione normativa.
1.2. I limiti alla libertà di manifestazione del pensiero on line: il buon
costume nel rapporto con la tutela dei minori.
Come evidenziato dalla dottrina542 e sopra anticipato, Internet è un
mezzo di telecomunicazione, di comunicazione individuale e di massa,
nonché di diffusione del pensiero. È, dunque, una realtà decisamente
Per un‘approfondita ricostruzione delle teorie sul free speech, in particolare su
quelle (the Market Place of Ideas Theory – The Self-Fulfillment Theory – The
Democratic Self-Governance Theory) che maggiormente influenzano la giurisprudenza
della Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America, si veda L.C. M AHAFFEY, “There is
something unique…about the Government funding of the arts for First Amendment
Purposes”: an institutional approach to granting Government Entities free speech rights,
in 60 Duke Law Journal, 2011, p. 1239-1283. Sulla prima teoria, in particolare, J.
BLOCHER, Institutions in Marketplace of Ideas, in 57 Duke Law Journal, n. 4, 2008, p.
821-889.
542
Si veda per tutti G. CORRIAS LUCENTE, Internet e la libertà di manifestazione del
pensiero, in Dir. inf. informatica, 2000, p. 598.
541
229
complessa e variegata. Ciò nonostante, dinanzi a questo framework
multiforme, può affermarsi con certezza che i valori coinvolti nelle
relazioni che si manifestano in Rete siano quelli costituzionali. Si
condivide, infatti, l‘idea di chi543 sostiene la necessità di reinterpretare i
valori costituzionali alla luce delle nuove forme di esercizio delle libertà544,
ritenendo, invece, meno lungimirante la posizione di chi545 guarda alle
stesse come un limite alla riconducibilità dei comportamenti on line sotto
l‘ambito di applicazione delle norme costituzionali.
La nostra attenzione si concentrerà, in questa sede, sull‘articolo 21
Cost.
Inevitabilmente preliminare è un accenno al dibattito sulla
riconducibilità di talune libertà svolte on line all‘ambito di applicazione
della libertà in parola546.
Ogni informazione fatta veicolare in Rete e rivolta a un numero
indeterminato di utenti è esercizio di un‘attività inquadrabile nella libera
manifestazione del pensiero. Infatti, l‘art. 21 Cost. recita ―Tutti hanno
In questo senso, M. VILLONE, La Costituzione e “il diritto alla tecnologia”, in G.
DE MINICO (a cura di), Dalla tecnologia ai diritti. Banda larga e servizi a rete, Jovene,
2010, p. 257 ss.; si veda anche M. VIGGIANO, Internet. Informazione, regole e valori
costituzionali, Jovene, 2010, p. 79-80. Chiare le parole di P. COSTANZO, Aspetti evolutivi
del regime giuridico di Internet, in http://www.interlex.it/inforum/conv97/costanz2.htm:
―Internet risulta certamente qualcosa di assai più complesso rispetto ai mezzi finora
conosciuti sia di diffusione del pensiero, sia di comunicazione interpersonale, sembrando
in grado di fruire contemporaneamente degli statuti giuridici di entrambe le situazioni
soggettive corrispondenti, nonché di attingere al regime proprio di altre libertà a
godimento individuale o collettivo (…) conseguentemente rivelandosi pienamente
giustificato che l‘ordinamento non tratti con indifferenza fenomeni che risulterebbero
altrimenti presi in considerazione poiché involgenti in primo luogo la sfera delle libertà
costituzionalmente garantite, ma anche la correttezza dell'attività e dell'informazione
commerciale e finanziaria, id est la tutela del consumo e del risparmio e la sicurezza delle
transazioni, ivi compresi i pagamenti veicolati attraverso la rete‖.
544
Sul punto, si veda T.E. FROSINI, Il diritto costituzionale di accesso a Internet, cit.,
in
part.
p.
2,
anche
reperibile
in
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/Fr
osini.pdf.
545
M. BETZU, Testo e contesto: interpretazione e sovra-interpretazione dei diritti
costituzionali nel cyberspazio, in Associazioni italiana dei Costituzionalisti, n. 4 del
2012, anche in http://www.astrid-online.it/Libert--di/Studi--ric/Betzu.pdf.
546
In questo senso, per tutti, si veda A. VALASTRO, Art. 21, in R. BIFULCO – A.
CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Utet, 2006.
543
230
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione‖ e, dunque: immettere informazioni in
Rete, creare una pagina web, dialogare in una chat aperta sono tutte
manifestazioni esercitate attraverso ―ogni altro mezzo di diffusione‖547 – nel
nostro caso, Internet –, non immaginabile ai tempi dell‘Assemblea
Costituente, né come mezzo di trasmissione in sé, né come veicolo delle più
svariate forme di diffusione che, di certo, non si limitano oggi alla parola,
ma si estendono allo scritto548, alle immagini, al suono.
Far rientrare Internet e le diverse forme di espressione del pensiero in
Rete sotto la copertura dell‘art. 21 Cost. implica, come diretta conseguenza,
la necessità di affrontare la problematica relativa all‘applicabilità dei limiti
previsti per la manifestazione del pensiero alla diffusione delle informazioni
on line.
Com‘è noto, l‘art. 21 Cost. prevede, quale limite esplicito all‘esercizio
della libertà, il buon costume549.
Su questo concetto si veda P. COSTANZO, Aspetti evolutivi dell‟universo giuridico
di Internet, cit., che lega il tema della riconducibilità della Rete nel primo comma dell‘art.
21 Cost. alla questione relativa a una sua possibile regolazione. L‘Autore, infatti,
sostiene: ―simili caratteristiche, men che far divergere, concorrono tutte a rendere la
configurazione della Rete coincidente con quella "di altro mezzo di diffusione"
richiamato dall'art. 21, I comma, della Costituzione (anche se come già accennato e come
si vedrà tra breve, non la esaurisce), conseguendone per essa la medesima indiscriminata
libertà di utilizzo predicabile per la libertà cui risulta asservita, senza che peraltro possano
essere qui frapposti quei condizionamenti di ordine materiale, ai quali la ben nota
giurisprudenza della Corte costituzionale è pervenuta dare avallo, pur sancendo
l'inammissibilità di qualsiasi limitazione di ordine legale (sent. n. 105/1972). Ciò che, sia
detto per incidens, conduce altresì ad escludere la legittimità di qualsiasi sovrastruttura
autoritativa che si volesse immaginare al "governo" della rete, o le cui competenze non
rimanessero limitate ai soli profili tecnici e funzionalmente comunque alla miglior
circolazione dei messaggi in rete e alla garanzia della necessaria coerenza del
sottosistema interno con il sistema internazionale‖.
548
Proprio da qui, infatti, nasce la problematica relativa all‘estensibilità della
normativa prevista per la stampa alla pubblicazione on line. Il tema, però, sarà trattato nel
prosieguo della trattazione.
549
L‘art. 21 Cost. così recita al sesto comma: ―Sono vietate le pubblicazioni a stampa,
gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni‖.
547
231
La trattazione sulla limitazione alle pubblicazioni on line di scritti e
filmati che violano il buon costume non può prescindere da una preliminare
individuazione del concetto stesso, già di per sé di difficile individuazione.
La dottrina550 ha scritto, infatti: ―Se è sicura la sussistenza del limite in
questione, estremamente problematica è risultata l‘individuazione di un
significato definito e univoco della nozione di buon costume‖.
In altre parole, il fatto che esso sia l‘unico limite esplicito non
semplifica l‘operazione dell‘interprete, che deve confrontarsi con un
concetto indeterminato e difficilmente determinabile551.
Va detto che, dai lavori dell‘Assemblea costituente, si evince che
fosse particolarmente sentita la necessità di porre un argine alla libertà di
manifestazione del pensiero, riconoscendo il limite suddetto. Al concetto di
buon costume era legato quello di ―morale comune‖ e la preoccupazione
principale risiedeva nell‘eventualità di una rapida diffusione della
pornografia552. Si può affermare, dunque, che in Assemblea costituente il
concetto di buon costume fosse sentito come la rappresentazione di un
sistema di valori da tutelare: la morale pubblica, la pubblica decenza, la
tutela della gioventù, ma anche beni-interessi a carattere individuale, come
la libertà e la dignità umana553.
R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, cit., p. 13.
Così, G. GARDINI, Le regole dell‟informazione. Principi giuridici, strumenti, casi,
Milano, 2005, p. 42; su questo concetto anche R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e
della comunicazione, Cedam, 2010, p. 106; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale.
Parte speciale, vol. II, Zanichelli, 2011, p. 106, in questi termini: ―A dispetto del suo
riconoscimento costituzionale esplicito, quello di buon costume è e rimane un bene
giuridico dal contenuto eccessivamente indeterminato: un bene così poco afferrabile da
suscitare, invero, dubbi sulla sua idoneità a essere assunto a plausibile e legittimo oggetto
di tutela penale‖. Su questo concetto, più ampiamente, G. FIANDACA, Problematica
dell‟osceno e tutela del buon costume, Padova, 1984, p. 75 ss.
552
Si riportano, infatti, le parole dell‘on. Moro, tratte dai resoconti dalla seduta
antimeridiana dell‘Assemblea costituente, di lunedì 14 aprile 1947, p. 2820: ―Si tratta di
evitare che il veleno corrosivo che si trova nella stampa pornografica e nelle altre
manifestazioni contrarie al buon costume possa dilagare. Se noi lasceremo circolare
questo veleno anche per poco, non avremo la possibilità di difendere effettivamente la
moralità del nostro popolo e la nostra gioventù‖.
553
Ibidem, p. 2820-2821: ―Se sotto il profilo politico, per altri aspetti del problema, si
deve ammettere un grande rigore a tutela della libertà individuale, possiamo invece
550
551
232
In verità, va sottolineato che l‘interpretazione del concetto di buon
costume come bene posto a tutela della libertà individuale non sia rimasta
solo negli scritti dell‘Assemblea costituente; essa, infatti, si è diffusa
soprattutto nella dottrina penalistica554, specie a seguito dell‘evoluzione
interpretativa che ha investito il suddetto limite alla libertà di manifestare il
proprio pensiero.
Per ragioni di completezza, vanno evidenziate le diverse posizioni
affermatesi in dottrina. Va certamente segnalato l‘orientamento555 che ha
ritenuto di ampliare la previsione di cui al sesto comma dell‘art. 21 Cost.
nel senso di ricomprendere la ―generica moralità sociale‖ prevista dal
codice civile556. A riguardo, la Corte di Cassazione557 ha sostenuto che la
nozione di negozio giuridico contrario al buon costume (art. 1343 c.c.)558
non fosse comprensiva solo dei casi di violazione di regole della decenza e
di pudore sessuale, ma che attenesse anche ai negozi ―che urtano contro i
principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di
morale sociale in un determinato momento e ambiente‖.
largheggiare un poco, quando si tratta di tutelare la libertà e la dignità della persona, le
quali potrebbero essere turbate gravissimamente da abusi licenziosi della libertà di stampa
e di espressione del pensiero. La realtà delle cose è, in questo momento questa, che la
pornografia non è occasionale, non è incidentale ma è intenzionalmente diretta a
infirmare la coscienza morale del popolo italiano. Io credo che l‘Assemblea tutta si
troverà concorde in questa difesa, la quale, essendo difesa della nostra gioventù, che è
veramente la nostra speranza, essendo difesa della moralità del nostro popolo, è anche la
più piena e la più sana affermazione che noi possiamo fare del nostro amor di Patria‖.
554
Sul punto, si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p.
107. Gli Autori ritengono, a commento degli art.i 527 e 528 c.p., che, nell‘attuale
momento storico, sia possibile operare una riconversione della protezione del pudore
sessuale nella tutela della stessa libertà personale, nella peculiare specificazione di
―diritto a essere protetti dalle molestie provocate, dal dover assistere, contro la propria
volontà, ad atti o rappresentazioni di contenuto sessuale‖.
555
A. TRABUCCHI, Buon costume (voce), in Enc. giur., V volume, Milano, 1959, p.
700 ss.
556
A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero,
cit., 212.
557
Si vedano, a riguardo, le sentenze della Corte di Cassazione n. 5371 del 1987 e n.
234 del 1960, nonché SS.UU. n. 4414 del 1981.
558
L‘art. 1343 c.c. dispone: ―La causa è illecita quando è contraria a norme
imperative, all‘ordine pubblico o al buon costume‖.
233
A fronte di questa visione, decisamente ampia del concetto di buon
costume, e dunque volta a determinare la moralità pubblica come forte
limite alla libertà di manifestazione del pensiero, si è invece affermata la
tesi che ritiene di dover optare per un‘interpretazione dal taglio restrittivo,
affinché sia maggiore lo spazio riconosciuto al contenuto del diritto di
libertà559. Tale visione accoglie, al fine di delineare il significato del
concetto di buon costume, la nozione penalistica dell‘osceno, cui il
legislatore fa riferimento nella fattispecie incriminatrice dell‘art. 529 c.p.
La ―generica moralità sociale‖ cede il passo, dunque, al ―comune
sentimento del pudore‖, al fine di non creare impliciti divieti alle
manifestazioni contrarie alle concezioni etiche della maggioranza.
Chiara la sentenza n. 5308 del 1984, in cui la Corte di Cassazione, sez.
III, così si esprime: ―la nozione di comune sentimento del pudore, di cui
all‘art. 529 c.p., va risolta nel senso della verifica e dell‘aggiornamento di
esso nella sua mutevolezza con il divenire dei costumi e con l‘evoluzione
del pensiero medio dei consociati nel momento storico in cui avviene il
fatto incriminato‖560.
559
In questo senso, si veda C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero
nell‟ordinamento italiano, cit., p. 41 ss.. L‘Autore sostiene che un limite siffatto non
consentirebbe una vera garanzia alla libertà di pensiero.
560
Va richiamata, per ragioni di completezza, anche la sentenza della Corte di
Cassazione, sez. III, n. 1456 del 1971, nella quale la Corte ritiene manifestamente
infondata, e dunque non rinviabile con ordinanza alla Corte Costituzionale, la questione
di illegittimità costituzionale dell‘art. 529 c.p., in relazione all‘art. 3 Cost. La questione
era prospettata nel senso che la norma penale, lasciando al giudice la libertà di valutare e
qualificare gli atti osceni sulla base del comune sentimento, avrebbe rimesso
l‘applicazione della fattispecie alla personale interpretazione dell‘autorità giurisdizionale,
di volta in volta chiamata a decidere della sussistenza del reato, comportando una
inevitabile disparità di trattamento tra i cittadini. La Corte, nella sentenza citata, sostiene:
―tale disparità di trattamento non sussiste perché la legge, definendo la nozione di
oscenità, ne obiettivizza il contenuto nell‘offesa al comune sentimento del pudore (inteso
secondo il concetto tradizionale in rapporto al sentimento medio del pudore sessuale del
popolo italiano nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato) e il giudice è
vincolato a tale concezione del pudore, senza possibilità d‘ispirare il proprio
apprezzamento ad un concetto dell‘ordine puritano e, comunque, al di fuori del comune
sentimento dell‘epoca in cui vive‖.
234
Parte della dottrina561 ha, invece, tentato di costruire un concetto
―costituzionale‖ di buon costume, che fosse indipendente e autonomo dal
significato di ―osceno‖ - disegnato fino ad allora dagli studiosi del tema e
dalla giurisprudenza - e da quello di ―buon costume‖ contrattuale, che i
civilisti riconoscevano nell‘art. 1343 c.c.
Tale concetto sarebbe stato espressione dei valori etici propri della
Costituzione. Ciò avrebbe evitato il riferimento ai singoli rami
dell‘ordinamento e l‘eventualità di rimettere completamente nelle mani del
legislatore ordinario i meccanismi di tutela dell‘interesse garantito e la
determinazione dell‘interesse stesso, da ricostruire all‘interno del sistema
costituzionale562.
Com‘è stato ben evidenziato563, ―tutti questi percorsi ermeneutici
s‘interrogano sulla possibilità di postulare, alla luce della Costituzione
repubblicana, ‗una morale pubblica‘, negata da alcuni, in considerazione del
pluralismo che essa garantisce e tutela, identificata da altri nei valori morali
condivisi dai Costituenti e indispensabili a fondare il patto costituzionale su
basi più solide del relativismo etico o del mero principio di tolleranza‖.
In questa sede, si ritiene di dover aderire alla tesi di chi564 sostiene che
altro è il compito di promozione dei valori condivisi, che la Costituzione
attribuisce alle pubbliche istituzioni, altro, invece, è fare di esso un limite
alla libertà di manifestazione del pensiero, che, in tal modo, finirebbe per
essere funzionalizzata alla realizzazione dei valori suddetti. In altre parole,
proprio sulle questioni più vicine alla libera espressione del pensiero e
all‘esercizio della libertà personale si creerebbe una funzionalizzazione
della libertà, che ne costituirebbe inevitabilmente un limite decisivo.
561
Per tutti, si veda G. DE ROBERTO, Buon costume (voce), in Enc. giur., Vol. VIII, p.
198 ss.
562
Così, R. ZACCARIA, Diritto dell‟informazione e della comunicazione, Cedam,
2006, p. 14, nota 29.
563
A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero,
cit., p. 216.
564
Ivi.
235
Non a caso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 293 del 2000,
ha valorizzato il collegamento esistente tra il limite del buon costume e il
valore della dignità umana, sancito dall‘art. 2 Cost. La questione sottoposta
all‘attenzione della Corte era relativa all‘illegittimità dell‘art. 15565 della
legge n. 47 del 1948 (legge sulla stampa) nella parte in cui richiama l‘art.
528 c.p., il quale fa espresso riferimento alla nozione di ―comune
sentimento della morale‖, per contrasto con gli art.i 25 (sotto il profilo della
tassatività e determinatezza della fattispecie), 3 (per disparità di trattamento
nei confronti dei soli autori delle immagini raccapriccianti e non di tutti i
diffusori delle stesse) e 21 Cost., VI comma (laddove il concetto di
‗comune sentimento della morale‘ fosse più ampio di quello vietato per
contrarietà al ‗buon costume‘). Il Giudice delle leggi ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale, sostenendo che ―solo
quando la soglia dell‘attenzione della comunità civile è colpita
negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con
particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni
essere umano, e perciò avvertibili dall‘intera collettività, scatta la reazione
dell‘ordinamento. E a spiegare e a dar ragione dell‘uso prudente dello
strumento punitivo è proprio la necessità di un‘attenta valutazione dei fatti
da parte dei differenti organi giudiziari, che non possono ignorare il valore
cardine della libertà di manifestazione del pensiero. Non per questo la
libertà di pensiero è tale da inficiare la norma sotto il profilo della
legittimità costituzionale, poiché essa è qui concepita come presidio del
bene fondamentale della dignità umana. Così intesa la figura delittuosa, si
possono superare anche le residue censure. La descrizione dell‘elemento
materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a
L‘art. 15 della legge n. 47 del 1948 così dispone: ―Le disposizioni dell'art. 528 del
Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con
particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche
soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o
l'ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti‖.
565
236
concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che
appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie,
risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza.
Quello della dignità della persona umana è, infatti, valore costituzionale che
permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull‘interpretazione
di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento
della morale‖566.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale567 ha contribuito,
dunque, assieme a quella di legittimità, a disegnare il perimetro del concetto
di buon costume, sostenendo peraltro che esso non rispondesse a
―un‘esigenza di mera convivenza tra le libertà di più individui‖568, quanto
piuttosto alla necessità di delineare un bene collettivo. D‘altronde, seguendo
la scia tracciata dalla Corte di Cassazione569 in materia, si ritiene che la
―pubblicità‖ del comportamento sia elemento costitutivo del delitto di
‗pubblicazioni e spettacoli osceni‘, di cui all‘art. 528 c.p. Infatti, si può
566
Il
testo
della
sentenza
è
reperibile
alla
pagina
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html.
567
Per un‘ampia ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia di buon
costume, si veda A. PACE – M. MANETTI, Art. 21, La libertà di manifestazione del
proprio pensiero, cit., p. 220 ss.
568
Corte Costituzionale, sentenza n. 368 del 1992. La questione di fatto che dà origine
a quella diritto è l‘applicabilità dell‘art. 528 c.p. anche ai rivenditori di videocassette
pornografiche e la supposta disparità di trattamento rispetto a edicolanti e rivenditori di
stampa periodica, cui il legislatore garantisce la non punibilità, fissata dalla legge n. 355
del 1975. Per i commenti alla sentenza, si vedano F. RAMACCI, Libertà “reale” e
“svalutazione” del buon costume, in Giur. cost., 1992, n. 5, p. 3563 ss.; R. ORRÙ, La
“pubblicità” della condotta come requisito essenziale della nozione di buon costume ex
art. 21 Cost. e come “vincolo” all‟attività interpretativa dei giudici, in Giur. cost., 1992,
n. 5, p. 3566 ss.
569
L‘orientamento è ribadito nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, n.
34417 del 2005, ma già nella sentenza n. 135 del 1998. La giurisprudenza (Corte di
Cassazione sez. III, sentenza n. 7059 del 1994), infatti, ha affermato che ―il commercio di
materiale pornografico, purché realizzato con particolari modalità di riservatezza e di
cautela nei confronti degli acquirenti adulti, non integra il reato di cui all‘art. 528 c.p.,
ove il giudice di merito accerti che in relazione alle dette modalità il comune senso del
pudore non risulti offeso‖, nonché (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 5 del 1995)
che ―non integra il reato di detenzione di materiale osceno, anche se finalizzata al
commercio, se la condotta, per le concrete modalità di riservatezza con le quali può
svolgersi, non sia idonea a realizzare alcuna offesa, reale o potenziale, al pubblico
pudore‖. Per tutti, si veda in dottrina, A. VALASTRO, Libertà di comunicazione e nuove
tecnologie, cit., p. 166.
237
affermare che la contrarietà al sentimento del pudore non dipende
dall‘oscenità in sé, ma dalla ―comunicazione verso un numero
indeterminato di persone‖.
Rispetto alla rete, le questioni affrontate divengono particolarmente
complesse, in quanto, oltre alla facilità con cui si può creare un blog, una
propria pagina web, immettere informazioni on line commentando post
presenti in siti altrui, scrivere su un social network dopo aver creato un
account, va sottolineato che non esiste una distinzione tra le diverse pagine
web e tra gli innumerevoli siti in ragione del loro contenuto. Essi sono tutti
ugualmente accessibili, salvo che non ne sia bloccato l‘accesso dalla
polizia, perché riconosciuti nocivi dell‘integrità psicofisica dei minori570.
Dunque, il concetto di ‗contesto ambientale‘, necessario per valutare la
possibilità concreta dell‘offesa al pudore sessuale, è difficilmente
rinvenibile on line.
In verità, la scelta, peraltro obbligata, di far ricadere sotto l‘ambito di
applicazione dell‘art. 21, I comma, Cost., la maggior parte delle attività
svolte in Internet, vede, come già detto in apertura, il precipitato logico
dell‘estensione dei limiti previsti per la stessa libertà, ancorché esercitata in
Rete571. Tra questi, il buon costume.
A tenore dell‘art. 21 Cost., IV comma, è demandato al legislatore il
compito di stabilire provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le
violazioni. Ciò dovrebbe, chiaramente, valere per la Rete come per qualsiasi
altro mezzo di diffusione del pensiero.
Peraltro, come ben sottolineato572, il Costituente ha ritenuto che i
provvedimenti del legislatore dovessero essere ―adeguati‖, poiché
l‘adeguatezza ―non può non involgere un giudizio di razionalità e
570
Sul rapporto tra le black list e la tutela dei minori, si veda A. ROSSI, I minori e i
pericoli in rete: la prevenzione delle black list, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi media
e minori, Aracne, 2012, p. 173-206.
571
Così, P. COSTANZO, Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet,
consultabile anche alla pagina http://www.interlex.it/regole/costanz3.htm.
572
Ivi.
238
bilanciamento delle misure prese in relazione, da un lato, alla pericolosità
del mezzo, e, dall‘altro, all'interesse ordinamentale alla promozione del
mezzo stesso‖. Da ciò si evince che, data la particolarità del mezzo,
l‘applicazione delle regole previste per gli altri mezzi di comunicazione non
sarebbe necessariamente ‗costituzionalmente adeguata‘573.
In quest‘ambito, l‘aspetto più rilevante, diventa inevitabilmente quello
della tutela dei minori574, che potrebbero accedere a contenuti osceni con la
Si pensi alle norme predisposte a tutela dei minori all‘art. 34 dal T.U. sui servizi
media audiovisivi, d.lgs. 177 del 2005, come da ultimo novellato dal d. lgs. 44 del 2010.
Sulla necessità di prevedere una regolazione diversa in ragione della peculiarità del
mezzo, si veda il primo Capitolo di questo lavoro, par. 1.1.
Inoltre, su questo punto, lucide le riflessioni di P. COSTANZO, Le nuove forme di
comunicazione in rete: Internet, cit., che si esprime in questi termini: ―In questo quadro,
il problema dei limiti alla diffusione del pensiero in relazione alla peculiarità del mezzo
mi parrebbe, dunque, esigere una più ponderata riflessione, dovendosi ritenere che tali
limiti, così come desumibili direttamente od indirettamente dal dettato costituzionale (a
tutela anche qui di diritti e valori di pari rango a quello della libertà in questione) non
possano che essere gli stessi per un'identica libertà a prescindere dal mezzo utilizzato, e
che, per converso, qualsiasi specifica disciplina apprestata in relazione alla particolare
conformazione del mezzo non possa non tenere conto di questa stessa conformazione. E,
se sul primo versante, occorre prendere posizione anche contro quelle manifestazioni, che
in Rete, come fuori dalla Rete, non possono ritenersi in alcun modo garantite dalla tutela
costituzionale, esulando dalla stessa nozione di pensiero, per quanto ampiamente
configurato, sul secondo versante, specifiche preoccupazioni sembrerebbero, tutto
sommato, più giustificate per altri aspetti, potendo rivelarsi miope concentrare
eccessivamente (ed ossessivamente) l'attenzione sui comportamenti illegali veicolati dalla
Rete in un‘ottica, per così dire, tradizionale, senza effettuare piuttosto una riflessione
aggiornata su quegli aspetti del mezzo comunicativo, che, in riferimento a determinati
valori ed interessi, valgono a conferire ad Internet attitudini offensive inedite‖.
574
D‘altra parte, non solo negli atti dell‘Assemblea costituente si evince che la tutela
dei più giovani risiede già in quella del buon costume, il quale costituisce di per sé un
giusto limite all‘art. 21 Cost., ma anche in dottrina c‘è chi legge in questo limite
un‘implicita tutela dell‘integrità psicofisica dei minori, espressa in Costituzione, più
direttamente, agli art.i 30 e 31 Cost. Sul punto, si veda A. PACE – M. MANETTI, Art. 21,
La libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit., p. 226-227. Gli Autori, in ragione
del fatto che il divieto dell‘osceno è penalmente rilevante solo quando la condotta incide
potenzialmente o realmente sulla percezione della collettività, acquistando così il
carattere di pubblicità, sostengono che, quando l‘osceno non raggiunga ‗chiunque‘ ma,
per le condizioni di modo e di luogo, sia riservato a pochi adulti consenzienti, il reato non
possa consumarsi. Da ciò si dedurrebbe che la norma penale in questione (art. 528 c.p.)
tutelerebbe anche l‘integrità psicofisica dei minori, che potrebbe essere turbata ancor più
del pudore sessuale di un adulto. Del resto, anche con riferimento alla citata sentenza
della Corte Costituzionale n. 293 del 2000, gli Autori ritengono che il riferimento alla
tutela della dignità della persona lasci intendere una particolare attenzione ai soggetti più
sensibili in ragione della loro tenera età. Infatti, quando le modalità di diffusione di
oggetti osceni non rendano possibile, dal punto di vista della percezione, la possibilità che
573
239
facilità con cui visualizzano la pagina web che dà in streaming filmati di
cartoni animati.
È con riferimento a questa delicata ipotesi che va valutato il contenuto
del concetto di ―osceno‖, interessante soprattutto alla luce di una
valutazione in chiave comparatistica.
Il binomio oscenità-realtà digitale ha, infatti, spinto il legislatore a
intervenire in quest‘ambito con la determinazione di una serie di reati che
nascono in ragione dell‘evoluzione tecnologica. Ciò ha comportato il
presentarsi di un momento di frizione tra Internet e il materiale illecito che
circola nel web.
Innanzitutto, deve farsi una distinzione di massima tra il materiale
pornografico e quello pedopornografico. Se per quello pornografico
esistono i reati di detenzione e commercio – con le specificazioni dettate
dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità –, non è invece previsto
un divieto assoluto di diffondere immagini oscene in tv. Rispetto ai mezzi
di diffusione del pensiero, infatti, la disciplina è dettata dalle leggi di settore
che, specie con riferimento al caso della radiotelevisione, lasciano un ampio
margine di libertà alle imprese radiotelevisive, collocando in secondo piano
la tutela del minore. Ciò, peraltro, è ancor più vero quando la stessa
disciplina viene applicata sulla Rete; in tal caso, infatti, resta
definitivamente lettera morta575.
Dunque, mentre la diffusione del materiale pornografico, per certi
versi, cede il passo al diritto dell‘utenza adulta di accedere a tale contenuto
audiovisivo – con il relativo rispetto degli orari di trasmissione e la tutela
vi acceda un pubblico adulto o minore, si sarebbe costretti a utilizzare lo standard posto a
tutela di quest‘ultimo.
Sulla tutela costituzionale del minore, si vedano per tutti: G. DE MINICO, Il favor
constitutionis e il minore: realtà o fantasia?, in G. DE MINICO, Nuovi media e Minori,
cit., p. 15-50; L. CASSETTI, Art. 31, in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI,
Commentario alla Costituzione, cit.; L. MUSSELLI, Internet e la tutela dei minori, in Dir.
inf. informatica, 2011, p. 727-741.
575
Sul punto, sia consentito il rinvio a C. SABATELLI, Media Audiovisivi e Minori:
quale convergenza e quale tutela?, cit.
240
differenziata in ragione del servizio on demand – il materiale
pedopornografico è bandito nel complesso576, costituendo reato anche la
semplice detenzione, in quanto, in tal caso, il danno al minore è
chiaramente in re ipsa.
Il tentativo di disciplinare la rete a tutela dei minori proviene dalla
constatazione che su internet è possibile, e talvolta più semplice,
commettere illeciti. La tendenza a limitare l‘accesso alla rete ai minori
comporta il fatto che, con disinvoltura, si associ Internet alla piaga della
pedofilia577. L‘immediata conseguenza di questo trend è stata – a ragion
veduta – la particolare attenzione per i reati di pornografia minorile e
pedopornografia virtuale e la conseguenziale disapplicazione dell‘art. 528
c.p. per punire le offese al buon costume commesse on line.
Le novità legislative, che saranno trattate, sono frutto della scelta di
evidenziare le nuove modalità di aggressione – figlie dell‘evoluzione
tecnologica – ai beni interessi già tutelati dal legislatore. Peraltro, va
anticipato, è più facile che le condotte illecite commesse on line rientrino
direttamente sotto l‘ambito di applicazione delle norme aggiornate in
ragione delle novità tecnologiche e di quelle introdotte ad hoc per i reati
576
Sul punto si vedano P. PERRI, Profili informatico-giuridici della diffusione,
mediante strumenti telematici, di materiale pedopornografico, in Cass. pen., 2008, 09, p.
3466 ss.; F. RESTA, Pedopornografia on-line. Verso un sistema di strategia integrata?, in
Dir. Internet, 2007, 3, p. 221 ss.; F. ERAMO, Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet. Ombre e luci, in Famiglia e
diritto, 2007, 1, p. 5 ss.; P. CORDERO, Considerazioni in tema di detenzione di materiale
pedopornografico, in Dir. pen. Processo, 2003, 9, p. 1166 ss.; più in generale, sui reati
informatici, si veda G. CORASANITI, Prove digitali e interventi giudiziari sulla Rete nel
percorso della giurisprudenza di legittimità, in Dir. inf. informatica, 2011, 3, p. 399 ss.
577
In questo senso, si veda P. GALDIERI, Internet e illecito penale, in Giur. merito,
1998. L‘Autore rileva, infatti, che aldilà dell‘associazione immediata che Internet evoca
in termini di illecito penale, effettivamente, va sottolineato che ―se è vero che attraverso
Internet è possibile, almeno in teoria, commettere tutti i reati perpetrabili nei contesti
sociali tradizionali, è altrettanto vero che nella rete vi è un gruppo di illeciti che si
realizzano con maggior frequenza rispetto ad altri, proprio in virtù delle opportunità
offerte dal mezzo telematico‖.
241
―informatici‖. Le vecchie norme, in astratto applicabili anche alla rete,
infatti, difficilmente riescono a trovare applicazione578.
L‘Europa ha tentato di dare una prima risposta alle problematiche
sorte, introducendo una serie di atti di soft e hard law579, finalizzati a porre
l‘attenzione sulla tutela del minore, sull‘esigenza di armonizzare le norme
sanzionatorie in tema di pedopornografia, di maggiore repressione delle
condotte illecite e adeguatezza della disciplina da adottare per i reati
commessi on line.
Alla decisione quadro GAI dell‘UE580, emanata con la finalità di
arginare il fenomeno della pedofilia, il legislatore italiano581 ha dato
risposta modificando gli art.i 600 bis (prostituzione minorile), 600 ter
(pornografia minorile), 600 quater (detenzione di materiale pornografico)
c.p. e ha inserito il reato di pornografia virtuale, di cui all‘art. 600 quater 1
Si pensi, appunto, al caso dell‘art. 528 c.p. Quest‘ultimo punisce la condotta di chi
acquista, detiene, esporta e mette in circolazione – sempre che ciò avvenga allo scopo di
farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente – di scritti, disegni e
immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie. Il fatto che, com‘è stato già
evidenziato, la pubblicità sia elemento costitutivo della fattispecie implica che il reato si
compia anche nelle ipotesi in cui si gestisca un sito dove appaiono immagini oscene.
Chiaramente, l‘elemento della pubblicità andrebbe, in tal caso, ripensato in ragione delle
caratteristiche della Rete e sembrerebbe rientrare appieno nella portata della norma penale
incriminatrice. Ciò nonostante, non si rinvengono casi di giurisprudenza di legittimità che
vedano l‘applicazione dell‘art. 528 c.p. per le condotte commesse on line. Vanno, però,
segnalate talune pronunce di merito sulla diffusione in rete di materiale pornografico, tra
le quali Tribunale di Milano, 24 ottobre 2000, in Foro ambr., 2001, p. 164 e Tribunale di
Pescara, 3 novembre 2006, in Riv. pen., 2007, p. 551.
579
Per una disamina delle politiche regolatorie europee sul tema, si veda M.
VIGGIANO, Unione europea e protezione dei minori in Internet, in G. DE MINICO, Nuovi
media e minori, cit., p. 239-268.
580
Più precisamente, Decisione quadro, 2004/68/GAI, del Consiglio dell‘Unione
europea relativa alla lotta allo sfruttamento sessuale dei minori e la pedopornografia. Tale
decisione nasce dall‘avvertita necessità di un‘armonizzazione del sistema penale in tema
di tutela dei minori, alla luce della consapevolezza che l‘evoluzione tecnologica e
l‘utilizzo della Rete Internet, nonché diverse sue caratteristiche – specie la possibilità di
garantire l‘anonimato – hanno alimentato il carattere transnazionale dei reati di
sfruttamento sessuale dei minori.
581
Si fa riferimento alla legge 3 agosto 2006 n. 38. Per una disamina dell‘iter
legislativo di veda F. DI LUCIANO, Lineamenti critici del reato di pornografia virtuale, in
Cass. pen., 2006, 7-8, p. 2627 ss.
578
242
c.p582. Il suddetto reato è quello che desta più perplessità in termini di
legittimità costituzionale, specie se valutato in rapporto agli approdi
normativi e giurisprudenziali americani.
La trattazione delle problematiche attinenti a tali reati in questa fase
del lavoro dipende essenzialmente da una constatazione: ancorché ci si trovi
nell‘ambito di reati previsti nel Titolo XII (delitti contro la persona) – il che
implica che i beni giuridici protetti siano la libertà e la personalità
individuale583 – per quanto attiene alle fattispecie delittuose indicate, è
necessario fare riferimento al concetto di ―pornografia‖, dunque all‘osceno
che, come visto, resta termine essenziale anche per costruire il significato di
buon costume. Peraltro, tali reati nascono dalla necessità, sempre più
avvertita, di regolare le attività illecite svolte in Rete.
Va fatta una premessa definitoria: la fattispecie di pedopornografia
virtuale incrimina la condotta di chi realizza, distribuisce, diffonde,
pubblicizza, offre o cede ad altri, detiene materiale pornografico, realizzato
utilizzando minori di anni diciotto, ―anche quando il materiale pornografico
rappresenta immagini virtuali, utilizzando immagini di minori…o parti di
esse‖584. ―Per immagini virtuali s‘intendono immagini realizzate con
tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni
reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non
reali‖585.
582
Sulla configurabilità della fattispecie suddetta come reato autonomo, si veda G.
FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 160.
583
Si ricorda, infatti, che le fattispecie di reato citate sono state inserite, già dalla legge
n. 269 del 1998, immediatamente dopo la norma che incrimina la riduzione o il
mantenimento in schiavitù, intendendo implicitamente che si trattasse di una sua
specificazione. Per un commento alla normativa previgente e una critica sulla
collocazione sistematica di queste norme incriminatrici, si vedano V. ZENO-ZENCOVICH,
Il corpo del reato: pornografia minorile, libertà di pensiero e cultura giuridica, in Pol.
dir., XXIX, n. 4, 1998, p. 637-652 e F. RESTA, I delitti contro la libertà individuale, alla
luce delle recenti riforme, in Giur. merito, 2006, 04, p. 1046 ss.
584
Art. 600 quater 1, primo comma, c.p.
585
Art. 600 quater 1, secondo comma, c.p.
243
La maggiore critica della dottrina italiana – e, come vedremo, anche
della giurisprudenza americana della Suprema Corte – mossa al reato
suddetto, è la ―difficoltà di individuare un‘offesa a un bene giuridico
afferrabile e meritevole di protezione penale, soprattutto con riferimento
alle ipotesi nelle quali si prescinda dall‘utilizzo di un minore in carne e
ossa, o anche solo di una parte del suo corpo‖586. Ci si chiede, infatti, ―dove
sta, in queste ipotesi, il pregiudizio allo sviluppo armonico della personalità
di un minore?‖.
Autorevole dottrina587 ha sostenuto che il legislatore ha scelto di
punire siffatte condotte, da un lato per esigenze di semplificazione
probatoria, dall‘altro per i loro effetti criminogeni. Infatti, il fine ultimo del
decisore politico è evitare che il fruitore e creatore delle immagini virtuali a
carattere pedopornografico sia spinto a utilizzare immagini reali, la cui
realizzazione implica l‘utilizzo di minori reali. Com‘è stato notato588,
infatti, la scelta politico-legislativa nasce dalla condivisibile preoccupazione
di tutelare i minori ―contro il rischio dell‘adescamento sessuale‖. Ciò, però,
ha comportato un‘anticipazione eccessiva della soglia di punibilità e ha
spostato ―l‘asse della fattispecie criminosa più sull‘autore che sulla
vittima‖. Non è più rilevante, come nelle altre fattispecie, che ci sia un
minore, vittima reale del reato, ma che si combatta e si condanni l‘indole
perversa del soggetto pedofilo589.
A fronte di tali considerazioni, si può dunque sostenere che la
pedopornografia virtuale è volta a incriminare un soggetto, affetto da una
patologia psichica per un fatto che non lede il minore, solo astrattamente
oggetto della tutela della fattispecie incriminatrice.
586
D. PETRINI, La tutela del buon costume, in Dir. inf. informatica, 2011, 03, p. 445
ss.
587
F. MANTOVANI, Diritto penale, parte speciale, Cedam, 1992, p. 222.
G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 159-160.
589
A. CADOPPI, L‟assenza delle cause di non punibilità mette a rischio le buone
intenzioni, in Guida al diritto, vol. 9, 2006, p. 37-44, che così si esprime: ―Si è creata
un‘ibrida commistione tra diritto e morale, in netta antitesi con svariati principi
costituzionali e le più importanti acquisizioni del diritto penale liberale‖.
588
244
Così, gli unici casi in cui si potrebbe sfuggire all‘incriminazione
sarebbero quelli in cui l‘elaborazione tecnica eseguita non raggiungesse un
grado di perfezione tale da far ―apparire‖ l‘immagine come ―reale‖.
La scelta legislativa, fatta in ragione di un‘ovvia e condivisibile lotta
alla pedofilia, rischia, però, di essere controproducente. È stato, infatti,
osservato590 che la violazione dei principi di offensività e materialità591 non
necessariamente sarà bilanciato da una diminuzione dell‘intenzione
criminosa del soggetto agente. Anzi, per certi versi, l‘utilizzo di immagini
virtuali potrebbe appagare la perversione del pedofilo ed evitare che questi
ricorra a immagini reali.
Per giustificare, dunque, una tale fattispecie criminosa sarebbe
necessario individuare – anche contro la collocazione sistematica del reato –
l‘oggetto della tutela, non tanto nella protezione della personalità del
minore, non solo nell‘integrità psicofisica e sessuale dello stesso, quanto in
ragioni intimamente legate al concetto di buon costume592, intendendo per
esso quel sistema di valori collettivi e individuali che trovano espressione
nei principi costituzionali. La fattispecie penale, così ricostruita in termini
590
D. PETRINI, La tutela del buon costume, cit.
Sulla violazione del principio di materialità da parte della norma incriminatrice e
sul conseguenziale pericolo di derive soggettivistiche del diritto penale, si veda B.
ROMANO, Pedofilia (voce), in Digesto pen., agg., II, Torino, 2004, p. 603 ss.; A.
CADOPPI, L‟assenza delle cause di non punibilità mette a rischio le buone intenzioni, in
Guida al diritto, 2006, 9, p. 44 ss.; A. NATALINI, Stretta contro la pedopornografia in
rete. Così Roma si allinea ai dettami della UE, in Diritto e Giustizia, 2006, 9, p. 115 ss.;
C. SOTIS, La mossa del cavallo. La gestione dell‟incoerenza nel sistema penale europeo,
in Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, 02, p. 464 ss.
Sul problema della illegittimità della fattispecie incriminatrice, si veda anche A.
MANNA - F. RESTA, I delitti in tema di pedopornografia alla luce della l. 38/2006. Una
tutela virtuale?, in Diritto dell‟Internet, 2006, p. 221 ss.
592
Contra F. DI LUCIANO, Lineamenti critici del reato di pornografia virtuale, cit.; in
questo senso, invece, A. COSTANZO, I reati contro la libertà sessuale, Utet, 2008, p. 151.
Sulle diverse possibili ricostruzioni della fattispecie incriminatrice, con particolare
riferimento alla sua portata, all‘ambito di applicazione, all‘oggetto materiale del reato e al
bene giuridico tutelato, si vedano A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA
(diretto da), Trattato di diritto penale, I delitti contro l‟onore e la libertà individuale,
Utet, 2010, p. 515-546; M. BIANCHI – S. DEL SIGNORE (a cura di), I delitti di
pedopornografia fra tutela della moralità pubblica e dello sviluppo psicofisico dei
minori, Cedam, 2009.
591
245
plurioffensivi, più si sposerebbe con lo scopo special-preventivo dettato
dall‘Unione europea: stroncare il traffico di materiale pedopornografico, di
per sé rischio di pregiudizio per l‘armonico sviluppo della personalità del
minore che ha accesso ai contenuti illeciti.
Anche perché, delle due l‘una: o si interpreta la fattispecie
restrittivamente, riferendola ai soli casi di pedopornografia virtuale parziale
e di utilizzo delle immagini riconoscibili del minore – in tal caso il bene
tutelato può rappresentare la personalità e la libertà sessuale del minore
stesso – o, invece, la fattispecie va interpretata ampiamente e, dunque,
andrebbe punita anche la pedopornografia virtuale totale e le parti reali del
minore, utilizzate nelle immagini virtuali, sarebbero da considerare
ugualmente oggetto del reato. Chiaramente, in quest‘ultima ipotesi, che,
peraltro – almeno per quanto attiene alle ―parti di immagini reali‖ – sembra
più aderente all‘interpretazione letterale della norma, sarebbe più
difficilmente configurabile il bene giuridico tutelato. Si tratterebbe, infatti,
di un reato senza vittima, che difficilmente potrebbe essere posto a tutela
della personalità del minore, potendo essere esso un‘entità astratta.
È anche da queste riflessioni che nasce l‘idea di intendere la
pornografia virtuale come un reato a tutela del buon costume. Va detto,
però, che in sede di lavori preparatori593 era già stata prospettata
l‘eventualità di una collocazione sistematica diversa, in ragione del bene
giuridico da tutelare, ma il legislatore ha scelto di iscrivere la fattispecie
incriminatrice nei delitti contro la personalità, con ciò volvendo escludere la
possibilità di inquadrare la norma nei reati a tutela del buon costume e della
moralità pubblica, concetto che, del resto, non brilla per determinabilità e
certezza.
593
Si veda Senato della Repubblica, seduta del 16 novembre 2005, reperibile al sito
http://www.senato.it/leg/14/BGT/Schede/Ddliter/23072.htm;
per
una
completa
ricostruzione
dei
lavori
preparatori
si
veda
la
pagina
http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=4599-B.
246
Diverse restano comunque le risposte che, secondo la dottrina,
potrebbero darsi alle problematiche nate dalla norma in questione. Taluni594
ritengono necessario un intervento legislativo, volto a individuare con
maggiore
chiarezza
il
bene
giuridico
protetto
dalla
fattispecie
incriminatrice, senza perciò eludere le responsabilità politico-criminali
proprie del decisore politico che, in ragione di ciò, dovrà far prevalere il
principio di ragionevolezza anche sull‘esigenza di prevenzione generale.
Altri595, invece, hanno posto il problema davanti a un bivio. Due, dunque, le
possibili soluzioni: o un nuovo intervento del legislatore, finalizzato a
garantire un più stretto rispetto dei principi di determinatezza della
fattispecie e di offensività, e a individuare con maggiore chiarezza l‘oggetto
materiale del reato e le condotte punibili, o, viceversa, ampliare la portata
della fattispecie incriminatrice. Anche qui, o introducendo il reato di
pedopornografia virtuale ―integrale‖, o interpretando la norma in questione
come fattispecie a maglie larghe – in ossequio a un atteggiamento di lotta
alla pedofilia, frutto di un diritto penale dell‘emergenza, teso alla tutela
indiscriminata dell‘integrità psicofisica dei minori – quand‘anche ciò
comportasse una forte compressione di diritti fondamentali, come il diritto
alla privacy o la libertà di manifestazione del pensiero.
Interessante appare la comparazione con le scelte operate dalla
restante parte d‘Europa596 sul tema e, ancor di più, in termini di evidente
contrasto, con la posizione americana a riguardo.
L‘Inghilterra597 e la Germania598 hanno assunto una posizione molto
simile a quella del legislatore italiano. Hanno, cioè, previsto il reato di
594
In tal senso D. PETRINI, La tutela del buon costume, cit.
M. BIANCHI – S. DEL SIGNORE (a cura di), I delitti di pedopornografia fra tutela
della moralità pubblica e dello sviluppo psicofisico dei minori, cit.
596
Sul punto, F. ARANCIO, I reati di pedopornografia virtuale e apparente:
prospettive de jure condendo in Italia e cenni di diritto comparato, in E. ZAPPALÀ (a cura
di), Dove va la giustizia penale minorile?, Giuffrè, 2005, p. 315 ss.
597
A
riguardo,
il
Protection
of
Children
Act,
in
http://www.ictparliament.org/node/1688,
e
Criminal
Justice
Act,
in
http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2003/44/contents. Per un‘attenta disamina della
595
247
pedopornografia virtuale, con ciò intendendo anche la detenzione e la
diffusione di materiale di carattere virtuale.
Peculiare è, invece, la scelta del legislatore francese599. Questo, se da
un lato ha introdotto il reato nella categoria dei delitti contro il pudore,
evitando quindi il rischio, corso dal decisore politico italiano, di incriminare
condotte a tutela della personalità di un minore immaginario, dall‘altro,
però, ha previsto una fattispecie legale tipica dalla portata particolarmente
ampia. Innanzitutto, s‘incrimina la condotta di chi consulta siti
pedopornografici, alla stessa stregua di chi detiene materiale illecito. Tale
scelta coglie la peculiarità del nuovo mezzo di comunicazione, qual è la
Rete, e costruisce la condotta in termini strettamente realistici. Peraltro,
com‘è stato giustamente evidenziato600, laddove solo a partire dalla
―detenzione‖ di materiale pedopornografico si configurasse reato, come nel
caso italiano, il soggetto agente sarebbe più spinto a cercare siti e contatti in
Rete, evitando di scaricare sul dispositivo il materiale illecito.
Inoltre, per la legge francese, sono materiale illecito tutte le ―immagini
o rappresentazioni di un minore che abbiano carattere pornografico‖, con
ciò includendo le immagini virtuali e quelle ipotetiche, cioè che figurano
incontestabilmente le caratteristiche di un bambino. Ciò anche laddove si
tratti di un cartone animato601.
Va detto, però, che un reato siffatto si pone in forte contrasto con il
principio di proporzionalità nel bilanciamento di valori. Si teme, infatti,
legislazione inglese in materia di tutela dei minori on line, si veda F. ABBONDANTE, La
tutela dei minori nell‟ordinamento anglosassone, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi
media e minori, cit., p. 267-288.
598
Si
veda
l‘art.
184b
StGb,
reperibile
alla
pagina
http://dejure.org/gesetze/StGB/184b.html.
599
Si veda la loi n. 98-468 du juin 1998, relative à la prévention et répression
sexuelles ainsi qu‟à la protection de mineur, che ha introdotto nel codice penale l‘art.
227-23 e successive modifiche.
600
R. RAFFAELLI, La pedopornografia virtuale. Analisi della disciplina introdotta
dalla l. 38 del 2006 alla luce dell‟esperienza comparatistica, in Cass. pen., 2009, 02, p.
781 ss.
601
Sul punto, Court de Cassation, 12 settembre 2007, n. 06-86763, reperibile in
www.legifrance.gouv.fr.
248
un‘eccessiva compressione della libertà di manifestazione del pensiero in
nome di un, seppur fondamentale, valore da tutelare, qual è il buon
costume.
Una tale fattispecie, infatti, come del resto quella italiana, si traduce in
un reato, più che di pericolo presunto – della cui legittimità già si discute –
di pericolo ipotetico, non essendo nemmeno dimostrabile il nesso causale
tra la condotta e il danno.
Non a caso, oltrefrontiera tale reato non è sopravvissuto alla censura
di illegittimità costituzionale.
In particolare il caso americano era il seguente: il CPPA602 proibiva
―any visual depiction, including any photograph, film, video, picture, or
computer or computer-generated impage or picture that is, or appears to be,
of a minor engaging in sexually explicit conduct and any sexually explicit
image that is advertised, promoted, presented, described, or distributed in
such a manner that conveys the impression it depicts a minor engaging in
sexually explicit conduct‖.
In primo luogo, la domanda che la Corte si pone di fronte a tale
questione è: può sostenersi che sia legittimo il CPPA nella parte in cui
proibisce un significativo universo di ―speech‖ che non risulta né osceno –
così come definito nella sentenza Miller603 – né pedopornografico – alla luce
della definzione di pedopornografia accolta nella sentenza Ferber604?
In particolate, nella sentenza Miller v. California, la Corte Suprema
aveva stabilito che l‘unico limite al First Amendament, configurabile con
certezza, consisteva nell‘oscenità (che offende il comune senso del pudore –
ciò che viene definito community standard – almeno laddove non sia
602
Child Pornography Prevention Act, 1996, section 2256 (8), reperibile in
http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c104:H.R.4331.IH:.
603
La sentenza richiamata dalla Corte è quella risolutiva della nota controversia Miller
v. California, 413, U.S. 15 (1973). Per una definizione di obscenity, si veda anche la
precedenza sentenza Roth v. United States, 354, U.S. 476, (1957), reperibile in
http://www.law.cornell.edu/supct/html/historics/USSC_CR_0354_0476_ZS.html.
604
Si fa riferimento a New York v. Ferber, 458, U.S. 747 (1982).
249
espressione di un valore artistico, letterario): ―the Government must prove
that the work, taken as a whole, appeals to the prurient interest, is patently
offensive in light of community standards, and lacks serious literary,
artistic, political, or scientific value‖605.
Nella sentenza New York v. Ferber, invece, la Corte Suprema aveva
sostenuto che la ratio del reato di pedopornografia – per essa intendendosi
detenzione e distribuzione di materiale pedo-pornografico – stava proprio
nella tutela dell‘integrità psicofisica del minore e che l‘incriminazione della
condotta di creazione o distribuzione di materiale pedopornografico di per
sé implicava un abuso sul minore e, dunque, un danno al sereno sviluppo
della sua personalità, proprio in quanto si presupponeva che le immagini o i
video fossero realizzati con ―actual child‖.
Il Congresso, introducendo nel CPPA la fattispecie di reato di
―pedopornografia virtuale‖, ha voluto ampliare l‘ambito delle condotte
punibili, le quali, si presuppone, causerebbero al minore un vulnus indiretto:
―materials threaten children in others, less direct, ways‖.
Gli argomenti portati dal Congresso a sostegno della legittimità del
reato in questione sono essenzialmente due:
1. Il pericolo della lesione dell‘integrità psico-fisica del minore,
ancorché indiretta.
2. La convinzione che la pedopornografia virtuale potrebbe
incoraggiare, da un lato i minori a partecipare a certe attività a carattere
sessuale, dall‘atro i pedofili a sfogare i propri istinti sessuali sui minori
attraverso immagini pedo-pornografiche reali e, dunque, incrementare la
605
Ashcroft, Attorney General et alii v. Free Speech Coalition et alii, 535, U.S. 234
(2002),
reperibile
in
http://w2.eff.org/legal/cases/ACLU_v_Reno_II/20020513_supreme_decision.pdf. Per un
commento alla sentenza, si veda S.A. MOTA, The U.S. Supreme Court Addresses the
Child Pornography Prevention Act and Child Online Protection Act in Ashcroft v. Free
Speech Coalition and Ascroft v. American Civil Liberties Union, in Federal
Communications Law Journal, vol. 55, n. 1, p. 85-98, ma anche in
http://www.law.indiana.edu/fclj/pubs/v55/no1/mota.pdf.
250
creazione e la distribuzione di immagini pedo-pornografiche create
attraverso l‘abuso sessuale e l‘adescamento di minori reali.
Il danno, in tal caso, come sottolinea la Corte Suprema, deriverebbe
dal contenuto dell‘immagine, non più dalla modalità utilizzata per la sua
produzione.
In verità, il Congresso sottopone alla Corte anche una questione di carattere
probatorio. Data la continua e incessante evoluzione tecnologica e la
riproduzione fedelissima di immagini ―virtuali‖ di minori rispetto a quelle
―reali‖, con l‘introduzione della norma incriminatrice del CPPA si potrebbe
evitare che un soggetto, che abbia abusato di minori e sfruttato gli stessi ai
fini della creazione o distribuzione di materiale pedo-pornografico, possa
sfuggire alla pena prevista per il reato di detenzione o distribuzione di tale
contenuto illecito semplicemente sostenendo che si tratti di immagini
realizzate con mezzo elettronico e, dunque, non integranti fattispecie di
reato.
Di fronte a tale strenua difesa della norma incriminatrice, da parte del
Congresso, la Corte Suprema segue un ragionamento che appare, quanto
meno logicamente, ineccepibile.
Innanzitutto, fa menzione della norma che s‘intenderebbe violata dalla
fattispecie di reato, il First Amendment della Costituzione americana, il
quale dispone: ―Congress shall make no law…abridging the freedom of
speech‖.
Ciò non toglie che il Congresso possa, come in verità aveva già fatto,
emanare una valida normativa a tutela dei minori con l‘esplicito fine di
―proteggere i minori dall‘abuso sessuale degli adulti‖ ma, ricorda la Corte,
―the prospect of crime, however, by itself does not justify laws suppressing
protected speech…The fact that society may find speech offensive is not a
sufficient reason for suppressing it‖606.
606
Concetto già espresso dalla Corte Suprema, nel noto e citato caso Reno, Attorney
general of the United States, et alii v. American Civil Liberties Union, U.S. 511 (1997),
251
Come principio generale, infatti, sostiene la Corte, ―the first
Amendment bars the government from dictating what we see or read or
speak or hear. The freedom of speech has its limits; it does not embrace
certain categories of speech, including defamation, incitement, obscenity,
and pornography produced with real children‖.
In altre parole, è certo che un limite al free speech può e deve essere
rappresentato dalla pedopornografia, ma laddove essa sia reale, laddove
cioè, sia offensiva della personalità e della dignità del minore tutelato.
Il CPPA, a ben vedere, secondo la Corte non è in linea con quanto
stabilito nella sentenza Miller e con il limite della pedopornografia
disegnato nelle precedenti sentenze e qui ribadito: infatti, non è nemmeno
richiesto, affinché si consumi il reato, che il materiale richiami istinti
libidinosi; ogni immagine che rappresenti condotta sessualmente esplicita è
proscritta, a prescindere dal suo eventuale valore artistico-letterario.
Alla luce di ciò, la Corte ha ritenuto che il CPPA proibisce lo speech
in via eccessiva, poiché gli estremi di una fattispecie di reato in questione
non sono idonei a offendere vittime minori, in ragione della produzione di
immagini solo fittizie.
La pedopornografia virtuale non è di per sé ―intrinsecamente legata‖
all‘abuso sessuale sui minori, elemento ineludibile del materiale pedopornografico (come affermato nel caso Ferber).
E, anche se il Governo ha sostenuto che le immagini potrebbero
condurre a reali abusi su minori, va sottolineato che il collegamento causale
è solo contingente e indiretto. Il danno, infatti, non segue necessariamente
all‘immagine, al discorso, al video diffuso o creato, ma dipende da una non
quantificata probabilità che a essi susseguano ulteriori atti criminali a danno
dei più piccoli.
argued March 19, 1997 – Decided June, 26, 1997,
http://www.supremecourt.gov/opinions/boundvolumes/521bv.pdf.
reperibile
in
252
La Corte, dunque, giunge a dichiarare incostituzionale la norma di cui
al CPPA, per diretta violazione del Primo Emendamento607. Già in
precedente giurisprudenza, del resto, la Corte aveva sostenuto che lo Stato
non può limitare la popolazione adulta all‘ascolto o alla ricezione di ciò che
non è nocivo per i bambini e non può vietare l‘accesso a contenuti legittimi
per l‘adulto semplicemente perché essi sono anche potenzialmente
accessibili da un minore: ―the mere tendency of speech to encourage
unlawful acts is not a sufficient reason for banning it‖.
―The Government‖, sostiene la Corte, ―may suppress speech…only if
such advocacy is directed to inciting or producing imminent lawless action
and is likely to incite or produce such action…Without a significantly
stronger, more direct connection, the Government may not prohibit speech
on the ground that it may encourage pedophiles to engage in illegal
conduct‖608.
A seguito della sentenza, Il Congresso è intervenuto a modificare la
fattispecie di reato di pedopornografia virtuale609. La condotta di detenzione
o diffusione di materiale pedopornografico virtuale è passibile di
incriminazione solo laddove il materiale sia formato almeno in parte da
immagini di minore reale riconoscibile, o quando, ancorché totalmente
virtuale, l‘immagine sia indistinguibile da quella di un minore reale e lo
rappresenti nelle sue fattezze.
607
Ashcroft, Attorney General et alii v. Free Speech Coalition et alii, 535, U.S. 234
(2002), Opinion of Court: ―the speech within the rights of adults to hear may not be
silenced in an attempt to shield children from it‖.
608
Interessante anche la posizione del giudice O‘ Connor, che assume una posizione
intermedia tra l‘opinione decisiva della Corte e la Dissenting Opinion. Le diverse
posizioni
sono
tutte
reperibili
in
http://w2.eff.org/legal/cases/ACLU_v_Reno_II/20020513_supreme_decision.pdf.
609
Il riferimento è al Prosecutorial Remedies and other tools to end the exploitation of
Children Today Act of 2003, che riforma the section 2256 del U.S. Code. Il testo è
reperibile in http://www.gpo.gov/fdsys/pkg/PLAW-108publ21/pdf/PLAW-108publ21.pdf.
Per una disamina cronologica degli interventi legislativi a tutela dei minori, di veda la
pagina http://www.ojp.usdoj.gov/smart/legislation.htm.
253
Dopo aver ripercorso a grandi linee la posizione di diversi Stati sul
tema, e riconoscendo una chiara, quanto ovvia, posizione più forte espressa
dall‘America, in cui la freedom of speech difficilmente riesce a sortire limiti
riconosciuti legittimi, va evidenziata una generale difficoltà dei legislatori
nazionali nell‘intervenire in una materia tanto delicata, specie alla luce del
progresso tecnologico, che spinge nel senso della prevenzione e della
severità di disciplina.
In verità, la fattispecie di pedopornografia virtuale, reato di pericolo
ipotetico, non è che una risposta all‘ansia della regolazione che la
tecnologia contribuisce a incrementare e si mostra come la più compiuta
realizzazione della legislazione dell‘emergenza, figlia del timore del
diffondersi di costumi inappropriati e lascivi e del nascere di nuovi pericoli
che attentano a valori condivisi.
Anche astenendosi dal dare un giudizio di valore sull‘unica posizione
più ferma in materia, quella americana, specie perché figlia di una cultura
giuridica in cui tutto è potenzialmente speech610, va, però, segnalata una
tendenza pericolosa. Pertanto, si ritiene che la necessità di regolare i
fenomeni on line, che diventano espressione dell‘estensione della
personalità del singolo nella società, non dovrebbe cedere il passo a
un‘iper-regolazione611 dei fenomeni della Rete, poiché essa non può che
610
Si pensi che, anche rispetto al caso di una legge della California che vietava
diffusione di videogiochi contenuto violento e osceno, la Corte Suprema ha difeso il free
speech, bollando tale legge come costituzionalmente illegittima. Si veda, a riguardo,
Brown, Governor of California et alii v. Entertainment Merchants Association et alii, 564
U.S. (2011), reperibile in http://www.supremecourt.gov/opinions/10pdf/08-1448.pdf.
611
Si segnala, infatti, la fattispecie di reato del Grooming (adescamento del minore),
oggi prevista all‘art. 609 undecies c.p., che punisce la condotta di chi compia qualsiasi
atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in
essere anche mediante l‘utilizzo della rete Internet o di altre reti o mezzi di
comunicazione, entrato in vigore a seguito della promulgazione della legge n. 172 del
2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote. Anche qui, come si vede, la soglia di
punibilità è decisamente anticipata al momento del pericolo, in tal caso però, reale,
ancorché presunto.
254
tradire la stessa ratio dell‘intervento legislativo e, soprattutto, creare strappi
e deroghe eccessivamente ampi al tessuto costituzionale612.
2. La disciplina della stampa on line: tra “scritto” e “pubblicato”
La stampa on line è ormai un fenomeno estremamente diffuso.
Esistono, infatti, testate giornalistiche registrate che operano sia su cartaceo
sia on line e altre che operano solo in Rete. Accanto a tale realtà trova
spazio l‘enorme diffusione di blog d‘informazione – si tratta del fenomeno
del c.d. giornalismo partecipativo613 – e di intere pagine di social network
dedicate alla diffusione più ampia possibile di notizie di ogni genere.
La smisurata espansione di questo fenomeno ha comportato una serie
di equivoci iniziali – per vero, ora smentiti da consolidata giurisprudenza –
forieri di veloci quanto inadeguate e irragionevoli equiparazioni. Infatti, il
punto focale del dibattito sul tema ha riguardato la possibilità di estendere
l‘applicazione della normativa sulla stampa a qualsiasi pubblicazione on
line, sia pure non oggetto di pubblicazione giornalistica.
612
Si tenga presente, infatti, che dottrina e giurisprudenza dominante sono orientate a
ritenere che non si possano sic et simpliciter punire i c.d. atti preparatori alla
commissione del fatto di reato (concetto deducibile a contrario dalla previsione della
punizione del tentativo di delitto solo laddove gli atti compiuti siano univoci e idonei alla
realizzazione del fatto tipico). Per tutti, si veda F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte
generale, Cedam, 2007, p. 435.
613
Sul punto, si veda A. PAPA, La disciplina della libertà di stampa alla prova delle
nuove tecnologie, in Dir. inf. informatica, 2011, 03, p. 447 ss., che mette in luce il
problema dell‘identificabilità del tipo di attività svolta on line. In nota 3, l‘Autrice così si
esprime: ―I blog partecipativi si pongono in posizione autonoma rispetto ai mass media
tradizionali, sebbene esista ormai una sorta di osmosi tra i due ambiti…La linea di
demarcazione tra stampa on line e blog di informazione si presenta talvolta di difficile
determinazione. In alcuni Paesi non è vi è bisogno di tracciarla, dal momento che non è
prevista alcuna disciplina né per l‘una né per l‘altra; in altri Stati, invece, come in Italia,
la mancanza di criteri per individuare quali forme non convenzionali di informazione in
Rete presentino i caratteri dell‘informazione professionale rischia di creare una disparità
di trattamento tra fattispecie apparentemente diverse la di fatto accomunate dalla
medesima finalità‖.
255
In verità, come evidenziato, il problema ―consiste anche nel valutare
se principi costituzionali o moduli legislativi finora sperimentati siano
idonei ancora adesso a disciplinare con efficacia il fenomeno della
stampa‖614.
Prima di affrontare, però, il dibattito sul tema, corre d‘obbligo una
premessa sul regime della stampa cartacea e sul diritto di cronaca, utile ai
fini della scelta della posizione da assumere in merito al dibattito
dell‘estensione della portata delle norme in questione alle nuove realtà.
Va detto, innanzitutto, che i confini delle attività riconducibili al
settore in oggetto sono vastissimi e la loro eterogeneità, insieme alla rapida
trasformazione sociale, tecnologica e politica, ha comportato una modifica
nell‘attività di stampa, intesa anche come attività di riproduzione meccanica
di uno scritto o di una rappresentazione grafica in più copie, con
conseguente diffusione al pubblico delle stesse615.
Sono quattro i significati che possono attribuirsi al termine stampa:
manifestazione del pensiero espresso attraverso la forma stampata, mezzo
di diffusione del pensiero, attività svolta dalla categoria professionale dei
giornalisti616, attività dell‘impresa editoriale617.
La dottrina comunemente distingue tra due diversi aspetti: la libertà di
stampa, che corrisponde ai primi due profili sopra evidenziati, e la libertà
della stampa, attinente invece agli altri due profili, più vicini all‘esercizio
dell‘attività a carattere professionale e alle peculiarità dell‘impresa editrice.
614
U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 1990, p.
579.
615
Ibidem, p. 577.
Va detto che parte della dottrina ha inquadrato l‘attività giornalistica come un dato
di fatto, poiché essa consisterebbe nell‘attività di pensiero. In altre parole, l‘attività
giornalistica non sarebbe qualcosa di diverso da una forma qualificata di esercizio della
libertà di manifestazione del pensiero. In questo senso, si veda A. PUGIOTTO, L‟ordine
irrazionale. L‟ordine dei giornalisti nella giurisprudenza costituzionale, in A.
PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – A. RUGGERI – A. SAITTA – G. SILVESTRI (a cura di),
Libertà di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, 2005, p.
179-205.
617
Così G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), in Enciclopedia
giuridica, XXX, Roma, 1993, p. 2.
616
256
Tale distinzione non può e non deve far perdere di vista il valore
garantito espressamente dall‘art. 21 Cost. – dedicato in buona parte a dettare
il quadro normativo di riferimento del mezzo di comunicazione di massa in
questione – che consiste nella maggiore ampiezza possibile della libertà di
stampa. Taluni aspetti di essa, quali appunto l‘assetto dell‘impresa
editoriale e la restrizione dei contenuti veicolabili potrebbero, infatti,
incidere in modo determinante sul contenuto della libertà.
La necessità, sentita dal Costituente, di garantire il massimo accesso al
mezzo e il più ampio contenuto di libertà ai soggetti che esercitano il diritto,
nonché la volontà di configurare la libertà di stampa come libertà
―autonoma e dotata di un fondamento costituzionale più largo di quello
apprestato dall‘art. 21‖618, ha comportato l‘affermarsi di una teoria
funzionale della libertà di stampa. Il diritto di attingere notizie dalle diverse
fonti e, conseguentemente, di informare diffondendole al pubblico,
trarrebbe giustificazione proprio dalla necessità di nutrire e formare le
coscienze, essendo funzionale alla realizzazione del diritto a essere
informati.
In altre parole, intendere la stampa come una libertà specifica619, in
quanto individuata sulla base di un particolare mezzo di diffusione del
pensiero ed esercitata non da ―tutti‖ ma dai soggetti professionalmente
competenti e idonei all‘esercizio di tale attività, ha comportato la creazione
della teoria ―funzionale‖, in contrapposizione a quella ―individualistica‖, di
618
Ivi.
Sul punto, P. COSTANZO, Stampa (libertà di), in Digesto delle discipline
pubblicistiche, 1999, in questi termini: ―è agevole constatare come, nella modellistica
costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di stampa abbia quasi
sempre ottenuto una posizione di primo piano tanto da poter essere considerata
autonomamente e da reagire persino sulla libertà ‗madre‘, inoltre oscurando o relegando
in second‘ordine altri diversi aspetti strumentali...Del resto, sembra essersi verificato
assai presto l‘abbandono di una visione strettamente individuale del fenomeno, ritenuta,
non senza ragione, di scarsa o marginale consistenza, prendendosi invece atto che la
libertà di stampa esige normalmente per il suo esercizio attuativo complesso e
scomponibile in varie fasi, nelle quali soggetti ulteriori rispetto al vero e proprio
‗manifestante‘ interpretano ruoli non meno essenziali per l‘effettiva libertà in parola‖.
619
257
cui si è già discusso in ordine alla più generale libertà di manifestazione del
pensiero620.
Per quanto attiene a quella funzionale, dal dovere dello Stato di
garantire che la stampa sia idonea a soddisfare l‘interesse generale discende
la configurazione di tale mezzo di diffusione come ―servizio pubblico‖.
L‘attività giornalistica sarebbe, in altri termini, una pubblica funzione, da
tutelare in quanto tale e, dunque, come interesse superindividuale, il quale
contribuirebbe ad allargare i confini del diritto di cronaca621.
In verità, alla qualificazione della stampa come servizio pubblico non
corrisponde necessariamente una concezione funzionalistica della libertà in
parola.
Infatti, mentre secondo parte della dottrina622 qualificare in tal senso la
libertà di stampa, legandola inscindibilmente all‘esigenza della comunità di
essere
destinataria
di
notizie
sufficientemente
complete,
avrebbe
comportato la legittimazione di una legislazione illiberale, traducibile in un
vasto limite alla libertà di manifestazione del pensiero, secondo altri,
invece, ―il concetto di servizio pubblico623 non corrisponde alla necessità di
un modulo organizzativo nel quale sia necessario o anche solo legittimato
un potere pubblico di gestione od anche di controllo ininfluente nel merito
dell‘attività posta in essere…Anzi, vi sono dei principi costituzionali che
620
Si veda a riguardo il primo paragrafo di questo Capitolo.
G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), cit.
622
In tal senso, C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione
del pensiero
nell‟ordinamento italiano, cit., p. 29 ss.; C. CHIOLA, L‟informazione nella Costituzione,
cit., 63 ss.; G. CUOMO, Libertà di stampa ed impresa giornalistica, Napoli, 1956, p. 288
ss.; L. PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d‟informazione: le problematiche attuali, in
Quaderni costituzionali, 1987, p. 52 ss.; M. LUCIANI, La libertà di informazione nella
giurisprudenza costituzionale italiana, in Politica del diritto, 1989, p. 619 ss.; M.
MAZZIOTTI DI CELSO, Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero
nell‟ordinamento italiano, in Scritti in onore di V. Crisafulli, II, Padova, 1985, p. 531 ss.
623
Sulla difficoltà di inquadrare la stampa come un servizio pubblico, in ragione della
difficoltà di definirne gli aspetti essenziali e le situazioni spettanti ai soggetti interessati,
si veda A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, I volume, II
edizione, Padova, 1992, p. 426 ss.
621
258
alcune volte impongono servizi pubblici caratterizzati dalla loro gestione
tramite soggetti autonomi, che esercitano una o più libertà‖624.
D‘altra parte, la concezione individualistica ritiene che sia da negare
l‘autonomia della libertà di stampa, considerata strumentale alla
realizzazione della più generale libertà di manifestazione del pensiero. In
quest‘ottica, non ci si troverebbe di fronte a due distinte libertà, ma alla
stessa libertà, intesa prima nel suo aspetto sostanziale e poi in quello
strumentale. Se così fosse, però, dovrebbe ritenersi che esse hanno identico
contenuto e sottostanno agli stessi limiti625.
Va detto, però, che, anche volendo riconoscere la stampa solo come
strumento di realizzazione della libertà di parola, sembra necessario
evidenziare una differenza di fondo: la normativa che, in attuazione della
Costituzione, disciplina il settore della stampa, è chiaramente conformata
alle peculiari caratteristiche dello strumento di cui si tratta. Operare, infatti,
un‘equiparazione in termini assoluti creerebbe una serie di problemi di
carattere interpretativo di non facile soluzione. Anche se la libertà è la
medesima, in altre parole, la disciplina del mezzo di diffusione del
contenuto non può che essere diversa a seconda dello strumento: altro è
parlare in una piazza, altro è scrivere un articolo di giornale.
Ciò detto, si apre, proprio sul punto, lo scenario delle nuove tecniche
editoriali
e
dell‘espansione
che,
in
conseguenza
dell‘evoluzione
tecnologica, ha interessato le forme di manifestazione del pensiero, nonché,
più specificamente, il settore dell‘informazione.
In primo luogo va fatta una precisazione. Il primo comma dell‘art. 21
Cost. recita ―tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la
624
Queste le parole di U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 628. Nello stesso
senso, si vedano anche C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1969, p.
972 ss.; A. PIZZORUSSO, Lezioni di diritto costituzionale, Roma, 1984, p. 102 ss.; A.M.
SANDULLI, La libertà di informazione, in Problemi giuridici dell‟informazione, p. 15 ss.
625
G.A. VENEZIANO, Stampa, 1) Libertà di stampa, (voce), cit., p. 2. Sul punto, anche
F. MANTOVANI, Mezzi di diffusione e tutela dei diritti umani, in Archivio giuridico, 1968,
p. 356 ss.
259
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione‖. Il Costituente sembra far
riferimento allo scritto come a una generale forma di manifestazione del
pensiero, traducibile in una veste grafica, ancorché non necessariamente
cartacea, indipendente, dunque, dalla più specifica disciplina prevista per la
stampa626.
Sulla base di questa considerazione e nell‘ottica di un‘interpretazione
evolutiva, ma non peregrina, della lettera della Costituzione, non sembra
contestabile che i messaggi diffusi nel web – intendendo per essi i
commenti e i post in un blog, la creazione stessa di un sito web, i messaggi
lasciati in un forum di discussione – rientrino nella forma di ―scritto‖, di cui
al primo comma dell‘art. 21 Cost.
La prima problematica posta, in ragione di questa evidente
constatazione, è stata quella della possibile riconduzione627 delle realtà
appena elencate al regime della stampa, solo perché espressioni del pensiero
in forma scritta. Dunque, il fatto che tutto ciò che si scrive e si immette in
Internet, viene, per così dire ―pubblicato‖ nel web, ha determinato il sorgere
di un primo equivoco, che nasce dall‘equiparazione dello ―scritto‖, inteso in
senso ampio, al ―pubblicato‖, pensato in ragione dell‘immedesimazione tra
la Rete e un organo di stampa.
Quale la disciplina e quale la ratio del regime giuridico della stampa?
La legge sulla stampa, n. 47 del 1948, elaborata dalla stessa Assemblea
Costituente, all‘art. 1 prevede: ―Sono considerate stampe e stampati, ai fini
Sulla necessità di distinguere il riferimento allo ―scritto‖ dalla pubblicazione a
mezzo stampa, si veda già U. DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 626, in questi
termini: ―Più in generale, c‘è da notare il fatto che nell‘art. 21 Cost. ci si riferisce
esplicitamente alla stampa, pur dopo aver garantito la libertà di manifestazione del
pensiero tramite ogni mezzo di diffusione, ma ciò rischierebbe di non aver nessun
significato concreto se non comportasse anche alcune conseguenze sul regime giuridico
delle varie fasi produttive e distributive in cui consiste la stampa ed in assenza delle quali
si ha semplicemente una individuale forma di manifestazione in forma scritta‖.
627
Si veda a riguardo C. DI LELLO, Internet e Costituzione: garanzia del mezzo e suoi
limiti, in Dir. inf. informatica, 2007, p. 903 ss.; E. NANIA, L‟estensione ad Internet del
regime giuridico della stampa, in Nomos, vol. 3, 2002, p. 155 ss.; nonché già R.
CATALANO, Il regime giuridico della stampa elettronica e dei “siti” Internet, in Dir. e
giur., 1997, p. 194 ss.
626
260
di questa legge tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con
mezzi meccanici o fisio-chimici, in qualsiasi modo destinate alla
pubblicazione‖. La legge, inoltre, prescrive, all‘art. 2, per la stampa
generica, l‘obbligo di indicare luogo e anno di pubblicazione, nome e
domicilio dello stampatore e dell‘editore (se esiste) e, per quella periodica,
l‘obbligo di riportare anche il nome del proprietario e del direttore o vice
direttore responsabile, assoggettando poi all‘art. 5 la pubblicazione dei
periodici alla registrazione presso la cancelleria del tribunale nella cui
circoscrizione si attui la pubblicazione.
La registrazione, prevista come condizione di legittimità628 per
l‘esercizio della libertà di stampa, per i periodici, non ha alcun fine di
controllo sul contenuto, ma è stata pensata in funzione preventiva di
individuazione dei soggetti responsabili di eventuali delitti commessi a
mezzo stampa. Infatti, l‘art. 16 prevede che chiunque intraprenda la
pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la
registrazione prescritta all‘art. 5, è punito per il reato di stampa clandestina.
Del pari, per chi pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti
il nome dell‘editore né quello dello stampatore o nel quale essi siano
indicati in modo non conforme al vero629. È evidente, dunque, che la
registrazione e gli obblighi di trasparenza non sono pensati in un‘ottica
limitativa della libertà ma, di contro, per l‘indicazione dei responsabili in
funzione di tutela dei singoli, eventualmente lesi dall‘illegittimo esercizio
del diritto di cronaca.
Sul fatto che l‘introduzione della registrazione, come condizione per l‘esercizio
legittimo del diritto, sia limitativa della libertà di stampa, e sulla capacità di rafforzare la
natura libertaria della legge n. 47 del 1948, proprio in quanto unica condizione, si veda U.
DE SIERVO, Stampa (dir. pubbl.), cit., p. 589.
629
Va detto che, per l‘inosservanza delle disposizioni dettate all‘art. 2 della legge sulla
stampa, è stata prevista la depenalizzazione, ai sensi dell‘art. 32 della legge n. 289 del
1981.
628
261
Alla luce della suddetta normativa, sembra davvero ragionevole una
totale equiparazione tra gli articoli pubblicati a mezzo stampa e qualsivoglia
pubblicazione nel web?
Può di certo affermarsi che, quando s‘immette un‘informazione nel
web in forma scritta, si rende disponibile al pubblico quell‘informazione,
intendendosi per ―destinatario‖ chiunque acceda a quella pagina
volontariamente o chiunque ci si imbatta attraverso i motori di ricerca.
Parte della dottrina630 ha sostenuto che l‘equiparazione, non di facile
soluzione se si fa riferimento alla definizione di stampa ancora vigente nel
nostro ordinamento, si renderebbe necessaria proprio sulla base della ratio
delle norme dettate in materia di stampa. In altre parole, dato che le norme
della legge n. 47 del 1948 sono dettate per controllare un‘attività che può
essere ―fonte di danni‖, a maggior ragione le limitazioni dovrebbero valere
per le pubblicazioni on line, oggi foriere di danni all‘onore e alla
reputazione talvolta più gravi di quelli commessi a mezzo stampa, poiché le
informazioni immesse in Rete restano in Internet e possono causare danni
anche col trascorrere del tempo631.
630
In questo senso, L. BOCCIANO, Nuovi spunti sulla stampa telematica alla luce della
l. 7 marzo 2001, n. 62, in Giur. it., 2002, p. 1309 ss.
631
A questo problema, ha tentato di dare una valida risposta la Corte di Cassazione,
che, con sentenza n. 5525 del 2012, ha conferito legittimazione al diritto all‘oblio in rete.
Quali i termini della questione? Il fatto. Un soggetto richiede al Garante per la protezione
dei dati personali un provvedimento di rimozione dei propri dati giudiziari, aventi ad
oggetto un suo arresto avvenuto molti anni prima (vicenda poi conclusasi favorevolmente
per il ricorrente), in ragione del fatto che la notizia dell‘arresto, presente nell‘archivio
storico del sito www.corriere.it, fosse facilmente raggiungibile attraverso l‘indicizzazione
operata dai motori di ricerca. Il Garante rigetta la richiesta. A questo punto, il soggetto si
rivolge al Tribunale di Milano con domanda ―di spostamento‖ dell‘articolo in questione
―in un‘area del sito web non indicizzabile dai motori di ricerca‖ o di ―integrazione
dell‘articolo con le notizie inerenti agli sviluppi successivi della vicenda narrata, anche
con modalità tecniche non modificative della struttura originaria dello scritto‖. Il
Tribunale respinge l‘opposizione del ricorrente al rigetto del Garante e la richiesta di
spostamento dell‘articolo, argomentando che esso ―non può essere tecnicamente inteso
come una nuova pubblicazione‖, che ―la ricerca effettuata attraverso i comuni motori –
non direttamente legata all‘articolo del Corriere della Sera – dà, in realtà, contezza degli
esiti processualmente favorevoli‖ e, infine, che non può chiedersi la rimozione di un
articolo allora pubblicato in modo assolutamente lecito (esistevano verità, attualità e
continenza). Avverso la sentenza del Tribunale viene, dunque, proposto ricorso per
Cassazione, con unico complesso motivo, per violazione degli art.i 2, 7, 11, 99, 102, 150,
262
152 del d.lgs. n. 196 del 2003, degli art.i 3, 5, 7 del Codice di deontologia e buona
condotta per il trattamento dei dati personali per scopi storici, in riferimento all‘art. 360, I
comma, n. 3, c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul
punto decisivo della controversia. La Corte di Cassazione, dopo aver stabilito i principi di
diritto che disegnano l‘ampiezza del diritto alla riservatezza, così dispone: ―Il d.lgs. n.
196 del 2003 ha sancito il passaggio da una concezione statica a una concezione dinamica
della tutela della riservatezza, tesa al controllo dell‘utilizzo e del destino dei dati.
L‘interessato è divenuto compartecipe nell‘utilizzazione dei propri dati personali…La
liceità del trattamento trova fondamento anche nella finalità del medesimo, quest‘ultima
costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali,
che fonda l‘attribuzione all‘interessato del potere di relativo controllo, con facoltà di
orientarne la selezione, la conservazione e l‘utilizzazione‖. In altre parole, il titolare dei
dati personali ha diritto a che essi vengano adoperati per ragioni pertinenti allo scopo, non
solo in applicazione del d.lgs. n. 196 del 2003, ma anche rispetto a un più generale
principio di correttezza (quale corollario di un generale principio di solidarietà sociale),
che trova applicazione anche in materia di responsabilità extracontrattuale. ―Se l'interesse
pubblico sotteso al diritto all'informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto
fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è
correlativamente attribuito il diritto all‘oblio (v. Cass., 9/4/1998, n. 3679), e cioè a che
non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino
ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati… ), il diritto all‘oblio
salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell'identità personale, l‘esigenza del soggetto
di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione
della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall'accadimento del fatto che costituisce
l'oggetto) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più
giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell'esplicazione e nel godimento
della propria personalità… Il soggetto cui l'informazione oggetto di trattamento si
riferisce ha in particolare diritto alla verità della propria immagine nel momento storico
attuale… Emerge allora la necessità, a salvaguardia dell'attuale identità sociale del
soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e
l‘aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della
notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l‘evoluzione della
vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi
dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che
costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo… Con riferimento alla
rete internet non si pone allora un problema di pubblicazione o di ripubblicazione
dell‘informazione, quanto bensì di permanenza della medesima nella memoria della rete
internet e, a monte, nell‘archivio del titolare del sito sorgente. Se il passaggio dei dati
all‘archivio storico è senz‘altro ammissibile, ai fini della liceità e correttezza del relativo
trattamento e della relativa diffusione a mezzo della rete internet è indefettibilmente
necessario che l‟informazione e il dato trattato risultino debitamente integrati e
aggiornati… Se pertanto come nella specie l‘interesse pubblico alla persistente
conoscenza di un fatto avvenuto in epoca (di molto) anteriore trova giustificazione
nell‘attività (nel caso, politica) svolta dal soggetto titolare dei dati, e tale vicenda ha
registrato una successiva evoluzione, dall‘informazione in ordine a quest'ultima non può
invero prescindersi, giacché altrimenti la notizia, originariamente compieta e vera,
diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente
non vera… Appare al riguardo invero necessaria una misura che consenta l'effettiva
fruizione della notizia aggiornata, non potendo (diversamente da quanto affermato dal
Garante nella memoria) considerarsi in proposito sufficiente la mera generica possibilità
di rinvenire all‘interno del ―mare di internet‖ ulteriori notizie concernenti il caso di
specie, ma richiedendosi la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a
263
Va detto, però, che il criterio teleologico, il quale – vedremo in
seguito – comunque non risulta di per sé risolutivo, non può essere
totalmente soppiantato da quello letterale, che pretende innanzitutto di
valutare se un‘interpretazione estensiva o analogica della normativa in
questione possa essere applicata al fenomeno telematico.
Alla luce della definizione normativa, è possibile definire la stampa
sulla base di un criterio ontologico e uno teleologico. Infatti, è stampa ciò
che si ottiene attraverso l‘utilizzo di macchine tipografiche o altri mezzi
meccanici o fisio-chimici e che è diffuso a un pubblico indeterminato.
―Ora, è evidente che nella telematica non vi è una riproduzione
tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisio-chimici, in qualsiasi
modo destinata alla pubblicazione. I termini utilizzati sono tecnici e dunque
precisi, e non possono estendersi a mezzi che si basano su tecniche
profondamente diverse e non costituiscono nemmeno una evoluzione di
quelle della stampa‖632.
La dottrina633, peraltro, ha sottolineato che nemmeno la dizione ―in
qualsiasi modo destinate alla pubblicazione‖ potrebbe giustificare
margine) la sussistenza nel caso di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso
sia, consentendone il rapido ed agevole accesso ai fini del relativo adeguato
approfondimento‖. Dunque, proprio per le caratteristiche della Rete, è necessario che la
notizia venga completata attraverso un link o un banner, che faccia riferimento ai fatti
avvenuti in seguito.
Si vedano, però, in senso contrario, Corte di Cassazione, sentenza n. 11597 del 2011 e
Tribunale di Bari, Sez. I, 27 settembre 2008.
A commento della sentenza, si vedano C. CITARELLA, Aggiornamento degli archivi on
line, tra diritto all‟oblio e rettifica “atipica”, in Resp. civ. e prev., 2012, 4, p. 1155 ss.; G.
FINOCCHIARO, Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione
dell‟informazione, in Dir. inf. informatica, 2012, 03, p. 383 ss.; F. DI CIOMMO – R.
PARDOLESI, Dal diritto all‟oblio in Internet alla tutela dell‟identità dinamica. È la Rete,
bellezza!, in Danno e Resp., 2012, 7, p. 701. Sul tema, si veda anche A. RUBINO, Minori e
privacy: una tutela rafforzata?, in G. DE MINICO (a cura di), Nuovi media e minori, cit.,
p. 99-100.
632
Chiare le parole di V. ZENO ZENCOVICH, La pretesa estensione alla telematica del
regime della stampa: note critiche, in Dir. inf. informatica, 1998, 01, p. 15 ss.
633
Ivi. D‘altra parte, come sostiene l‘Autore, anche per gli altri mezzi di diffusione del
pensiero, precedenti alla stampa e intervenuti dopo di essa – anche laddove si trattasse di
un‘attività di diffusione destinata a un numero indeterminato di soggetti maggiore di
quelli raggiungibili da un comune stampato –, non si è mai dubitato che a essi non fosse
applicabile il regime giuridico della stampa, ma che, piuttosto, fosse necessario, a tal fine,
264
l‘interpretazione estensiva della norma definitoria della stampa, poiché essa
è intimamente legata al concetto di riproduzione tipografica, elemento
assente nella telematica.
È pur vero che rilevante è stato l‘approfondimento dottrinario634 sulla
possibile estensione delle guarentigie previste per la stampa a tutti gli altri
mezzi di diffusione del pensiero635, proprio nell‘ottica della massima
un intervento legislativo nel settore di riferimento (si pensi all‘applicazione della
normativa sulla stampa, con riferimento anche ai telegiornali, disposta esplicitamente
dall‘art. 10 della legge 223 del 1990).
634
Sul punto, ampiamente C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero
nell‟ordinamento italiano, cit., p. 20-25, in questi termini: ―In via di principio, non
esistendo esplicita disposizione contraria, il divieto di misure preventive sui mezzi di
diffusione del pensiero, se pure fosse l‘unica esplicitamente sancita nel nostro testo
costituzionale, dovrebbe interpretarsi come escludente pure il potere della legge a
giudicare il contenuto dei pensieri espressi…Il testo costituzionale contempla un solo
limite al contenuto del diritto sostantivo, e cioè vieta le manifestazioni contrarie ai buoni
costumi, ed in quest‘ultimo caso autorizza esplicitamente le leggi alle misure preventive
oltre che repressive, e disciplina in maniera particolare un solo mezzo di manifestazione
di pensiero e cioè la stampa, e rispetto ad esso, pur escludendo autorizzazioni e censure,
non solo ammette la misura preventiva dell‘indicazione dei responsabili, ma consente in
caso di delitto il sequestro degli stampati e cioè un provvedimento che, successivo alla
manifestazione del pensiero, impedisce la diffusione o la ulteriore diffusione parimenti
garantita…Nelle statuizioni sui mezzi di diffusione del pensiero l‘attività legislativa
incontra un solo limite assoluto e per il resto solo prescrizioni indicative…La prescrizione
indicativa è che la disciplina dei mezzi di diffusione del pensiero sia quanto più è
possibile conforme o adeguata al raggiungimento del fine, ed in particolare che nella
disciplina dell‘uso dei mezzi siano evitate le misure preventive, le censure e le condanne,
che, per impedire le poche manifestazioni condannate, intralcerebbero o difficulterebbero
le molte manifestazioni garantite dalla Costituzione, e sottoporrebbero in modo generale a
restrizioni e ad accertamenti preventivi di conformità al diritto fatti che in via di principio
sono dichiarati dalla Costituzione conformi al diritto‖.
635
Non così, ad esempio, Corte di Cassazione, n. 10535 del 2008. Nel caso di specie la
Corte ha espressamente riconosciuto che la norma costituzionale, di cui all‘art. 21, va
interpretata in senso evolutivo, per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute e ai
nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma, da questo assunto, ―non può farsi
derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog,
forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in
blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21 Cost.,
comma 3, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi‖. A fronte,
però, di questa considerazione, la Cassazione afferma che, non dovendo considerare
queste nuove forme di espressione del pensiero assimilabili alla stampa, ad esse non
andranno estese le garanzie che la Costituzione riserva a tale particolare mezzo di
diffusione. In questi termini, con riferimento al forum di discussione: ―Si tratta di una
semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di
esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad
accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi
cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di
265
espansione del contenuto del diritto di libertà. Aderire a questa tesi non
comporta, però, necessariamente, trasferire sugli altri mezzi di diffusione di
massa anche i vincoli previsti espressamente per la stampa636.
Con
specifico
riferimento
alla
telematica,
anche
dovendosi
riconoscere che le comunicazioni in oggetto, possono includere l‘attività di
stampa quando se ne voglia ottenere una riproduzione cartacea, non può
non rilevarsi che la stessa è assolutamente eventuale, dipendendo la
riproduzione dalla scelta del soggetto che accede all‘informazione on line,
memorizzata su un server. Peraltro, non può parlarsi nemmeno di
riproduzione in senso stretto, infatti, si potrebbe decidere di stampare anche
solo una parte del messaggio pubblicato on line e, in ogni caso, la
riproduzione sarebbe effettuata solo per uso proprio e non ai fini di
diffusione al pubblico. Dunque, la ―riproduzione‖ non farebbe riferimento
al soggetto che diffonde l‘informazione, come nel caso della stampa, ma al
ricevente, sub condicione della sua personale scelta637.
Ciò nonostante, la giurisprudenza di merito, che si è imbattuta nelle
questioni sottoposte alla nostra attenzione, ha, in diversi casi, tentato
registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l‟art. 21 Cost.,
comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente
a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero‖. A
commento della sentenza, si vedano L. BACCHINI, Il sequestro di un forum on-line:
l'applicazione della legge sulla stampa tutelerebbe la libertà di manifestazione del
pensiero in Internet?, in Dir. inf. informatica, 2009, 3, p. 512 ss.; C. GIUNTA, I forum
davanti alla Cassazione: incertezze giurisprudenziali sulla nozione costituzionale di
stampa, in Giur. cost., 2009, 3, p. 2115 ss. e R. CATALANO, Ai forum di discussione in
Internet non è applicabile la disciplina sulla stampa: una sentenza della Corte di
Cassazione, in Dir. e giur., 2009, p. 75 ss.
Nel senso della doverosa interpretazione evolutiva dell‘art. 21 Cost., e la conseguente
estensione delle garanzie previste per la stampa agli altri di diffusione del pensiero,
compreso Internet, si veda M. VIGGIANO, Internet. Informazione, regole e valori
costituzionali, Jovene, 2010, p. 151-157. Nello stesso senso, più in generale, P. CARETTI,
Diritto dell‟informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione,
telecomunicazioni, teatro e cinema, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 28.
636
In tal senso, chiaramente, V. ZENO ZENCOVICH, La pretesa estensione alla
telematica del regime della stampa: note critiche, cit.
637
Ivi.
266
un‘interpretazione evolutiva della definizione di stampa, intendendo per
essa anche la pubblicazione on line, esattamente al pari di quella su carta638.
Dalle valutazioni sopra riportate, tale interpretazione non può che
apparire erronea. Infatti, il fenomeno della pubblicazione on line è
strutturalmente diverso da quello della stampa: pur verificandosi una
diffusione al pubblico delle informazioni, non esiste nella telematica
un‘effettiva riproduzione tipografica, così come intesa dalla legge sulla
stampa e, anche laddove venisse riprodotta copia cartacea sarebbe, come
visto, non opera dell‘autore dello scritto, quanto del suo ricevente, dunque
non più sorretta dalla finalità di diffusione.
In sostanza, la pubblicazione on line di un qualsiasi scritto è più
paragonabile a un messaggio lasciato in bacheca, o, paradossalmente, più
vicino al concetto del discorso affrontato in una piazza, piuttosto che
assimilabile alla stampa.
Dunque, un‘applicazione estensiva delle norme sulla stampa non è
pensabile, perché consisterebbe nel tradire lettera e finalità della norma di
legge in questione.
Resta, come unica ipotesi che accomunerebbe le due realtà,
l‘applicazione analogica, volendo far leva sulla finalità di diffusione al
pubblico, che, come visto, è conseguenza anche dell‘immissione di notizie
in Rete.
Vanno considerate, però, le peculiari conseguenze di una tale
interpretazione. Infatti, se per analogia fosse applicabile all‘intero
fenomeno Internet la disciplina sulla stampa, vorrebbe dire che ciascun
638
Così Tribunale di Roma, sentenza del 6/11/1997, reperibile in Dir. inf. informatica,
1998, p. 75 ss., nonché Tribunale di Napoli, sentenza dell‘8/8/1997, in Dir. e giur., 1997.
Entrambe le sentenze riconoscono l‘applicabilità della disciplina della stampa anche al
fenomeno Internet. In particolare, la prima statuisce l‘applicabilità diretta della legge sulla
stampa al periodico telematico, in quanto sarebbero riscontrabili in esso entrambi i
requisiti previsti dall‘art. 1 della l. n. 47 del 1948, mentre la seconda riconosce alla Rete
delle reti la qualifica di organo di stampa.
267
soggetto, anche per aprire un semplice blog o creare una pagina web,
sarebbe soggetto all‘obbligo di registrazione ex art. 2 della l. n. 47 del 1948.
A quest‘affermazione seguono due inevitabili considerazioni. La
prima: che senso avrebbe una tale equiparazione se, comunque,
l‘inadempimento dei rispettivi obblighi non potrebbe comportare la
consumazione del reato di stampa clandestina ex art. 16 della stessa legge,
in ossequio al divieto di analogia in malam partem? La seconda: se la legge
sulla stampa impone una serie di obblighi solo per i periodici (art. 5 l. 47
del 1948) e prevede per gli stessi l‘applicazione della sanzione penale in
caso di disobbedienza, sulla base di quali criteri va stabilito se una
pubblicazione on line è assimilabile al periodico cartaceo?
Di fronte a quest‘ultimo quesito la giurisprudenza non è stata
unanime. Particolarmente interessante risultano le motivazioni della
sentenza del Tribunale di Salerno, del 18/01/2001. Per la prima volta,
infatti, il giudice di merito ha riconosciuto l‘impossibilità logica e tecnica,
prima che giuridica, di una tale equiparazione. Se ogni pagina web
rappresenta di per sé una pubblicazione, e la periodicità consiste nel
costante aggiornamento della stessa, ogni sito web, e dunque, ogni pagina
internet, sarebbe da considerare un periodico on line. Peraltro, non solo
risulterebbe irragionevole una tale equiordinazione, in ragione della
strutturale differenza tra i due fenomeni – senza considerare l‘inadeguatezza
del linguaggio per il fenomeno telematico –, quanto, soprattutto, non
sarebbe utile a realizzare il fine della norma, che resta quello di garantire la
conoscenza dei soggetti che esercitano il diritto di cronaca, al fine di poter
conoscere i responsabili di eventuali reati.
D‘altra parte, però, si registrano pronunce giurisprudenziali di segno
opposto639, orientate alla doverosità della registrazione di ciascun periodico
telematico, a prescindere dal fatto che fosse o meno la riproduzione di un
periodico cartaceo.
639
Si veda, per tutte, Tribunale di Roma, sentenza del 6/11/1997.
268
In questo quadro, l‘intervento legislativo640, atteso in ragione della
necessità di fare chiarezza sulla portata e sull‘ambito di applicazione delle
norme che disciplinano i mezzi di comunicazione di massa, giunge nel
2001, con l‘introduzione del concetto di ―prodotto editoriale‖, che, pur
presentandosi
dell‘evoluzione
come
una
soluzione
tecnologica
che
ai
problemi
aveva
sorti
investito
alla
il
luce
sistema
dell‘informazione, desta, invece, più dubbi di quanti non ne avrebbe dovuto
sopire.
2.1. La legge n. 62 del 2001 e l‟equivoco del prodotto editoriale
La legge n. 62 del 2001, che in epigrafe riporta ―Nuove norme
sull‘editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto del
1981, n. 416‖, all‘art. 1 introduce la figura del ―prodotto editoriale‖: ―Per
prodotto editoriale, ai fini della presente legge, s‘intende il prodotto
realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto
informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di
informazioni presso il pubblico con ogni suo mezzo, anche elettronico, o
attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con l‘esclusione dei
prodotti discografici o cinematografici…Al prodotto editoriale si applicano
le disposizioni di cui all‘articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il
prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e
contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del
prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall‘art. 5 della
medesima legge n. 47 del 1948‖.
Parte della giurisprudenza641 ha letto nella norma in questione la
definitiva e chiara equiparazione della stampa a Internet. In altre parole,
640
Il riferimento è alla legge n. 62 del 2001.
Si veda, ad esempio, Tribunale di Milano, sentenza del 15/4/2002, anche
consultabile in Dir. inf. informatica, 2002, p. 568, nonché Tribunale di Milano, sentenza
641
269
dato che, com‘è ovvio, nell‘ampia definizione normativa di prodotto
editoriale, potrebbe rientrare qualsivoglia pubblicazione on line642, ogni
pubblicazione in Rete sarebbe paragonabile alla pubblicazione a mezzo
stampa e, dunque, tutte le norme, di carattere penale o amministrativo,
previste in tema di stampa, sarebbero applicabili ai fenomeni on line.
Non concorde la dottrina643 più attenta sul tema, che, a commento
della legge, sostiene l‘inconfigurabilità di ―un generale obbligo – per
chiunque diffonda informazioni al pubblico attraverso la rete internet – di
registrare una testata munendosi di un direttore responsabile, iscritto
all‘albo dei giornalisti‖. L‘Autore fa notare, infatti, che la legge in
questione attiene ai meccanismi di erogazione di provvidenze e
agevolazioni pubbliche; non viene, dunque, scritta con l‘intento di imporre
una novità determinante nel mondo della telematica.
Del resto, Internet non può qualificarsi come un organo di stampa 644,
né può essere stata questa la finalità del legislatore nello scrivere la legge in
questione. Ciò comporta, dunque, che solo chi intende usufruire delle
provvidenze e agevolazioni previste assume l‘obbligo della registrazione e
della trasparenza sull‘assetto editoriale. Le norme in questione sono da
intendersi come oneri, non obblighi e, alla luce di ciò, la definizione a
maglie larghe di ―prodotto editoriale‖ è finalizzata a consentire la fruizione
delle provvidenze previste per l‘editoria, ancorché elettronica.
del 28/5/2002, in Dir. inf. informatica, 2003, p. 556 ss. In dottrina, sul punto, si veda G.
CASSANO – A. CONTALDO, Internet e tutela della libertà di espressione, Giuffrè, Milano,
2009, p. 185 ss.
642
Si tenga presente, infatti, che la norma non fa distinzioni. In teoria, un giornale on
line dovrebbe sottostare alla medesima disciplina del sito web amatoriale, a prescindere
dal contenuto in esso veicolato, senza considerare poi che tale normativa implicherebbe
non solo il rispetto delle norme da parte dei privati internauti che immettono informazioni
on line, ma anche dei siti istituzionali, che utilizzano i servizi di rete. In altre parole, una
definizione che, alla lettera, risulta decisamente onnicomprensiva.
643
Così V. ZENO ZENCOVICH, I “prodotti editoriali” elettronici nella legge 7 marzo
2001 n. 62 e il preteso obbligo di registrazione, in Dir. inf. informatica, 2001, p. 153-154.
644
Sul punto anche P. COSTANZO, Ancora a proposito dei rapporti tra diffusione in
Internet e pubblicazione a mezzo stampa, in Dir. inf. informatica, 2000, 4-5, p. 657 ss.
270
Peraltro, se così non fosse, si presenterebbero una serie di difficoltà
decisamente insuperabili: non solo tornerebbe il problema prima affrontato
di individuare cosa s‘intenda per periodicità on line, ma questione ancor più
complessa andrebbe risolta: come va, cioè, indentificata una ―testata‖
telematica.
Posto che, come prima anticipato, qualunque aggiornamento di una
pagina web comporterebbe una nuova pubblicazione, e, dunque, ogni sito
diventerebbe un periodico – con la conseguenza che ogni comune cittadino
dovrebbe provvedere alla registrazione, comunicare il nome di un direttore
responsabile, professionista iscritto all‘albo dei giornalisti645 –, ciascun
soggetto dovrebbe provvedere anche a identificare la testata della propria
pagina web, anche laddove si tratti di un semplice blog. Ma, in cosa si
identifica la testata on line? È forse il titolo del blog? O il nome a dominio?
E se si cambiasse il titolo del blog a ripetizione continua, si sarebbe di
fronte a nuovi periodici, ciascuno dei quali andrebbe registrato?
Il problema non è di poco conto perché, aldilà delle specifiche
questioni di carattere amministrativo, estendere così ampiamente l‘ambito
di applicazione di una disciplina che, per sua natura, è di carattere settoriale,
significa, di fatto, limitare l‘esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero, imbrigliandola in lacci normativi chiaramente irragionevoli.
D‘altra parte, che il fine della normativa fosse solo quello di attribuire
un obbligo di registrazione solo a chi volesse usufruire delle agevolazioni
fiscali per l‘editoria è stato anche confermato dalla normativa successiva in
tema di commercio elettronico. Infatti, l‘art. 7, III comma, del d.lgs. 70 del
2003, prevede espressamente: ―La registrazione della testata editoriale
telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i
645
Sulle questioni attinenti ai casi in cui il direttore responsabile non deve
necessariamente essere un soggetto iscritto all‘albo dei giornalisti, si veda V. ZENO
ZENCOVICH, I “prodotti editoriali” elettronici nella legge 7 marzo 2001 n. 62 e il preteso
obbligo di registrazione, cit., p. 153 ss.
271
prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla
legge 7 marzo 2001, n. 62‖.
Dunque, a prescindere dal fatto che si tratti di una pubblicazione
periodica o meno, le norme della legge n. 62 del 2001 varranno per chi
decide di ottenere i contributi previsti. Da ciò deriva che non si potrà
condannare per stampa clandestina un soggetto per aver creato una pagina
web senza averla registrata o per non aver indicato l‘editore o lo stampatore
responsabile.
Questa conclusione non è sempre parsa la migliore. Si pensi al caso
del Tribunale di Modica che, con sentenza dell‘8 maggio 2008646, aveva
646
Appare rilevante segnalare la decisione in commento, per la peculiarità del
ragionamento giuridico sotteso alla decisione dell‘interprete. La questione di fatto era la
seguente. All‘imputato era stato contestato il reato di cui agli art.i 5 e 16 della legge n. 47
del 1948, per aver intrapreso la pubblicazione di un giornale di informazione civile e
averlo diffuso in Rete, senza previa registrazione alla cancelleria del Tribunale
competente, Tribunale di Modica. Il giudice, innanzitutto, chiarisce che la registrazione
consiste in un mero controllo di legittimità della regolarità formale dei documenti prodotti
e della rispondenza del loro contenuto alle disposizioni di legge. Ciò posto, non si può,
dunque, considerare come un limite effettivo alla libertà di stampa, non essendoci alcuna
valutazione di carattere discrezionale circa l‘opportunità della registrazione in ragione del
contenuto che s‘intende pubblicare e trovando la sua ratio nella possibilità di reprimere
gli abusi degli eventuali responsabili di reati commessi a mezzo stampa. Il ragionamento
che supporta la decisione del Tribunale è il seguente. Se prima della legge n. 62 del 2001
l‘interpretazione del concetto di ―stampa‖ non poteva che essere restrittiva, dovendo
attenersi alla stretta definizione datane nell‘art. 1 della l. n. 47 del 1948, con
l‘introduzione del concetto di ―prodotto editoriale‖, le cose cambiano radicalmente. A
fronte di un orientamento che ritiene applicabile la disciplina prevista dalla legge in
questione (obbligo di registrazione e conseguente applicazione della normativa sulla
stampa) solo ai soggetti che abbiano scelto di ottenere i contributi previsti dalla medesima
legge, il giudicante sceglie di aderire al diverso orientamento, anche da altri sostenuto in
giurisprudenza (Tribunale di Milano, II sez. civ., 10-16 maggio 2006, n. 6217 e Tribunale
Latina, sentenza del 7/06/2001), a mente del quale la definizione di prodotto editoriale ha
valore generale e onnicomprensivo e determina, di per sé, l‘assoluta equiparabilità di un
sito internet alla pubblicazione a mezzo stampa. La scelta del giudicante si basa sulla
preliminare considerazione che in epigrafe la legge n. 62 del 2001 fa riferimento al settore
dell‘editoria in genere. Ciò implicherebbe la voluntas legis di dettare regole generali e
non solo regole sul sistema delle provvidenze. A ciò consegue che ―le testate telematiche
da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della l. n.
47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale,
bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal
commercio e dall‘elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di
comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere
conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente
meritevoli di essere note‖. Inoltre, dall‘applicazione degli art.i 2 e 5 della legge del 1948,
272
condannato un giornalista e saggista per non aver registrato il suo blog di
informazione alla cancelleria del tribunale. La sentenza, confermata in
appello, è stata poi annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione. La
Suprema Corte, infatti, con sentenza del 15 settembre del 2012647, n. 23230,
ha statuito con chiarezza che, pur trattandosi di un giornale telematico di
si desume, secondo l‘interprete, l‘applicazione diretta dell‘art. 16 della medesima legge
(stampa clandestina), non quella in via analogica, poiché il legislatore, imponendo
l‘obbligo di registrazione, avrebbe determinato la conseguenziale operabilità della
fattispecie di reato di stampa clandestina. Peraltro, si aggiunge, quest‘interpretazione
troverebbe conferma nel d.lgs. n. 70 del 2003, che, facendo riferimento solo all‘attività di
prestazione di servizi di informazione, non troverebbe applicazione per i singoli che
svolgono l‘attività di informazione non in forma commerciale e, dunque, non in qualità di
prestatori di servizi. Inoltre, l‘art. 7 del d.lgs. in questione, che esonera dalla registrazione
le testate telematiche che non intendono accedere alle provvidenze previste dalla legge
del 2001, non potendo essere considerato un‘interpretazione autentica della suddetta
legge poiché essa ha a oggetto un settore diverso da quello più specifico dell‘editoria, non
farebbe che confermare quanto detto in precedenza. Peraltro, la registrazione di cui al
suddetto art. 7, a giudizio dell‘interprete, sarebbe quella da effettuarsi non presso il
Tribunale ma presso il Registro degli operatori di comunicazione (ROC), istituito con l.
249 del 1997. Se così non fosse, ci creerebbe, a detta del giudice, un‘irragionevole
disparità di trattamento tra i giornalisti della carta stampata e quelli telematici. Pertanto,
in conclusione, andrebbe riferito all‘imputato il reato di stampa clandestina per
disobbedienza agli obblighi di registrazione. Del resto, secondo il giudice, il blog è uno
spazio virtuale accessibile al pubblico senza limitazione alcuna, e, nel caso di specie, non
sarebbe utilizzato solo come mezzo di comunicazione in cui tutti possono esprimere le
proprie opinioni (in tal caso non sarebbe obbligatoria la registrazione, non trattandosi di
un giornale telematico in senso stretto), ma come strumento per fare informazione e
attraverso il quale possono essere pubblicati articoli solo previa valutazione del creatore
del blog. Ciò basterebbe a qualificare questo spazio virtuale come il corrispettivo on line
di un giornale in carta stampata.
647
La
sentenza
è
reperibile
anche
alla
pagina
web
http://www.eius.it/giurisprudenza/2012/002.asp. Il ricorrente, non solo lamentava
l‘erronea applicazione della normativa sulla stampa, poi riconosciuta in sentenza, ma
anche l‘incertezza interpretativa in ordine alla normativa richiamata (l. 47 del 1948, l. 62
del 2001, d.lgs. 70 del 2003), che rendeva in ogni caso applicabile al caso concreto l‘art.
47 c.p., III comma, per errore scusabile su legge extrapenale, con conseguente esclusione
della punibilità. La Corte di Cassazione, dopo aver ribadito la ratio della l. 62 del 2001 e
la non generale applicabilità dell‘obbligo di registrazione a tutti i giornali on line, così
dispone: ―L‘estensione dell‘obbligo di registrazione per il giornale on line - previsto dalla
citata L. n. 62 del 2001, ripetesi, ai soli fini delle provvidenze economiche - anche in
riferimento alla norma di cui alla L. n. 47 del 1948, art. 5, con conseguente applicabilità
(in caso di omessa registrazione) della sanzione penale di cui all'art. 16 citata legge sulla
stampa, costituisce interpretazione analogica in malam partem non consentita ai sensi
dell'art. 25 Cost., comma 2 e art. 14 disp. gen.‖.
Va segnalata anche la sentenza n. 10535 del 2008 (Corte di Cassazione, sez. III). Qui
la Corte ha escluso l‘applicazione della legge sulla stampa al fenomeno dei forum di
discussione, giustificando tale decisione col fatto che non si trattasse di prodotto
editoriale.
273
informazione civile, esso non rispetta i due criteri, ontologico e teleologico,
previsti dall‘art. 1 della legge sulla stampa, dunque, non esiste obbligo di
registrazione alla cancelleria del tribunale e, conseguentemente, non può
sussistere reato di stampa clandestina, rispetto al quale la disobbedienza a
tale obbligo è condotta incriminata.
Con riferimento al blog, dunque, sembra essersi raggiunta una
soluzione ragionevole: la non equiparazione dipende dalla differenza
strutturale che passa tra la creazione di una propria pagina web e la
pubblicazione di uno stampato. Ma, va detto, l‘ultimo approdo
giurisprudenziale non basta a garantire l‘applicazione eguale della legge,
poiché l‘eterogeneità dei fenomeni telematici lascia ancora molto spazio
all‘interpretazione dei giudici, che, ancora troppo spesso, si presenta
ondivaga, pur facendo riferimento a situazioni analoghe.
2.2. Responsabilità per le pubblicazioni on line: tra principio di legalità e
separazione dei poteri
Il tema della responsabilità per le pubblicazioni on line è, come in
parte già visto sopra, decisamente complesso, in ragione delle variegate
ipotesi prospettabili nella realtà. Queste, infatti, hanno reso particolarmente
difficile l‘opera della giurisprudenza.
Tema caldo degli ultimi anni, che sembra aver trovato soluzione
condivisa quantomeno nella giurisprudenza di legittimità, è la responsabilità
del direttore del periodico on line. La questione è strettamente collegata
all‘eventualità
dell‘estensione
della
normativa
sulla
stampa
alle
pubblicazioni in Rete. Posto che, come visto, a detta della giurisprudenza
conforme sul punto e della dottrina dominante, non è ipotizzabile una totale
equiparazione tra qualsivoglia pubblicazione on line e quella stampata, va
274
affrontata la questione con specifico riferimento al periodico on line e al
suo direttore responsabile.
L‘art. 57 c.p., rubricato ―Reati commessi col mezzo della stampa
periodica‖, prevede espressamente: ―Salva la responsabilità dell‘autore
della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del
periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo
dalla pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un
reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura
non eccedente un terzo‖.
Sulla base di quanto sopra affermato, il reato che incrimina la condotta
del direttore responsabile non può e non deve essere addebitato al direttore
di un periodico on line, per una prima e semplice motivazione: se Internet
non equivale a stampa, in ragione del divieto di analogia in malam partem
in materia penale648, non è possibile estendere il suo ambito di applicazione
oltre gli stretti confini dettati dalla norma.
D‘altra parte, anche gli ultimi approdi giurisprudenziali vanno in
questa direzione. La recente sentenza, Corte di Cassazione n. 35511 del
Il divieto di analogia è rinvenibile esplicitamente nell‘art. 14 delle disposizioni
sulla legge in generale (Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o
ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati), nonché negli art.i
1 e 199 c.p. Inoltre, esso deve ritenersi implicitamente costituzionalizzato, in quanto
chiara espressione del principio generale del nullum crimen sine lege.
La dottrina ha discusso sul carattere relativo del divieto di analogia, ritenendolo
perfettamente rispondente al principio dettato dall‘art. 25 Cost., II comma, il quale
―sancisce il primato non già dell‘esigenza di certezza, ma della garanzia della libertà del
cittadino‖. In questo senso, G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, VI
edizione, Zanichelli, 2009, p. 110. Sul punto e, in particolare, sulla necessità di
inquadrare i limiti del divieto di analogia ―più che in esigenze puramente razionali di
certezza, sul più solido piano politico-garantista, conformemente alla tradizione
democratico-liberale‖, si veda F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, V
edizione, Cedam, 2007, p. 73 ss.
Sul tema dell‘analogia, si veda G. VASSALLI, Analogia nel diritto penale, in Nov. dig.
it., Torino, I, 1957, p. 607 ss.; ID., Analogia (voce), in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, p.
158 ss.
648
275
2010649, in cui si esclude categoricamente la possibilità di un‘applicazione
analogica della norma in questione al fenomeno Internet, è la prima in cui il
giudice di legittimità affronta direttamente il problema qui prospettato.
Infatti, precedentemente, la Cassazione650 aveva solo escluso che l‘art. 57
c.p. potesse essere riferito ai direttori delle trasmissioni radiofoniche o
televisive – la cui responsabilità per omesso controllo è stata introdotta dalla
c.d. legge Mammì, l. 6 agosto 1990, n. 223 –, affermando che ―l‘art. 57 c.p.
…è dettato esclusivamente per i reati commessi col mezzo della stampa
periodica‖.
D‘altronde, anche parte della giurisprudenza di merito aveva già
ritenuto non applicabile in via analogica l‘art. 57 c.p. anche con riferimento
alla Rete. Nel caso di specie, infatti, la Corte d‘Appello di Roma, con
sentenza
dell‘11
gennaio
2001651,
aveva
espressamente
ritenuto
―impossibile estendere la qualifica di direttore responsabile del quotidiano
‗La Repubblica‘ anche al notiziario telematico ‗La Repubblica.it‘ perché
non costituente stampato‖.
649
Per un commento alla sentenza, si vedano I. SALVADORI, La normativa penale
sulla stampa non è applicabile, de jure condito, ai giornali telematici, in Cass. pen.,
2011, 9, p. 2982 ss., nonché S. PERON, Internet, regime applicabile per i casi di
diffamazione e responsabilità del direttore, in Resp. civ. e prev., 2011, 1, p. 85 ss. In
senso conforme alla sentenza, più recentemente, Cassazione penale, sez. V, n. 44126 del
2011.
650
Corte di Cassazione, sentenza del 23 aprile 2008, n. 34717.
651
Corte di Appello di Roma, 11 gennaio 2001, in Dir. inf. informatica, 2001, p. 31 ss.
Più recentemente, si veda Corte di Appello di Torino, 23 aprile 2010, 23 aprile 2010, in
Corriere del merito, n. 11/2010, p. 1073, che ha escluso l‘applicazione dell‘art. 57 c.p.
con specifico riferimento al gestore di un blog, riformando la sentenza del Tribunale di
Aosta, 2 maggio 2006, n. 553, in Giur. Merito, 2007, p. 1065, che aveva statuito in senso
contrario. Per un commento alla sentenza di veda V. PEZZELLA, Blog uguale giornale?
C‟è chi dice di sì se chi gestisce il sito è come il direttore, in Dir. e giust., 2006, 31, 71,
nonché la nota critica di I. SALVADORI, I presupposti della responsabilità penale del
blogger per gli scritti offensivi pubblicati su un blog da lui gestito, in Giur. merito, 2007,
4, 1069. Nello stesso senso del Tribunale di Aosta anche la successiva sentenza del
Tribunale di Firenze, 13 febbraio 2009 n. 982, che dichiara responsabile per omesso
controllo il direttore del periodico on line. Per una nota critica si veda C. MELZI D‘ERIL –
G. VIGEVANI, La responsabilità del direttore del periodico telematico, tra facili
equiparazioni e specificità di Internet, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 9155 ss. Sul tema,
anche S. SICA – V. ZENO ZENCOVICH, Legislazione, giurisprudenza e dottrina nel diritto
dell‟Internet, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 377 ss. e C. ROSSELLO, Riflessioni de iure
condendo in materia di responsabilità del provider, in Dir. inf. informatica, 2010, p. 617.
276
La sentenza della Corte di Cassazione qui richiamata652, peraltro,
provvede a sottolineare ―ad abundantiam‖ che il d. lgs. n. 70 del 2003
esclude la responsabilità di mere conduit – caching – hosting providers per
i reati commessi in Rete da terzi. L‘art. 17 del suddetto decreto, che
recepisce la Direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, infatti,
stabilisce l‘assenza di un generale obbligo di sorveglianza653 sulle
informazioni che il provider trasmette o memorizza, nonché di un obbligo
generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la
presenza di attività illecite. Ciò non toglie, chiarisce la norma al secondo
comma, l‘obbligo di informare senza indugio l‘autorità giudiziaria o quella
amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora venga a conoscenza di
presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del
servizio della società dell‘informazione e fornire, a richiesta delle autorità
competenti,
le
informazioni
in
suo
possesso
che
consentano
l‘identificazione del destinatario dei suoi servizi, con il quale ha accordi di
memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite.
Infine, il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi
nel caso in cui, richiesto dall‘autorità giudiziaria o amministrativa avente
funzioni di vigilanza, non agisca prontamente per impedire l‘accesso a detto
contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o
pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura
l‘accesso, non provveda a informarne l‘autorità competente.
652
Si tratta della su richiamata sentenza n. 35511 del 2010.
Sul punto, M. GAMBINI, Gli hosting providers tra doveri di diligenza professionale
e assenza di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni memorizzate, in
www.costituzionalismo.it, 27-12-2011; G. CORRIAS LUCENTE, Ma i networks providers, i
service providers e gli access providers rispondono degli illeciti penali commessi da un
altro soggetto mediante l‟uso degli spazi che loro gestiscono?, in Giur. mer., 2004, II, p.
2523 ss.; F. RESTA, La responsabilità penale del provider: tra laissez faire ed obblighi di
controllo, in Giur. mer., 2004, II, p. 1715 ss.; V. SPAGNOLETTI, La responsabilità del
provider per i contenuti illeciti di Internet, in Giur. mer., 2004, II, p. 1922 ss.; A.
MANNA, I soggetti in posizione di garanzia, in Dir. inf. informatica, 2010, 06, p. 779 ss.;
A. BELLAN, Per una reasonable liability: critiche alla responsabilità oggettiva dei
provider e tutela dei diritti in Internet, in Dir. Industriale, 2012, 3, p. 243 ss.
653
277
Dunque, data la responsabilità dei provider solo nel caso di avvenuta
conoscenza del contenuto criminoso654, di certo, non è prospettabile
l‘ipotesi dell‘applicabilità dell‘art. 57 c.p., ma, al più, laddove si
verificassero le condizioni previste dalla legge, di un concorso nel reato
doloso.
Peraltro, va detto che la normativa sul commercio elettronico è figlia
di una constatazione ex facto: l‘inesigibilità di un generale e totale controllo
del contenuto655, di volta in volta caricato in Rete dagli utenti dei servizi
offerti.
Tale argomento vale anche per il direttore di un giornale on line,
laddove quest‘ultimo contenesse, ad esempio, un forum di discussione
aperto a tutti i potenziali utenti.
Ciò non toglie, però, che esistano situazioni tali che, alla luce di strette
considerazioni di fatto, sembrerebbero suscettibili di assimilazione o,
quantomeno, appaiono presentare aspetti analoghi e fini comuni. Beninteso,
con ciò non si vuole mettere in discussione gli importanti approdi
giurisprudenziali in materia di non-equiparazione tra Internet e stampa, che,
anzi, hanno fatto chiarezza nel complesso universo della Rete e hanno
evitato la violazione dei più basilari principi di diritto, tra questi, il principio
di tassatività e determinatezza in materia penale e di certezza del diritto.
Però, giungere a tali considerazioni non risolve il problema delle
numerosissime questioni che attengono alla Rete, anche rispetto alle diverse
forme di pubblicazione on line. Infatti, pur escludendo l‘applicazione della
654
Si faccia riferimento agli art.i 14, 15 e 16 del d. lgs. n. 70 del 2003.
Per un‘attenta analisi delle suddette norme, nonché in generale sul tema della
responsabilità civile del provider, si veda M. DE CATA, La responsabilità dell‟internet
service provider, Giuffrè, Milano, 2010, spec. p. 28-75 e 190-213.
655
Non a caso, le pronunce giurisprudenziali incriminano, per diversi reati, il provider,
solo laddove si rinvenga la circostanza per la quale questi abbia l‘effettivo controllo del
materiale caricato on line e, dunque, sia in grado di impedire la commissione dei reati. Si
veda, infatti, Tribunale di Lucca, sentenza del 20 agosto 2007, nella quale l‘organo
giudicante ha ritenuto di non condannare il provider che ―si limita a mettere a
disposizione degli utenti lo spazio virtuale dell‘area di discussione e che non ha nessun
potere di controllo e di vigilanza sugli interventi man mano inseriti da terzi‖.
278
legge sulla stampa e le corrispettive sanzioni penali alle pubblicazioni di
messaggi o articoli di giornale on line, non si esclude, ad esempio,
l‘applicazione del reato di diffamazione656, con l‘aggravante dell‘utilizzo
dei mezzi di pubblicità657.
In altre parole, Internet non è stampa, e su questo non si può che
concordare per le ragioni sopra esposte, ma possiamo ragionevolmente
ritenere che non rappresenti un ―mezzo di pubblicità‖?
Proprio in questo senso si è orientata la giurisprudenza degli ultimi
anni, infatti, è stato affermato che la diffamazione posta in essere mediante
Internet è punibile in forza dell'art. 595, III comma, c.p., poiché esso,
riferendosi ―all‘offesa recata [...] con qualsiasi altro mezzo di pubblicità‖658,
consente di far rientrare nel suo alveo anche il mezzo telematico.
Con riguardo alla diffamazione a mezzo Internet, infatti, la sussistenza
della ‗comunicazione a più persone‘ si presume nel momento stesso in cui il
messaggio offensivo viene inserito su un sito Internet in quanto, per sua
natura, esso è destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di
persone in breve tempo. Da ciò ne deriva che ―il principio tale per cui la
diffusione di una notizia immessa nei c.d. mezzi di comunicazione di massa
si presume fino a prova contraria, non viene meno in relazione alle
comunicazioni via web‖659.
656
Sul tema della diffamazione on line, si vedano P. SAMMARCO, Diffamazione online e nuovi criteri per la determinazione dell‟importo risarcitorio, in Dir. inf.
informatica, 2010, 2, p. 263.
657
L‘art. 595 del c.p. recita, infatti: ―Chiunque, fuori dei casi indicati nell‘articolo
precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione
fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità,
ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non
inferiore a euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua
rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate‖.
658
Così Cassazione penale, Sez. V, 27.12.2000.
659
In questo senso, Corte di Cassazione penale, Sez. V, 4.4.2008 e Corte di
Cassazione penale, Sez. V, 21.6.2006, in cui viene superata l‘impostazione di Tribunale
279
Tale posizione è stata assunta anche dalla dottrina, la quale, non solo
ha sostenuto l‘applicabilità dell‘aggravante del III comma dell‘art. 595 c.p.
alle ipotesi di diffamazione a mezzo internet, ma ha ritenuto l‘agente
―meritevole di un più severo trattamento penale, proprio perché il
messaggio lesivo dell‘altrui reputazione, essendo diretto a una pluralità di
soggetti, si colloca in una dimensione ben più ampia di quella
interpersonale tra offensore e offeso. Proprio la natura capillare di Internet e
la diffusione globale di qualunque informazione vi venga immessa
amplificano le conseguenze di un eventuale comportamento lesivo di altrui
diritti‖660.
Ciò che qualifica, dunque, Internet come mezzo di pubblicità, è la
facile e immediata raggiungibilità del messaggio a un numero non
quantificabile di persone. Va sottolineata661, però, la necessità di distinguere
la particolarità del mezzo di pubblicità dalla generica condotta di
diffamazione. In altre parole, riconoscendo la peculiarità della Rete nella
diffusione a più soggetti del messaggio lesivo della reputazione, si rischia di
confondere la condotta aggravata con la condotta semplice di diffamazione,
che di per sé è già caratterizzata dall‘elemento oggettivo della
comunicazione con più persone. La differenza va fatta operando una
valutazione ex ante del mezzo di divulgazione utilizzato662. Infatti, la
condotta è aggravata proprio in ragione della scelta di un mezzo, come
Internet, che ex se comporta un‘enorme capacità di diffusione e, dunque, di
espansione degli effetti della condotta lesiva. In Rete, del resto, il carattere
di Teramo (sentenza del 6.2.2002), secondo cui in caso di diffamazione via Internet non si
può presumere la conoscenza dei messaggi da parte di terzi in quanto nessun sito può
essere raggiunto in assenza di una specifica conoscenza o di una precisa interrogazione a
un motore di ricerca.
660
A. COVIELLO, Art. 57, in M. RONCO – B. ROMANO (a cura di), Codice penale
commentato, Utet, 2012.
661
Ivi.
662
Ivi.
280
di pubblicità dell‘offesa resta ―immanente‖ e ―obiettivata‖663, rimanendo i
messaggi memorizzati.
In verità, la scelta di dottrina e giurisprudenza è la diretta conseguenza
della necessità di interpretare le situazioni della realtà, nuove in ragione
dell‘evoluzione tecnologica, e riportarle nell‘alveo delle scelte del decisore
politico. È chiaro, infatti, che la diffamazione non perde la sua portata
lesiva solo perché il messaggio è veicolato in Rete, anzi, in tal caso
quest‘ultima sembra essere implementata in ragione del mezzo. Dunque,
un‘interpretazione estensiva del concetto di ―mezzi di pubblicità‖ non
appare così peregrina, ancorché Internet non possa essere definito
esclusivamente come tale.
Pertanto, proprio in ragione dell‘impossibilità di operare una forzatura
sulle norme penali in tema di stampa, la soluzione di applicare l‘aggravante
di cui all‘art. 595, III comma, al fenomeno Internet sembra la più
ragionevole. Infatti, se da un lato non s‘incorre nella violazione del divieto
di
analogia,
dall‘altro
non
si
lasciano
impunite
condotte
che
sostanzialmente offendono il bene giuridico protetto664.
Chiaramente, però, l‘interpretazione giurisprudenziale, ancora una
volta, non può bastare a risolvere le questioni della Rete, che, di volta in
volta, pongono nuovi e diversi interrogativi di non facile soluzione.
Sui caratteri dell‘offesa, in caso di diffamazione aggravata, già P. NUVOLONE, Il
diritto penale della stampa, Padova, 1972, p. 12 ss.
664
Si pensi che diverse sono state le pronunce giurisprudenziali in tema di
diffamazione a mezzo Facebook, il noto social network. Il primo caso di condanna è
stato affrontato dal Tribunale di Monza nella sentenza n.770 del 2 marzo 2010 e, a
seguire, si registra la recentissima sentenza del Tribunale di Livorno, n. 38912 del 2013.
In verità, si mostra particolarmente complesso il fenomeno in questione, specie per i
suoi profili di privacy e quelli di effettiva pubblicità che caratterizzano i messaggi,
eventualmente offensivi della reputazione altrui. Alla luce di ciò, parrebbe opportuna, a
parere di chi scrive, una distinzione tra facebook e un qualsiasi sito internet. Il social
network, infatti, ha proprie e particolari norme in tema di pubblicità e segretezza delle
notizie, che non possono non essere considerate in sede di valutazione delle condotte
penalmente rilevanti e che rendono il fenomeno del social diverso da quello di un comune
sito internet, di per sé completamente aperto, raggiungibile da chiunque lo conosca o vi
acceda attraverso gli esiti dell‘interrogazione di un qualsivoglia motore di ricerca.
663
281
A parere di chi scrive, aldilà delle singole ipotesi, l‘errore che in
questo settore viene spesso ripetuto è di carattere metodologico. In altre
parole, non può lasciarsi fare al giudice ciò che a lui non compete.
Fin quando, infatti, la sua competenza è messa a disposizione di
un‘attività interpretativa, elemento proprio dell‘attività giurisdizionale,
nulla quaestio, ma quando quest‘ultima si spinge oltre, fino a sostituire il
compito che la Costituzione riserva al decisore politico, ci si trova di fronte
a una disfunzione del sistema, capace di mettere in crisi l‘intero equilibrio
costituzionale di distribuzione dei poteri.
Si pensi al caso della stampa on line665. Vero è che si può trovar
soddisfacente l‘ultimo approdo giurisprudenziale del giudice di legittimità,
che segna un momento decisivo nella complessa vicenda delle
pubblicazioni in Internet, ma basta davvero? Ci si chiede: non sarebbe
auspicabile un chiaro intervento da parte del legislatore?
In verità, un intervento da parte del decisore politico, che possa
mettere a frutto le ricostruzioni giurisprudenziali in materia, potrebbe
riportare la situazione a una nuova normalità.
Certo, Internet non è stampa e un‘applicazione delle norme penali in
via analogica sarebbe giustamente criticabile, ma, un giornale on line, che
riproduce la copia cartacea, che non si avvale di forum aperti al pubblico al
suo interno e che si compone di articoli che vengono pubblicati solo previa
valutazione di un direttore, in cosa si differenzia dallo stampato, se non
nella mancata riproduzione tipografica? Le norme sulla stampa non sono
idonee a disciplinare ciò che accade sui nuovi mezzi di informazione, ma
ciò non toglie che, de jure condendo, sarebbe auspicabile un intervento
chiarificatore, che riesca a operare un corretto ed equilibrato bilanciamento,
Per un‘ipotesi ricostruttiva sul tema della stampa on line, si veda P. COSTANZO, La
stampa telematica nell‟ordinamento italiano, in www.costituzionalismo.it, 09/09/2011.
665
282
che sia cioè, espressione dell‘elementare quanto fondamentale principio di
uguaglianza666.
Un giornalista che esercita attività professionale su carta stampata può
esercitare la medesima attività su Internet, a differenza di un qualunque
cittadino che carica sul suo blog materiale informativo nell‘esercizio della
libertà di informazione e di informarsi. Tali situazioni sono diverse e, in
quanto tali, vanno trattate in modo diverso. Ma quelle che presentano
un‘analogia di fondo, ancorché non ancora disciplinata correttamente, non
andrebbero lasciate a sé stesse per il solo fatto che mancano di disciplina
uniforme.
L‘opera giurisprudenziale, in questi casi, può aiutare ma non risolve i
problemi all‘origine, che interrogano gli interpreti costantemente, mettendo
alla prova la sensibilità giuridica dei giudici che si trovano ad affrontarle.
Del resto, l‘intervento della norma generale e astratta appare
necessario per garantire l‘applicazione del principio di legalità, per
assicurare, cioè, al singolo cittadino la conoscenza di ciò che è reato e ciò
che non lo è, dei casi in cui il suo comportamento è scriminato e quelli in
cui non lo è.
L‘incertezza del diritto non può che creare confusione667, ―disordine
giuridico‖, dalla celebre espressione di Betti.
D‘altra parte, come autorevolmente affermato668, il principio di
legalità assume estrema importanza ―non solo perché incide su problemi
che nelle nostre esperienze giuridiche assumono un ruolo centrale, quali
666
Si veda a riguardo il lavoro di P. COSTANZO, La stampa telematica (tuttora) tra
ambiguità legislative e dissensi giurisprudenziali, in M. D‘AMICO – B. RANDAZZO (a
cura di), Alle frontiere del diritto costituzionale. Scritti in onore di Valerio Onida,
Giuffrè, 2011, in part. p. 538-539. L‘Autore auspica che, di fronte alle figure di un
soggetto che mette a disposizione uno spazio web e quella di un editore di giornale, si
evitino assimilazioni foriere di ―esagerazioni e abusi‖ e, dunque, che non si giunga a
risultati illiberali.
667
Sul punto, si veda F.G. PIZZETTI, Internet e la natura “caotica” del diritto
giurisprudenziale, in Politica del diritto, XXXII, n. 3, 2001, p. 467-498.
668
S. FOIS, Legalità (principio di), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1975,
vol. XXIII, p. 659.
283
quelli dell‘ordine delle fonti normative…e della garanzia dei diritti
individuali, ma anche perché appare in intima connessione con quel
concetto, o meglio principio, del cosiddetto ‗Stato di diritto‘, che, almeno
nella cultura occidentale, viene considerato fondamentalmente conquista
dell‘esperienza giuridica moderna e contemporanea‖.
3. La posizione della Corte di Giustizia sul filtraggio del contenuto in rete e
sulla giurisdizione
Con specifico riguardo alle questioni attinenti i sistemi di filtraggio in
Rete669, che interessano la posizione dei soggetti intermediari, si è espressa
recentemente la Corte di Giustizia in termini chiarificatori ed esplicativi
dell‘annosa questione dell‘utilizzo di sistemi tecnici destinati al filtraggio di
materiale, presumibilmente illecito.
Il problema, infatti, dell‘assenza di norma chiare sulla questione, come
del resto è avvenuto per la stampa on line, per la diffamazione a mezzo
Internet e per l‘applicabilità della normativa del sequestro ai siti web, ha
comportato una serie di risposte giurisprudenziali, volte alla prevenzione e
repressione dei crimini in Rete, non sempre compatibili con la tutela dei
diritti di libertà.
Ne è una riprova la sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio
2012, Causa C-360/10670, in cui il giudice comunitario risponde a una
Per una panoramica dei sistemi di filtraggio in Rete, si veda C. M ARSDEN – D.
TAMBINI – D. LEONARDI, Codifyng Cyberspace, Communications self-regulation in the
age of Internet Convergence, cit.
670
Il
testo
della
sentenza
è
reperibile
alla
pagina
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dbc6369341ff
c1405fac5df2a5c04603e4.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuKch50?text=&docid=119512&pa
geIndex=0&doclang=en&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=903134.
Per un
commento si vedano S. LISO, Vietato “filtrare” sul web opere musicali e audiovisive
protette, in Dir. e giust., 2012, p. 142 e il lavoro di O. POLLICINO, Tutela del diritto
d‟autore e protezione della libertà di espressione in chiave comparata. Quale equilibrio
su Internet?, cit., p. 97-122.
669
284
domanda di rinvio pregiudiziale in ordine ai poteri dei giudici nazionali in
tema di filtraggio.
Il caso. Gli utenti di un provider belga, Scarlet, utilizzano i servizi da
questo offerti anche al fine di scaricare illegalmente materiale coperto da
diritto d‘autore e appartenente al ‗catalogo Sabam‘, il corrispettivo belga
della nostra SIAE. Di fronte a queste violazioni, Sabam chiede al giudice
belga di imporre a Scarlet la predisposizione di un sistema di filtraggio che
impedisca ai suoi utenti di scaricare illegalmente le opere protette dal diritto
d‘autore.
Il giudice di prima istanza accoglie le richieste del ricorrente,
imponendo a Scarlet di filtrare tutti i contenuti scambiati dai suoi utenti
attraverso i sistemi di peer-to-peer, a prescindere da un preventivo riscontro
sull‘illegalità del materiale veicolato. Dunque, Scarlet avrebbe dovuto
analizzare tutti i pacchetti in transito tra gli utenti al fine di bloccare, in un
secondo momento, il passaggio del materiale coperto da diritto d‘autore:
una tecnica che può definirsi preventiva del reato, non certo repressiva, date
le modalità di intervento sul sistema di comunicazione tra gli utenti.
A fronte di tale interpretazione, la Corte d‘Appello di Bruxelles
rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo alla
stessa di chiarire se ai giudici degli Stati membri sia consentito di imporre
agli ISP la predisposizione di misure tecniche finalizzate al preventivo
filtraggio delle comunicazioni degli utenti, in entrata e in uscita – con
particolare riferimento all‘uso di sistemi peer to peer –, e al successivo
blocco delle comunicazioni ritenute illecite671.
Nello specifico, la questione pregiudiziale era così posta: ―By its question, the
referring court asks, in essence, whether Directives 2000/31, 2001/29, 2004/48, 95/46 and
2002/58, read together and construed in the light of the requirements stemming from the
protection of the applicable fundamental rights, are to be interpreted as precluding a
national court from issuing an injunction against a hosting service provider which
requires it to install a system for filtering:
–
information which is stored on its servers by its service users;
–
which applies indiscriminately to all of those users;
–
as a preventative measure;
671
285
La Corte di Giustizia muove da un presupposto essenziale: la necessità
di operare un equilibrato bilanciamento tra valori. Dunque, si orienta verso
una decisione particolarmente rilevante rispetto alla valutazione della
responsabilità degli Internet service provider, ma, a ben vedere, non
totalmente soddisfacente in termini di ragionevole bilanciamento tra diritti.
Infatti, nell‘escludere la legittimità dell‘imposizione di un obbligo di
filtraggio preventivo sugli ISP, lascia comunque sullo stesso piano672 il
diritto d‘autore e la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto alla
privacy e la libertà di iniziativa economica, evitando di proporre una scala
dei diritti o una graduazione degli obiettivi.
Il giudice comunitario sostiene in sentenza che imporre un obbligo di
sorveglianza generalizzata all‘ISP sarebbe, innanzitutto, illegittimo ai sensi
dell‘art. 15 della direttiva 2000/31/CE. Inoltre, sostiene la Corte, il diritto
d‘autore non è intangibile e la tua tutela non deve essere garantita in modo
assoluto. Peraltro, un‘ingiunzione, come quella posta dal giudice belga,
causerebbe la violazione di tre diritti di libertà:
- della libertà d‘impresa del prestatore di servizi di hosting, perché
gli imporrebbe la predisposizione di un sistema ―complesso,
costoso e completamente a sue spese‖ di filtraggio dei contenuti;
- del diritto alla privacy, perché il sistema implica ―l‘identificazione,
l‘analisi sistematica e l‘elaborazione delle informazioni relative ai
profili creati sulla rete sociale degli utenti, informazioni, queste,
che costituiscono dati personali protetti, in quanto consentono, in
linea di principio, i identificare i suddetti utenti‖;
–
exclusively at its expense; and
–
for an unlimited period,
which is capable of identifying electronic files containing musical, cinematographic or
audio-visual work in respect of which the applicant for the injunction claims to hold
intellectual property rights, with a view to preventing those works from being made
available to the public in breach of copyright (the contested filtering system)‖.
672
Per una critica all‘equiordinazione tra libertà di manifestazione del pensiero e
diritto d‘autore, si veda G. DE MINICO, Diritto d‟autore batte Costituzione 2 a 0, in
www.costituzionalismo.it, cit. Sul tema del diritto d‘autore in Rete, si veda G. P ASCUZZI,
Il diritto nell‟era digitale, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 199-250.
286
- della libertà d‘informazione, poiché ―tale sistema potrebbe non
essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto
lecito e illecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato
di bloccare comunicazioni aventi contenuto lecito‖.
L‘intervento della Corte di Giustizia va, aldilà delle insufficienze
colte, salutato con favore, in quanto rappresenta lo sforzo e la realizzazione
di una serie di regole comuni per la Rete, nonostante la difficoltà di
affrontare le tematiche dei diritti rispetto a un mezzo che, materialmente,
non ha confini.
Il diritto in tal modo si spinge oltre il ‗materiale‘ e cerca, con i propri
mezzi, di non offuscare la luce delle garanzie. Si pensi, ad esempio, alla
posizione del giudice comunitario in tema di giurisdizione673. Di fronte ai
reati commessi in Rete – in cui si avvicendano le questioni giuridiche del
Paese dov‘è stabilito il soggetto che ha compiuto la condotta incriminata,
quello dove la lesione è stata subita e gli altri Paesi dove la lesione ha
procurato dei danni (come nel caso di diffamazione on line) –, il giudice
comunitario ha scelto la strada della ragionevolezza.
Infatti, sarà competente a giudicare del reato di diffamazione on line,
per l‘intero danno subito dal soggetto leso, il giudice del luogo della sua
residenza o, al più, il giudice del luogo di stabilimento del reo (fermo
restando la possibilità di chiedere al giudice di ciascuno Stato membro i
danni cagionati dal reo nel Paese in questione). Tale scelta avvicina la
giurisdizione al soggetto leso, pur rispetto a questioni che avvengono nel
mondo c.d. virtuale.
Di fronte a queste posizioni, va comunque detto che la Rete delle Reti
è, per certi versi, ancora terra inesplorata per i giuristi e alcune delle
673
Il riferimento è alla sentenza della Corte di Giustizia, del 25 ottobre 2011, cause
riunite C-509/09 e C-161/10. Il testo della sentenza è reperibile in
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=111742&pageIndex=0
&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=934452.
287
questioni che attengono a Internet restano nell‘angolo, senza ottenere la
giusta risonanza a livello politico e sul piano tecnico-giuridico.
Ciò comporta una continua sfida sia per l‘interprete, che dovrà tentare
di giudicare le situazioni per come si presentano nella realtà, con tutte le
peculiarità che Internet presenta, sia per il decisore politico, che dovrà
tentare di scrivere norme che siano espressione tanto del principio di
certezza del diritto, quanto di quelli di ragionevolezza e proporzionalità.
288
CONCLUSIONI. Le sfide della Rete
I punti nevralgici affrontati in questo lavoro sono: la governance della
Rete, il diritto di accesso al contenuto on line – dunque il diritto ―alla
tecnologia‖ – e la libertà di manifestazione del pensiero in Internet.
Ripercorrerli sinteticamente è indispensabile a rendere chiaro il
quadro delle tematiche trattate.
Due sono state le linee direttrici seguite sul tema della governabilità:
1: è giuridicamente valida la proposta di un intervento normativo in
materia o Internet è un ordinamento giuridico nuovo e diverso, autonomo e
indipendente?
2: in ragione di una risposta di segno positivo alla prima domanda, ci
si è interrogati sulla natura del soggetto, pubblico o privato, che abbia la
possibilità e la facoltà di intervenire con efficacia sulla Rete.
Sul primo punto, la dottrina americana, ricca di contributi sul tema, si è
divisa. A fronte di chi ha sostenuto la totale auto-regolazione della Rete, c‘è
chi ha affermato che quello prospettato fosse un falso problema, data la
supposta opportunità di traslare direttamente sulla Rete la disciplina
prevista per le questioni sorte off line. Infine, parte della dottrina ha
lucidamente individuato l‘ipotesi di una regolazione a più strati, che da un
lato non dismettesse la posizione del soggetto pubblico – necessaria per un
orientamento della tecnica nel senso della garanzia dell‘uguaglianza e
dell‘esercizio dei diritti – e dall‘altro si avvalesse delle forze, anche di
regolazione, dei privati, che potessero coadiuvare il ruolo del soggetto
pubblico in vista del perseguimento del medesimo obiettivo.
Alla luce delle riflessioni sul punto, la risposta alla prima domanda
non può che orientarsi nel senso della necessità dell‘etero-normazione,
anche per Internet.
289
Insomma, una regolazione serve. Diversamente, Internet sarà solo un
altro spazio che ciascuno occuperà senza freni e limiti, a scapito di chi, per
incompetenza o impossibilità, non riuscirà a opporsi, ritrovandosi così
compressa e compromessa la sfera dei propri diritti di libertà.
D‘altra parte, l‘attenzione posta sui grandi temi del diritto
costituzionale, ―sovranità‖ e ―ordinamento giuridico‖, ha mostrato come sia
impossibile qualificare, nonostante quanto affermato con convinzione dalla
dottrina americana sul punto, l‘autonomia di Internet come ordinamento
giuridico a sé stante o come insieme di ordinamenti giuridici derivati o
tollerati dall‘ordinamento statale che con essi s‘interseca.
Non solo, ritenere che il popolo della Rete sia il sovrano della stessa
non è la traduzione in termini innovativi della democrazia partecipativa,
proprio perché, in ragione delle peculiarità della Rete – a-centralità e aterritorialità – non esiste un ―popolo sovrano‖ cui fare riferimento. Esso non
è riconoscibile o determinabile, perché lo spazio di Internet è uno spazio
globale e l‘internauta che accede alla Rete dall‘America latina ha il
medesimo peso dell‘internauta che accede dall‘Italia o da qualunque altra
parte del globo.
Questa, a ben vedere, non è democrazia partecipativa. Non è
nemmeno democrazia, perché non presenta le garanzie minime della stessa:
non ci sono forme per la predisposizione delle regole, non esiste disciplina
per la partecipazione ai dibattiti. Esistono solo diverse comunità on line, che
predispongono autonomamente regole, le quali, però, non possono che
valere solo per quelle comunità, non assumendo rilevanza per il resto del
mondo on line, in quanto totalmente prive dei caratteri della generalità e
dell‘astrattezza.
D‘altra parte, anche la proposta scrittura di un Bill Of Right per
Internet, proveniente dal basso, dalle Dinamic Coalitions – comunità di
privati attivisti della Rete – non risponde alle logiche della sovranità
popolare e della partecipazione effettiva.
290
Infatti, la sovranità popolare acquista il suo significato quando
l‘esercizio della stessa, nelle forme stabilite che ne garantiscono eguale
partecipazione, ha come conseguenza la traduzione delle scelte in norme
generali di carattere cogente.
Tale fervido impegno, invece, più che condurre nella direzione
desiderata, torna indietro al mittente, con la sola, importante, conseguenza
di porre l‘attenzione su questioni sempre più rilevanti per la vita di ciascuno
di noi.
Dunque, una normazione dal basso, che si veste di legittimazione
democratica ma ne tradisce lo spirito e la ratio, non può bastare per la Rete.
Si può ora dare risposta alla seconda domanda. Se una regolazione è
necessaria, per evitare la deriva tecnocratica di Internet, non può escludersi
l‘intervento del soggetto pubblico.
Beninteso, ciò non vuol dire ignorare il rilevante apporto che la
normazione dei privati può dare alla governance della Rete, ma sempre che
sia una normazione che accompagna, coadiuva, sorregge e attua le scelte
indicate dal pubblico potere.
È qui che Internet ci pone un altro importante quesito: quale
regolatore?
Dopo aver valutato analiticamente le peculiarità della realtà virtuale
non si può che convenire sull‘insufficienza del potere pubblico statale,
perché chiuso nelle strette norme sull‘efficacia territoriale, anguste e poco
rispondenti a una governance a carattere globale.
Dunque, cosa? L‘Europa? L‘ONU? Quale soggetto sovra-nazionale
può e deve intervenire?
Va detto che la politica europea si mostra talvolta come esempio per il
legislatore italiano, perché spinge, almeno con atti di soft law, verso una
regolazione della Rete nel senso dell‘investimento per la banda larga e
ultra-larga, che possa garantire l‘accesso a Internet al cittadino europeo e,
291
quindi, assicurare a tutti lo strumento indispensabile per esercitare la libertà
di manifestazione del pensiero.
Però, quando si tratta di dar voce a quella sovranità di cui sopra,
quella che si esprime, per quanto riguarda la Comunità europea, attraverso
logiche già più vicine a quelle democratiche in ragione delle modifiche
intervenute con il Trattato di Lisbona, l‘Europa mostra i suoi limiti. Non a
caso, la banda larga non rientra ancora nel paniere del ―servizio universale‖,
non rappresentando, ai sensi della Direttiva 2009/136/CE, quel minimo di
―pubblico‖ che deve essere garantito ai cittadini.
Ma il punto è: si può pretendere di più? E se sì, cosa?
In verità, la qualificazione dell‘accesso alla Rete come nuovo diritto
sociale trova solide radici nella Costituzione italiana, anche in ragione del
largo spazio che la dottrina e la giurisprudenza sui diritti sociali hanno
disegnato, ma rispetto all‘Europa la pretesa non si esprime in egual misura.
Non esistono, infatti, nella Carta di Nizza clausole generali di
garanzia, non appigli sicuri, certi, dai quali far derivare oggi un obbligo
dell‘Europa a intervenire in tal senso.
Ciò non toglie, però, che un tale intervento sarebbe auspicabile,
perché si tradurrebbe nel conferimento all‘Europa di un ruolo di comunità
sovra-nazionale all‘altezza dei nuovi obiettivi posti, proprio in conseguenza
del recepimento effettivo della Carta di Nizza.
Quanto, invece, alla comunità internazionale, una prima conclusione
appare certa.
Un livello più alto di governo risulta necessario, eppure una scelta
orientata in questo senso non può prescindere dalla valutazione della natura
del soggetto sovranazionale che dovrebbe intervenire a dettare le regole.
Nelle Nazioni Unite, ad esempio, non c‘è un‘adeguata separazione dei
poteri, né una reale forma di rappresentanza che funga da giustificazione
all‘esercizio di poteri a carattere Costituente, laddove si ritenga che serva
un Bill of Right per la Rete.
292
Peraltro, salire a un livello di governo sovra-nazionale, astrattamente
auspicabile, comporta il pericolo di ottenere una normazione troppo leggera
e poco efficace.
Intervenire sulla Rete significa spingersi nella determinazione delle
libertà esercitabili on line e nelle garanzie dei singoli internauti, com‘è
apparso dalle tematiche affrontate nel corso della trattazione. Dunque, si
ripropone quel problema di sovranità che abbiamo posto in principio.
Infatti, lasciare nelle mani dei privati operatori di rete la gestione dei
diritti determinerebbe una totale assenza di forme di garanzia e il
tradimento della tradizione comune dei principi radicati nelle Costituzioni
nazionali europee e d‘oltreoceano. D‘altra parte, la totale attribuzione dei
medesimi poteri a singoli gruppi di comunità di privati che dialogano con le
Istituzioni, o, ancora, a organi internazionali che, per primi, sono la
rappresentazione dell‘assenza di una reale forma di democrazia e sovranità,
non fa che indebolire il contenuto dei singoli diritti e, inevitabilmente,
rimette nelle mani dello Stato nazionale la possibilità e il dovere di
intervenire.
Non c‘è dubbio che, così facendo, si perde terreno in termini di
effettività e che, pertanto, l‘auspicio sarebbe quello di un intervento coeso e
condiviso da più parti. D‘altra parte, però, lo studio dei temi affrontati ha
presentato tutti i limiti della globalizzazione, tutta l‘insufficienza del
sistema giuridico che affanna a seguirla.
Dunque, quale soluzione? Un abbandono della politica democratica e
la sottomissione alla tecnocrazia?
Ritengo che questa non sia la soluzione più apprezzabile. L‘intervento
del legislatore è sempre fondamentale. Il principio di legalità, anche
largamente inteso, guida meglio di tutti la regolazione eteronoma perché è
di per sé già fonte di garanzia. La scelta di una regolazione non stretta nei
confini nazionali, infatti, non deve rappresentare un modo per lasciare ad
293
altri ciò che è proprio di ogni Stato e, dunque, tradursi in una tutela più
blanda dei diritti.
Anche la scelta, che rifugge la regolazione, di lasciare alla
giurisprudenza la soluzione delle questioni della Rete che appaiono piccole,
non solo denota l‘incapacità di star dietro alla tecnica, né tantomeno di
orientarla nel verso giusto e uguale per tutti, ma mette a rischio l‘architrave
di ogni tradizione costituzionale, il principio di uguaglianza, diversamente
declinato in ragione delle diverse esperienze costituzionalistiche.
Come visto in tema di esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero, il fatto che essa sia una libertà negativa non implica de plano
l‘assenza dell‘intervento del regolatore, perché, talvolta, specie rispetto alla
disciplina dei mezzi di comunicazione di massa, quale è Internet, se ne
richiede l‘intervento proprio in ragione della garanzia che tutti possano
ugualmente esercitarla e che non sussistano limitazioni alla stessa
irragionevoli e sbilanciate.
Insomma, nell‘auspicio che un intervento sovra-nazionale di hard law
ci sia, e che sia orientato, però, al rispetto dei criteri minimi che la
rappresentanza democratica richiede, non va oscurato il ruolo che ciascuno
Stato ancora riveste.
La regolazione deve esserci, non come preludio di un‘inflazione della
garanzia delle libertà, quanto nell‘ottica dell‘implementazione dei diritti
riconosciuti dalla tutela multilivello, come, del resto, la giurisprudenza della
nostra Corte Costituzionale insegna.
Dunque, non può essere disconosciuto un diritto di accesso alla Rete
Internet, da leggere già come traduzione nuova delle vecchie norme
costituzionali, non solo come nuovo diritto sociale, che sia strumento di
partecipazione alla vita di relazione e di fruizione dei servizi elargiti dalla
P.A., ma anche come nocciolo duro del diritto alla libera manifestazione del
pensiero, che oggi pretende una lettura evolutiva, proprio alla luce delle
intervenute novità di carattere tecnologico.
294
Il diritto di accesso, riconosciuto come prestazione positiva che lo
Stato deve ai suoi cittadini, è solo la premessa. È necessario, infatti, che sia
garantito l‘accesso ai contenuti, come requisito imprescindibile per
l‘esercizio della libertà di cui al 21 Cost., senza il quale il diritto
all‘informazione non verrebbe compresso, ma annullato del tutto.
E ancora, sarebbe auspicabile una regolazione attenta alle situazioni
del reale, cauta nel dettare norme che sappiano vestire le situazioni della
realtà virtuale, che possano evitare, in sintesi, che la straordinaria possibilità
che la tecnica ci offre possa essere nuovo strumento di diseguaglianze, non
solo per l‘impossibilità di fruire delle medesime potenzialità di Internet, ma
per la disparità di trattamento che si verrebbe a creare a fronte di una
disciplina uguale per situazioni dissimili e viceversa.
Si pensi, ad esempio, alle questioni attinenti alla stampa on line, alla
responsabilità del direttore del giornale on line, alle problematiche attinenti
al buon costume. Lo studio di ciascuna di queste tematiche ha mostrato una
normazione, quando presente, non adeguata.
Insomma, norme che garantiscano la certezza del diritto, che, cioè,
non siano frutto dell‘ansia della regolazione – spesso foriera di scelte
azzardate ed eccessivamente restrittive delle libertà – né di una voluntas
legis distratta e poco accorta.
È questa la vera sfida della Rete.
295
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