L'uomo che fermò il tempo di Oliver Sacks [Oliver Sacks illustra un raro quanto sensazionale difetto neurologico, per cui i pazienti vivono un reale fermo-immagine. Si arresta il flusso visivo, quello del movimento e del pensiero.] Il tempo, diceva Jorge Luis Borges, "è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è il fiume che mi trasporta, ma io stesso sono fiume.". I nostri movimenti, le nostre azioni, sono differiti e diluiti nel tempo, come lo sono anche le nostre percezioni, i nostri pensieri, il contenuto della nostra coscienza. Ma il tempo nel quale viviamo, o al quale viviamo accanto, è continuo al pari del fiume di Borges? O non è forse esso più simile a una catena o a un convoglio, a una successione di momenti distinti, quasi fossero perline su uno stesso filo? Esiste un raro quanto sensazionale difetto neurologico che un numero di miei pazienti ha sperimentato durante alcuni attacchi di emicrania: essi possono arrivare a perdere il senso della continuità visiva, del movimento, e vedono invece una tremolante serie di inquadrature fisse. Vedono dei fermo-immagine, che possono essere precisi e ben delineati, e susseguirsi l'uno dopo l'altro senza mai sovrapporsi o accavallarsi; più spesso, però, sono sfocati, come accade a una pellicola fotografica esposta alla luce troppo a lungo, e permangono per così tanto tempo che ciascuno di essi è visibile anche quando già risulta visibile l'inquadratura successiva, così che tre o quattro di questi fermo-immagine arrivano ad accavallarsi l'uno sull'altro, e i primi sono progressivamente più sfocati degli ultimi. Parlai di questi strani effetti visivi nel mio libro del 1970, intitolato 'Emicrania'. Non avendovi trovato nella letteratura medica alcuna spiegazione soddisfacente, per descriverli utilizzai il termine "visione cinematografica", poiché i pazienti li avevano spesso comparati alla visione di una pellicola cinematografica troppo rallentata. Non potei non chiedermi, allora, se la percezione visiva non potesse davvero essere simile alla cinematografia, non registrasse l'ambiente in brevi istantanee, o fermo-immagine, per poi, in condizioni normali, fonderle tutte insieme, per conferire alla coscienza visiva il suo movimento e la sua continuità usuali: una fusione che non riusciva a verificarsi nelle abnormi condizioni dovute agli attacchi di emicrania. Fermo-immagine di questo tipo possono essere percepiti anche nel caso di intossicazioni (specialmente con allucinogeni tipo l'Lsd). Io stesso ho sperimentato qualcosa del genere dopo aver bevuto un sakau, un allucinogeno diffuso in Micronesia. Descrissi alcuni di questi effetti in un diario e più tardi nel mio libro intitolato 'L'isola dei senza colore': "Petali fantasma si irraggiano da un fiore sul nostro tavolo, come se esso avesse intorno un'aureola; quando si muove lascia dietro di sé un lieve seguito, una sbavatura visiva. nella sua scia. Osservando una palma che ondeggia vedo una successione di fermo- immagine, come un film che giri troppo lentamente, senza che la sua continuità sia mantenuta". Ho sentito resoconti straordinariamente simili a questo da alcuni dei miei pazienti post-encefalitici, allorché erano 'risvegliati' e sovraeccitati in maniera particolare dall'assunzione del farmaco L-Dopa (come descritto nel libro 'Risvegli' da cui è stato tratto il film con Robert De Niro e Robin Williams, ndr). Alcuni pazienti descrivevano una visione cinematica, altri descrivevano incredibili fermo-immagine, talvolta lunghi anche ore intere, nel corso dei quali si arrestava non soltanto il flusso visivo, ma altresì il flusso del movimento, dell'azione, del pensiero. Una volta fui chiamato d'emergenza perché una paziente, Hester Y., aveva iniziato a fare il bagno e la stanza da bagno si era allagata. La trovai del tutto immobile, in piedi, in mezzo alla stanza allagata. Quando la sfiorai sussultò e mi chiese: "Che cosa è successo?". Al che io replicai: "Me lo spieghi lei". Lei rispose di aver iniziato a far scorrere l'acqua per farsi un bagno. C'era soltanto qualche centimetro d'acqua nella vasca e poi. io l'avevo toccata, e lei si era improvvisamente resa conto che la vasca doveva essere traboccata perché il bagno era allagato. Ad ogni modo lei era rimasta bloccata, immobile, ferma in quel singolo preciso istante nel quale la vasca conteneva soltanto qualche centimetro d'acqua. Simili blocchi dimostravano che lo stato di coscienza può essere arrestato, fermato per periodi anche lunghi, mentre le funzioni automatiche e inconsce - come la respirazione, per esempio - continuano come prima. Ero quindi pronto a restare affascinato quando nel 1983 Joseph Zihl e i suoi colleghi di Monaco pubblicarono la notizia di un caso di cecità motoria, unico e ampiamente documentato: in seguito a un colpo apoplettico una donna era diventata incapace in modo permanente di avvertire il movimento. Il colpo apoplettico aveva danneggiato le aree specializzate della corteccia visiva che i fisiologi nel corso di esperimenti su animali hanno dimostrato essere determinanti per la percezione del movimento. In questa paziente, da loro indicata soltanto con le iniziali L. M., vi erano delle immagini congelate della durata di svariati secondi, durante i quali la paziente vedeva un'immagine fissa per un tempo prolungato ed era visivamente inconsapevole di qualsiasi movimento avvenisse intorno a lei, sebbene il flusso dei suoi pensieri e la sua percezione fossero altrimenti nella norma. Vi sono evidenti differenze tra la visione cinematica e il genere di cecità motoria descritta da Zihl: e forse vi sono differenze anche tra questi due casi e le lunghissime immagini visive, talora globali e congelate, sperimentate da alcuni pazienti post-encefalici. Tali differenze implicano che deve esserci un certo numero di meccanismi differenti che stanno alla base di quelle che chiamiamo percezione del movimento visivo e continuità della coscienza visiva. Nel caso di qualche intossicazione, di alcuni attacchi di emicrania e alcune forme di danno cerebrale, certuni di questi meccanismi o anche tutti possono non riuscire ad agire come dovrebbero. La domanda è: questi meccanismi agiscono anche in condizioni normali? Mi viene in mente un caso alquanto banale: ogni tanto, quando sono sdraiato a letto e fisso con lo sguardo le pale del ventilatore, all'improvviso capita che esse per qualche secondo invertano la loro direzione di rotazione, per poi tornare altrettanto improvvisamente al loro usuale movimento rotatorio. Talvolta il ventilatore pare oscillare o arrestarsi, mentre altre volte pare che esso sviluppi delle pale in più o bande scure più larghe delle pale stesse. Tutto ciò è simile a quanto accade quando in un film, per esempio, le ruote di una diligenza paiono talora girare lentamente all'indietro o muoversi appena. Questa cosiddetta "illusione delle ruote della diligenza" riflette una mancanza di sincronizzazione tra la velocità della pellicola e quella delle ruote che girano. Ma è mai possibile che io abbia un'illusione delle ruote della diligenza nella vita reale quando osservo il mio ventilatore nel sole mattutino che invade la mia camera da letto, illuminando ogni cosa di una luce continua e uniforme? Esiste allora un qualche tipo di mancanza di sincronizzazione nei miei meccanismi individuali di percezione, simili - ancora una volta - all'azione di una cinepresa? Dale Purves con i suoi colleghi della Duke University ha analizzato il fenomeno dell'illusione delle ruote della diligenza nei dettagli e ha confermato che questo tipo di illusione o di percezione sbagliata è universale tra tutti i suoi pazienti. Avendo escluso qualsiasi altra causa di discontinuità (come le luci intermittenti, i movimenti oculari e così via), egli è giunto alla conclusione che il sistema della vista processa le informazioni in episodi sequenziali, a un ritmo che varia da tre a 20 episodi al secondo. Di norma, queste immagini sequenziali sono percepite come un flusso percettivo ininterrotto. Anzi: Purves e i suoi colleghi ipotizzano che potremmo ritenere alcuni film convincenti proprio perché noi stessi spezzettiamo il tempo e la realtà come fa una cinepresa, in frammenti distinti, che poi riassembliamo in un flusso apparentemente continuo. Secondo l'opinione di Purves, è precisamente questa decomposizione in una successione di momenti di quello che noi vediamo a consentire al cervello di individuare e quantificare il movimento, perché tutto ciò che esso deve fare è prendere nota delle posizioni diverse degli oggetti nelle inquadrature successive e da queste dedurre direzione e velocità del movimento. Ma non basta: noi non calcoliamo il movimento così come potrebbe fare un automa. Noi lo percepiamo. Noi percepiamo il movimento proprio come percepiamo il colore o la profondità, come un'esperienza qualitativamente unica, cruciale e determinante per la nostra consapevolezza e coscienza visiva. In effetti: oggi è possibile monitorare simultaneamente l'attività di centinaia o più di singoli neuroni nel cervello e farlo in animali non anestetizzati ai quali siano state affidate delle mansioni percettive e mentali. Possiamo così esaminare l'attività e le interazioni di vaste aree cerebrali per mezzo di tecniche di imaging come la risonanza magnetica e le scansioni Pet, e tali tecniche non invasive possono essere utilizzate anche su soggetti umani per verificare quali aree del cervello si attivino nel corso di attività mentali complesse. Un'innovazione determinante in neurologia è stata la cosiddetta "populationthinking", ovvero il fatto di pensare in termini che tengano conto della vasta popolazione neuronale del cervello (un centinaio di miliardi di neuroni o giù di lì), unitamente al potere dell'esperienza di alterarne le connessioni, di promuovere la formazione di gruppi funzionali o di costellazioni di neuroni in tutto il cervello. Invece di considerare il cervello come qualcosa di rigido e di fisso nella sua operatività, programmato come un computer, oggi si ritiene che sia, invece, plasmabile dall'esperienza che configura letteralmente la connettività e le funzioni del cervello stesso (nell'ambito di limiti genetici, anatomici e fisiologici, ovviamente). William James insisteva sul fatto che la coscienza non era "una cosa" bensì "un processo". Alla base di questo processo, secondo Gerald Edelman (Premio Nobel per la medicina nel 1972, ndr), c'è una interazione dinamica tra gruppi di neuroni di diverse aree della corteccia cerebrale. Egli parla di interazioni reciproche, e immagina che la coscienza emerga dall'enorme numero di interazioni che intercorrono tra i sistemi cerebrali che danno vita alla memoria e i quelli che danno origine all'organizzazione delle percezioni. Altri pionieri nello studio delle basi neuronali della coscienza sono Francis Crick (lo scienziato che insieme a James Watson identificò la struttura a doppia elica del Dna, ndr) e il suo più giovane collega Christof Koch. In un articolo dal titolo 'Una struttura per la coscienza', pubblicato nel febbraio 2003 su 'Nature Neuroscience', Crick e Koch riflettono sulle correlazioni neuronali che sottostanno alla percezione del movimento, su come è percepita o costruita la continuità visiva e, per estensione, sull'apparente continuità della coscienza stessa. Essi ipotizzano che la "consapevolezza (della visione) sia costituita da una serie di istantanee ferme, con il movimento impresso su di esse.(e) che la percezione abbia luogo in una serie di fasi distinte". Sono rimasto sbigottito quando per la prima volta qualche mese fa mi sono imbattuto in questa definizione, perché la loro definizione mi pare che presupponga lo stesso concetto di coscienza che William James e il filosofo Henry Bergson avevano suggerito un secolo fa; lo stesso che mi si è impresso nella mente, negli anni Sessanta, quando avevo sentito i miei pazienti riferire della loro visione cinematica. Oggi, però, c'è qualcosa di più: la possibilità che un substrato della coscienza abbia le sue premesse nell'attività neuronale. Eppure, le "istantanee" che Crick e Koch hanno descritto non sono uniformi, come quelle cinematiche: secondo loro non è probabile che la durata delle istantanee in successione possa essere costante; inoltre il tempo dell'istantanea di una forma, per esempio, può non coincidere con quello dell'istantanea di un colore. In che modo, allora, le varie istantanee sono assemblate per raggiungere una continuità apparente? E in che modo queste raggiungono il livello della coscienza? Un particolare movimento, per esempio, può essere rappresentato da neuroni che si accendono a un ritmo particolare, ma, contemporaneamente, è soltanto l'inizio di un elaborato processo. Perché quel movimento sia percepito dalla coscienza, questa accensione di neuroni deve superare una certa soglia di intensità ed essere mantenuta ad di sopra di essa: la consapevolezza, secondo Crick e Koch è un fenomeno di soglia. Perché ciò accada questo gruppo di neuroni deve impegnare altre parti del cervello e allearsi con milioni di altri neuroni per formare una coalizione. Queste coalizioni neuronali in diverse parti del cervello comunicano tra loro in un'interazione continua e vicendevole. Perché un fenomeno diventi cosciente l'attività di una coalizione, o di una coalizione di coalizioni, non deve soltanto superare la soglia di intensità necessaria, ma deve anche durare nel tempo, all'incirca per un centinaio di millisecondi. Questa è la durata del 'momento percettivo'. Un continuo e dinamico flusso di coscienza permette, a un livello primario, una visione attiva e, a un livello superiore, l'interazione di percezione e memoria, di presente e passato. Secondo Edelman questa coscienza primaria è stata molto efficace nella lotta evolutiva per la sopravvivenza. Poi, da questa semplice coscienza primaria, grazie al linguaggio, all'autocoscienza e al senso esplicito del tempo, passato e futuro, ha avuto origine la coscienza umana e individuale. Mentre sto scrivendo queste righe sono seduto a un caffè della Settima Avenue, e osservo la gente passare. La mia attenzione e la mia concentrazione vanno e vengono. Una ragazza con un abito rosso che passa, un uomo che cammina con un cane strambo, il sole che finalmente affiora dalle nuvole. Questi sono tutti avvenimenti che catturano la mia attenzione per un momento, allorché accadono. Perché tra migliaia di percezioni possibili, sono queste quelle che io afferro? Dietro di esse vi sono riflessioni, ricordi, associazioni. La coscienza è sempre attiva e selettiva. Quindi non è soltanto la Settima Avenue quella che io sto guardando, ma la mia Settima Avenue. Ci illuderemmo qualora immaginassimo di poter rimanere osservatori passivi e imparziali: ogni percezione, ogni scena è forgiata da noi, sia che noi lo vogliamo e lo sappiamo, sia in caso contrario. Noi tutti siamo i registi del film che stiamo girando, ma ne siamo altresì nello stesso modo l'oggetto: ogni inquadratura, ogni momento, è noi, è nostro. E così non si tratta soltanto di momenti percettivi, di semplici momenti fisiologici, anche se questi sono basilari a qualsiasi altra cosa, bensì di momenti di un genere essenzialmente personale, che paiono costituire il nostro stesso essere. In definitiva, arriviamo quindi a concordare con l'immagine di Proust, essa stessa vagamente reminescente della fotografia, secondo cui noi siamo fatti di una 'miscellanea di momenti', anche se questi scorrono l'uno nell'altro come uno dei fiumi di Borges. Copyright Dr. Oliver Sacks - 'L'espresso', traduzione di Anna Bissanti (2005)