S e il teatro vive di relazione – incontro, accoglienza, ascolto, reciprocità – la sua vocazione civile appare intrinseca e irrinunciabile. Una vocazione che il Kismet abbraccia dalle origini, proponendo da subito una prospettiva allargata, intendendo quel termine, “civile”, in un’accezione ampia, quanto meno rispetto alle categorizzazioni da manuale, pure utili a fare ordine nel panorama sterminato della storia teatrale. Iconl nostro “civile” è quel guardare a chi ci sta di fronte con consapevolezza e impegno, l’obiettivo non tanto di impartire una lezione o una morale, di lenire o curare. D opo la prima edizione dello scorso anno, torna esercizi per un'arte civile, la rassegna dedicata ai progetti Teatro e Handicap, La prova del teatro e I Linguaggi dell’Integrazione Teatrale, una cornice nata per evidenziare e ribadirne senso e impegno. Alieni da intenti terapeutici, questi territori dell’alterità chiamano a una relazione speciale, trovando il senso ultimo solo in quella reciprocità che il confronto con il pubblico consente e che soprattutto lì diviene sostanziale. È la loro natura e ragione più profonda a invitare la città all’incontro. Perché lì più che altrove il teatro si fa luogo del possibile, agito da chi pratica la scena e da chi guarda. Noi con voi. Barbara Pizzo resp. Teatro civile e Territorio Teatro Kismet OperA Unione Europea – Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Regione Puglia Comune di Bari – Università degli Studi di Bari – Teatro Pubblico Pugliese Ministero della Giustizia – Istituto Penale per i Minorenni "N. Fornelli" di Bari Sognare, forse | foto Francesca Mastrogiacomo (Documenta) Piuttosto di creare tra noi e loro, voi, un ponte da percorrere per ritrovarsi insieme e insieme far scoccare una scintilla che accenda, deporre un seme, dialogare. È un civile che si declina nella scelta degli spettacoli programmati, per contenuti e forma, nell’assunzione di responsabilità nei confronti di tutto il nostro pubblico, riservando un’attenzione particolare e concreta alle generazioni più giovani, un civile che sostiene e nutre tutti i progetti speciali e di formazione realizzati in questi vent’anni. Ed è proprio alle dimostrazioni finali delle edizioni 2009/10 di gran parte di tali progetti a essere dedicata in questa ultima fase della stagione, assieme agli ultimi due spettacoli ospiti che si collocano in diretta continuità con questa prospettiva Nei mesi di aprile e maggio potremo finalmente schiudere le porte di quei percorsi di pratica e sperimentazione che si sono sviluppati nel corso dell’intera stagione, rivolti anche ai luoghi sensibili del disagio, dalla detenzione alla diversa abilità. Accanto agli esiti del progetto T.E.R.I. – Face à Face e dei due laboratori di formazione teatrale condotti dai nostri artisti, seguendo il filo della ricerca artistica ecco allora situarsi esercizi per un’arte civile. Pochi attori hanno abbastanza sensibilità per poter portare in scena, con tanta passione, un dramma come Marat Sade. Gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza ne sono un esempio straordinario. In tournée con un classico del teatro novecentesco, scritto da Peter Weiss, raccontano, attraverso la rappresentazione che ne fanno i ricoverati nel manicomio di Charenton, l’omicidio compiuto da Carlotta Corday. Guida i degenti nella messa in scena, il Marchese de Sade, ospite illustre della clinica. Un percorso metà teatrale, dunque. Nella realtà, a seguire e condurre gli attori-detenuti per questo singolare percorso, è il regista Armando Punzo, che ritiene il dramma attuale. Il Marat Sade è Premio UBU '92. Jetée | foto Claudia Stangarone con Piera Del Giudice, Anna Isa Locaputo allestimento Cristina Bari cura Barbara Pizzo traduzione a cura del gruppo tradurre per la scena con la supervisione di Ida Porfido del Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze e Mediterranee, Università degli Studi di Bari in collaborazione con Ambasciata di Francia in Italia, Alliance Française di Bari, PAV Diffondere la conoscenza della drammaturgia contemporanea francese in Italia è l’obiettivo del progetto Face à Face – parole di Francia per scene d’Italia, inserito nel più ampio programma T.E.R.I (Traduire, Editer, Représenter en Italie le théâtre français contemporain), nel 2010 alla quarta edizione. Un impegno sostenuto dall’Ambasciata di Francia a Roma che stimola i teatri italiani a conoscere e confrontarsi con la produzione drammaturgica d’oltralpe. Fin dal suo primo anno l’appuntamento Face à Face a Bari è affidato al Teatro Kismet. Ed è a Bari che, in collaborazione con il Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze e Mediterranee dell’Università degli Studi, si è sviluppata una nuova modalità di approccio alla traduzione, coinvolgendo studenti e docenti in un percorso strutturato che parte dal testo francese per giungere alla sua mise en espace in lingua italiana. Un processo "collettivo" che, come spiega la Professoressa Porfido, coordinatrice del progetto di traduzione, è "risultato di un delicato e laborioso processo di mediazione culturale, frutto di una lettura che ha saputo farsi in itinere «arte dell’ascolto», come scriveva Jean Starobinski pensando proprio alla traduzione letteraria". Un’occasione di approccio con gli autori più innovativi della scena teatrale contemporanea in Francia che, dopo Olivier Cadiot e Marie NDyaie vede protagonista quest’anno Jacques Serena, il cui testo sarà messo in scena dal regista teatrale Lello Tedeschi. Cinquantenne di Vichy, Serena è romanziere oltre che autore di testi teatrali, approdato alla scrittura dopo numerosi lavori saltuari e un passaggio per la pittura. Dal 1996 inizia come autore associato al Théâtre National de Strasbourg, parallelamente anima laboratori di scrittura sia in carcere e in ambienti svantaggiati, sia all’università e scrive una serie di testi drammatici per la radio (France Culture) e il teatro. "I testi di Serena, siano essi narrativi o teatrali, si presentano sempre sotto forma di monologhi drammatici - spiega la professoressa Ida Porfido -, i suoi personaggi sembrano provenire in gran parte da uno strano demi-monde, popolato di esseri miserabili, equivoci, sbandati, tutti affetti da analoghe forme di devianza e marginalità sociale, morale e psicologica". Jetée, il testo scelto per il progetto di traduzione 2010, è il racconto di una notte e una tragedia inattesa. Una notte su un molo, fra amici, movimentata dall'artificiale allegria dell'alcol e della polvere bianca. La luce ossessiva e intermittente di un faro a illuminare giovani vite alla deriva, alla disperata ricerca di un senso alla propria condizione. La qualità luminosa degli ambienti prescelti, spesso immersi in una penombra ambigua e disorientante, e la conseguente percezione approssimativa, quando non inaffidabile ed errata, di eventi e persone, sono i due elementi ricorrenti nel testo, artefici della tipica atmosfera inquietante, indistinta, notturna e minacciosa, di Serena. La mise en espace di Lello Tedschi rispetta le oscillazioni del testo, alternando la fredda lucidità di una testimonianza al presente e la manifestazione emotiva di una condizione interiore. Il suo adattamento prova a restituire questa alternanza in assenza del protagonista, mediata da due presenze femminili che fanno propria la sua voce e la riportano in vita, dando così corpo ai suoi ricordi e alle sue visioni. Alla serata sarà presente l'autore Jacques Serena. Fatto di Cronaca | foto Viani E che inoltre si andavano a sommare a quell’equilibrio tra tragedia e commedia proprio di una certa tradizione”. I fatti di cronaca del testo di Viviani sono argomenti vicinissimi ai ragazzi di Scampia. Come hanno vissuto il rapporto il rapporto con la vicenda vera e propria che andavano poi a interpretare? Arturo, per la prima volta hai lavorato – da regista – con attori non professionisti. Che differenza hai trovato e che scambio c’è stato con questo tipo di gruppo? “Innanzi tutto va precisato che il progetto in cui sono coinvolti nasce con una connotazione fortemente sociale e si solidifica sul concetto di coro e di gruppo. Nessuno di loro è arrivato al teatro per una qualche vocazione, ma piuttosto per curiosità e per la voglia di confrontarsi con un’esperienza altra. Certo qualcuno è “figlio d’arte” nel senso che ha genitori che hanno fatto esperienze attoriali nelle filodrammatiche, ma al di là di questo nessuno di loro all’inizio aveva piena coscienza della cosa. Perciò la mia scelta è stata quella della durezza almeno all’inizio: ho chiesto subito loro di capire a cosa erano interessati e se si sentivano attori. Non volevo si sentissero diversi dai professionisti e così li ho trattati alla stessa maniera in cui tratto i miei collaboratori storici. In un primo momento sono stati difficili da gestire: erano rumorosi, faticosi e casinisti, poi nel tempo hanno perso sì un po’ di vitalità e dinamismo, ma ho ritrovato in loro una maggiore capacità ci concentrazione”. “Intanto vorrei fare una precisazione. Non ho mai specificato in alcun modo “tu devi fare così”, ma piuttosto per me era fondamentale che ciascuno mi portasse la sua idea del personaggio. A livello di intonazione, hanno colto immediatamente la realtà di quelle battute, la concretezze nel pronunciarle: qualcosa che a me per esempio manca perché non sono bravo con il napoletano. Durante le prove è accaduto spesso che le cose si presentassero davanti a me con estrema naturalezza e semplicità, senza quasi bisogno che io dicessi qualcosa. Ciò sui cui ho insistito è stato l’aspetto emotivo: in un teatro drammatico come quello di Viviani, mi premeva di più avere un attore con un difetto tecnico, ma con capacità di arrivare al cuore, piuttosto che una fredda perfezione”. Come si è svolto il percorso laboratoriale? “E’ stato diviso in due tempi. Ho cominciato con un primo laboratorio dedicato a “Miseria e Nobiltà” di Scarpetta circa un anno e mezzo fa, poi li ho lasciati e loro hanno continuato le attività con colleghi come Saverio La Ruina, Lorenzo Gleijeses, Danio Manfredini, Ermanna Montanari. Quando Marco Martinelli – che coordina l’intero progetto Punta Corsara – mi ha proposto di lavorare nuovamente con loro a uno spettacolo, li ho trovati piuttosto cambiati e per certi versi anche più confusi, essendosi confrontati con maniere diversissime di fare teatro. Nello snodarsi delle attività di laboratorio li ho osservati, seguiti e ho scelto poi i ruoli non solo per bravura, ma anche per fisicità ed impressioni e c’è poi una cosa cui ho tenuto particolarmente: coinvolgere nello spettacolo due attori professionisti come Emanuele Valenti, Salvatore Caruso e Rosario Giglio. Volevo che si confrontassero con chi ha una maggiore esperienza e allo stesso tempo tenevo a che si sviluppasse uno scambio di saperi reciproco. Così è stato”. Da cosa è stata dettata la scelta di lavorare su Viviani? “Direi che è stata una sorta di reazione all’esperienza iniziale fatta con Scarpetta, un autore rispetto col quale i ragazzi non si sono trovati in particolare sintonia. In “Miseria e Nobiltà” era tracciato un mondo proletario si, ma visto da un autore fortemente borghese. Ora avevo bisogno di un testo che avesse un buon numero di personaggi e con Viviani non mi ero mai confrontato prima: mi è sembrata una scelta adatta sia da un punto di vista linguistico sia rispetto alla coralità dei suoi testi e al suo legame con la strada. regia Arturo Cirillo con Salvatore Caruso, Tonino Stornaiuolo, Vincenzo Nemolato, Christian Giroso, Emanuele Valenti, Maddalena Stornaiuolo, Pasquale De Martino, Gianni Rodrigo Vastarella, Valeria Pollice, Giuseppe Cervizzi, Mirko Calemme e Rosario Giglio Immaginate un quartiere periferico, esposto alla criminaità organizzata. Immaginate un auditorium inutilizzato da anni. Siamo a Scampia. Qui nasce Punta Corsara, progetto di impresa culturale, che comunica con la città attraverso spettacoli teatrali e percorsi di formazione ai mestieri dello spettacolo. La messa in scena della commedia “Fatto di Cronaca, di Raffaele Viviani a Scampia” è proprio il frutto di uno di questi percorsi. La storia nasce nell'atmosfera gioiosa di una festa in onore dell'onomastico dell'anziano padrone di casa, fino a che non accade “o fatto”. Il regista Cirillo dirige i ragazzi che popolano il difficile quartiere di Napoli, in una rappresentazione che tira fuori tutta la forza espressiva partenopea. Di questo sogno che chiamiano vita | foto Fabiana Mercadante (Documenta) Ministero della Giustizia Dipartimento Giustizia Minorile Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli” Regione Puglia - Assessorato Sud e diritto allo studio in scena Ignazio Dimastropasqua ideazione e regia Lello Tedeschi collaborazione Daniela Bianchi, Giuliana Lacalandra, Mancini Isabella allestimento Cristina Bari assistenza tecnica Gianvito Marasciulo cura Barbara Pizzo Sala Prove dell’Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli” di Bari via Giulio Petroni 90, Bari ingresso libero per tutti i possessori di carta Kismet e super carta Kismet prenotazione obbligatoria Barbablu della paura | foto Fabiana Mercadante (Documenta) in scena Sascha Amoretto, Moris Amoretto, Katia Costantino, Alessia De Santis, Giorgia Ficarella, Gennaro Loconsole, Veronica Merolla, Arcangelo Montrone, Antonio Papagno, Antonio Santamato, Alessio Serrano, Alessio Squeo, Claudia Stea, Antonio Volpe con la partecipazione delle insegnanti Barbara Petruzzelli, Lucia Renzulli ideazione e conduzione Rossana Farinati assistenza Sabina Andriano, Raffaella Fazio, Manuela Lops collaborazione drammaturgica Barbara Pizzo, Lucia Zotti collaborazione allestimento Cristina Bari, Karin Gasser e i tirocinanti del progetto OfficinaTeatrale-Per la scena assistenza tecnica Claudio Carlucci cura Barbara Pizzo Istituto comprensivo XVIII circolo “Falcone-Borsellino” via Càssala 15-17, Bari ingresso libero | prenotazione obbligatoria tel. 080 579.76.67 int 102|123 Santi impossibili| foto Claudia Stangarone e Francesca Mastrogiacomo (Documenta) in scena Maria Amoruso, Vita Andrisani, Mario Bartoli, Vito Carbonara, Rossella Carella, Antonio Chiapperini, Benedetta Colella, Giuseppe Crocco, Alessandro d’Asta, Chiara Fiore, Patrizia Fumai, Donato Gagliardi, Antonio Gaudio, Loredana Gernone, Lia Grazioso, Grazia Iacobazzi, Massimo Iania, Michele Lacarra, Cinzia Lamorgese, Francesca Lattanzi, Giovanni Martinelli, Giacomo Tanno, Cecilia Scalera, Floriana Spinelli, Maddalena Solfarelli, Luigi Solito con la collaborazione di Francesca Giglio e la partecipazione di Maristella Tanzi assistenza Maria Pia Dimasi, Corinna Mancino, Simona Specchia allestimento Cristina Bari assistenza tecnica Giovanni Pascazio supervisione artistica Lello Tedeschi cura Barbara Pizzo Teatro Kismet OperA strada San Giorgio Martire 22/F, Bari ingresso libero | prenotazione obbligatoria tel. 080 579.76.67 int 102|123 invincibile N on c’è niente da fare Don Chisciotte/non c’è niente da fare/dovevi andare a sbattere /contro i mulini a vento/e i commercianti dovevano buttarsi /addosso a te per riempirti di botte,/non c’è niente da fare Don Chisciotte/ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati/e come una fiamma tu vivrai per sempre/dentro il pesante tuo guscio di ferro/e Dulcinea sarà/ogni giorni più bella. Nazim Hikmet, da Poesie d'amore Rileggevo il Chisciotte e mi chiedevo cosa mi appassionasse veramente, di questo eroe visionario e sgangherato che non ne vince mai una. La resistenza, mi sono detto. La sua resistenza a ogni batosta, a ogni sconfitta. Chisciotte non si lascia abbattere, non si scoraggia, mastica polvere eppure ricomincia, si risolleva e torna a battersi ancora. Resiste a tutto, alle legnate ma anche alle censure, alle critiche di tutti coloro che provano a riportarlo sulla via, retta, della ragione e della realtà. Ha torto, Chisciotte, torto marcio, è un invasato corrotto da fantasie passate di moda, eppure succede che sono proprio queste sue visioni ad arricchire di senso il mondo, a farci intravedere, come ci ricorda Gianni Celati, "l’aperto mondo sotto l’aperto cielo come la nostra unica vera casa". Con questa suggestione, fra le altre, mi sono messo al lavoro con i giovani detenuti del “Fornelli” nel laboratorio teatrale di questa stagione. È quella che ha risuonato con maggiore insistenza. Il carcere non è la casa di nessuno, eppure qualcuno ci vive. Si ostina a vivere. Resiste. Perdente ma invincibile. Resiste a tutto, anche ai torti, propri e altrui. Come Chisciotte. Che diventa esempio e guida per attraversare i confini della realtà quotidiana e ritrovarsi al mondo, nel mondo, con la ragione che vacilla e l’immaginazione al lavoro; per restituire un senso alla propria condizione, per trasformare la propria impotenza in racconto, nella narrazione di un altrove, di un’altra possibilità. Per sé e per gli altri, al di là delle apparenze, anche quelle che non ingannano e inchiodano alle proprie responsabilità. Soprattutto quelle. Le sconfitte bruciano, ma arrenderti non puoi. Continuare a vivere, questo conta. È l’aperto mondo sotto l’aperto cielo la tua unica vera casa. Non c’è scampo, vai avanti solo a questa condizione. Il futuro esplode rapido, devi volerlo, desiderarlo, immaginarlo con tutte le forze. Non sono ammessi rimpianti né facili consolazioni. Devi andare, errare, essere pronto ancora una volta, dentro o fuori che sia, a subire e a rialzarti e poi a subire e a rialzarti ancora. Invincibile. Lello Tedeschi imperfetto "Non compiuto. «Lo dice il De Mauro». Parzialmente compiuto e perciò difettoso. Limitato da una più o meno evidente incompletezza sul piano funzionale". Evidentemente ciò che definiamo imperfetto lo è in relazione ad una scala parametrica di compimento e ad un valore soglia al di sotto del quale l’imperfezione si manifesta. Quale sia la scala parametrica di compimento adottata e quale il valore soglia individuato dipende però dal sistema linguistico e sociale che lo determina o dall’individuo che se ne avvale per valutare il grado di compimento di qualcosa o qualcuno. Considerando la variabilità dei sistemi e degli individui credo si possa convenire sull’impossibilità di usare il termine imperfetto con presunzione di assolutezza e che tale uso corrisponde più alla necessità di chi osserva un processo che non a quella di chi è nel processo. Nel processo creativo questa fondamentale dicotomia fra chi osserva lo stesso e chi ne è parte vitale non ha nessuna ragione di essere. Per tale ragione nella creazione artistica il termine imperfetto decade dalla sua comune accezione. Ogni atto creativo si basa infatti sul tradimento di un processo già noto e sull’osservazione di ciò che accade istante per istante fuori dalla logica del compimento. Inoltre il limite, l’incompletezza e l’imperfetto costituiscono il punto di consapevolezza e quindi di forza del processo creativo. Se, per esempio, riconosciamo con gioia il nostro appoggio alla terra come condizione/limite imprescindibile, possiamo usarlo per spingere, saltare e vincere la forza di gravità. Se non accogliamo intimamente tale appoggio, tutto il nostro corpo vive nella frustrazione della gravità. Ecco che forse il migliore attore o danzatore si rivelerà non tanto colui che più si è allenato a saltare, quanto colui che dai propri limiti e quindi dal suo essere imperfetto non riuscirà a prescinderne. Paradossalmente tanto più imperfetto è l’attore/danzatore e tanto è più grande la sua capacità di non prescindere da tale condizione di imperfezione, tanto più sublime sarà il suo atto creativo. Proprio dalla forza del paradosso e dell’imperfetto è animato il mio desiderio di lavorare con gli attori dell’A.R.C.Ha. sulla santità come condizione di perfezione spirituale. La loro straordinaria capacità di accogliere il limite e di viverlo come matrice di creatività è una manifestazione di santità teatrale. Nel divenire della creazione non procediamo nella certezza del risultato ma con la fiducia che tutto prende miracolosamente forma. I santi che emergono dal nostro racconto sono impossibili per vocazione. Hanno cioè l’instabilità del verbo imperfetto, dell’azione che, pur essendo già finita, dura nel passato. Il passato nel nostro caso non è tanto un luogo temporale, quanto un luogo dell’anima da cui sia possibile guardare al mondo da un altro punto di vista e, perché no, ribaltare le scale parametriche di compimento e il valore soglia che definisce l’imperfetto. Giulio De Leo intero La parola intero evoca ricordi ed esperienze importanti nel mio percorso teatrale. Ricordo l’essere attrice in Vangelio, lo spettacolo in cui il regista Vincenzo Toma diresse un gruppo di otto attori e attrici di cui cinque diversamente abili. Ricordo il mio stupore nel vedere come quei corpi nello spazio della scena risultassero interi: i loro gesti e le immobilità, il semplice camminare esprimevano la forza dell’interezza, mentre io, accanto a loro faticavo ad addomesticare il pensiero, a dirigere il mio corpo, la voce per "mettermi insieme" e trovare l’efficacia dell’essere qui e ora. Ricordo le prime volte che sono stata spettatrice degli spettacoli con portatori di handicap: l’intensa emozione che provavo nasceva dalla forza poetica con cui il loro essere interi, lì sulla scena, mi parlava di sé e della relazione col mondo. Intero, completo in ogni sua parte costitutiva. L’esperienza con i bambini e i ragazzi nei laboratori teatrali riguarda l’intero, perché lì possono mettere in gioco altre parti di sé che a fatica trovano spazio nel quotidiano. Accade, a volte, che la pratica del teatro apra una fessura e da quella, per un attimo, si percepisca ciò che sta “oltre”, al di là di ciò che sono tutti i giorni dentro ai meccanismi delle relazioni familiari e scolastiche. Accade in uno sguardo o in un gesto improvviso, in una parola. Qualche volta è possibile partire da questo per costruire percorsi espressivi in cui il bambino e la bambina possano consolidare l’esperienza di questo "oltre", a volte rimangono piccole tappe folgoranti dentro il processo del laboratorio, ma non per questo meno importanti per chi ne è protagonista o testimone. È ogni volta sorprendente scoprire la bellezza contenuta nell’intero e la molteplicità che si intuisce possibile! È curioso che aggiungendo la lettera "n" alla parola intero si ottenga interno e la lettera "g" la trasformi in integro. Rossana Farinati in scena Danilo Brindicci, Adriana Buonfantino, Gianmaria Ceglie, Enrico Corti, Fiammetta Gallone, Domenico Indiveri, Francesca Lauta, Ivana Lombardini, Ilaria Martinelli, Elena Matassa, Stefania Miricola, Olivier Montingelli, Fabio Morga, Madia Nitti, Greta Sassaroli, Annarita Savino, Giuseppe Scoditti, Giulia Strippoli, Maria Teresa Tanzarella, Davide Vox collaborazione artistica Barbara Pizzo, Bruno Soriato collaborazione allestimento Cristina Bari assistenza tecnica Giovanni Pascazio cura Barbara Pizzo Teatro Kismet OperA strada San Giorgio Martire 22/F, Bari ingresso libero | prenotazione obbligatoria tel. 080 579.76.67 int 102|123 in scena Caterina Abbonante, Ylenya Cammisa, Stefania Capasso, Manuela Careccia, Maura De Biasio, Nicola De Fano, Maria Dimita, Ivan Frigerio, Giuseppe Iori, Luciana Marino, Stephen Ogbonna, Maria Grazia Patano, Giuseppe Romito, Giovanna Sodano, Giuseppe Volpe assistenza Piera Del Giudice, Anna Isa Locaputo allestimento realizzato in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Bari, cattedre di Scenografia e Costume coordinamento allestimento Cristina Bari, Rita Faure, Tonio Illuzzi, Michele Maielli, Leonardo Specchio, Pasquale Strippoli assistenza tecnica Carmine Carlucci cura Barbara Pizzo Teatro Kismet OperA strada San Giorgio Martire 22/F, Bari ingresso libero | prenotazione obbligatoria tel. 080 579.76.67 int 102|123 Santi Impossibili | fot Claudia Stangarone prossimi appuntamenti coordinamento Nicola Viesti redazione Anna Maria Giannone, Francesca Limongelli progetto grafico Cristina Bari foto a cura del gruppo Documenta: Fabiana Mercadante, Francesca Mastrogiacomo, Claudia Stangarone contributi Antonio Cirillo, Giulio De Leo, Rossana Farinati, Lello Tedeschi, Barbara Pizzo in copertina Teatro Kismet OperA, La principessa Sirena in quarta di copertina Setagaya Public Theatre, Tokyo, La principessa Sirena Teatro Kismet Opera strada San Giorgio Martire, 22/F - Bari - tel. 080.5797667 - www.teatrokismet.org