Formiche
Prefazione
“Va dalla formica, pigro; guarda le sue
abitudini” (Salomone, Prov. 6,6)
“Le formiche sono presenti sulla Terra da 100 milioni di anni, dall’era dei dinosauri. La vita non
scomparirebbe mai per le azioni delle formiche, l’umanità, al contrario, sta distruggendo una larga
parte della biomassa e delle diversità biologiche della vita. Le formiche contribuiscono a mantenere
il mondo in equilibrio”. Questo scrivono due dei più grandi entomologi, B. Holldobler e E. Wilson,
in “Formiche”.
Basterebbe accennare alla cura che le formiche si prendono delle piante, per convincersi che esse
sono una forza di equilibrio e di difesa della natura.
Esse riescono a ridurre la massa vegetativa o ad incrementarne la potenza riproduttiva. Se le
formiche vengono rimosse da spazi desertici, le piante infestanti raddoppiano la loro densità. Le
formiche mietitrici nel trasportare i semi delle piante nei loro nidi, ne disperdono alcuni che
germoglieranno. Le formiche cosiddette di fuoco rendono più rari gli insetti che possono
danneggiare le piante. Il loro continuo lavoro nel rimuovere la terra, come fanno i lombrichi,
rendono quest’ultima più fertile.
Quando ho cominciato a coltivare piante nel mio giardino, credevo che le lunghe colonne di
formiche che passeggiavano a ridosso del muro di cinta potessero essere dannose per le colture e
perciò mi prodigavo, da insensato ignorante, a distruggere questi insetti. Ma la guerra dichiarata per
me fu perdente. Perciò cercai di saperne di più e mi imbattei nelle pubblicazioni sulle formiche che
mi rilevarono il loro mondo meraviglioso. Quelle letture mi hanno fatto rinsavire e abbandonare la
mia insana furia formicida. Ho voluto chiedere scusa alle formiche per i danni arrecati loro,
scrivendo questo racconto.
Salve, uomini. Sono una formica rufa e voglio comunicare con voi, dato che, nonostante secoli di
studio e di ricerca, voi non siete ancora riusciti a mettervi in contatto con il nostro pianeta.
Voi avete la vostra storia, dove sono memorizzati atti di gloria, di coraggio, di generosità e di
solidarietà e siete orgogliosi dei vostri prodotti artistici, espressi nella parola, nelle note musicali,
nella pietra e nei dipinti. Avete denominato il tutto con la parola “civiltà”
Anche noi abbiamo la nostra storia. La nostra attuale organizzazione sociale non è nata certamente
con l’apparizione della nostra specie sulla terra. Essa è il risultato di tentativi ed errori, messi in atto
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per secoli prima di approdare ai risultati odierni, funzionali ai fini della nostra sopravvivenza che
certamente si protrarrà al di là della vostra.
Giudicherete dal racconto se anche le formiche conoscono e praticano atti di eroismo, di generosità,
di altruismo, di dedizione indefessa al lavoro e di intelligenza tecnica.
Voglio permettermi una precisazione: anche noi formiche facciamo parte del creato, perciò occorre
aggiungere a quanto scritto nel Vecchio Testamento alle parole “La Terra produce essere viventi,
bestiame, rettili e bestie selvatiche” l’espressione "formiche ed altri insetti.
Io sono una formica operaia e sono orgogliosa di essere tale, dato che la nostra società è fondata
realmente sul lavoro, senza il quale essa non sussisterebbe.
Il lavoro per noi è una religione; è l’attività che sostanzia il nostro essere.
Voi uomini avete atteso il secolo XVI per scoprire con Calvino che il lavoro è la strada maestra per
la redenzione dell’uomo e il secolo XIX per considerarlo come valore fondante dell’essere sociale.
Il valore fondante del lavoro, fu messo bene in evidenza da un vostro pensatore, CARLO Marx, il
quale sosteneva che il lavoro “libero e creativo” fa dell’uomo una persona e che il lavoro “forzato”
e ridotto a merce nullifica l’uomo. Egli era dell’avviso che nel sistema capitalistico il lavoratore
viene espropriato del suo lavoro a vantaggio del profitto. I segni palesi del disumano sfruttamento si
evidenziano meglio nei paesi del terzo e quarto mondo, paesi espropriati delle loro ricchezze
naturali e sfruttati sino all’inverosimile. La nostra società, invece, è fondata realmente e non solo a
parole sul lavoro, perché le operaie sono il cervello, il cuore, le mani del nido, mentre la regina è
solo l’organo riproduttore.
Inizio il mio racconto dal volo nuziale dei nostri riproduttori. Nel giorno in cui era prossimo il volo
nuziale, fui distolta dalle operazioni usuali e impiegata in altre mansioni: scegliere il meglio della
riserva alimentare, il cibo più nutritivo e farlo ingurgitare alle formiche alate, destinate al ruolo
della riproduzione. Non è parassitismo quello delle formiche sessuate, se si tiene presente che i
maschi moriranno dopo il volo nuziale e la regina, unica femmina, dovrà affrontare un sacco di
traversie per svolgere il suo ruolo di genitrice.
Il giorno del grande evento la nostra regina decide di alzarsi in volo: sente il momento magico e
misterioso della riproduzione. Appena spiegate le ali, il nido risuona del rombo delle ali dei maschi
pronti alla partenza. Tutti gli altri abitanti del nido cessano di lavorare; liberano le piste dagli
intralci e guardano con trepidazione i loro compagni alati che non rivedranno mai più, ad eccezione
forse della regina, se decide di tornare al suo vecchio nido. Comincia il volo unitario: la regina in
testa, gli altri al seguito. Sempre più in alto il corteo nuziale, sempre più lontano; si intravede nel
cielo ormai una striscia di nero, che assume configurazioni diverse. Noi formiche viviamo
all’incirca 5 anni; le regine molto di più. La regina immagazzina l’eiaculato dei maschi in una
vescica dell’addome. Gli spermatozoi possono rimanere inattivi anche per vari anni. E’ la regina
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che permette agli spermatozoi di penetrare nell’apparato riproduttore per fecondare le uova. E’ un
meccanismo che permette la pianificazione delle nascite. Una regina può produrre anche milioni di
formiche.
La regina non ha potere, non soggioga le sorelle operaie, ma è solo, come ho già detto, una
macchina riproduttrice; le cure che le operaie le forniscono sono solo di utilità alla comunità.
Quando un uovo viene fecondato nasce una femmina; dall’uovo non fecondato nasce un maschio.
. Addio, fratelli maschi, che con il sacrificio della vostra darete la vita ad altre creature e forse addio
alla nostra regina che forse non rivedremo mai più.
Dalla morte la vita. Morte e vita sono complementari, l’una è necessaria all’altra. Dalla morte del
frutto i semi della rinascita, dalla morte delle nostre cellule la rigenerazione di altre, dal sacrificio di
alcuni la salvezza degli altri.Un intreccio indissolubile, una legge posta dalla natura, eterna ed
indistruttibile. I beni acquisiti, il ruolo o la funzione attribuita dalla posizione sociale hanno
inchiodato voi uomini ad un’illusione che vi ha indotti alla separazione di morte e vita, tanto da aver
paura e terrore della morte. Non avete dato ascolto ad Epicuro che tanti secoli fa aprì un Giardino,
in cui ci si poteva guarire dalle disillusioni della società, ritrovando la padronanza di sé, la
temperanza e la serenità d’animo e che così pensava a proposito della morte : “La morte, il più
terribile dei mali, è niente per noi, dal momento che quando noi ci siamo, la morte non c'è, e quando
essa arriva, noi non siamo più”
La regina continua il suo volo e lo stuolo alato la segue. In volo avviene l’atto creativo:
l’accoppiamento. Dopo i maschi, stremati cadono a terra: una pioggia di punti neri. Hanno cessato
di vivere; si sono sacrificati per produrre a nuova vita.
Come mai il sacrificio dell’uomo viene esaltato, diventa oggetto letterario o artistico, poema
scolpito nella storia e quello delle formiche viene considerato solo un fatto istintuale? L’uomo per
dimostrare la sua superiorità traccia una linea di demarcazione tra l’umano e il naturale, tra lo
spirituale e l’istintuale. Per cui il sacrificio umano è tale, quello degli animali è solo istinto di
conservazione e non atto di libera scelta. E’ duro a morire l’antropocentrismo, il porre l’uomo al
centro di tutto. Il porsi al centro è un’assurdità dinanzi all’infinità dell’universo.
La regina, una volta a terra, cerca riparo sotto una pietra o in un cavo di albero. Ora è sola. Non è
più accudita dalle cure delle sue operaie; è stremata dopo un volo al di là delle sue forze. Ha finito
le sue riserve di energia, ma deve continuare a vivere, perché ha in grembo la vita di altre formiche.
Ed è una sua unica occasione, perché le regine vengono fecondate una sola volta. Non può fallire.
Ha fame. Non è esperta come le operaie nella ricerca del cibo ed inoltre non può sprecare tempo;
l’evento creativo è vicino. Ha, però, una risorsa: le ali. Con decisione e con ferma determinazione si
accinge a strapparsi un’ala. La sofferenza è indescrivibile. Si priva di una parte del suo corpo e di
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una sua caratteristica particolare che denota il suo stato sociale. L’ala è ormai a terra e a piccoli
bocconi la regina la introietta nel suo corpo. L’ala mangiata le ridarà nuova forza. E così accade con
l’altra. Prima di affrontare il volo nuziale aveva fatto provvista di letto muffito e lo aveva deposto in
una tasca, situata nel retrobocca; una volta a terra, scava una piccola buca e vi sputa la pallina
alimentare, che fertilizza con i suoi escrementi, proprio accanto a questa depone le uova. Questo
materiale sarà il primo cibo per le neonate. Dimenticavo di dire che il letto muffito è prodotto da
foglie masticate e messe ad ammuffire nei pozzi appositi di areazione. La regina depone migliaia di
uova, che si svilupperanno in larve e poi in ninfe. Essa è tutta immersa in questa operazione: non
mangia, non dorme. Se le uova vengono deposte nel vecchio nido, sono continuamente leccate ed
insalivate e pulite dalle operaie. Dall’uovo la larva; il guscio viene divorato dalle operaie. Noi
formiche non produciamo rifiuti; tutto viene riciclato, riutilizzato. Non siamo mai uscite dai cicli
naturali, pilastri dell’economia naturale.
Le larve vengono sospese alle pareti verticali del nido e sono nutrite con un liquido rigurgitato dalla
bocca delle operaie. Nutrimento bocca a bocca, praticato anche dalle mamme umane di tanti anni fa,
quando ancora vi era un legame fra il mondo umano e il mondo naturale. Le operaie svolgono la
funzione ritenuta femminile dal mondo umano, diviso nettamente tra ruolo maschile e ruolo
femminile. Noi non conosciamo questa separazione, che rende indipendenti gli elementi di un’unità.
Del resto il mondo umano si caratterizza con il ricorso continuo alla divisione, alle dicotomie; tra le
più vistose e le più dannose e le più strumentali oltre quella tra maschio e femmina, quella tra ariani
e semiti, tra bianchi e negri, tra credenti e atei, ecc.
Dopo una settimana le larve vengono interrate e poi liberate dal bozzolo, che è una specie di guaina
di seta, utilizzata dalle formiche tessitrici per saldare le foglie degli alberi che servono per la
costruzione dei loro nidi.
In un'assemblea notturna si decide di costruire un nuovo nido, perché con le nuove nascite crescerà
il numero degli abitanti. All’alba una squadra di formiche esploratrici va alla ricerca di una pietra
abbastanza grande che, riscaldata dal sole, conservi a lungo il calore e protegga contro l’umidità. Le
esploratrici ritornano al vecchio nido e riferiscono. Subito manipoli di formiche si recano sul luogo
scoperto, si intrufolano sotto la pietra ed estraggono dal suolo granelli di sabbia. L’escavazione
continuerà per tanti giorni. E’ inteso che le formiche addette a questo lavoro sono le più robuste. Se
si considera che una formica rufa dal peso medio di 7.3 milligrammi può trascinare materiale
equivalente a 270 milligrammi, si può immaginare la forza erculea di cui sono dotate le formiche.
Le formiche escavatrici sono orgogliosissime del loro lavoro, perché si considerano fondatrici di
una nuova città. Il loro lavoro continua senza soste ed esse non ritornano al loro vecchio nido,
finché non avranno portato a termine la loro opera. Formiche meno robuste portano loro il cibo
giornaliero, che permetterà di riacquistare le energie necessarie per continuare l’opera ciclopica. Gli
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architetti devono assicurare stabilità, areazione, luce, accorgimenti per evitare la penetrazione
dell’acqua, distribuzione funzionale delle camerette grandi e piccole, da adibire ai vari usi (depositi,
dormitori, luoghi deputati all’allevamento delle nuove creature, stalle per gli afidi, ecc,) e un
sistema di gallerie che permette un traffico scorrevole per tutti i lavori e per tutte le emergenze.
I depositi sono importanti per la sopravvivenza. In essi vengono ammucchiati i semi più grossi che
poi vengono triturarti dalle operai con mandibole più resistenti. Questi pezzetti di semi non
germogliano, perché i granai sono privi di umidità, perché impermeabilizzati dalle operaie con un
secreto delle loro ghiandole anali.
Durante le mie peregrinazioni ho avuto la fortuna di visitare il nido di altre formiche di altre specie.
I loro nidi sono costruiti ai piedi di un albero; le operaie masticano pezzetti di legno strappati al
tronco con le mandibole, li impastano con le loro secrezioni e preparano una specie di cartone,
materiale che sarà utilizzato per la costruzione del nido. Il materiale per la costruzione è biologico e
può produrre vermi che possono danneggiare ed infestare il nido. Onde evitare ciò, le formiche
secernono dalle loro ghiandole deriodrosolina, un veleno vermicida che impedisce la vita a varie
specie di microbi. Il materiale di costruzione, intriso di umidità, produce a sua volta delle muffe che
vengono usate come antibiotici.
Noi formiche abbiamo scoperto da milioni di anni l’aspetto salvifico di madre natura. Non occorre
manipolare gli elementi naturali o crearne dei similari come i prodotti sintetici, basta saper ascoltare
le voci benefiche di madre natura, scoprire le sue benefiche virtù terapeutiche. Gli animali e anche
gli uomini di tanto tempo fa hanno usato le erbe per trovare la soluzione adatta ai loro malanni, per
strappare loro le virtù mediche.
Gli uomini non si ricordano del loro cammino storico, di quando ancora vivevano in simbiosi con il
loro ambiente naturale e non erano affetti dal mito dell’artificialismo e del macchinismo. E’ scritto
nell’Ecclesiastico 38.4 “ Il Signore produce i rimedi dalla terra: l’uomo assennato non li
disprezzerà”, Le più antiche civiltà conoscono le proprietà curative delle piante. Basta citare l’uso
terapeutico che ne facevano gli antichi Egiziani, i Greci, i Romani. Le loro conoscenze e le loro
scoperte furono integrate con quelle che provenivano da altre civiltà. E potrei continuare, ma mi
basta ricordare agli uomini che duemila anni prima dei medici greci esisteva una scuola egiziana
che faceva ricorso alle erbe; scritti per i rimedi sono stati il Corpus Hippocraticum, in cui è
prescritto un rimedio vegetale per ogni malattia, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, le terapie
proposte da Galeno. Non è da sottovalutare la paziente ricerca dei monaci del Medioevo per carpire
alle piante i loro segreti terapeutici.
Per tornare al racconto che riguarda la mia specie, riprendo a dire del lavoro. Da noi esistono
diverse mansioni e ciascuno è contento del suo lavoro, che svolge con scrupolo, con precisione e
con assoluta dedizione.
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Non esistono nel nostro mondo scalate per la promozione sociali, ognuno svolge il suo lavoro
specifico a seconda della sua struttura corporea o delle sue doti naturali. Gli individui più piccoli
sono adibiti ai lavori domestici: pulizia delle gallerie e delle camere, allevamento delle larve,
cultura degli afidi, nutrimento dei maschi e della regina. Le vecchie operaie, - ci credete? –
svolgono la funzione di istruttrici; noi valorizziamo le vecchie generazioni per la loro esperienza:
esse non sono un peso per noi e non vengono emarginate o abbandonate a se stesse. Le formiche più
robuste costituiscono il nucleo della difesa del nido; poi vi è l’esercito delle operaie. Il lavoro svolto
è frutto di una stretta collaborazione, che abbisogna certamente della comunicazione. Le formiche si
riconoscono dall’odore e comunicano con le antenne; il nostro linguaggio è indicativo e non
descrittivo.
Chi non ha lo stesso odore del nido viene attaccato. Sembra agli occhi degli uomini che le due file
scorrevoli in senso contrario sono inconcludenti. Le formiche di ritorno al nido trasportano pezzi di
cibo, che sfuggono alla vista dell’uomo. Questa è in genere una giornata di lavoro. Di buon mattino,
appena il sole dà la sveglia, escono dal nido le formiche esploratrici e, mentre le altre continuano il
lavoro di trasporto iniziato il giorno precedente, esse abbandonano la rete stradale del formicaio e si
avventurano nel luoghi limitrofi. Se scoprono una preda pesante, ritornano precipitosamente
indietro e colpiscono con tocchi di antenne le altre operaie o esprimono nervosi passi di danza per
chiamare aiuto. La notizia corre veloce per tutto il formicaio e per tutte le file delle operaie intente
al lavoro. Il segnale di allarme è specifico, tanto che le operaie dedite alle cure della prole
continuano a svolgere il loro lavoro. Sarebbe diverso se il segnale riguardasse invasione del nido da
parte di nostri nemici.
Comunicano mediante feromoni, secrezioni chimiche. Le operaie anziane poste a guardia dei nidi
sono le prime a rimanere vittime dei nemici. Per comunicare depositiamo una sostanza chimica a
cui è associata una breve danza o un leggero contato con le antenne. Quando si localizza un nuovo
sito per un nuovo nido, lasciamo con la ghiandola rettale una traccia associata a segnali tattili. Se
incontriamo un nemico, lasciamo una traccia chimica secreta dalla ghiandola sternale. Un altro
strumento di comunicazione è la stridulazione , un acuto stridio sfregando un sottile raschietto o il
tambureggiamento. Ci affidiamo poco al suono e per nulla alla vista. L’arrivo delle formiche
predatrici o il pericolo di distruzione del nido per svariate cause viene segnalato dalla stridulazione,
che per noi è un segnale eccitativo o di vigilanza.
Se si scopre una preda, si studia il modo per trasportarla al nido: squadre si incaricano di prelevarne
parti con le mandibole e correre subito al nido per depositarle; altre squadre con sommi sforzi
trascinano la preda verso il nido; alcune operaie come solerti corrieri si dirigono verso le colonie
sparse ai confini del nostro territorio per coinvolgere le operaie che vi stazionano. Le colonie
servono o come deposti di cibo o di afidi in abbondanza o come vedette per avvistare le formiche
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predatrici. Nessun membro della comunità è parassitario; essa è veramente una società fondata sul
lavoro e dall’organizzazione di esso scaturisce il nostro sistema politico.
Anche nel nostro mondo non mancano le guerre, causate sempre da chi vuole impadronirsi dei beni
altrui, come accade in quello degli uomini. Tutti sanno ormai della guerra permanente tra formiche
e termiti. Nelle zone tropicali africane si svolgono epiche battaglie che vedono coinvolti milioni di
soldati operaie, che nel corso degli anni si sono miniti di mandibole a sciabola, che tagliano con un
solo colpo le teste degli avversari. Altre armi e strategie in uso sono: armi chimiche, irruzione nei
nidi attraverso tunnel sotterrane, emissione di sostanze repellenti o incollose, chiusura delle aperture
dei nidi, ponendovi sassolini ed altri oggetti.
Nella mia vita ho assistito a due eventi bellici, verificatisi nel mio formicaio. Il primo perdente, il
secondo vincente.
Era uno dei mesi caldi dell’anno; quasi tutte le formiche operaie erano al lavoro, sparse su tutto il
territorio ed altre alla ricerca di cibo fuori del territorio; poche formiche sentinelle erano rimaste a
guardia del nido. Le formiche razziatrici si avvicinano al nido senza far rumore, accerchiano il nido,
uccidono le poche sentinelle, che invano si impegnano in eroici combattimenti.. Vengono spezzate
in due dalle mandibole taglienti delle amazzoni. Le vecchie formiche, deputate ad ultima difesa, si
immolano nella speranza di ostacolare l’azione degli invasori. I nemici penetrano nel nido, frugano
in tutte le gallerie e prelevano le larve. A nulla è servita l’opposizione delle formiche allevatrici,
uccise anch’esse senza pietà. Risparmiano solo i maschi e la regina; sanno che da loro dipende la
generazione delle nuove larve, da prelevare in altre scorribande. Trasportano le larve nei loro nidi
non per cibarsene ma per allevarle. Le amazzoni, avendo mandibole adatte solo ad aggredire e non a
preparare il cibo, hanno bisogno di formiche ridotte allo stato di schiave per la loro alimentazione.
Le formiche che verranno dalle larve catturate si impregneranno dell’odore dei loro padroni e non
avvertiranno mai la loro diversità, per cui, sentendosi parte integrante del nido, non fuggiranno e
non si ribelleranno e continueranno a svolgere il ruolo predestinato: lavoratori a servizio di
parassiti.
Al ritorno dal lavoro io e le mie compagne assistiamo a questo disastro: il nido saccheggiato, le
sentinelle e le nutrici uccise. La disperazione regna nella comunità; alcune formiche trasportano nei
nostri cimiteri le parti dei corpi sconnessi degli eroici difensori; altre come impietrite rimangono
inabili per tante ore; qualcuna accarezza la regina nel tentativo di confortarla, ma altre sono già al
lavoro: riparano le gallerie danneggiate, riattrezzano le porte di difesa del nido e dopo siedono in
assemblea per studiare nuove forme di difesa.
Il nuovo attacco è previsto tra giorni: le amazzoni hanno bisogno di cibo bello e pronto per loro e
per le loro prede. Infatti dopo sette soli minacciosa una colonna di amazzoni si dirige verso il nostro
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nido. La colonna si dispiega in un cerchio che circonda tutto il nostro nido. Le nostre difese danno
l’allarme con le loro stridulazioni. Subito dopo un centinaio di commilitoni accorrono dal nido ed
altre centinaia dalle postazioni circostanti. La battaglia è cruenta e questa volta i numeri dei
combattenti dell’una e dell’altra parte si pareggiano.
Le nostre attaccano con decisione e con coraggio epico. Sfoderano i loro pungiglioni che fanno
penetrare nel corpo delle amazzoni. Altri nostri reparti lanciano dalla distanza di 20 centimetri acido
formico. Squadre specializzate di nostri commilitoni spruzzano sostanze vischiose che inibiscono i
movimenti delle assalitrici. Intanto i nostri trombettieri emettono stridulazioni di incoraggiamento.
Sul terreno ormai giacciono centinaia di corpi spezzati in due o immobilizzati. La battaglia infuria
sempre di più e si lotta accanitamente all’ultimo sangue, perché è in gioco la sopravvivenza. Ad un
certo punto le amazzoni colte di sorpresa da una strenua ed inaspettata difesa cercano di ritirarsi.
Ma noi, che abbiamo ingaggiato questa battaglia anche per vendicare i nostri figli, ci disponiamo in
due cerchi concentrici che inpediscono ai nemici di prendere la via della fuga. A questo punto le
amazzoni comprendono che la nostra strenua difesa può risultare vincente. E’ già il tramonto, ma la
battaglia ancora infuria. Interviene la nostra riserva che si era accalcata in una delle nostre colonie. I
rinforzi stanno per decidere la disfatta dei ladri delle nostre creaturine; le assalitrici cercano con
tutte le loro forze di rompere il doppio accerchiamento e trovare scampo nella fuga. Ma i nostri
commilitoni non perdonano e reiterano gli assalti, ormai su ogni amazzone infieriscono decine di
nostri soldati. Le ombre della sera sono calate; vi sono ormai pochi focolai di combattimento. La
vittoria è assicurata. Il campo di battaglia è seminato di centinaia e centinaia di corpi senza vita.
L’opera non è finita: si soccorrono le compagne ferite; si trasportano nei nostri cimiteri le nostre
commilitone immolatesi per la “patria”; si scava una buca e si sotterrano le amazzoni prive di vita.
Finalmente a notte inoltrata si rientra nel nido e si va riposare per recuperare le forze che occorrono
per il lavoro quotidiano del nuovo giorno.
Non siamo “un popolo” che dispone di una scrittura che possa immortalare questa epica battaglia,
non disponiamo di scribi, ma l’accaduto viene scolpito nella nostra memoria e i ricordi verranno
tramandati oralmente di generazione in generazione sia per rinsaldare il senso dell’identità con la
propria società sia per trarne esperienza.
La notte seguente io non riuscivo a prendere sonno: ricostruivo le scene strazianti della battaglia, le
sembianze delle compagne immolatesi per il nido. Una vecchia nutrice dal sonno leggero si accorse
del mio stato di agitazione, si avvicinò, mi accarezzò e cominciò a raccontare.
“Un giorno una giovane del mondo degli uomini, studiosa delle formiche, aveva posato il suo zaino
non lontano dal nostro nido. Fui attirata da un buon odore che ne proveniva. Mi infilai e vi scoprii
un cucchiaino ancora sporco di miele. Dimentica del pericolo, mi misi da ingorda a mangiare il
miele. Sopraggiunse la giovane e chiuse ermeticamente lo zaino e partì. Io vi rimasi intrappolata. La
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ricercatrice insieme alla sua equipe si mise a girare il mondo per studiare le formiche. Da secoli
infatti noi siamo oggetto di studio da parte degli uomini che vogliono scoprire i segreti dei nostri
successi, della nostra organizzazione, ma non vi riusciranno malgrado i loro sforzi, perché sono
dominati dai loro punti di vista, dalle loro categorie umane. Si dovranno accontentare delle
apparenze. Ebbene grazie al girovagare di questa giovane io potetti vedere cose strabilianti. Ormai
la mia casa era lo zaino, dove non mancavano mai le occasioni di cibo. E che cibo! Ecco cosa vidi.
Devi sapere che esistono specie di formiche bellicose, intente solo alla guerra e alla devastazione
dei formicai altrui, che permettono loro la sopravvivenza. A differenza di noi la loro società è
fondata sulla guerra e non sul lavoro. Nei miei spostamenti ho potuto conoscere le formiche che si
muovono freneticamente e senza una meta in tutte le direzioni, proprio per questo denominate pazze
dall’uomo. Esse sono gialle. Hanno migliaia di regine e formano supercolonie di milioni e milioni
di formiche. Attaccano tutto e ogni loro migrazione diventa un massacro. Le loro vittime sono i
piccoli degli uccelli, piccoli mammiferi, rettili e soprattutto granchi rossi. Un’altra specie di
formiche è dotata di un sistema di mandibole a scatto. Queste formiche rimangono immobili di
fronte a piccoli insetti e quando questi si avvicinano divengono vittime delle mandibole delle
formiche, messe in azione in due millesecondi. Le formiche cosiddette legionarie sono nomadi, non
hanno un formicaio, si muovono in continuazione a caccia di insetti e piccoli vertebrati. Quando
bivaccano si attaccano con le zampe le une alle altre, formando un blocco, al cui centro, protette, si
trovano la regina e le larve. La regina è abbastanza prolifica, depone sino a 30.000 uova alla
settimana. La colonna, generalmente lunga dai 10 ai 15 metri, nel suo cammino attacca scorpioni,
ragni, lucertole e serpenti, che vengono avvelenati con ripetute punture.La loro forza è il numero. Io
credo che, a differenza delle formiche lavoratrici, tutte le specie delle formiche bellicose siano
destinate all’estinzione. Esse non dispongono di patrimonio di conoscenze tecniche né di capacità di
svilupparle tese a trovare soluzioni con il variare del clima e dell’assetto del territorio, soggetto agli
sconvolgimenti degli elementi naturali o a per fronteggiare eventuali carestie. Esse dipendono dalla
presenza di altri insetti o di altri animali. Hanno bisogno di attaccare in massa singole prede, con la
forza del gruppo, del branco. Accade anche nel mondo degli uomini: i molti pavidi, imbelli,
vigliacchi si uniscono per attaccare individui isolati. Dal numero scaturiscono la prepotenza il
sopruso, l’arroganza, il potere incontrollato e illegittimo. Così accade nel rapporto ricchezzapovertà.
La ricchezza in quantità crea dipendenza, perché i poveri sono costretti a sottomettersi e alle volte a
vendere la propria anima ai ricchi prepotenti e cinici o prostituirsi.
Gli uomini ricchi, per fortuna non tutti, hanno in sé lo spirito della devastazione dei propri simili”
Io assaporando il racconto, mi addormentai.
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Dopo la vittoria schiacciante sulle amazzoni, fu convocata un’assemblea e si decise di festeggiare
l’evento.
Tutte le formiche si dirigono verso una delle nostre colonie, dove sono ammucchiati gli afidi, le
nostre mucche, messe al riparo nelle notti fredde o nelle giornate di caldo intenso.
Si portano fuori della colonia gli afidi. Ogni formica a turno tambureggia con le antenne quelli posti
nella loro parte posteriore. Subito scorre un liquido melato. Alcune formiche, oltre a saziarsi, fanno
provvista del cibo inebriante che depositano nel loro stomaco sociale. Ritornano, correndo, nel nido
e rigurgitano il miele nella bocca delle sentinelle e delle nutrici nonché della regina e dei maschi. Il
convito dura sino a tarda ora. Quante storie vengono raccontate: storie di guerra, di caccia, di
ritrovamento di grossi insetti, di invasione del nido da parte di piogge torrenziali, di smottamento
del terreno, di voli nuziali seguiti sempre con trepidazione, di lavori estenuanti e notturni per la
costruzione di nuove gallerie e cunicoli, del ritrovamento di squadre di compagne che si erano
smarrite nel loro lavoro di esplorazione. Una formica anziana racconta della lotta alla processionarie
che si erano insediate sulla sommità degli alberi del vicino bosco. Occorreva distruggerle al più
presto pena la morte della vegetazione arborea con grave conseguenza per l’equilibrio ecologico:
aridità del terreno per la mancanza dell’umidità apportata dagli alberi, scomparsa di migliaia di
insetti (mosche, ragni, ecc.), cibo procurato dai nostri cacciatori per la comunità, impossibilità di
impiantare sugli alberi i nostri afidi. Questi, infatti, vengono trasportati a primavera dalle loro stalle
ai rami teneri degli alberi, da cui suggono la sostanza vitale. Si decide di attaccare i nidi delle
processionarie. Si dovette lottare settimane intere per la loro definitiva distruzione. Le formiche
ritenute perniciose dall’uomo e per questo combattute con ogni mezzo, con micidiali armi chimiche,
scacciate dagli appartamenti e odiate dalle signore degli uomini, contribuiscono a salvaguardare
l’equilibrio ecologico della terra.
Noi sentiamo profondamente il rispetto del territorio altrui. Noi non invadiamo le dimore degli
uomini. Vi penetriamo solo se ci sentiamo autorizzate, infatti se qualche pertugio o qualche fessura
mette in comunicazione le costruzioni degli esseri umani o ai loro confini viene depositato materiale
edibile noi consideriamo queste condizioni come invito a penetrarvi.
Noi siamo ossessionate dell’igiene che è una delle condizioni del nostro stato di salute. I nostri nidi
vengono continuamente liberati da materiale indesiderabile o putrescente o fermentabile. Del resto,
non essendo soggette a malattie, non ne trasmettiamo Non ci risulta che siamo state occasione di
malattie a differenza di altri animali, come le zanzare o alcuni animali esotici e perfino animali
domestici, come le mucche per il carbonchio o il maiale per la tenia.
Ho finito il mio racconto: Giudicate alla luce di quanto esposto, liberandovi, se potete, dei vostri
pregiudizi, maschere adatta a nascondere le vostre miserie. Sia ben chiaro che la nostra
organizzazione odierna è frutto di tanti aggiustamenti ed adattamenti, che hanno dato adito ad “un
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mondo migliore possibile”. Noi formiche rufa non conosciamo lo sfruttamento, la violenza,
l’accaparramento di beni a danno degli altri, l’ambizione smodata praticata a danno del prossimo, la
ricerca del successo per imporsi sugli altri. Questi disvalori appartengono anche a qualche specie di
formiche, che forse saranno destinate all’estinzione. Nel nostro mondo non vi è il più o il meno, ma
solo l’uguale. Giustamente uno degli entomologi citati hanno scritto: “La teoria di C. Marx si
concretizza nel pianeta formiche.”. Nella nostra società vi è libera scelta. La regina è tale non per
discendenza o per predestinazione; se vuole qualsiasi operaia può assumere il ruolo di regina. Le
cure che offriamo alla regina non sono un segno di servilismo ma della volontà di prodigarsi per la
vita di altre creature. Nello scorrere dei secoli, dinanzi a pericoli incombenti, abbiamo adottato
soluzioni tecniche, che abbiamo conservato e praticato per tanto tempo, avendo sperimentato la loto
utilità. Ciò avete considerato come fissità dell’istinto. Voi, in vece, ad una soluzione tecnica ne fate
seguire altre al solo scopo di creare mercato. A proposito da noi i mercanti non esistono, come
accadeva tanti anni fa nei vecchi villaggi dell’Africa o di altri continenti prima che l’umanità fosse
immessa nel ciclone dello sfruttamento. L’economia “primitiva” non ne sente la necessità. Voi, ad
eccezione di alcuni aspetti positivi del commercio, avete creato mercanti per la speculazione illegale
e mercanti di morte, quali quelli che senza scrupoli vendono droghe e armi. Nella nostra società non
ci sono poveri né tantomeno ricchi; le architravi del nostro essere sociale sono la responsabilità, il
dovere, il servizio; a dimostrazione di quest'ultimo basta citare il comportamento delle vecchie
nutrici che si immolano nel tentativo di ostacolare momentaneamente il cammino degli aggressori o
i pericoli a cui si espongono le nostre esploratrici. Voi uomini, sempre ossessionati dal vostro
primato,direte: “E’ solo istinto” Noi affidiamo al tempo la resa dei conti o meglio la dimostrazione
che la nostra organizzazione sociale è una delle più idonee a sopravvivere.
Arrivederci e scusate il disturbo.
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