S
e il teatro vive di relazione – incontro, accoglienza, ascolto, reciprocità – la sua
vocazione civile appare intrinseca e irrinunciabile. Una vocazione che il Kismet
abbraccia dalle origini, proponendo da subito una prospettiva allargata, intendendo
quel termine, “civile”, in un’accezione ampia, quanto meno rispetto alle categorizzazioni
da manuale, pure utili a fare ordine nel panorama sterminato della storia teatrale.
Iconl nostro
“civile” è quel guardare a chi ci sta di fronte con consapevolezza e impegno,
l’obiettivo non tanto di impartire una lezione o una morale, di lenire o curare.
D
opo la prima edizione dello scorso anno, torna esercizi per un'arte civile, la
rassegna dedicata ai progetti Teatro e Handicap, La prova del teatro e I Linguaggi
dell’Integrazione Teatrale, una cornice nata per evidenziare e ribadirne senso e
impegno. Alieni da intenti terapeutici, questi territori dell’alterità chiamano a una
relazione speciale, trovando il senso ultimo solo in quella reciprocità che il confronto
con il pubblico consente e che soprattutto lì diviene sostanziale. È la loro natura e
ragione più profonda a invitare la città all’incontro. Perché lì più che altrove il teatro
si fa luogo del possibile, agito da chi pratica la scena e da chi guarda. Noi con voi.
Barbara Pizzo
resp. Teatro civile e Territorio
Teatro Kismet OperA
Unione Europea – Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Regione Puglia
Comune di Bari – Università degli Studi di Bari – Teatro Pubblico Pugliese
Ministero della Giustizia – Istituto Penale per i Minorenni "N. Fornelli" di Bari
Sognare, forse | foto Francesca Mastrogiacomo (Documenta)
Piuttosto di creare tra noi e loro, voi, un ponte da percorrere per ritrovarsi insieme
e insieme far scoccare una scintilla che accenda, deporre un seme, dialogare. È un
civile che si declina nella scelta degli spettacoli programmati, per contenuti e forma,
nell’assunzione di responsabilità nei confronti di tutto il nostro pubblico, riservando
un’attenzione particolare e concreta alle generazioni più giovani, un civile che sostiene
e nutre tutti i progetti speciali e di formazione realizzati in questi vent’anni.
Ed è proprio alle dimostrazioni finali delle edizioni 2009/10 di gran parte di tali
progetti a essere dedicata in questa ultima fase della stagione, assieme agli ultimi
due spettacoli ospiti che si collocano in diretta continuità con questa prospettiva
Nei mesi di aprile e maggio potremo finalmente schiudere le porte di quei percorsi
di pratica e sperimentazione che si sono sviluppati nel corso dell’intera stagione,
rivolti anche ai luoghi sensibili del disagio, dalla detenzione alla diversa abilità.
Accanto agli esiti del progetto T.E.R.I. – Face à Face e dei due laboratori di formazione
teatrale condotti dai nostri artisti, seguendo il filo della ricerca artistica ecco allora
situarsi esercizi per un’arte civile.
Pochi attori hanno abbastanza sensibilità per poter portare in scena, con tanta passione,
un dramma come Marat Sade. Gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza ne sono
un esempio straordinario. In tournée con un classico del teatro novecentesco, scritto da
Peter Weiss, raccontano, attraverso la rappresentazione che ne fanno i ricoverati nel
manicomio di Charenton, l’omicidio compiuto da Carlotta Corday. Guida i degenti nella
messa in scena, il Marchese de Sade, ospite illustre della clinica. Un percorso metà
teatrale, dunque. Nella realtà, a seguire e condurre gli attori-detenuti per questo singolare
percorso, è il regista Armando Punzo, che ritiene il dramma attuale.
Il Marat Sade è Premio UBU '92.
Jetée | foto Claudia Stangarone
con Piera Del Giudice, Anna Isa Locaputo allestimento Cristina Bari cura Barbara
Pizzo traduzione a cura del gruppo tradurre per la scena con la supervisione di Ida
Porfido del Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze e Mediterranee, Università
degli Studi di Bari in collaborazione con Ambasciata di Francia in Italia, Alliance
Française di Bari, PAV
Diffondere la conoscenza della drammaturgia contemporanea francese in Italia
è l’obiettivo del progetto Face à Face – parole di Francia per scene d’Italia, inserito
nel più ampio programma T.E.R.I (Traduire, Editer, Représenter en Italie le théâtre
français contemporain), nel 2010 alla quarta edizione. Un impegno sostenuto
dall’Ambasciata di Francia a Roma che stimola i teatri italiani a conoscere e
confrontarsi con la produzione drammaturgica d’oltralpe.
Fin dal suo primo anno l’appuntamento Face à Face a Bari è affidato al Teatro
Kismet. Ed è a Bari che, in collaborazione con il Dipartimento di Lingue e Letterature
Romanze e Mediterranee dell’Università degli Studi, si è sviluppata una nuova
modalità di approccio alla traduzione, coinvolgendo studenti e docenti in un
percorso strutturato che parte dal testo francese per giungere alla sua mise en
espace in lingua italiana.
Un processo "collettivo" che, come spiega la Professoressa Porfido, coordinatrice
del progetto di traduzione, è "risultato di un delicato e laborioso processo di
mediazione culturale, frutto di una lettura che ha saputo farsi in itinere «arte
dell’ascolto», come scriveva Jean Starobinski pensando proprio alla traduzione
letteraria". Un’occasione di approccio con gli autori più innovativi della scena
teatrale contemporanea in Francia che, dopo Olivier Cadiot e Marie NDyaie vede
protagonista quest’anno Jacques Serena, il cui testo sarà messo in scena dal
regista teatrale Lello Tedeschi. Cinquantenne di Vichy, Serena è romanziere oltre
che autore di testi teatrali, approdato alla scrittura dopo numerosi lavori saltuari
e un passaggio per la pittura. Dal 1996 inizia come autore associato al Théâtre
National de Strasbourg, parallelamente anima laboratori di scrittura sia in carcere
e in ambienti svantaggiati, sia all’università e scrive una serie di testi drammatici
per la radio (France Culture) e il teatro.
"I testi di Serena, siano essi narrativi o teatrali, si presentano sempre sotto forma
di monologhi drammatici - spiega la professoressa Ida Porfido -, i suoi personaggi
sembrano provenire in gran parte da uno strano demi-monde, popolato di esseri
miserabili, equivoci, sbandati, tutti affetti da analoghe forme di devianza e
marginalità sociale, morale e psicologica".
Jetée, il testo scelto per il progetto di traduzione 2010, è il racconto di una notte
e una tragedia inattesa. Una notte su un molo, fra amici, movimentata dall'artificiale
allegria dell'alcol e della polvere bianca. La luce ossessiva e intermittente di un
faro a illuminare giovani vite alla deriva, alla disperata ricerca di un senso alla
propria condizione.
La qualità luminosa degli ambienti prescelti, spesso immersi in una penombra
ambigua e disorientante, e la conseguente percezione approssimativa, quando
non inaffidabile ed errata, di eventi e persone, sono i due elementi ricorrenti nel
testo, artefici della tipica atmosfera inquietante, indistinta, notturna e minacciosa,
di Serena. La mise en espace di Lello Tedschi rispetta le oscillazioni del testo,
alternando la fredda lucidità di una testimonianza al presente e la manifestazione
emotiva di una condizione interiore. Il suo adattamento prova a restituire questa
alternanza in assenza del protagonista, mediata da due presenze femminili che
fanno propria la sua voce e la riportano in vita, dando così corpo ai suoi ricordi
e alle sue visioni.
Alla serata sarà presente l'autore Jacques Serena.
Fatto di Cronaca | foto Viani
E che inoltre si andavano a sommare a quell’equilibrio tra tragedia e commedia proprio
di una certa tradizione”.
I fatti di cronaca del testo di Viviani sono argomenti vicinissimi ai ragazzi
di Scampia. Come hanno vissuto il rapporto il rapporto con la vicenda vera
e propria che andavano poi a interpretare?
Arturo, per la prima volta hai lavorato – da regista – con attori non
professionisti. Che differenza hai trovato e che scambio c’è stato con questo
tipo di gruppo?
“Innanzi tutto va precisato che il progetto in cui sono coinvolti nasce con una
connotazione fortemente sociale e si solidifica sul concetto di coro e di gruppo. Nessuno
di loro è arrivato al teatro per una qualche vocazione, ma piuttosto per curiosità e
per la voglia di confrontarsi con un’esperienza altra. Certo qualcuno è “figlio d’arte”
nel senso che ha genitori che hanno fatto esperienze attoriali nelle filodrammatiche,
ma al di là di questo nessuno di loro all’inizio aveva piena coscienza della cosa. Perciò
la mia scelta è stata quella della durezza almeno all’inizio: ho chiesto subito loro di
capire a cosa erano interessati e se si sentivano attori. Non volevo si sentissero diversi
dai professionisti e così li ho trattati alla stessa maniera in cui tratto i miei collaboratori
storici. In un primo momento sono stati difficili da gestire: erano rumorosi, faticosi
e casinisti, poi nel tempo hanno perso sì un po’ di vitalità e dinamismo, ma ho ritrovato
in loro una maggiore capacità ci concentrazione”.
“Intanto vorrei fare una precisazione. Non ho mai specificato in alcun modo “tu devi
fare così”, ma piuttosto per me era fondamentale che ciascuno mi portasse la sua
idea del personaggio. A livello di intonazione, hanno colto immediatamente la realtà
di quelle battute, la concretezze nel pronunciarle: qualcosa che a me per esempio
manca perché non sono bravo con il napoletano.
Durante le prove è accaduto spesso che le cose si presentassero davanti a me con
estrema naturalezza e semplicità, senza quasi bisogno che io dicessi qualcosa. Ciò
sui cui ho insistito è stato l’aspetto emotivo: in un teatro drammatico come quello
di Viviani, mi premeva di più avere un attore con un difetto tecnico, ma con capacità
di arrivare al cuore, piuttosto che una fredda perfezione”.
Come si è svolto il percorso laboratoriale?
“E’ stato diviso in due tempi. Ho cominciato con un primo laboratorio dedicato a
“Miseria e Nobiltà” di Scarpetta circa un anno e mezzo fa, poi li ho lasciati e loro
hanno continuato le attività con colleghi come Saverio La Ruina, Lorenzo Gleijeses,
Danio Manfredini, Ermanna Montanari. Quando Marco Martinelli – che coordina l’intero
progetto Punta Corsara – mi ha proposto di lavorare nuovamente con loro a uno
spettacolo, li ho trovati piuttosto cambiati e per certi versi anche più confusi, essendosi
confrontati con maniere diversissime di fare teatro.
Nello snodarsi delle attività di laboratorio li ho osservati, seguiti e ho scelto poi i ruoli
non solo per bravura, ma anche per fisicità ed impressioni e c’è poi una cosa cui ho
tenuto particolarmente: coinvolgere nello spettacolo due attori professionisti come
Emanuele Valenti, Salvatore Caruso e Rosario Giglio. Volevo che si confrontassero
con chi ha una maggiore esperienza e allo stesso tempo tenevo a che si sviluppasse
uno scambio di saperi reciproco. Così è stato”.
Da cosa è stata dettata la scelta di lavorare su Viviani?
“Direi che è stata una sorta di reazione all’esperienza iniziale fatta con Scarpetta, un
autore rispetto col quale i ragazzi non si sono trovati in particolare sintonia. In “Miseria
e Nobiltà” era tracciato un mondo proletario si, ma visto da un autore fortemente
borghese.
Ora avevo bisogno di un testo che avesse un buon numero di personaggi e con Viviani
non mi ero mai confrontato prima: mi è sembrata una scelta adatta sia da un punto
di vista linguistico sia rispetto alla coralità dei suoi testi e al suo legame con la strada.
regia Arturo Cirillo con Salvatore Caruso, Tonino Stornaiuolo, Vincenzo Nemolato,
Christian Giroso, Emanuele Valenti, Maddalena Stornaiuolo, Pasquale De Martino,
Gianni Rodrigo Vastarella, Valeria Pollice, Giuseppe Cervizzi, Mirko Calemme e Rosario
Giglio
Immaginate un quartiere periferico, esposto alla criminaità organizzata. Immaginate
un auditorium inutilizzato da anni. Siamo a Scampia. Qui nasce Punta Corsara,
progetto di impresa culturale, che comunica con la città attraverso spettacoli teatrali
e percorsi di formazione ai mestieri dello spettacolo. La messa in scena della commedia
“Fatto di Cronaca, di Raffaele Viviani a Scampia” è proprio il frutto di uno di questi
percorsi. La storia nasce nell'atmosfera gioiosa di una festa in onore dell'onomastico
dell'anziano padrone di casa, fino a che non accade “o fatto”. Il regista Cirillo dirige
i ragazzi che popolano il difficile quartiere di Napoli, in una rappresentazione che tira
fuori tutta la forza espressiva partenopea.
Di questo sogno che chiamiano vita | foto Fabiana Mercadante (Documenta)
Ministero della Giustizia
Dipartimento Giustizia Minorile
Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli”
Regione Puglia - Assessorato Sud e diritto allo studio
in scena Ignazio Dimastropasqua ideazione e regia Lello Tedeschi collaborazione
Daniela Bianchi, Giuliana Lacalandra, Mancini Isabella allestimento Cristina Bari
assistenza tecnica Gianvito Marasciulo cura Barbara Pizzo
Sala Prove
dell’Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli” di Bari
via Giulio Petroni 90, Bari
ingresso libero per tutti i possessori di carta Kismet e super carta Kismet
prenotazione obbligatoria
Barbablu della paura | foto Fabiana Mercadante (Documenta)
in scena Sascha Amoretto, Moris Amoretto, Katia Costantino, Alessia De Santis, Giorgia
Ficarella, Gennaro Loconsole, Veronica Merolla, Arcangelo Montrone, Antonio Papagno,
Antonio Santamato, Alessio Serrano, Alessio Squeo, Claudia Stea, Antonio Volpe con
la partecipazione delle insegnanti Barbara Petruzzelli, Lucia Renzulli ideazione e
conduzione Rossana Farinati assistenza Sabina Andriano, Raffaella Fazio, Manuela
Lops collaborazione drammaturgica Barbara Pizzo, Lucia Zotti collaborazione allestimento
Cristina Bari, Karin Gasser e i tirocinanti del progetto OfficinaTeatrale-Per la scena
assistenza tecnica Claudio Carlucci cura Barbara Pizzo
Istituto comprensivo XVIII circolo “Falcone-Borsellino”
via Càssala 15-17, Bari
ingresso libero | prenotazione obbligatoria
tel. 080 579.76.67 int 102|123
Santi impossibili| foto Claudia Stangarone e Francesca Mastrogiacomo (Documenta)
in scena Maria Amoruso, Vita Andrisani, Mario Bartoli, Vito Carbonara, Rossella
Carella, Antonio Chiapperini, Benedetta Colella, Giuseppe Crocco, Alessandro d’Asta,
Chiara Fiore, Patrizia Fumai, Donato Gagliardi, Antonio Gaudio, Loredana Gernone,
Lia Grazioso, Grazia Iacobazzi, Massimo Iania, Michele Lacarra, Cinzia Lamorgese,
Francesca Lattanzi, Giovanni Martinelli, Giacomo Tanno, Cecilia Scalera, Floriana
Spinelli, Maddalena Solfarelli, Luigi Solito con la collaborazione di Francesca Giglio
e la partecipazione di Maristella Tanzi assistenza Maria Pia Dimasi, Corinna Mancino,
Simona Specchia allestimento Cristina Bari assistenza tecnica Giovanni Pascazio
supervisione artistica Lello Tedeschi cura Barbara Pizzo
Teatro Kismet OperA
strada San Giorgio Martire 22/F, Bari
ingresso libero | prenotazione obbligatoria
tel. 080 579.76.67 int 102|123
invincibile
N
on c’è niente da fare Don Chisciotte/non c’è niente da fare/dovevi
andare a sbattere /contro i mulini a vento/e i commercianti
dovevano buttarsi /addosso a te per riempirti di botte,/non c’è
niente da fare Don Chisciotte/ma tu sei il cavaliere invincibile degli
assetati/e come una fiamma tu vivrai per sempre/dentro il pesante
tuo guscio di ferro/e Dulcinea sarà/ogni giorni più bella.
Nazim Hikmet, da Poesie d'amore
Rileggevo il Chisciotte e mi chiedevo cosa mi appassionasse
veramente, di questo eroe visionario e sgangherato che non
ne vince mai una. La resistenza, mi sono detto. La sua
resistenza a ogni batosta, a ogni sconfitta. Chisciotte non
si lascia abbattere, non si scoraggia, mastica polvere eppure
ricomincia, si risolleva e torna a battersi ancora. Resiste a
tutto, alle legnate ma anche alle censure, alle critiche di
tutti coloro che provano a riportarlo sulla via, retta, della
ragione e della realtà. Ha torto, Chisciotte, torto marcio, è
un invasato corrotto da fantasie passate di moda, eppure
succede che sono proprio queste sue visioni ad arricchire
di senso il mondo, a farci intravedere, come ci ricorda Gianni
Celati, "l’aperto mondo sotto l’aperto cielo come la nostra
unica vera casa".
Con questa suggestione, fra le altre, mi sono messo al lavoro
con i giovani detenuti del “Fornelli” nel laboratorio teatrale
di questa stagione. È quella che ha risuonato con maggiore
insistenza. Il carcere non è la casa di nessuno, eppure
qualcuno ci vive. Si ostina a vivere. Resiste. Perdente ma
invincibile. Resiste a tutto, anche ai torti, propri e altrui.
Come Chisciotte. Che diventa esempio e guida per
attraversare i confini della realtà quotidiana e ritrovarsi al
mondo, nel mondo, con la ragione che vacilla e
l’immaginazione al lavoro; per restituire un senso alla propria
condizione, per trasformare la propria impotenza in racconto,
nella narrazione di un altrove, di un’altra possibilità. Per sé
e per gli altri, al di là delle apparenze, anche quelle che non
ingannano e inchiodano alle proprie responsabilità.
Soprattutto quelle.
Le sconfitte bruciano, ma arrenderti non puoi. Continuare
a vivere, questo conta. È l’aperto mondo sotto l’aperto cielo
la tua unica vera casa. Non c’è scampo, vai avanti solo a
questa condizione. Il futuro esplode rapido, devi volerlo,
desiderarlo, immaginarlo con tutte le forze. Non sono
ammessi rimpianti né facili consolazioni. Devi andare, errare,
essere pronto ancora una volta, dentro o fuori che sia, a
subire e a rialzarti e poi a subire e a rialzarti ancora.
Invincibile.
Lello Tedeschi
imperfetto
"Non compiuto. «Lo dice il De Mauro». Parzialmente
compiuto e perciò difettoso. Limitato da una più o meno
evidente incompletezza sul piano funzionale". Evidentemente
ciò che definiamo imperfetto lo è in relazione ad una scala
parametrica di compimento e ad un valore soglia al di sotto
del quale l’imperfezione si manifesta. Quale sia la scala
parametrica di compimento adottata e quale il valore soglia
individuato dipende però dal sistema linguistico e sociale
che lo determina o dall’individuo che se ne avvale per
valutare il grado di compimento di qualcosa o qualcuno.
Considerando la variabilità dei sistemi e degli individui
credo si possa convenire sull’impossibilità di usare il termine
imperfetto con presunzione di assolutezza e che tale uso
corrisponde più alla necessità di chi osserva un processo
che non a quella di chi è nel processo. Nel processo creativo
questa fondamentale dicotomia fra chi osserva lo stesso e
chi ne è parte vitale non ha nessuna ragione di essere. Per
tale ragione nella creazione artistica il termine imperfetto
decade dalla sua comune accezione. Ogni atto creativo si
basa infatti sul tradimento di un processo già noto e
sull’osservazione di ciò che accade istante per istante fuori
dalla logica del compimento. Inoltre il limite, l’incompletezza
e l’imperfetto costituiscono il punto di consapevolezza e
quindi di forza del processo creativo. Se, per esempio,
riconosciamo con gioia il nostro appoggio alla terra come
condizione/limite imprescindibile, possiamo usarlo per
spingere, saltare e vincere la forza di gravità. Se non
accogliamo intimamente tale appoggio, tutto il nostro corpo
vive nella frustrazione della gravità. Ecco che forse il migliore
attore o danzatore si rivelerà non tanto colui che più si è
allenato a saltare, quanto colui che dai propri limiti e quindi
dal suo essere imperfetto non riuscirà a prescinderne.
Paradossalmente tanto più imperfetto è l’attore/danzatore
e tanto è più grande la sua capacità di non prescindere da
tale condizione di imperfezione, tanto più sublime sarà il
suo atto creativo. Proprio dalla forza del paradosso e
dell’imperfetto è animato il mio desiderio di lavorare con
gli attori dell’A.R.C.Ha. sulla santità come condizione di
perfezione spirituale. La loro straordinaria capacità di
accogliere il limite e di viverlo come matrice di creatività
è una manifestazione di santità teatrale. Nel divenire della
creazione non procediamo nella certezza del risultato ma
con la fiducia che tutto prende miracolosamente forma. I
santi che emergono dal nostro racconto sono impossibili
per vocazione. Hanno cioè l’instabilità del verbo imperfetto,
dell’azione che, pur essendo già finita, dura nel passato.
Il passato nel nostro caso non è tanto un luogo temporale,
quanto un luogo dell’anima da cui sia possibile guardare
al mondo da un altro punto di vista e, perché no, ribaltare
le scale parametriche di compimento e il valore soglia che
definisce l’imperfetto.
Giulio De Leo
intero
La parola intero evoca ricordi ed esperienze importanti nel
mio percorso teatrale.
Ricordo l’essere attrice in Vangelio, lo spettacolo in cui il
regista Vincenzo Toma diresse un gruppo di otto attori e
attrici di cui cinque diversamente abili. Ricordo il mio stupore
nel vedere come quei corpi nello spazio della scena
risultassero interi: i loro gesti e le immobilità, il semplice
camminare esprimevano la forza dell’interezza, mentre io,
accanto a loro faticavo ad addomesticare il pensiero, a
dirigere il mio corpo, la voce per "mettermi insieme" e
trovare l’efficacia dell’essere qui e ora.
Ricordo le prime volte che sono stata spettatrice degli
spettacoli con portatori di handicap: l’intensa emozione
che provavo nasceva dalla forza poetica con cui il loro
essere interi, lì sulla scena, mi parlava di sé e della relazione
col mondo. Intero, completo in ogni sua parte costitutiva.
L’esperienza con i bambini e i ragazzi nei laboratori teatrali
riguarda l’intero, perché lì possono mettere in gioco altre
parti di sé che a fatica trovano spazio nel quotidiano.
Accade, a volte, che la pratica del teatro apra una fessura
e da quella, per un attimo, si percepisca ciò che sta “oltre”,
al di là di ciò che sono tutti i giorni dentro ai meccanismi
delle relazioni familiari e scolastiche. Accade in uno sguardo
o in un gesto improvviso, in una parola. Qualche volta è
possibile partire da questo per costruire percorsi espressivi
in cui il bambino e la bambina possano consolidare
l’esperienza di questo "oltre", a volte rimangono piccole
tappe folgoranti dentro il processo del laboratorio, ma non
per questo meno importanti per chi ne è protagonista o
testimone. È ogni volta sorprendente scoprire la bellezza
contenuta nell’intero e la molteplicità che si intuisce possibile!
È curioso che aggiungendo la lettera "n" alla parola intero
si ottenga interno e la lettera "g" la trasformi in integro.
Rossana Farinati
in scena Danilo Brindicci, Adriana Buonfantino, Gianmaria Ceglie, Enrico Corti,
Fiammetta Gallone, Domenico Indiveri, Francesca Lauta, Ivana Lombardini,
Ilaria Martinelli, Elena Matassa, Stefania Miricola, Olivier Montingelli, Fabio Morga,
Madia Nitti, Greta Sassaroli, Annarita Savino, Giuseppe Scoditti, Giulia Strippoli,
Maria Teresa Tanzarella, Davide Vox
collaborazione artistica Barbara Pizzo, Bruno Soriato
collaborazione allestimento Cristina Bari
assistenza tecnica Giovanni Pascazio
cura Barbara Pizzo
Teatro Kismet OperA
strada San Giorgio Martire 22/F, Bari
ingresso libero | prenotazione obbligatoria
tel. 080 579.76.67 int 102|123
in scena Caterina Abbonante, Ylenya Cammisa, Stefania Capasso, Manuela Careccia,
Maura De Biasio, Nicola De Fano, Maria Dimita, Ivan Frigerio, Giuseppe Iori,
Luciana Marino, Stephen Ogbonna, Maria Grazia Patano, Giuseppe Romito, Giovanna
Sodano, Giuseppe Volpe
assistenza Piera Del Giudice, Anna Isa Locaputo
allestimento realizzato in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Bari, cattedre
di Scenografia e Costume
coordinamento allestimento Cristina Bari, Rita Faure, Tonio Illuzzi, Michele Maielli,
Leonardo Specchio, Pasquale Strippoli
assistenza tecnica Carmine Carlucci
cura Barbara Pizzo
Teatro Kismet OperA
strada San Giorgio Martire 22/F, Bari
ingresso libero | prenotazione obbligatoria
tel. 080 579.76.67 int 102|123
Santi Impossibili | fot Claudia Stangarone
prossimi appuntamenti
coordinamento Nicola Viesti
redazione Anna Maria Giannone, Francesca Limongelli
progetto grafico Cristina Bari
foto a cura del gruppo Documenta: Fabiana Mercadante,
Francesca Mastrogiacomo, Claudia Stangarone
contributi Antonio Cirillo, Giulio De Leo, Rossana Farinati,
Lello Tedeschi, Barbara Pizzo
in copertina Teatro Kismet OperA, La principessa Sirena
in quarta di copertina Setagaya Public Theatre, Tokyo, La principessa Sirena
Teatro Kismet Opera
strada San Giorgio Martire, 22/F - Bari - tel. 080.5797667 - www.teatrokismet.org