L`uomo odierno in bilico tra estraneità e omologazione

L’uomo odierno in bilico tra estraneità e omologazione.
L’altro come prossimo …
Una sfida per il nostro tempo.
Il senso dell’Altro
“Può darsi che il <ritorno del religioso>, di cui oggi si parla tanto, sia alla fine un
effetto della lotta tra le culture che sembra una caratteristica della nostra postmodernità. Religiose sono le radici più profonde delle differenze culturali che
cominciano a esperire così intensamente anche in Occidente, come visibilità
sempre più accentuata di comunità <altre>. Religiosa e' anche, e soprattutto,
l'apertura all'alterità, imprevedibilità, estraneità dell'altro che irrompe nelle
nostre esistenze al di fuori di ogni corso normale degli eventi”1.
L’intensità dell’atto locutivo, riferita all’argomento proposto quest’anno, è da
cercarsi non tanto nell’enunciato in sé, quanto nell’inferenza di ciò che è omesso.
Per meglio inquadrare il tema da trattare, cioè, occorre porre l’accento sul referente
rispetto al quale si ha estraneità e/o omologazione. Il seguente esempio potrebbe
offrire maggiore chiarezza su quanto s’intende specificare: il fanum e il profunum
(il sacro e il non-sacro) sono tali rispetto a un discrimine che è il témenos, ossia, il
recinto (= tempio, si noti la radice del lessema) che separa e ne definisce il confine.
Dalla citazione precedente di G. Vattimo, si evince che tale referente è l’”altro” e
non la società o la comunità, oggetto del dibattito filosofico contemporaneo, a sua
volta, imperniato su temi che spaziano dalla scienza alla comunicazione e
all’informazione, dalla tecnica alla bioetica e alle neuroscienze, dalla religione alla
politica e all’ecologia, dall’etica al diritto e ai fondamenti stessi del soggetto e del
pensiero. Sicuramente, però, il postmoderno è caratterizzato dal pensiero debole,
così definito da Gianni Vattimo, e rappresenta la messa in questione e la crisi di
tutte le implicazioni culturali della civiltà occidentale. Ed è proprio sulla crisi
totale dell’uomo che s’incentra, allora, una filosofia della crisi2 che tenta di
ricostruire sulle macerie della vecchia ontologia. Il nazismo, con l’ideologia che
l’ha sorretto, ha segnato profondamente l’uomo, inducendolo a ripensare la sua
stessa essenza e i rapporti inter-personali. La differenza ontologica tra pensiero
forte3 e pensiero debole ha sradicato non solo i valori, ma anche gli orientamenti
fondativi tradizionali della stessa filosofia come la metafisica, la morale e la
religione. Tale opera di decostruzione è cominciata con i maestri del sospetto4 ed è
proseguita con Heidegger e con gli epigoni della sua scuola.
1
G. Vattimo, Derrida, rivoluzione per il messia senza nome, in La Stampa, Torino, 13/04/1996, pag. 19.
Con detta espressione nel subito dopoguerra si è inteso definire l’Esistenzialismo.
3
Pensiero giudaico-cristiano, ontologia greco-occidentale, marxismo e ogni filosofia che parla in nome della verità,
dell’unità e della totalità.
4
Marx, Nietzsche e Freud, secondo Paul Ricoeur.
2
Occorre, quindi, ripensare il significato stesso del termine filosofia e individuare la
sua natura e il suo compito: nel periodo interbellico e nel subito dopo guerra, in
piena crisi della filosofia e mentre si costruisce la filosofia della crisi, si ricomincia
a parlare di metafilosofia, cioè di quell’aspetto della filosofia che indaga sé stessa e
che ancora oggi è presupposto fondamentale della validità di metodo e di strategia
dell’analisi in corso. Compito della filosofia, però, non è tanto quello di giustificare
se stessa, entrando così in un astratto specialismo di aspetti settoriali, quanto quello
di esprimere un contenuto: ciò che è veramente interessante è dato dal “cosa” più
che dal “come”. Alcuni autori, oggi, anziché “filosofare su come si debba fare
filosofia” fanno “filosofia direttamente”5. E’ il caso di Marco Maria Olivetti, il cui
pensiero, ritenuto “molto difficile” per la sua portata teoretica, è stato al centro di
una intera sessione ai periodici incontri internazionali di Roma (4 gennaio 2008)
sul tema proposto dallo stesso Olivetti, “Il sacrificio”, e analizzato da valenti
pensatori di fama mondiale 6.
Prima di individuare la posizione di Olivetti7 rispetto al tema di cui ci si occupa
oggi, l’alterità, si ritiene opportuno accennare alla nascita e allo sviluppo di tale
percorso (methodos). Olivetti, allievo e successore di Enrico Castelli, ha recepito,
approfondito e sviluppato, in modo autonomo, le diverse istanze caratterizzanti il
pensiero del maestro, coniugandole con le tendenze della filosofia contemporanea.
La sua indagine, epistemologicamente rigorosa, su diverse tematiche (arte,
religione, teologia, psicologia, linguistica, ermeneutica, comunicazione, scienza,
esistenza, etica, ecc.) è indirizzata alla ricerca della genealogia o dei fondamenti
costitutivi del problema stesso. L’”Altro” è al centro del suo interesse e, come
problema, è ereditato da Castelli, il quale, in un capitolo della Critica della
demitizzazione dal titolo Fenomenologia dell’alienazione mentale, rileva che il
cogito cartesiano dà la certezza dell’esistenza del singolo soggetto, mentre
dell’altro non dice assolutamente niente. Allora, rileva Castelli, bisogna ricostruire
tutta la Storia della Filosofia post cartesiana all’insegna dell’alterità. Questo è il
punto di partenza della Filosofia della Storia della Filosofia di Marco M. Olivetti
che, ispirandosi all’etica e all’altro come “volto” e “traccia” di E. Levinas8,
intende l’Etica come prote philosophia, cioè come “filosofia prima o come
filosofia anteriore”, ovvero etica senza fondamenti in quanto anteriorità pura che si
colloca oltre ogni ontologia.
5
U. Perrone, L’Indice, n. 8, 1992.
“Archivio di Filosofia”, rivista diretta da M. M. Olivetti dal 1977 al 2006, in un numero monografico, vol LXXVI
pp. 300, riporta gli interventi dei diversi partecipanti al convegno romano, sotto il titolo di “Marco M. Olivetti: il
pensiero, l’opera, la persona”.
7
Docente di Filosofia della religione, nel 2001, presso La Sapienza a Roma, ha fondato in Italia la prima Facoltà di
Filosofia, di cui è stato Preside.
8
Emanuel Levinas, filosofo lettone di origine ebraica, naturalizzato francese, è stato proposto e fatto conoscere in
Italia proprio da Olivetti, attraverso i Colloqui Castelli, incontri annuali internazionali sulla demitizzazione e
sull’ermeneutica, voluti da Castelli dal 1961 al 1977 e proseguiti da Olivetti fino al 2006. Ancora oggi continuano
sotto la direzione di J. L. Marion.
6
Nella filosofia antica e medioevale “alterità” è sinonimo di “diversità” e di
“molteplicità” ed è opposto di “identità” e di “unità”; nella filosofia moderna e
contemporanea per alterità s’intende tutto ciò che è esterno al soggetto e, quindi,
oggettivabile. “Altro”, però, è soprattutto “altro uomo”, per cui, Husserl fa derivare
l’alter ego dall’ego, mentre Levinas, introducendo l’alterità radicale, opera in
senso opposto: è l’alter ego che riconosce l’ego. Il vero problema è dato, allora,
dall’identificazione dell’altro come “soggetto”. Nella costruzione di una storia
filosofica della filosofia, Olivetti vuole affermare, sulla scia di Deleuze 9, “il
riconoscimento del differente come identità”,10 per cui la storia è un continuo
manifestarsi a se stessa dell’identità attraverso il proliferare delle differenze 11.
Analogia del soggetto12, l’opera teoreticamente più rilevante di Olivetti, costituisce
“il tentativo di sostituire l’etica all’ontologia” e presuppone sia i classici della
filosofia tedesca (Kant, Jacobi, Fichte, Schelling, Hegel, Schleiermacher,
Troeltsch, Husserl, Heidegger) sia i contemporanei (Apel, Habermas, Levinas,
Ricoeur, Deleuze, Derrida). Nel titolo stesso dell’opera è implicita l’equivocazione
del genitivo, da intendere in senso soggettivo e oggettivo, poiché tale genitivo è
“genitivo che genera”13: “il soggetto in questione è sia il soggetto analogante sia il
soggetto analogato”14. Olivetti privilegia la dimensione linguistica rispetto a quella
cognitiva, sostituisce, cioè, il cogito con il loquor, deponente come nascor e
morior,15 che, nel riferirsi all’ego, si apre all’interlocutore. La deponenza, il
declinare dal verticale all’orizzontale, nel rapporto comunicativo determina il
riconoscimento del me, complemento oggetto, (non dell’ego soggetto, proprio del
cogito) da parte dell’allocutario, come l’in-fante (= non parlante) “apprende a
parlare grazie a quell’atto comunicativo altrui che nell’attendere la risposta
dell’infante lo costituisce come soggetto parlante”16. “L’Io originariamente è
l’altro che rende possibile lo sviluppo della soggettività della persona alla quale
l’alter ego si rivolge. Questo essere fatto oggetto di allocuzione rende possibile il
soggetto, l’autoreferenza come io, come cogito”17.
Il ribaltamento della relazione cartesiana cogito-sum con il rapporto diacronico
intersoggettivo io-tu, in cui il soggetto è riconosciuto dall’altro come altro,
comporta la possibilità di compiere il passaggio dall’indicativo all’imperativo: “tu
devi, dunque puoi”. Ciò permette “che io sono originariamente una seconda
9
Cfr. Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano, 1997.
Marco M. Olivetti, Filosofia della religione come problema storico, pag. 17, CEDAM, Padova, 1974
11
Idem, pag. 16.
12
Marco M. Olivetti, Analogia del soggetto, Laterza, Bari, 1992.
13
Op. cit, pag. 56.
14
Ibidem.
15
Solo per curiosità, si fa notare che Jean Luc Marion, presidente dell’Istituto di Studi Filosofici Enrico Castelli,
sostituisce il cogito con amo, per cui si ha: amo ergo sum.
16
Op.cit., pag. 213.
17
Op. cit. 140.
10
persona, sono un tu, e debbo in considerazione di altre persone”18. In virtù del
dovere in considerazione dell’altro, l’Etica assurge a filosofia prima
nell’appercezione trascendentale dell’atto comunicativo e di analogazione del
riconoscimento del soggetto: l’Io è Io solo per se stesso, mentre è altro per tanti
altri, ossia è Altro dell’Altro. L’autoreferenza, pertanto, non è il porsi immediato
come soggetto, ma il riconoscersi come “tu” nel loquor. In una società
secolarizzata, quale l’attuale, l’assenza del soggetto come ipseità, della società
come terzietà, e di Dio come Illeità dovrà essere recuperata attraverso il
riconoscimento della soggettività come persona: la presenza dell’io è data dal tu,
quella della società dagli atti comunicativi e dalle relazioni intersoggettive che la
costituiscono e, infine, quella di Dio dal primato dell’Etica, kantianamente intesa
(sum, prae-es, ab-est).
Le suggestioni levinasiane in Olivetti sono più che evidenti: per Levinas, come si
è detto, è l’alter ego a riconoscere l’ego; per Olivetti il soggetto è l’altro dell’altro,
immaginariamente analogato dall’altro. Tutta l’esperienza esistenziale, in Levinas,
si concretizza nell’incontro con l’Altro che si manifesta come “volto” (visage), da
intendere non in termini di fattezze fisiche ma come traccia di Dio ed ha una
valenza esclusivamente etica. Il volto, in senso biblico, è lo straniero, la vedova, il
sofferente, l’orfano, non posto dall’io ma esistente prima dell’io stesso. La
rivelazione del volto altrui appare come desiderio di sopraffazione (già
l’autocoscienza hegeliana, nella Fenomenologia dello Spirito, nel riconoscere
l’altra da sé, si manifesta come egofagia)19. Subito, però, eticamente s’impone il
comando “non uccidere”, con l’assunzione di responsabilità nei confronti
dell’Altro. Tutto ciò comporta il farsi carico delle sofferenze altrui e il dovere di
donarsi al prossimo (etica del dono), nel rispetto del precetto biblico, così inteso da
Levinas: “Ama il prossimo tuo. E’ te stesso”20. Chi è, però, il prossimo? Per
Massimo Cacciari21 paradossalmente il prossimo non è “chi mi è più vicino” ma
“chi mi è massimamente distante”, cioè colui al quale “mi approssimo” perché mi è
lontano, come il Buon Samaritano si avvicina a colui che, per antonomasia, gli è
oltremodo diverso e lontano.
Michele Ciliberti
18
F. S. Trincia – S. Bancalari, Perspectives sur le sujet, Prospettive filosofiche sul soggetto, pag. 25, OLMS, 2007.
G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad. it. a cura di E. de Negri, pag. 157, La Nuova Italia, Firenze
1973.
20
E. Lévinas, Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano, 1983, p. 114. Si noti bene che, per Levinas, “filosofia”
non significa “amore della conoscenza” ma “conoscenza dell’amore”.
21
M. Cacciari, Il prossimo è l’altro lontano che ti spiega chi sei, comunicazione al Festival della Filosofia di
Modena, 12 settembre 2009.
19