Saverio Altamura* Nel generale riesame dell’arte italiana dell’Ottocento, che ora si va compiendo con più penetrante metodo critico, dopo che per tanto tempo quell’arte era stata oggetto d’incontrollate — e non sempre disinteressate — esaltazioni o di altrettanto incontrollate denigrazioni, la personalità artistica di Saverio Altamura ha riacquistato la sua esatta e assai rilevante fisionomia. E’ apparsa intanto in migliore evidenza la parte che egli ebbe in quel moto di rinnovamento che, verso la metà del secolo XIX, trasse la pittura italiana dagli impacci di una maniera accademica entro cui s’era impigliata particolarmente per la posizione marginale fin allora tenuta rispetto al grande filone del Romanticismo europeo. E fu rinnovamento su un piano già « unitario », che valse anche a forzare gli angusti limiti delle scuole regionali ed a portare l’attenzione degli artisti sui contemporanei fatti europei. Già a Napoli, nel giovanile sodalizio con Domenico Morelli, tra il 1837 e il ‘48, l’Altamura aveva maturato idee nuove, avvertendo la necessità di ricondurre l’operare artistico alle fonti della realtà, intesa come esperienza d’esistenza nella sua concretezza essenziale, e non come oggetto di passiva imitazione o di descrizione aneddotica. Che questo volgersi alla realtà, al vero scaturisse da un profondo stimolo morale, radicato nell’animo dell’artista e tale da conferire alla sua attività creativa il valore di un impegno umano, lo dimostrano anche le circostanze che danno rilievo alla biografia dell’Altamura, per il fervore che animò con pari intensità l’artista, il cittadino, il patriota, inducendolo a partecipare ai moti del ‘48, e a partire quindi da Napoli, esule per lungo tempo in Toscana. Appunto a Firenze egli entrò, come è noto, in immediato contatto con quell’ambiente artistico, già per proprio conto orientato verso una concezione dell’arte simile alla sua. Fu proprio l’Altamura — come parecchio tempo dopo (1895) notò molto acutamente il critico Diego Martelli — a portare a Firenze l’esperienza di un modo pittorico più libero, che intendeva cogliere l’essenziale della realtà: « Fu lui che.., cominciò a parlare del ton gris, allora di moda a Parigi, e tutti a bocca aperta, ad ascoltarlo prima ed a seguirlo poi, per la via indicata, aiutandosi con lo specchio nero, che decolorando il variopinto aspetto della natura permette di afferrare più prontamente la totalità del chiaroscuro, la « macchia ». Oggi, forse, può far sorridere l’accenno all’uso di un mezzo emp i* Saverio Altamura, pittore e patriota foggiano nell’autobiografia, nella critica e nei documenti. A cura di Mario Simone. Foggia. Studio Editoriale Dauno, 1965. In 80, pp. 176, sopr. fig., 48 tt. f.t. e dis. nel t. - L. 3.000. [Raccolta di Studi Foggiani a cura del Comune, 2 a serie diretta da M. Simone, n. 2]. — Sommario: Presentazione del Sindaco di Foggia - Prefazione di Bruno Molajoli - « Vita e Arte », autobiografia di S.A. Note editoriali - Testimonianze e giudizi: Domenico Morelli, I tempi dell’Accademia; Francesco Jerace, Testimonianza di sodale; Federico Verdinois, La « verità ideale »; Matilde Serao, il « Cristo »; Gaetano Marschiczek, A Lecce le ultime opere; Michele Colio, Su la soglia della eternità; Costanza Lorenzetti, Anti-accademia e modernità nella pittura « minore »; Mattia Limoncelli, Il suo romanticismo. - Catalogo delle opere Bibliografia. 78 rico come lo specchio nero per realizzare una certa visione della realtà, né può asserirsi che il movimento dei « macchiaioli » tragga origine solo dall’esempio dell’Altamura: come s’è detto, egli a Firenze aveva trovato un ambiente già in fermento, indubbiamente congeniale. Però è fuor di dubbio che lo stimolo che egli operò sui pittori della cosiddetta « Scuola di Staggia » — con i quali s’era recato, nel 1854, a dipingere nella campagna annessa — e su altri toscani, fu di gran momento in quella fase cruciale dell’arte italiana. E ancor più notevole fu la sua azione dopo il ritorno da Parigi, dove s’era recato nel ‘55 insieme con Serafino de Tivoli per visitare l’Esposizione Universale e dove aveva nuovamente incontrato il Morelli. Quivi il contatto con l’opera matura di Corot e con quella di Coubet, il quale aveva allestito di contro all’esposizione ufficiale il suo rivoluzionario Pavillon du Réalisme, confermò in lui, oltre tutto, la convinzione della missione civile dell’arte. Significativo in proposito il senso che egli intese dare alla pittura di soggetto storico, in analogia, vorremmo dire, con quello del melodramma verdiano: una concezione non puramente esortativa o supinamente descrittiva degli episodi storici, ma espressione del senso di attualità della storia come patrimonio di idee e di sentimenti, che occorre ravvivare e sentire nuovamente veri, perché rivissuti nell’esperienza attuale dell’artista. Nell’abbondante produzione pittorica dell’Altamura, le opere di maggiore impegno e di più controllata schiettezza rispecchiano variamente siffatte idee ed ambizioni, i loro presupposti culturali, la particolare prospettiva storica entro cui poterono maturare.A meglio configurare un così singolare temperamento d’artista, giovano indubbiamente anche i riflessi che si possono cogliere nelle pagine autobiografiche da lui dettate, con tanto vivace e fresca spontaneità, poco tempo prima di morire. Opportunamente, quelle pagine, rivedute sul manoscritto originale e integrate con note dottamente curate dal benemerito avv. Mario Simone, sono ora ripubblicate per lodevole iniziativa del Comune di Foggia, che ha voluto onorare nel modo più degno la memoria e la fama dell’illustre suo figlio, rievocandone e ampiamente documentandone in questo volume la nobile attività artistica. BRUNO MOLAJOLI 79